Arne Jacobsen. La ricerca dell'astrazione, Clean, Napoli 2012

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Renato Capozzi Arne Jacobsen La ricerca dell’astrazione

Transcript of Arne Jacobsen. La ricerca dell'astrazione, Clean, Napoli 2012

Il tema di questo lavoro è lo studio dell’opera e del pensiero diArne Jacobsen soprattutto sul piano dell’indagine compositiva eurbana. Un punto di vista che non vuole essere di tipo storico-critico quanto eminentemente analitico nello studio e nel ridisegnocritico, delle opere progettate o costsruite dal maestro danese.Tale necessità muove dalla convinzione che la sua ricerca siaancora oggi di grande valore e attualità in un momento in cuil’architettura è sospinta verso una sua progressiva liquefazione ereductio ad imaginem che la proietta sempre più verso la ricercadell’inedito e del sorprendente. Il lavoro di Jacobsen sta appunto acontrastare, nella sua oggettiva e paziente ricerca sui fondamentidella disciplina, questa condizione afflittiva e infondata. Inparticolare, ci si è voluto soffermare sulle architetture civili diJacobsen e specificatamente sul centro civico di Rødovre chetestimonia di una modalità di costruzione dello spazio pubblico digrande interesse e modernità per la costruzione di nuovi luoghicentrali e polarità capaci di contrastare e migliorare lainsensatezza della città diffusa di questi anni. Il caso di Rødovre,rappresenta una nuova, ma allo stesso tempo antica, modalità dicostruzione dei luoghi civili posti in rapporto alla natura - ancoradefiniti da architetture civili riconoscibili e fondate su principi eregole intellegibili - che può rappresentare una efficacealternativa, sia alla densificazione di stampo neo ottocentesco siaalla nebulizzazione e privatizzazione dello Junkspace in unaipotesi auspicabile di “città aperta”e policentrica.

Renato Capozzi, architetto, PhD in Composizione Architettonica, èricercatore in Composizione Architettonica e Urbana. Ha insegnato Teoriedella ricerca architettonica contemporanea e attualmente insegnaComposizione Architettonica presso la Facoltà di Architettura di Napoli.Recentemente per i tipi CLEAN ha pubblicato: Le Architetture ad Aula: il paradigma Mies van der Rohe e L’idea di riparo.

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In memoria di mio padre

Il fattore fondamentale è la proporzione. La proporzione è, precisamente,

ciò che ha reso così belli gli antichi templi greci.Essi sono come grandi blocchi in cui vi è l’aria,

praticamente tagliati tra le colonne.

Arne Jacobsen, Intervista, in “Politiken”, 1971

Collana architettura/progetti

Copyright © 2012 CLEANvia Diodato Lioy 19, 80134 Napolitelefax [email protected]

Tutti i diritti riservatiÈ vietata ogni riproduzioneISBN 978-88-8497-229-3

EditingAnna Maria Cafiero Cosenza

GraficaCostanzo Marciano

L’immagine di copertina e le fotoalle pp. 54, 62 e 64 sono di Pier Giusepppe Fedele che ringrazio.

Indice

6 Presentazione Mario Losasso8 L’eleganza del tempo dilatato Roberto Serino

12 Introduzione

Il pensiero e l’opera di Arne Jacobsen16 Arne Jacobsen e il classicismo nordico

La formazione, il classicismo, il moderno / Jacobsen e Asplund / Jacobsen e Mies / La ricerca dell’astrazione

22 Opere e progettiLa casa unifamiliare / La casa collettiva / Scuole / Fabbriche / Edifici per lo sport / Edifici terziari / Edifici pubblici / Municipi

34 Edifici e luoghi pubblici: il caso di RødovreUna nuova centralità urbana / Natura e artificio / Il Municipio, la Biblioteca, le Residenze

Analisi e ridisegni critici40 La zolla civica

Gli oggetti e il campo / Procedure compositive / La costruzione del vuoto

47 Tavole

54 Il MunicipioIdeazione / Costruzione / Composizione

59 Tavole

62 La BibliotecaIdeazione / Costruzione / Composizione

67 Tavole

70 Conclusioni

75 Note77 Bibliografia79 Indice dei nomi

Presentazione

Mario LosassoDirettore del Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica

«Il fattore primario è la proporzione», affermava Arne Jacobsen, inuna delle sue ultime interviste del 1971, riflettendo sul fatto che erala proporzione a fare grandi i templi greci dell’antichità classica,immutabili nella loro bellezza. Era inoltre possibile evincerel’aspetto vitale degli edifici del Rinascimento o del Baroccosempre nel loro proporzionato equilibrio: «poi intervengono imateriali», continuava Jacobsen, facendo infine riferimento alsenso del colore e delle superfici, oltre che all’importanza deldettaglio costruttivo, come filiera di elementi utili alla progressivadefinizione del progetto e dell’opera di architettura. Architetturesenza tempo, quelle di Jacobsen. Così definite da molti critici, essesi manifestano all’interno di una classicità moderna ed esprimonoil forte legame del maestro danese con il Classicismo nordico.Successivamente, superata la bufera del secondo conflittomondiale in un’epoca in cui l’architettura si interrogava su comeriprendere i propri passi, Arne Jacobsen è stato un pioniereconiugando lo sperimentalismo e l’innovazione con gli scenari dicontinuità della modernità nel superamento dei canoni dello stileinternazionale. Se la Casa del futuro del 1929 costituisce il capitoloiniziale dell’architettura moderna in Danimarca, le architetturedegli anni Cinquanta propongono forme affascinanti, in uncontinuo rimando tra le varie scale, da quella degli oggetti didesign al progetto architettonico, spesso esempio di quellaprogettazione integrata che è stata, nella modernità, sintesi diinnovazione e tradizione. Il lavoro di ricerca sviluppato epresentato in questo volume da Renato Capozzi si sofferma suglielementi chiave della produzione architettonica di Arne Jacobsene trova notevoli spunti di interesse disciplinare nella ricerca di unnesso fra la qualità civile dell’architettura della modernità, intesanei suoi valori riconoscibili e trasmissibili, e la capacità di disegno

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dello spazio urbano secondo tematiche di aggregazione ogiustapposizione, ricorrendo, quindi, a elementi della proporzione edella gerarchia dei volumi e delle forme planimetriche. Il libro prende in esame alcune opere e l’insegnamento che essepossono offrire al presente, a partire dalla coerenza della lezionedella modernità classica nei paesi scandinavi vista come una fra lepiù interessanti esperienze dell’architettura moderna. La ricercadelinea la propria originalità nella capacità di lettura dellearchitetture di Jacobsen secondo invarianti tese a sottolineare ilcarattere di costruzione logica di opere che si sono misurate con ilvalore civile delle città, degli edifici, degli spazi. L’efficacia di talemodo di leggere le architetture mantiene alta l’attenzione suimportanti conquiste intellettuali e operative della modernità,laddove essa è portatrice di un internazionalismo critico che ètestimonianza delle ragioni, della qualità e della ricchezza deicontributi progettuali. Come fa rilevare recentemente VittorioGregotti, questo concetto risulta purtroppo oggi svilito dalprevalere di processi di uniformità competitiva che hanno rimossoil senso di responsabilità culturale ed etica dell’architettura neiconfronti della società. Il lavoro di Renato Capozzi traccia efficacilinee interpretative delle architetture di Jacobsen, inquadrandonela sistematicità e il valore progettuale visto sia nella suaintelligibilità e trasmissibilità, sia nella capacità di modificazionedel reale e nella responsabilità delle scelte. Nel testo, accanto alleletture comparative fra le opere di Jacobsen e gli indirizzi delClassicismo nordico, rivestono un particolare interesse le partirelative al ruolo urbano degli edifici pubblici e la metodologia dilettura attuata attraverso la triade ideazione, costruzione,composizione, che consente di confrontare gli aspetti tematici etipologici con quelli tecnico-costruttivi. Questo tipo di lettura siadatta a opere che presentano una ricerca formale raffinata,fenomeni non riducibili ma riconducibili a una concezionedell’architettura come “pratica artistica”, le cui risposte progettualisono portate a misurarsi con le necessità abitative e ambientali delvivere contemporaneo.

