"La concezione del corpo in Francesco d'Assisi" ; 2014

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1 La concezione del corpo in Francesco d’Assisi Premessa In questo breve scritto analizzeremo la concezione del corpo in Francesco d’Assisi (1181-1226) e gli sviluppi del suo pensiero a riguardo, nelle prime biografie dell’assisiate. La nostra indagine prenderà in esame esclusivamente gli scritti considerati autentici di F. e le biografie del santo più vicine nel tempo e più importanti nel senso della loro diffusione, ovvero la Vita prima Sancti Francisci (1Cel); la Vita Secunda Sancti Francisci (2Cel); la Legenda major (LegM) e la Legenda minor (Legm) di Bonaventura da Bagnoregio 1 . Utilizzeremo l’edizione del Leonardi per la traduzione italiana e per il commento delle opere di F., prendendo in esame all’interno di un corpus di una trentina di testi in latino, uno dei tre testi in volgare, ovvero Il cantico di Frate Sole 2 . A livello bibliografico terremo presente il lavoro di quanti si sono concentrati specificatamente sulla concezione del corpo in Francesco pur consapevoli del fatto che, nella sconfinata produzione intorno al pensiero dell’assisiate, le riflessioni sulla corporeità sono numerose 3 . Tale analisi, così condotta, individuerà la presenza di due tendenze divergenti ma complementari tra loro: da un lato una concezione originale che considerando il corpo umano all’interno della creazione ne esalta la bellezza come dono di Dio; da un altro lato, il tema del contemptus mundi et corporis che ritroviamo negli scritti di Francesco. 1 Fontes Franciscani, Introduzioni critiche, a cura di BRUFANI (S.), MENESTO’ (E.), CREMASCOLI (G.), PAOLI (E.), PELLEGRINI (L)., Stanislao da Campagnola, ed. Poziuncola, Santa Maria degli Angeli, Assisi, 1997; Fonti Francescane, nuova edizione, a cura di CAROLI (E.), Padova, Edizioni francescane, 2009. 2 LEONARDI (C.), La letteratura francescana, 2 voll., Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 2005. Fuori dalla presente disamina la Lauda davanti al Crocefisso e la Lauda Audite, poverelle. 3 Tra gli autori che si sono occupati specificatamente di questo tema: Dajczman, Gniecki, Iammarrone e Zavalloni. Un interessante tesi di dottorato di Zambon. Per i riferimenti vedi la Bibliografia.

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1

La concezione del corpo in Francesco d’Assisi

Premessa

In questo breve scritto analizzeremo la concezione del corpo in Francesco d’Assisi

(1181-1226) e gli sviluppi del suo pensiero a riguardo, nelle prime biografie

dell’assisiate.

La nostra indagine prenderà in esame esclusivamente gli scritti considerati

autentici di F. e le biografie del santo più vicine nel tempo e più importanti nel

senso della loro diffusione, ovvero la Vita prima Sancti Francisci (1Cel); la Vita

Secunda Sancti Francisci (2Cel); la Legenda major (LegM) e la Legenda minor

(Legm) di Bonaventura da Bagnoregio1.

Utilizzeremo l’edizione del Leonardi per la traduzione italiana e per il commento

delle opere di F., prendendo in esame all’interno di un corpus di una trentina di

testi in latino, uno dei tre testi in volgare, ovvero Il cantico di Frate Sole2.

A livello bibliografico terremo presente il lavoro di quanti si sono concentrati

specificatamente sulla concezione del corpo in Francesco pur consapevoli del

fatto che, nella sconfinata produzione intorno al pensiero dell’assisiate, le

riflessioni sulla corporeità sono numerose3.

Tale analisi, così condotta, individuerà la presenza di due tendenze divergenti ma

complementari tra loro: da un lato una concezione originale che considerando il

corpo umano all’interno della creazione ne esalta la bellezza come dono di Dio; da

un altro lato, il tema del contemptus mundi et corporis che ritroviamo negli scritti

di Francesco.

1 Fontes Franciscani, Introduzioni critiche, a cura di BRUFANI (S.), MENESTO’ (E.), CREMASCOLI (G.), PAOLI (E.),

PELLEGRINI (L)., Stanislao da Campagnola, ed. Poziuncola, Santa Maria degli Angeli, Assisi, 1997; Fonti Francescane,

nuova edizione, a cura di CAROLI (E.), Padova, Edizioni francescane, 2009.

2 LEONARDI (C.), La letteratura francescana, 2 voll., Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 2005. Fuori dalla

presente disamina la Lauda davanti al Crocefisso e la Lauda Audite, poverelle.

3 Tra gli autori che si sono occupati specificatamente di questo tema: Dajczman, Gniecki, Iammarrone e Zavalloni. Un

interessante tesi di dottorato di Zambon. Per i riferimenti vedi la Bibliografia.

2

In entrambi i casi F. eredita e rielabora, in un pensiero comunque origianle, due

differenti retaggi culturali che hanno attraversato nei secoli la riflessione filosofica

e quella teologica.

Il corpo creato

Il lemma corpo/corporeità è declinato in modi differenti nel pensiero di Francesco.

Prima di analizzarli è necessario tenere a mente però il fatto che i due termini

latini corrispondenti, corpus (corpo) e caro (carne), sono pressoché sinonimi.

Inoltre è utile considerare che questi stessi termini possono indicare, in senso lato,

il comportamento umano contrario all’insegnamento divino.

Dunque per esaminare la concezione della corporeità nel pensiero di F.,

cominceremo dalle opere latine per poi passare ad analizzare una delle sue opere

volgari, il Cantico di Frate Sole. Prima di giungere a delle riflessioni di carattere

generale analizzeremo brevemente l’opera dei suoi primi biografi ricercando in

essa tracce del pensiero intorno alla corporeità.

Per F. il corpo umano è innanzitutto un corpo creato, come il mondo, ex nihilo, da

Dio. Nelle sue opere latine Egli loda sempre gioiosamente, con trasporto

fideistico, il Creatore del mondo e dell’uomo invitando quest’ultimo a dimostrare

la propria gratitudine lodando Dio e la sua opera. Rivolgendosi a Dio, F. dice che

l’onnipotente, con la sua santa volontà - per porre l'accento sulla gratuità di

quest’atto generativo - ha creato omnia spirituali et corporalia e ci ha collocati, a

sua immagine e somiglianza, nel Paradiso.

