Dominio del mondo e conversione dell'anima in La superciviltà e il suo conflitto interno

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8 λeússein - 1/2012 Dominio del mondo e conversione dell’anima in La superciviltà e il suo conflio interno 1 Ondřej Švec Introduzione Jan Patočka, nel suo scrio dedicato a La superciviltà e il suo conflio inter- no, che risale alla prima metà degli anni Cinquanta e che resterà inedito fino alla sua morte, cerca di sviluppare una concezione originale e disincantata della storia, prendendo le distanze dall’idea di progresso storico promossa dal materialismo dialeico dominante nelle istituzioni coeve. In opposizio- ne al dogma marxista che vedeva la storia come un cammino progressivo verso l’equilibrio araverso il superamento dei conflii di classe, Patočka propone una dialeica del declino che si manifesta nelle perpetue crisi che investono la moderna civiltà occidentale; quest’ultima pur appoggiandosi a una razionalità di tipo esclusivamente strumentale, non cessa di proporsi come universale. Piuosto che rendere conto della costituzione progressi- va dei fondamenti spirituali dell’Europa, Patočka si sofferma sulle ragioni e sugli effei della dissoluzione di questi ultimi, anticipando in tal modo il tema della crisi europea nell’era della tecnica che diventerà l’oggeo dei suoi ultimi scrii 2 . Analizzando La superciviltà e il suo conflio interno, mi 1 Questo saggio è stato scritto nell’ambito del progetto di finanziamento GA ČR no. 401/11/1747 “Overcoming Subjectivism in Phenomenology: An Assesment of Patočka’s Concept of Phenomenality”. Traduzione dal francese a cura di L. Sinibaldi. 2 Mi riferisco in particolare alle riflessioni pubblicate in J. Patočka, Platón a Evropa, in Sebrané spisy ( Opere Complete ) II, Péče o duši ( Cura dell’anima ) II, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praha, Oikoymenh, 1999, pp. 149-355; tr. it. di M. Cajthaml e G. Girgenti, Platone e l’Europa, Milano, Vita e Pensiero, 1997; e in J. Patočka, Kacířské eseje o filosofii dějin, in Sebrané spisy ( Opere Complete ) III, Péče o duši ( Cura dell’anima ) III, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praha, Oikoymenh, 2002, pp. 13-144; tr. it. di G. Pacini, Saggi eretici

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Dominio del mondo e conversione dell’anima in La superciviltà

e il suo conflitto interno1

Ondřej Švec

Introduzione

Jan Patočka, nel suo scritto dedicato a La superciviltà e il suo conflitto inter-no, che risale alla prima metà degli anni Cinquanta e che resterà inedito fino alla sua morte, cerca di sviluppare una concezione originale e disincantata della storia, prendendo le distanze dall’idea di progresso storico promossa dal materialismo dialettico dominante nelle istituzioni coeve. In opposizio-ne al dogma marxista che vedeva la storia come un cammino progressivo verso l’equilibrio attraverso il superamento dei conflitti di classe, Patočka propone una dialettica del declino che si manifesta nelle perpetue crisi che investono la moderna civiltà occidentale; quest’ultima pur appoggiandosi a una razionalità di tipo esclusivamente strumentale, non cessa di proporsi come universale. Piuttosto che rendere conto della costituzione progressi-va dei fondamenti spirituali dell’Europa, Patočka si sofferma sulle ragioni e sugli effetti della dissoluzione di questi ultimi, anticipando in tal modo il tema della crisi europea nell’era della tecnica che diventerà l’oggetto dei suoi ultimi scritti2. Analizzando La superciviltà e il suo conflitto interno, mi 1 Questo saggio è stato scritto nell’ambito del progetto di finanziamento GA ČR no.

401/11/1747 “Overcoming Subjectivism in Phenomenology: An Assesment of Patočka’s Concept of Phenomenality”. Traduzione dal francese a cura di L. Sinibaldi.

