Aurelio Luini. Martirio di San Vincenzo

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Bernardino Luini e i suoi figli

a cura di Giovanni Agosti e J acopo Stoppa

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Bernardino Luini e i suoi figli

10 aprile 13 luglio 2014 Milano, Palazzo Reale

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17 Il malinteso Luini Giovanni Agosti e J acopo Stoppa

29 Catalogo 3 I 1. Da ragazzo, a Milano 4I 2. Gli anni di vagabondaggio nel Veneto 65 3. Ritorno a Milano

IOI 4. La Pelucca I4 5 5. Le occasioni di Bernardino I 59 6. L'invenzione di una formula I 8 5 7. Santa Marta 203 8. Volti 223 9. Dopo Roma 2 55 1 O. Invecchiare con successo ·· 28 3 11. La Casa degli Atellani 295 12. Una complicata eredità

361 Regesto dei documenti Carlo Cairati

3rJ7 Bibliografia

428 Indice dei nomi ~

88. AuRELIO L VINI Milano, I 5 30- Milano, 6 agosto I 593

Martirio di San Vincenzo I585-I587 affresco trasportato su vetroresina- cm 347 x 239 Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d'Arte Antica, inv. 44I

Provenienza: Milano, San Vincenzino alle mona­che, fino al I9o8; Milano, Società Generale Ita­liana Edison, dal I 908 al I 9 I I; Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d'Arte Antica, dal I9II al I96o; Milano, Università degli Studi di Milano, Rettorato, dal I96o al 1987; Milano, Ca­stello Sforzesco, Civiche Raccolte d'Arte Antica, dal I987.

Mostre: MILANO I993, n. I9.

L'affresco proviene da San Vincenzino alle mona­che, la chiesa dell'omonimo convento benedetti­no demolita, dopo travagliare vicende, nel I964. Riedificata a partire dal I 500 secondo lo schema tipico dei cenobi femminili lombardi, San Vin­cenzino presentava una navata unica, ripartita trasversalmente da una parete che separava le due aule: una esterna destinata ai fedeli e una interna riservata alle religiose. L'aula esterna era divisa in tre campate, delle quali le prime due dall'ingresso caratterizzate da pareti laterali leggermente con­cave. Proprio qui, tra il 1585 e il 1587, Aurelio Luini e Giovanni Pietro Gnocchi, «compagni pit­tori» (cfr. doc. 244), affrescano: sulle pareti late­rali della prima campata, a sinistra l'Adorazione dei Magi e a destra la Crocifissione, della seconda campata, a sinistra il Martirio di Sant 'Orsaia e a destra la Salita al Calvario, della terza campata, a sinistra San Vincen zo davanti a Daziano e a de­stra San Vincenzo gettato in mare, mentre sulla parete di fondo, ai lati dell'altare maggiore, due scene del Martirio di San Vincenzo. La letteratura artistica milanese riferisce la Salita al Calvario e la Crocifissione - oggi quasi illeggibili - a Gnocchi, mentre il resto spetta ad Aurelio (cfr. S. Conte, F. M. Giani, in Bernardino Luini. Itinerari 2014, n. I8).

Prima attestazione e termine ante quem per la realizzazione degli affreschi in San Vincenzino è il sonetto Di Aurelio Lavino, nel quale Giovan­ni Paolo LoMAZZO (I587, p. III, n. 45; il pittore nel I 5 90 chiede di essere sepolto proprio in San Vincenzino: GIULIANI, SACCHI I998, p. p6) de­scrive con ammirazione <<I tormenti e la morte del

