I pittori di Francesco, in "L'arte di Francesco. Capolavori d'arte italiana e terre d'Asia dal XIII...

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Angelo Tartuferi

Non a caso, il primo lavoro moderno che affronta in maniera scientifica il tema del

rapporto fra il santo di assisi e la produzione artistica è, in primo luogo, frutto di

un percorso e di una meditazione spirituale personali, prima di essere un testo

classico della storiografia tedesca dell’ottocento. e non pare azzardato ritenere

ancora oggi con Henry thode, che il fascino indiscutibile esercitato dalle immagini “france-

scane” sia la diretta emanazione di quella «nuova concezione popolare della religione cristia-

na, semplice e naturale, penetrata d’amore e di intimo entusiasmo, così come Francesco e i

suoi discepoli la traducevano in mille immagini diverse nelle loro prediche e nelle loro poesie;

è questa nuova concezione della religione ad avere dato vita alla nuova arte cristiana. La

contemplazione francescana, al contrario di altre contemplazioni mistiche, ha provocato lo

studio della natura, di quella natura in cui Francesco vedeva l’immagine fedele di dio»1.

La predisposizione spiccata a restituire in pittura gl’innumerevoli dati suggeriti, appun-

to, dalla contemplazione convinta e spontanea non soltanto della natura, ma anche degli

aspetti più minuti della realtà quotidiana dell’uomo, può in effetti essere assunta a nostro

avviso tra i connotati più “veri” e costitutivi di una possibile “arte francescana”, perfino in

misura maggiore rispetto all’osservanza più o meno puntuale dei singoli elementi dell’icono-

grafia. a questo assunto di fondo si è cercato di conformare il criterio rigoroso di convocare

in mostra opere contraddistinte non soltanto per l’iconografia francescana, ma in primo luo-

go per il fatto di essere espressione diretta di commissioni artistiche dell’ordine o, seppure

frutto di committenze private, provenienti in ogni caso da chiese o conventi dei Francescani.

alla luce di questa premessa, è auspicabile che la selezione di dipinti, sculture, codici miniati

e opere di arte suntuaria che si è riusciti a comporre possa risultare maggiormente affidabile

per tentare di desumere eventuali connotati di base della produzione artistica di matrice

francescana fra il xiii e il xv secolo. spingersi oltre riteniamo risulterebbe assai problematico,

stante la clamorosa evidenza del fatto che verosimilmente esiste un’arte “dei Francescani”

e/o “per i Francescani”, mentre appare tutta da dimostrare l’esistenza di una vera e pro-

pria “arte francescana”. nel contesto dei termini fondamentali dell’indagine storico-artistica

(attribuzione, datazione, definizione stilistica e iconografica), occupano con grande natu-

ralezza nella presente occasione una posizione di primo piano le questioni che attengono

all’iconografia francescana, nella mostra e nel catalogo che l’accompagna. Quest’ultima ha

registrato costantemente e in maniera assai puntuale il vero e proprio scontro ideologico

sviluppatosi all’interno dell’ordine, già a pochissimi anni di distanza dalla scomparsa del

fondatore, intorno all’interpretazione più “conveniente” da proporre – anzi, da imporre – per

1. Bartolomeo della Gatta, Francesco riceve le stimmate,1486-1487, particolare di cat. 47. castiglion Fiorentino, pinacoteca comunale.

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una delle personalità più impressionanti e sconvolgenti che la storia dell’occidente annove-

ri2. si pensi alla questione del santo raffigurato con o senza la barba! se fosse pervenuto alla

mostra il polittico di Giotto oggi a raleigh, si sarebbe potuto ammirare ancora una volta uno

dei “ritratti” più belli di Francesco [fig. 3], con un volto regolarissimo, perfettamente curato,

che potrebbe addirittura evocare alla mente quelli analoghi di certi attori hollywoodiani. si

tratta del Francesco gradito ai ricchissimi banchieri fiorentini della famiglia peruzzi, sul cui

altare in santa croce si trovava con ogni probabilità il polittico.

Il confronto con il volto emaciato, la barba ispida e nera [fig. 2] del santo al centro del

dossale del Museo del tesoro della Basilica di san Francesco in assisi, per noi da confer-

mare fra i capolavori della pittura italiana del duecento, quale esemplare dell’ultima fase

creativa di Giunta di capitino intorno alla metà del sesto decennio, non potrebbe essere più

eloquente per la dissonanza assoluta dei due termini, che tuttavia dal punto di vista crono-

logico sono separati da un lasso di tempo relativamente breve, quantificabile all’incirca in

una cinquantina d’anni o poco più. al dossale di assisi è stato accostato per lungo tempo

anche quello della pinacoteca Vaticana [fig. 4], che tuttavia sembra di un’artista di levatura

sensibilmente inferiore, aggiornato sugli sviluppi artistici riscontrabili sia a pisa che a Firenze

al principio del sesto decennio del duecento3.