Ora è importante soffermarsi sul brano in questione, il testo della Regula non

Bullata:

“ Omnipotens, santissime, altissime et summe Deus, Pater sancte et iuste, Domine rex

caeli et terrae, propter temetipsum gratias agimus tibi, quod per sanctam voluntatem tuam

et per unicum Filium tuum cum Spritu sancto creasti omnia spirituali et corporalia, et nos

ad imaginem et similitudinem factos in paradiso posuisti” 4.

4 LEONARDI (C.) (a cura di), La Letteratura Francescana, Volume I : Francesco e Chiara d’Assisi, Milano, Fondazione

Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore, 2004; Regola non Bullata 23, 1-3, pp. 50-51: D’ora in poi abbreviato in Rnb.

3

In questo passo quella francescana si delinea come una antropologia gioiosa che

trova slancio nel reiterato ringraziamento rivolto a Dio, colui il quale ci ha creati,

anima e corpo, in un atto assolutamente unilaterale e gratuito di amore. Non è

possibile non sottolineare che siamo all’interno di una concezione dell’uomo in

cui il male radicale della natura umana è del tutto escluso, e che siamo al centro di

un discorso intorno all’umanità che esclude il male ontologico.

Dio ha creato dunque sia il corpo sia lo spirito, e ha volontariamente inviato suo

Figlio in terra per rinnovare il suo atto creatore. La venuta in terra del Cristo

rappresenta poi il perdono dei peccati degli uomini e la messa che celebra

l’Eucaristia rinnova questo perdono, continuativamente. Posto dunque che

l’uomo, e le creature tutte, siano figli di Dio, s’instaura necessariamente tra esse

un legame sostanziale che tornerà prepotentemente nel Cantico di Frate Sole dove

è la natura, il creato tutto, a coinvolgere, senza trascendere nel panteismo, l’uomo

nella lode rivolta a Dio.

Le parole utilizzate dall’assisiate nel lodare il Creatore sono certamente quelle del

simbolo niceno-costantinopolitano ma acquistano nuovo vigore nella sottesa

polemica che a queste soggiace, nei confronti della concezione dualistica dei

Catari5. Il simbolo niceno-costantinopolitano in F. acquista un nuovo slancio

fideistico. Riflettendo sulla creazione, l’assisiate prende le mosse dal commento

della Genesi ma la sua novità sta nell’aver collegato l’uomo e il Cristo con i due

termini di imago e similitudo. Vediamo meglio in che senso Egli si discosta dalla

tradizione precedente.

La teologia cattolica riferisce la creazione di Dio solo alla parte spirituale

dell’uomo e non alla sua corporeità. Per la tradizione teologica, l’anima e il corpo

sono dunque elementi di natura dissimile, sostanzialmente differenti, solo

giustapposti nell’essere umano. Francesco invece segue un percorso di riflessione

originale e anticipa la concezione tomistica dell’anima6.

Egli compie un passaggio speculativo importante, affermando che la creazione di

Dio è avvenuta attraverso il Figlio:

5 DUVERNOY (J.), La religione dei catari. Fede. Dottrine. Riti, Ed. Mediterranee, Padova, 2000.

6 Per i rapporti tra anima e corpo nella cultura medievale, vedi Atti del V Convegno della Società Italiana per lo Studio del

pensiero Medievale, Venezia 25-28 settembre 1995, a cura di Casagrande (C.) e Vecchio (S.), Sismel Edizioni del

Galluzzo, Firenze, 1999.

4

“… e ti ringraziamo perché tu ci hai creati per mezzo del tuo Figlio (…) hai fatto nascere

lui, vero Dio e vero uomo…”7.

Proprio il Figlio, in effetti, funge da modello per la creazione dell’uomo e questo è

un elemento fondamentale. Francesco dice rivolgendosi idealmente all’uomo:

“ ...creando e formando il tuo corpo a immagine del suo amato Figlio, e il tuo spirito a sua

somiglianza”8.

Qui l’imago concerne il corpo dell’uomo e la similitudo riguarda il suo spirito.

Siamo agli antipodi rispetto alla concezione di Lotario di Segni, papa Innocenzo

III, il quale nel De miseria humanae conditionis, nell’ottica del tema del

contemptus mundi et corporis il corpo umano è creato dal fango in una condizione

di completa indignitas9.

Nell’Epistola ad fideles, Francesco, compie una passaggio teoretico lungimirante,

coerente con la sua antropologia, associando la fragilità del Cristo – uomo, alla

fragilità della natura umana. Qui parla della venuta del Figlio di Dio ed

esplicitamente della sua natura umana, di Maria, sua madre, con termini

palesemente riferibili alla sua corporeità di donna:

“L’altissimo Padre, per mezzo del suo santo angelo Gabriele, ha annunciato al cielo

questo Verbo del Padre, così degno, così santo, così glorioso, presente nell’utero della

santa e gloriosa vergine Maria, e nel suo utero egli ricevette la vera carne della nostra

fragile umanità”10

.

Il lessico che si rifà al corpo utilizzando vera caro, uterus, humanitas, fragilitas, è

uno degli elementi che contribuiscono a creare questo felice stupore per la

maternità illibata di Maria che è parte della rivalutazione che della corporeità che

effettua F. nonostante il riapparire, episodico, della tesi del contemptus mundi et

corporis che citeremo in seguito.

7 LEONARDI (C.) (a cura di), La Letteratura Francescana, Volume I : Francesco e Chiara d’Assisi, Milano, Fondazione

Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore, 2004, p.51.

8 Ibidem, Admonitiones, 5, pp. 86-87. D’ora in poi abbrevieremo in Adm.

9 D'ANTIGA (R.), a cura di, Lotario di Segni. Il disprezzo del mondo, Carocci, 1994.

10

LEONARDI (C.) (a cura di), La Letteratura Francescana, Volume I : Francesco e Chiara d’Assisi, Milano, Fondazione

Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore, 2004; Epistola ad fideles, 2, pp. 168-69. D’ora in poi abbreviato in Epfid.

5

Il corpo bisognoso

Una concezione positiva della corporeità emerge anche dalle prescrizioni di F. nei

confronti del trattamento del corpo e delle sue concrete necessità.

Tutte le sue disposizioni sono ispirate a un misurato realismo, elemento

assolutamente originale che rende la sua proposta etica distante dagli eccessi degli

anacoreti e dalle privazioni di cui i Catari facevano mostra. Le norme che F.

raccomanda ai suoi seguaci sono praticabili da tutti, Egli non impone privazioni

inumane ma dei principi etici ispirati a una certa morigeratezza e a un sano

equilibrio. A proposito le sue parole sono semplici e chiare:

“Noi dobbiamo anche digiunare e astenerci dai vizi e dai peccati, dall’eccesso del

mangiare e bere ed essere ortodossi…”11

.

