Cenni sopra diverse pitture staccate dal muro e trasportate dall'Italia in Gran Bretagna e...

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N arra Girolamo Baruffaldi ‒ estensore fra lo scadere del XVII e la prima metà del XVIII secolo delle Vite de’ pittori e scultori ferraresi 1 ‒ nella biografia di Antonio Contri, ideatore nel secondo quarto del Settecento della tecnica dello strappo degli affreschi 2 , che a seguito dei primi successi ottenuti a Cremona egli venne chiamato a Mantova per volontà del principe d’Harmstat, a quelle date governatore della città e determinato ad «adoperarlo nel ricavare dal muro di quel ducale palagio alcune pitture insigni», cioè alcune teste scelte tra le opere lì frescate da Giulio Romano «per mandarle a Vienna in dono a Cesare» 3 , l’imperatore Carlo VI d’Asburgo. Quella richiesta, certamente dettata dall’intenzione di mostrare al proprio sovrano i risultati della straor- dinaria scoperta che permetteva di trasportare su tela qualsiasi dipinto eseguito a “buon fresco”, apriva nel contempo alla possibilità di far convogliare sul florido mercato antiquariale settecentesco e dunque nelle raccolte principesche e nobiliari europee anche capolavori dell’immenso patrimonio pittorico murale della penisola. Se da un lato, infatti, fin dalla sua prima sperimentazione, come ancora rendono testimonianza le pagine dedicate dal Baruffaldi ad Antonio Contri, pittore e rilevatore di pitture dai muri, l’ingegnosa invenzione fu salutata come la tecnica più idonea a superare i rischi a cui gli antichi affreschi erano esposti per loro stessa natura, utile cioè a preservarli «da quel pericolo a cui soggiaciono i muri», allo stesso tempo vi si individuò lo strumento votato a mutarne la destinazione d’uso, capace cioè di ridurli «a modo di quadri» da galleria, dunque in vere e proprie tele con ancone dorate, «eterne, sussistenti, e trasportabili agevolmente da un luogo all’altro» 4 . Alla non trascurabile finalità conservativa se ne venne ad affiancare perciò, fin da subito, un’altra di natura prettamente collezionistica. Almeno agli esordi dell’avventura estrattista non era però il desiderio di possede- re ed esporre all’interno della propria quadreria l'affresco di un determinato maestro la ragione che per prima motivava la richiesta da parte del mercato di opere “strappate”, ma la ricerca e il possesso della rarità, dovuta all’eccezionalità della prassi condotta dal Contri e poi dai suoi epigoni. Il principe d’Harmstat, per esempio, aveva chiesto al ferrarese di trasportare su tela specificatamente delle pitture di Giulio Romano, così come in precedenza il cremonese Giovanni Sonsis, intellettuale e conoscitore Luca Ciancabilla Cenni sopra diverse pitture staccate dal muro e trasportate dall’Italia in Gran Bretagna e specialmente di due affreschi bolognesi di Ludovico Carracci e Guido Reni

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Narra Girolamo Baruff aldi ‒ estensore fra lo scadere del XVII e la prima metà del XVIII secolo delle Vite de’ pittori e scultori ferraresi 1 ‒ nella biografi a di Antonio Contri, ideatore nel secondo quarto del

Settecento della tecnica dello strappo degli aff reschi2, che a seguito dei primi successi ottenuti a Cremona egli venne chiamato a Mantova per volontà del principe d’Harmstat, a quelle date governatore della città e determinato ad «adoperarlo nel ricavare dal muro di quel ducale palagio alcune pitture insigni», cioè alcune teste scelte tra le opere lì frescate da Giulio Romano «per mandarle a Vienna in dono a Cesare»3, l’imperatore Carlo VI d’Asburgo.

Quella richiesta, certamente dettata dall’intenzione di mostrare al proprio sovrano i risultati della straor-dinaria scoperta che permetteva di trasportare su tela qualsiasi dipinto eseguito a “buon fresco”, apriva nel contempo alla possibilità di far convogliare sul fl orido mercato antiquariale settecentesco e dunque nelle raccolte principesche e nobiliari europee anche capolavori dell’immenso patrimonio pittorico murale della penisola.

Se da un lato, infatti, fi n dalla sua prima sperimentazione, come ancora rendono testimonianza le pagine dedicate dal Baruff aldi ad Antonio Contri, pittore e rilevatore di pitture dai muri, l’ingegnosa invenzione fu salutata come la tecnica più idonea a superare i rischi a cui gli antichi aff reschi erano esposti per loro stessa natura, utile cioè a preservarli «da quel pericolo a cui soggiaciono i muri», allo stesso tempo vi si individuò lo strumento votato a mutarne la destinazione d’uso, capace cioè di ridurli «a modo di quadri» da galleria, dunque in vere e proprie tele con ancone dorate, «eterne, sussistenti, e trasportabili agevolmente da un luogo all’altro»4.

