Gli autografi "Mozartiani" di Giacomo Casanova

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GLI AUTOGRAFI "MOZARTIANI" DI GIACOMO CASANOVAdi Giovanni Vigliar – Roma

Stando alle fonti documentarie esistenti, le strade di Mozart e Casanovanon si incrociarono mai, almeno esplicitamente. Nessuno dei due, nellacorrispondenza (Mozart) o nelle memorie (Casanova) mostrò mai di averenotizia dell'esistenza dell'altro. È tuttavia interessante riflettere sucome elementi della vita e dell'opera dell'uno abbiano trovato la stradaper arrivare nell'opera e nella vita dell'altro, in forme misteriose chepossono aver viaggiato sulle ali della fama, dei topoi teatrali e letterarie forse anche di una qualche segreta affinità mediata (non stupirebbe) dalcomune amico Lorenzo Da Ponte.I due cominciarono con lo sfiorarsi a Londra: il destino volle però che ilnon ancora decenne Wolfgang vi giungesse con il padre nell'aprile 1764,solo alcuni giorni dopo l'abbandono dell'Inghilterra da parte del quasiquarantenne Casanova. Va riconosciuto, ad ogni modo, che il dislivellogenerazionale e la sostanziale indifferenza di Giacomo verso la musicaavrebbero comunque costituito un ostacolo troppo elevato perché la famaconquistata a Londra dal ragazzino salisburghese si potesse riflettere sulveneziano, trovando magari posto, retrospettivamente, tra le righe dellesue memorie.La prima vera possibilità di incontro e addirittura di frequentazionepersonale tra i due, tra l'altro entrambi massoni1, si sarebbe invece potutadare a Vienna vent'anni dopo, tra il febbraio 1784 e l'aprile 1785:Casanova, di nuovo ostracizzato in patria, lavorava come segretariodell'ambasciatore veneziano Sebastiano Foscarini, Mozart era al culminedella sua fortuna di pianista e compositore2. È ben possibile che Giacomoabbia assistito a eventi mondani come le "accademie" dirette da Mozart o loabbia incrociato in un contesto massonico. Francis-L. Mars sostiene questapossibilità3, ponendo l'enfasi soprattutto sulla sostanziale identità degliambienti di riferimento di Mozart e Casanova, desunta dalle liste disottoscrizione dell'Icosameron del veneziano e di quelle dei concerti delsalisburghese.Una seconda e ultima opportunità si verificò nell'autunno del 1787, aPraga, nei giorni della prima rappresentazione del Don Giovanni4: Mozart eDa Ponte, provenienti da Vienna, erano sul posto per le prove e gli ultimi1 Lo rammenta Giovanni MACCHIA, Casanova e il Don Giovanni di Mozart, in Tra Don Giovanni e Don Rodrigo,

Scenari secenteschi; Milano, Adelphi, 1989, pag. 161-162.2 Da Ponte, anch'egli in buone acque, era dal canto suo "Poeta dei Teatri Imperiali" econosceva Mozart dal 1783.

3 Francis-L. MARS, Casanova et Don Giovanni, in Le Cerf-Volant, n.34, avril 1961, ripubblicato inappendice a: Giacomo Casanova, Histoire de ma vie, Paris, Laffont, 1993.

4 È interessante notare come, nella letteratura mozartiana e casanoviana, si diaassolutamente per scontato che Giacomo sia stato testimone di quella storica prima per ilsolo fatto di essere stato presente in città: tuttavia, nessuna prova decisiva esiste inrealtà al riguardo. "Possiamo dubitare che Casanova, amante fervente del teatro, ... amico e rivale di Da Ponte,massone come Mozart, si sia lasciata sfuggire la rappresentazione di un'opera che aveva come tema centrale la seduzione?"Così Daniele ARCHIBUGI, Il formidabile quartetto: Mozart, Da Ponte, Casanova e il Don Giovanni, Introduzione aLouis FÜRNBERG, Mozart e Casanova, Palermo, Sellerio, 1993, pag. 20.