Nulla di più delle prescrizioni ecclesiastiche condivise dai suoi contemporanei.

Nella Rb (3-6), F. afferma che i frati devono digiunare secondo il calendario

cristiano e il venerdì, e afferma che è lecito mangiare ogni cibo che sia loro

servito, conformemente al Vangelo (Rnb 3,11-13, pp. 12-13). Perciò ’Assisiate

non considera immondi i prodotti di origine animale come i Catari. Nel Cantico

di Frate Sole (riferendosi a Genesi 1, 29-30) fa cenno a un’alimentazione che

escluda la sofferenza sottintendendo che l’entrata nel peccato ha reso gli animali e

l’uomo carnivori ma non si tratta di nulla di più di un riferimento.

Nella Regula Bullata e nella Regula non Bullata, F. arriva a dire, esplicitamente,

che i frati che non vogliano digiunare, oltre le date indicate e il venerdì, non

dovranno esservi costretti12

e ribadisce che in caso di necessità tutti i frati

potranno mangiare tutto ciò che sia loro offerto come Davide che mangiò del cibo

riservato ai soli sacerdoti (Rnb 9, 13).

Per quel che concerne l’abbigliamento e i beni posseduti, F. dice ai suoi frati di

non accettare beni pecuniari, né direttamente né tramite altri, ma prescrive che in

caso di necessità essi accettino cose offerte, come del resto fanno tutti i poveri

(Rnb 2, 5; Rnb, 2, 6-7, pp. 8-9).

11

Ibidem, Epfid 2, 32. 12

Ibidem, Rb, 3-6. D’ora in poi abbreviato in Rb.

6

Quanto al corpo in uno stato di malattia F. è molto chiaro in merito, perche

consente le cure necessarie alla guarigione. Egli arriva a dire che i frati possono

chiedere soldi in elemosina se si tratta di curare degli ammalati, in speciale modo,

i lebbrosi (Rnb 8, 7-10; Rnb 8, 7-10, pp. 20-21).

Se a essere malato è un frate gli altri possono provvedere alla sua guarigione

accudendolo, se si aggrava, possono chiamare un medico di fiducia (Rnb, 10, 1-2).

F. però non consente alcun accanimento terapeutico. Le sue parole a riguardo

sono altrettanto chiare e dirette:

“E se qualcuno si turberà o si adirerà contro Dio o contro gli altri frati, o se chiederà

forse, con insistenza le medicine, troppo preso dal desiderio di liberare dalla malattia una

carne che presto dovrà morire, una carne che è nemica dell’anima, tutto questo gli viene

dal Maligno, egli agisce come un uomo carnale e non pare appartenere ai nostri frati,

perché ama il corpo più dell’anima”13

.

Qui si percepiscono toni adirati nei confronti del corpo, definito una carne che

presto dovrà morire. Eppure simili toni servono solo ad ammonire gli uomini

esortandoli a non amare più il corpo dell’anima, perché la carne è nemica

dell’anima.

Questa tendenza alla svalutazione della corporeità appare per la prima volta nella

nostra analisi e vedremo, da qui in poi, come essa riemergerà talvolta. Comincia,

dunque a essere chiaro che da un lato è possibile rintracciare una valutazione

positiva della corporeità, per quel che concerne la creazione e i bisogni fisici.

Questa tendenza sarà maggioritaria. Dall’altro lato, come nell’ultimo estratto

citato, individuiamo un’eredità culturale che considera l’unico mezzo per

avvicinarsi a Dio il disprezzo del mondo e del corpo umano.

I toni del discorso dell’assisiate tornano a essere pacati allorquando sottolinea che

non solo il corpo va nutrito, vestito e curato in caso di malattia ma che anche

l’atteggiamento con cui presentiamo agli altri uomini il nostro corpo è importante.

Proprio per questo motivo anche la gestualità del corpo, la sua attitudine

involontaria, sono oggetto d’indicazioni da parte di F. Egli dice:

13 Ibidem, Rnb, 10, 1-4, pp. 24-27.

7

“E si guardino bene dal mostrarsi all’esterno tristi e ipocritamente scuri in volto, ma si

mostrino felici nel Signore e allegri e gentili quanto conviene”14

.

Quindi F. prescrive un nuovo modo di essere uomini e donne, non solo

spiritualmente ma anche fisicamente, nel loro essere al mondo e per il mondo.

Rivalutando di conseguenza anche la presenza del corpo.

I francescani, così come F. stesso li aveva pensati, sono uomini e donne attenti ai

bisogni del loro corpo, che accettano il dolore e comunicano gioia, lasciando

trasparire ciò che la loro anima è, ovvero un’anima sempre rivolta a Dio.

Il corpo peccatore e la morte corporale

Se in F. il corpo non ha in sé nulla di ontologicamente negativo, come abbiamo

visto nella sua riflessione sulla creazione e sui bisogni del corpo, affamato o

ammalato che sia, è innegabile che il peccato originale sia all’origine della caduta

del genere umano.

Rispetto al momento della Creazione e della permanenza in Paradiso, una caduta

c’è indubbiamente stata, ed essa è avvenuta proprio attraverso il corpo. Per questo

esso, seppure da un lato è considerato creazione amorosa di Dio, e in quanto tale è

celebrato nella sua perfezione, può essere anche considerato come veicolo della

pratica del peccato. Riconosciamo ancora un’ambivalente concezione del corpo.

Ci sono passaggi concettuali in cui F. considera la carne, e dunque per estensione

il corpo, la fonte unica del male (Adm 10, 1-3 pp. 90-91). Ci sono luoghi in cui

l’assisiate incita a odiare il corpo con i suoi vizi e i suoi peccati (Rnb 22, 5, pp.

42-43) oppure frasi dove la carne e il mondo, proprio come il Diavolo, sono

considerati i nemici dell’uomo (2 Epfid 68, pp. 190-191). In queste riflessioni F. si

allinea alla speculazione filosofia e teologica che l’ha preceduto.

La sua originalità è da ricercare altrove.

14

Ibidem, Rnb, 7, 16, pp. 18-19. Vedi DE BROUWER, L’iconographie franciscaine des origines, 1226-1282, Paris,

Desclée, 1997 e FRUGONI ( C.), Francesco e l’invenzione delle stimmate, Una storia per parole e immagini fino a

Bonaventura e Giotto, Torino, Einaudi, 1993.

8

Parlando del peccato originale, commentando i passi della Genesi, le sue

osservazioni sono davvero appassionanti. Se prima si riferisce in modo generico

alla culpa del genere umano (Adm, 2), in seguito analizza in maniera puntale dove

essa risieda e sviluppa un punto di vista originale sulla questione.