Alla non trascurabile fi nalità conservativa se ne venne ad affi ancare perciò, fi n da subito, un’altra di natura prettamente collezionistica. Almeno agli esordi dell’avventura estrattista non era però il desiderio di possede-re ed esporre all’interno della propria quadreria l'aff resco di un determinato maestro la ragione che per prima motivava la richiesta da parte del mercato di opere “strappate”, ma la ricerca e il possesso della rarità, dovuta all’eccezionalità della prassi condotta dal Contri e poi dai suoi epigoni.

Il principe d’Harmstat, per esempio, aveva chiesto al ferrarese di trasportare su tela specifi catamente delle pitture di Giulio Romano, così come in precedenza il cremonese Giovanni Sonsis, intellettuale e conoscitore

Luca Ciancabilla

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d’arte, amico e confi dente del Contri durante gli anni che videro l’avviarsi della sua carriera di estrattista a Cremona5, aveva voluto per la sua quadreria un sopracamino eseguito da Bernar-dino Campi già in una sala di Palazzo Pavesi6, ma non vi è dubbio che più che l’autore di grido a entrambi i committenti interessasse ottenere la “meraviglia” degli aff reschi trasportati su tela.

Sembrava per certi versi reiterarsi in un’acce-zione moderna quanto già molti secoli addietro aveva contraddistinto la fortuna dei primi mas-selli giunti a Roma da Sparta: «la pittura era di per sé bella, pure la ammiravano di più per il fatto che era stata trasportata»7 dal muro. Così secondo il dettagliato racconto di Plinio con-fermato da alcuni scritti di Vitruvio in cui si citano opere murali provenienti dalle terre con-quistate condotte nell’Urbe per essere esposte a decorazione del Comizio, nel Foro, sì come sublimi testimonianze dell’arte di quei popoli, ma soprattutto come esempi eccellenti dell’in-gegneristica romana8.

Meraviglia, stupore, prodigio sono parole che accompagneranno nel tempo la prassi del massello che, dopo una lunga parentesi di oblio, trovò nuova fortuna in epoca rinascimentale per poi diff ondersi in tutto il centro-nord italiano. Se come appare evidente dalle dettagliate descrizioni del Vasari per Roma e Firenze9, o ancora dalle seicentesche testimonianze di Car-lo Cesare Malvasia a Bologna10, nel corso dei secoli in cui riprese vigore il massello fu motivato soprattutto da ragioni devozionali, per salvare un’immagine sacra legata al culto e alla tradizione che rischiava la distruzione o, nel caso di abitazioni e palazzi, funzionali, per trasferirla – sempre però inserita in un muro – in un luogo diverso all’interno dello stesso edifi cio o in altra sede limitrofa, sono altresì da ricondurre a quei medesimi tempi, ma in modo particolare alla prima metà del Settecento, anche diversi episodi a carattere specifi cata-mente conservativo.

Quest’ultime operazioni, che nella maggior parte dei casi si devono alla volontà di conoscitori e amatori d’arte, intellettuali o religiosi dotati di una decisa sensibilità per il patrimonio pittorico della propria città, potevano allora facilitare un interesse di natura collezionistica. Non di rado infatti quegli aff reschi entravano a far parte dell’arredo di un palazzo, magari liberi da ogni vincolo murario, collocati lungo le pareti di una quadreria privata come i dipinti su tela o tavola e questo nonostante la diversa e più ingombrante consistenza materica e dunque le diff erenti esigenze allestitive e di spazio di cui ovviamente necessitavano.

Fig. 1. Ludovico Carracci, Ecce homo. Bologna, chiesa della Madonna di Galliera, oratorio di San Filippo Neri

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Si pensi, per esempio, alle magni-fi che pitture di Ercole Roberti che decoravano la Cappella Garganelli in San Pietro a Bologna prima che di-sgraziatamente agli esordi del Seicen-to si decidesse di buttarle a terra per fare posto a nuove architetture baroc-che. In quel caso i muri furono segati in più parti per volontà di Alessan-dro Tanari, imprenditore, mecenate e collezionista bolognese che volle i grandi frammenti superstiti inseriti in cornici dorate intagliate collocan-doli all’interno della propria colle-zione di pitture, fi anco a fi anco alle tele dei Carracci, di Guido Reni e del Guercino11.

Come poi non ricordare anche l’aff resco del Correggio raffi gurante l’Incoronazione della Vergine già nel catino absidale della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma e oggi custodito nel Palazzo della Pilotta. Salvato nell’ultimo quarto del Cin-quecento per premura dei religiosi che abitavano l’edifi cio – così come tre teste di putti musici che, dopo varie vicissitudini collezionistiche, si conservano presso la National Galle-

ry di Londra12 ‒ cioè segato insieme al proprio muro prima che fi nisse a terra come il resto della decorazione pittorica, il grande frammento dopo esser stato relegato per più di un secolo nell’oratorio della Rocchetta Ducale di Parma venne portato nei primi anni del Settecento per volontà di Francesco Farnese nel salone grande del Palazzo della Pilotta – dove il duca aveva fatto collocare buona parte della propria quadreria – come capolavoro fra i capolavori13.