Un impatto visivo di grande efficacia e fortuna popolare, nonché di supporto non mar-

ginale alla straordinaria diffusione del culto del nuovo santo, fu recato dalle più antiche

Vita-Ikon francescane di forma cuspidata. L’origine di questa tipologia dovette svilupparsi

più verosimilmente in parallelo a quella delle più antiche pale d’altare e dei tabernacoli che

recavano al centro la figura della Madonna con storie ai lati4, anziché per derivazione ideale

e grafica dalle croci dipinte5.

non è affatto certo che la più antica di queste tavole fosse davvero quella andata per-

duta che si trovava nella chiesa di san Francesco a san Miniato (pisa), tramandataci da un

disegno di niccolò catalano (1652), che inoltre la dice datata 1228, anno della canonizza-

2. Giunta di capitino, San Francesco, 1255 circa, particolare. assisi, Museo del tesoro della Basilica di san Francesco.

3. Giotto di Bondone, San Francesco, 1305-1310. raleigh, north carolina Museum of art.

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zione di Francesco. se questa indicazione cronologica fosse vera, e ciò non può essere

escluso aprioristicamente a nostro parere, l’importanza dell’opera sarebbe stata di straor-

dinaria portata storica. In realtà appare più verosimile che la data riferita avesse un intento

meramente celebrativo, mentre vale la pena di sottolineare che in quel dipinto la raffigu-

razione delle Stimmate si trovava nella medesima posizione in cui compare nella ben nota

pala del san Francesco di pescia [fig. 5], firmata e datata 1235 da Bonaventura di Berlin-

ghiero6. La tipologia della pala perduta ricavabile dal disegno del xvii secolo appare pratica-

mente identica a quella del Museo nazionale di san Matteo a pisa [cat. 7], e questo dato

può valere per noi come ulteriore conferma della datazione molto alta di questo autentico

capolavoro di Giunta di capitino, che con molta probabilità fu dipinto prima della pala di

pescia, caratterizzato inoltre da una fortissima vicinanza culturale e stilistica con il Crocifis-

so dipinto della porziuncola [cat. 10], recante la firma del grande artista pisano. È noto che

una simile datazione è avversata da taluni studiosi per il fatto che in essa compaiono due

miracoli narrati per la prima volta nel Trattato dei miracoli di tommaso da celano, risalente

4. pittore pisano (?), San Francesco e quattro storie della sua vita, 1250-1255. città del Vaticano, pinacoteca Vaticana.

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5. Bonaventura di Berlinghiero, San Francesco e sei storie della sua vita, 1235. pescia, san Francesco.

6. terzo Maestro di anagni, San Francesco, 1230-1240. parigi, Musée du Louvre.

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7. terzo Maestro di anagni, San Francesco, 1225-1230. subiaco, sacro speco, cappella di san Gregorio.

al 1250 circa, tuttavia è appena il caso di ricordare che

la maggior parte dei miracoli raffigurati compaiono nel-

la Vita prima di tommaso da celano (circa 1190-1260)

redatta tra il 1228 e il 1229. non è certo questo l’unico

caso di divergenza fra i dati suggeriti dall’analisi stili-

stica e quelli derivanti dall’analisi iconografica. anche

l’importante dipinto del Louvre [fig. 6] raffigurante San

Francesco, attribuibile al cosiddetto “terzo Maestro di

anagni” – che coincide in pratica con il “Maestro di san

Gregorio” di subiaco – viene situato cronologicamente

da alcuni studiosi in base a considerazioni iconogra-

fiche, relative soprattutto alla raffigurazione della ferita

sul costato, nel sesto-settimo decennio del duecento7.

tuttavia, tale datazione è assolutamente incompatibile

con la fisionomia stilistica e il percorso di questa forte

personalità della pittura romana del secondo quarto del

secolo, recuperata da alcuni dei massimi conoscitori

della pittura medievale italiana8.

non meno dibattuta è ancora oggi la “questione

sublacense”, che verte intorno alla più antica immagine

di Francesco [fig. 7] giunta fino a noi, affrescata all’in-

terno della cappella di san Gregorio nel sacro speco

benedettino di subiaco, incentrata di recente in maniera

maggiormente plausibile sulla figura del pontefice Gre-

gorio IX, anziché su quella del poverello, con la conse-

guente datazione delle pitture antecedente all’elezione

al soglio pontificio del cardinale Ugolino dei conti di se-

gni il 19 marzo 12279.

