Hercules tristis insaniae poenitentia. Su un disegno all’antica di Bernardino da Parenzo, in:...

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321 HERCULES TRISTIS INSANIAE POENITENTIA. SU UN DISEGNO ALL’ANTICA DI BERNARDINO DA PARENZO La giornata di studio Rinascimento padovano e dintorni 1 , organizzata dall’Università di Udine per commemorare Raimondo Callegari, giovane studioso friulano prematuramente scomparso nel 1997, ha fornito l’occa- sione per riconsiderare un celebre e problematico disegno di ambiente man- tegnesco conservato alla Christ Church Library di Oxford (Inv. 0267). Un tempo di attribuzione controversa, oggi quasi unanimemente ri- ferito a Bernardino da Parenzo, il foglio ossoniense è esemplare documento della parossistica passione per l’antico che caratterizza la cultura figurativa settentrionale sul finire del XV secolo. In uno stile di metallica asciuttez- za, fra citazioni classiche ed enigmatici riferimenti archeologici, l’artista dàlmata ha composto una scena risultata finora indecifrabile 2 . Si somma 6 Le idee e le opinioni espresse in questo saggio sono di entrambi gli autori e riflettono le loro discussioni. La redazione del testo è di Ludovico Rebaudo. 1 Rinascimento padovano e dintorni. Seminario di studi nel ricordo di Raimondo Callegari (Udine, Università degli studi, Sala Florio, 11 giugno 2004), a cura di A. De Marchi. I lavori di R.C. sono in ID., Scritti sull’arte padovana del Rinascimento, Udine, Forum 2004. Il presente studio è una versione ampliata e annotata della relazione letta al convegno. 2 Riuniamo qui per comodità la bibliografia principale. Editio princeps: S. COLVIN, Selected Drawings from the Old Masters in the University Galleries and in the Library of Christ Church, II, Oxford, Clarendon Press 1907, 30. Altre schede catalografiche: C.F. BELL, Drawings by the Old Masters in the Library of Christ Church, Oxford: an alphabetical List of the Artists represented in the Collection, Oxford, Clarendon Press 1914, 64; J. BYAM SHAW, Drawings by Old Masters at Christ Church, Oxford, I, Oxford, Clarendon Press 1976, 186 sg., n. 697, con esaustiva bibl. Per l’impostazione del problema esege- tico: C. HÜLSEN, Le illustrazioni della Hypnerotomachia Polifili e le antichità di Roma, «La Bibliofilia», XII, 1910, 161-176, 175; E. PANOFSKY, Hercules am Scheidewege und andere antike Bildstoffe in der neueren Kunst, Leipzig-Berlin, Teubner 1930, 126, nota 2; E. TIETZE CONRAT, Notes on ‘Hercules at the Crossroads’, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XIV, 1951, 305-309; Bologna e l’Umanesimo 1490-1510. Catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale, 6 marzo-24 aprile 1988), a cura di M. Faietti, K. Oberhuber, Bologna, Nuova Alfa 1988, 202-204, n. 55 (K. OBERHUBER); A. DE NICOLÒ SALMAZO, Bernardino da Parenzo. Un pittore antiquario

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Hercules tristis insaniae poenitentia.Su un diSegno all’antica

di Bernardino da Parenzo

la giornata di studio rinascimento padovano e dintorni1, organizzata dall’universi tà di udine per commemorare raimondo callegari, giovane studioso friulano prematuramente scomparso nel 1997, ha fornito l’occa-sione per riconsiderare un celebre e problematico disegno di ambiente man-tegnesco conservato alla christ church library di oxford (inv. 0267).

un tempo di attribuzione controversa, oggi quasi unanimemente ri-ferito a Bernardino da Parenzo, il foglio ossoniense è esemplare documento della parossistica passione per l’antico che caratterizza la cultura figurativa settentrionale sul finire del XV secolo. in uno stile di metallica asciuttez-za, fra citazioni classiche ed enigmatici riferimenti archeologici, l’artista dàlmata ha composto una scena risultata finora indecifrabile2. Si somma

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le idee e le opinioni espresse in questo saggio sono di entrambi gli autori e riflettono le loro discussioni. la redazione del testo è di ludovico rebaudo.

1 rinascimento padovano e dintorni. Seminario di studi nel ricordo di raimondo callegari (udine, università degli studi, Sala Florio, 11 giugno 2004), a cura di a. de Marchi. i lavori di r.c. sono in Id., scritti sull’arte padovana del rinascimento, udine, Forum 2004. il presente studio è una versione ampliata e annotata della relazione letta al convegno.

2 riuniamo qui per comodità la bibliografia principale. editio princeps: S. ColvIn, selected Drawings from the old Masters in the university Galleries and in the library of christ church, ii, oxford, clarendon Press 1907, 30. altre schede catalografiche: c.F. Bell, Drawings by the old Masters in the library of christ church, oxford: an alphabetical list of the artists represented in the collection, oxford, clarendon Press 1914, 64; J. Byam Shaw, Drawings by old Masters at christ church, oxford, i, oxford, clarendon Press 1976, 186 sg., n. 697, con esaustiva bibl. Per l’impostazione del problema esege-tico: c. hülSen, le illustrazioni della Hypnerotomachia polifili e le antichità di roma, «la Bibliofilia», Xii, 1910, 161-176, 175; e. PanofSky, Hercules am scheidewege und andere antike Bildstoffe in der neueren Kunst, leipzig-Berlin, teubner 1930, 126, nota 2; e. TIeTze ConraT, notes on ‘Hercules at the crossroads’, «Journal of the Warburg and courtauld institutes», XiV, 1951, 305-309; Bologna e l’umanesimo 1490-1510. catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca nazionale, 6 marzo-24 aprile 1988), a cura di M. Faietti, K. oberhuber, Bologna, nuova alfa 1988, 202-204, n. 55 (K. oBerhuBer); a. de nIColò Salmazo, Bernardino da parenzo. un pittore antiquario

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alle difficoltà esegetiche una vicenda, ancora in parte da ricostruire, che sembra aver precocemente introdotto il foglio nel mondo della produzione tipografica, facendolo circolare fra librai e antiquarî almeno fino agli anni Settanta del cinquecento. ci siamo dunque proposti di tentare insieme la decifrazione del soggetto e l’esplorazione degli strani ‘giri’ collezionistici che hanno visto protagonista il disegno per quasi un secolo fra Venezia e roma. Poiché la questione è intricata, in un primo momento ci limiteremo alla pura e semplice descrizione; la discussione delle interpretazioni passate e la nostra proposta verranno dopo. lasciamo invece di proposito fuori dal discorso la questione attributiva: non sussistono a nostro parere serie ragioni né per dubitare dell’assegna zione a Bernardino, né per mettere in discussione la datazione corrente, che colloca il disegno poco prima del 1494, probabilmente intorno al 14903.

1. Descrizione

il disegno è eseguito a penna con cura minuziosa su un foglio di pergamena di 261×205 mm, cosa che ha fatto supporre che si tratti di un’opera finita, destinata alla vendita o alla riproduzione grafica4. al cen-

di fine Quattrocento, Padova, antenore, 1989, 49-53; ead., padova, in la pittura nel Veneto, ii, il Quattrocento, a cura di M. lucco, Milano, electa, 1990, 481-540, 532; c. furlan, rec. a de nIColò Salmazo, Bernardino da parenzo &c., «archivio Veneto», XlV, 1993, 70-74, 73; V. farInella, Disegni all’antica fra padova e Mantova. un riesame del «codice del Mantegna» di Berlino (con alcune osservazioni sulla cultura antiquaria di Bernardino da parenzo), in Francesco squarcione «pictorum gymnasiarcha singularis». atti delle giornate di studio (Padova, 10-11 febbraio 1998), a cura di a. de nicolo Salmazo, Padova, il poligrafo [1999], 245-272.

3 Per i primi, generici tentativi di attribuzione (cerchia mantegnesca, Falconetto, lucantonio degli uberti): Byam Shaw, Drawings cit., 186, con bibl. il riferimento a Bernardino, con richiamo a due note Fantasie antiquarie della christ church library (ivi, 286 sg., n. 696) e del British Museum (padua in the 1450s. Marco Zoppo and his contemporaries, london, the trustees of the Br. Mus. 1998, 77 sg., n. 24 [H. ChaPman]), è ancora in Byam Shaw, Drawings cit., 187, seguito da oBerhuBer, in Bologna e l’umanesimo cit.; de nIColò Salmazo, Bernardino cit., 52; ead., padova cit., 532; furlan, loc. cit., 73. di altro avviso farInella, Disegni cit., 250-259, che attribuisce il disegno a giovanni antonio da Brescia, al quale avvicina anche il co-dice ‘del Mantegna’ della Kunstbibliothek di Berlino (l. leonCInI, il codice detto del Mantegna. codice Destailleur oZ 111 della Kunstbibliothek di Berlino, roma, l’erma di Bretschneider 1993).

