Apocalissi mancate. Del mito della "crisi" e dei suoi paradossi.

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Apocalissi mancate. Del mito della “crisi” e i suoi paradossi. «La guerra. La guerra è il tuo mestiere. Non è così? E non è il vostro? Anche il mio. Non c’è dubbio. E allora cosa c’entrano tutti quei quaderni e gli ossi e l’altra roba? La guerra racchiude in sé tutti gli altri mestieri. È per questo che la guerra dura nel tempo? No. Essa perdura perché i giovani la amano e i vecchi la amano nei giovani. Quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto. Questo lo dite voi. Il giudice sorrise. Gli uomini sono nati per giocare. Nient’altro. Tutti i bambini sanno che il gioco è più nobile del lavoro. Sanno anche che il valore o merito di un gioco non sta nel gioco stesso, ma piuttosto nel valore di ciò che è messo in gioco. I giochi d’azzardo richiedono una posta per avere un senso. I giochi sportivi coinvolgono l’abilità e la forza dei contendenti, e l’umiliazione della sconfitta e l’orgoglio della vittoria sono di per sé posta sufficiente poiché pertengono al valore degli antagonisti e li definiscono. Ma, sia questione di gioco d’azzardo o di valore, tutti i giochi aspirano alla condizione di guerra, poiché in essa la posta inghiotte gioco, giocatore, tutto quanto. Supponiamo che due uomini giochino a carte non avendo niente da puntare se non la vita. Chi non ha mai sentito una storia del genere? Una carta viene girata. Per il giocatore l’intero universo si riversa fragorosamente in quell’istante, che gli dirà se gli tocca di morire per mano di quell’uomo o se toccherà a quell’uomo morire per mano sua. Quale ratifica del valore di un uomo potrebbe essere più sicura di questa? Spingere il gioco alla sua condizione estrema non ammette alcuna discussione concerterete al nozione di fato. La selezione di un uomo a danno di un altro è una preferenza assoluta e irrevocabile, ed è davvero ottuso l’uomo che considera una decisione così profonda priva di un agente o di un significato. In giochi del genere, in cui la posta è l’annichilimento dello sconfitto, le decisioni sono del tutto trasparenti. L’uomo che tiene in mano una particolare combinazione di carte è in forza di ciò rimosso dall’esistenza. Tale è la natura della guerra, in cui la posta in gioco è a un tempo il gioco stesso e l’autorità e la giustificazione. Vista in questi termini, la guerra è la forma più attendibile di divinazione.

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Apocalissi mancate. Del mito della “crisi” e i suoi paradossi.

«La guerra. La guerra è il tuo mestiere. Non ècosì? E non è il vostro? Anche il mio. Non c’èdubbio. E allora cosa c’entrano tutti queiquaderni e gli ossi e l’altra roba? La guerraracchiude in sé tutti gli altri mestieri. È perquesto che la guerra dura nel tempo? No. Essaperdura perché i giovani la amano e i vecchi laamano nei giovani. Quelli che hanno combattuto equelli che non hanno combattuto. Questo lo ditevoi. Il giudice sorrise. Gli uomini sono nati pergiocare. Nient’altro. Tutti i bambini sanno cheil gioco è più nobile del lavoro. Sanno ancheche il valore o merito di un gioco non sta nelgioco stesso, ma piuttosto nel valore di ciò cheè messo in gioco. I giochi d’azzardo richiedonouna posta per avere un senso. I giochi sportivicoinvolgono l’abilità e la forza dei contendenti,e l’umiliazione della sconfitta e l’orgogliodella vittoria sono di per sé posta sufficientepoiché pertengono al valore degli antagonisti eli definiscono. Ma, sia questione di giocod’azzardo o di valore, tutti i giochi aspiranoalla condizione di guerra, poiché in essa laposta inghiotte gioco, giocatore, tutto quanto.Supponiamo che due uomini giochino a carte nonavendo niente da puntare se non la vita. Chi nonha mai sentito una storia del genere? Una cartaviene girata. Per il giocatore l’intero universosi riversa fragorosamente in quell’istante, chegli dirà se gli tocca di morire per mano diquell’uomo o se toccherà a quell’uomo morire permano sua. Quale ratifica del valore di un uomopotrebbe essere più sicura di questa? Spingere ilgioco alla sua condizione estrema non ammettealcuna discussione concerterete al nozione difato. La selezione di un uomo a danno di un altroè una preferenza assoluta e irrevocabile, ed èdavvero ottuso l’uomo che considera una decisionecosì profonda priva di un agente o di unsignificato. In giochi del genere, in cui laposta è l’annichilimento dello sconfitto, ledecisioni sono del tutto trasparenti. L’uomo chetiene in mano una particolare combinazione dicarte è in forza di ciò rimosso dall’esistenza.Tale è la natura della guerra, in cui la posta ingioco è a un tempo il gioco stesso e l’autorità ela giustificazione. Vista in questi termini, laguerra è la forma più attendibile di divinazione.

È la verifica della propria volontà e dellavolontà di un altro, all’interno di quella piùampia volontà che è costretta a compiere unaselezione proprio perché li lega insieme. Laguerra è il gioco per eccellenza perché la guerraè in ultima analisi un’effrazione dell’unitàdell’esistenza. La guerra è dio», C. McCarthy,Meridiamo di sangue1.

Una cesura si è prodotta. Ma dove incida, nella società,nell’economia o nella politica, non è chiaro. È una ferita chene divarica le carni senza sanguinare. Se mai è esistito unequilibrio almeno tendenzialmente stabile tra queste tre formedeterminanti della storia, apparentemente è saltato. È quantoalluso da ricostruzioni giornalistiche che fanno rimbombareovunque la parola “crisi”. Immagini di catastrofe epocale laaccompagnano, in cui sui nervi tesi delle strade tracimanoincontenibili le defaillances del presente facendo esplodereovunque scintille infuocate di protesta e rabbia: lavoratori,studenti, cittadini a occupare le piazze rivendicando dirittiperduti. L’origine di tutto ciò è identificata nel crollo finanziarioscatenatosi, nella sua fase acuta, tra il 2009 e il 2010, purrisalendone l’effettivo impulso iniziale al 2005, comesegnalato dall’Economist del 16 giugno di quell’anno, momento incui esplode la bolla immobiliare negli Stati Uniti. L’ansia didefinire un punto d’inizio assoluto ha spinto un fogliosolitamente sobrio come il giornale inglese a gridareterrorizzato, come un corpo inerte di fronte all’avventosconcertante di un giudizio finale, alla condanna ineluttabileimpartita da una forza occulta e onnipotente. L’immagine della“crisi”, metastasi virulenta scatenatasi dal nulla, si è poidiffusa ovunque prorompendo dalle viscere della societàatterrita. Compulsivamente si sono ammassati affannati elenchidi sintomi, per rivoltarsi poi rabbiosi alla ricerca ossessivadelle responsabilità, attribuite di volta in volta allecolpevoli scelte suicide della speculazione o all’inerzia diuna politica “scarsamente riformistica”: loro le cause, icomportamenti nocivi rei d’aver inceppato un processo dicrescita virtualmente senza limiti. Una ridda di date, diriferimenti a fatti ed azioni più o meno circostanziati hannoriempito le colonne di ricostruzioni analitiche angosciate, più

1 Tr. it. a cura di R. Montanari, Torino, Einaudi 1996, pp. 256 – 257.

espressione nevrotica di un bisogno primario di difesa,disperato ma inconcludente, che risultanze di un lavorodiagnostico incisivo. La nostalgia dell’origine si è rivestitadelle vesti profetiche dell’apocalissi. Visioni della fine delmondo, immagini d’ecatombe pangenetica hanno riempito di furoreprofetico l’ingiunzione al sacrificio e al pentimento. Litaniedevozionali hanno impartito urlando nella tempesta dei mercatii sacramenti preparatori alla morte dello sviluppo. Chi hacercato di penetrare nelle dinamiche effettive, nelle tendenzereali? Caotiche grida contro l’untore, clamori atterriti difronte alla bestia avanzante hanno occupato lo spazio delcomprendere rinculando in stasi dell’azione. Cosa interessanteperché illustra in modo abbastanza evidente cosa sia, oggi,epoca del neoliberismo, l’analisi politica, di quali processidi spettacolarizzazione della passività si nutra essendonel’organo e imponendone le forme.La crisi è rappresentata, non sezionata e anatomizzata. Èrappresentata come il racconto apocalittico di una perdizioneatavica ora chiamata a rendere conto di fronte al tribunalemorale della storia, o la saga di una rovina indotta da unaprimordiale, irrazionale follia, frutto malato degli impulsiselvaggi di un gruppo ristretto di entità sfrenate incapaci dicontrollare l’immenso potere da esse detenuto. È divenuta ladescrizione drammatizzata di un sadico contrappasso conseguenteall’esaltato delirio d’onnipotenza che ha fatto scempio dellasocietà mondiale, in cui il colpevole è punito al pari dellavittima. Oppure, è stata raffigurata come una fatale auto –distruzione, il resoconto di un suicido premeditato einevitabile, il meccanismo perverso di una deliberata passionedi morte. La crisi é apparsa come l’espressione disturbante ecrudele di un’anti – natura, un cieco scatenarsi d’istintiincivili e come tali antisociali. Queste trame si svolgono tutte per contrapposizione. La loroconformazione sembra far riferimento ad una sorta dipostmoderno revival romantico, un ibrido plastificato diSchelling e Novalis. Alle figure del cataclisma fa fronte unadistaccata, austera, universalmente valida e completamentecomprensiva capacità razionale: lo Stato liberal – democratico.Essa, dotata della forza della purezza e della giustizia,qualità connesse al suo statuto etico, è il principiovivificatore, ideale ma non di meno dotato di efficaciaempirica, che, forgiando con mano d’uomo le sue applicazioni

speculative, presidi eterogenei in cui si uniscono cultura,biologia e istituzione, ridona il progresso alla civiltà e alprofitto il marchio trascendente del benessere sociale. Unapoetica medicale, in cui la medicina - Stato distribuisce ilsuo specifico principio attivo, il “diritto di cittadinanza”,sostiene l’impianto di un teatro narrativo che mette in scenail mito prometeico della rigenerazione dell’Uomo nonostante egrazie alla caduta.

L’esigenza d’identificare “il” punto di origine ha motivie scopi ben distanti da quanto sarebbe richiesto dallasituazione: definire come si sta disponendo lo scacchierestrategico dominato dai capitali in lotta, e quale posizioneassumere in relazione allo scontro tra forze - tra le quali cisono i dominati - che, campo di battaglia della politica, nepongono gli assetti. In questo momento, ciò cui stiamoassistendo é un’immane opera di ristrutturazione internaall’organizzazione del comando capitalistico, interamente acarico dei gruppi dominanti. Essa ne muta forme, composizione efunzionamento. Stravolge anche il settore avversario nelle suecomponenti integrate e in quelle autonome, costringendolo amutare, a prendere posizione e ad agire sottomettendosiall’impulso proveniente dai movimenti degli aggregaticapitalistici avversi. I resoconti di questi giorni, di questimesi, sembrano piuttosto circoscrivere uno spazio immaginario,una zona onirica fluttuante lungo le correnti di una duplicetrasfigurazione: quella della storia in racconto, e quindi,grazie alla mediazione della rappresentazione, epidermidefigurale che copre e connette corpi e cose, quelladell’affabulazione in delirio, apparizione di sagome malevoleche portano nel segno non una rottura, uno scarto liberatore,ma le proiezioni mute dell’impotenza. Il mito si è impossessatodel pensiero, gli spasmi ipnagogici dei nervi risucchiano lacapacità d’azione. La teoria e la politica rivoluzionarie, socialiste o comuniste,sono inquinate dalla stasi, ben più del pensiero cosiddetto“borghese”. Sono bloccate dall’incapacità di lavorare contro unassetto di potere per andare oltre, trasformandolo. Legamiinconsapevoli le sussumono alle concezioni ed alle strategiedei dominanti, innervandone le formazioni a partire dai loroalbori, da Buonarroti e i suoi apofasimeni, passando perMazzini, Blanqui, Bebel, Lassalle, Kautsky, fino all’idealismostatalista di Gramsci, alla dialettica tirannica di Stalin e

alle odierne cosmogonie salvifiche di Toni Negri. Marx, e poiLenin, Malatesta, Mao avevano aperto delle faglie neidispositivi teorici e sociali del potere capitalistico per darespazio politico a strategie eversive. Sarebbe tempo che anchein Italia si procedesse ad una disamina impietosa dei debitiche il movimento anticapitalista italiano ha contratto conl’avversario, di quali concetti e pratiche nemiche abbiamointroiettato ed agito, di quali idee e obiettivi hannoipotecato le nostre iniziative: il pragmatico individualismosociale di stampo lockiano di Beccaria; il diritto totalitarioche per De Maistre assicurava la perfetta coincidenza trasocietà, produzione e Stato; il dispotismo trascendentedell’universale che fondava la gnoseologia di Rosmini;l’esaltata fiducia nei ceti “lavorativi”, allegorie terrenedell’infinita capacità di costruzione del soggetto, di cui Dioera garante metafisico, che era stata la fede di Mazzini. Il tentativo di Marx è stato quello di realizzare una cesuraradicale sul corpo della teoria come su quello della politica.Seguendo le giunture che distribuiscono e coordinano i sistemidi comando, Marx ha identificato il nucleo determinante gliassetti autoritari che caratterizzano la formazione storica inatto, quella che era il suo, quanto é il nostro ora, contestodi vita: il modo di produzione capitalistico. Per isolare ivirus capaci di infettarne i centri nevralgici, ne ha mappatol’anatomia e la fisiologia: la sussunzione del lavoro perestrarne potere e il regime disciplinare diffuso in apparati,segnici come empirici, di direzione. Marx ha predisposto unostrumentario concettuale per provocare una rotturadell’impianto della scienza storica, ed una modalitàd’intervento nella congiuntura rivolta a trasformarecomposizione, procedimenti e ordini della societàcapitalistica. Marx ha praticato un lavoro conoscitivo altrorispetto a quello dominante – cioè quello hegeliano. I taglicausati dalla secessione epistemica marxiana hanno cumulatomolteplici processi di scissione, che hanno innescato a lorovolta ulteriori fuoriuscite. Attivando separazioni di elementieidetici, pezzi di teoria hanno potuto acquisire autonomia e,ricombinandosi sulla spinta delle rotture in un senso del tuttoalieno, sono andati ad organizzare apparecchi conoscitiviirriducibili a quelli, alleati delle gerarchie definite dallavalorizzazione, centrati sul triangolo egotico: coscienza –trascendenza – finalità. Allo stesso modo, una politica