L’eleganza del tempo dilatato

Roberto Serino

Arne Jacobsen è totalmente assimilabile al Giano bifronte diartigianato e industria. La sua testimonianza è tale da allontanare unavolta per tutte l’antica querelle che vede nettamente separate le dueattività dimostrando come i migliori prodotti di design industriale, cioèquelli che resistono alla “commissione” del tempo, così come le miglioriarchitetture, siano disegnati da uomini che vivono nel clima di unatotale cultura figurativa. Totale nel senso di essere in grado diraccogliere in sé e trasformare in figure tutte le premesse insostituibilie contingenti della società, della tecnica e del paesaggio. Il lavoro delmaestro danese è saldamente centrato nella definizione di un telaiologico e geometrico verificandone, sistematicamente eprogressivamente, le possibilità e capacità di poter sostenere lefunzioni previste ma anche, e soprattutto, “l’animale selvatico”, cheossessionava il filosofo Wittgenstein nella sua unica esperienza diarchitetto per la casa viennese della sorella Gretl, e che èsostanzialmente l’adeguatezza all’uso dell’oggetto casa, industria,municipio, scuola che sia. L’energia che sostiene questo imperativoetico Jacobsen la assorbe da Mies e, tuttavia, ne amplifica l’eco in unasorta di abusione del linguaggio già enunciata da BaldassarreCastiglione nel Cinquecento italiano. In ogni capo d’opera pone lepremesse affinché il teorema possa essere ulteriormente elaborato, purconsapevole che la precisione formale raggiunta potrebbe ostacolareogni possibile modifica. Posizione di distacco critico che, tuttavia,appare l’unica possibile per poter inserire con leggerezza, all’internodel racconto del progetto, quegli elementi “altri” che con ironicaperfezione, aprono a storie diverse. È il caso dei policromi tessutistampati e carte da parati, della grafica, delle piccole architettureludiche da spiaggia, della popolazione di sedie e poltroncine (Ant, Egg,Grand Prix, Swann, Oxford, Ox), delle lampade, delle scale, dei materiali,dei dettagli e, sopra ogni cosa, il controllo della luce del Baltico. Sono

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segni importanti che mediano il vissuto e che per contrasto sapiente,introducono alla lettura o, meglio ancora, all’esperienza degli spaziarchitettonici. Identica la precisione sia per l’interno che per l’esterno el’architettura, come un “frammento morenico” portato dal ghiaccio, alladeriva, dalle terre granitiche del Nord approda nella vasta pianuradanese densa di boschi ma resa abitabile dalla radura. La radura contutta la sua potenzialità fondativa vive in funzione del bosco che lacultura nordica ha sempre saputo proteggere come barriera al vento;così non è un caso che Pietilä affermi che la «grotta nordica è fatta dilegno». Questo concetto del diradare e proteggere, ben evidenziato inquesto lavoro analitico di Renato Capozzi, come matrice fondativadella centralità del progetto architettonico, segna nei migliori architettiscandinavi il reale intreccio tra cultura della forma e natura. Puntoindiscutibile e vanto della cultura nordica e in particolare di quelladanese, il rapporto architettura-natura ha accompagnato l’affermazionesocialdemocratica del paese dando luogo a quella tradizione di studidel paesaggio che è oggi internazionalmente riconosciuta. Al paridell’architettura, del design e della letteratura, essa testimonia letrasformazioni concettuali ed estetiche messe in atto dagli inizi del XX secolo. Superata la tradizionale antitesi tra giardino formale egiardino paesaggistico le ricerche si sono orientate verso un’idea di“purismo”, basato su essenzialità e necessità, nel tentativo di unarinnovata armonia tra forma e contenuto. Una tensione che coinvolge ilmodo di considerare la natura, la vita, la bellezza e la libertà alla ricercadella poesia, dell’incanto e del silenzio in un metaforico “giardino deisensi, del pensiero e dell’immaginazione”. L’architettura è concepita insimbiosi con l’ambiente naturale dal quale la separano solo sottili eampie vetrate ed è opinione diffusa che l’Esposizione di Stoccolma delTrenta abbia sancito definitivamente lo spirito nuovo che anima i paesiscandinavi. Si delinea un landscape di apertura, naturalezza,accettazione della realtà in trasformazione ed equilibrio con la natura,che tracciato in modo esemplare dal paesaggista Gudmund N. Brandt(1878/1945) sarà poi sviluppato dai suoi migliori allievi Carl T.Soerensen, Aksel Andersen, Sven I. Andersson, Troels Erstad per ilpaesaggio e Arne Jacobsen per l’architettura. Così il Municipio di