2 Mi riferisco in particolare alle riflessioni pubblicate in J. Patočka, Platón a Evropa, in Sebrané spisy (Opere Complete) II, Péče o duši (Cura dell’anima) II, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praha, Oikoymenh, 1999, pp. 149-355; tr. it. di M. Cajthaml e G. Girgenti, Platone e l’Europa, Milano, Vita e Pensiero, 1997; e in J. Patočka, Kacířské eseje o filosofii dějin, in Sebrané spisy (Opere Complete) III, Péče o duši (Cura dell’anima) III, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praha, Oikoymenh, 2002, pp. 13-144; tr. it. di G. Pacini, Saggi eretici

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propongo al contempo di riflettere sul rapporto tra la tecnica e la politica e sulle ragioni che spingono Patočka a cercare nella conversione interiore un antidoto possibile agli effetti di quello che ho chiamato nel titolo “dominio del mondo” e che secondo Patočka è uno dei tratti fondamentali della “su-perciviltà”.

1. Il dominio della natura e l’abbandono della cura di sé

La pretesa della “superciviltà” di diventare la civiltà per antonomasia trova il suo appoggio e la sua giustificazione in una “crescente raziona-lizzazione [che] diviene, nei tempi moderni, a partire della fine del XVII secolo, il fattore fondamentale e determinante della vita sociale”3. La prete-sa all’universalità della civiltà moderna riposa sull’universalità del sapere che risulta da una comprensione delle cose che procede tramite il metodo dell’esposizione dell’argomento e della sua critica, rinunciando a postulare una verità dottrinale4. In tal modo si forma un sapere positivo e stringente, comunicabile e comprensibile, in linea di principio, a tutti, e che permette un’accumulazione delle sue acquisizioni. La razionalità critica e oggettivan-te, dunque, permette alla civiltà moderna di diffondersi su scala planetaria e di mettere in atto un dominio senza precedenti sulla natura. È in tal senso che si può parlare di “superciviltà”. Eppure, la stessa razionalità oggetti-vante che ha permesso di dominare il mondo oggettivo, fornisce pochi e de-boli strumenti per diventare padroni di se stessi, poiché le questioni legate al senso dell’esistenza non si prestano a un trattamento analogo a quello che può essere applicato all’universo delle cose. Detto altrimenti, lo stesso stile di pensiero che ha permesso lo slancio delle scienze della natura e che costituisce il cuore stesso del nuovo sapere razionale non può essere esteso in maniera meccanica a questioni etiche. Rinunciando a trattare le questio-ni concernenti il senso ultimo dell’esistenza in quanto ritenute estranee al dominio della razionalità, la “superciviltà” moderna tende a predicare la tolleranza e a relegare le questioni etiche alla sfera delle scelte individua-li5. Patočka chiama “moderata” questa variante della “superciviltà” poiché essa si limita alla volontà di dominare il mondo e non si pone come obiet-tivo quello di ricostruire la società, incoraggiando considerando il plura-

sulla filosofia della storia, Bologna, Cseo biblioteca, 1981.3 J. Patočka, Nadcivilizace a její vnitřní konflikt, in Sebrané spisy (Opere Complete) I, Péče o

duši (Cura dell’anima) I, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praha, Oikoymenh, 1996, pp. 243-302; tr. it. a cura di F. Tava, La superciviltà e il suo conflitto interno, Milano, Edizioni Unicopli, 2012, p. 55.

4 J. Patočka, La superciviltà e il suo conflitto interno, cit., p. 71.5 Ivi, p. 73.

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lismo degli stili di vita fintanto che non sono trasgrediti i limiti imposti dal diritto costituito. Tuttavia, Patočka non è meno sensibile alle debolezze, all’instabilità e ai conflitti interni che sono l’altra faccia della medaglia della “superciviltà” moderata i cui proclami di tolleranza e di rispetto spesso celano un certo torpore morale. Patočka riprende la riflessione che Berg-son fa sullo scarto “tra l’enormità del progresso tecnico e l’insignificanza se non addirittura l’assenza del progresso morale”6. Per utilizzare le parole di Bergson, la padronanza sulle cose richiede di essere accompagnata “da una padronanza di sé che rende indipendenti dalle cose”7. Sfortunatamen-te, quest’ultima non compare tra le parole d’ordine di un’epoca che sembra essere ossessionata dall’aumento del livello di vita. Traducendo questa idea nei termini di Patočka, la preoccupazione di dominare il mondo ha pro-gressivamente oscurato il compito della “cura dell’anima”. Questo concetto chiave, mutuato da Platone, implica la cura del sé in senso non psicologico ma piuttosto etico ed esistenziale, ovvero come un modo di vita insepa-rabile dalla cura dell’altro e della città. Al contrario, la frenesia dell’epoca moderna induce ad abbandonare la responsabilità della cura dell’anima in favore dell’avidità per le cose.