dissidente, condotta di una forza assemblata da molteplicidistacchi e rivolta a separare aggregati di società daiprocedimenti di gestione capitalistica, assemblava, dupliceprocesso di disarticolazione e confluenza, schieramenti adattia produrre fabbriche di produzione sociale del tutto diverse eavversative. Marx ha lavorato con il conflitto e nel conflitto per costruirenella teoria e nell’azione apparecchi d’assemblaggio conoscitivo esociale la cui efficacia sta nell’essere estrinseci al sistemadi governo che incorpora pratiche diverse alla filieraarticolata che fonda e riproduce il dominio del valore.Marx ha agito lo scontro come una parte in lotta per rivoluzionarela società: questo è il contributo politico che possiamo farenostro mettendoci dalla sua parte, proseguendone il percorsoteorico tanto quanto quello militante. Marx è stato unaggregato eversivo, composito e differenziato, che ha infertodivaricazioni in grado d’effettuare emancipazione concettuale emobilitazione antagonista. Il lavoro di Marx è il lavoro dellarottura: teso a far saltare ingranaggi e apparati disubordinazione bloccandone e disarticolandone il predominio, e,senza soluzione di continuità, a produrre pratichecompletamente alternative, aliene dalla capacità di catturadelle categorie universali come anche dall’autorità dispoticadi un governo trascendente, cioè da tutti gli apparati che,funzionando, gerarchicamente, a sottomissione forzosa, spezzanole variazioni e le intrappolano. Marx ha braccato gli effetti delle strutture di comando fin nelcorpo del socialismo, fino al suo interno, all’interno di“Marx”, come ogni cosa terreno di scontro, nemico ed alleato dise stesso. Dal corpo stratificato dei sistemi uniformanti, delle epifanieontologiche, delle proiezioni soggettive, deragliando a causadi disfunzionamenti sistemici parziali o per induzione,molteplici serie di concetti subordinati si ricombinano infiliera di contrasto, aggregando linee di produzionespeculativa del tutto avverse ed estranee. Colpiscono leformazioni che occupano il terreno del significante, conoscenzae segno figurale, imponendo all’oggetto l’uniformità laminaredell’autocoscienza, la condizione dipendente di un doppiospeculare, contenuto d’apprensione intrinseca e riflessionetetica di una capacità ponente assoluta. Nella compagine in cuiil capitale circola, come scambio concorrenziale tra

particolari, consumando lavoro per generare dominanza, èspezzata catena di lavorazione che assicura la supremaziadell’appropriazione e la sua riproduzione. Assemblaggiestrinseci - a – gerarchici, accomunanti e egualitari -attaccano i gangli della fabbrica economica capitalistica,svellono i nodi della macchina sociale in cui spingono ipistoni della merce per riprodurre le gerarchie dell’impresa eil suo ambiente. Questo è il piano di Marx: produrre, nellascienza storica come nella politica uno scarto nonrecuperabile.

Quest’intervento unisce forza, conoscenza e sensibilità.Non si tratta né di “dover essere”, né dell’”Idea”, tanto menodell’”ottimismo della volontà”. È una strategia che vive dioperazioni dettate dal confronto tra avversi, dal suo scenariotattico, dalle condizioni e dalle opportunità che offre. Siverifica nel qui ed ora di congiunture reali: come è accadutonella rivoluzione Russa, a Cuba, con la rivoluzione culturalecinese, nelle lotte statunitensi tra il ’65 e il ‘69, nelperiodo tra il ’68 e il ’77 in Italia. Nel lavoro politico delsegni, ha caratterizzato le deviazioni liberatrici del sentireprodotte da Michelstaedter, Svevo, Gadda, Vittorini, Volponi,per non nominare che italiani e contemporanei, altrettante fasidel fronte del segno letterario aperta, nella guerra civileitaliana, dalla rivolta assoluta di Leopardi control’imposizione del moderno capitalistico: la ragione nera,concentrazionaria ed imperiale, che ingiunge una coincidenzaperfetta tra individuo ed universale, e la suggella facendonela realtà di un mondo da sempre realizzato in forma di Natura. Il congegno fautore di tagli chiamato “Marx” seguita a sosteneremanovre offensive per provocare mutamento. Non che taleraggruppamento di contro – poteri non conosca rovesci oregressioni interne. Esse esistono, sono i gravami, i sintomidei conflitti che agisce all’esterno, nella società, comeall’interno, nel fronte costituito da lui stesso, terreno deirapporti agonistici tra parti distinte che ne costituisconol’architettura. Quello che conta è il progetto e il metodo cheha lasciato, e, con essi, la posizione che ha conquistatocontro il capitalismo e che ci invita a tenere per continuare aprodurre rivoluzione. Costruzione, organizzazione e politica sono una cosa sola nellafabbrica di trasformazione marxiana. Ciò è vero per l’attivitàemancipatrice che si svolge nell’ambito ibrido in cui

produzione e società si assemblano in corpo sovrano. Ma valeanche per la teoria: un sistema concettuale è un organismomacchinico, una motrice teoricamente produttiva mossa dadifferenziali di potere. L’insieme che ne scaturisce è tenutounito dalla supremazia di forze dominanti, anch’essemovimentate da reciproci rapporti di potere. Il propulsore cheinnesca le coppie della teoria e le loro retroazioni cineticheè un’avvolgente, diffusa, attrezzatura di subordinazione,tramite cui componenti diversificate sono approcciate,radunate, organizzate, messe in produzione e gestite perprodurre dominio, ossia il loro stesso assoggettamento. Pensare, parlare, “sentire”, sono atti politici, lavorosociale, agone dello scontro per la supremazia, al pari dellepratiche mercantili o giuridico – amministrative2. L’idea diuna sfera “intima”, “personale”, esente da rapporti di potere èuna proiezione idealizzata, il sogno di creare la realtà daipropri abissi come quel Dio di cui la coscienza si credel’”analogon”: un soggetto autoreferenziale, assoluto, entitàseparata, omogenea a se stessa, la cui espressività si rigenerainfinitamente nel flutto di proiezioni volontarie di cui ésorgente inesauribile. Questa tara metafisica e idealista vizia le concezioni, tra cuiquella gramsciana, che definiscono la rivoluzione come piena,definitiva estrinsecazione di soggettività. L’Ego intenziona inogni atto la sua essenza eidetica e riflettente, specificatadall’identità fusionale tra nucleo noetico e correlatopercettivo, tra condizione tetica e datità estrinseche. Unacollettività totale e individuata (la classe) “vuole” sestessa, si proietta in ekstasi incondizionate verso la suapropria icona, tendendo a soggettivarsi all’infinito pergenerazione spontanea. Il popolo vive per farsi “Nazione”. Essagemma dal suo interno, dal cuore dell’organizzazione generaledi cui è substrato e linfa, individui nucleari e compiuti. Lapersona separata e autoreferenziale è il termine anticipatodelle innumerevoli donazioni puntiformi che trovano uguaglianzad’essenza nel ritorno speculare che consegna ogni volta e persempre l’oggetto alle declinazioni puntuali di un’epifania delcogito. La persona é l’orizzonte in cui si compie un substrato,

2 Cosa di cui Foucault ha dato ampia dimostrazione. Cfr. M. Foucault, Leparole e le cose, Paris, Gallimard 1966, ed. it. a cura di E. Painatescu,Milano, Bur 1978, in part. il par., Il desiderio e la rappresentazione, pp. 228 –231.

in quanto espressione del nucleo formale della società, che hamaturato nella sua costituzione primordiale la sua pienaesplicitazione. Il lavoro, donazione concreta di un contenuto universaleastratto, assume immediatamente aspetto noetico. L’”umorerubedo” che scorre nelle vene delle entità personalistiche creala storia dal calco ideale delle’azione. Connette la produzioneeconomica alle istituzioni per elaborazione sulfurea,attraverso concentrazioni dialettiche che solo il cetouniversale per definizione, apoteosi della soggettività inquanto massimamente fungente, la “classe operaia”, porta alloro definitivo, universale, rigoglio. Il dominio dellaborghesia, il capitale, divengono manifestazioni di una volontàdi ultima istanza, adombramenti di un vissuto globale che ponenel popolo, finalmente riunificato in “classe” riscattando perdistensione temporale il fare terreno dai limiti del finito,l’implicazione definitiva tra condizione a priori, possibilitàlogica e determinazione positiva. La soggettività generale hanel progresso la sua causa agente e finale. Il capitalismo èuna tappa necessaria della “via crucis” che i produttori devonoattraversare per realizzare la fusione perfetta tra intellettotrascendentale e immanenza. Dall’inizio del tempo, è scrittonei geroglifici che solcano la realtà e raccontano l’ontologiadel presente, la storia, la logica profonda che ne muove isettori, ha decretato la fine del dominio della borghesia che,limitata nei suoi connotati speculativi, è incapace di elevarsifino a saturare l’estensione intensiva dell’ideale storico –sociale, la “Nazione”, in cui il Soggetto “toglie” le sueparzialità per compiersi come primitiva, originaria e puresempre futuribile, libertà. Lo Stato ne rappresenta lo scheletro, gli attributi e lecapacità. Lo Stato è la forma storica che codifica la sintassiegotica della totalità costituente che s’incarna in “popolo”.Assume caratteri ontologici pari a quelli del fondamentosoggettivo, coniugandone la parusia e informando con i suoiorganismi la progressione dell’esistente. Lo Stato ha statutodi principio trascendente che richiama, dispone e gerarchizzagli enti a partire da se stesso, per la sovranitàincondizionata con cui delibera e per la legittimitàspeculativa delle sue ingiunzioni: per definizione è individuogenerico universalmente pensante, principio agente e personaglobale - . Così ripone la storia in senso al fondamento

ideale, mediatore trascendentale e verità del reale.Lo Stato éeffetto, sublimazione e termine delle ondulazioni noetiche chesi dipartono dal nucleo trascendentale della storia, laproduzione. Lo Stato é la transustanziazione in idea delladeclinazione materiale che si diffonde per sintesi sempreattive. Ogni azione si proietta in ordinamento normativo,trasvalutando la miriade di applicazioni tetiche in “visionidel mondo” comprensive, contenuti semici che portano in sé ilsenso proprio del “fare” storico e i loro apparati. Le“visioni del mondo” sono Legge ed Ufficio, appercezioni dicontenuti concettuali che governano i comportamenti,proposizioni giudicative regolate da una sintassi moraleantropocentrica. I gesti trovano la loro disciplina,modellandosi spontanenamente in istituzioni e procedurenormalizzanti. La Storia si ordina nell’apparato giuridicoobbediente agli imperativi dell’intelletto supremo che ne è ilsubstrato e le dà sostanza ideale. Gramsci rimane un crociano. Il suo progetto non è altro che unvecchio sogno “borghese”, di cui peraltro Hegel aveva giàcompiuto la sistematizzazione teorica: subordinare il conflittoalla totalità, disinnescarlo, farne un passaggio necessario, macontrollato ed indolore, un “mezzo” per cristallizzare lescissioni in un sistema generale a struttura asimmetrica. È diHegel la posizione speculativa che fa della storia la Pasquadell’Idea facendosi corpo in un ceto universale pienamenteattivo, la borghesia. Allegoria, modello e materia, questamassa speculativa, questa proliferazione pensante, copre con lasua ampiezza l’intero spazio dell’essere e con la qualitàspirituale dei suoi marchi ne legittima i poteri: la disciplinadel lavoro, la produzione tesa all’accumulo, l’ordinamentoverticale e direttivo. È di Hegel il gesto autoritario cheimpone sulle pratiche sociali la dittatura dell’”intellettuale”(sempre collettivo, come ogni istituzione). L’intellettuale él’arto, l’esemplificazione e la gemma della totalità chefacendo avanza verso il suo compimento storico. È istitutopubblico latore, gerente e attuatore di nozioni generali. LoStato popolare sovrano, di cui l’intellettuale – politico èguida, ne applica la Ragione. È l’intellettuale che controlla edà senso al fermento che porta i produttori ad annullarsinell’organismo trascendente che fa del suo vertice, ristrettoall’élite dirigente che è il Volto Santo della dialettica