tornando alle più antiche pale agiografiche fran-

cescane, è utile rimarcare l’importanza di quella dedi-

cata a Sant’Antonio da Padova che costituiva, forse,

una sorta di pendant di quella di Bonaventura di Ber-

linghiero nel San Francesco di pescia, andata distrutta

purtroppo nella seconda metà del cinquecento10. essa

doveva essere una delle più antiche immagini del gran-

de santo di origine portoghese, morto il 13 giugno 1231

e proclamato santo a spoleto il 30 maggio 1232 da

Gregorio IX, ulteriore testimonianza precoce dell’inces-

sante arricchimento iconografico che caratterizzò da

subito l’universo francescano, dai santi più celebri ai semisconosciuti beati delle contrade

più periferiche in Italia e in europa, di cui è data testimonianza per quanto possibile anche

nella mostra presente. La fortuna della pala cuspidata con l’immagine centrale del santo

e le storie della sua vita ai lati è prolungata in toscana al principio della seconda metà del

xiii secolo dall’esemplare di pistoia [cat. 9], mentre la tavola di orte [cat. 8] propone una

variante tipologica davvero singolare che sembra accordarsi con l’assoluta rarità iconogra-

fica delle due scene inferiori e ripropone un Francesco caratterizzato in senso fortemente

ascetico e pauperistico, affine a quello raffigurato al centro del dossale già menzionato di

Giunta [fig. 2] nel Museo del tesoro della Basilica di san Francesco ad assisi.

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Un’importanza cruciale sul piano iconografico, ma soprattutto per gli sviluppi della pit-

tura fiorentina del duecento, è opportunamente assegnata da tempo alla grande pala [cat.

50] posta sull’altare della cappella Bardi in santa croce a Firenze a partire dal 1595. L’opera

ha potuto beneficiare in occasione della mostra di un attento restauro di aggiornamento

estetico, soprattutto in relazione al trattamento delle vecchie lacune e, inoltre, di una pulitu-

ra che ora ne consente il pieno apprezzamento delle nobili qualità plastico-narrative. dopo

le fondamentali e convergenti indicazioni critiche di Miklós Boskovits (1983) e di Luciano

Bellosi (1991), l’attribuzione a coppo di Marcovaldo della pala commissionata con ogni

probabilità dai tedaldi, può dirsi oggi generalmente accolta (TarTuferi 2013, p. 233). essa

documenta la fase di attività relativamente giovanile dell’artista fiorentino, verso la metà del

xiii secolo, che sembra prestare grande attenzione alla fiorente tradizione figurativa lucchese

dei Berlinghieri, che dovette derivargli in primo luogo dal cosiddetto “Maestro del crocifisso

n. 434 degli Uffizi” [cat. 9].

essendoci già occupati di Giunta di capitino in più di un’occasione, in questa sede ci

limiteremo a riaffermare la rilevanza sovraregionale della sua operosità prolungatasi verosi-

milmente per più di un trentennio, un dato quest’ultimo non troppo consueto per l’epoca,

e il fortissimo rapporto preferenziale con l’ordine francescano, sebbene egli abbia esegui-

to nella prima fase di attività l’imponente Crocifisso dipinto di Bologna per i domenicani.

tuttavia, in mostra è degnamente rappresentato dalla bella Croce dipinta della pinacoteca

di Faenza [cat. 11] un altro protagonista di primo piano della pittura duecentesca, quale

il cosiddetto “Maestro dei crocifissi francescani”, che sembrerebbe aver intrattenuto con

l’ordine un rapporto ancora più assiduo rispetto al grande maestro pisano, pur senza imma-

ginare che egli abbia vestito il saio, come pure è stato autorevolmente suggerito da Bosko-

vits11. tale ipotesi è ora definita simpaticamente «bislacca» – ed è vero inoltre che il primo

a scherzarci sopra sarebbe stato proprio il

grande conoscitore –, anche allo scopo di

corroborare il suggerimento di una sua pos-

sibile identificazione con Guido di pietro da

Gubbio, documentato a Bologna dal 1268

al 1271, insieme al figlio oderisi menzionato

da dante alighieri nell’undicesimo canto del

Purgatorio12. L’ipotesi identificativa presenta

elementi d’indubbia suggestione, soprattutto

per il fatto di collegare su base documentaria

le tappe del percorso compiuto dal grande

artista, dall’Umbria all’emilia, passando per

le Marche, ma resta per ora senza alcuna

verifica concreta. Quello che invece si può

escludere con chiarezza, secondo noi, è

qualsiasi coinvolgimento diretto del “Maestro

dei crocifissi francescani” nella piccola e tut-

to sommato modesta Crocifissione miniata

nel Messale francescano n. 262 della Biblio-

teca del sacro convento di san Francesco in

assisi13. Forniamo questa precisazione con

la stessa premura con cui abbiamo indicato

la paternità dell'artista per la recuperata Cro-

cifissione [fig. 8] nella cripta della chiesa di

8. Maestro dei crocifissi francescani, Crocifissione, particolare, 1255 circa. Bologna, san colombano, cripta.

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san colombano a Bologna14, poiché se è vero che la definizione critica dell’opera autografa