F. parla del peccato originale, la colpa dell’uomo, come un peccato di

disubbidienza. Il peccato originale è un peccato di sfrontatezza nei confronti del

comando divino che ammoniva a non mangiare il frutto dell’albero della

conoscenza del bene. Perché questo punto di vista è interessante?

Innanzitutto perché Egli deresponsabilizza l’uomo dicendo che è il diavolo a

indurre nel peccato d’orgoglio e poi parla di un “albero della conoscenza del bene

e del male” e di un frutto che solo dopo diviene la “mela della scienza del male”.

Ecco il passo in questione:

“Il Signore disse ad Adamo: Di tutti gli alberi tu puoi mangiare, ma dell’albero della

conoscenza del bene e del male non mangiare: Egli poteva mangiare dei frutti di ogni

albero del paradiso, e non peccò finché non andò contro l’obbedienza. Mangia infatti

dall’albero della conoscenza del bene chi si identifica con la propria volontà e si

inorgoglisce del bene che Dio compie in lui con la parola e l’azione; così, per la

suggestione demoniaca e per la disobbedienza a quel comando, nacque la mela della

scienza del male. E’ dunque necessario che l’uomo ne porti la punizione” 15

.

Allora l’uomo non è per natura tendente alla disubbidienza ma è il Diavolo a

indurlo. Ne consegue l’assenza del male morale e l’inconsistenza ontologica del

male come un destino prestabilito dell’umanità.

Non possiamo non porre l'accento su altri due elementi importanti presenti in

questo passo. In primo luogo, come sopra accennavamo, l’albero di cui parla non

è quello “del bene e del male”, come tutta l’esegesi biblica cita, ma il frutto, che

proviene dall’albero della conoscenza del bene, diventa la mela del male quando

l’uomo se ne appropria andando contro il monito divino. Quindi è la cattiva

volontà a generare le condizioni del peccato, il libero arbitrio esiste.

15

Ibidem, Adm, 2, 1-5, pp. 82-83.

9

In secondo luogo è importante sottolineare l’assenza della figura di Eva, neanche

presente come correa. Felice omissione che è un segnale della totale assenza di

toni misogini nell’opera dell’assisiate16

.

Il testo riportato, dunque, accomunando Adamo e tutti i suoi successori nel

peccato della disubbidienza e dell’orgoglio, comportamenti contrari alla volontà

di Dio, parla di un identificarsi nella propria volontà che allontana l’uomo da Dio

e condanna il genere umano tutto. Tornano qui toni piuttosto cupi.

L’assisiate riflette sul fatto che gli uomini, non paghi di inorgoglirsi e sfidare il

comandamento divino, commettono continuamente deicidio (Adm 5, 2-3)

crocifiggendo il Figlio ogni volta che cedono al vizio. E’ come se peccando,

confermassero l’atto oltraggioso della Crocifissione.

Sebbene questi passi rappresentino uno dei momenti più pessimisti della

produzione dell’assisiate, intravediamo comunque uno spiraglio di speranza.

La salvezza rimane difatti accessibile all’uomo a patto che egli riesca a condurre

una vita priva di vizi, su questa terra. E dato che il proposito di condurre una vita

mondata da ogni peccato, passa attraverso il corpo, in quanto mezzo della sua

continua purificazione nell’ascesi, ne deriva una sua ulteriore rivalutazione.

Ancora una volta il corpo torna al centro del discorso di Francesco: anche se da un

lato esso è veicolo del peccato, al contempo è strumento di salvezza. Pur

maledicendo il corpo peccatore, Egli ripete che il male viene dal cuore, in altre

parole dalla volontà. Questo passo è esplicito e importante, qui Egli dice che:

“Dobbiamo odiare il nostro corpo con i suoi vizi e i suoi peccati, perché il Signore, dice

nel Vangelo: Tutti i mali, i vizi, i peccati, escono dal cuore” 17

.

F. recupera qui la contrapposizione istituita da Paolo di Tarso tra la carne e lo

spirito (Adm 10; RnB 17, 9-16) inteso come un io peccatore in quanto

completamente incentrato su di sé e per questo, dimentico di Dio. Eppure c’è

dell’altro. Infatti, quando F. dice che tutti i peccati vengono dal cuore significa

16

Per riflettere sul peccato di disubbidienza interpretato come peccato sessuale vedi LE GOFF (J.), Il corpo nel medioevo,

Laterza, Bari, 2005.

17 Epfid, 2, 37, pp. 179-181.

10

che essi vengono dall’interiorità umana. Ne consegue che non è il corpo in sé a

essere la fonte del male.

Anche rivolgendosi ai suoi frati, già dimentichi del mondo, F. ricorda loro che

tutti i vizi scaturiscono dal ribaltamento diabolico che si opera quando si vive solo

con il corpo senza lo spirito, li invita quindi semplicemente a non “vivere secondo

la carne” (Rnb, 22, 5-8). Pensiamo che, quando F. invita a odiare il corpo, utilizzi

un’iperbole, perché non incita a detestare il corpo in quanto tale. Questo perché se

il male proviene dal cuore dell’uomo è piuttosto un cambiamento spirituale che si

rende necessario e non solo la pratica ascetica, che comunque resta importante.

Anche qui, in filigrana, possiamo intravedere una concezione che considera un

tutt’uno corpo e anima, sia nel bene - quando l’uomo vive nell’amore di Dio - che

nel male – quando vive agendo secondo una volontà corrotta (Epfid 2, 11-12, pp.

190-91).

Certo non mancano i toni crudi riferendosi al corpo e ai suoi vizi: F. paragona,

infatti, l’uomo peccatore a un verme (Epfid, 2, 45). Eppure quando afferma che il

corpo è un nemico interno dell’uomo, giacché veicolo del peccato (Adm, 10, 1-4,

pp. 90-91), è solo per incitare alla continenza.

Solamente in una riflessione abbiamo reperito un discorso radicale sulle colpe del

corpo, all’interno del quale scompare la concezione di anima e corpo come un

tutt’uno. Ovvero quando F. afferma che l’uomo, per sperare nella propria

salvezza, deve sottomettersi completamente a Dio e a tutte le creature18

.

Altrove F. torna a parlare dell’uomo come peccatore volontario,

deresponsabilizzando il corpo, quando ammonisce i fedeli che non praticano

penitenza (Epfid, 63-66, pp. 188-91).

In conclusione, dopo questa serie di citazioni, è ancora più evidente la presenza di

due tendenze nella riflessione dell’assisiate.