universale/ceto storicamente efficiente/Stato, il punto diconcentrazione della storia intera. Togliatti non ha tradito Gramsci. Ne ha perseguito fino infondo il progetto. È Gramsci che teorizza la valenzaprogressiva della borghesia, la cui dirigenza, dotata dellenecessarie qualità istituzionali, avrebbe garantito, come unaspecie di agente fluidificante, la continuità al processostorico che si sarebbe concluso con la formazione, obbligatadalla Ragione di cui la Storia è fenomeno, diun’intellettualità scaturita dal ceto operaio. Cetomassimamente produttore, dunque attore supremo, è quest’ultimoche effettua l’intesa perfetta tra possibilità e espressione,assurgendo al ruolo di concrezione della coscienza prima eprendendo su di se la funzione di direzione complessiva in senoallo Stato. Presentificazione eminente della serie storica,esso ne riassume, potenziati e purificati, i connotati e leattitudini. Ricapitolando, implementate, le figure delprogresso, la guida operaia si fonde quindi con il condensato eil vertice del ceto che ne ha preparato l’avvento.L’intellettualità borghese diviene un solo organismo di governocon essa, sancendo, nella persona perfetta in cui gruppi efazioni si sciolgono mobilitandosi come tutt’uno, lariconciliazione della Storia con l’essenza, e di questa con lasua capacità estatica.Ad un livello infinitamente più basso, ma sulla stessa linea,la concezione di Negri non è altro che una versione restaurata- venduta grazie ad una oculata scelta di linguaggi alla moda -e allo stesso tempo radicalizzata dell’idealismo gramsciano.Per Marx invece la teoria non rimanda in veste di nozioneun’apprensione ontologica, non illustra i predicati di unasostanza, non ne riproduce la sintassi, né ne delinea lacontinuità. I concetti sono costruzione politica nellaconoscenza, produzione idee contro il dominio esercitato dacontenuti totalizzanti. Praticare teoria è manovrare sul frontedel conflitto. Il concetto si determina come parte e fazionedello scontro tra il capitale e i suoi alleati, potenzeattualmente prevalenti e dominatrici, e i segmenti di società daesso sottomessi. È lavoro per la trasformazione oltre ilcomando schierando forze capaci di eversione: l’immanenza, ladifferenza, la relazione, la singolarità,. Non si può, teoricamente e politicamente, affrontare l’analisidella società e dei suoi rivolgimenti in termini soggettivi,

umanistici o dialettici. Non funziona: perché rende impotenti.Di fronte alla sterilità e all’esaurimento delle opzioni“rivoluzionarie” del ‘900, l’unico compito è ricostruire,nella società e nel pensiero, con coraggio, una praticasovversiva per il comunismo.

La desolazione che stiamo vivendo, il sovrainvestimento indominio che induce le singole posture a propagarsi in filieredi sussunzione, non più solamente veicoli ma promotori digoverno capitalistico e della capitalizzazione del comando, haricevuto l’epiteto di “crisi”. Si sa che il temine viene dallaradice indoeuropea “krei”, cui generalmente è stato assegnato ilsenso di “mutamento”, “modificazione”. È noto che il primoimpiego “teorico” del termine è in Eraclito. I significati di“krino”, “krisis” (∫) sono ricondotti ad un ambito disignificazione caratterizzato dall’evanescenza dell’oggetto,relativo al costante ed aleatorio trascorrere degli enti da unaforma all’altra. Per questo si è fatto di Eraclito uno scetticonichilista ante litteram, o un’anticipazione selvaggiadell’armonica sistemazione aristotelica del divenire3.Heidegger, proprio introducendo una lettura difforme diEraclito, ha dato prospettive del tutto nuove alla definizionedi “krino”. Il verbo enuncia un ininterrotto venire allapresenza di un fondamento che si deposita in costellazionimondane, venire alla presenza di un “darsi” senza nome cheHeidegger definisce “aleteia” o “non nascondimento”. Losvelamento originario mantiene la sua trascendenza di fondoprimordiale, sussistenza che insiste in se stessa, inerenza diprecedente assoluto che si esplica portandosi verso di sé.Riposto nelle espressioni della sua capacità evenemenziale, siriporta verso il limite da cui scaturisce l’evento di cui ècustode: lui stesso, l’essere. Tale interpretazione,indubbiamente condotta da Heidegger con maestria teorica unitaad una non comune abilità di scrittura, ha avuto grande fortunain Italia. La cosa non desta stupore, visto come gli accademiciitalioti siano sempre assettati, quasi espiassero la colpadella propria ingordigia professorale, d’intuizione d’essenza. Questo è un riscontro di come tale prospettiva sia tutt’altroche utile ai nostri scopi. La ricezione italiana è un sintomodella natura effettiva e degli scopi reali del “pensierodell’evento” promosso da Heidegger, che ne spiega anche

3 Come ad esempio in G. Reale, Storia della filosofia antica, Roma, Vita e Pensiero1992, vol. II.

l’interpretazione di “krino”. L’ontologia della differenza èevidentemente un’operazione reazionaria con cui Heidegger tentadi ridare fiato alla trascendenza, elaborando, sulla baseteoretica di un advenire puro senza causazione e privo dialcuna formalizzazione empirica, una sussunzione dell’esistenzaad un principio eminentemente creatore come primariamentedeterminante. Heidegger mira a rinnovare la supremazia di unaconcezione derivativa dell’esistere esposta da una parteall’attacco della scienza, ma anche di una teoria che, grazie -e nonostante - gli errori del positivismo, si faceva sempre piùmondana; mentre dall’altra era squassata dai colpi di correntiartistiche rivolte a produrre segni da un’esteticadell’immanenza. Stessa iniziativa, verso cui Heidegger haparole quasi elogiative - per quanto espressione di un impiantoteorico legato al concetto di tempo cronologico, ormai daabbandonare4 - era intrapresa da Bergson in Francia. In Italia,il paladino della reazione nel concetto fu Croce, con risultatiestremamente lusinghieri visto che ancora oggi il“crocianesimo” resta ideologia dominante (magari sotto lamascheratura di categorie e linguaggio di Benjamin) nellediscipline della conoscenza, in particolare la critica esteticae la filosofia. Molto più interessante è l’accezione moderna del termine“crisi”, nata come estensione dei significati originari di“krinein”, riferiti ad applicazioni mediche. Essi implicanol’idea di una scissura, causa o effetto della perturbazione diun organismo ordinato in seguito alla pressione di uno o piùagenti esterni. La “crisi” é un distacco, una separazione(significato specifico di “krino”, da cui “krisis”) di una o piùparti in relazione ad una contesa. Autonomizzandosi, esseprendono a funzionare in modo discordante, a detrimento dellealtre. Inficiano così l’azione complessiva di un corpo,costringendolo a manifestazioni innaturali, eclatanti,perturbative rispetto all’andamento ed alla conformazioneconsiderate “normali” , regolari. Uno dei primi impieghi deltermine è appunto patognomonico, teso ad esprimere le

4 «L’esecuzione completa di questo compito esige anche che il concetto ditempo così ottenuto sia delimitato rispetto alla comprensione ordinaria deltempo, la quale è divenuta esplicita in una interpretazione del tempodepositatasi nel concetto tradizionale del tempo quale è prevalso daAristotele a Bergson», M. Heidegger, Essere e Tempo, Tübingen, Niemeyer 1927,ed. it. a cura di P. Chiodi, Torino, UTET 1994, p. 73.

manifestazione cloniche dell’epilessia5. Quindi il vocabolo haassunto per estensione ulteriori contenuti semantici: politici,come la rottura dei rapporti, già regolati giuridicamente, tranazioni (“crisi” internazionale), o il venir meno della coesione trarappresentanze prevista normativamente da una strutturaistituzionale quanto allo svolgimento del suo mandato e allesue procedure (“crisi” di governo”); morali, indicando la perdita disenso e di capacità vincolante dei criteri morali definentiun’epoca, decadence (“crisi” dei valori); economici, in relazione alledisfunzioni nella produzione o nel mercato indotte da unamancata, inefficiente o insufficiente gestione dei mezzi diproduzione, della valuta, della circolazione e degli scambi.Rottura di un equilibrio ed i suoi effetti paradossali:significati che fanno riferimento ad una posizione antitetica,ad un movimento antifrastico ed insieme tracimante in cui unprimitivo ed originario stato di consonanza, complesso difunzioni proporzionate che connettono il tessuto vitale diun’entità operante, é alterato per l’interazione agonistica tragli elementi che lo compongono. La frattura tra segmenti neprovoca lo spostamento e quindi l’attivazione di un movimentosecondo, efficace in sé ma deleterio per l’assetto indisarticolazione. Uno o più fattori si ritraggono dal nessofunzionante che li univa agli altri reinvestendo insieme delloro ritmo discordante, del loro andamento avversativo, laformazione di cui partecipavano, variando, con le proprie, lecondizioni d’attivazione di quella. È un frangersi mobile checambia la posizione e la natura della componente patologica,così come cambia la regione che ne demanda e conduce le azioni.Tale diversione, indotta dal conflitto, mette all’opera laparte per violazione, sorta di spinta selvaggia non piùimbrigliata in organo, e la configurazione ampia perscostamento e contrasto. Si dà crisi solo rispetto ad una centratura precedente, allastasi operosa in cui il gradiente di energia potenziale tramomenti corrisponde ad un’equazione pari a 0. Una conformazionedi riferimento, caratterizzata da schemi di buona formazione,da sistemi di coordinate equanimi e simmetriche, da proceduredi funzionamento ideale e di riconoscibilità formale, sideforma per il divenire i suoi momenti estranei gli uni aglialtri. Irriducibili ad ogni rapporto di concordanza e di

5 L. R. Angeletti, V. Gazzaniga, Storia, filosofia ed etica generale della medicina, Roma,Elsevier Masson 2004 p. 35

commensurabilità, essi mantengono comunque una valenzaproduttiva che si effettua assemblando un composto estrinseco,i cui nessi agiscono ad uscire. La crisi è deviante,degenerazione di un insieme e generatrice, tramite ilconflitto, di un movimento alterato delle sue parti che sidispongono come un'altra struttura: una compagine intrasformazione. Foucault ha magnificamente ricostruito lastoria del patologico. Non c’interessa ripercorrerla qui. Neprendiamo gli spunti essenziali, perché utili al discorso chevorremmo tentare di fare. Tutti questi connotati agiscono nelle immagini che hannoaccompagnato i resoconti di fallimenti, chiusure di imprese,crolli finanziari, licenziamenti, rivolte. Le figure che hannoraccontato la crisi, l’intreccio affabulatorio che ne hacostituito l’architettura implicita, non detta e non percepitama agita come sintomo, hanno presentato questo stesso schemaorganico: una giustapposizione d’opposizioni polari integranti,per dissociazione, equilibrio e dissonanza, simmetria econfusione. La situazione attuale ha preso vita nella scenatestuale come iconografia biopatologica della società.Delineata con le sembianze di un’entità personale naturale esenziente, in quanto tutto composto da funzioni fisiologiche ecognitive regolate ed interconnesse, la sua vicenda attuale èstata svolta come la cronaca di un disfacimento, un po’resoconto neutro di un deterioramento d’organi non piùsolidali, un po’ storia appassionata della fine di un sentirecomunitario corroso dal dissidio. Queste due diramazionidiegetiche si sono organizzate sullo spettro semantico medicaledi “crisi”, di volta in volta attraverso figure cangianti maanaloghe, che siano state economiche, politiche, istituzionali.Secondo tale intreccio, la fase in cui le attività vitali disistema, le operazioni di assimilazione economica e sintesipolitica, conservavano coordinamento, proporzioni econformazione ottimali, è stata travolta dalla deflagrazione ditutti le rispondenze, provocando lo slittamento del sistemaverso escrescenze patologiche: il collasso degli equilibrimonetari e commerciali; la caduta dei parametri produttivi eoccupazionali; il crollo degli indicatori di bilancio efinanziari sia pubblici che privati; l’aumento dellaconflittualità sociale all’interno dei vari Stati; la tensioneinternazionale, in cui l’opzione militare, seppur sotto lespoglie d’intervento pacificatore e di messa in sicurezza

poliziesca, ridiviene lo strumento privilegiato di uno scontrotra potenze che, dopo essersi spiegato sull’asse Est – Ovest,ha assunto una conformazione molto più articolata emultipolare, ma non meno virulenta: il fronte cinese, indiano,sudamericano, russo, europeo. Le versioni mutano nei particolari variando il contenuto, manon la struttura, dell’intreccio. Il sistema di equidistanzeinsediatosi dopo la seconda guerra mondiale, nonostante egrazie al confronto tra deterrenze incrociate, lo sviluppoprogressivo che ne sarebbe derivato, grazie pure aisommovimenti “modernizzatori” degli anni ’60 e ’70, avrebbeassunto una torsione mostruosa. Una globalizzazione “senzaregole”, come più spesso ammoniscono le rimostranzedell’opinione di “sinistra”, ne sarebbe la causa scatenante.Un’economia bulimica e distruttrice, effetto di escrescenzevirali incontrollate, avrebbe distorto e scompaginato, a causadei livelli di espansione talmente abnormi da infrangere ilimiti del possibile, l’osmosi che rendeva armonica larespirazione cellulare dell’organismo sociale: la “crisi”. Le valutazioni che interrogano il fenomeno da “destra”, invece,identificano nei “diritti”, retaggio – “lusso”, aveva asseritoTremonti - di un ordine non più performante e per questoinsostenibile, fautore di processi sconnessi e oppositivi, ladisfunzione che mina i meccanismi collettivi della crescita ele connessioni molecolari del complesso delle funzioni sociali,degradando l’evoluzione piramidale dello scambio economico e laconvergenza unanime delle relazioni politiche. In entrambi i casi, la crisi assume l’aspetto di unaseparazione patologica, di un’affezione dei connettivi chesmembra un sistema vivente, rendendogli impossibile mantenerela disposizione e il funzionamento regolari. L’interruzionedella circolazione trofica interna alla società, per ladivergenza tra le sezioni del suo corpo, ne intossica lacrescita, assicurata dall’organizzazione composta e bilanciata,provocando il deperimento del suo stato. La società è malata,il morbo che ne attacca il vigore è identificato di volta involta nell’irrazionalità dei rapporti tra agenti economici,nella dissonanza esistente tra mercato globale e infrastrutturesocio – politiche, nella presenza dei grumi del conflitto:tutte affezioni mortali della “omeostasi della cumulazione”,l’ordine globale concordemente regolato – riassorbendo leopposizioni - che aveva preso l’aspetto di punti di PIL

guadagnati o perduti e dei loro derivati (in senso proprio elato), e che aveva dettato la buona salute della società intermini di modernità, progresso, sviluppo, ricchezza,benessere, giustizia, pace.