è di fondamentale importanza per ogni personalità artistica, ciò vale soprattutto per le figure

di maggior spicco e il “Maestro dei crocifissi francescani” è il seguace più alto di Giunta di

capitino e uno dei maggiori pittori italiani del xiii secolo. Formatosi in Umbria sulla scia di

Giunta, in maniera molto più convinta e assidua rispetto al “Maestro di san Francesco”, le

opere che dovrebbero spettare alla fase più antica della sua attività intorno alla metà del

secolo sono i Crocifissi processionali a doppia faccia del Museo del tesoro della Basilica

di san Francesco ad assisi e del Wallraf-richartz Museum di colonia (inv. 873), nei quali le

figure del cristo presentano una stesura pittorica compatta e la ricerca di un equilibrio solen-

ne e pacato, nel ricordo ancora vivo delle Croci assisiati del Maestro pisano. accenti simili si

ritrovano ancora nella grande Croce dipinta della pinacoteca civica di camerino, che poco

dopo la metà dell’ottocento si trovava però in collezione Fornari a Fabriano e fu dipinta

quasi certamente per una delle numerose chiese medievali della città15. L’opera si pone a

nostro parere in posizione intermedia fra l’esordio umbro e il nutrito e omogeneo gruppo di

opere di ubicazione emiliano-romagnola, insieme all’intenso dittico forse di origine umbra

costituito dalla Madonna col Bambino già appartenuta a carlo de carlo e la Crocifissione

del Museum of Fine arts a Boston (inv. 28.886)16. La fase matura dell’artista s’inaugura con

il bel Crocifisso faentino [cat. 11], che presuppone una conoscenza diretta e non occasio-

nale della fase matura di Giunta avviata dalla cosiddetta Croce di San Ranierino del Museo

di pisa. tale conoscenza potrebbe essere derivata o da un soggiorno pisano, oppure dal

riflesso diretto di un ulteriore esemplare bolognese di Giunta – ancora in vita nel 1265 – non

arrivato fino ai giorni nostri, che spiegherebbe molto bene la fioritura di cultura neoellenistica

nel capoluogo emiliano nel corso del terzo quarto del xiii secolo. Il nucleo di opere bolognesi,

che dovrebbe scalarsi lungo il decennio 1255-1265, ha il suo vertice qualitativo nel Crocifis-

so della pinacoteca nazionale di Bologna, dipinto per la chiesa di san Francesco, che poi fu

depositato per lungo tempo nella chiesa di santa Maria in Borgo. L’opera va integrata con

le due tabelle laterali con le figure dei dolenti, oggi nella national Gallery of art a Washington

(inv. 1952.5.13-14) e con il disco della cimasa che si trovava un tempo in collezione Bacri a

parigi17. Le altre due grandi croci dipinte dell’artista, quella conservata nella cappella Muz-

zarelli della chiesa di san Francesco e l’altra della Biblioteca del convento di san Francesco,

sono arrivate fino a noi in condizioni assai precarie di conservazione. Quest’ultima, tuttavia,

segna probabilmente la fine del percorso dell’artista sin qui noto, a una data intorno al 1265,

e ne documenta una verosimile saldatura, assai rilevante sul piano storico, con il linguaggio

del giovane cimabue18. La forte presenza a Bologna di questo grande artista girovago, di

probabile formazione umbra, è poi completata dall’affresco già menzionato recuperato in

epoca recente nella cripta della chiesa di san colombano e dall’altro affresco frammentario

restituitogli da Boskovits, raffigurante la Madonna con il Bambino e san Pietro, nella chiesa

della santissima trinità all’interno del complesso di santo stefano a Bologna, databili intor-

no alla metà del sesto decennio del duecento19.