O ancora i grandi frammenti di Melozzo da Forlì parte della decorazione pittorica del catino absidale della basilica dei Santi Apostoli a Roma, segati e salvati dalla distruzione per volontà di Clemente XI fra il 1708 e il 1711 poi sistemati nel Palazzo del Belvedere – tranne il Cristo benedicente tra cherubini collocato al Quirinale – prima di giungere, dopo varie vicende collezionistiche, alla defi nitiva musealizzazione nella Pinacoteca Vaticana14.

Fig. 2. Ludovico Carracci, San Domenico. Bologna, Museo di San Domenico, ba-silica di San Domenico

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Così nella prima metà del Sette-cento, ancora per ragioni conserva-tive, venne a realizzarsi a Bologna il taglio e il trasporto di alcuni dipin-ti murali di Ludovico Carracci: lo splendido Ecce homo salvato nel 1728 dai religiosi che abitavano la chiesa della Madonna di Galliera (fi g.1) o ancora i tre frammenti, un San Do-menico, un San Francesco e un’allego-ria della Carità (fi gg. 2-4) preservati dalla demolizione del ciclo pittorico della cappella di Sant’Andrea Apo-stolo in San Domenico nel 1731 e ri-coverati in altri locali del convento15.

Primo cronista di quelle azioni, “esemplo raro, in questi tempi, intesi alla distruzione delle cose più belle”, Giampietro Zanotti – pittore, poeta e letterato bolognese fra i padri fon-datori dell’Accademia Clementina di pittura scultura e architettura dell’I-stituto delle Scienze di Bologna – che le volle raccontate nell’introduzione alla terza edizione delle Pitture di Bo-logna del Malvasia16, edita in quello stesso 1732 che secondo Baruff aldi

segnava la scomparsa dell’estrattista Antonio Contri17.Per Zanotti il massello prima, poi il nuovo metodo di strappo inventato dal ferrarese, tecnica che ebbe a

toccare e a conoscere direttamente con mano18, erano innanzitutto utilissimi strumenti per la salvaguardia degli antichi dipinti murali, decisivi per contrastare il malcostume contro cui egli più volte ebbe a scagliarsi pubblicamente: «la cupidigia della novità che spinge gli uomini a rovinare e distruggere del tutto le pitture murarie delle antiche chiese bolognesi»19. Non vi è inoltre dubbio che, come i suoi contemporanei, Zanotti guardasse alla sperimentazione estrattista, di cui comprendeva anche le possibilità collezionistiche, con cu-riosità e sincera ammirazione anche in virtù della meraviglia ingegneristica e scientifi ca su cui si fondava.

Lo stupore manifestato a favore dell’«inestimabil segreto» del Contri, per lui «molto pregevole e raro», «stupendo e quasi incredibile», tanto «da non prestarvi fede»20 trovava infatti un precedente nelle parole spese per il trasporto a massello di un’altra pittura di Ludovico. Un grande aff resco raffi gurante Ercole vittorioso

Fig. 3. Ludovico Carracci, San Francesco. Bologna, Museo di San Domenico, basi-lica di San Domenico

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Fig. 4. Ludovico Carracci, Allegoria della Carità. Bologna, Museo di San Domenico, basilica di San Domenico

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sull’Idra (fi g. 5) che il pittore aveva realizzato nel 1594 sulla fuga di un camino nella casa di suo cugino Carlo a Bologna21 e che nei primi anni del Settecento il marchese Achille Maria Grassi volle far segare dal muro su cui era alloggiato e trasportare all’interno del proprio palazzo di famiglia, pittu-ra fra le pitture della sua collezione.

Che l’operazione rivestisse per Za-notti un valore eccezionale è provato dal ragionamento con cui il primo se-gretario della Clementina volle aprire l’introduzione alla seconda edizione della guida di Bologna del Malvasia, quella del 1706, dedicata proprio al marchese Grassi: «E chi non è infor-mato de i meriti di V.S. Illustrissima, e delle virtù più rare» – scriveva rife-rendosi al nostro – «che la rendono cotanto amata, e riverita da tutti? e tra queste non è ultima, certo, ne la meno considerabile, l’inclinazione, ch’ella ha alla Pittura, l’intelligenza, e ’l buon gusto che ne possiede, ci che ne sa una nobile testimonianza, il nuovo, e sontuoso Appartamento, da lei erretto nel suo Palazzo, in cui fra le tante opere de migliori antichi, e moderni Pittori, che s’uniscono ad

impreziosirne, il si bene architettato Edifi cio, si rende oggetto della nostra maraviglia, l’Ercole famoso del Carracci, che dipinto sopra di una sottilissima parete in altra Casa, ben lontana dalla di lei abitazione, fu con-tuttociò, fatto dalla fortunata sua maestria passare nella nuova Galeria Grassi; quale diffi coltoso, per non dire prodigioso trasporto, se non supera, eguaglia, il suo essere, l’Arte istessa del Pittore che lo delineò, lasciando indeciso, se il famoso pennello del Carracci, che dipinse l’Ercole trasportato, o l’industriosa manifattura di V.S. Illustrissima che seppe far trasportare l’Ercole del Carracci, contribuisca più di Lustro, e di splendore alla sopradetta sua Galeria; che tale appunto parmi fosse sentimento di chi sotto vi scrisse Annibal Alcidem pingit, sed ponit Achillis, Ornat uterque Aulam; gloria cujus erit?»22.