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Aarhus, al di là delle evidenti influenze di Asplund ravvisabili nellaeleganza del dettaglio e della messa in scena di una mutazionetipologica dal Classicismo nordico verso il moderno, rivela unostraordinario frontescenio vetrato nella Raadusthal che, con gestominimale, restituisce il rapporto tra comunità e natura “convocando asorpresa” i maestosi alberi del giardino. Tema che Jacobsen riprenderàin più occasioni e che pur testimoniando quella linea minimalista cheattraversa l’architettura scandinava, apparendo inizialmente nel lavorodei finlandesi Aulis Blomstedt e di Kaija e Heikki Siren con la bellissimaCappella di Otaniemi del 1957, emergerà con indiscutibile chiarezza,nella versione danese, in particolare in due edifici degli anni Cinquanta: il SAS Terminal e Royal Hotel di Copenaghen e il Centro Civico diRødovre. Non è allora un caso che Renato Capozzi, nell’analizzarecriticamente la produzione architettonica di Jacobsen, concentri il suoraffinato lavoro di decodificazione del linguaggio sul Centro Civico diRødovre qui letto nel suo carattere di autentico laboratorio diprogettazione urbana in cui ogni addizione narrativa precedentesembra sfumare a vantaggio di una esemplare chiarezza di impianto edi soluzioni tecniche adeguate alla grande dimensione e allacomplessità funzionale. Municipio, biblioteca e residenza sono gli attoridi una rappresentazione ideale, e pertanto metafisica, ancora oggiserrati in un dialogo a distanza, nonostante l’aggressione disorientantedella edilizia diffusa nella pianura. Una consapevolezza ben presentenel maestro danese e colta da Capozzi nel suo appassionato raccontoche, di fatto, è lo svolgimento di un teorema compositivo intuito erivelato attraverso la strumentazione più antica di chi si cimentanell’architettura: il disegno e la proporzione. Come accade nella musicale sonorità di Rødovre, e con esse anche le indispensabili pause,rinascono nel laboratorio dell’architetto napoletano mentre lebellissime immagini scelte, rimandano all’idea, inseguita da Jacobsen emai del tutto dichiarata, di un tempo dilatato come la luce orizzontaledelle lunghe estati e l’oscurità degli interminabili inverni. Nel laboratorio di Rødovre, Jacobsen produrrà anche una scuola e unedificio industriale ma il grande archetipo della radura e dei marginidifensivi del bosco, di cui ho già detto, prenderà senso solo in questa

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costruzione di un luogo “primario” dove i margini del grande vuotosono definiti ancora dagli alberi mentre l’architettura del Municipio siritrae verso il quarto margine per dare spazio all’incontro e al silenzio eaprire al mistero. «Il mistero è la cima di un albero dietro un muro»ebbe a dire il messicano Barragán dall’altra parte dell’oceano, ma avolte è lo stesso muro di pietra o di cristallo a suggerire che dietro diessa ci sia un altro muro di pietra o di cristallo ed è in questa tensioneallo svelamento che si sviluppa la ricerca ed è qui il vero senso dellaespressione miesiana «less is more». Il mistero dell’albero dietro unmuro è metafora della bellezza. Ma l’aspirazione alla bellezza non èconseguibile senza la eliminazione di tutto ciò che è superfluo, di ciòche è distorto, di tutto ciò che impedisce lo sguardo. «Per vedere unacittà non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartaretutto ciò che impedisce di vederla», annotava Calvino nel 1975, dallasua particolare posizione di attento osservatore dei fatti urbani e inparticolare di quelli che hanno determinato e tuttora determinano ladissoluzione della forma comprensibile della città. Jacobsen, nellafamosa conferenza tenuta ad Amburgo nel 1963, dopo una lucida, eancora oggi attualissima, analisi degli effetti della incomprensione deiprocessi di modernizzazione in atto e della inadeguatezza rispetto allemodificazioni che tali processi comportano, sollecita gli architetti a“vedere” le deformazioni e a liberarsi di ogni preconcetto (primo fratutti la tendenza al primato del pensiero filosofico come condizionedell’operare) e tendere a un contributo umanistico alla indispensabileaffermazione della tecnica. Prioritaria è la dedizione al mestiere contutte le sue regole. Renato Capozzi soffermandosi su uno dei momenti più alti dellaproduzione dell’architetto danese sembra cogliere, del suo messaggiorazionale, in particolare la totale fiducia nei principî che regolano laproporzione e l’aspirazione al rigore assoluto miesiano. Il libro, svelando i meccanismi sintattici attraverso un’accurataelaborazione grafica, costruisce un’efficace pagina didattica dedicatanon solo alla nuova generazione, ma anche a tanti architettidisorientati, come gli inquilini improbabili del Giacomettiano Palazzoalle quattro del mattino del 1932.