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ritocchi dello spettacolo; Casanova, proveniente da Dux, dove risiedevacome bibliotecario del conte Waldstein, per la stampa del suo già citato,indigeribile Icosameron e - forse - della molto più interessante Storia della miafuga dai Piombi.Nulla possiamo inferire, comunque, sulle possibilità di incontro di Viennae di Praga, anche perché le memorie di Casanova si arrestano, com'è noto,nonostante le tremila pagine, al 1774; sull'altro versante, lacorrispondenza di Mozart con il padre e la sorella si dirada e si raffreddadopo il matrimonio con Constanze (1782) e pare anche difficile che Wolfgangfosse propenso a intrattenere il severo e moralista Leopold sulle eventualifrequentazioni con un personaggio di fama europea, sì, ma discutibile comeGiacomo Casanova.Una sostanziale oscurità circonda perciò questo ipotetico rapporto,un'oscurità che può essere diradata a tratti, come accennato, solo dallamediazione della figura di Lorenzo Da Ponte, librettista principe di Mozarte al contempo in relazioni abbastanza strette - personali e "di borsa",come egli stesso tiene a sottolineare - con l'avventuriero veneziano. Echimeno indiretti di un interesse di Casanova per la sfera mozartiana si av-vertono però con riferimento a un tema specifico su cui mi è accaduto direcente di riflettere. Esso riguarda il significato da attribuire inconcreto a un documento già ben noto ai casanovisti, meno ai mozartiani,documento la cui analisi, però, mi pare sia stata in qualche modo lasciatain sospeso: si tratta dei due autografi di Casanova contenenti versionialternative della scena del quintetto nel secondo atto del Don Giovanni5. Unsecondo, minore e più evanescente, motivo di riflessione - evocato più chealtro da assonanze verbali, memorie di ascolti e immagini fuggevoli -concerne poi alcuni passi della Histoire de ma vie6 nei quali Casanova sembraprendersi il gusto di scimmiottare alcune scene delle Nozze di Figaro e del DonGiovanni.Negli anni venti il musicologo boemo Paul Nettl scoprì, nelle cartecasanoviane oggi conservate nell'Archivio di Stato di Praga, due fogliautografi (la scrittura di Casanova è inconfondibile nella sua limpidachiarezza) contenenti, con l'aspetto di una minuta, due varianti alla scenadel quintetto del secondo atto dell'opera7.

5 Esposti alla mostra Il mondo di Giacomo Casanova, un veneziano in Europa, 1725-1798, tenutasi aVenezia, Ca' Rezzonico, tra il settembre 1998 e il gennaio 1999 e riprodotti parzialmentenel catalogo edito da Marsilio, a pag. 188.

6 Che citeremo qui, quando necessario, nell'edizione Laffont del 1993.7 La scena è variamente conteggiata come settima, nona, decima, a seconda degli autoriche ne hanno parlato. Se si rispetta il principio classico che considera nuova una scena nonsolo quando muta l'ambientazione ma quando anche un solo personaggio esce o entra, la scenastessa avrebbe il numero nove.

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Si tratta dellascena in cuiLeporello, credutoDon Giovanniperché rivestitodei suoi panni,viene minacciatodelle più terribilipunizioni da DonnaElvira, Zerlina,Masetto e DonOttavio; immediata-mente prima egliera stato“catturato” dallo stesso gruppo con in più Donna Anna: quest'ultima,tuttavia, abbandona la scena non appena si rende conto che il supposto DonGiovanni è in realtà il suo servo travestito; partita Donna Anna, ilsestetto diventa un quintetto. Mettiamo di fronte il testo effettivamentemusicato da Mozart e le varianti casanoviane:

Testo di Lorenzo Da Pontemusicato da Mozart

Prima variante diCasanova

Seconda varianteDi Casanova

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(A)

Zerlina Dunque quello sei tuChe il mio MasettoPoco fa crudelmente

maltrattasti!Elvira Dunque tu m’ingannasti, o

scelleratoSpacciandoti con me da Don Giovanni!

Ottavio Dunque tu in questi panniVenisti qui per qualche

tradimento!Elvira A me tocca punirlo.Zerlina Anzi a me!Ottavio No, no: a me!Masetto Accoppatelo meco tutti e tre!Leporello Ah, pietà signori miei!

Ah, pietà, pietà di me!Do ragione a voi … a lei…Ma il delitto mio non è.Il padron con prepotenzaL’innocenza mi rubò.Donn’Elvira! Compatite:Voi capite come andò.Di Masetto non so nulla.Vel dirà questa fanciulla:È un’oretta circumcircaChe con lei girando vò.A voi, signoreNon dico niente.Certo timore…Certo accidente…Di fuori chiaro,Di dentro oscuro…Non c’è riparo…La porta, il muro…Lo… il… la…Vò da quel lato,Poi, qui celato,L’affar si sa,Oh, si sa!Ma s’io sapeva Fuggia per qua…

(Fugge)

(B)