La mostra, oltre a registrare la presenza di ben noti campioni dell’iconografia francesca-

na, nonché personalità artistiche di primo piano, quali Margarito [catt. 13-16] e il “Maestro

di san Francesco” [catt. 17-18], propone anche figure di rango stilistico e qualitativo assai

inferiore, quale l’autore del Crocifisso [cat. 12] di collezione privata, di notevole interesse

per la soluzione iconografica più unica che rara di ospitare San Francesco e Santa Chiara

nei due terminali, che s’immagina volentieri proveniente da un remoto convento di clarisse

tra Umbria e Marche. non mancano inoltre autentiche novità non meno interessanti, sin qui

praticamente sconosciute, quali il San Francesco recuperato in anni recenti nella chiesa dei

cappuccini di Bitonto [cat. 20], segnalato alla mostra da chiara Frugoni, oggetto in anni an-

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cora recenti di un non facile restauro, e l’altro San Francesco riceve le stimmate del Museo

Francescano di roma [cat. 21]. a proposito del dipinto pugliese, non è condivisibile la pro-

posta secondo cui questa sarebbe la più antica delle “tavole parlanti” arrivate fino a noi20. Già

abbiamo sottolineato il fatto che il registro dei tempi fondato sugli sviluppi stilistici della pittura

della prima metà del duecento in Italia centrale indica, semmai, il primato cronologico della

tavola del Museo del Louvre [fig. 6]. In ogni caso, anche la redazione più antica della tavola

bitontina, se esaminata alla luce degli svolgimenti stilistici in Italia centrale a cavallo della metà

del xiii secolo, non dovrebbe oltrepassare

la fine del sesto decennio. Il riferimento del

dipinto a un artista di area centro-italiana

[cat. 20] non risulta convincente a nostro

modo di vedere. L'opera sembra potersi

inserire nel solco della tradizione figurativa

locale più svincolata dai moduli del vicino

oriente, a partire dal bel pittore del Croci-

fisso del santuario di santa Maria a Mare a

san nicola (Isole tremiti) e in parallelo alla

cultura dell'icona della cattedrale di andria

e di parte degli affreschi della cripta di san

nicola a Mottola (taranto).

La tavola di notevoli dimensioni del

Museo Francescano a roma ha subito un

intervento di riordino per l’esposizione in

mostra, mentre il restauro completo sarà

portato a termine dopo il rientro nella sede

di provenienza. si tratta di un’opera di non

facile classificazione critica, anche a causa

dei sensibili rimaneggiamenti subiti, ma in-

dubbiamente assai interessante.

Un rinnovato esame della tavola del

Museo della porziuncola di assisi attribu-

ita a cimabue [cat. 19], mirato soprattutto

a sottrarla all’isolamento in cui era stata

confinata negli ultimi anni, mi ha convin-

to ad accantonare definitivamente i dubbi

relativi alla sua autografia che ammetto di

aver nutrito in anni non lontani. Muovendo

dalla cristallina lettura stilistica di Luciano

Bellosi (1998), a nostro modo di vedere

assume un’importanza risolutiva constata-

re l’affinità dell’impostazione complessiva

tra la tavola di santa Maria degli angeli e

le due straordinarie miniature ritagliate su

pergamena raffiguranti i Santi Abbondio e

Crisanto, applicate sugli sportelli esterni di

un tabernacolo-reliquiario della pinacoteca

civica di Gubbio, riconosciute per la pri-

ma volta a cimabue da Miklós Boskovits

9. Maestro di Figline, San Ludovico di Tolosa, particolare della Madonna col Bambino in trono [cat. 23], 1320 circa. Figline Valdarno, collegiata di santa Maria.

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e accolte con piena convinzione nel catalogo del pittore

fiorentino anche da Bellosi.

Le recenti argomentazioni contrarie all’attribuzione della

tavola a cimabue espresse da chiara Frugoni, sottolineano

tra l’altro le diversità riscontrabili rispetto alla non meno ce-

lebre effigie del santo affrescata dal Maestro fiorentino nella

Basilica Inferiore sanfrancescana di assisi. tuttavia, Luciano

Bellosi ha già sottolineato l’assoluta indipendenza reciproca

delle due immagini, mentre le ulteriori considerazioni dell’illu-

stre studiosa relative alle presunte “incomprensioni” riscon-

trabili nel dipinto della porziuncola sottese dalla sfrangiatura

del saio in corrispondenza della ferita sul costato, non inci-

dono in alcun modo sul nodo fondamentale della questione,

che per noi è e resta di natura stilistica. Un’ipotetica contraf-

fazione cimabuesca di questo livello qualitativo e contras-

segnata da una comprensione così profonda del linguaggio

stilistico del pittore fiorentino è, in ogni caso, inimmaginabile

prima dell’ultimo scorcio del xix secolo, mentre la tavola è

attestata com’è noto almeno dal 172121.