Fig. 5. Ludovico Carracci, Ercole vittorioso sull’Idra. Londra, Victoria and Albert Museum

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Ebbene sì! L’Ercole contribuiva in modo esemplare al “lustro” e allo “splendore” della Galleria degli Stucchi – così era intitolata la sala che in casa Grassi era stata predisposta per raccogliere le opere migliori della colle-zione di famiglia – per la qualità del pen-nello e la fama dell’autore che l’aveva ese-guito, ma ancor di più per l’eccezionalità dell’operazione ingegneristica che lì l’aveva condotto.

E sull’esempio dello Zanotti proprio sul trasporto più che sulla paternità dell’aff resco saranno incentrate le descrizioni letterarie dell’opera nei decenni seguenti, almeno fi no a quando nel secondo quarto dell’Ottocen-to la pittura non lascerà defi nitivamente Bologna a causa di un ulteriore “prodigioso trasporto”, questa volta eseguito per mezzo della tecnica dello strappo.

Sarà infatti Camillo, pronipote di Achil-le, a commissionare nella primavera del 1838 a Pellegrino Succi da Imola, estrattista che operava fra Bologna e Roma con note-vole successo e fama fi n dal primo decennio

dell’Ottocento e che aveva avuto come maestro il padre Giacomo23 – vero ritrovatore e perfezionatore del metodo inventato dal Contri – lo strappo e la nuova collocazione su tela dell’aff resco.

Trasportato con «perizia e speditezza d’esecuzione» e questo nel medesimo tempo che vedeva Pellegrino Succi collocare su nuovo supporto anche due pitture murali dipinte in casa del conte Carlo Marescalchi – l’una di Pellegrino Tibaldi, l’altra ancora di Ludovico – «onde allogarle nella sua ben nota Quadreria»24, alleggerito degli ingombranti e poco pratici mattoni così come della «grande cornice dorata» con «due stipiti in legno nero, arricchiti di pietre preziose e mosaici con rapporti di bronzo dorato»25, l’Ercole divenne a tutti gli eff etti un quadro da galleria, ergo una facile preda per i tanti collezionisti interessati ad acquisirlo per la propria raccolta.

Del resto, non era stato proprio il Succi senior a strappare, ancora fra il 1774 e il 1775, alcune pitture murali di Bartolomeo Cesi già nella cattedrale di Imola, fi nite immediatamente nella collezione di dipinti di Cosimo Morelli, l’architetto che aveva diretto i lavori di ammodernamento della chiesa26. Ma almeno in quel caso le opere erano rimaste in Italia, cosa che invece non accadde all’Ercole. Messo all’asta nel 1844 insieme alla biblioteca e a tutta la quadreria di famiglia da Camillo Grassi, l’aff resco fu poco dopo spedito a Roma

Fig. 6. Guido Reni, L’Alba separa il Giorno dalla Notte. Kingston Lacy, John Bankes Collection, National Trust Bankes

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(dopo il 1854) insieme a un’altra decina di dipinti come lui provenienti dalla Galleria degli Stucchi27. Da lì giunse in circostanze ignote a Londra e dal 1863 si conserva, per donazione di Lord Granville, in una sala del Victoria and Albert Museum28.

E se, come racconta l’erudito Cesare Cittadella, già in passato – addirittura nella seconda metà del Sette-cento – alcune pitture murali strappate dal Contri a Ferrara erano approdate in Inghilterra, e questo perché ritenute «rarissime prove» dell’ingegno umano più che dell’arte pittorica italiana29, sarà proprio a partire dai decenni centrali dell’Ottocento che la prassi estrattista aprirà alla concreta possibilità di fare confl uire sul mercato collezionistico internazionale anche gli aff reschi trasportati su tela.

E sarà per l’appunto la Gran Bretagna uno dei paesi più ricettivi al proposito, come rendono testimonian-za i tantissimi aff reschi che in quell’epoca, alla stregua dell’Ercole di Ludovico, trovarono collocazione nelle raccolte private e in quelle pubbliche del Regno Unito.

A nulla purtroppo servirono i moniti e gli allarmi lanciati qualche tempo prima da Leopoldo Cicognara, autore nel 1825 di un articolo pubblicato sull’«Antologia» di Vieusseux in cui dichiarava l’aperta contrarietà di buona parte dell’opinione pubblica verso «i fautori» della pratica estrattista, strumento «degli speculatori che venderebbero all’estero non pur le pitture, ma persino i chiodi d’Italia»30, così come la successiva emana-zione nel 1839, per volontà del Camerlengato, che a quelle date esercitava le funzioni di organo centrale per la tutela dei monumenti dello Stato Pontifi cio, di un provvedimento in cui si intimava a tutti gli estrattisti che operavano a Roma «il divieto di eseguire distacchi senza le necessarie autorizzazioni»31.