(Leporello)Il solo Don Giovannim’astrinse a mascherarmiEgli di tanti affanni È’unica cagionIo merito perdon.Colpevole non son.La colpa è tutta quantadi quel femmineo sessoChe l’anima gl’incantaE gl’incatena il corO sesso seduttor!Sorgente di dolor!Lasciate andare in paceUn povero innocenteNon sono contumaceOffendervi non soE ve lo proveròFu lui che mi spogliòEi prese i panni mieiPer bastonar MasettoCon Donna Elvira io feiIl solo mio doverFu tale il suo volerQuel che vi dico è verMerita vostro sdegnoIl solo Don GiovanniIte a punir l’indegnoLasciatemi scappar(Fugge)

(C)

Leporello Incerto Confuso Scoperto, Deluso, Difendermi non soPerdon vi chiederò

ElviraOttavio Perdonarti non siZerlina può MasettoLeporello Solo da voi dipende

Il mio fatal destinoDa voi la grazia attendeIl palpitante cor

Zerlina Ti vò mangiar le viscereMasetto Vò divorarti l’animaOttavio Appeso ad un patiboloElvira Devi esalar lo spirito(a 4) Infame traditor Leporello Solo da voi dipende

Il mio fatal destinoDa voi la grazia attendeIl palpitante cor

(a 4) Alla forca, alla forcaLeporello Ohibò che morte sporca!(a4) In galera, in galera!Leporello Remo, busse, vita austera(a4) Vada a scopar la piazzaLeporello Sono d’illustre razza(a4) Dunque le barche

strascineràLeporello Ah no signori per carità(a 4) Che dobbiam dunque fare

Del perfido impostorLeporello Solo da voi dipende

Il mio fatal destinoDa voi la grazia attendeIl palpitante cor

(Fugge)

Qual è il significato di questo intervento di Casanova? Esso è stato pocostudiato: posso qui citare gli interventi a me noti di Edward J. Dent8 (ilquale riferisce a sua volta la ricostruzione congetturale di Paul Nettl9) e

8 Edward J. DENT, Mozart's operas, Oxford Univerity Press, 1913-1947; traduzione italiana: Ilteatro di Mozart, Milano, Rusconi, 1981, seconda edizione.

9 Paul NETTL, Da Ponte, Casanova und Böhmen, in Alt-Prager Almanach, Praga, 1927.

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Francis-L. Mars10, che sembrano pervenire tuttavia, a mio avviso, aconclusioni non dimostrabili. Di recente il tema è stato trattato, dipassaggio, anche da Giovanna Gronda11 in sede di analisi di tutte le va-rianti conosciute al testo di Da Ponte. Infine, molto suggestive - e senzaconclusioni azzardate - si rivelano le considerazioni stimolate dai dueautografi casanoviani in Giovanni Macchia12. Lorenzo Da Ponte non poté trattenersi a Praga per tutta la durata delleprove del Don Giovanni, poiché Antonio Salieri lo aveva richiamatod'urgenza a Vienna per la produzione di Axur. Secondo Dent "è stato dimostrato, inmaniera quasi certa, che il libretto dovette essere modificato, dopo la sua partenza, niente meno cheda Casanova"13: durante le prove alcuni cantanti si sarebbero lamentati delladistribuzione delle arie solistiche e avrebbero indotto Mozart adaggiungere una scena dopo il sestetto (appunto quella del quintetto) peraccontentare Felice Ponziani (Leporello). A chi rivolgersi, strettidall'urgenza, partito Da Ponte? Al personaggio a quest'ultimo più affine,fortunatamente in quei giorni presente in città. Casanova avrebbe cosìscritto prima l'aria di Leporello (testo B) quindi il concertato a cinque(testo C). Sempre secondo Dent, Mozart non sarebbe stato convinto, sulpiano drammaturgico, della soluzione: la posizione del concertato avrebbeinfatti costituito un anticlimax, essendo il pubblico già a conoscenza ditutto quanto Leporello aveva prima detto nell'aria. Casanova avrebbe allorariscritto la scena sotto l'esperta guida dello stesso Mozart, producendo iversi oggi universalmente noti (testo A): il manoscritto con la versione"accettata" (dunque un ipotetico terzo autografo) sarebbe rimasto nellemani di Mozart, finendo nella partitura e andando poi ovviamente perduto;le versioni respinte sarebbero rimaste nelle tasche di Casanova econservate per la gioia dei musicologi a venire. In definitiva, i versialla fine intonati da Mozart sarebbero di Casanova. Dent riconosce ad ognimodo che si tratta di uno scenario puramente congetturale.La ricostruzione di Francis-L. Mars ricalca quella sopra descritta,ipotizzando anch'essa che il testo alla fine messo in musica possa esseredi Casanova: in fondo questi aveva già dato prove di autore, adattatore ecritico teatrale ed era perciò in una situazione privilegiata per assisterealla preparazione di uno spettacolo nuovo. D'altra parte, secondo lo stessoMozart, che ne scrisse in una sua lettera14, le prove sembravano nonprocedere per il meglio e Casanova non fu mai avaro di collaborazionianonime. Secondo Mars, è interessante l'involuzione della caratterizzazionedel personaggio di Leporello: mentre nel testo finale musicato da Mozartegli è semplicemente un vile che trema di terrore, nell'autografocasanoviano non rinuncia a momenti di scherno, rivendicando da un latoun'ascendenza nobile (che dovrebbe attenuare la sua colpa per aver osatocircuire Donna Elvira, una dama di classe sociale superiore alla sua), eriversando dall'altro sull'intera categoria delle donne la responsabilità10 Francis-L. MARS, Casanova et Don Giovanni cit.11 Lorenzo DA PONTE, Il Don Giovanni, a cura di Giovanna GRONDA, Torino, Einaudi, 1995.12 Giovanni MACCHIA, Casanova e il Don Giovanni di Mozart cit., pagg. 147-163.13 Edward J. DENT, Il teatro di Mozart cit., pag. 203.14 Da Praga a Emilian Gottfried von Jacquin a Vienna, il 15-25 ottobre 1787 (dunque quattrogiorni prima dello spettacolo).