Concretamente, nell’epoca in cui il progresso si è trasformato in un obiettivo fine a se stesso, la politica si interessa sempre più ai mezzi per ottenerlo, senza interrogarsi sulle finalità dello stesso. L’aspetto saliente della “superciviltà moderata” consiste allora in un restringimento del con-cetto di razionalità che considera i problemi legati al senso dell’esistenza come vani, impegnandosi principalmente in questioni di ordine strumen-tale. Così, scrive Patočka, la variante moderata della “superciviltà” cerca solamente di delimitare “un ambito in cui la nostra vita, nel suo insieme, tende ad acquisire una lucidità particolare e una trasparenza razionale sempre maggiore, anche se, in tale ambito, si potranno risolvere solo le questioni relative ai mezzi, e non ai fini”8. Riconoscendo che non si pos-sono trattare le questioni legate ai valori con gli stessi criteri con cui si trattano gli enigmi sul funzionamento della natura, la razionalità moderna ha la tendenza a instaurare dei limiti propri a ciascun ambito della nostra esistenza e a relegare le questioni etiche, religiose ed esistenziali, alla sfera privata. Descritta sul piano politico dal liberalismo e, sul piano etico, dal-l’individualismo, la “superciviltà moderata” si confronta incessantemente con le due minacce che contestano una tale sospensione della questione dei valori. Da una parte, il liberalismo è regolarmente esposto alle criti-

6 Ivi, p. 74.7 H. Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion, Paris, PUF/Quadrige, 1990, p.

320. 8 J. Patočka, La superciviltà e il suo conflitto interno, cit., p. 61.

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che del conservatorismo particolarmente legato ai valori della tradizio-ne, della patria e ad altri particolarismi che rischiano di compromettere la tensione verso l’universale; d’altra parte, la “superciviltà moderata”, malgrado i suoi sforzi crescenti di piegare la natura ai bisogni dell’uomo, non ha saputo evitare la sofferenza, l’atomizzazione sociale e la margina-lizzazione di certe persone e di certi Paesi, tutte cose che hanno favorito, e continuano a favorire, differenti forme di radicalismo che pretendono di trovare una soluzione sia tecnica sia morale per riorganizzare la società e ridistribuire i beni.

2. Le promesse e i rischi di una razionalità radicalizzata

Criticando l’incapacità del moderatismo di dare una risposta adeguata alla povertà e alla sofferenza, il radicalismo razionalista acquisisce una “supremazia morale” che Patočka è incline a riconoscergli: “La verità in-terna del radicalismo consiste nell’urgenza provocata dalla sofferenza umana, nell’appello imperativo che tale sofferenza ci rivolge, appello che, tramite gli sforzi del radicalismo, si tende oggi a concepire nel suo ca-rattere di potente forza reale, sulla cui base si fondano i grandi successi morali riportati da questa corrente”9. Patočka, inoltre, vede nell’appello morale del radicalismo una sorta di vigilanza necessaria contro il torpore e la disattenzione del liberalismo di fronte alle esigenze etiche10. Mentre il moderatismo si confina nei limiti di una razionalità cosale, ammettendo la finitezza della ragione e concentrandosi sulle questioni di ordine stru-mentale a detrimento delle questioni etiche, il radicalismo auspica l’allar-gamento del regno della razionalità a tutti gli ambiti dell’esistenza, impo-nendo la razionalità stessa come il solo accesso alla verità. L’obiettivo del radicalismo non si limita più al dominio della natura ma include anche la promessa di una ricostruzione razionale della società in vista di una redistribuzione più equa delle ricchezze. Patočka illustra questa variante radicale della “superciviltà” proponendo come esempio il modello del-la pianificazione e della collettivizzazione che caratterizzano il progetto comunista11. Egli spiega allora le ragioni per le quali il radicalismo, per

9 Ivi, p. 117.10 Ivi, p. 117.11 Tuttavia egli riconosce che la variante radicale della superciviltà non dovrebbe essere

identificata con un solo orientamento politico, sociale o filosofico, poiché essa ha assunto, nel corso della storia, forme assai differenti: a partire da alcuni pensatori radicali della tradizione illuministico-razionalistica, passando per il culto dell’Essere Supremo durante la dittatura giacobina, agli utilitaristi come Jeremy Bentham, o James Stuart Mill, fino alla dottrina del marxismo leninismo. Cfr. ivi, pp. 61-62.