In questo racconto si parla di “crisi”. Ma crisi di cosa?Che cos’è “in crisi”? Ricostruiamo quanto è accaduto. La cadutadell’Urss ha aperto uno scenario denso di opportunità per lepotenze vincitrici gli Stati Uniti, innanzitutto, ma anchel’Europa, il Giappone e, sottovalutate da tutti, la Cina el’India6. La forza statunitense ha identificato gli obiettividi una fase che doveva essere espansiva, viste le condizionigeostrategiche, e i nuovi pericoli al predominio globaleinstaurato. Per questo ha pianificato e realizzato un disegnodi controllo del Medio Oriente (progetto denominato neidocumenti ufficiali “Grande Medio Oriente”7), che aveva duescopi: permettere di gestire a piacimento risorse energetichedivenute scarse e quindi ancora più essenziali; presidiare ilprincipale settore di espansione delle potenze che più neminacciavano la supremazia, la Cina, l’India, la Russia. Questatattica, neo–imperialistica, ha impiegato modalità inedited’occupazione territoriale e sottomissione. Questo caratterenon si spiega con un generico perfezionamento tecnico.Corrisponde ad una fase dei rapporti intercapitalisticiqualitativamente differente. In essa non troviamo (come avvenuto nelneocolonialismo, forma di occupazione e controllo succedutaalle lotte per l’indipendenza tra gli anni ’50 e ’70)l’impianto in territorio straniero di entità produttive ofinanziarie dipendenti da una casa–madre, secondo il modellodelle multinazionali. Non vi si riscontrano neppure quelleforme di dipendenza finanziaria, ottenute attraverso ilmeccanismo del sostegno al debito sovrano, del prestito o dellafornitura di materiali e tecnologia, che legavano entitàstatali economicamente deboli ai paesi più forti. Alla formadella “filiale” e dello “scoperto” se ne sostituisce un’altra,basata sulla gestione diretta di soggetti produttivi e organismifinanziari di uno – o più – centri capitalistici nelle6 La prima perché considerata “comunista”, cosa non più vera dallaliquidazione del maoismo realizzata da Deng, il cui momento culminante fuil processo alla “banda dei quattro” nel 1976; la seconda perché accorpata,come il Brasile, ai paesi del “terzo mondo”, aree sottosviluppate,perennemente a cavallo tra una modernizzazione selvaggia e atavicoprimitivismo. 7 Si veda su questo « Limes. Rivista italiana di geopolitica », 2002, n. 4.

strutture economiche e politiche8 (banche, imprese, selezionedel ceto dirigente) di paesi il cui controllo è consideratostrategico per motivi economici e geopolitici. Il territorio insé é sottoposto ad un governo estrinseco alla sovranità dellapopolazione che lo occupa e dei suoi istituti giuridici. Questaorganizzazione della produzione, del mercato e dei poteri nonfunziona per gemmazione ma per digestione e, quindi,assorbimento. Le entità economiche formano una sola monade con il territorioin cui operano. Tale nucleo socio – produttivo in fusione è unastruttura integrale, economico – istituzionale, attivataesclusivamente dagli imput economici che ne allacciano laconfigurazione e ne decidono il movimento. Qualsiasi statutoabbia, non perde individualità. Conserva la sua distinzione,sublimandola in un sistema d’impresa più vasto e articolato chediviene il suo come lei gli appartiene essendone una delle suemembra, unite seppur dislocate e indipendenti, nodiinterconnessi di un’organizzazione ameboide. Tali agenzie sonosistemi eteronomi: hanno una propria dirigenza, un proprioorganigramma, e una specifica conformazione. Godono quindi diampio margine di movimento, ma restano raccordati perprolungamento protoplasmatico, pseudopodi di un nucleo, centrodi gestione e comando, distribuito nel movimento complessivodell’organismo diffuso. La forma odierna dell’imperialismocapitalistico è quella di una cellula “a planetario”, dalleestensioni spiegate in un complicato gioco di attrazioni erepulsioni che ne legano le singole manifestazioni come ipianeti in una costellazione. Ognuno dei momenti dell’impresa èreferente esclusivo dei suoi comportamenti e delle suedevoluzioni. Nell’ambito della composizione molecolare che liunisce tutti, sono distribuiti gerarchicamente secondo ruoli efunzioni differenziate. Hanno peso e autorità diversi, inrelazione alla loro capacità di rigenerare e implementarel’organismo totale, pur rimanendo, rispetto all’insiemeprotozoico generale, unità privilegiate (per quantosostituibili proprio per la sua relativa indipendenza, fattosalvo che ne sussista l’”economicità”, ossia che se nepresentino l’opportunità e le condizioni) ai fini del

8 Basti pensare alla composizione del capitale delle banche italiane, ingran parte direttamente gestito da giganti della finanza francesi (BNP -Paribas, ad esempio), o alla distribuzione dei pacchetti azionari dicontrollo delle maggiori imprese nazionali.

raggiungimento dello scopo centrale: permettere all’ impresa -rizopodo di continuare a produrre valore e conquistare spazi dimercato. Solo in apparenza la disposizione interna si dispiega per lineeorizzontali. La libertà decisionale e l’attitudine propositivadei nuclei può dare l’impressione che la verticalità delcomando e le sue ripartizioni lascino il posto ad unraggruppamento “smart”, in cui vari gruppi siano coordinati inmodo indipendente per funzioni di pari livello. Invece, lamobilità dei distaccamenti e la distribuzione della direzionesono solo l’effetto del carattere maggiormente pervasivo,dell’aumentata efficacia del potere di controllo della funzioned’impresa. Ogni segmento e azione delle sezioni sono ordinatisecondo procedure di organizzazione e gestione rispondenti nontanto allo sviluppo del singolo snodo produttivo, maall’implementazione dell’intera rete, in vista di obiettiviimposti dall’organismo complessivo. Ogni parte di questo è laripartizione di un'unica reazione metabolica dispersa. Unamassiccia, persistente, penetrante circolazione di strutture,capitali, tecnologie e metodiche, si attiva persparpagliamento, scegliendo di volta in volta tra due schemioperazionali, entrambi caratterizzati da forme d’ingiunzioneindirette e decentrate: 1) un modello a “rete di agenzie”; 2)un modello a “catena di franchising”. Il primo consiste nellaparcellizzazione dell’impresa, che attiva sue clonazioniseparate e direttamente responsabili dei propri investimenti.La ragione sociale resta la stessa, ed unico il controllo chevaluta, a monte e a valle, le risposte del sistema complesso,ma il nucleo – madre diffonde spore ovunque un ambiente dimercato sia attrattivo per le strategie decisionali e leprocedure di appropriazione che la caratterizzano. Esso sigemma in ogni contento che sia ideale al suo svilupposalvaguardando, moltiplicandosi, la sua coesione ed allo stessotempo mantenendo la flessibilità e il dinamismo di un singoloconglomerato produttivo, di un apparato più snello e semplice.Organizzazione mobile ed elastica, essa implica però unquoziente elevato d’integrazione di seconda istanza. Il secondo invece è un modello che prevede la dilatazione permeiosi dell’impresa. Una nuova entità, dallo scheletrogiuridico congruente con quello della casa madre, ma del tuttodissimile per chassis, corredo produttivo, filiera eorganigramma, è lasciata attecchire in un ambiente esterno,

dove si feconda per cariogamia economica (tecnologie o risorsefinanziarie) con organizzazioni già presenti e disponibili adessere captate. Ne nascono delle individualità autoreferenzialial quadrato, entità disgiunte che intervengono nel mercato comeoperatori estrinseci, misurandosi anche con altre spore dellacellula base ma mai con questa stessa, che si assicura lasopravvivenza nutrendosi per alimentazione eterologa,attraverso i trasferimenti finanziari frutto dellepartecipazioni azionarie, dell’apporto fornito dalle cellulediploidi.

Funzioni aziendali dalla velocità e plasticitàesponenziali hanno conferito un’inedita, smisurata pervasivitàai fattori d’impresa, orientandone le procedure verso politicheaggressive di accumulazione intensiva. Questo quadro non si èlimitato a stravolgere le segmentazioni e la circuitazioneeconomica dei settori tradizionali. L’impresa, implacabile esfrenata, ha messo a valore materie fino ad allora considerate,se non proprio fuori mercato, essendo il loro consumodipendente da fattori di economicità, beni socialmenteessenziali oggetto di distribuzione più che di valorizzazione.Proprio per questo in epoca fordista essi erano scambiatisecondo un valore politicamente definito, grazie all’interventodel massimo organismo politico regolatore che ne stabiliva ilprezzo e le condizioni di mercato: lo Stato. Sono i cosiddetti“beni comuni”: l’acqua, la distribuzione energetica, itrasporti, le prestazioni sanitarie, la conoscenza, con lestrutture formative e di ricerca ad essa relative. In occasionedegli ultimi “round” del WTO, in cui il campo capitalistico sié confrontato per decidere della ristrutturazione dei processidi cumulazione e dei rapporti di forza che ne devono definirela morfologia, questo processo è stato definito“commercializzazione dei beni comuni”: immagine ideologica,figlia di un idealismo umanistico inefficace sia teoricamenteche politicamente. Lascia trasparire, con immaginario alla DeAmicis, la visione tenebrosa di una congrega di avidi mercantiche, con disumana noncuranza dell’umanità dell’umano, silitigano le spoglie della vita per ricavarne due denari. Nulla di tutto questo è reale. Sogno a sogno aggiunge, perciò,l’invocazione, in nome dei “beni essenziali”, di un garantegenerale, lo Stato, entità terza avente capacitàd’intermediazione tra mercato e società, potere di tutelauniversale che dispone, organizzando lo scambio secondo criteri

di giustizia, un’equa distribuzione della ricchezza. I “beni”non sono mai stati “comuni” per la semplice ragione diesistere. Un oggetto assume valore e senso nella specificaformazione che ne determina, in quanto prodotto sociale,l’aspetto e gli usi. È una compagine storica che lo richiamacome uno dei suoi effetti, ponendone le condizioni le cateneproduttive che la attivano. Questo abbaglio ha lunga storia. Èda suggestioni neoplatoniche filtrate dal cristianesimo chearriva negli scritti giovanili di Marx, in particolare neitesti apparsi nella «Reinische Zeitung». Possiamo seguirne glistrascichi, attraverso i «Deutsch - französische Jahrbücher»,fino ai Manoscritti economico – filosofici del ’44 e oltre. Questo erroredeterminante, che Marx comincerà a sottoporre ad indagine criticanelle Tesi su Feuerbach, è stato riprodotto da schiere dimarxisti, non da ultimo Daniel Bensaïd9, che, probabilmenteossessionati da complessi religiosi non risolti, si sonoaffannati a cercare nel consumo purificato da ogni commercio dioggetti resi sacri dalla loro qualità di nutrimento vitale, unostato naturale e originario, una dimensione ontologicamenteprimaria e antropologicamente eminente depravata dalcapitalismo per brama dissipatrice. A tale “nuda vita”autentica e integra sarebbero destinati, per natura o perdettato metafisico, i piaceri di un paradiso di eternaabbondanza sottratto ai suoi legittimi tenutari da malvagieschiere di demoni accaparratori. Sarebbe sufficiente adelegittimare questi mitologemi notare come essi siano fondatisu un concetto di storia centrato sulla categoria di “accesso”,prerogativa d’individui parcellizzati, piuttosto che su quelladi “controllo”, che invece prevede un’organizzazionecollettiva. Colpisce in verità il perdurare dell’inquinamentoprovocato da concezioni religiose contro cui Marx stesso avevacombattuto, anche contro se stesso, la battaglia teorica grazieche lo aveva condotto alle conquiste teorico – politiche de Ilcapitale. I beni primari, soggetti al diritto di natura ma spurgato delpossesso individuale, hanno forma terrena e ancestrale, sono laconcrezione di un desiderio e di un istinto. La loro sostanzasi condensa nell’assenza di limite tra ideale e reale,secrezione trascendentale di composti ibridi, dalla chimicaeterogenea, in cui spontaneo e artificiale, soggettivo e

9 D. Bensaïd, Gli spossessati. Proprietà, diritto dei poveri e beni comuni, Paris, Lafabrique 2007, ed. it. a cura di A. Pardi, Verona, Ombre Corte 2009.