Da un lato l’uomo è decaduto a causa della sua volontà peccaminosa perpetrata

nel vivere secondo la carne. Eppure in questi esempi corpus e caro, corpo e carne,

termini sinonimi, sono accostati spesso al termine cor, cuore. Dunque il corpo non

pecca se non grazie alla volontà dell’anima.

18 LEONARDI (C.) (a cura di), La Letteratura Francescana, Volume I : Francesco e Chiara d’Assisi, Milano, Fondazione

Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore, 2004; Salvir Salutatio virtutum, 13-18, pp. 106-7. D’ora in poi abbrevieremo

in Salvir.

11

Da un altro lato il corpo è di per sé tendente al peccato, e quindi le parole di F.

esprimono nei suoi confronti un evidente disprezzo.

L’uomo creato a immagine e somiglianza del Figlio di Dio ha perso il suo posto

eminente nel creato, costretto a lasciare il Paradiso e a vivere nel mondo perché ha

disubbidito al comando divino, ma resta la possibilità della Salvezza. Vedremo in

seguito in quale maniera F. svilupperà questa concezione.

Prima di procedere è necessario accennare al concetto della caducità umana in F.

I toni del discorso tornano a essere negativi quando descrive la sua concezione

della morte corporale.

Qui F. ci fa capire che l’uomo è composto di due sostanze disomogenee, ma non

sostanzialmente dissimili, che alla morte saranno separate. Sia se l’uomo muore

nel peccato mortale sia se accade il contrario. Efficace un exemplum,

probabilmente mutuato da altri predicatori, in cui parlando di un uomo che non si

pente in punto di morte che la sua anima viene rapita dal suo corpo ad opera del

diavolo “con un’angoscia e una tribolazione così grandi che nessuno può

conoscerla se non la prova “ (2 Epfid, 2, 82, pp. 194-95) riprendendo una

immagine presente in Lotario di Segni19

. Secondo F. quando l’anima dell’uomo

morto senza pentirsi è rapita, il corpo è mangiato dai vermi e solo l’anima partirà

per l’Inferno (2 Epfid, 85, pp. 196-197). Se nessuno può sfuggire alla morte

corporale solo le anime morte nel peccato, subiranno però la cosiddetta morte

secunda, cioè la condanna nel giudizio finale.

Quindi nella analisi che della morte F. ci presenta, anima e corpo sono due

elementi alquanto eterogenei, concezioni in contrasto con le riflessioni precedenti.

Incarnazione ed Eucarestia

Come abbiamo visto, un primo momento di rivalutazione della corporeità nel

pensiero di F. è rappresentato dalla riflessione intorno all’uomo in quanto creato

ad immagine e somiglianza del Figlio. In seguito egli è stato collocato nel

Paradiso sebbene da esso, peccando, sarà allontanato. Infine F. riconosce al corpo

alcune necessità considerandole rispettabili (nutrizione, vestizione, cura in caso di

malattia).

19

D'ANTIGA, (R.), a cura di, Lotario di Segni. Il disprezzo del mondo, Carocci, 1994, cit. pp. 146-147.

12

L’ultimo, ma non meno importante, momento di rivalutazione della corporeità è

quello della riflessione intorno all’Incarnazione. Collegato a esso, il momento

liturgico dell’Eucaristia, come riproposizione nel tempo cristianizzato di

quell’evento unico che è la venuta di Cristo.

L’assisiate parla dell’Incarnazione come secondo atto di totale amore, unilaterale

e disinteressato, di Dio, nei confronti dell’uomo, dopo la Creazione. Egli dice a

proposito:

“ ...così per mezzo del tuo santo amore con il quale ci hai amato, hai fatto nascere lui,

vero Dio e vero uomo, dalla gloriosa sempre vergine santissima Maria”20

.

Se il corpo dell’uomo, infatti, è creato a immagine e somiglianza del corpo di

Cristo, unico Figlio di Dio, anche quando Egli viene sulla terra, assume forma

umana. Come già osservato, in una citazione precedente, si dice che “nel suo utero

(di Maria) egli ricevette la vera carne della nostra fragile umanità” (2 Epfid, 4, pp.

168-9).

Quindi il Figlio di Dio, corpo divino, preesistente nella mente di Dio, dove il

mondo è tutto già in potenza, si è fatto corpo umano, assumendo su di sé la natura

umana e la sua congenita fragilità. Quindi il corpo umano è il mezzo attraverso

cui il Figlio di Dio deve necessariamente manifestarsi nel mondo. Il corpo è

strumento per esperire Dio.

Essenziale quindi riproposizione dell’Incarnazione è l’Eucarestia, che F. chiama

sempre il corpo e il sangue di Cristo. Un passo chiarisce magnificamente la

centralità in quanto rituale e continuo abbassamento del Figlio di Dio in funzione

salvifica del genere umano:

“Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dal suo trono regale venne nell’utero della

Vergine; ogni giorno proprio lui viene da noi e ci appare nella sua umiltà; ogni giorno

scende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi Apostoli

si è mostrato in vera carne, così anche ora egli si mostra a noi nel pane consacrato. E

come essi con i loro occhi di carne vedevano soltanto la sua carne, ma credevano

contemplando con gli occhi dello spirito che egli era lo stesso Iddio, così anche noi

20

Rnb, 23, 5, pp. 50-51.

13

vedendo con gli occhi del corpo il pane e il vino, vediamo e finalmente crediamo che il

suo santissimo corpo e il suo santissimo sangue siano vivi e veri!” 21

.

Il corpo è fondamentale nell’Eucaristia, atto che quotidianamente ripropone la

esperienza inedita della presenza del Figlio nella storia. E proprio con i loro corpi

gli apostoli videro e toccarono Cristo, e quindi il corpo fu essenziale per fare

esperienza di Dio, alla presenza del Figlio.

E solo attraverso il totale abbandono delle tendenze egoistiche che ci attraversano

(chenosi) e accettando tutte le sofferenze del corpo passiamo sperare nella

redenzione che noi dobbiamo realizzare nel nostro percorso di vita.

Dunque, ancora una volta, il corpo è veicolo di peccato ma anche viacolo di

salvezza (Rnb 16,10 e 2 Epfid, 40) .

Il cantico di Frate Sole

Senza addentrarci nella cospicua letteratura intorno a questa opera, partiamo dal

presupposto della sua autenticità per analizzare in esso i dati concernenti la

concezione del corpo partendo dal testo stesso:

Altissimu, onnipotente, bon Signore,

tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,

et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,

spetialmente messor lo frate sole,

lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:

in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

21

Adm, 1, 16-21, pp. 82-83.