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lo meno negli Stati legati all’ideologia del marxismo-leninismo in cui si è concretizzato, è incapace di dare una risposta adeguata all’appello morale da cui traeva la sua legittimazione.

In primo luogo il razionalismo radicale, nella misura in cui applica la ratio non solamente al mondo delle cose ma anche alle vicende umane, porta con sé una contraddizione: pur promettendo l’uguaglianza e la liber-tà degli esseri umani, esso tratta le vicende umane come questioni tecni-che da risolvere, sacrificando la libertà individuale a vantaggio di un’orga-nizzazione pianificata secondo l’ordine della ragione. “Il sistema radicale consiste nell’idea della penetrazione e della dominazione assoluta di ciò che è, sia esso umano o extra-umano. A partire dall’assolutezza della sua capacità di manipolare e stabilire un controllo sull’essere, tale sistema or-ganizza la vita umana, individuale e collettiva, come se si trattasse di un compito tecnico riguardante la mera esteriorità”12. In secondo luogo, seb-bene il marxismo volesse liberare l’esistenza degli esseri umani dalla su-bordinazione alla meccanica, le sue realizzazioni concrete hanno condotto a regimi di controllo onnipresenti e dunque a una reificazione dei rapporti sociali. Razionalizzando l’ordine sociale e instaurando il regno totale della ragione al fine di regolare le vite individuali in tutte le sfere dell’esistenza e secondo criteri unici, la tendenza totalizzante della “superciviltà” rischia di minare i suoi stessi fondamenti, ovvero innanzitutto il principio della libertà. Quanto al secondo, ovvero la ricerca libera della verità, il radi-calismo lo assoggetta al servizio della ricostruzione sociale, riducendo al silenzio le voci che contestano lo schema ideologico, squalificandole come incomprensioni dell’unica finalità storica. Ora, poiché la libertà è la condi-zione affinché rimanga aperta la ricerca di un sapere vero, la totalizzazione della ragione rischia di sfociare nell’irrazionalismo, ovvero nella mitologia dell’implacabile logica della storia di cui l’interpretazione dialettico-mate-rialista diviene il dogma13.

Rifiutando fermamente di vedere nella storia la linea di un progres-so il cui concatenamento è possibile ricostruire in maniera determinista, Patočka intende rivelare, attraverso le vicissitudini della storia moderna, una “dialettica del declino”14. Il decadimento trarrebbe le sue origini da una concezione erronea della libertà la quale si manifesta in seno alla “su-perciviltà” in una forma decadente, ovvero nell’individualismo liberale dove gli uomini sono ridotti ad atomi. Una tale concezione certo permette

12 Ivi, pp. 75-76.13 “Tutti questi capovolgimenti sono le manifestazioni di una svolta profonda, della

conversione dalla volontà di verità in un nuovo illusionismo, in una nuova mitologia della fine della storia”; ivi, p. 79.

14 Ivi, p. 112.

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all’economia politica di studiare le interazioni di questi “individui-atomi” sul piano delle forze oggettive, vedendo nei loro bisogni e nei loro inte-ressi economici la chiave per comprendere le leggi del mercato. Tuttavia, questo pensiero teorico si riflette a livello pratico nella “realtà della vita economica, il cui unico principio è quello dell’accumulazione della poten-za economica nelle mani di individui autonomi e il suo sfruttamento, sen-za scrupoli, in concorrenza con altre forze, caratterizzate da questo stesso orientamento centripeto”15. Si potrebbe riassumere la logica inerente al passaggio dalla variante moderata della “superciviltà” a quella radicale nei termini seguenti: l’errore di concepire la libertà sotto forma di un in-dividualismo decadente dà luogo a una società atomizzata e non-egalita-ria che stimola le rivendicazioni di una società radicalmente riorganizza-ta, centralizzata e subordinata a una pianificazione collettiva. Mentre il marxismo interpreta questa transizione nei termini di una dialettica della rinascita sociale, per Patočka si tratta, invece, di una dialettica del declino, poiché quest’ultima porta a un’organizzazione ipertrofica e alla svaluta-zione di ogni esistenza o coscienza individuale che si distanzia dallo sche-ma ideologico.