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dei misfatti di Don Giovanni.La linea di pensiero Nettl-Dent-Mars si è col tempo lentamente trasmessa astudiosi successivi che hanno, talvolta acriticamente, riferito dellapossibilità che alcuni dei versi del Don Giovanni possano essere statiscritti proprio da Casanova15. Secondo Daniele Archibugi16 si può ipotizzareche Da Ponte, al momento di lasciare improvvisamente Praga, abbia chiesto aCasanova di dare una mano a Mozart se questi ne avesse avuto bisogno, manon si riesce a spiegare perché le varianti del veneziano non furonointrodotte nel testo finale (furono scartate da Mozart o arrivarono inritardo, quando non era più possibile inserirle senza ritardareulteriormente la prima?).In un saggio nel suo genere ben più significativo, Giovanna Grondaricostruisce nella sua interezza il complesso delle varianti cheinteressarono il libretto di Da Ponte nelle sue due stampe di Vienna (1787e 1788), in quella di Praga (1787) e nell'uso che ne fece Mozartsottoscrivendolo alle note nella partitura autografa. In questa sede, aproposito della scena che qui ci interessa, la Gronda loda l'abilitàespressiva del librettista ("spregiudicato plurilinguismo", "agilità verbale capace di farsidialogo e movimento"17, appropriata successione dei metri e delle rime) e la suacapacità di radicare i versi nella situazione di fatto e nellecaratteristiche teatrali del personaggio (servo, pauroso, bugiardo,astuto), e apprezza anche le modifiche (un semplice recitativo) che lostesso Da Ponte apportò proprio al testo della nostra scena per la ripresaviennese dell’opera nel 1788. A questo punto essa fa un'affermazione nettae di grande interesse: "chi confronti l'una e l'altra versione con le due varianti che di questastessa scena elaborò Giacomo Casanova, dopo aver assistito a Praga alla prima rappresentazione delDon Giovanni, non tarderà a riconoscere in Da Ponte l'uomo di teatro che sa il fatto suo, in Casanovail letterato che fa prove di versificazione ... non ci riesce di immaginare come Mozart avrebbe potutointonare questi versi insieme ambiziosi e malaccorti... la monotonia ritmica e rimica è pari alpatetismo delle apostrofi... al frastuono goffamente minaccioso risponde una buffoneria dabaraccone, in una sticomitia tanto condizionata dalla ricerca di rime baciate quanto priva di estro.Sono i tranelli del linguaggio comico quando a maneggiarlo sia un dilettante"18. La Grondaesprime dunque sul tentativo di Casanova un severo giudizio estetico enello stesso tempo sottrae ai nostri autografi ogni significato pratico,ipotizzando che essi siano stati solo il frutto di una privata velleitàletteraria del veneziano incoraggiata dalla rappresentazione di Praga.L'analisi di Macchia punta invece sottilmente, più che sull'inesperienzadrammaturgica di Casanova, sul carattere precipuo della sua competenzateatrale, una competenza di tipo tradizionale, o per meglio dire classica oclassicista, che gli fece probabilmente considerare con fastidio lacommistione di generi - sublime e grottesco - che si riscontra non solo inquella scena ma un po' ovunque nel capolavoro mozartiano: uomo del15 Ad esempio, April FITZLYON, Lorenzo Da Ponte, a biography of Mozart's librettist, John Calder, London,1982, pag. 264; Sheila HODGES, Lorenzo Da Ponte, The life and times of Mozart's librettist, traduzioneitaliana: Lorenzo Da Ponte, la vita e i tempi del librettista di Mozart, Vittorio Veneto, Kellerman editore,1992, pag. 94.