sociale, intuizione e mondo, ossia tra ontologia e storia,divengono qualità reversibili. Il loro statuto, come la loromateria, sono controversi e ambigui. Ma un oggetto, seconsiderato rispetto al suo concetto, é il risultato di uninsieme socialmente organizzato di produzione e distribuzione.Un materiale non contiene né riproduce, come parte totale, laforma del modo di produzione che lo lavora. Non rappresentadunque - al di là dell’inconsistenza di una tale visionemetafisica - sotto le sembianze di predicati giuridici unnatura primordiale cui corrisponde una socialità altrettantoprimigenia. È una conseguenza della struttura che lo estraedalle sue elaborazioni. I suoi attributi, il suo aspetto,dipendono dalla particolare filiera, dalla determinata catenadi fattori e procedimenti che l’ha posto in essere manipolandoelementi esistenti. L’oggetto è il prodotto del legame dimolteplici componenti attive in quanto complesso produttivo. Larelazione tra tali parti fa accendere, per reciproca spinta, leazioni di una costellazione sociale. Innestandosi gli uni suglialtri, i fattori si provocano a vicenda al movimento e mettonoall’opera i nessi che li agganciano. Da tale manipolazionescaturiscono i prodotti rimessi poi nei passaggi sistemici. Lecatene di lavorazione sociale danno vita ad effetti sociali –economici, culturali, giuridici - . Quest’ultimi, contenutidistinti a seconda del dominio di realtà cui afferiscono, sonofunzionali a riprodurre e sostenere, settore per settore, laformazione intera di cui sono un’escrescenza. Non ne sono lacopia, né ne esplicitano gli attributi come un’ipostasil’essenza. Tanto meno rappresentano in nuce un intero sistema direlazioni sociali. È la produzione, di cui l’oggetto é unaterminazione, che si posiziona secondo configurazioni sociali.Essa, e non la cosa, può assumere disposizione non asimmetricae non gerarchia in quanto governata da una forma di controllocollettivo tale da impedirne le torsioni esclusive edescludenti. Il diritto di proprietà, lungi dall’essere la deiezione di unaprimitiva incondizionata capacità di godimento, non è che unsegmento, relativo all’ambito giuridico, del funzionamentoarticolato e complesso di una fabbrica sociale composita chedeposita prodotti investendo se stessa con i suoi processi dilavorazione per mantenersi attiva.In epoca romana la “gens”, istituto basilare che fondaval’architettura istituzionale di una formazione sociale di tipo

clanico, definiva le forme e le condizioni di proprietà di unbene. Il possesso considerato “comune” consisteva nelriconoscimento del diritto di usufrutto che “gens” diverse siconcedevano mutualmente. Esso, a sua volta, era esteso alla“plebs” come sostegno al consumo ed alle attività economiche cheafferivano al potere di cumulo della gens stessa. Nel Medio Evo la proprietà dei beni era codificata secondo ledeterminazioni giuridiche dell’ordinamento socio -istituzionale basato sul vincolo feudale. Era quindi posta eregolata dai principi di fedeltà vassallatica. Il segnoreligioso dava valenza di legame determinante e attivatoresociale alla signoria, decretandone l’eminenza in terminigiuridici e culturali. Essendo tale nesso di naturaistituzionale, è l’organizzazione normativa ed i suoi istitutiad imporsi sugli altri fattori di socializzazione. Il diritto ele sue figure connotano i processi di produzione e riproduzionedella formazione sociale signorile. È il diritto che,governando lo strato segnico coagulato anche sulle realtàeconomiche (il “valore”, sistema di equivalenze astratte cheorganizza, come rimandi semici, le relazioni tra beni nelloscambio o nelle dinamiche produttive, supportando e veicolandodel pari ulteriori molteplici significanti sociali), sanciscela preminenza di alcune componenti la loro posizione e le loroprerogative rispetto alle altre, loro soggette. Questosignificano, nella formazione signorile, il “beneficium”, il“vassus” - istituti a cavallo tra produzione pura e regolazionesociale allargata - , la “corvée” - allocazione della terra esuo sfruttamento a beneficio dell’accantonamento del signore,ulteriore riconoscimento di sudditanza in modo di prestazioneproduttiva - , tutte figure di origine romana trasformate inordinamenti economici adeguati a supportare e rafforzare ilnesso giuridico determinante: la sudditanza personale di naturaservile. Le “bandite”, terre regolate secondo la consuetudine degli“usi civici”, non erano proprietà collettive, come si è pensatosovrapponendo un’idea di diritto collettivo moderna aspecifiche forme di regolamentazione del nesso feudale.Infatti, l’universale capacità giuridica di disposizionerientra negli ordini giuridici moderni. Tra ‘700 e ‘800,durante l’era napoleonica, viene posto un altro concetto diproprietà – che porta alla stesura del “codice civile”,fondamento delle forme e delle procedure della società

capitalistica - in funzione di differenti principi, cosiddetti“borghesi”, dove non poca parte hanno ideali settecenteschi distampo swiftiano e, ancor più, speculazioni utopisticheottocentesche che saranno elaborate in filosofie generali daButler, Owen, e Preud’homme. L’uso civico si svolgeva in terreche, seppur libere per l’assenza o la caduta delle relazionivassallatiche, erano comunque sottoposte a precisi obblighi,non esulanti dalle prescrizioni addotte dal patto di servitù.Il “legnatico” il “pascolatico”, l’”erbatico”, o il “fungatico”attestano il rigido controllo da parte dell’autorità su taliterre, che quindi non assumevano alcuna qualità collettiva o dilibero sfruttamento. L’autorità governava i terreni seppur inassenza di un feudatario. Essa poteva vantare giurisdizione,per il suo grado, su un pezzo di territorio non direttamentesoggetto al suo comando, ma comunque sottoposto alla sovranitàsignorile. La titolarità istituzionale riguardante i terreni“sciolti”, eredità di un precedente uso romano (“fiscus”),stabiliva le modalità di accesso e d’impiego di risorse cheerano considerate, a tutti gli effetti, una riserva dimateriale del feudo. Il signore non faceva che delegare lagestione del terreno e la riscossione del tributo alla comunitàdi villaggio. Queste risorse erano assegnate dal signoreall’usufrutto dell’intera collettività. Questa concessione eranecessaria al corretto funzionamento economico dell’interacatena delle servitù, in cui fondamentale era la sopravvivenzadel servo in quanto fattore produttivo fondamentale. Dopo la rivoluzione radicale che lo condusse a “fare i conti”con la sua “coscienza” precedente, dominata da categoriefeuerbachiane, in Marx non si trova più alcun richiamo a,presunti, “beni comuni”. Piuttosto alla “natura”, che entracome materia inerte o riprodotta per processi spontanei in unaspecifica formazione socio – storica, che, determinandone lemodalità d’interazione con le molteplici apparecchiatureproduttive, ne specifica i significati. Le caratteristiche, lefunzioni, le immagini, della natura sono qualificate dai legamie dalla dominanza che mettono in moto il complesso ingranaggiodi produzione/riproduzione di una compagine sociale. Nellaformazione sociale gentilizia la natura è “res gentium”. Inquella signorile è “dominatus loci”. Nel sistema capitalistico lanatura è “merce”: fattore economico del ciclo di produzione diplusvalore. La natura nel ciclo capitalistico é l’insieme dimateriali che, combinati con il lavoro, modellati per riceverne

l’azione e approvvigionare i processi, trasformano le lorocaratteristiche iniziali in “oggetti di bisogno”, in segmentidi valore secondo i termini imposti, attraverso la complessemediazione del “mediatore segnico” universale, il denaro,anch’esso merce, dal sistema di equivalenze che sostienel’intero circuito che vive per estendere l’estrazione dicapitale. Tralasciamo qui in che modo, nel mondo dominato dal valorecapitalistico, tale funzione economica della natura sia stataaccompagnata, seguendo un percorso indipendente ma“tatticamente” connesso con essa in un’alleanza tra forzeoperanti in campi diversi di un comune piano storico, da unacerta trasposizione figurale della “naturalezza” in forma didevoluzione soggettiva: sia in termini di “naturalità” ched’“innatezza” (in positivo: “libertà”, “spontaneità”,“umanità”, “pietà”, “verità”, ecc.; e in negativo: “caduta”,“deiezione”, “distacco”, “disincanto”, “decadenza”, “rinuncia”,“sragione”). Rimandiamo alla lettura di Paolo Volponi, inparticolare de Le mosche del capitale10, per la rappresentazioneromanzesca, seppur non meno efficace teoricamente, dei processidi soggettivazione che inquadrano i segni in ekstasi egotiche,ponendoli al fianco della totalizzazione del “bisognoindividuale”, carattere con cui la natura è identificata, comeproprietà esclusiva di un singolo perché suo oggetto diconsumo, nelle operazioni pragmatiche di un soggetto fungente. La natura è merce tra le merci. Costituisce un momentoessenziale della valorizzazione del capitale, in un triplicesenso: 1) per fornire alla produzione gli elementi “oggettivi” chene permettono, alimentandole, le lavorazioni. Intendomateriali, risorse energetiche, ma anche biologiche (tra cui il“cibo” – ossia il ciclo di produzione agricolo/industrialealimentare), chimiche e “antropiche”. È mai esistito uncapitalismo che non abbia messo a valore, deprimendole opotenziandole, le funzioni sviluppate dall’animale “uomo”,dalle emozioni, al pensiero, al linguaggio? La sezione del Ilibro de Il capitale sulla cooperazione descrive in manieracircostanziata cosa significhi “mettere al lavoro” la merce

10 A dimostrazione che la letteratura pensa, e soprattutto in Italia, paeseche dopo Croce non ha avuto più la forza di produrre filosofia. Cfr. P.Volponi, Le mosche del capitale, in, Romanzi e prose, Torino, Einaudi 2003, vol.II.

“uomo”. L’immagine stessa diviene sostanza e produzione,acquisendo lo spessore socialmente sensibile del “valore”. Ilsignificante diviene prodotto materico di un ciclo specifico dilavorazione e distribuzione che non mette in circolazionecapitale, ma totalizzazioni soggettive, imago narcisisticamenteriflessive in cui si afferma la volontà incondizionata di unacoscienza padrona. Riconnotata dal metasegno monetario che negoverna il senso, la valenza affettiva del segno è lavorata perprodurre tensori edonistici figurali. 2) La “natura” è una merce di scambio innervata disignificati giuridici ed economici che ne definiscono ruolo,significati e statuto. Sotto forma di “terra” entra, con lecaratteristiche di quota di capitale, di bene finanziario o diconsumo, direttamente nel mercato sotto forma di rendita. Talefunzione è stata economicamente essenziale nello sviluppo delsistema capitalistico, come in particolare la storia italianainsegna: non solo è un modo per drenare risorse valutarie, maanche per intervenire nel ciclo di produzione e scambio dellamerce “denaro”, influenzandone i flussi, i livelli di valore,incidendo sui corsi in cui si realizza in nuovo capitale.3) Nelle sue configurazioni figurali la “natura” è uncontenuto semantico che risponde al comando di significati che,alleati del capitale, governano il dominio dei segni. Comenella produzione l’ampliamento della sussunzione capitalisticaordina le catene di lavorazione e i passaggi monetari, neldominio del significare il Soggetto domina idee, immagini,comportamenti, contenuti cognitivi, vale a dire le filierearticolate di produzione figurale. Il Soggetto, nelle suedeclinazioni, è la forza significante schierata al fianco delcapitale che ne sostiene il potere attraverso una disposizionedei segni funzionale all’accumulazione. La soggettivazionedella natura si esprime come arco intensivo del desiderio.Estendendo le sue tensioni appetitive tra immagine, fisiologiacognitiva, volizione, e tonalità emotiva, la natura fattacoscienza ponente prende il nome di “bisogno”. Sarebbe tempo diricominciare a indagare questa categoria da troppo temporimasta sostanzialmente inaccessibile all’indagine teorica –molto meno alla psicanalisi - . Nietzsche è imprescindibilerispetto a questo. Troppo il peso di una tradizione che, acominciare da Platone, ha sbarrato la strada con la suaautorità all’analisi critica. Anche prospettive posteriori,profondamente erronee, hanno consapevolmente propagandato la

categoria di bisogno con l’assertività fideistica di unarticolo di fede, rivestendo un pregiudizio ideologico conaccattivanti metafisiche. Filosofie apparentementerivoluzionarie ma surrettiziamente conservatrici portanoegualmente la responsabilità di tale rimozione. Il catechismoin forma metafisica di Hanna Arendt, ad esempio, in cui ilbisogno é perno di una concezione egocentrica ed asociale dellavoro. La dottrina chiesastica e reazionaria di Àgnes Hellerrende il bisogno l’apice di un’universale foia appropriatricein cui il desiderio, estrinsecazione selvaggia dell’individuo,assume la qualità di rapina giustificata per via ontologica. Per “bisogno” s’intende l’interdipendenza tra organismo eambiente che si manifesta come stato di mancanza,fisiologicamente qualificato. La penuria, come affermaSartre11, innesca le funzioni motorie e cognitive necessariealla sua rimozione: la “soddisfazione”. Il bisogno è dunque un“individuatore egotico”: racchiude l’esistente nella figurasintetica che occupa lo spazio circoscritto dalla reazione diun ente su un terminale senziente. Il mondo finisce dove ilcorpo particolare comincia a sentire e fremere12. Il bisogno écausa, motore e procedimento dell’elaborazione, biologica maanche cognitiva e ideale, con cui l’individuo in sé si appropriaper sé dell’oggetto, ponendosi di fronte al mondo come soggettopercipiente e ipseità agente. Il bisogno esplica il caratteretetico di un’entità capace di trascendenza. Questo polod’attivazione è un centro posizionale, un “Io” che si affermaproiettando la sua forma verso un fuori già assunto comeproprio orizzonte d’attivazione nelle apprensioni focalizzatesul sé che fanno da base “yletica” a tali donazioniautocentrate13. L’Ego tende à ciò di cui si è già appropriato11 «La materia circostante riceve sin dalla comparsa del bisogno un’unitàpassiva per il solo fatto che la totalizzazione in corso vi si riflettecome totalità. Onde si può dire che la Natura, nella sua prima forma, è lamateria svelata come totalità passiva di un essere organico che tenta ditrovarvi il suo essere», J. P. Sartre, Critica della ragione dialettica. I. Teoria degliinsiemi pratici, Paris, Gallimard 1960, tr. it. a cura di P. Caruso, Milano, IlSaggiatore 1963, p. 207.12 « Tutto si rivela nel bisogno: è il primo rapporto totalizzante di questoessere materiale, un uomo, con l’insieme materiale di cui fa parte. Talerapporto è univoco e d’interiorità. Con il bisogno, infatti, compare nellamateria la prima negazione di negazione e la prima totalizzazione», ivi, p.206.13 «Non può darsi resistenza (né, di conseguenza, forze negative), se nonall’interno di un movimento che determina in funzione dell’avvenire, cioè