Provvedimento esteso anche alle altre provincie pontifi cie, fra cui ovviamente Bologna, centro d’eccellenza per l’operatività estrattista come dimostrano i tanti rilevatori di pitture dai muri attivi a quelle date in città: fra questi Antonio Magazzari, Alessandro Compagnoni e Giovanni Rizzoli da Pieve di Cento32, nel 1839 inca-ricato del trasporto de L’Alba separa il Giorno dalla Notte (fi g. 6), straordinaria opera giovanile di Guido Reni che da lì a poco, nonostante le precauzioni del Camerlengo, attraverserà anch’essa lo stretto della Manica.

Ebbene sì, solamente due anni dopo che per volontà, evidentemente solo in apparenza “conservativa”, del principe Pietro Ercole Pallavicini era stato strappato dal soffi tto di una sala di Palazzo Zani Pallavicini sulla tela33, e questo, si badi, a detta dell’erudito Gaetano Giordani, «come se or ora fosse stato in quella da Lui condotto»34, il dipinto si trovava in Gran Bretagna, da dove non avrebbe più fatto ritorno a casa.

Grazie a quel «miracolo d’arte», come venne descritto il trasporto da alcune cronache locali coeve35, l’ope-ra venne difatti acquistata per novecento sterline per poi giungere nelle mani di William John Bankes che la volle per la sua collezione nel palazzo di Kingston Lacy (Dorset) nei pressi di Londra, dove tuttora è possibile ammirarla dopo un recentissimo restauro (2005) che l’ha resa nuovamente fruibile agli studiosi dopo oltre quarant’anni d’oblio e che ha certifi cato il buon esito dello strappo eff ettuato dal Rizzoli36.

Il caso vuole che proprio all’estrattista centese si debba attribuire anche un’altra eccellente dipartita, sempre da registrare in quei medesimi tempi, sempre conclusasi in terra britannica: nel 1850 infatti Rizzoli trasporterà su tela il tabernacolo Carnesecchi, opera fi orentina di Domenico Veneziano, poi condotto in due momenti diff erenti, fra il 1862 e il 1867, oltremanica, dove si conserva tuttora, diviso in tre frammenti, presso la National Gallery di Londra37.

Del resto per la più importante galleria britannica quelli saranno decenni di grande attenzione per la

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pittura italiana, anche per quella su muro. Basti ricordare che a quell’acquisizione, favorita da sir Charles Eastlake, ne precedettero e ne seguirono altre altrettanto eccellenti: nel 1852 la lunetta raffi gurante La santa Maria Maddalena e angeli di Giulio Romano staccata nel 1811 da Pietro Palmaroli in Trinità dei Monti a Roma, nel 1874 i bellissimi “quadroni” di Pinturicchio e Signorelli provenienti dal Palazzo del Magnifi co di Siena, dai cui muri furono distaccati fra il 1842 e il 1844 (grazie anche all’intervento di Pellegrino Succi); o ancora i tanti frammenti d’aff reschi medievali acquistati quando a fortuna dei primitivi italiani conosceva un felicissimo momento in tutta l’Europa intera38.

Tante altre sono certamente le opere murali fuoriuscite dall’Italia che una ricerca più approfondita riguar-dante tutti i musei e le collezioni private inglesi39 porterebbe alla luce, a conferma del fatto che nella seconda metà de XIX secolo la fortuna collezionistica dei dipinti strappati e staccati vide nella Gran Bretagna uno dei paesi protagonisti. Che dire ancora, per esempio, tornando al Victoria and Albert Museum, delle acqui-sizioni ottocentesche come la Resurrezione di Lazzaro di Perin del Vaga proveniente da Trinità dei Monti – staccata da Pietro Palmaroli – o della Natività del Perugino oggi collocata nella sala che custodisce i cartoni di Raff aello (staccata nel 1843 dalla chiesa di Fontignano da Pellegrino Succi), o ancora di uno dei notissimi aff reschi bresciani del Ferramola (La Giostra in Piazza Grande a Brescia), strappato da Bernardo Gallizioli nel 1845, tutte opere lì giunte nel corso dell’Ottocento40 e questo all’interno di un fenomeno critico, collezio-nistico e museografi co più ampio che interessò non solo altre importanti realtà europee, quali la Francia, la Germania o la Spagna, ma anche, a partire dalla fi ne del secolo, extraeuropee, quali gli Stati Uniti.

Certo è che quegli stessi musei sembrano oggi considerare le pitture murali strappate non più all’altezza delle loro collezioni, stante le infelici condizioni espositive che ne contraddistinguono in diversi casi la col-locazione e fruizione. Alloggiati in alto, poco visibili, nascosti, se non, come accade alla National Gallery di Londra, celati nei depositi (il frammento più grande del tabernacolo di Domenico Veneziano, il Signorelli, le teste del Correggio, sono tutte opere non esposte), gli antichi aff reschi italiani non sono più amati come un tempo, o forse, hanno solo perso defi nitivamente il loro valore di “miracoli d’arte”, di meravigliose curiosità prodotte dal genio dell’uomo.