La presenza della pala eponima del Maestro di Figli-

ne [cat. 23], offre un’occasione unica per ammirare questo

capolavoro stupefacente in condizioni più agevoli rispetto a

quanto sia concesso all’interno della collegiata nel capo-

luogo del Valdarno fiorentino. sul piano storico-iconografi-

co va sottolineata in maniera particolare la rilevanza prima-

ria assunta da sant’elisabetta d’Ungheria e san Ludovico di

tolosa, i quali oltre che francescani erano appartenenti ai

d’angiò. La loro compresenza quindi sembrerebbe offrire

anche un’indicazione di carattere politico in senso filo-guel-

fo, particolarmente significativa in un territorio oggetto delle

mire espansionistiche di Firenze. tuttavia, i due santi angioini sono, insieme alla Vergine, i

patroni particolari dell’ordine Francescano secolare e del terz’ordine regolare e secondo

noi occorre domandarsi se l’origine della pala non sia da ricollegare a una compagnia di ter-

ziari francescani annessa al San Francesco di Figline. sul piano iconografico è da segnalare

la rarità del particolare di San Ludovico che non soltanto ha la corona regale ai suoi piedi,

come si può osservare nella maggior parte dei casi, ma si spinge a schiacciarla e distrug-

gerla con il piede destro [fig. 9] in segno di evidente dispregio del potere e degli onori mon-

dani. Il San Francesco oggi a Worcester [cat. 24] del medesimo artista è tra gli esemplari

pittoricamente più alti e spiritualmente pregnanti dell’iconografia francescana del xiv secolo.

La Galleria dell’accademia ospita dall’epoca delle soppressioni il celebre ciclo di for-

melle polilobate di taddeo Gaddi, raffigurante le storie parallele di Gesù e di san Francesco

[catt. 52a-b], di cui si propone nella relativa scheda in catalogo un’aggiornata e, a nostro

avviso, assai suggestiva ipotesi di ricostruzione strutturale. ad esso si è potuta aggiungere

almeno la formella con la Prova del fuoco giunta dalla alte pinakothek di Monaco di Baviera

[cat. 52c], mentre non sono in mostra la Pentecoste, la Resurrezione di un fanciullo caduto

da un verone (Berlino, Gemäldegalerie, inv. 1073-1074) e la Morte del cavaliere di Celano

(Monaco di Baviera, alte pinakothek, inv. 10677): e il risultato non è comunque di poco con-

to, stante la ormai proverbiale indisponibilità a collaborare da parte della galleria berlinese.

10. taddeo Gaddi, San Francesco, 1320-1325. Ubicazione ignota.

11. colantonio, Consegna della Regola agli Ordini francescani, 1445 circa, particolare. napoli, Gallerie nazionali di capodimonte.

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dispiace che neppure in un’occasione particolarmente densa di significato come questa si

sia riusciti a realizzare per la prima volta la riunificazione del complesso, che forse non si

renderà mai possibile. La sala della Galleria che ospita ormai da molti anni il ciclo prove-

niente dalla sacrestia della grande Basilica francescana fiorentina è stata trasformata in un

ideale simulacro del grandioso edificio di santa croce, che accoglie inoltre il San Francesco

e venti storie della sua vita [cat. 50] della cappella Bardi già menzionato, il grande affresco

staccato di pietro nelli [cat. 53] con L’arrivo dei Frati Minori a Firenze e il dipinto di dome-

nico di Michelino raffigurante San Bonaventura [cat. 54], «doctor seraphicus» dell’ordine.

Le formelle da santa croce rappresentano uno dei capisaldi dell’iconografia francescana di

ogni tempo, che illustra uno dei messaggi portanti dell’agiografia minorita, Francesco come

alter Christus: un compito che il grande pittore fiorentino assolve, si direbbe, con una pia

devozione “normativa”. eppure ai suoi esordi, sempre per la medesima chiesa, egli aveva

offerto verso il 1325 una delle interpretazioni più introverse e “moderne” del poverello [fig.

10], nello scomparto del polittico ex Bromley davenport, oggi di ubicazione ignota, dipinto

per la cappella di sant’andrea, di patronato dei Lupicini, che secondo il Vasari in origine fu

anche affrescata dal Gaddi.

se indubbiamente è nel corso del duecento che sembra di poter cogliere il grado

più alto d’intrinsecità fra il mondo francescano e l’espressione artistica, non può stupire il

fatto di riscontrare all’interno della produzione di uno dei protagonisti più frivoli e fioriti del

linguaggio tardogotico quale Zanino di pietro, uno degli episodi più intensi d’interpretazione

figurativa della religiosità eremitica francescana [cat. 32].