14

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento

et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,

per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,

la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,

per lo quale ennallumini la nocte:

ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,

la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore

et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,

ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,

da la quale nullu homo vivente pò skappare:

guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,

ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate

e serviateli cum grande humilitate.

La critica si è attardata sul valore da attribuire al “per” - dibattendo sul suo valore

causale, strumentale o agente - in quanto da queste differenti interpretazioni

dipende l’identificazione di colui il quale loda e il grado di partecipazione delle

creature alla lode stessa22

.

22

La fonte biblica di questo testo è il Cantico di Daniele ( Dan. 3. 51-90) dove le creature lodano Dio: ciò pone in secondo

piano l’interpretazione del “per” con significato causale. Anche il raffronto con la testimonianza di Tommaso da Celano

che parla di un Cantico scritto da F. per invitare tutte le creature a lodare Dio contribuisce a pensare che il “per” causale

non sia la interpretazione più corretta (2 Cel, 217, p.504). Anche se il “per” causale spiega meglio gli attributi alle creature

elemento che rende il Cantico di Frate Sole diverso del Cantico di Daniele. Il “per” agente potrebbe farci tendere per

un’interpretazione di un F. che invita le creature a lodare Dio (2Epfid, 61, pp. 188-89) avvalorato dal passo di Celano. Se il

“per” ha valore strumentale, sono le creature strumento stesso della lode che Dio fa alla sua opera creatr ice.

15

Di là dalle differenti interpretazioni quelle che a noi interessa è certamente la

gioiosa celebrazione del creato e dell’uomo inserito in esso, la straordinaria

comunione tra uomini, paesaggi e animali.

Per tramite di questa lode F. assume la sua condizione di creatura tra le creature,

accetta di essere corpo e spirito e il fatto di essere peccatore (II, V, 4 del Cantico).

Ci sono alcune precisazioni da fare sugli uomini di cui parla F. nel Cantico.

In primis solamente l’uomo che perdona in nome di Dio, e che sopporta le

infermità del corpo ottiene il Paradiso, quindi ne consegue che non tutta l’umanità

è salva automaticamente. La morte, chiamata sora e nostra è esorcizzata e apre la

porta alla salvezza o alla dannazione dell’anima, tornando a una concezione

dell’uomo come insieme di anima e corpo coerente con la maggior parte delle

affermazioni di F. (Cfr. Rnb, 21, 8, pp. 42-43). Prevale comunque nel Cantico

l’autentico messaggio cristiano della Genesi, dove il creato e l’uomo sono

concepiti come ontologicamente buoni.

La concezione antropologica di F., sebbene offuscata da alcuni passi che abbiamo

citati, è fondamentalmente positiva perché il percorso dell’uomo è dal Paradiso al

mondo, ma in nuce esiste la possibilità di ritornare al Paradiso, giacché l’umanità

è creata a immagine e somiglianza del Figlio.

L’uomo sebbene porti in sé il marchio del peccato di disobbedienza, vivendo

un’imitatio Christi può accedere alla Redenzione. Questo percorso è quello di un

uomo che è un insieme di anima e corpo e anche se la prima è gerarchicamente

superiore, il secondo, come può essere strumento di peccato sarà, secondo una

volontà buona, viacolo di salvezza.

Tommaso da Celano e Bonaventura da Bagnoregio.

Nel 1228 due anni dopo la morte di F., Gregorio IX e le autorità dell’Ordine

Francescano, ordine istituito da papa Onorio III con la bolla Solet annuere il 29

novembre 1223, incaricarono Tommaso da Celano di scrivere la Vita Prima

Sancti Francisci, terminata nel 1230. Di Tommaso saranno prese in esame la Vita

Prima e la Vita Secunda. In seguito alcune osservazioni avranno per oggetto

16

l’opera di Bonaventura da Bagnoregio, la Legenda Maior e la Legenda Minor

scritte nei primi anni sessanta del XIII secolo23

.

Non è questa la sede per tracciare la storia dei due testi e le ragioni storiche della

preminenza dell’opera di Bonaventura a scapito dell’opera di Tommaso.

Utilizzeremo i due autori per riflettere sulla rielaborazione della concezione della

corporeità nel pensiero dell’assisiate. In questa sede, infatti, ci interessa

rintracciare le tracce della concezione della corporeità nei due autori che per

primi, diversamente, rielaborano il messaggio francescano.

Prima di procedere è necessario premettere che entrambi, Tommaso e

Bonaventura, come F., utilizzano i termini corpus e caro in quanto sinonimi.

Vedremo che sia Celano sia Bonaventura restituiscono un’immagine più ascetica

di F., il secondo biografo poi aggiunge una sfumatura misogina inedita nel ritratto

dell’assisiate. Passiamo all’analisi vera e propria dei testi.

In Tommaso da Celano nella Vita Prima il corpo è strumento del peccato di una

volontà cattiva, egli spiega questo parlando dell’educazione dei figli che trovano

dei modelli negativi nei loro genitori e come loro peccano imitandoli (1Cel, pp.

34-35). Poi riportando le parole di F. dice che lui suggeriva di tenere sotto

controllo il corpo (1Cel., 12, 29 pp. 74-75) e che esso va mortificato in quanto è la

sede della lotta tra l’uomo e il Diavolo. Questo è ben chiaro nel racconto delle

lotte fisiche con il Maligno che lasciano il corpo di F. in uno stato di prostrazione

indicibile (2Cel, LXXXIV, 119, p. 552 ). Tommaso dice parlando dell’assisiate

che Egli:

“ …si confeziona da allora una tunica in forma di croce, per allontanare con essa tutti i

pensieri diabolici; la fa ruvidissima, per crocefiggervi la carne con i vizi e i peccati…” 24

.

Tommaso ci parla di un F. che con i suoi compagni si spinge oltre nelle pratiche

ascetiche di mortificazione della carne: ferendosi con rovi per sanguinare,

immergendosi in bagni gelati per temprare il corpo. Ci racconta che lui stesso era

23 LEONARDI (C.) (a cura di), La Letteratura Francescana, Volume II : Le vite antiche di san Francesco, Milano,

Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore, 2005; LEONARDI (C.) (a cura di), SOLVI (D.) (commento), La

Letteratura Francescana, Volume III : Bonaventura: la perfezione cristiana, Milano, Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo

Mondadori Editore, 2012. Utilizzeremo le abbreviazioni 1Cel, 2Cel; Legm, LegM.

24 1 Cel, 9, pp. 64-65.