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Note

1 Cfr. G. Baruff aldi, Vita di Antonio Contri ferrarese. Pittore e rilevatore di pitture dai muri scritta da Girolamo Baruff aldi, Venezia 1834 e Id., Antonio Contri pittore e rilevatore di pitture dai muri, in Vite de’ pittori e scultori ferraresi, vol. II, Ferrara 1844-1846, edizione consultata Bologna 1986, pp. 338-359.

2 Cfr. L. Ciancabilla, Stacchi e strappi di aff reschi fra Settecento e Ottocento. Antologia dei testi fondamentali, Firenze 2009, capitoli I e II in particolare.

3 G. Baruff aldi, Vite de’ pittori…, cit., vol. II, p. 355.4 Ivi, p. 339.5 Riguardo all’attività del Contri a Cremona e il ruolo di Giovanni Sonsis cfr. L. Bellingeri, Estrattisti a Cremona fra Settecento e

Novecento, in «Studi e bibliografi e», V, 45, 1994 [1996], pp. 18-20.6 G. Baruff aldi, Vite de’ pittori…, cit., vol. II, p. 352.7 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXV, 173, edizione consultata a cura di S. Ferri, Milano 2000, p. 265.8 Vitruvio, De architectura, II, 9, edizione consultata a cura di P. Gros, vol. I, Torino 1997, p. 145.9 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori e Architettori [Firenze 1568], edizione consultata a cura di G. Milanesi, vol. III,

Firenze 1906, pp. 258-259; p. 311.10 Cfr. C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna che nella pretesa, e rimostrata sin hora da altri maggiore antichità, e impareggiabile eccel-

lenza nella pittura, con manifesta evidenza di fatto, rendono il passeggiere disingannato ed instrutto. Dell’Ascoso Accademico Gelato [Bologna 1686], edizione consultata a cura di A. Emiliani, Bologna 1969.

11 Cfr. L. Ciammitti, Ercole Roberti. La Cappella Garganelli di Ercole in San Pietro in Francesco del Cossa, Ercole Roberti, Niccolò dell’Arca. Tre artisti nella Bologna dei Bentivoglio, catalogo della mostra (Bologna, 20 ottobre - 15 dicembre 1985), a cura di F. Va-rignana, Bologna 1985, p. 129 (e relativa bibliografi a). Di quei frammenti è giunto a noi solamente la Maria Piangente recuperata lo scorso secolo (1943) da Guido Zucchini, ma cfr. G. Zucchini, Gli aff reschi della Cappella Garganelli in S. Pietro di Bologna, in «Arte», settembre-dicembre 1920, pp. 275-278.

12 Le tre teste di angeli musici, che non trovano posto nelle sale aperte ai visitatori del museo londinese ma si possono ammirare nel deposito sotterraneo a causa delle mediocri condizioni conservative delle stesse, giunsero in Gran Bretagna alla metà del XIX se-colo, due seguendo la medesima strada collezionistica, grazie a Lord Ward, la terza per l’intervento economico di sir Robert Witt, probabilmente tutte e tre comprate dalla collezione che all’epoca era allestita in Palazzo Rondanini a Roma e dove si trovavano dal 1760 circa: cfr. C. Gould, Th e Paintings of Correggio, London 1976, pp. 60-66, pp. 246-247; C. Baker, T. Henry, Th e National Gallery. Complete illustrated catalogue, London 2000, pp. 145-146.

13 Cfr. L. Viola, scheda A. Allegri detto il Correggio, Incoronazione della Vergine, in Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere del Cinquecento e iconografi a farnesiana, a cura di L. Fornari Schianchi, Parma 1998, pp. 13-18 e relativa bibliografi a.

14 Cfr. M. Minardi, scheda Melozzo da Forlì, Decorazione del catino absidale della basilica dei Santi Apostoli a Roma, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raff aello, catalogo della mostra (Forlì, Musei San Domenico, 29 gennaio - 12 giugno 2011), a cura di D. Benati, M. Natale, A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2011, pp. 208-217 e relativa bibliografi a.

15 L’Ecce Homo di Ludovico, salvato dalla demolizione del portico esterno della Madonna di Galliera, fu collocato nella contro-facciata della chiesa stessa, dove tuttora si trova, mentre i tre lacerti della cappella in San Domenico, trasportati per volontà del padre José Luis de Andujar, furono ricoverati in altri locali del convento e oggi si trovano nel Museo di San Domenico, ma cfr. A. Mazza, Un esemplare intervento di tutela a Bologna nel primo Settecento: l’aff resco di Ludovico Carrocci nell’oratorio dei Filippini e l’ “aggiunta” di Donato Creti, in L’intelligenza della passione. Scritti per Andrea Emiliani, a cura di M. Scolaro, F.P. Di Teodoro, Bologna 2001; A. Brogi, Ludovico Carracci, vol. I, Bologna 2001, pp. 160-161, pp. 131-132, e relativa bibliografi a.