Ben più agevole e tranquillizzante doveva risultare l’accostamento del fedele ai com-

plessi d’altare diffusi in area meridionale da Giovanni da Gaeta [catt. 33-34], contraddistinti

da una tenera e rosata luminosità, più o meno consapevolmente in totale alternativa al forte,

concentratissimo accento spirituale che promana dall’impareggiabile anfiteatro di france-

scani costruito intorno al fondatore nella Consegna della Regola agli Ordini francescani [fig.

11], dipinto da colantonio nella pala per san Lorenzo Maggiore a napoli, oggi alle Gallerie

nazionali di capodimonte a napoli. Un accento spirituale che sostiene anche l’ignoto, forte

artista di cultura napoletana cui si deve verso il 1470 la potente pala bernardiniana restau-

rata per la mostra dal monastero di santa chiara in via Vitellia a roma [cat. 44]. opera d’in-

dubbia suggestione visionaria quest’ultima, con la grandiosa, originaria facciata in laterizio

della chiesa di san Bernardino a L’aquila, dominata dalla figura del santo racchiusa in un

ampio saio, le cui maniche si ripiegano quasi alla maniera di colantonio.

e per il Quattrocento non mancano davvero le novità, sostenute dalla ragguardevole

campagna di restauri che ha proceduto di pari passo con la costruzione della mostra.

Hanno beneficiato del necessario intervento di restauro sia le tavole di antoniazzo ro-

mano [catt. 39-40], sia la pala con San Francesco, san Bernardino da Siena e sant’Antonio

da Padova [cat. 35] del fedele collaboratore di domenico di Michelino, il probabile Lorenzo

di puccio, alias “Maestro degli angeli di carta”, dipinta per il san Francesco di cortona la cui

costruzione fu avviata da frate elia dal 1245 circa.

Un’impostazione simile a quella della pala cortonese, che dovette essere particolar-

mente gradita in ambito francescano sulla metà del xv secolo, ritorna nei medesimi tempi

nella bella e tuttora misteriosa pala delle collezioni comunali d’arte di Bologna [cat. 46].

L’ignoto artista locale si esprime con un linguaggio naturalistico asciutto e possente, e con

l’austera coppia dei committenti genuflessi ai piedi di San Ludovico e di San Bernardino,

entra di diritto ai livelli più alti in una delle campionature più emblematiche della pittura di

epoca rinascimentale, che prende le mosse com’è noto dai coniugi ai piedi della Trinità ma-

saccesca in santa Maria novella a Firenze.

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12. carlo crivelli, San Francesco, 1471-1473, particolare di cat. 43. Bruxelles, Musées royaux des Beaux arts.

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A N G E L O T A R T U F E R I

13. Francesco d’assisi, Lettera a frate Leone, 1220-1225. spoleto, duomo, cappella delle reliquie.

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I p I t t o r I d I F r a n c e s c o

Il gesto delle mani bellissime [fig. 12] del San Francesco di carlo crivelli [cat. 43] dal

grande polittico per la chiesa di san Francesco a Montefiore dell’aso, sembra quello di un

suonatore d’arpa, e nello scoprire la ferita del costato riaccende in pieno rinascimento, con

un garbo dolorosissimo ed estenuato, una polemica già plurisecolare. Gli altri due autentici

capolavori di Bartolomeo della Gatta che si avvicendano alla mostra in periodi diversi, sono

com’è noto frutto dell’impegno di un grandissimo artista, nonché monaco camaldolese, per

due importanti committenze francescane: il San Bernardino di avignone [cat. 46], recante

la data del 1480, fu eseguito probabilmente per la chiesa di san Francesco ad arezzo,

mentre il celeberrimo San Francesco riceve le stimmate [cat. 47] della pinacoteca civica di

castiglion Fiorentino furono consegnate dal pittore entro l’agosto 1487 alla confraternita di

santa Maria della Misericordia, annessa alla locale chiesa di san Francesco. nella pala di

castiglion Fiorentino, uno dei vertici asssoluti della pittura dell’ultimo Quattrocento in Italia,

la figura più bella è quella di frate Leone [fig. 1], il compagno prediletto e più stretto di Fran-

cesco, destinatario per l’appunto della celebre Lettera a frate Leone [fig. 13], un frammento

della quale è conservato oggi nella cappella delle reliquie della cattedrale di spoleto22. Il

discorso relativo alla pittura «per» Francesco nella mostra si chiude con l’affascinante e inaf-

ferrabile “Maestro di castelsardo”, presente con la rara raffigurazione della cosiddetta San

Francesco che promulga l’Indulgenza della Porziuncola [cat. 48], appartenente a un gran-

dioso retablo le cui parti superstiti furono descritte dal canonico Giovanni spano nel 1861 in

una cappella del chiostro della chiesa di san Francesco di stampace a cagliari, appartenen-

te ai Francescani conventuali. tuttavia, secondo ricerche recenti, la tavola pervenuta dalla

pinacoteca nazionale di cagliari [cat. 48], avrebbe fatto parte del retablo dell’altar maggiore

della chiesa di santa Maria de Jesus, oggi distrutta, ma in origine annessa al convento dei

Frati Minori osservanti di cagliari, portata a termine fra il 1482 e il 149723.