4 de nIColò Salmazo, Bernardino cit., 50; furlan, loc. cit., 73; farInella, Disegni cit., 245.

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tro della scena un giovane uomo dalla corporatura atletica e dalla folta capigliatura ricciuta siede su una balaustra marmorea. la posa scomposta, il gesto della mano destra, l’espressione angosciata lo mostrano in preda ad un incontenibile dolore. ai suoi piedi giacciono due fanciulli supini, chiaramente morti. una donna in vesti all’antica china sui piccoli corpi intinge un ramoscello, forse d’olivo, in un anforotto cesellato, il cui collo è ornato da protomi satiresche. a fianco dei fanciulli numerose fiaccole ardono in due crateri.

ai lati dell’uomo siedono due figure femminili. la donna a sinistra, nuda a parte un drappo intorno ai fianchi, probabilmente anziana, ha i capelli scarmigliati e due serpentelli intrecciati sulla nuca; fra le mani tiene una cordicella che, provenendo da un punto indefinito alle sue spalle, passa attraverso una specie di squadra lignea e termina in una maschera teatrale che funge da contrappeso. Sullo sfondo, in asse con la maschera, è un’ara funeraria sormontata da un coronamento a cuspide con delfini, culminante in un vaso nel quale arde una vivida fiamma. Sul coronamento si leggono le lettere «S.a.»; nella parte inferiore del campo epigrafico «M.a.». dietro l’ara, su un alto basamen to modanato, s’innalza un’erma tricipite con due protomi maschili imberbi e una barbata. all’estremità sinistra, dietro la donna, pendono da un albero d’alloro una pelle di leone e un flauto di Pan. Sotto l’albero, in primo piano, malamente raccordata alla balaustra, un’ara con un coronamento simile ad una tabella ansata ospita l’epitaffio della liberta Maccaria Myrtis (cil, Vi, 21757), la cui ara funeraria, ora dispersa, era nel XV secolo reimpiegata come acquasantiera nella chiesa dei Santi Quattro coronati a roma. il testo dell’iscrizione, trascritto con errori e senza rispettare la divisione delle linee, è tramandato da altri testimoni, il più antico dei quali è il codice Marucelliano di Battista Brunelleschi, che fu a roma fra il 1511 e il 15135.

5 Firenze, Bibl. Marucelliana, ms. a 78.1, c. 64v. Sulla passione epigrafica del Parenzano: M.P. BIllanovICh, una miniera di epigrafi e di antichità. il chiostro maggiore di santa Giustina a padova, «italia medioevale e umanistica», Xii, 1969, 197-292; ead., Bernardino da parenzo pittore e Bernardino (lorenzo) da parenzo eremita, ibid., XXiV, 1981, 384-404. Per le vicende dell’iscrizione: cil, Vi/8, 3527. alcune notizie su Battista di Pietro zanobi Brunelleschi: ibid., Vi/1, XlV; i. della GIovamPaola, alcuni disegni di pavimenti in un manoscritto poco noto della prima metà del XVi secolo, in atti del Vii colloquio dell’associazione italiana per lo Studio e la conservazione del Mosaico (Pompei, 22-25 marzo 2000), a cura di a. Paribeni, ravenna, ed. del girasole 2001, 473-488. un’edizione del principale codice epigrafico brunelleschiano, il Berolinensis (Berlin, Staatsbibliothek, Ms lat. fol. 61: epithaphia antiquissima reperta sunt in alma urbe et in multis aliis partibus orbis per me Dominum Baptista petri Zenobii De Brunelleschis de Florentiae die decimoquarta septembris 1511), è in preparazione a cura di Mika Kajava e Heikke Solin. le estreme del soggiorno di B. a roma, 1511-

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la seconda figura femminile, a destra, indossa una lunga tunica, ha il capo velato, siede con la gamba destra piegata e osserva tristemente la scena che si svolge ai suoi piedi. Fra le braccia raccolte in grembo ha un ramo d’alloro al quale si avvolge un serpente. lo schema di questa figura, che vorrebbe esser antica, è chiaramente condizionato dalle contempora-nee Madonne con Bambino sedute, come, ad esempio, la Madonna della celebre incisione mantegnesca degli anni ottanta6.

lungo il margine inferiore del foglio una didascalia in caratteri epi-grafici dichiara la provenienza della scena: «de stucho soto terra entro una volta delpalaco de antoniano aroma». «Palazzo di antoniano» è uno degli appellativi volgari delle terme di caracalla (thermae antoninianae) alla fine del XV secolo7. Bernardino vuol far credere che il disegno riproduca un bassorilievo della volta di un ambiente sotterraneo delle grandi terme imperiali. ovviamente si tratta di un falso: i personaggi, per quanto ispirati a modelli classici, contengono un’infinità di particolari anacronistici e la composizione stessa è estranea alla cultura figurativa antica. il disegno non è la copia di un rilievo di età imperiale ma l’ingenua contraffazione di un artista che, operando lontano da roma e secondo una sua immagine mentale dell’anti chi tà, ha prodotto una fantasia a mezzo fra lo scrupolo umanistico delle ricostruzioni mantegnesche e l’at mo sfera allegorizzante delle scene ‘alla francese’. il tentativo di accreditare l’invenzione attribuen-dola ad un famoso monumento è del più grande interesse. delinea infatti chiaramente la cifra culturale di un ambiente nel quale il mondo classico e le sue vestigia sono ammirate e ricercate con passione, forse anche comprate e vendute ad alto prezzo, così che per un’opera figurativa l’origine antica, anche se largamente presunta, vale quale sigillo di eccellenza e concreta garanzia di valore sul mercato.

1513, si ricavano da un ms. perduto, già archivio di S. Paolo dei teatini a napoli, sul quale risultavano in frontespizio la data del 15 settembre 1511, come nel Berolinense, e in fine quella del 22 marzo 1513. non è esclusa una precedente visita del B. a roma nel 1509, poiché tale data compare in alcune adnotationes del Marucelliano (cil, Vi, 369, 1231, 1238).

6 andrea Mantegna, a cura di J. Martineau (london, royal acad. of art, 17 gen-naio-5 aprile 1992, new York, Metr. Mus of art, 5 maggio-12 luglio 1992), Milano, electa-elemond 1992, 218 sg., n. 48; a. de nIColò Salmazo, Mantegna, Milano, electa 20042, 261, n. 8.

7 r. lanCIanI, storia degli scavi di roma e notizie intorno alle collezioni romane di antichità, ii, roma, Quasar 19902; thermae antoninianae, in lexicon topographicum urbis romae, V, 1999, 42-48. Vd. anche a. GIulIano, a le terme anthoniane in roma 1545, «Xenia», iX, 1985, 61-62.

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2. Vicende collezionistiche

Molto presto il foglio della christ church sembra essere entrato nell’ambiente dei tipografi veneziani. una versione modificata della composizione è utilizzata come vignetta del bas-de-page nel frontespizio xilografico del celebre erodoto latino stampato nella primavera del 1494 dal veneziano gregorio de gregoris per cura di anto nio Mancinelli, cano-nico di S. Marco8. l’intagliatore, la cui opera è unanimemente giudicata uno dei capolavori dell’illustrazione libraria veneziana quattrocentesca insieme con le tavole del polifilo alle quali si apparenta, ha apportato modifiche importanti alla scena9. lo sfondo vuoto del disegno è sostituito da un’idillica campagna di boschi e campi coltivati e l’eroe al centro non esprime più dolore e disperazione, ma contrizione o deferenza. ai suoi piedi c’è un fanciullo morto, uno solo, specularmente rovesciato rispetto alla posizione nel disegno; rovesciata è pure la giovane donna inginocchiata con il rametto in mano; le fiaccole nei vasi sono divenute un fuoco acceso. la misteriosa figura femminile nuda e la donna seduta a destra hanno conservato il loro posto, ma quest’ultima è dotata di una corona turrita e, particolare di grande importanza, invece di restarsene chiusa in un doloroso mutismo parla all’eroe e gli indica la strana compagna. Sono scomparsi l’altare con l’erma tricipite e l’epitaffio di Maccaria Myrtis; al loro posto una struttura rettangolare da cui pende la corda con la maschera e sulla quale sono poste in grande evidenza le lettere S.c.P.i., interpretate da lamberto donati come acronimo di stephanus cesenas peregrini incidit, ovvero come possibile firma del quasi sconosciuto intagliatore Pellegrino da cesena10.