fantasmaticamente: un elemento mancante ma a priori integrato,parte differita di un compimento solo momentaneamentealienato14. Il desiderio ne è la vera struttura trascendentale diultima istanza. Il bisogno rimosso tramite le protensionidesideranti è un asserto: dispiega e conferma l’individuazionedell’ente dotato di intelletto riflessivo e facoltàd’affermazione estatica. Il desiderio, funzione trascendentaleche integra la natura al bisogno, è la forma della coscienza.Restituisce il principale attributo dell’individuo che ne è iltitolare, l’essere consumatore: l’essere sostanza, in quantoentità ideativa ed agente, che si esplica nella natura come suospazio d’oggettivazione, la quale non è solo ambiente adeguatoalle sue evoluzioni, ma a priori suo possedimento perché giàincorporata dalla struttura dell’atto con cui, facendone ilsubstrato della sua manifestazione, ne incontra l’esistenza.Questa definizione accoppia l’organizzazione nucleare deisistemi biologici autotrofi ad elaborazione analitica. La vitaè solo umana, e solo per il mantenimento dell’individuo sisvolge, riflesso speculativo di sintesi attive e perennementeinconcluse, seppur sempre in grado di effettuare l’omeostasicon i loro momenti passivi. Teoreticamente, affonda le sueradici molto lontano: «E, dunque, costui, ed ogni altra personache abbia desiderio, desidera ciò che non ha sua disposizione eche non è presente, ciò che non possiede, ciò che egli non è,ciò di cui ha bisogno. Sono queste le cose di cui si sentedesiderio e amore? (…) Eros non è forse, innanzi tutto, amoredi alcune cose e, inoltre, di quelle cose di cui si sentemancanza?»15. È Hobbes, però, che ne ha codificato in mododefinitivo le connotazioni. Attraverso di lui questo ideologemaé passato in tutti i sistemi che hanno posto al centrodell’essere l’ente “uomo” e reso la dialettica dell’esistenzail gesto d’assunzione particolare che attiva, organizza e rendeoperativa la sintesi di percezione e comportamento: latotalizzazione in mondo vissuto del Soggetto singolo che si

di una certa forma d’integrazione», ivi, p. 210.14 «Il bisogno è rapporto d’immanenza univoca con la materialitàcircostante, in quanto l’organismo cerca di nutrirsene, esso è quindi giàtotalizzante, e doppiamente: infatti è nient’altro che la totalità viventeche si manifesta come totalità e che svela la materialità circostante,all’infinito, come campo complessivo delle possibilità d’appagamento», ivi,p. 206.15 Platone, Simposio, 201 A, in, Tutte le opere, ed. it. a cura di G. Reale,Milano, Rusconi1991 p. 509.

afferma in due appercezioni interconnesse, in due moti reattiviincrociati organizzati a loro volta intorno a due centri diesteriorizzazione attiva, uno ricettore e l’altro emittente. Il bisogno è manifestazione immediata dell’essenzadell’”umano”, della sua primordiale “naturalità”, della suatrascendente concretezza. L’individuo e il reale si fondono inun’ideazione individuata ed assoluta. Le cose sono digerite,tramite le prensioni estatiche dell’epitelio ontologicopersonale, e fluttuano nella sostanza che la coscienza,volendo, rimanda in azione. Il bisogno la facoltà cheevidenzia, concentrandola in coniugazioni pragmaticheriflettenti, la fisiologia ideale dell’Ego. L’”uomo” soddisfadentro l’oggetto il desiderio di sé che lo rende un ibrido trabestia e Dio.Eppure, se posto di fronte alla sua storia, se ricondotto aipassaggi che ne depositano le genealogie, il bisogno, adesempio quello sessuale16, è tutt’altro che “natura”. Tant’èche l’attuale neoliberismo, fedele ai suoi orientamenti, se neappropria in funzione dei suoi obiettivi, declinandolo secondole strategie più efficaci perché “convenienti”, “utili”. Il“bisogno” diviene “marketing”. Per citare la definizione dataneda Pallavicini già nel 1959: «Il marketing management consisteinvece nell'analizzare, programmare, realizzare e controllareprogetti volti all'attuazione di scambi con mercati - obiettivoper realizzare obiettivi aziendali. Esso mira soprattutto adadeguare l'offerta di prodotti o servizi ai bisogni e alleesigenze dei mercati - obiettivo ed all'uso efficace delletecniche di determinazione del prezzo, della comunicazione edella distribuzione per informare, motivare e servire ilmercato»17. “Natura” è ben altro che un substrato materialeinerte, seppur vivificatore e rigoglioso, di cui ci si contendeil possesso o che si distribuisce spontaneamente in un16 Come attesta il percorso fatto da Foucault attraverso i “piaceri”: «Percapire in che modo la pratica degli aphrodisia venga problematizzata nellariflessione sull’amore per i ragazzi, occorre tener presente un principioche non è certo peculiare alla cultura greca, ma che in essa ha assuntoun’importanza considerevole esercitando, nelle valutazioni morali, unpotere determinante. Si tratta del principio di isomorfismo fra relazionesessuale e rapporto sociale,» M. Foucault, L’uso dei piaceri, Paris, Gallimard1984, ed. it. a cura di L. Guarino, Milano, Feltrinelli 1984, p. 21717 Esistono anche altre definizioni, ad esempio quella di Wiener, ma questadi Pallavicini ci sembra la più teoricamente conseguente. Cfr. GiancarloPallavicini, Banche e ricerche di mercato, in «L'Economia», Roma Università diStudi Sociali novembre 1959.

profluvio di nutrimento per tutti18. È la denominazione divolta in volta diversa assunta da un potere che s’insedia anchesotto forma d’”ambiente” circoscrivendo un mondo. Una strategia di attacco teorico dovrebbe passare dalla criticadi tali trascendentali soggettivi (“natura”, “ambiente”,“bisogno”, “piacere”, “desiderio”19) per costruire unarastrelliera di concetti “altri”, adatti a combatterne lasupremazia e gli effetti. “Natura” è una delle componenti dellafiliera che muove e riproduce la valorizzazione del capitale. Èun elemento subordinato dello chassis composto dai fattori che,assemblando meccanismi d’implementazione di valore, determinanol’architettura di un insieme sociale. Le frazionicapitalistiche si agganciano al lavoro, sussumendolo emodellandolo per farne l’agente produttivo primario di unospecifico modo di produzione. Il lavoro non presenta connotatigenericamente “umani”, non ha nessun riferimento ad alcunbisogno: non è l’adempimento di una necessità soggettiva, né larispondenza ad una pulsione ideale, fantasma ancestrale dallacoscienza. Marx aveva già negato tali attribuzioni criticandol’ideologia umanistica di Feuerbach. Il lavoro è una funzione18 Il mito dell’”appropriazione originaria”, magari “continua”, al di làdella serietà di alcune sue vittime, tipo Sandro Mezzadra (faccioriferimento al testo posto in, AA.VV., Lessico Marxiano, Roma, Manifestolibri2008), vive su questo presupposto ideologico. Tutt’altro senso hal’episodio della recinzione delle terre in Marx, fase in cui unacombinazione di pratiche trasformative, qualificate economicamente egiuridicamente come capitalistiche, hanno sostituito il potere precedente,feudale, con una nuova organizzazione della società, della sovranità e delsenso: quella, appunto, capitalistica. 19 Una certa vulgata deleuziana, non solo ma in particolar modo italiana, cheper altro nulla a che fare con Deleuze, ha confuso questo concetto, il“desiderio”, da Deleuze impiegato in modo estremamente rigoroso («Cosicchétutto è produzione: produzione di produzioni, di azioni e di passioni; produzioni diregistrazioni, di distribuzioni di punti di riferimento; produzioni di consumi, divoluttà, di angosce e di dolori. Tutto è a tal punto produzione che leregistrazioni sono immediatamente consumate, consunte, e i consumidirettamente riprodotti. Questo è il primo senso del processo: portare leregistrazioni e il consumo nella produzione stessa, farne le produzionid’uno stesso processo», L’anti-Edipo,, Paris, Les Éditions de Minuit 1972, tr.it. a cura di A. Fontana, Torino, Einaudi 1975, pp. 5 - 6), con losfrenarsi di pulsioni individuali, interpretando in termini di espressionesoggettiva, di “atto di creazione”. Di conseguenza, l’”essere minoritario”non poteva che mutarsi nell’esaltazione dell’individualismo più becero. Mairegalo più gradito è stato fatto all’egotismo egocentrico capitalistico,che tutti i giorni, dalle sue psichedeliche, creative, “desideranti”pubblicità, ringrazia sentitamente.

adeguata allo scheletro, ai procedimenti e agli obiettivi diuna struttura la cui forma é data dal governo capitalistico deirapporti socialmente produttivi. Il capitale mette all’opera illavoro rendendolo un apparato bio – meccanico divalorizzazione: forza di lavoro 20. Una compagine sociale è una costruzione intrinsecamentedinamica ed essenzialmente politica. Questo ne dà la storicitàeffettiva: il fatto di essere impiantata per generare esostenere un movimento rispondente a processi di sussunzione.Il potere, un primato che afferma una supremazia, produce lasocietà. Il legame fondamentale che genera una struttura guidale operazioni di tutte le congiunzioni indotte a farne parte. Irapporti che la effettuano si connettono per mantenere lostatuto sovrano del nesso determinate che disponegerarchicamente i momenti da esso organizzati secondo ruoli didominanza. Il comando, procedura che informa i passaggi internialla compagine sociale, è la matrice che genera i livelli diattivazione di ogni segmento, assegnandogli collocazione emansioni.L’estrazione di plusvalore cattura componenti e le assoggetta.Il piano di composizione di tale assetto piramidale passa daiconflitti, da ordinamenti decisi da un posizionamentoavversativo. Il capitalismo agisce dominando e sussumendolavoro. Tale scissura agonistica, e la preminenza che ne è

20 «La giornata di lavoro combinata produce quantità di valore d’usomaggiori della somma di egual numero di giornate lavorative individualisingole, e quindi diminuisce il tempo di lavoro necessario per produrre undeterminato effetto utile. Che la giornata lavorativa combinata riceva taleforza produttiva accresciuta, nel caso dato, perché essa eleva il potenzialemeccanico del lavoro, o perché dilata nello spazio la sfera d’azione dellavoro, o perché contrae nello spazio, in rapporto alla scala diproduzione, il campo di produzione, o perché nel momento critico rendeliquido molto lavoro in poco tempo, o perché eccita l’emulazione deisingoli intensificandone gli spiriti vitali, o perché imprime alleoperazioni dello stesso genere compiute da molte persone il carattere dellacontinuità e della multilateralità, o perché compie contemporaneamenteoperazioni differenti, o perché economizza i mezzi di produzione mediantel’uso in comune di essi, o perché conferisce al lavoro individuale ilcarattere di lavoro sociale medio – in ogni caso, la forza produttiva specificadella giornata lavorativa combinata è forza produttiva sociale del lavoro,ossia forza produttiva del lavoro sociale. E deriva dalla cooperazione stessa. Nellacooperazione pianificata con altri l’operaio si spoglia dei suoi limitiindividuali e sviluppa la facoltà della sua specie», K. Marx, Il Capitale, I,IV, 11, ed. it. a cura di E. Cantimori, Roma, Editori Riuniti 1964, vol. I,p. 371.

l’effetto, fa società, imponendosi grazie alla pervasivitàdelle sue attivazioni, in grado di fornire risorse e mezzi suvasta scala, e all’estensione del suo governo. La forza cheesprime la sostiene subordinando le sezioni utili a farproliferare un mondo tendenzialmente coincidente con la suacapacità di dominio – di cui solo una sociologia marxiana, eparticolarmente avvertita, potrebbe rendere la variegata edifferente articolazione, la plurivoca composizione21 - . Taledisposizione agonistica lavora contese per mantenere e tutelarela scissione che ne costituisce il fondamento. Il capitalismo –come ogni altro sistema sociale - nasce dalla guerra, funzionacontinuando senza soste lo scontro tra componente determinante,e le sue protesi dominanti, con le frazioni dominate. Ogniparte é innestata forzosamente sulla corona principale chespinge la catena di produzione dei capitali e la conservaefficiente. Una lotta incessante le tiene incorporate ai suoiapparecchi di potere. Parti estrinseche sono aggredite esoggiogate per farne carne della carne del capitale e sanguedel suo sangue: fattori di produzione di plusvalore, atoutconcorrenziali e strumenti di valorizzazione mercantile. La“natura” non è altro che una delle membra del corpo socialecapitalistico, mossa come le altre dalla congiunzionesubordinante che rende il lavoro capitalisticamente produttivo.Questo potere fa ruotare gli uni sugli altri gli elementirelati che ne compongono il congegno. Qualche anno fa si è parlato a lungo di “fine del lavoro”.Rifkin e Aznar hanno riempito pagine di “oggettive”,“scientifiche” elucubrazioni per spiegare che lo sviluppo