16 Daniele ARCHIBUGI, Il formidabile quartetto cit., pag. 32.17 Lorenzo DA PONTE, Il Don Giovanni cit., pag. XXII.18 Id., Il Don Giovanni cit., pag. XXIII-XXIV.

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Settecento, ben al di qua delle soglie dello Sturm und Drang, Giacomo restafedele alla separazione aristotelica degli stili, non è in grado dicogliere l'evoluzione della forma verso esiti romantici. Interviene sultesto per rimaneggiare una situazione fra il patetico e il comico, ma solodopo che Donna Anna, l'unico vero personaggio da opera seria, che da quelgrottesco non può e non deve essere contaminata, ha abbandonato la scena:la sua alta missione morale, invero, è quella di punire Don Giovanni, unsuo pari, non certo un servo. Dunque Casanova produce una prima variante:quattro dei cinque personaggi in scena vengono fatti tacere, il soloLeporello canta e porta avanti una sezione interamente "buffa", noncommista con altro stile. La seconda variante sarebbe dovuta a unpentimento dello stesso Casanova: tacitare improvvisamente ben quattro deicinque personaggi pur presenti sulla scena e affidare l'azione al soloservo sarebbe stato infatti incongruo e drammaturgicamente non credibile:ecco perciò che reintroduce il concertato a cinque, sempre rigorosamente inuno stile buffo in nessun modo ibridato. Come ho accennato, Macchia non sipronuncia sulla effettiva funzione pratica che gli autografi di Casanovapoterono svolgere nella produzione del Don Giovanni a Praga né sulla even-tualità che entrambi siano stati scartati da Mozart e che una terzaversione abbia infine trovato accoglienza definitiva e veste musicale.Anche le considerazioni di Macchia sono, come le precedenti, prive diaddentellati di fatto (a parte ovviamente l'acuta osservazione sul tipo dicompetenza teatrale vantata da Casanova); bisogna tuttavia ammettere comeesse siano suggestive per l'approfondimento degli aspetti psicologici edelle possibili emozioni che l'opera mozartiana poté produrre sulsessantaduenne libertino aspirante filosofo, ipotizzato presente in teatro.Si trattò forse, per Casanova, di un'improvvisa illuminazione: "Mozart e DaPonte avevano reso immortale la vita di un personaggio inventato. Egli avrebbe potuto rendereimmortale non la vita di un altro, ma la propria vita, che era certo quella di un libertino, sì, ma anche,ripeteva, di un pensatore"19. In che modo? Facendo sì che la fama e il ricordodella sua avventurosa esistenza non finissero con lui. Aveva già scritto ditutto: di filosofia, di teatro, di matematica, di magia, di poesia, avevatradotto un canto dell'Iliade, si era intrattenuto con Voltaire e con moltidei maggiori esponenti della cultura del secolo: "non erano dunque le donne, comenei tanti Don Giovanni, l'unica ragione della sua esistenza. Sentiva di essere un personaggio ben piùcomplesso". Avrebbe allora scritto le sue memorie, ma non in formaapologetica, giustificativa, piuttosto in forma di coraggiosa e disinibitaconfessione, "fermo il core in petto", gettando la propria vita "come una sfida sultavolo da gioco della storia. Vitalismo, gioia, ricerca del piacere e della felicità, e soprattutto nessunatragedia"."Nessuna tragedia". Questa felice notazione dovrebbe contribuire a smentirel'ormai consolidata ma superficiale equivalenza tra il mito di Don Giovannie quello di Casanova: nel Burlador, in tutte le sue versioni, non cultura,non idee, non capacità di astrazione, bensì violenza sottintesa oesplicita, fondamentale disprezzo delle donne, substrato demoniaco,incapacità di distinguere il gioco dal crimine; nel veneziano, nessunistinto di morte, ma un'attrazione verso le donne che, pur frutto di una