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gran santo l Che con la mola fu gettato in mare, l Nel tempio sacro a lui con dotte e rare l Maniere espresse al Castel Giove a canto l Il giovane Lavi­no; e seppe tanto l Co'l pennello adoprar, che viva appare l L'istoria, e'l màrtir sembra al cielo alzare l Gl'occhi e la voce in mezzo il duolo e'l pianto». Nello stesso sonetto, Lomazzo fornisce un termi­ne post quem affermando, a proposito di Aurelio, che «Diverse altre opre prima egli dipinse, l Ma lodata fia sempre infra le prime l Quella vicina al Duomo, ove li Dei l E gl'Augusti con l'armi intor­no finse, l Con tai riflessi e dintorni sì bei, l Che non trova l'invidia ove gli lime>>. L'allusione può essere collegata alla convocazione di Aurelio Lu­ini - al fianco di Simone Peterzano e Alessandro Pobbia -a Palazzo Ducale, nei pressi del Duomo, il 20 febbraio I585 (doc. 234), presumibilmente per prendere parte alla vasta campagna decorativa della residenza dei governatori spagnoli diretta da Valeria Profondavalle tra il I 574 e il I 594 (MA­LAGUZZI VALER! I90I, pp. 327-335). Gli «Dei e gl'Augusti con l'armi intorno» potrebbero infat­ti concordare con «li dieci imperatori» e le armi affrescate nel «sallono sopra la stalla» entro il novembre I585 (ASMi, Autografi, Io6, fase. II, segnalato in BoRA I998c, p. 49; le armi dovevano essere affiancate da figure di divinità, analoga­mente a quelle dipinte entro il I 594, sempre sotto la direzione del Profonda\lalle, sulla facciata del «portico inferiore del giardino magiore»: MALA­GUZZI VALER! I90I, pp. 335-336, nota 2).

A due anni dalla morte del pittore, tra le «rare pitture degne d'immortalità» realizzate da Aure­lio a Milano, Paolo MoRIGIA (1 595, p. 278) ricor­da esplicitamente solo «diverse historie» in San Vincenzino e il Martirio di Santa Tecla in Duomo (cat. 93). Il gruppo centrale del Martirio di San Vincenzo è riproposto nel I667 da un <<Antonio Crespi Comasco» sulla volta della navata centrale di San Lorenzo a Laino, in Val d'Intelvi (CAVA­LIERI 2000, p. I02; per i documenti: LAZZATT 2008, pp. 2-3).

Agostino SANTAGOSTINO (I67I, pp. 49-5 0) elen­ca, uno a uno, tutti gli episodi affrescati nell'aula esterna di San Vincenzino, riferendoli però al solo

Aurelio e identificando erroneamente una delle due scene del Martirio di San Vincenzo con un Martirio di Sant'Andrea. La guidistica successiva registra la presenza di Gnocchi al fianco di Aure­lio, ma fornisce solo indicazioni generiche circa i soggetti degli affreschi (TORRE I674, p. 225; BIFFI I704-I705, p. I02; LATUADA I738, IV, pp. 458-459; SoRMANI I7jl-I7j2, III, p. 59; BARTOLI rn6, pp. 22I-222; BIANCONI I787, pp. 340-34I). Alla fine del Settecento i dipinti sono ancora oggetto di un certo interesse, almeno da parte delle monache: il I2 agosto I78I l'arcivescovo Giuseppe Pozzobo­nelli concede «licenza che per una volta solamente la madre abbadessa del monastero di S. Vincenzo [ ... ] con tutte le sue religiose possa portarsi nella chiesa esteriore dello stesso monastero[ ... ] al fine d'osservarvi le belle pitture» (ASMi, Fondo di Re­ligione, 2298).