8 Herodoti historici [Historiarum] incipit laurentii Vallensi conversio de Graeco in latino, Venetiis, per gregorium de gregoriis 1494, c. 2. la parentela con il foglio della chstist church library è indicata per prima volta in J. PoPPelreuTer, Der anonyme Meister des polifilo, Strassburg, Heitz u. Mundel 1904, 41.

9 il frontespizione dell’erodoto entra a pieno titolo nel dibattito sulle persona-lità coinvolte nell’im presa aldina: v. maSSena, PrInCe d’eSSlInG, les livres à figures vénitiens de la fin du XV e siècle et du commencement du XVi e, i.2, ouvrages imprimés de 1491 à 1500 et leurs editions jusqu’à 1525, Florence, olschky 1908, 198, n. 753; P. forTInI Brown, Venice and the antiquity. the Venitian sense of the past, new Haven-london, Yale u.P. 1996, 208-210; S. urBInI, il polifilo e gli altri libri figurati sul finire del Quattrocento, in Verso il polifilo. 1499-1999. catalogo della mostra (San donà di Piave, 31 ottobre-8 novembre 1999), a cura di d. casagrande, a Scarsella, Venezia, Bibl. naz. Marciana [1999], 49-78, in part. 62-67.

10 l. donaTI, Di una figura non intrpretata di stefano pellegrini da cesena, in studi riminesi e bibliografici in onore di carlo lucchesi, Faenza, Fratelli lega 1952, 45-52. contro l’attribuzione, e perché l’inversione di cognome e demotico sarebbe

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così modificata l’inven zione parentiniana resta riconoscibile nell’impagi-nazione, che l’incisore ha conservato nella sostanza, ma la presenza di un fanciullo invece di due e l’atteg giamento della figura femminile di destra stravolgono la situazione narrativa11. tali modifiche sono riconducibili solo in piccola parte alle esigenze del medium xilografico: se infatti la stampa imponeva una semplificazione che può ben spiegare la scomparsa di molta attrezzeria antiquaria, la trasformazione della figura muta in parlante è una scelta che attiene esclusivamente al significato e sembra implicare la volontà di raccontare un’altra storia. È allora giocoforza supporre che l’inven zione veicoli, nelle due redazioni, due significati diversi, il secondo dei quali non meno misterioso del primo e direttamente o indirettamente legato al testo di erodoto e al senso che l’opera erodotea poteva avere per un lettore della fine del Quattrocento.

la vicenda del disegno non finisce però qui. dal tavolo dello xilo-grafo veneziano il disegno giunge in qualche modo a roma, dove le sue tracce emergono improvvisamente nella seconda metà del XVi secolo. una copia della scena si trova in un taccuino d’antichità fra i più noti del rinascimento, il codice berlinese di giovanni antonio dosio, compilato fra il 1570 e il 157512. Sotto il disegno, riprodotto fedelmente quanto all’invenzione ma molto semplificato nei particolari e in qualche punto travisato, il copista ha annotato: «fu ritratto da u(n) disegnio ch’era jnu(n) libro del salama(n)ca el qual disegnio era stato ritratto da u(n) basso rilievo di stuccho nell’antoniana». Si coglie in queste parole l’eco della didascalia del foglio ossoniense, della quale dunque il disegnatore aveva almeno indirettamente cognizione, ma le notizie sulla provenienza del presunto modello antico, necessariamente tratte dal Parenzano, sono accompagnate da un altro importante dato: che il disegno da cui la copia è stata tratta si trovava in un libro appartenuto «al Salamanca», ovvero al ben noto stampatore spagnolo antonio Salamanca (che dai documenti risulterebbe chiamarsi antonio di consalvo Martinez da Salamanca), attivo a roma nei decenni centrali del cinquecento e morto nel 156213. Questo

improbabile, e perché in definitva Pellegrino non può essere collegato ad alcun nucleo di opere conosciute, urBInI, il polifilo cit., 62.

11 Sulle implicazioni della parentela compositiva per la cronologia del disegno (che nell’anno di stampa dell’erodoto trova un ragionevole termine ante quem): de nIColò Salmazo, Bernardino cit., 49 sg.

12 Berlino, Staatsbibl., Kupferstichkab., ms. lat.Fol. 61n, c. 43: vd.c. hülSen, Das skizzenbuch des Giovannantonio Dosio im staatlichen Kupferstichkabinett zu Berlin, Berlin, Keller, 1933, 22, n. 106 e tav. liX.

13 Sull’identità e la biografia del Salamanca: H. ThomaS, antonio [Martinez] de salamanca, printer of la celestina, rome, c. 1525, «library», n.s., Viii, 1953, 45-50, 46;

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disegno a noi sconosciuto apre la porta ad alcune interessanti ipotesi sul percorso che può aver portato il foglio del Parenzano da Venezia a roma: torneremo presto su questo punto.

la copia nel codice dosiano incuriosisce, perché è insolito che un pastiche padovano di fine Quattrocento suscitasse l’interesse degli scafatis-simi antiquarî romani di due o tre generazioni dopo. da questa circostanza christian Hülsen aveva tratto la convinzione che il disegno fosse davvero la copia o almeno l’adatta mento di un bassorilievo antico14. elizabeth tietze conrat ha creduto di individuare il modello in un misterioso rilievo in stucco che Marcantonio Michiel vide e descrisse fra il 1524 e il 1531 nella casa veneziana di niccolò leonico tomeo (1456-1531), professore di lettere greche nello studio di Padova15. di questo rilievo, che nella collezione del filosofo di origine albanese affiancava altre antichità, alcuni falsi e poche, sceltissime opere moderne16, nulla sappiamo al di fuori della

d. landau, P. ParShall, the renaissance print. 1470-1550, new Haven-london, Yale u.P. 1994, 302-304; V. PaGanI, Documents on antonio salamanca, «Print Quarterly», XVii, 2000, 148-155. Per un panorama generale degli incisori romani nella seconda metà del cinquecento: a. PeTruCCCI, panorama dell’incisione italiana. il cinquecento, roma, Bestetti 1964.

14 hülSen, le illustrazioni cit., 175; Id., in a.S. Iwanoff, architektonische studien, iii, aus den thermen des caracalla. Mit erläuterungen v. chr. Hülsen, Berlin, reimer 1898, 47 e 81; soprattutto Id., Das skizzenbuch cit., 22: «wahrscheinlich ist darauf [i.e. auf der zeichnung] die Stückdekoration eines römischen grabes am anfange der via appia in der nähe der caracallathermen wiedergegeben».

15 TIeTze ConraT, notes cit., 306. Per la testimonianza di Michiel: Der anonimo Morelliano (Marcanton Michiels notitia d’opere del disegno), text u. ubersetz. v. th. frImmel, Wien, graeser 1888, 17 sg. (rist. senza trad. tedesca: M. mIChIel, notitia d’opere del disegno, ed. crit. a cura di th. Frimmel [Vienna 1896], Firenze, edifir [2000]). un estratto con commento in scritti d’arte del cinquecento, a cura di P. Ba-rocchi, iii, Milano-napoli, ricciardi 1977, 2867-2890, 2869. Scarsa la bibliografia sul tomeo: vd. ad es. a. Serena, niccolò leonico tomeo, treviso 1902; d. de BellIS, la vita e l’ambiente di niccolò leonico tomeo, «Quaderni per la storia dell’università di Padova», Xiii, 1980, 37-76.