1 L’importanza di questo passo conclusivo del Franz von Assisi di Henry thode è sottolineata da Luciano Bellosi nella prefazione alla prima edizione italiana dell’opera; cfr. Thode 1993, p. XI. 2 sulla figura del santo si vedano qui, in particolare, i sag-gi di chiara Frugoni, Fortunato Iozzelli e andré Vauchez. La letteratura relativa all’iconografia francescana è molto vasta e, pertanto, si indicano qui solo alcuni dei testi a carattere più generale, che vertono in particolare sul segmento crono-logico considerato dalla mostra e offrono ulteriore bibliogra-fia sull’argomento: fondamentale è il repertorio di William r. cook (1999), con ampia bibliografia precedente; si vedano inoltre i contributi raccolti nel volume curato dal medesimo studioso (Cook 2005). d’importanza basilare sono gli studi di chiara Frugoni (1993; rist. 2010b; 2008b, pp. 245-376; 2012d, pp. 13-64, con bibliografia). cfr. inoltre krüger 1992; BaCCi 2009, pp. 31-57; MonCiaTTi 2010, pp. 213-224. 3 per l’iconografia di san Francesco con o senza la barba si rinvia alla trattazione ormai “classica” di Luciano Bellosi (1985, pp. 3-9 e 30-33 nn. 1-17). per la datazione del Po-littico di raleigh al 1305-1310, si veda TarTuferi 2014, pp. 43-47 e 109 n. 20. sul rapporto costante di Giotto con i Francescani, cfr. il saggio recente di Cooper 2013, pp. 29-47. per il dossale del Museo del tesoro di assisi, si veda c. calciolari, in Todi 2006, pp.152-153, dove si adombra però un’inverosimile datazione al terzo decennio del secolo, e TarTuferi 2007a, p. 440. per la tavola della pinacoteca Vaticana, cfr. L. carletti, in pisa 2005, pp. 126-127; c. cal-ciolari, in Todi 2006, pp. 154-155 e TarTuferi 2007a, p. 440. 4 krüger 1992, pp. 12-36.

5 frugoni 1993, p. 320 e sgg. 6 per la perduta tavola di san Miniato, cfr. Cook 1999, pp. 265-267, che considera inattendibile la data del 1228, con-corde anche de MarChi 2009b, p. 119. 7 Cook 1999, pp.152-153; frugoni 2012d, pp. 40-41. 8 ToesCa 1902; offner 1952; BoskoviTs 1979. 9 Mores 2004, pp. 343-359; cfr. inoltre Messa 2005, pp. 605-609.10 per la distrutta pala di pescia, cfr. nessi 1989, pp. 395-397; frugoni 2012d, p. 18 n.16.11 M. Boskovits, in Bologna 2000, p. 186.12 lunghi 2014, pp. 94-96.13 La proposta attributiva è avanzata da e. Lunghi, in faBriano 2014, pp. 264-265.14 TarTuferi 2011, pp. 27-28; l’affresco è accostato pruden-temente allo stesso Giunta da faranda 2010, pp. 35-47.15 e. Lunghi, in faBriano 2014, pp. 122-123.16 Todini 1986, II, pp. 376, 379, fig. 577.17 per la Croce bolognese nel suo complesso si veda M. Boskovits, in Bologna 2000, pp. 192-200.18 per la Croce in san Francesco, cfr. G. Vannucchi, in Bologna 2000, pp. 189-192; per la croce della biblioteca del medesi-mo convento, cfr. s. Giorgi, in Bologna 2000, pp. 200-203.19 M. Boskovits, in Bologna 2000, p. 196, fig.4.20 frugoni 2012d, p. 59.21 BoskoviTs 1981, pp. 8, 26 n. 36; Bellosi 1998, pp. 236-239; frugoni 2012d, pp. 60-64. 22 BarToli langeli 2000, pp. 42-56. su frate Leone, cfr. Caliò 2005, pp. 549-552.23 sCanu 2013, pp. 113-182.