21 Nonostante gli sforzi di Raniero Panzieri, se non contro di essi,purtroppo, questo progetto d’indagine è stato completamente ignorato dalmarxismo italiano, ben più appagato dall’osannare il sacro mistero della“classe operaia” che si transustanzia, attraverso la Pasqua dellademocrazia progressiva, in Stato, del quale il partito è simbolo,anticipazione e promessa. Particolarmente zelante – ripeto, contro RanieroPanzieri - nell’onorare il banchetto santo che benedice l’assunzione incielo della classe sulle ali gloriose della sviluppo, è stato Mario Tronti,non a caso uno dei più fulgidi esempi, con Asor Rosa e Negri, diopportunismo parolaio che la “sinistra” universitaria italiana abbia maisfornato. Più attenzione hanno avuto gli storici, a cui va dato il merito di aversollevato, più o meno implicitamente, forse grazie al fatto di aver presoil sud come oggetto di studio, il problema del significato reale di terminicome “classe”, e “proletariato”: faccio qui i nomi di Gianni Bosio, CesareBermani, e Giorgio Candeloro.

tecnologico e la crescita della ricchezza prodotta avrebbe resoprogressivamente inutile la distribuzione e l’organizzazionecapitalistiche del lavoro22. In realtà la quota di forza-lavoroimpiegata è direttamente dipendente dalle congiunture del ciclodel valore e dalla configurazione sua propria, la concorrenzaintercapitalistica. Ora il tasso d’occupazione è in fasecalante, tra il 2003 e il 2004 è complessivamente aumentato intermini di unità ma anche di orario e produttività. Tutto ciòsignifica solo che il rapporto tra produzione e capitale non èspiegabile, e non dipende, da variabili statistiche. Lepercentuali non incidono sulla struttura del comandocapitalistico, né illustrano mutazioni sistemiche. Comunque levariazioni della composizione sociale della forza-lavoro sonoeffetto della sussunzione del lavoro al capitale: restando laforma capitalistica della produzione determinante, i valorirelativi all’occupazione, insieme a quelli del tempo di lavoroe dell’intensità produttiva, indicano i gradienti diappropriazione e la valenza politica del ciclo, fasi e scenaridell’affrontamento che permette ai raggruppamenti capitalisticiparticolari di mettere a valore quantità di lavoro necessariead acquisire, sottraendolo agli altri nella disputa mercantile,ulteriore spazio di crescita.Ottenebrati dalla stessa concezione, altri hanno affermato - èstoria recente - che si era ormai affermata l’epoca in cui laricchezza, scaturendo dalla semplice circolazione del denarosul mercato finanziario, non aveva più alcun riferimentoall’economia “reale”. Finita l’esigenza della produzione“pesante”, limitata nelle strutture e nell’intensità dei suoipassaggi, la finanza satura per proliferazione inconclusa divalore, la cui distribuzione coincide integralmente con lasocietà, tutto lo spettro, presente e futuro, dei bisognisociali. Questa posizione ha avuto una sua coda “estremistica”:il vortice sistemico che realizza ricchezza da ricchezzatracima dall’aumento geometrico dei quozienti di produttivitàgarantiti dalla condensazione della forza-lavoro in unagenerale, esponenziale potenza d’attivazione. Il ciclo

22 Cfr. J. Rifkin, La fine del lavoro, La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale el'avvento dell'era post-mercato, New York, Tarcher & Putnam 1995, ed. it., Milano,Mondadori 2002 ; G. Aznar, Lavorare meno per lavorare tutti, Paris, Syros 1993, ed.it. a cura di Marsili e Salsano, Torino, Boringhieri 1994. Sulla questionedella presunta “fine del lavoro” vedi, M. Turchetto, Piccolo è brutto? Ancora suimiti del postfordismo, in, «Collegamenti Wobbly. Nuova serie », 1998 – 1999, n.6 – 7.

riconcilia per trascinamento meccanico l’insieme di operazioniparallele ma concorrenti frammentate nelle unitàmanifatturiere. Quest’evoluzione inaudita concentra laproduzione nell’investimento immane di un’applicazioneuniversale dall’incalcolabile rendimento. La società sisintetizza in un'unica forma, la cui azione trascende, perintensità e mole, i cicli di produzione capitalistica, puressendone il capitalismo stadio preparatorio. Il circuito delvalore é sublimato dai volumi di prodotto ottenuti dall’unitàfusionale di tutti i produttori, ormai coesi in un solo attoremolare la cui forma e i cui comportamenti comprendono, comedonazioni illimitate, l’intero esistente. Le concrezioniparcellizzate del lavoro trasmutano in Soggettività universale.La Classe cova sotto l’alienazione, montando dai processinegativi indotti dagli apparati repressivi capitalistici.Persona totale, giunta a maturazione per il movimento espansivoe centripeto assicurato dalla tecnica, è in grado di operarecollettivamente come una totalità infinitamente fungente. LaClasse compie la processione che incardina, fin dagli alboridella società, le estasi tetiche sulla dialettica storica,effettuandone le sterminate potenzialità espansive. Essarivendica il proprio diritto sul prodotto “immateriale” che lasua virtualità, attributo implicito della nervatuta ontologico– sociale che ne sostiene le protensioni cairotiche, continua afar circolare nel sistema economico aumentandone la velocità inproporzione piramidale al espressione del suo desiderio.Dilatazione “verticale” di un’entità destinata ad essereglobale ed autocosciente per essenza, la Classe” è, in ognunodei suoi snodi neuronali, l’emanazione di un univoco, totale“general intellect”. Questo la rende realtà “assoluta”, personalitàspirituale integralmente agente, Ragione “biopolitica”.Un entità egotica universale – “moltitudine” – pone l’identitàtra Soggettività e bisogno: rendendo affermazione di un’univocavolontà globale l’incondizionata espressione autotelica di unacoscienza trascendente, la sua incommensurabile espressione inestasi oggettive e l’inesauribile secrezione della materia chene è il substrato. La società, come attestato dal mediumreticolare che ne rappresenta l’estensione performativa,esprime la totalità aderente di un universo atomico, in cui illavoro é immediatamente Storia Generale della Coscienza Cosmicae l’immaginazione, che ne proietta in idea attuata le estasi,la completa positiva distensione della sua ipseità di sostanza,

il suo onnipotente slancio creatore. Puro spirito, la societàfermenta su se stessa secernendo il proprio valore di principioponente, estasi speculativa in forma di significazione organicaa se stessa e perciò senza equivalente, inconvertibile come ilsenso di un’intuizione mistica. Tutte le possibilità disocializzazione sono attuate in un colpo con un gesto tantoassoluto quanto definitivo: una pulsione fusionale cosmica sitrascende a ritroso, ritornando a sé. La sua sussistenza égarantita a priori da se stessa, per l’aderenza integrale traintenzione solipsistica e Ego totale, incondizionato eautoponente, che la realizza.

Una dopo l’altra, le bolle finanziarie esplodono.L’economia reale entra in recessione, i mercati ristagnano, iprezzi salgono e con essi l’inflazione, le imprese chiudono: ladisoccupazione sale. Forse ancora sussiste qualche relazionetra finanza, mercato e produzione? Il denaro è il segno diequivalenza per eccellenza. Permette lo scambio tra diversiassicurandone la reversibilità23. Senza merce non c’è denaro eviceversa. Lo dimostra una cronica patologia del sistemacapitalistico come l’inflazione. Non esiste moneta senza uncorrispondente reale, di cui misura: 1) la quantità di lavoroimmessavi, in termini di tempo e intensità24, oltre alla partedi materiale e macchinario consumata per la sua valorizzazione.Il denaro esprime il tasso d’incorporazione del lavoro alcapitale, motore dell’impresa capitalistica; 2) il valore deimateriali e della lavorazione impiegati nel ciclo produttivo, aloro volta merci, quantificato in prezzi; 3) l’ulteriorevalutazione ottenuta in sede di mercato di cui é oggetto il

23 «La prima funzione dell’oro consiste nel fornire al mondo delle merci ilmateriale della sua espressione di valore, ossia nel rappresentare i valoridelle merci come grandezze omonime, qualitativamente identiche equantitativamente comparabili. Così esso funziona come misura generale deivalori: e solo in virtù di questa funzione l’oro, che è la merce equivalentespecifica, diventa, in primo luogo, denaro. Le merci non diventano commensurabili per mezzo del denaro. Viceversa,poiché tutte le merci come valori sono lavoro umano oggettivato, quindi sonocommensurabili in sé e per sé, possono misurare i loro valori in comune inuna stessa merce specifica e, in tal modo, trasformare questa nella lorocomune misura di valore, ossia in denaro. Il denaro è la forma fenomenicanecessaria della misura immanente di valore delle merci, del tempo di lavoro», K.Marx, Il Capitale, cit., I, I, 3, vol. I, p. 128.24 È il “saggio di plusvalore”, cfr. K. Marx, Il Capitale, cit., I, III, IX,vol. I, pp. 341 – 348.

denaro stesso, bene scambiato come qualsiasi altro:direttamente, nel commercio della valuta; “indirettamente” comecompra - vendita di titoli di credito. IIl denaro non è entità a sé, distinguibile dal modo diproduzione che ne definisce forme e valenze. In ambitocapitalistico, la moneta è la forma astratta – il segno – chesvolge in sintagmi numerici l’avvenuta riproduzione delcapitale come capitale valorizzato. Allo stesso tempo, veicolale relazioni analogiche che integrano i segni a figure – Ego.Il denaro è il vettore segnico dell’”investimento”: si estendein parallelo per denotazioni anticipatrici sul processo dicumulazione che sussumendo il lavoro, assemblandolo allecomponenti di un sistema complessivo diproduzione/riproduzione, preserva la propria struttura e ampliale sue dimensioni. Significante diffratto, su questo primocodice la moneta ingiunge un secondo imperativo semantico.Propaga stringhe significanti che indicano personificazionipossidenti, immagini padronali che si distribuiscono a reticoloserrato in enunciati portatori di un significante dispotico:l’”Io”. Ogni passaggio monetario attesta un “dire – Io” chesignifica un “per sé”: il decreto sovrano della volontà di unparticolare che fa di un altro un’appendice, il contenuto diuna capacità disposizione estrinseca e l’oggetto diun’ingiunzione di controllo.

Il lavoro è merce non perché subisca una prezzatura sulmercato ma perché produce merce secondo gli schemi diassemblaggio e movimento dalla forma – capitale. Il lavoro èmesso in produzione dalle forze che montano l’armatura deldominio della valorizzazione capitalistica. Il lavoro è labiella che muove le staffe della fabbrica sociale su cui ilcapitale esercita il comando. Quest’incorporazione innescacircuitazioni dinamiche sia della produzione che, senzasoluzione di continuità, del governo che l’accompagna. Ilmovimento del capitale ha una sua speciale qualità, che nedetermina il peculiare svolgimento. La dispersione seminale difiliere di valorizzazione ne costituisce il connotato primo. Lasua conformazione prevede e pretende un orizzonted’accumulazione intrinsecamente infinito. Il capitalegeneticamente globale. Il capitale funziona lanciando le suetubolazioni produttive, doppiate dall’infinita mobilità delsegno – denaro, al di là di sé, estraendo incessantemente dalsuo corpo inedite rotazioni cumulative, spostando la frontiera

del valore verso aree invisibili che si materializzano sullasua superficie man mano che l’insediamento di un ingranaggioproduttivo ne circoscriva lo spazio. A differenza delfeudalesimo25, il potere che estende la società e il suo Statonella progressione estensiva dell’accumulazione non conoscetermine. Marx aveva torto: il capitalismo non crolla, siriposiziona, si ristruttura continuando a far scorrere i nastriin cui il lavoro é sezionato, reso organo produttivo delcapitale, riassemblato in merce e quindi iniettato sempre dinuovo nelle condotte del circuito del valore. Il capitale vive per fare di sé un mondo. L’altro di cui faatto di riconoscimento, è lui stesso. Le prospezioni con cuilancia le sue campagne imperiali sono spiegamenti strategicicustoditi da sempre nelle nervature dei suoi macchinari. Ilcapitale è un territorio senza frontiere demarcatoparadossalmente dall’assenza di confine. Una regione indefinitapromanante dalle fughe di un essere illimitato che proliferaintroiezioni auto poietiche. Il lavoro, una volta innestato alla fabbrica universaledell’accumulazione, è a tutti gli effetti capitale: ne écomponente organica. L’idea che il lavoro mantengaun’esteriorità al capitale, che un accumulo di potenza nefarebbe progredire l’indipendenza in proporzione direttaall’indice di valorizzazione, che da tutto ciò quindi siaelevato alla dimensione storica di classe “per sé”, portandolotale condizione di autonomia ad appropriarsi della pienezzadelle sue possibilità, facendo proprio tutto il ciclo di cui èfattore subordinato, è “il” tragico errore di Marx - e di moltomarxismo con lui - . È il pegno pagato alla dialetticahegeliana: lo Spirito, toccando per necessità interna livelliprogressivamente più estesi di attivazione, cui corrispondel’incremento della coscienza delle sue potenzialità di Ragionedell’esistere, arriva, autocoscienza ontologicamente fondante,a estrinsecare la propria natura di sostanza assoluta epredicato universale. Non esistono due, tre, o n classi. Ilcapitale, finché sussiste, produce e riproduce l’organicitàlaminare del suo apparato, l’organismo uniforme del cuimetabolismo macchinico il lavoro è materia, strumento ecombustibile. Non esiste che una sola classe26, quella