Anche se Patočka appare critico nei riguardi della variante radicale del-la “superciviltà”, non aderisce tuttavia agli schemi del liberalismo di cui mette in luce le insufficienze e le contraddizioni interne che costituiscono l’origine stessa del declino di cui si è parlato precedentemente. Patočka inoltre precisa che la concezione moderata della “superciviltà” non do-vrebbe essere identificata esclusivamente con il liberalismo poiché que-st’ultimo, da un lato, è soltanto una delle forme possibili nelle quali essa si concretizza e, dall’altro, nella sua attuale manifestazione, si presenta, secondo Patočka, come una forma “poco riuscita”16. Inoltre, le critiche indirizzate da Patočka alla reificazione delle vicende umane che avviene sotto l’imperativo dell’efficienza possono applicarsi sia all’economia liberale sia alle conseguenze nefaste della collettivizzazione e della pianificazione. A questo punto è tuttavia possibile spingersi oltre e radicalizzare la criti-ca avviata dal filosofo: in alcuni passaggi Patočka sembra, a mio avviso, sottovalutare le tecniche del potere nelle cosiddette società liberali. Egli interpreta, infatti, la versione liberale del moderatismo come una forma di dominio che resta focalizzata principalmente sulla padronanza delle mac-chine e dell’universo delle cose e che si priva volontariamente della pos-sibilità di una gestione tecnica delle vicende umane: “Nel moderatismo predomina una tecnica oggettiva, orientata verso le macchine, gli utensili, gli strumenti [k strojům, nástrojům, přístrojům]. L’ambito naturale della 15 Ivi, pp. 113-114.16 Ivi, p. 101.

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tecnica moderata riguarda, innanzitutto, l’aspetto materiale delle cose; in tale ambito rientra ciò che facilita la vita, per mezzo di un controllo su ciò a cui la scienza, ossia un sapere generalmente vincolante, può accedere”17. Ora, Foucault ha chiaramente messo in evidenza come la società moderna abbia esteso il modello del panoptismo non soltanto alle prigioni, ma anche alle fabbriche, alle scuole, agli ospedali e ad altre istituzioni. In tal modo, le soluzioni tecniche della società disciplinata, come per esempio la setto-rializzazione, permettono di dividere lo spazio, ordinare il tempo e con-centrare le persone ripartendone lo “spazio-tempo” per facilitare la sorve-glianza e per aumentare l’effetto produttivo, insomma di introdurre “un dispositivo funzionale che deve migliorare l’esercizio del potere renden-dolo più rapido, più leggero, più efficace, un disegno di coercizioni sottili per una società da venire”18. Dunque, anche in seno alle cosiddette società liberali, lo sviluppo del complesso scientifico industriale ha una sua pro-pria dinamica che impone alla società una riorganizzazione dei rapporti inter-umani, come nota d’altronde Patočka stesso quando individua nella divisione del lavoro e nel mercato mondiale le caratteristiche proprie della “superciviltà” razionale19. La sua concezione resta tuttavia troppo fedele alla critica marxista della reificazione e dell’alienazione dell’uomo che av-viene sotto l’effetto dello sviluppo considerevole dell’industria moderna e capitalistica. Foucault, invece, insiste sia sul carattere eterogeneo delle differenti tecniche di potere, che non provengono da un unico centro, sia sulle ripercussioni dei nuovi tipi di sapere sull’organizzazione e sulla sor-veglianza nelle società moderne. Ne consegue che anche la versione detta “moderata” della civiltà razionale dispiega tutta una rete di strumenti di controllo che permettono di dirigere la vita degli individui in modo estre-mamente sottile ed economico, di imporre buone condotte e di governare, in modo efficace, i rapporti sociali. Malgrado tutte queste differenze, le analisi di Foucault sulla trasformazione dei rapporti sociali sotto l’impera-tivo dell’efficienza e della produttività sembrano precisare e al contempo radicalizzare le riflessioni del fenomenologo ceco. Quest’ultimo infatti si interroga soprattutto sulle condizioni esistenziali degli esseri umani nel-l’era della tecnica, la quale rischia di ridurre l’individuo a una semplice funzione o alla prestazione che esso fornisce nel quadro dei mezzi di pro-duzione disponibili. In che modo allora Patočka intravede la possibilità di porre fine al dominio puramente tecnico del mondo e di opporsi alla dialettica del declino tratteggiata precedentemente?