16 i. favareTTo, appunti sulla collezione rinascimentale di niccolò leonico tomeo, «Bollettino del Museo civico di Padova», lXViii, 1979, 15-29; ead., collezioni venete al tempo della serenissima, roma, l’erma di Bretschneider, 1990, 100-103; J. anderSon, collezioni e collezionisti della pittura veneta del Quattrocento: storia, sfortuna e fortuna, in la pittura nel Veneto cit., i, 271-294, 280 sg.; a. GreGory, J. woolfSon, aspects of collecting in renaissance padua: a Bust of socrates for niccolò leonico tomeo, «Journal of the Warburg and courtauld institutes», lViii, 1995, 252-265. Piuttosto noto un rilievo pseudo-antico con Due centauri e satiro dormiente, già in collezione grimani, poi nello Statuario Pubblico, ora nel Museo archeologico di Venezia, inv. 69: l. PlanISCIG, Venezianische Bildhauer der renaissance, Wien, Schroll, 1921, 334-336 (con attribuzione a scultore veneto della seconda metà del XV secolo); favareTTo, appunti cit., 23 (scultore di scuola toscana); l. SPerTI, rilievi greci e romani del Museo

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testimonianza di Michiel. le concise parole del nobiluomo veneziano – «la tavola de stucco de bassorilievo de un piede che contiene ercole con la Virtù et Voluptà è opera antica tolta in roma da un tempio d’ercole ornato tutto a quella foza» – suggeriscono una rappresentazione di ercole al Bivio, ercole che sceglie fra Kakìa e aretè, un tema più familiare agli artisti medievali che a quelli antichi, nonostante ad esso accenni Senofonte nei Memorabilia (i, 2). a noi non pare che la descrizione e il soggetto si adattino all’affollata invenzione del Parenzano, della quale lasciano fuori elementi essenziali come i fanciulli morti, la donna inginocchiata con il ramoscello e le fiaccole in primo piano, senza contare la vistosa disperazione dell’eroe. inoltre le figure femminili laterali sono lontane dall’iconografia tradizionale di Virtù e lussuria e difficilmente avrebbero potuto ispirare a Michiel un’interpretazione tanto sicura.

Ben più interessante di questa pista veneziana ci pare la circostanza che della scena esista un’altra, meno nota replica in un taccuino della Biblioteca nazionale di Firenze pubblicato vent’anni fa da ruth ru-binstein sulla base di appunti postumi di emanuele casamassima17. i disegni del volumetto, eseguiti quasi certamente fra il 1560 e il 1565, sono stati ipoteticamente ricondotti a giovanni Battista naldini, un allievo del Pontormo documentato a roma fra il ’60 e il ’61, dove fu in contatto con il dosio e produsse un discreto corpus di vedute e disegni dall’antico, ora ricostruito da alessandro cecchi e christel thiem18. il confronto con i disegni sicuri del naldini non incoraggia a procedere in questa direzione, che già ruth rubinstein giudicava poco produttiva, ma convince l’accostamento al circolo dell’archi tetto-antiqua rio milanese, la

archeologico di Venezia, roma, g. Bretschneider 1988, 183, n. 55, con accurata recensione bibliografica; da ultimo: lo statuario pubblico della serenissima. Due secoli di collezionismo di antichità 1596-1797. catalogo della mostra (Venezia, Biblioteca Marciana, 6 settembre-2 novembre 1997), a cura di i. Favaretto, g.l. ravagnan, cittadella, Biblos 1997, n. 36, 170 (g. Bodon).

17 antiquarian Drawings from Dosio’s roman Workshop. Biblioteca nazionale centrale di Firenze n.a. 159, catal. ed. by e. casamassima, r. rubinstein, Milano, giunta reg. toscana-ed. Bibliografica 1993, 95-97, n. 65 (r. ruBInSTeIn).

18 cronologia e attribuzione (informalmente proposti da arnold nesselrath durante i lavori del convegno antikenzeichnung und antikenstudium in renaissance und Frühbarock, coburg, 8-10 settembre 1986) sono discussi in ruBInSTeIn, loc. cit., 95. Per i disegni romani di naldini (con osservazioni sul codice fiorentino): a. CeCChI, alcuni disegni del soggiorno romano di Battista naldini, in Gedenkschrift für richard Harprath, hrsg. v. W. liebenwein, a. tempestini, München, deut. Kunstverl. 1998, 53-58; ch. ThIem, Das römische reiseskizzenbuch des Florentiners Giovanni Battista naldini 1560/61, München, deut. Kunsverl. 2002.

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329hercules tristis insaniae poenitentia

cui mano costituisce per il taccuino un buon termine di confronto tecnico e stilistico19. il disegno della Biblioteca nazionale (d’ora in poi F) è molto vicino a quello della Staatsbibliothek (d’ora in poi B), al punto da esser stato definito «a poorly understood copy of dosio’s copy of the drawing attribuited to Parentino»20. in realtà, anche se effettivamente il codice fiorentino riproduce molto materiale dosiano, F non è una una copia di B. rispetto al Parenzano i due disegni hanno sì dei fraintendimenti comuni, ad es. la posa della figura femminile a sinistra, la semplificazione dell’ara che sostiene l’erma tricipite e la scomparsa del piede destro del l’eroe e della gamba destra della figura muta al suo fianco, ma in F certi particolari travisati in B sussistono esatti, circostanza impossibile se F dipendesse da B. Si tratta specialmente della mano sinistra della figura muta (che in B è sotto la destra), dell’intaccatura nella parte inferiore del tronco d’albero e dell’ombra della gamba sinistra dell’eroe. Si presti attenzione a questo dettaglio: nel foglio di oxford l’ombra è in negativo, cioè più chiara della superficie sulla quale si pro ietta. l’effetto, assente in B (eseguito al tratto), è ben visibile in F, dove il lavis ripete l’anda mento dell’ombra originale. altrettanto si dirà dell’anno ta zione a fondo pagina («diciesi che questa invenzione fu già trovata all’anto niana cioè alle therme d’antonino, in una grotta e diciesi ch’era lavorata di stuccho»), quasi identica alla didascalia di B ma con tutti gli elementi presenti nel foglio di oxford, compresa la localizzazione in un ambiente sotterraneo (grotta) che in B manca. il disegnatore fiorentino ha letto per intero nel suo modello, più accurato di F, la subscriptio del Parenzano. anche l’ipotesi opposta, ovvero che B dipenda da F, mai da alcuno considerata, è inammissibile. B evita a sua volta errori palesi presenti nel foglio gemello, in particolare la leonté tra-sformata in incongrua protome e l’ansa superiore dell’altara di Maccaria Myrtis attribuita alla retrostante balaustra, e non può dunque esserne la copia diretta. tutto ciò porta a concludere che B ed F derivano da un modello comune e che tale modello deriva dal disegno di oxford, senza coincidere con esso. i disegnatori non possono infatti aver riprodotto un disegno indipendente o il presunto rilievo antico poiché non avremmo didascalie così simili a quella del Parenzano; non possono neppure aver copiato dalla pergamena originale perché non si spiegherebbero gli errori comuni, essendo inammissibile che i due artisti abbiano, uno indipen-dentemente dall’al tro, modificato le figure femminili e l’altare con l’erma tricipite esattamente allo stesso modo.

19 ruBInSTeIn, loc. cit., 96.20 ibid.

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330 CaTerIna furlan - ludovICo reBaudo

il testimone dal quale entrambi dipendono è con ogni probabilità il già menzionato «disegnio ch’era in un libro del Salamanca», per ragioni di tempo e di luogo (era a roma nei decenni centrali del cinquecento) plausibilmente accessibile al dosio e all’autore di F. È dunque esistita una copia del disegno di oxford (che chiameremo a) eseguita prima del 1562, copiata da B ed F secondo uno stemma di questo tipo:

oxford

(Parenzano, ante 1494)

a

(anonimo, apud Salamanca, ante 1562)

B(dosio, 1570 ca.)

F(Ps.-naldini, 1560-1565)

Questa è a nostro avviso la circostanza più probabile. Bisogna tuttavia considerare anche l’even tualità, non in sè assurda, che il Salamanca fosse entrato in possesso del l’originale del Parenzano. in tal caso si ammetterà che i disegnatori di B ed F abbiano visto non l’originale che stava nel «libro» ma una copia in seguito scomparsa, presumibilmente eseguita all’interno della stessa bottega dosiana. chiameremo questa copia b. lo stemma sarà allora il seguente:

oxford

(Parenzano, ante 1494apud Salamanca, ante 1562)

b

(anonimo, ante 1562)

B(dosio, 1570 ca.)

F(Ps.-naldini, 1560-1565)

dal punto di vista della tradizione nulla cambia, ma il passaggio dell’originale nella bottega di campo dei Fiori può forse spiegare un particolare del disegno che discuteremo più avanti (§ 4). in ogni caso il fatto che l’invenzione sia pervenuta al circolo dosiano attraverso la mediazione volontaria o involontaria del Salamanca non è sorprendente.