17

vigile affinché nei suoi compagni non ci fosse alcuna esitazione nelle pratiche del

contemptus corporis (1 Cel, 15, 40-41, pp. 94-95; 1 Cel, 16, 42, pp. 98-99).

Parla della sua privazione volontaria del sonno: dormendo su una tunica e

utilizzando come cuscino un pezzo di legno o una pietra (1 Cel, 19, 52, pp. 112-

3). Tommaso narra di un episodio rappresentativo dell’attitudine dell’assisiate:

avendo mangiato dopo una malattia della carne di pollo chiede ad un frate che lo

leghi e lo porti in giro come un malfattore per emendare il suo peccato e liberarsi

dal senso di colpa (1 Cel 19, 53, pp. 112-113). Celano poi ci dice che F.

disprezzava il suo corpo:

“Era diventato per sé come un vaso infranto, non gravato da timori o preoccupazioni per

il suo corpo, e lo esponeva intrepido a ogni oltraggio perché per amore del corpo non

fosse indotto a qualche desiderio terreno. Da vero spregiatore di sé, con la parola e con

l’esempio dava a tutti il salutare ammonimento a disprezzare sé stessi”25

.

I toni di Tommaso sono più radicali di quelli presenti negli scritti dell’assisiate

stesso. Coerentemente con un ritratto di F. disprezzatore del corpo Egli deve

insistere sulla mortificazione dei sensi. Quali se non per primi la vista e l’udito?

A questo fine Celano narra del passaggio di Ottone II che si reca a Roma per

essere incoronato seguito da un corteo sfarzoso che il santo, chiuso nel suo rifugio

con i suoi compagni ignora completamente per evitare che attraverso “i sensi

esteriori (…) la morte entra nell’anima “ (1 Cel, 16, 43, pp. 98-99).

Anche nella Legenda Maior e nella Legenda Minor, ci sono cenni alla concezione

della corporeità in Francesco d’Assisi. Qui i toni sono ulteriormente radicalizzati.

In Bonaventura ricorre spesso il tema della nudità, sia nell’episodio della

conversione davanti al Vescovo e sia nel momento della morte, in quanto simbolo

del rifiuto del mondo. Ecco un passo rilevante nel momento in cui si reca,

consapevole della morte imminente, a Santa Maria della Porziuncola, qui

Bonaventura dice che:

“…egli non aveva nulla in comune con il mondo, durante quella malattia così grave che

pose fine a tutto il suo penare, si prostrò in fervore di spirito, tutto nudo sulla nuda terra:

25

1Cel, 19, 53, pp. 112-15.

18

così, in quell'ora estrema nella quale il nemico poteva ancora scatenare la sua ira, avrebbe

potuto lottare nudo con lui nudo…”

La nudità del corpo rende F. simile al Cristo, Egli votato all’amore di Madonna

Povertà, decide di rimanere nudo sulla croce proprio come il Figlio di Dio:

“… Volle, di certo, essere conforme in tutto a Cristo crocifisso, che, povero e dolente e

nudo rimase appeso sulla croce. Per questo motivo, all'inizio della sua conversione,

rimase nudo davanti al vescovo; per questo motivo, alla fine della vita, volle uscire nudo

dal mondo e ai frati che gli stavano intorno ingiunse per obbedienza e carità che, dopo

morto, lo lasciassero nudo là sulla terra per il tratto di tempo necessario a percorrere

comodamente un miglio…” 26

.

Nella Legm Bonaventura restituisce un ritratto dell’assisiate intransigente dicendo

che sebbene fosse stato un giovane alquanto scapestrato “non seguì gli istinti

sfrenati della carne” (Legm, 1,1 pp. 965-66). Lo stesso biografo ci racconta che

quando F. si trova a ricevere la richiesta di benedizione di un canonico peccatore

Egli gli impartisce la stessa ricordandogli che il peccato della carne, se reiterato,

merita, in quanto peccato di ingratitudine, la peggiore delle pene. Gedeone,

protagonista dell’episodio, tornerà al peccato della carne e sarà punito infatti con

la morte a seguito del crollo di una casa (LegM, 11, 5 pp. 872-73).

Bonaventura come Tommaso parla nella Legm delle punizioni corporali che F. si

auto infliggeva per preservarne la purezza e la castità e anch’egli cita l’abitudine

di immergersi in acqua gelida durante l’inverno (Legm 3, 2 pp. 980-81).

Bonaventura parla del corpo come un nemico ben conosciuto dal quale dobbiamo

difenderci continuamente. Nella LegM considera l’ozio, il maggiore dei pericoli

che induce a peccare e dice che F. chiamava il suo stesso corpo “frate asino”.

Ecco il passo:

“Quanto all’ozio, sentina di tutti i pensieri malvagi, insegnava che lo si deve fuggire con

somma cura e, mediante il suo esempio, mostrava che la carne ribelle e pigra si doma con

discipline continue e fruttuose fatiche. In questo senso chiamava il suo corpo “frate

26

Legenda maior, XIV 3-6.

19

asino”, indicando che va sottoposto a compiti faticosi, va percosso con frequenti battiture

e sostentato con foraggio di poco prezzo” 27

.

Bonaventura come Tommaso parla delle privazioni di F. citando alcune sue

pratiche: l’abitudine di indossare abiti ruvidi e semplici; il bere a stento dell’acqua

sebbene assetato; la totale interdizione del vino; la pratica di mescolare cenere ai

cibi, per lo più non cotti; il mangiare in quantità sufficienti a sostentarsi senza

morire d’inedia e infine l’abitudine di dormire per terra coprendosi con un vestito

come coperta (Legm, 3,1, pp. 979-80).

Bonaventura racconta che F. incitava i suoi frati a praticare le stesse forme di

mortificazione del corpo (LegM, 3,7) e riprende il tema dei sensi come mezzo

attraverso cui il peccato entra nell’anima, riflessione già incontrata in Celano

(LegM, 5,5, p. 817). Nondimeno il secondo biografo insiste sulla vista come senso

principe del peccato e lo collega al problema della vista del corpo femminile.

Nella LegM ci dice che F. evitava la compagnia delle donne consapevole del loro

potenziale demoniaco:

“Comandava di evitare molto accuratamente la familiarità, i colloqui e la vista delle

donne, perché per molti sono occasioni di rovina. Sono queste le cose - asseriva- che

molte volte spezzano gli spiriti deboli e indeboliscono i forti. Riuscire ad evitare il

contagio delle donne, per uno che si intrattiene con loro, è tanto difficile quanto

camminare nel fuoco e non bruciarsi i piedi, come dice la Scrittura. A meno che si tratti di

un individuo sperimentatissimo. Quanto a lui, aveva distolto gli occhi per non vedere

simili vanità, con tanto impegno che, come disse una volta al suo compagno, non

conosceva di faccia quasi nessuna donna. Riteneva rischioso lasciare che la fantasia

assorba la loro immagine e la loro fisionomia, perche questo può ridestare il focherello

della carne, anche se ormai domata, o macchiare il nitore della pudicizia interiore” 28

.