16 C.C. Malvasia, Le Pitture di Bologna…, cit., 3a ed. con aggiunte di G. Cavazzoni Zanotti, Bologna 1732, p. 15.17 Per conoscere le notizie relative alla biografi a del Contri cfr. L. Ciancabilla, Stacchi e strappi d’aff reschi..., cit., il secondo capitolo.18 G.P. Zanotti, Lettera di Giampietro Cavazzoni Zanotti da premettersi alle vite inedite de’ pittori e scultori ferraresi di Girolamo

395Luca Ciancabilla - Cenni sopra diverse pitture staccate dal muro e trasportate dall’Italia in Gran Bretagnae specialmente di due affreschi bolognesi di Ludovico Carracci e Guido Reni

Baruff aldi seniore, Bologna, 1834, p. 18, rieditata in G. Baruff aldi, Vite de’ pittori..., cit., vol. I, pp. 23-41.19 Id., Giampietro Zanotti allo stampatore, premessa a Le pitture di Bologna…, cit., 3a ed.20 Id., Lettera di Giampietro Cavazzoni Zanotti da premettersi…, cit., p. 18.21 C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna..., cit., p. 98.22 Le pitture di Bologna che nella pretesa, e rimostrata sin’hora da altri maggiore antichità, e impareggiabile eccellenza nella pittura, con

manifesta evidenza di fatto, rendono il passeggiere disingannato ed instrutto. Dell’Ascoso Accademico Gelato ristampate con nuova, e copiosa aggiunta, a cura di G.P. Zanotti, 2° ed., Bologna 1706, pp. 4-5.

23 Il dipinto fu strappato fra l’aprile e il maggio del 1838 per opera di Pellegrino Succi come ci informa Michelangelo Gualandi nel giornale bolognese «Il Solerte», ma cfr. M. Gualandi, Pittura a buon fresco attribuita a Prospero Fontana bolognese dipinta già sul muro nell’antica casa Bolognetti e trasportata in tela da Alessandro Compagnoni nel novembre 1839, in «Solerte», 47-48, 1839, p. 370. Sarà invece Gaetano Giordani in una nota dell’edizione della Felsina pittrice del Malvasia del 1841, a sostenere che l’ope-razione fosse avvenuta nel 1839. Cfr. G. Giordani in C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi del conte Carlo Cesare Malvasia con aggiunte, correzioni e note inedite del medesimo autore di Giampietro Zanotti e di altri scrittori viventi, vol. I, Bologna 1841, pp. 329-330, nota 1.

24 G. Giordani, Cenni sopra diverse pitture staccate dal muro e trasportate su tela e specialmente di una grandiosa con maestria eseguita da Guido Reni ed ammirata entro nobile palazzo in Bologna, Bologna 1840, p. 23.

25 Queste informazioni si trovano in un atto notarile, datato al 1744 e pubblicato in R.E. Righi, L’Ercole di Lodovico Carracci già nel palazzo Grassi, in «Strenna Storica Bolognese», V, 1955, p. 106.

26 Sarà infatti l’architetto Cosimo Morelli, incaricato, fra il 1763 e il 1782, di rinnovare la cattedrale di Imola a commissionare al Succi il distacco degli aff reschi del Cesi, così da salvarli dalla demolizione della cappella in cui erano conservati per poi traslocarli entro la propria dimora. Nel 1777 secondo Marcello Oretti «Pezzi 11 delli dipinti del Cesi […] trasportati dal muro della Cap.a del Duomo dal Succi e sono in casa di Cosimo Morelli»; ma si veda M. Oretti, Ms. B. 165, Le pitture della città d’Imola descritte da Marcello Oretti nell’anno 1777, cc. 9-10, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio e Due lettere critiche sull’opuscolo “Descrizione delle Pitture del Giardino della Viola nella città di Bologna”, Imola 1816, pp. 16-18. Memorie manoscritte intorno alle vite ed alle opere dé pittori, scultori, architetti etc. di Imola. Raccolte da Gaetano Giordani nell’anno 1826, a cura di M. Bacci, F. Grandi, Imola 2006. Due lacerti di quegli aff reschi, uno raffi gurante un Profeta l’altro Sant’Anna, passarono poi nel XIX secolo per la quadreria del bolognese Michelangelo Gualandi e oggi si trovano conservati nel museo di San Domenico a Imola. Cfr. L. Scarabelli, Alcuni quadri di Michelangelo Gualandi in Bologna, Piacenza 1843, pp. 39-47; A. Mazza in Il museo come programma. Restauri del patrimonio artistico della città e della diocesi di Imola, a cura di G. Agostini, C. Pedrini, Bologna 1985, pp. 67-70.

27 R. Righi, L’Ercole di Lodovico…, cit., pp. 107-108.28 Dove è stato portato all’attenzione degli studi, dopo essere stato trascurato per quasi un secolo, da Otto Kurz. A forgotten master-

piece by Lodovico Carracci, in «Th e Burlington Magazine», 1937, p. 81; C.M. Kauff mann, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Foreign Paintings. I. Before 1800, London 1973, pp. 65-66. Ma cfr. A. Brogi, Ludovico Carracci…, cit., vol. II, pp. 168-169 e relativa bibliografi a.