331hercules tristis insaniae poenitentia

Questo personaggio poco noto, attestato a roma dal 1519, è stato ritratto da nicolas Beatrizet già oltre la cinquantina con l’appellativo di orbis et urbis antiquitatum imitator (B. XV, 243, 6). Se la tavola risalisse agli anni Quaranta, il Salamanca sarebbe nato poco prima del 1500: ignoriamo se in gioventù abbia avuto relazioni con gli stampatori veneziani, ma un uomo della sua età, già imprenditore in proprio nel 1519, può essere entrato in possesso di un disegno circolato nell’ambiente attorno al 1494 senza che la cosa appaia inaudita. il soggetto antiquario non poteva non attrarre l’attenzione di uno stampatore che dedicava oltre il cinquanta per cento del suo catalogo alla storia e alla mitologia antiche e che basava il suo business su materiale di recupero, al punto che l’ottanta per cento delle stampe con il suo excudit sono di seconda mano21. È documentato, ad esempio, l’acquisto di un importante stock di tavole appartenute al Baviera con rami di Marcantonio, Marco dente e agostino Veneziano22. il disegno del Parenzano sarà approdato in campo dei Fiori attraverso simili compravendite, e allo stesso modo ne sarà poi uscito. la difficile situazione finanziaria dell’im presa dopo la morte del maestro, che dal 1553 era associato al più giovane e apparentemente più scaltro antoine lafrery, fa apparire l’alienazione di materiale di bottega tutt’altro che improbabile, anche perché Francesco Salamanca, figlio ed erede di antonio, riuscì a riavere gli strumenti e le tavole del padre solo a capo di una lunga battaglia legale23. Se il «libro» con il disegno del Parenzano fu venduto, esso risultò in qualche modo accessibile a giovanni antonio dosio, nella cui bottega è stato copiato due volte (tre se conteneva l’originale), l’ultima delle quali dal maestro stesso.

3. il dibattito

inutile dire che l’invenzione di oxford non ha avuto finora un’in-terpretazione soddisfacente. a lungo è circolata la proposta di Seymour colvin, che un secolo fa pubblicò il disegno come un fantasioso pastiche sul tema di ercole al bivio24. Questa interpretazione, confutata da erwin

21 landau, ParShall, the renaissance print cit., 303 sg.22 ibid.23 [F. ehrle], roma prima di sisto V. la pianta di roma di Du perac-lafrery del

1577… contributo alla storia del commercio delle stampe a roma nel secolo 16. e 17. roma, danesi 1908, 13.

24 ColvIn, selected Drawings cit., 30.

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Panofsky in Herkules am scheidewege (1930), uno dei pilastri della tradizio-ne warburghiana del novecento25, è stata in seguito ribadita da elisabeth tietze conrat26 e recentemente anche da Konrad Hoberhuber e Marzia Faietti27. È stata respinta, invece, da irene Favaretto, che non nega tuttavia il rapporto col rilievo descritto da Michiel, a suo dire autentico, e ritiene che esso rappresentasse un tema erculeo ancora da identificare28.

altra strada ha tentato Silvia urbini, la quale suppone che il disegno rappresenti la storia della ninfa teti che tentò di rendere immortali col fuoco i figli generati da Peleo (la cui natura, come quella del padre, era mortale), provocandone la morte. Solo achille fu salvato in extremis dal padre, accorso alle urla dei fanciulli bruciati29. i piccoli cadaveri del disegno sarebbero dunque due dei pelidi, la donna inginocchiata teti che li unge d’ambrosia, l’eroe nudo achille ormai adulto, la donna sulla destra la Pizia, sacerdotessa di apollo a delo, che preannuncia ad achille la morte per aver assassinato un figlio di apollo di nome tenes. la vecchia a sinistra sarebbe invece una delle parche che assiste alla scena: verosimilmente cloto, il cui compito è di attorcere il filo che la sorella atropo ha filato e che lachesi taglierà.

l’interpretazione non regge: per trovare una versione del mito in cui teti abbia più di un figlio bisogna ricorrere a un’allusione nell’achilleide di Stazio (ii 164 sg.) e ad una citazione indiretta di esiodo (F 300 Maerkel-bach-West), entrambe difficilmente note al Parenzano, che comunque non poteva ricavarne tutti gli elementi della scena. che dire infatti dell’ambrosia di cui Stazio non parla? e della pelle di leone? dell’erma tricipite? della maschera teatrale? inoltre, come può achille, il più giovane dei pelidi, essere adulto mentre i fratelli sono poco più che neonati? in verità Silvia urbini ha un po’ frettolosamente adattato al foglio ossoniense un’ipotesi di lamberto donati che tentava di spiegare la vignetta dell’e ro doto, alla quale però il mito si addice altrettanto poco. Se l’eroe seduto della xilo-grafia potrebbe essere Peleo, essendo scomparsa la leonté erculea presente nel disegno, il fanciullo non è achille, perché achille non morì affatto30. insomma, né il disegno né la stampa trovano nella storia di Peleo e teti una spiegazione soddisfacente: troppi gli elementi estranei, e troppi anche quelli che devono esservi introdotti arbitrariamente per far quadrare i conti (la Pizia, l’ucci sione di tenes, la leonté nel disegno).

25 PanofSky, Hercules am scheidewege cit., 126, n. 2.26 TIeTze ConraT, notes cit., 307-309.27 Bologna e l’umanesimo cit., 202-204, n. 55.28 favareTTo, appunti cit., 19-21.29 urBInI, il polifilo cit., 67. 30 donaTI, Di una figura cit., 46-48.

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in tempi recenti si è fatta strada fra gli interpreti quella che potremmo chiamare la ‘tentazione del non-soggetto’, ovvero la propensione a cre-dere che la scena non rappresenti un mito preciso ma un’ambientazione all’antica generica e di fantasia. Se alberta de nicolò Salmazo ha parlato semplicemente di soggetto ancora da decifrare31, ruth rubinstein ha visto nel disegno un pasticcio elaborato a partire da un rilievo antico mal leggi-bile, una proposta che, tenendo conto del dibattito precedente, consente di non avventurarsi in letture troppo problematiche32. e da ultimo Vincenzo Farinella ha negato apertamente che la scena abbia un soggetto33.

Quest’ultimo punto di vista, argomentato con sagacia, merita qualche considerazione. Secondo Farinella il disegno altro non sarebbe che «un’originale, anche se archeologicamente assurda, invenzione ri-nascimentale realizzata mettendo in campo una vasta, anche se un po’ sgangherata erudizione antiquaria»34. l’artista, che nel disegno dispiega il suo arsenale di conoscenze archeologiche, si proporrebbe di «mettere alla prova e quindi affascinare la mente di un erudito collezionista, che davanti a scene di questo genere poteva scervellarsi senza fine ed esibirsi fra gli amici e i visitatori nei più complessi esercizi esegetici»35. osserviamo che se Farinella avesse ragione, l’artista, dopo aver sfidato lo spettatore con figure enigmatiche e concettose, lo mortificherebbe non celando nell’invenzione né un significato né una ‘storia’ da recuperare, il che ci pare inverosimile. dopo essersi esibito «nei più complessi esercizi esegetici», dopo infinite discussioni ed ipotesi, il nostro collezionista dovrebbe rivelare agli amici che il loro sforzo è stato inutile perché non vi era nulla da decifrare, che la scena sulla quale si sono affaticati non ha in realtà alcuna spiegazione. Sembra plausibile?

noi crediamo, al contrario, che l’esistenza di una soluzione sia im-plicita nella complessità stessa dell’invenzione. Quanto più sono numerosi e importanti gli elementi apparentemente incomprensibili di una certa scena, tanto più è probabile che essa contenga una ‘storia’ nascosta. le scene realmente non-narrative come le Fantasie antiquarie del British Mu-seum e di oxford, che Farinella chiama a confronto36, oppure il Baccanale con tino mantegnesco37, non suscitano interrogativi perché l’accumulo di

31 de nIColò Salmazo, Bernardino cit., 50. 32 antiquarian Drawings cit., 95.33 farInella, Disegni all’antica cit., 246-249.34 ibid., 247.35 ibid., 248.36 farInella, Disegni cit., 249. Vd. supra, nota 3. 37 andrea Mantegna cit., 278, n. 74.