Soppresso il convento, tra il I798 e il I8o2l'aula esterna della chiesa resta chiusa e inmilizzata per­ché «in essa vi sono gli altari, e diverse pitture, che diconsi meritare d'essere conservate, motivo per cui non è finora profanata detta chiesa» (ASMi, Amministrazione del Fondo di Religione, 2474; ASCMi, Località Milanesi, 42I). Tuttavia, nel giro di qualche anno lo stesso ambiente, che non si vo­leva dissacrare, è destinato a magazzino di mobili e granaglie (ASMi, Fondi Camerali p. m., 36). Il I 8 settembre I 8 I 4, prevedendo di alienare a privati sia la chiesa che il monastero, la Reggenza Provvi­soria di Governo notifica l'esistenza degli affreschi alla direzione dell'Accademia di Brera, invitando­la a «dare le opportune disposizioni perché una commissione accademica si rechi a visitare le dette pitture, e riferisca se siano degne d'essere levate, e deposte nella I. R. Pinacoteca». Il 22 settembre seguente Ignazio Fumagalli, segretario aggiun­to dell'Accademia, riferisce che la commissione, «esaminate quelle pitture a fresco che erano visi­bili, stante l'ingombro prodotto da diversi mobili ivi esistenti, trovò che i due pezzi laterali all'altar maggiore della chiesa, rappresentanti due martirj meritano assolutamente d'essere trasportati e de­posti nella I. R. Pinacoteca sia per la squisitezza di questo e facilità con cui sono dipinti, come per

12. UNA COMPLICATA EREDITÀ - 343

r

Fig. I 56 Aurelio Luini, Martirio di San Vincenzo, I585 circa, New York, The Metropolitan Museum of Art

l'importante oggetto di completare possibilmente

la serie delle opere de' patrj artisti, essendo i detti

pezzi di mano di Aurelio Luino figlio del celebre

Bernardino, il di cui pennello è sconosciuto finora

nella Pinacoteca>> (ASMi, Fondi Camerali p . m.,

36). In ottobre l'Accademia incarica perciò Stefa­

no Barezzi (cfr. ca t. I 3- I 9) di progettare lo stacco dei due affreschi: << trattavasi di segare i muri, e di

farne il trasporto secondo era stato praticato in si­

mili capi, si è così fatta eseguire la perizia». Però

<<s opravvenuto l'inverno il Segretario d 'allora

[Giuseppe Zanoja] credette di sospendere le altre operazioni fino a che una stagione più opportuna

fornisse maggiori comodi con minor dispendio»

(ASMi, Studi p. m., 357, fase. 9). Il 27 dicembre I 8 I4 il Demanio del Dipartimento d'Olona ven­

de al capomastro Gaetano Brioschi <<la maggior

porzione di locale dell'altre volte monastero delle benedettine di S. Vincenzo», nel quale <<esistono

delle dipinture, e massime nella chiesa esterna, le quali sarà facoltativo al Governo di farle levare

e trasportare nelle Reali Gallerie di Brera, od in

altro luogo, quando queste venissero dalla Com­

missione di Pittura riconosciute degne di con­

servarsi, ed il compratore non potrà opporsi, né

pretendere alcun compenso se ciò si effettuasse»

(ASMi, Amministrazione del Fondo di Religione,

344 - 12. UNA COMPLICATA EREDITÀ

2474; ASMi, Fondi Camerali p. m., 36). Quando nel I82o l'ex-aula esterna è destinata a magazzi­

no di legnami d'opera, Fumagalli, diventato nel frattempo segretario dell'Accademia, si preoccu­

pa per la conservazione degli affreschi e propone

che Barezzi realizzi uno strappo <<col metodo suo,

che oltre ad essere in se stesso più economico e

più sbrigativo, non obbliga a dover fare piantare

ponti sì solidi come per il trasporto de' muri, e

servirebbe questa operazione di maggior guaren­tigia dell'esito dell'altra di cui è incaricato, quale

si è quella del trasporto del Cenacolo delle Gra­

zie» (ASMi, Studi p . m., 3 57, fase. 9). Entro la fine dell 'anno Barezzi realizza lo stacco del M arti rio di San Vincenzo affrescato sulla parete divisoria,

a sinistra dell'altare maggiore, subito depositato

presso la Pinacoteca di Brera dove tuttora si trova

(ASAB, Carpi, A. VI, I9; ASMi, Studi p . m., 357, fase. 9; Reg. Cron. 69; fig. I 55). A causa dei costi, più elevati del previsto, e probabilmente anche in

seguito al deterioramento dei rapporti tra Barezzi

e l'Accademia, l'altro Martirio di San Vincenzo non viene strappato, restando sulla parete diviso­

ria dell 'ex-chiesa.