Dunque la mortificazione del corpo deve essere accompagnata da quella dello

spirito (LegM, 5, 3 p. 815). Un solo episodio narrato da Bonaventura contribuisce

a mitigare il rigido ritratto che Egli restituisce dell’assisiate. L’episodio in

questione narra di un frate provato dai troppi digiuni che non riesce a dormire e F.

lo invita a mangiare del pane, mangiandone per primo in sua presenza per non

27

Ibidem, 5, 6 pp. 817-18. 28

Legenda Maior 5,5, p. 187.

20

provocare il suo imbarazzo. In questo episodio, F. ammonisce i compagni dicendo

che la carità è più importante delle pratiche ascetiche (LegM, 5, 7 p. 818-9).

Quest’ultima vicenda, sebbene Bonaventura disegni in generale un F. più ascetico

di Celano e dello stesso racconto di sé che F. ci ha lasciato, è in linea con

l’equilibrato lascito etico dell’assisiate.

Per concludere questo breve excursus nei testi di Tommaso da Celano e

Bonaventura da Bagnoregio, è importante dire che entrambi usano una metafora

interessante riguardante il corpo. Quest’ultimo è paragonato a una parete che

impedisce di vedere Dio, carnis paries. In questo modo, i due biografi,

radicalizzano la gerarchia che F. riconosceva tra corpo e anima.

Celano ne parla in molti punti. Sia dopo aver raccontato l’episodio della rinuncia

ai beni davanti al vescovo dicendo che F. deponendo ogni umana cura aveva tra sé

e Dio solo il muro della carne (1Cel 6, 15, pp. 54-55); sia quando riguardo alle

infermità di F. dice che abbandonata la comunità umana e ritiratosi in luoghi

remotissimi solo lo schermo della carne lo teneva lontano da Dio (1Cel,6, 103,

pp. 102-4). Altrove Celano dice che F. oramai vicino agli angeli quanto a ricerca

della santità è separato da loro solo dalla parete della carne (2Cel, 61, 94, pp.

529-30); e in un altro luogo, sotto un’evidente influenza paolina (Efesini 2,14)

(Cel 1, 27) dice che:

“ Più di ogni altra cosa desiderava andarsene dal corpo per essere con Cristo “ 29

.

Il corpo come impedimento dell’anima torna in altri passi: quando parla di

un’anima sciolta e liberata dalla carne (1Cel 7, 106, pp. 198-99; 1Cel 8, 110, pp.

206-7; 2Cel, CLXIV, 218 p. 634); quando cita l’antica concezione del corpo come

prigione dell’anima (1Cel I, 88, pag. 168-69) e carcere terreno (2Cel, 1, 4, p. 446).

Infine quando afferma che il peggior nemico dell’uomo è la sua carne che si

arroga anche il godimento dei meriti che spetterebbero all’anima (2Cel, XCVII,

134, p. 564) .

Anche Bonaventura nelle Legendae ricorre all’immagine del corpo come

impedimento per raggiungere Dio, ma dice che in vita attraverso la preghiera, il

Santo riuscì a superare questo impedimento e a fare totale astrazione dal proprio

corpo (LegM, X, I, p. 862). Quindi gli attribuisce anche le parole di San Paolo (2

29

Vita prima, Celano, 27, 71 pp. 140-41.

21

Corinzi, 5) quando dice che la morte gli permette di liberarsi dal corpo: qui si

parla di parete della carne e di un’anima finalmente sciolta dalla carne ( Legm,

VII, 5, pp. 1009-10).

Nella visione del serafino raccontata da Bonaventura, Egli dice che F., rimirando

il serafino, ha superato lo schermo della carne e “stava per essere trasformato

tutto nel ritratto visibile di Cristo crocefisso, non mediante il martirio della carne,

ma mediante l’incendio dello spirito” (LegM, 13, 3, pp. 891-92).

Breve riflessione conclusiva:

Proprio quest’ultima metafora analizzata, riguardante il corpo come schermo che

divide l’uomo da Dio, è il tratto essenziale che marca la distanza tra gli scritti

autentici di F. e la rielaborazione successiva del suo messaggio operata da

Tommaso prima, e da Bonaventura poi.

Non arriveremo a dire che i due biografi abbiano “tradito” il suo punto di vista ma

effettivamente sembra chiaro che i toni sono radicalizzati e che si torna a una

concezione del corpo umano come gabbia dell’anima di chiara ascendenza

platonica.

Questo tema ha avuto grande fortuna nella storia culturale dell’Occidente

cristiano, passando nella riflessione agostiniana che trasmette a tutta la

speculazione posteriore, eccettuati i casi di Tertulliano, Bernardo di Chiaravalle e

poi Tommaso d’Aquino, i quali attenuano, nel loro sistema di pensiero, tale

visione del tutto negativa della corporeità.

Riteniamo che l’originalità dell’assisiate, a proposito del tema della corporeità,

risieda nella sua fedeltà al messaggio evangelico.

Pur rielaborando alcuni temi del contemptus mundi et corporis e nonostante la

convinzione di una gerarchia esistente tra anima e corpo, pur conoscendo gli

inganni del desiderio carnale, Egli non giunge mai a demonizzare il corpo in sé.

Il corpo umano non è mai considerato ipso facto peccatore ma può divenire

strumento del peccato. Egli non vitupera il corpo e di conseguenza l’uomo ma

anzi lucidamente individua nella cattiva volontà o nel Maligno la tentazione

dell’umanità.

22

F. è portavoce di un messaggio equilibrato, e sprona alla virtù dello spirito e del

corpo, esalta la bellezza del creato e delle creature, perché l’umanità è fatta a

immagine e somiglianza del Figlio. Amando il mondo si amano le sue creature, si

prova, di conseguenza, affetto per tutti i propri simili.

Con questa teorizzazione l’assisiate dimostra la lungimiranza culturale e la

modernità che hanno contribuito a farne uno dei personaggi più importanti della

cristianità occidentale.

23

Bibliografia:

Admonitiones

Epistola ad fideles (recensio prior)

Epistola ad fideles (recensio posterior)

Officium Passionis Domini

Regula Bullata

Regula non bullata

Salvir Salutatio virtutum

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