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particolari eruditi ed insoliti riguarda gli elementi di contorno, i parerga, come direbbe Plinio. ove siano invece i protagonisti stessi della scena a risultare incomprensibili, come nel nostro caso, l’osservatore intuisce immediatamente che l’immagine richiede una spiegazione e sente il biso-gno di scoprirla, attribuendo alle figure un’identità e interpretando i loro gesti. nel dibattito sulla tempesta giorgionesca, non lontana nel tempo dal disegno di oxford, questo è il più pesante degli argomenti a favore dei partigiani del soggetto38.

4. esegesi

eccoci dunque tornati alle domande formulate all’inizio: che cosa rappresenta la scena immaginata dal Parenzano? che cosa la versione modificata della vignetta a stampa? Poiché l’artificiosa astrusità dell’in-venzione ci fa supporre che il Parenzano sia andato volontariamente alla ricerca di un tema raro o inaspettato, è buon metodo iniziare la ricerca dall’ele mento più facilmente identificabile: nel nostro caso, i fanciulli morti. Se molti sono i mitemi che prevedono la morte di un fanciullo, pochissimi ne comportano due o più contemporaneamente ed è quindi possibile individuare quello giusto.

la storia più nota e quella di Medea che uccide i due figli per ven-dicarsi di giasone, che l’ha abbandonata per creusa, la figlia di eeta, re di corinto39. Ma il disegno non rappresenta Medea: dopo l’assassinio la maga fugge con i cadaveri dei figli e giasone la insegue furibondo. Qui, a parte l’incongrua leonté, avremmo un giasone disperato e piagnucoloso e una Medea meditante sull’in fanticidio (se la identifichiamo nella figura di destra) oppure intenta ad un rito sui cadaveri (se la identifichiamo con la figura inginocchiata), cosa evidentemente insensata.

ancor meno appropriata è un’altra celebre coppia di fratelli morti in giovane età, gli argivi Kleobis e Biton, che secondo erodoto (i 31) furono assunti da zeus fra gli olimpi come ricompensa per aver trascinato il carro della madre, sacerdotessa di era, fino al santuario della dea40. Poiché

38 così S. SeTTIS, la «tempesta» interpretata. Giorgione, i committenti, il soggetto, torino, einaudi 1978, in part. 3-17. Per uno status quaestionis aggiornato: M. Jover, Giorgione, l’énigme et la culeur, «l’oeil», 559, 2004, 48-55.

39 Medeia, in liMc, Vi, 1992, 386-398 (M. SChmIdT); per la fortuna rinasci-mentale: the oxford Guide to classical Mythology in the arts. 1300-1990s, ed. by J. davidson red, ii, new York-oxford, oxford u.P., 1993, 643-650.

40 cleobi e Bitone, in eaa, ii, 1959, 714 (c. CaPrIno); Kleobis e Biton, in liMc, iii, 1986, 119 (P.e.arIaS); SPerTI, rilievi greci e romani cit., 142-151, n. 43.

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al momento della morte i fratelli sono nel pieno del vigore giovanile ed ercole non gioca alcun ruolo nell’episodio, né riusciamo ad attribuire un’identità plausibile alla figura muta, è chiaro che la scena non rappre-senta questo mito. È pur vero che in un rilievo funerario romano della collezione grimani, noto a roma nel quarto decennio del cinquecento, Kleobis e Biton sono trasformati in bambini, presumibilmente per adattare la situazione ad una duplice sepoltura infantile. Ma a parte il fatto che si tratta di un unicum, l’iconografia del rilievo è del tutto estranea a quella del disegno41.

la sola situazione mitica che si adatti al foglio del Parenzano è la Follia di ercole, un soggetto raro, di grande respiro tragico, poco rappresentato nell’arte antica. il mito è il seguente: ercole, di ritorno dall’uccisione del cane di cerbero, viene obnubilato da era, che non perdona all’eroe l’adulterio di giove con alcmena. in preda al furore indotto dalla dea uccide la moglie Megara e i figli, credendo invece di uccidere il malvagio lico e i suoi compagni che avevano tentato di impadronirsi del trono di corinto approfittando della sua assenza. l’episodio è raccontato da igino (fab. 32):

Hercules cum ad canem tricipitem esset missus ab eurystheo rege et lycus neptuni filius putasset eum periisse, Megaram creontis filiam uxorem eius et filios therima-chum et ophiten interficere voluit et regnum occupare. Hercules eo intervenit et lycum interfecit; postea ab iunone insania obiecta Megaram et filios therimachum et ophiten interfecit. Postquam suae mentis compos est factus, ab apolline petiit dari sibi responsum, quomodo scelus purgaret; cui apollo sortem quod reddere noluit, Hercules iratus de fano eius tripodem sustulit, quem postea iovis iussu red-didit et nolentem sortem dare iussit. Hercules ob id a Mercurio omphalae reginae in servitutem datus est42.

alla luce di questo testo, molti particolari del disegno trovano imme-diata spiegazione: la nudità eroica della figura centrale e la leonté appesa

41 Per un’esaustiva ricostruzione della fortuna del rilievo: SPerTI, loc. cit. 42 «ercole era stato mandato dal re euristeo ad uccidere il cane tricipite. lico, figlio

di nettuno, lo credette morto e tentò di uccidere sua moglie Megara, figlia di creonte, e i suoi figli terimaco e ofite per impadronirsi del regno. ercole ritornò e uccise lico. Poi però, reso pazzo da era, uccise anche Megara, terimaco e ofite. Quando tornò in sé, chiese un responso ad apollo per sapere come espiare il delitto. apollo non volle rendergli la sorte, e allora ercole adirato gli rubò il tripode, che in seguito restituì per ordine di giove, imponendo però al dio recalcitrante di dare finalmente la sorte. È per questo responso che ercole fu da Mercurio reso schiavo della regina onfale».

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all’albero, che non potevano non far pensare ad ercole; la disperazione dell’eroe, oppresso dal rimorso dei suoi delitti; i due fanciulli morti, ai quali, seguendo igino, daremo i nomi di terimaco e ofite; la figura fem-minile sulla destra, nella quale riconosciamo la Pizia, la sacerdotessa di apollo delio che tiene fra le braccia i simboli del dio, l’alloro e il serpente, ed è ostentatamente muta perché il suo padrone le ha proibito di emettere il responso che ercole desidera.

Ma igino non è il solo, né il più autorevole degli autori che rac-contano il mito. Per un artista che masticava un po’ di latino (visto che trascriveva epitaffi antichi) è naturale far riferimento all’Hercules furens di Seneca, frequentatissimo dalla cultura medievale e utilizzato da coluccio Salutati nel De laboribus Herculis43. in Seneca troviamo altri elementi che confortano l’esegesi: la barocca descrizione del rinsavimento dell’eroe con la progressiva presa di coscienza dello scelus compiuto (vv. 1138-1201); il particolare, fedelmente riprodotto nel disegno, che al momento del ‘risve-glio’ ercole non ha addosso la leonté (cur latus laevum vacat | spolio leonis?); le rumorose manifestazioni di disperazione dell’eroe nuovamente lucido (vv. 1202-1245); l’allusione al rogo dei fanciulli, sul quale egli promette di bruciare le armi assassine (vv. 1231-1235) e al quale verosimilmente richiamano le fiaccole in primo piano, non a caso poste accanto ai cada-verini44. Questi elementi ‘senecani’ evocano i momenti salienti della storia e diffondono un’atmosfera luttuosa e tragica, commisurata all’intensità dramma vissuto dall’eroe.

in questo contesto facilmente trovano posto i particolari simbolici che non sono nel testo antico e che l’artista, assuefatto all’uso dell’allegoria, ha disseminato nella scena. tale ci pare la donna che unge i fanciulli, allusio-ne alla necessità della purificazione dei cadaveri, ma anche occasione per collocare in primo piano un bel vaso all’antica, del tipo di quelli presenti a decine nel taccuino berlinese ‘del Mantegna’45. tale è la parca che attorce il filo dell’esistenza umana, simbolo della morte che domina la scena, an-ch’essa pretesto per una figura immaginata in piena libertà sulla base della sua connotazione infernale e nella quale la maschera teatrale che serve da contrappeso al filo del destino rimanda forse alla tragedia senecana46. tale è l’erma tricipite sull’altare alla maniera di ecate sui pilastri ermaici, allusione

43 Col. SaluTaTIS de laboribus Herculis, ed. B.l.ullman, turici, in aed. thesauri Mundi 1951.

44 Per le citazioni: Sénèque, Hercule furieux. les troyennes. les phéniciennes. Médée. phèdre, texte ét. et trad. par l. Herrmann, Paris, lBl 1985.