Entro il 1825 Pelagio Palagi, affittuario dell'ex­

aula interna dal I 8 I 8, ottiene da Brioschi di espan­

dere il proprio studio all'ex-aula esterna (ASCMi,

Fondo ornato fabbriche, 1, cartella 49/ 3 - I827,

Brioschi Gaetano). Trasferitosi a Torino nel I83o,

Palagi continua a disporre di entrambe le ex-aule

come deposito delle proprie collezioni d 'arte, tra­

sportate a Bologna dopo la morte del pittore nel

I86o (MEZZANOTTE, BASCAPÉ 1948, p . 348; MAZ­

zoccA I989, pp. 42, 44). Successivamente Eleute­

rio Pagliano, già proprietario di uno studio in via

della Guastalla ( r 8 p-1 868), affitta gli stessi locali

per realizzare le due grandi allegorie di Venezia e Napoli destinate alla vecchia Stazione Centrale di

Milano (I865, distrutte durante i bombardamenti

del I943; cfr. R. Maggio Serra, in Venezia I983,

p. I7, n . 3) e il cartone dell'Africa per la Galleria Vittorio Emanuele II ( I867; BdAMi, Fondo Bi­

gnami, vol. xxi, p. 54; PIANTANIDA I969, p. 25o;

REBORA I998, P· I II; CERESOLI I999, P· 48). Nel I905 la Società Generale Italiana Edison

compra l'ex-chiesa e ottiene dal Comune di Mi­

lano la licenza per installarvi un'officina elettri­

ca (ASCMi, Fondo ornato fabbriche, rr, cartella

474- I9IO, Edison). Nelr9o8, prima di abbattere la parete divisoria per avviare i lavori, la Edison

incarica i fratelli Giuseppe e Antonio Annoni -

sotto la guida di Luigi Cavenaghi - di occuparsi della rimozione degli affreschi che la decorano.

Tra questi è compreso anche il Martirio di San Vincenzo qui discusso. Inizialmente gli affreschi

strappati sono depositati presso lo studio di An­

tonio Annoni. Il I8 dicembre 19Io Angelo Ber­

tini, direttore generale della Edison, comunica al Comune di Milano l'intenzione di donare gli af­

freschi alle Civiche Raccolte d'Arte: il dono è ac­

cettato il q gennaio I9I I dietro parere positivo di Luca Beltrami, Lodovico Pogliaghi e Guido Ca­

gnola, che pure lamentano la mancata realizzazio­

ne di fotografie e rilievi prima dello strappo delle

pitture e della demolizione della parete. Effettuate

le necessarie operazioni di voltaggio e trasporto

su tela, dopo numerosi solleciti scritti da parte

di Carlo Vicenzi, direttore dei Musei Civici, tra

il novembre I 9 I I e il dicembre 19 I 2 gli affreschi

entrano nelle collezioni comunali (ACRA, serie 1,

4, fase. I8-20). Immediatamente inserito nel per­

corso espositivo e restaurato, in data imprecisata,

da M auro Pellicioli (ne resta documentazione al Photo Archive del Gctty Institute a Los Angeles :

Album 9, p . II), tra il I96o e il 1987 il Martirio di San Vincenzo abbandona le sale del Castello

Sforzesco per quelle del Rettorato dell'Università

degli Studi di Milano (ACRA, Opere in deposito uffici, fascicolo Università di Milano - via Festa

del Perdono, 7). Ricoverato nei depositi del Ca­stello, l'affresco è restaurato da Paola Zanolini tra

il I992 e il I993 , esposto alla mostra Un museo da scoprire (M. T. Fiorio, in Un museo I993, p. 48, n.