17 Ivi, p. 74.18 M. Foucault, Surveiller et punir: naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975, p. 211. 19 J. Patočka, La superciviltà e il suo conflitto interno, cit., p. 57.

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3. Possibilità e necessità di una conversione interiore

Se il difetto della razionalità moderna è quello di trattare le questio-ni umane secondo un approccio puramente oggettivo, allora appare vano cercare una via di uscita dalla crisi attraverso l’imposizione di una nuova tecnica sociale, la riorganizzazione dei rapporti di forza o la redistribu-zione dei mezzi di produzione: “Nessuna tecnica sociale, nessuna tecnica di organizzazione delle forze oggettive della collettività può risolvere de-finitivamente il problema della decadenza sociale che non si riduce alla questione razionale del dominio delle forze di cui la società dispone […]. Sembra, al contrario, che quanto più l’organizzazione della potenza col-lettiva si perfezioni, tanto più vada accrescendosi la tendenza alla mec-canizzazione della vita. In tal modo, la tendenza verso il declino non fa che rafforzarsi”20. Se è vero che l’ingegneria sociale resta prigioniera di un dominio tecnico delle vicende umane, allora essa non saprà risolvere né il conflitto interno della “superciviltà” né il problema dell’oggettivazione dell’uomo da parte della tecno-scienza. In un contesto nel quale la prin-cipale preoccupazione della politica contemporanea sembra essere quel-la di accrescere il livello materiale di vita, l’antidoto proposto da Patočka consiste in quella che lui chiama conversione interiore. Detto altrimenti, per sottrarsi ai criteri del calcolo razionale (propri dell’era della tecnica) operato sulle persone trattate come “mezzi disponibili”, è necessaria “una svolta concreta nel modo di risolvere i problemi della vita, di rispondere ai quesiti che riguardano il proprio fondamento interiore: ‘Come vivere?’, e ‘perché vivere?’”21. Se ogni civiltà trae slancio dalle risposte specifiche che ciascuna dà a queste domande, anche la sopravvivenza della “super-civiltà” razionale dipenderà dalla sua capacità di far ritorno ai fondamenti spirituali della sua origine e del suo dispiegamento universale. Nel caso concreto della variante moderata della “superciviltà”, il compito consiste nel rinnovare continuamente l’interpretazione dei valori sui quali essa si fonda, ovvero la verità e la libertà. Si è visto precedentemente, da un lato, come il liberalismo abbia ridotto il senso della verità a un sapere oggetti-vabile e, dall’altro, come il senso della libertà sia stato confuso con l’ideo-logia dell’individualismo. Se il declino consiste in “uno smarrimento nella questione della verità”22, si tratta in primo luogo di definire che cosa si-gnifichi vivere nella verità, ammettendo che “la verità non è una semplice ‘questione teorica’, risolvibile tramite ‘metodi oggettivi’ e mezzi sempre a disposizione dell’umanità, sotto forma di determinate persone o istitu-