45 leonCInI, il codice cit., 64-68. 46 rarissimo, se non inesistente, è nell’arte antica lo schema in cui le parche

sono nude: S. de anGelI, problemi di iconografia romana: dalle Moire alle parche, in

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alle tre età dell’uomo come nel celebre tempo governato dalla prudenza di tiziano (londra, national gallery), simbolo dell’irreparabile fuggire del tempo47. tali sono gli altari funerari e l’epitaffio di Maccaria Myrtis (cil Vi, 21757), con il Dis Manibus bene in evidenza, inserito a forza in una composizione che dovrebbe essere il frammento di una decorazione a stucco di un edificio antico. il risultato è una scena dall’architettura for-temente e tradizionalmente allegorica, che distingue ed anzi contrappone la vita e la morte, collocando eracle, la Pizia e la fanciulla inginocchiata a destra, il lato fausto; i fanciulli, la parca, gli altari funerari e l’epitaffio di Maccaria Myrtis a sinistra, il lato infausto. il mito antico si trasforma, al di là del soggetto preciso, in una grande rappresentazione della morte, della caducità dell’uomo, del trascorrere del tempo.

il problema più arduo è individuare, nel contesto narrativo, il senso delle sigle sull’al tare, M.a. e S.a. Si tratta di scritte originali del Parentino oppure di aggiunte apocrife? i caratteri sono identici a quelli dell’epitaffio di Maccaria Myrtis, ma l’interpolatore potrebbe averli imitati consape-volmente. la presenza delle lettere S.c.P.i. nella vignetta dell’ero doto, come se lo xilografo avesse voluto riprodurre un particolare importante il cui senso non era trasferibile in toto, fa pensare che almeno l’M.a., la cui collocazione è analoga, sia originale. un’ipotesi minimale suggerisce di considerare entrambe le iscrizioni un puro sfoggio di cultura antiquaria, una sorta di citazione erudita, dal momento che entrambe si incontrano nell’epigrafia antica: Ma negli epitaffi di militari in luogo del più comune Mil(itavit) a(nnos), seguito dal numero degli anni di servizio; Sa nelle dediche agli dei e all’imperatore, ove indica un sacerdozio minore del culto imperiale (S[odalis] a[ugusta lis]). Se così fosse, ai fini dell’interpretazione esse sarebbero adiàfore, come lo è l’epitaffio dei SS. Quattro coronati. Potrebbero però anche essere qualcosa di diverso da uno sfoggio erudito e avere di conseguenza un significato più sostanziale. Sarebbe assurdo, ad esempio, ritenere S.a. uno spiritoso richiamo al nome dello stampatore antonio Salamanca, visto che contiene le prime lettere del demotico (Sa[lamanca]) ma anche, con il punto divisorio, le sue iniziali invertite? e

religion, mythologie, iconographie. actes de du coll. intern. (rome, École Franç. de rome, 19 mai 1989), pub. sous la dir. de l. Kahlil, P. linant de Bellefonds, rome, eFr 1991, 105-128

47 Per la fortuna del tema nel rinascimento vd. ad es. le tre età dell’uomo della Galleria palatina. catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti, dal 6 dicembre 1989), a cura di S. Padovani, Firenze, centro di 1989. inoltre: th. krauS, Hekate. studien zu Wesen und Bild der Gottin in Kleinasien und Griechenland, Heidelberg, Winter, 1960; Hekate, in liMc, Vi, 1992, suppl., 985-1018, 1003 sg. (S. haIGanuCh).

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con analogo gioco, M.a. non potrebbe contenere il cognome e le iniziali di andrea Mantegna, essendo in tal caso una firma apocrifa o magari un’at-tribuzione della paternità dell’in ven zione? Se è una firma la sigla S.c.P.i., come suppone lamberto donati48, potrebbe per analogia esserlo anche l’M.a., o almeno potrebbe essere stata interpretata come tale. Quanto all’espediente di interporre il punto fra le lettere, se ne compiaceva lorenzo de’ Medici quando sulle gemme della propria collezione faceva incidere la siglia laV.r.Med, che poteva sciogliersi laVr(entius) Med(iceus) ma anche, più significativamente, laV(ren tius) r(ex) Med(iceus)49. Pur osservando che la posa di ercole riprende in parte la posa di un tritone della mantegnesca Battaglia di dei marini50, e che le invenzioni del maestro frequentemente sostenevano le opere grafiche dei componenti della botte-ga, come si è constatato per tanti rami di soggetto classico di un giovanni antonio da Brescia, di un Primo incisore, di un Maestro del 151551, non vogliamo tuttavia insistere troppo sulla proposta, da prendere più come una giocosa provocazione che come seria ipotesi di lavoro. Mantegna è una presenza sempre molto ingombrante.

5. un precedente antico

il tema della follia di ercole, così adatto nella sua rarità a costruire il rebus che ha intrigato per secoli gli osservatori del disegno, ci pare pensato in implicita contrapposizione con i grandi artisti dell’antichità. Suppo-niamo che Bernardino (o Mantegna?) sapesse che il tema non era nuovo: lo aveva affrontato prima di lui un pittore greco di nome néarchos, non fra i più celebri ma abbastanza importante perché due suoi dipinti fossero ricordati da Plinio nella storia naturale (XXXV 141), dunque sufficiente-

48 donaTI, Di una figura cit., 48.49 Sulle gemme di lorenzo: il tesoro di lorenzo il Magnifico. repertorio delle gemme

e dei vasi, a cura di n. dacos, a. giuliano e u. Pannuti, Firenze, Sansoni, 1973; a. GIulIano, i cammei della collezione Medicea nel Museo archeologico di Firenze. Storia delle collezioni e regesto di M.e. mIChelI, roma, de luca 1989; da ultimo (con ec-cellenti fotografie): c. GaSParrI, le gemme Farnese: un percorso nella glittica dall’antico al moderno, in le gemme Farnese, a cura di c. gasparri, napoli, electa 1994, 13-30; u. PannuTI, la collezione glittica medicea, ibid., 61-74. Sul problema dell’ex-gemmis: u. PannuTI, Formazione, incremento e vicende dell’antica raccolta glittica medicea, in il tesoro cit., 3-15, 14, n. 24; a. GIulIano, catalogo delle gemme che recano l’iscrizione: laVr. r. MeD., ibid., 39-66, nn. 1-42.

50 di questa opinione anche de nIColò Salmazo, Bernardino cit., 53. 51 andrea Mantegna cit., 277-321, nn. 73-97.

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mente garantito quanto a fama e prestigio. il primo di tali quadri toccava un tema al quale Bernardino doveva sentirsi per temperamento assai poco incline, afrodite circondata dalla càriti, e non stupisce che non lo abbia interessato. il secondo invece lo ha interessato certamente: Hercules tristis insaniae poenitentia. néarchos aveva rappresentato la follia di ercole con un taglio preciso: non l’insania, il momento drammatico della strage della moglie e dei figli, ma il dopo, la disperazione e l’atroce pentimento seguiti al recupero della coscienza e alla consapevolezza del delitto. È esattamente ciò che ha fatto Bernardino. il gesto di ercole, patetico e retorico, risalta per contrapposizione sulle pose dolorosamente contenute delle figure femminili. non è insanus questo ercole che si contorce di fronte ai figli morti, bensì disperato, oppresso dal rimorso, presago forse del suo destino di schiavitù. talmente grande è la coincidenza con l’invenzione di néar-chos che per il foglio ossoniense si può proporre tale e quale il titolo del dipinto antico. la coincidenza sottintende, per Bernardino, una doppia sfida: immaginare la decorazione di un celebre edificio di roma e, intan-to, rifare un quadro già fatto da un pittore greco, come del resto aveva tentato il ‘maestro’ Mantegna con la calunnia di apelle per lo studiolo di isabella, e altri avrebbero fatto in seguito con altri soggetti, primo fra tutti le nozze di alessandro e rossane52.

a questo proposito è interessante che il rifacimento non sia presentato come un dipinto ma come un rilievo in stucco, un genere agli occhi di un artista quattrocentesco in qualche modo intermedio fra pittura e scultura. lo scarto potrebbe essere stato suggerito dal desiderio di sviare l’attenzione rispetto alla fonte, negando implicitamente l’operazione di rifacimento (al contrario di quanto accade nelle molte calunnie contemporanee e posteriori), ma anche dalla difficoltà di immaginare una pittura antica, la cui conoscenza in italia settentrionale verso il 1490 era sostanzialmente nulla53. Può darsi anche che Bernardino pensasse semplicemente alla verosimiglianza del falso: la collocazione lontana e inaccessibile (com’era

52 Sulla calunnia: J.M. maSSInG, Du téxte à l’image: la calomnie d’apelles et son iconographie, Strasbourg, P.u., 1990. la fortuna della ‘pittura di ricostruzione’ durante il rinascimento è stata indagata soprattuto da lucia Faedo: da ultimo ead., ricostruire l’arte greca, rappresentare il mito, in i Greci. storia cultura arte società, 3, i Greci oltre la Grecia, a cura di S. Settis, torino, einaudi, 2001, 1117-1152. Per un più ampio ventaglio cronologico: archeologia dell’arte. cicli perduti e procedure di ricostruzione, a cura di S. Settis, «ricerche di Storia dell’arte», XXX, 1986.