I 9) e quindi definitivamente reintegrato nel nuo­

vo percorso espositivo della Pinacoteca (cfr. L. Basso, in La Pinacoteca 2005, pp. 120-121, n. 85).

Nonostante il pendant di Brera sia sempre sta­

to riferito ad Aurelio Luini (cfr. D. Pescarmona,

in Pinacoteca I989, pp. 300-301, n. 212), il Mar­-tirio di San Vincenzo del Castello è pubblicato

da Carlo VICENZI (I 9 I 5, p . 55) come M arti rio di San Lorenzo di <<Scuola lombarda del XVI seco­

lo». Successivamente, lo stesso VICENZI (1926, p.

48) ~ attribuisce a Giovanni Paolo Lomazzo, la­sciandosi probabilmente fuorviare dalla firma di

Giovanni Lomazzo- cugino della moglie di Ber­

nardino Luini -presente su uno degli altri affre­

schi strappati provenienti da San Vincenzino (inv.

inv. 436-440, 442; cfr. F. Cavalieri, in Museo I997, pp. 309-3I5, nn. 209-2I4). Il nome di Lomazzo è ripetuto, ancora nel I98o, da Marco Bona Castel­

lotti (in SANTAGOSTINO 1671, p. 50, nota 46). Giu­

lio BoRA (1984, p . 31, nota 47) restituisce il Mar­tirio ad Aurelio. Daniele PESCARMONA (I986, che

pubblica la prima fotografia in bianco e nero; D.

Pescarmona, in Disegni 1986, pp . 53-55, n. Io) è il primo ad accorgersi che gli affreschi di Brera e del

Castello formano una coppia di scene del Martirio di San Vincenzo, ma la sua intuizione non è regi­

strata da Nancy WARD NEILSON (1987, che pub-

blica il disegno preparatorio, a matita nera, penna, acquerello marrone e biacca, quadrettato a matita rossa, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, inv. I986. I6; fig. I s6), Maria Teresa FIO RIO e Mercedes GARBERI (I987, p. 88, n. I I s), Fanny AuTELLI (I989, pp. r27-I28), Maria Teresa Fiorio (in Un museo I993, p. 48, n. I9) e Sandri­na Bandera (in Le stanze I994, pp. 236-237) che continuano a riconoscere il Santo martire come Lorenzo. Federico Cavalieri (in Museo 1998, pp. roo-Io4, n. 319, che pubblica le prime riprodu­zioni a colori) ricostruisce le tappe fondamentali delle vicende materiali dell'affresco e ne ribadisce la paternità luinesca, chiarendo una volta per tut­

te che il soggetto è il M arti rio di San Vincenzo. Giulio Bora (in Quadreria I999, pp. 25-26) con­tinua tuttavia a identificare il Santo martire come

Lorenzo, mentre Jacqueline CERESOLI (1999, pp. 49-52) riporta entrambe le identificazioni senza esprimersi chiaramente in merito. Mauro FAVE­

SI (2oio, p. r 50), pur avanzando una vacillante proposta di recupero di una figura del Martirio da parte di Caravaggio, registra correttamente il soggetto (cfr. M. Pavesi, in Museo 201 I, p. 378).

L'agiografia racconta come, all'epoca dell'im­peratore Diocleziano, il diacono Vincenzo di Saragozza sia condotto davanti al proconsole Daziano e, rifiutando di abiurare la fede cri­stiana, venga sottoposto a diversi supplizi. Tra questi si ricordano solitamente la scarnifi­cazione mediante rastrelli di ferro e la tortura della graticola, gli stessi rappresentati da Au- 'l

relio Luini ai lati dell'altare maggiore di San Vincenzino alle monache. Una volta morto Vincenzo, il suo corpo è esposto in un campo deserto alla mercé delle fiere selvagge, ma un corvo interviene per proteggerlo dalla profa­nazione. Successivamente, chiuso dentro un sacco e legato a una macina, il corpo è por­tato allargo e gettato in mare perché affondi: miracolosamente però, la salma galleggia sui flutti fino a essere trasportata a riva, dove è ritrovata dalla comunità dei fedeli e degna­mente sepolta.