20 Ivi, p. 117.21 Ivi, p. 54.22 Ivi, p. 112 (traduzione modificata).

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zioni preposte a tale scopo. La verità, in un senso più originario e profon-do, consiste nella lotta dell’uomo per l’essenziale libertà interiore che egli possiede nel suo intimo, nella sua essenza, ma non sul piano dei fatti”23. Il tipo di conversione cui invita Patočka in questo passaggio consiste nel volgersi verso il senso più profondo della verità al fine di comprendere che essa rappresenta la possibilità di una libertà interiore e che ci riguar-da, non solo nella misura in cui ci si può appoggiare a essa per dominare il mondo, ma anche perché essa investe la maniera in cui siamo presenti nel mondo. Certo, con questo Patočka non vuole dire che la verità è sotto-messa all’arbitrio dell’uomo, ma piuttosto che “la verità può essere colta esclusivamente nel fare, e solo un essere che agisce effettivamente (che non “riflette” semplicemente un processo oggettivo) può relazionarsi alla ve-rità”24. In secondo luogo, la “superciviltà moderata” può cogliere il valore profondo del principio di libertà solo se si attiene a una disciplina rigorosa, che la liberi dalla sua ossessione per una crescita all’infinito. Scrivendo in un contesto caratterizzato sia dalla decolonizzazione sia dalla tensione tra le super-potenze volte ad accrescere i propri armamenti nucleari, Patočka insiste sulla necessità per la “superciviltà” di “spiritualizzarsi attraverso una volontà di sacrificio nel senso di rinuncia a tutti i vantaggi e privilegi superflui”25. Secondo Patočka, è soltanto a prezzo di una tale rinuncia alla superiorità delle forze e delle ricchezze, che la “superciviltà” moderata può evitare di sprofondare in nuovi particolarismi e conferire in tal modo un senso positivo alla sua tensione verso l’universalità. Per evitare i rischi indicati e dunque condurre in modo responsabile questo grande movi-mento che porta la superciviltà moderna dal suo sradicamento interno allo stadio universale di una civiltà mondiale, “bisognerà imparare a pensare in maniera universale, e non più in termini di persone, di classi, di nazioni, di continenti privilegiati”26. Questo movimento globale sul piano politico è strettamente legato alla necessità di una conversione individuale, ovvero di un impulso proveniente da alcuni individui senza il quale il progetto di una tale comunità di giustizia non sarebbe nemmeno immaginabile. Nel suo scritto del 1967, intitolato Il mondo naturale e la fenomenologia, Patočka ripropone questa conversione interiore in un contesto inter-soggettivo identificandola nel terzo movimento dell’esistenza, quello della dedizione e dell’apertura verso l’altro: attraverso una rinuncia a interessi egocentrici, un tale movimento permetterà di vincere i particolarismi di una vita ato-mizzata e di accedere a “una comunione in modo libero, non delimitato,

23 Ivi, pp. 109-110.24 Ibidem. 25 Ivi, p. 99.26 Ibidem.

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universale”, nella quale ognuno di noi divide con l’altro una “vittoria co-mune sull’egocentrismo che ci priva di noi stessi”27.

Patočka si preoccupa di dimostrare la possibilità e la necessità di una conversione interiore, concepita nei termini del sacrificio e della dedizio-ne; un tale suggerimento, non solo nel contesto in cui viene formulato ma anche tuttora, probabilmente appare utopico o, addirittura, fuori luogo. La ragione delle possibili perplessità di fronte all’ideale di una rinuncia a sé viene forse dal fatto che continua a esercitare un forte potere di attrazio-ne la visione ottimistica del progresso all’infinito ereditata dal Secolo dei Lumi, per la quale la “rinuncia a sé” si presenta come un ideale ingenuo e irrisorio. Al contrario se comprendiamo l’ideale della “cura dell’anima” come la promessa di una rigenerazione morale di un essere soggiogato da forze oggettivanti e disumanizzanti, si può pensare che un tale ethos, lungi dall’essere superfluo, potrebbe invece dare all’esistenza un orientamento diverso da quello caratterizzato dalla corsa al benessere. “La cura dell’ani-ma” assumerebbe allora la forma di un ritorno a un’esistenza integra e non più frammentata, ovvero non più orientata alla soddisfazione di bisogni effimeri e contestuali. Se la rigenerazione morale vuole ridare un nuovo slancio alla civiltà europea nell’era planetaria, la superciviltà deve allora farsi carico di una rinuncia a se stessa che non può certo implicare una totale abnegazione ai suoi fondamenti ma che deve almeno in parte com-portare una profonda rimessa in discussione degli stessi. Nei Saggi eretici Patočka ritorna sulla necessità di una conversione dell’anima, inaudita e radicale28, che sarebbe necessaria per opporsi alla dispersione servile nel-l’efficienza imposta dalle condizioni di vita nelle società odierne. Questa conversione è agli occhi di Patočka ancor più necessaria poiché la prospet-tiva di un dominio puramente razionale e tecnico della società rischia di aprire le porte a una nuova barbarie. Più precisamente, egli riconosce nella frenesia della corsa al benessere la ragione stessa del perpetuarsi dello sta-to di guerra che caratterizza in prima istanza l’epoca in cui la pace è assicu-rata soltanto dall’equilibrio tra le minacce reciproche. Tale forza mortifera non si arresta ma al contrario sembra aumentare in corrispondenza alla crescente potenza della tecnica che tuttavia continua a essere presentata ingenuamente come uno strumento funzionale a garantire la sicurezza e

27 J. Patočka, Přirozený svět a fenomenologie, in Sebrané spisy (Opere complete) VII, Fenomeno-logické spisy (Scritti fenomenologici) II, a cura di P. Kouba e O. Švec, Praha, Oikoymenh, 2009, pp. 202-237; tr. it. a cura di G. Pacini: J. Patočka, Il mondo naturale e la fenomenologia, in Il mondo naturale e la fenomenologia, a cura di A. Pantano, Milano, Mimesis, 2002, pp. 73-126, p. 119.