53 in generale: M. de voS, la ricezione della pittura antica fino alla scoperta di ercolano e pompei, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, ii, i generi e i temi ritrovati, a cura di S. Settis, torino, einaudi, 1985, 351-380; c. CIerI vIa, andrea Mantegna a roma. la scoperta della pittura antica, in aspetti della tradizione classica nella cultura

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allora, vista da Padova o da Venezia, la volta di una sala sotterranea delle terme di caracalla) giustificava la circostanza che il rilievo fosse sconosciuto ed era un motivo in più per considerare il foglio un documento raro e prezioso. Quanto al fatto che le volte degli edifici romani fossero decorate con stucchi, gli artisti ne avevano alla fine del Quattrocento sufficiente consapevolezza: erano noti, e probabilmente già disegnati, gli stucchi del colosseo; si visitavano quelli di Villa adriana; si cominciava ad esplorare la Domus aurea54.

naturalmente, perché un tal ragionamento possa essere sensatamente attribuito a Ber nardino occorre che egli avesse una qualche esperienza delle cose romane. Si ripropone quindi il problema del suo viaggio a roma, la cui quasi ineludibile necessità Farinella ha di recente sottolineato55. È passato sotto silenzio, ad esempio, il fatto che il disegno dell’ara di Macca-ria Myrtis (cil Vi, 21757) preceda di un ventennio la prima trascrizione ‘umanistica’ e presenti un testo del tutto indipendente, nella sua rozzezza, dal resto della tradizione56. Bernardino è stato dunque a roma, oppure poteva contare su qualcuno che gli forniva materiale epigrafico in grande quantità, e poi notizie, descrizioni e disegni di monumenti antichi, il che è quasi altrettanto interessante di un soggiorno personale nell’urbe, e altrettanto contribuisce a spiegare la sua fama di pittore-antiquario. che diremmo se questo misterioso corrispondente fosse stato, almeno per un certo periodo, il Mantegna in persona, come ipotizza alberta de nicolò

artistica fra umanesimo e rinascimento. corso di lezioni di storia dell’arte moderna i tenuto da claudia cieri Via, a.a. 1985-1986, a cura di anna cavallaro, roma, il Bagatto 1986, 83-85; V. farInella, archeologia e pittura a roma tra Quattrocento e cinquecento. il caso di Jacopo ripanda, torino, einaudi 1992, 3-26; più recente (ma relativo ad una fase cronologica successiva): l. de laChenal, la riscoperta della pittura antica nel XVii secolo: scavi, disegni, collezioni, in l’idea del bello. Viaggio per roma nel seicento con Giovan pietro Bellori, a cura di e. Borea, c. gasparri, roma, de luca [2000], ii, 625-672.

54 Vd. specialmente n. daCoS, le stucs du colisée. Vestiges archéologiques et dessins de la renaissance, «latomus», XXXi, 1962, 334-355; ead., la découverte de la Domus aurea et la formation des grotesques à la renaissance, london-leiden, the Warburg institute-e.J.Brill 1969, 43-48 e 51-54.

55 farInella, Disegni all’antica cit., 263 sg., secondo il quale l’improvvisa comparsa negli affreschi di Santa giustina di elementi di cultura figurativa umbra si spiegherebbe solo con l’esperienza diretta degli allora popolarissimi cicli pinturicchieschi della cappella Bufalini all’aracoeli (1486) e della cappella Basso della rovere in Santa Maria del Popolo (1489-1492), capisaldi del nuovo linguaggio romano dalle fortissime valenze antiquarie. Su questo punto de nIColò Salmazo, Bernardino cit., 39 sg.

56 Vd. supra, 322.

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Salmazo57? l’enigmatico M.a. del disegno aleggia più che mai dietro i molti interrogativi del disegno.

6. conclusione

la nostra ricostruzione delinea un contesto nel quale la forma mentale di Bernardino si palesa nella mescolanza inestricabile di antico e moderno, di citazione antiquaria e di allegoria, che caratterizzano il disegno. il Paren-zano è, da una parte, quel pittore ‘antiquario’ che ha saputo costruire sulla conoscenza delle cose antiche una fortuna anche superiore ai suoi meriti, dall’altra un artista ancora legatissimo alla consuetudine medievaleggiante del discorso allegorico. una cultura da cui il Mantegna è negli stessi anni in buona parte già libero, che non consente a Bernardino di immaginare la scena mitica se non, appunto, dotata di una precisa dimensione allego-rica e del relativo apparato di simboli, costruito disponendo le sue pedine all’antica secondo le regole applicate tante volte nei dipinti sacri.

ed erodoto? che cosa possono aver trovato il tipografo veneziano o il suo misterioso intagliatore nel presunto bassorilievo antico che vada bene per illustrare le Historiae? Questa è la mano della partita ancora da giocare. il soggetto della vignetta resta per noi oscuro, né siamo in grado di proporre una spiegazione che renda conto, anche solo parzialmente, delle trasformazioni subite dall’invenzione di Bernardino. Ma di tre cose non dubitiamo: che un soggetto ci sia, che sia diverso da quello del disegno e che la spiegazione vada cercata nel libro di erodoto, e più ancora nel modo in cui l’editore e lo stampatore lo hanno letto, nel senso che ne hanno tratto. Modo e senso che potrebbero anche non coincidere coi nostri: per questo decifrare l’immagine, se mai ci riusciremo, sarà assai arduo.

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57 de nIColò Salmazo, Bernardino cit., 46. Sul problema del soggiorno romano del Mantegna: CIerI vIa, aspetti cit.; farInella, archeologia e pittura cit., 24-26; de nIColò Salmazo, Mantegna cit., 47 sg.

6. Bernardino Parenzano (attr.), Scena antiquaria (c.d. Ercole al bivio). Penna su pergamena, 1490 ca. Oxford, Christ Church Library, inv. 267.

7. Andrea Mantegna, Madonna con Bam-bino. Bulino su lastra di rame, 1480-1485. Wien, Graphische Sammlung Albertina.

8. Intagliatore veneziano del XV secolo, Satiro che scuoia un capretto; Erodoto incoronato da Apollo; Scena allegorica. Xilografia. In Herodoti…[Historiarum] incipit Laurentii Vallensi conversio de Graeco in Latino, Venetiis, per Gregorium de Gregoriis 1494, c. 2.

9. Particolare della figura prece-dente.

10. Giovanni Antonio Dosio, Scena antiquaria. Penna su carta, 1570 ca. Berlin, Staatliche Museen, Kupferstichkabinett.

11. Disegnatore italiano del XVI secolo. Scena antiquaria. Penna su carta, 1561-1565. Firenze, Bi-blioteca Nazionale, NA 159, c. 65.

12. Nicolas Beatrizet, Ritratto di Antonio da Salamanca (B XV, 243.6). Bulino su lastra di rame, 1540-1550. London, British Museum.

13. Bernardino Parenzano, Fantasia antiquaria. Penna su carta, prima del 1494. London, British Museum.

A destra:

14. Andrea Mantegna, Baccanale con tino. Bulino su lastra di rame, 1470-1480. New York, Metropolitan Museum.

15. Maestranze romane del II sec. d.C., Medea uccide i suoi figli. Sarcofago, marmo lunense, 150-160 d.C. Ancona, Museo Nazionale.

16. Maestranze romane del II secolo d.C., Storia di Kleobis e Biton. Rilievo funerario, marmo, 130-150 d.C. Venezia, Museo Archeologico.