Aurelio ambienta il secondo episodio del Martirio di San Vincenzo in uno spazio aperto, dominato da un cielo nuvoloso e de­limitato, sulla destra, da una quinta architet­tonica. La scena è vista attraverso una corni­ce prospettica, solo parzialmente conservata, con il margine sinistro tutto in ombra: a in-

dicare che la luce ongmariamente colpiva l'affresco da sinistra. In primo piano, San Vincenzo è steso sulla graticola, seminudo, con le braccia spalancate e lo sguardo rivolto al cielo. Ai lati due aguzzini si affaccendano per eseguire gli ordini impartiti da Daziano: quello di sinistra, inginocchiato e con una torcia in mano, cerca di tenere fermo Vin­cenzo, mentre l'altro, in piedi a destra, af­fonda una forca dal lungo manico nel ventre del diacono. Un soldato dalla barba grigia aiuta gli aguzzini attizzando il fuoco con un mantice mentre, alle estremità della compo­sizione, due suoi commilitoni si limitano a osservare quanto accade: quello di sinistra - che regge un bandierone rosso e floscio -dall'alto della sua cavalcatura, quello di de­stra- giovanissimo- appoggiato alla propria spada. Alle spalle di San Vincenzo due figu­re sembrano impegnate in una discussione a mezza voce: un uomo anziano, che ha tutta l'aria del sacerdote pagano, e un soldato, che appoggia una mano sulla spalla di San Vin­cenzo come per impedirgli di scappare. Tra gli astanti, un uomo barbuto vestito di gial­lo con indosso un turbante bianco e rosso è forse da identificare con il proconsole Da­ziano. Questi compare due volte: la prima si trova in fondo alla folla, quasi nascosto dalla groppa del cavallo, e fissa con sguardo severo in direzione dell'osservatore, come a volere cogliere con prontezza e disprez­zo il minimo moto di pietà verso il martire; la seconda si trova invece sulla destra, ed è colto nell'atto di rivolgere una supplica alla statua dorata che, con sguardo impassibile, domina la scena dall'alto. La statua rappre­slfnta probabilmente il dio Apollo, caratte­rizzato dalla lira. In lontananza si staglia un edificio imponente, forse a pianta centrale, sormontato da una terrazza - dalla quale si affacciano alcune figure - con una cupola. La scena è coronata, anche narrativamente, da un angioletto che, aprendo uno squarcio luminoso nelle nubi, si appresta a scendere dal cielo per consegnare la palma del marti­rio a San Vincenzo.

Il michelangiolismo mediato e gli echi raffa­elleschi chiamati in causa nelle analisi di que­sto affresco, per quanto incidenti, non egua­gliano la profonda risonanza del Martirio di San Lorenzo di Tiziano (I 55 9 ), nella chiesa dei Gesuiti a Venezia, forse conosciuto da

Aurelio direttamente e non solo attraverso la precoce traduzione grafica di Cornelis Cort. Luini infatti sembra organizzare le linee ge­nerali della composizione, adottare la solu­zione dell'apparizione luminosa dell'angelo, mettere in posa carnefici e soldati a partire da Tiziano. Aurelio non ricorre però al nottur­no: la sua regia delle luci non ricerca questi effetti, che pur a Milano incontravano, negli stessi anni, un vivo interesse da parte diAnto­nio Campi, il cui Martirio di San Lorenzo in San Paolo Converso (r58r; cat. un) rappre­senta una prova di «illusionismo spietato», lontanissimo dall' «impressionismo magico >> di Tiziano (LoNGHI 1928-1929, p. 127).

FEDERico MARIA GrANI

12. UNA COMPLICATA EREDITÀ- 345