28 Cfr. la conclusione del terzo saggio eretico nella quale Patočka afferma l’esigenza di “una gigantesca conversione, un inaudito metanoien”, sul piano della storia (Saggi eretici sulla filosofia della storia, cit., p. 102).

��O. Švec - Dominio del mondo e conversione dell’anima in La superciviltà e il suo conflitto interno

il benessere. In un testo del 1976 intitolato Gli eroi dei nostri tempi, Patočka cita l’esempio degli scienziati nucleari “pentiti”, Oppenheimer e Sakharov, che inizialmente hanno giocato un ruolo cruciale nell’ingranaggio che re-gola la supremazia delle forze su scala planetaria, ma che in seguito, dopo aver compreso la smisuratezza della tecnica rispetto alla capacità degli es-seri umani di dominarla, hanno sentito l’obbligo morale di “rinunciare al loro lavoro, alla loro posizione, ai loro obiettivi primari, ai valori e agli ideali che sino ad allora ritenevano evidenti”29 . Confrontata alla potenza e agli effetti distruttivi della tecno-scienza, l’umanità non può più eludere la responsabilità delle minacce che provoca nel momento in cui si lascia guidare dall’ottica dell’accumulazione dei mezzi.

Proprio per questo per Patočka è importante dimostrare che la tecni-ca nasconde una sostanziale ambiguità che si esplica in un doppio movi-mento contraddittorio. Da un lato la tecnica costringe l’umanità a consi-derare l’interezza dell’essere come una mera massa disponibile di risorse e, dall’altro, sollecita gli esseri umani ad assumersi la “responsabilità del non senso”, ovvero, a prendere coscienza della possibilità concreta di un annientamento totale della vita che deriva dalla sproporzione tra la smi-suratezza della tecnica e gli infimi mezzi politici di cui disponiamo per controllarla. È certamente vero che la tecno-scienza contemporanea pro-gredisce principalmente seguendo i dettami degli interessi economici che la trasformano nel motore stesso di una crescita che si suppone infinita; tuttavia, nella prospettiva di Patočka, la tecnica non rappresenta soltanto la minaccia di un asservimento della vita a forze disumanizzanti, ma anche la possibilità di un’autoriflessione che implicherebbe un’inevitabile crisi di ogni apparente pienezza del senso. Ovvero, la riflessione sull’impiego della razionalità tecnica e strumentale nella scienza della guerra dovrebbe spingere la “superciviltà moderna” a rimettere in questione l’ambizione di dominare il mondo che l’Europa ha dato per scontato prima dei parossismi del XX secolo. Posto di fronte ai limiti della razionalità strumentale, l’essere umano dovrebbe essere indotto a opporsi alla logica dominante dei fini e dei mezzi, se non altro per cercare di contro-bilanciare la potenza inaudita degli strumenti a sua disposizione.

29 J. Patočka, Hrdinové naší doby, in Sebrané spisy (Opere Complete) III, Péče o duši (Cura dell’anima) III, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praha, Oikoymenh, 2002, pp. 186-190.

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dente della North American Society of Adlerian Psychology (NASAP), e sua moglie Rowena R. Ansbacher (1906-1996) sono stati allievi di Alfred Adler. Oltre ai numerosissimi contributi prodotti essi hanno curato la sistematizzazione del pensiero del padre della psicologia indi-viduale edito in tre volumi: The Individual Psychology of Alfred Adler (1956), Superiority and social interest (1964), Co-operation between the sexes (1982) (disponibili anche in Italia) che nel corso degli anni sono divenuti punto di riferimento insostituibile nel panorama internazionale per lo studio dell’adlerismo.

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Umberto Galimberti, "la Repubblica"