29 Si trattava di alcune teste dipinte da Domenico Panetti strappate dal Contri nella chiesa di San Giorgio a Ferrara, le stesse che videro prima il Baruff aldi e poi lo Zanotti e che furono fra le prime prove dell’estrattista. Cfr. C. Cittadella, Catalogo istorico de pittori e scultori ferraresi, tomo IV, Ferrara 1782-1783, pp. 107-108.

30 L.C. Cicognara, Del distacco delle pitture a fresco, in «Antologia», LII, maggio 1825, pp. 1-19, (anche in Gli scritti d’arte dell’An-tologia, a cura di P. Barocchi, vol. II, Firenze 1975, pp. 595-613) e L. Ciancabilla, Stacchi e strappi di aff reschi..., cit., pp. 50-61. In realtà già alla fi ne del Settecento, con Giacomo Succi, padre e maestro di Pellegrino, si erano alzate alcune autorevoli voci di dissenso, quali quella del Mengs, al riguardo, poi reiterate nei fatti nel primo decennio del XIX secolo, ma riguardo a tutto questo cfr. Due lettere critiche…, cit., p. 14 e F. Giacomini, “Questo distaccare le pitture dal muro è una indegna cosa”. Il trasporto dei dipinti murali nell’Ottocento e l’attività di Pellegrino Succi, in S. Rinaldi, Restauri pittorici e allestimenti museali a Roma tra Settecento e Ottocento, Firenze 2007, p. 75; L. Ciancabilla, Stacchi e strappi di aff reschi..., cit., pp. 32-34.

31 F. Giacomini, “Questo distaccare le pitture…, cit., pp. 80-81.32 Cfr. M. Boni, Il restauro dei dipinti murali nella prima metà del XIX secolo a Bologna, in «Bollettino ICR», n.s., 4, 2002, pp. 6-27.

396 Mosaico. Temi e metodi d’arte e critica per Gianni Carlo Sciolla

33 Le pessime condizioni conservative del dipinto avevano motivato, a detta del proprietario, il suo strappo, così da trasferirlo da una sala all’altra del palazzo; ma, visto che già qualche mese dopo il principe Pallavicini faceva istanza direttamente al Papa per poterne trattare la vendita, non si può che ipotizzare una qualsivoglia premeditazione riguardo la necessità del trasporto, più antiquariale che conservativo. Ma cfr. G. Giordani, Cenni sopra diverse pitture…, cit., p. 22 e F. Giacomini, Il trasporto dei dipinti murali…, cit., p. 80.

34 G. Giordani, Cenni sopra diverse pitture…, cit., p. 23.35 Un miracolo d’arte. Aristarete Perimede G. Bisantino, al suo Anacleto L. Smirniotto a Roma, in «Il Caff è di Petronio», 6, 14 luglio

1840, p. 22.36 L’opera non giunse, forse, direttamente nella Bankes Collection a Kingston Lacy (ora National Trust Bankes), dove però risulta

essere certamente presente a partire del 1854. Gaetano Giordani, nelle note all’edizione del 1841 della Felsina pittrice del Mal-vasia, così commenta l’alienazione della pittura murale, facendo il nome del primo acquirente, che però potrebbe essere stato un intermediario proprio del Bankes: «Tantotosto tale pittura venne acquistata per lire 900 sterline dall’inglese Sig. Rauchs, di che ne ornerà un suo palagio di delizie presso Londra, spogliandosi per sì fatta guisa l’Italia dè suoi belli monumenti d’arte». G. Giordani in C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori…, cit., vol. II, p. 11, nota 1. Per le vicende del dipinto in Inghilterra si veda Dr. Waagen, Galleries and cabinets of art in Great Britain: being an account of more than forty collections of paintings, drawings, sculptures, mss, &C & C, supplement, London, 1854-1857, D.S. Pepper, Guido Reni’s Early Style: his activity in Bologna 1595-1601, in «Th e Burlington Magazine», CXI, 797, agosto1969, pp. 472-483; Id., Guido Reni. A complete catalogue of his works with an introductory text, Oxford 1984, pp. 211-212; Palazzo Zani, a cura di M. Danieli, D. Ravaioli, Argelato 2011, pp. 65-66.

37 Cfr. H. Wohl, Th e paintings of Domenico Veneziano (ca. 1410-1461). A study in Florence Art of the early Renaissance, Oxford 1980, pp. 114-116; D. Gordon, Th e fi fteenth century Italian paintings. National Gallery catalogues, vol. I, London 2003, pp. 58-67.

38 C. Baker, T. Henry, Th e National Gallery…, cit.39 A questo proposito qui si segnala un altro caso di pittura murale italiana giunta in Gran Bretagna nel XIX secolo e oggi con-

servata, come il Reni di palazzo Zani, nel Dorset. Si tratta di una Madonna col Bambino di proprietà privata che chi scrive ha attribuito al pittore umbro Bernardino di Mariotto e che a breve sarà oggetto di una pubblicazione specifi ca.

40 C.M. Kauff man, Victoria and Albert…, cit.