19 Giovanni MACCHIA, Casanova e il Don Giovanni di Mozart cit., pag. 150

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patologica e irrisolta coazione a ripetere e incapacità a legarsi, non glipregiudica la possibilità di riempire talvolta di un sentimento positivo -chiamalo affetto, nostalgia, ammirazione, in qualche caso anche amore(Manon Balletti?, M.M.?, Henriette?) - le poste del proprio personale"catalogo". Di tutto ciò qualcosa pur emerge, magari involontariamente,dalle memorie: non si può programmaticamente mentire con coerenza per tre oquattromila pagine.Cosa concludere dunque circa il significato dei due autografi? Lericostruzioni che accreditano Casanova come librettista "di scorta" diMozart non sono supportate da alcun elemento di plausibilità: nella citatalettera a von Jacquin Mozart descrive, sì, qualche retroscena dellapreparazione dello spettacolo, con le immancabili "cabale" contro di lui,ed esprime critiche verso la pigrizia dei cantanti; nulla dice però dipossibili problemi con la scena che qui ci interessa. Casanova dunque, comesostiene ragionevolmente la Gronda, avrebbe puramente e semplicementepotuto annotare degli appunti per se stesso, dopo aver assistito alle proveo alla prima, come a dire che la scena, così com'era, violando canonichenorme di stile, non era ortodossa e doveva essere riscritta diversamenteper essere costruita meglio di quanto avesse saputo fare il suo più giovaneamico, concorrente, rivale, nonché creditore, Da Ponte.

Qualche anno dopo, d'altra parte (ed è questo il secondo motivo diriflessione cui accennavo all'inizio), l'Histoire de ma vie avrebbe accoltoaltre impalpabili ma significative tracce dell'esperienza emozionalevissuta da Casanova non solo con Don Giovanni ma anche con Le Nozze di Figaro,opere entrambe amatissime a Praga. È certo possibile che la memoriaretrospettiva dell'ormai sessantacinquenne memorialista di Dux si sialasciata influenzare da una realtà più immaginata che vissuta, cioè dai de-sideri, magari insoddisfatti, confondendo la finzione teatrale con la vitareale. È il caso del passo dell'Histoire in cui il servo di Giacomo(all'epoca tale Leduc), si veste con abiti da signore, "spada al fianco"20, e vaa compiere le sue personali gesta amorose, facendoci immediatamente venirein mente l'operazione di scambio di identità tra Don Giovanni e Leporellonel secondo atto dell'opera.

20 Histoire de ma vie, Laffont, 1993, vol. Il, pag. 475.

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O quando lo stesso servitore, per evitare una bastonatura, salta giù dalbalcone21, con conseguente grido di spavento delle ragazze presenti, e fuggelestamente senza riportare danni: proprio come il paggio Cherubino che, nelsecondo atto delle Nozze, sguscia fuori dallo spogliatoio della Contessa esfugge, illeso, alle ire del Conte d'Almaviva seguendo la stessa disagevole

strada.

21 Ibidem, vol. Il, pag. 491.

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O infine quando, a Napoli22, Giacomo è a un passo dallo sposare unafanciulla, Leonilda, di cui scopre in extremis essere il padre: come nonvedervi l'eco del meraviglioso concertato delle Nozze ("Sua madre? Sua madre!";Suo padre? Suo padre!") in cui Figaro si scopre figlio di Marcellina (che unincauto contratto avrebbe costretto a sposare) e nel quale miracolosamente

si ricompone l'armonia tra personaggi fino ad allora ostili.

22 Ibidem, vol. II, pag. 635.

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La prudenza critica ci induce perciò a non sopravvalutare la funzione degliautografi per la soluzione del mistero che si cela dietro di essi; eppure,sarebbe bello pensare che un frammento del Cavaliere di Seingalt, del suomondo, per un curioso accidente della storia sia rimasto catturato nellemaglie di uno dei massimi esiti artistici del genio umano, apportandovi unsia pur minuscolo contributo e legandovisi in tal modo per sempre. Di più:potrebbe riconoscersi in ciò addirittura l'astuzia del destino, che nonavrebbe tollerato l'esclusione del veneziano dal febbrile cantiere in cuisi stava costruendo una volta per sempre l'archetipo universale dellapassione per le donne e del pensiero libertino. Non arreca nessun dannoimmaginarlo e Giacomo - finalmente realizzatosi come filosofo - ne sarebbestato orgoglioso.

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