Introduzione

Il tema di questo lavoro è lo studio dell’opera e del pensiero diArne Jacobsen che, esclusi i pur pregevoli lavori di Faber1 eRubino2 risalenti alla seconda metà del secolo scorso, non haavuto in Italia3 un approfondimento significativo soprattutto especificamente sul piano dell’indagine compositiva e urbana.Il punto di vista che qui si vuole proporre, nel trattare unacosì importante figura dell’architettura europea e non soloeuropea del Novecento, non vuole essere di tipo storico-critico quanto eminentemente analitico nello studio e nelridisegno critico delle opere progettate o costruite inrelazione alla ricerca del maestro danese. Tale necessitàmuove non tanto, quindi, dal voler colmare o aggiornare unalacuna pubblicistica su Jacobsen quanto dalla convinzioneche il suo lavoro sia ancora oggi di grande valore e attualitàin un momento in cui l’architettura è sospinta verso una suaprogressiva liquefazione e reductio ad imaginem che laproietta sempre più verso la ricerca dell’inedito e delsorprendente. Il lavoro di Jacobsen - peraltro in questo studiosolo sinteticamente riassunto e senza alcuna pretesa diesaustività - sta appunto a contrastare, nella sua oggettiva epaziente ricerca sui fondamenti della disciplina, questacondizione afflittiva e infondata. In particolare ci si è volutosoffermare sulle architetture civili di Jacobsen especificatamente sul Centro Civico di Rødovre che, se da unlato rappresenta la sintesi e il compimento del suo modo divedere l’architettura e la città, dall’altro testimonia di unamodalità di costruzione dello spazio pubblico di grandeinteresse e modernità per la costruzione di nuovi luoghicentrali e di polarità capaci di contrastare e migliorare lainsensatezza della città diffusa di questi anni. Il caso di

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Rødovre - come il Kulturforum di Berlino di Mies e Scharoun oil Campidoglio di Chandigarh di Le Corbusier fino al Campusdi Oporto di Siza - rappresenta una nuova, ma allo stessotempo antica, modalità di costruzione dei luoghi civili fondatasul disegno di luoghi centrali - non tanto in termini geometricima in quanto fatti primari - posti in rapporto alla natura chepossono rappresentare una efficace alternativa, sia alladensificazione di stampo neottocentesco, sia allanebulizzazione e privatizzazione dello Junkspace. Questo inuna ipotesi di città aperta e policentrica in cui allarazionalizzazione della residenza - attraverso l’individuazionedi alcune unità elementari complesse (settori urbani) - facciada contrappunto l’intenzionale e necessaria individuazione diluoghi centrali adeguati che non si riducano agli shoppingcenter o ai megastore ma siano ancora chiaramente definiti daarchitetture civili riconoscibili e fondate su principî e regoleintellegibili. Il volume è articolato in due parti complementari estrettamente correlate. Nella prima parte: “Il pensiero e l’operadi Arne Jacobsen”, si affronta la figura di Jacobsen in rapportoal cosiddetto Classicismo nordico, con alcuni confronti tra lasua ricerca e quella di Asplund e di Mies van der Rohe e conun approdo finale nella ricerca dell’astrazione enell’elementarismo come tratto distintivo del suo contributo.Un’astrazione che - si badi bene - non significa una fuga dallarealtà ma appunto una “distanza critica” da essa, che riflettesulla natura e la costituzione delle forme elementari e sulleloro possibili relazioni. Segue un’analisi sintetica delle sueopere, accettando e integrando4 la distinzione tematicaproposta da Félix Solagruen-Beascoa5, in edifici per laresidenza individuale e collettiva, per l’istruzione, per lo sporte infine in edifici pubblici e municipi. Nella sezione conclusivadi questa parte ci si sofferma sul ruolo degli edifici pubblicinella costruzione della città contemporanea assumendoappunto come exemplum il Centro Civico di Rødovre con i

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due edifici del Municipio e della Biblioteca messi in tensionetra loro a determinare un grande sistema polare-topologico incui il campo, come in quello dei Miracoli di Pisa, diviene ilvuoto significativo che stabilisce la struttura di relazione traoggetti a distanza. La seconda parte del volume: “Analisi eridisegni critici”, che completa la prima, è incentrataessenzialmente sulla indagine, squisitamente compositiva, delCentro Civico - sia nella sua architetturazione interna sia inrapporto al sistema urbano circostante - del Municipio e dellaBiblioteca. Per l’analisi dei due manufatti civili viene adottatala triade ideazione, costruzione, composizione, già proposta inaltra sede6, al fine di descrivere in sequenza maricorsivamente gli aspetti tematici/tipologici, quellitecnico/costruttivi e le procedure sintattiche/paratattiche e diproporzionamento che irreggimentano il carattere e la naturadelle forme adottate. A corredo di tali investigazioni vi sono alcuni ridisegnianalitici, del sistema urbano e delle architetture civili, tesi achiarirne l’assetto tettonico-costruttivo e quello compositivo-proporzionale.Infine, nelle “Conclusioni” al volume, sono proposte alcuneriflessioni sull’attualità e l’esemplarità dell’opera di Jacobsenin relazione a tre temi di fondo: la questione delle proporzioni,il problema del bello e il rapporto con il classico.

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Il pensiero e l’opera di Arne Jacobsen

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