25 In cui potere e gerarchie erano distribuite in modo lenticolare.26 Riprendo qui le parole di Deleuze, che la traduzione italiana non rende apieno: “Rileggere tutta la storia attraverso la lotta di classe, significa

assemblata e messa all’opera dal capitale, di cui il lavoro ècomponente: «Lo stesso tipo di processo che domina la fabbrica,caratteristico del momento produttivo, tende a imporsi a tutta lasocietà e quindi quelli che sono i tratti caratteristici dellafabbrica – il particolare tipo di subordinazione della forzalavoro vivente al capitale, eccetera – tendono a pervadere tutti ilivelli della società, ritrovandosi in forme specifiche, in formeparticolari. Ma il momento della fabbrica tende a diventarel’elemento specifico di tutta la situazione sociale in unostadio avanzato di sviluppo del capitalismo»27. Svapora ilsogno di un’irriducibile autonomia del lavoro, di unasoggettività spuria incassata nel capitale ma sovrabbondante(la “libertà” comunista), naturalmente aliena e per questocontrapposta al carattere socialmente asfittico edeconomicamente inefficace del ciclo del valore. La “classelavoratrice” non si erge ad alcuna totalità. Non può perdefinizione essere più pervasiva del capitale, essendol’alberatura della sua marcia. Non ha il potere di portare alculmine i processi di creazione di ricchezza, sfruttandone apieno le possibilità trasfigurandoli in una dimensione diinesausto godimento. Semplicemente, non esiste. Il capitale insiste sulla curva di cumulazione che tracciaampliando continuamente le dimensioni del suo dominio. Puòdistruggerne o marginalizzarne se necessario delle parti:espellere mano d’opera, bruciare moneta, esaurire risorsenaturali. Ma è un impiego negativo di suoi lembi. Serve aprendere lo slancio necessario ad una nuova convulsione. Restasalda comunque l’invariante che ne pone la ragione produttiva epolitica. Il rapporto che rende conto dell’esistenza delcapitale e ne produce le condizioni storiche non conoscescostamenti, riguardo ai suoi funtori. I capitali, sempreparticolari in quanto funzioni individuali di cumulo,assoggettano il lavoro innervando del loro comando voracel’universo in espansione che traggono dal valore. Nella formazione capitalistica la produzione di valore sottendetutte le connessioni della compagine di cui é la meccanica

leggerla in funzione della borghesia come classe decodificata edecodificante. Essa è la sola classe in quanto tale, nella misura in cuiconduce la lotta contro i codici e si confonde con la decodificazionegeneralizzata dei flussi”, L’anti - Edipo, Paris, Les Editions de Minuit 1972,ed. it. a cura di A. Fontana, Torino, Einaudi 1975, p. 289.27 R. Panzieri, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, in, La ripresa del marxismo –leninismo in Italia, Milano, Sapere Edizioni 1972, pp. 255 – 256.

basilare. Il capitale esprime forza tale da far reagire le suevarie configurazioni, semantiche piuttosto che economiche,sulle altre regioni. Il valore é direttamente società. Non cheogni pratica sociale funzioni per finalità commerciali. Ilprofitto e il mercato ne influenzano gli andamenti, premono suiloro processi e incidono sulle modalità d’organizzazione. Ognisegmento dell’esistente è una fabbrica. Organizza le proprierelazioni interne per produrre materiali qualificati dallecomponenti che dirigono, facendo muovere le altre, la filierache la individua. Ciascun ambito storico è una catena dilavorazione, incontro tra elementi disparati la cuidisposizione reciproca, mettendo gli uni al lavoro gli altri,ne causa gli effetti caratteristici. Un settore si costituisceda relazioni produttive perché agonistiche. I capitaliposseggono potenza sufficiente a premere sulle aree limitrofeorientandone gli assetti in funzione della loro supremazia. Lecomponenti prevalenti settore per settore, sempre che sianoutili al governo del valore e al suo comando, si collocano alfianco del capitale, rinsaldandone la primari età e cosìfortificando la loro. Cme nel segno configurazioni estetiche oteoriche stringono alleanza con il potere semanticocapitalistico, allo stesso modo ad esso si accompagnanoconfigurazioni giuridiche: in primo luogo la “proprietà”28. Laproprietà si codifica in norma, strutturando istituti dilegalità e specifici uffici di governo: l’insieme di apparatiche costituisce lo Stato “liberale”. Lo Stato rappresentativoregola la convivenza e esegue l’amministrazione del tessutoepiteliale che sparpaglia la società a determinantecapitalistica in un una miriade d’intenzioni individuali. Èl’articolazione di sistemi d’integrazione, gestione e controlloche armano il dominio dell’Io possidente tra i costumi, leidee, le pratiche sociali non economiche. Irregimentati incondotte legittime, i comportamenti sono spinti ad agire schemiin rapporto in analogia, se non coincidenti, con leconformazioni particolaristiche dell’accumulazione.. Nel regime capitalistico Stato ed economia sono articolazionidistinte di uno stesso schieramento. Procedono in parallelo,rimanendo zone contigue coordinate. La loro convergenza è datada un’eguale finalità politica interna e da un comune orizzonte

28 Considerare sotto luce critica la proprietà, non significa rifiutare ilgodimento dei beni, ma pensarlo rispetto a rapporti sociali “altri”,estranei al dominio capitalistico.

strategico, marcato dall’esercizio del potere capitalistico.Gli organi dello Stato in ognuna delle loro parti effettuano laprimarietà della governamentalità liberale, che determina ildiritto con il primato della relazione tra proprietà soggettivaed oggetto inerte. Il sistema di normazione borghese si fondasulla potestà del proprietario, motivata e giustificata dalrapporto di possesso, sempre personale. La persona giuridicadel Soggetto titolare, detentrice rispetto alla cosa di unafacoltà d’acquisizione particolare, comanda l’ambito dellaLegge nelle declinazioni pubbliche come privatistiche. Taleregolamentazione generale, gestione e controllo di unvastissimo spettro di condotte sociali, è la più efficace perconsolidare e tutelare il comando dell’appropriazione estensivaper l’usufrutto privato, della produzione di valore, sullasocietà intera. Fine della distinzione pubblico (statuale) –privato, fine del sogno di un istituto di garanzia e tutela“democratica” che, magari con velleità progressive, possaessere ammortamento o compensazione degli scompensidistributivi indotti dalla competizione capitalistica. Il capitale è immediatamente sociale come complesso segmentato aconduzione strategica. Dinamiche indipendenti ed alleatemuovono moduli separati, polarizzati dal valore che ne detta ledislocazioni reciproche secondo la maggiore o minore importanzaper la protezione del rapporto determinante. Le regioniprincipalmente investite da tale compito sono settori dominanti.Il vincolo articolato, sostanzialmente politico, tra relazionedeterminante e nessi dominanti aggancia un modo di produzione.Solo una ricognizione delle tattiche che effettuano il campostrategico capitalistico, delle modalità di composizione efunzionamento agonistico che ne scindono il corpo e con essola vita - totale, univoca o “nuda” solo se guardata dal puntodi vista del dominio, in realtà sempre rivestita29,diversificata, molecolare, organizzata e “politica” - nellearee di un fronte frastagliato, può restituirci le logicheconflittuali della sovranità sua propria. Solo l’analisi deipoteri, dei loro posizionamenti, può ricomporre le manovre cheerigono le fortificazioni del capitale e degli apparati che siassociano al suo .

29 Molta più perspicacia di Agamben aveva avuto rispetto a questo, da grandereazionario, T. Carlyle, cfr. Sartor Resartus, tr. it. di C. Maggiori,Macerata, Liberilibri 2009.

Un modo di produzione non si sviluppa per gradientispeculativi, come troppo spesso si è argomentato nel marxismoitaliano (da Banfi, a Della Volpe, a Luporini, a Prestipino).Non è una processione purificatrice in cui il livello,“strutturale”, trattamento meramente economico della Natura,transustanzia negazione dopo negazione in Idea seguendo lespire riflessive dell’autocoscienza che ascende dal “pratico –inerte” alla “sovrastruttura” giuridica e innalza, figura dopofigura, il santuario del Soggetto: lo Stato. Lo Stato è l’entemistico che appare alla fine dell’“itinerarium mentis” chetrascende le divisioni della produzione prima mondandosi incomunità eidetica, il popolo, e quindi, santificandosi inistituzione. Una formazione sociale è laminare e stratificata,si aggruma per sedimenti tettonici di potere. Di conseguenza,non progredisce per scansioni dialettiche dell’intellettotrascendente o della Ragione universale. Una compagine socialeè una stratificazione di ambiti di potere, morfologicamentedeterminati dal legame prevalente che li organizza in sistemaassumendo il ruolo di “determinante di ultima istanza”. Sidistribuisce per dislocazioni anaforiche, secondo catene dimontaggio politiche che scorrono adiacenti per dare continuitàalla più comprensiva ed efficace di esse. La tenuta delle forzeche impongono le combinazioni, la consistenza del contatto traapparati di direzione, le zone di vicinanza esistenti traambiti di governo, specificano, immanenti ad un pianoorizzontale interamente occupato da relazioni agonistiche, lasolidità di un costrutto articolato. Lì si decide la capacità omeno dell’organizzazione di resistere all’urto dei conflitti dacui essa produce la propria sussistenza. Solo ricostruendo leevoluzioni dei molteplici scontri che accorpano un modo diproduzione è possibile stabilire quali elementi stianorisultando essenziali, nella congiuntura disposta dallefabbriche sociali del conflitto, nella difesa di un orizzontedi sovranità: se quelli segnici, o quelli iconici interni allaproduzione; se quelli puramente economici, o i gangli in cuieconomia ed apparato giuridico si ibridano.

Il rotore che muove l’intera costellazione capitalistica èl’uso capitalistico del lavoro. I posizionamenti dellarelazione determinante condizionano le sezioni che vanno a farparte del fronte da essa diretto. Esse ne supportanol’ingranaggio produttivo: riprendono, riflettono e rilancianole scissioni tramite cui il lavoro é assoggettato e reso

funzionante per estrarre “di più” di valore. Il ciclo divalorizzazione non si riduce al profitto. Qualunque formaprenda, é un procedimento di conversione necessario per fissareil lavoro alle rotazioni capitalistiche. Non una delleespressioni di questo può sfuggirgli. Il lavoro è ricompostocome organo del comando, le quote di valore aggregano momentimeccanici di sottomissione. Questa corona di produzione socialetende a saturarne l’intero spettro di possibilità: lavalorizzazione è l’unico mondo che gli è dato e il migliorepossibile. La produzione capitalistica ne serra le condotte elo ingloba. Come voleva Hegel, lo “toglie” come opposizione elo sintetizza nella disposizione bicefala che lo rende ildoppio speculare del fattore agente che lo sovrasta. Neipassaggi che convertono le applicazioni tecniche in valore, ilcapitale assume lo status di origine, causa e finedell’esistenza del lavoro. Questo esegue le sue mansioniassumendo la forma del potere che lo governa, una duplicazionegemellare che esegue i decreti sovrani della sua volontà. Ilcapitalismo diviene la “realtà” del lavoro, i suoi dettatigiuridici la “verità” che ne rende legittimo ed invariabile lostatuto. Tutto ciò assume le sembianze di una singolarelibertà: una strana agibilità di vita in cui il “piacere” haparte essenziale. Il “piacere” è, fisiologicamente,un’attivazione di fibre nervose che s’irradiano all’interno dicomposti neuro-biologici. È anche una risonanza emozionale chefa vibrare, secondo rapporti complessi a cavallo trabiochimica, anatomia e rappresentazione, le immagini che neaccompagnano le azioni. Sia le reazioni biologiche che letensioni segniche sono effetti degli ordini di produzione cheattivano la regione di cui sono parte essendone il substrato.Innesti organici o significanti, essi attecchiscono su uncontesto che contribuiscono a formare, essendonel’organizzazione complessiva loro presupposto, oggetto eambiente. Un modo di produzione è anche ramificazioneneurofisologica. Assembla filamenti tissutali per produrre lavita che gli è utile, l’esistenza adatta all’orizzonte mondanoche gli è confacente. Non esiste piacere che non sia indottodalla meccanica politica della formazione sociale che loaccoglie. Il piacere è la chiusura del ciclo somatico cheeffettua i reattivi pragmatici della disposizione possidenteindividuale. Nel segno, è significante empirico di riconduzioneegotica. Il piacere è il rilascio iconico e molecolare di un

comportamento conforme, finalizzato al corretto funzionamentodelle parti di un insieme sociale. Foucault lo hamagistralmente illustrato. Il capitalismo elabora e si nutre di piacere. Tutti i sistemisociali funzionano “a piacere”, gestendo una determinataeconomia del godimento. La specificità del capitalismo consistenel fatto che i suoi concatenamenti edonistici non si unisconosecondo direzioni bipolari. Il piacere non si dirama peraccensioni esclusivamente copulative: rapporti parcellari diforma duale in cui l’impulso orgasmico è provocato, peringiunzione, da un eccitatore primo che sollecitaunilateralmente un individuo ricettore, il quale a sua voltascarica imperativamente lo stimolo nel corpo sovrano cui èintegrato, che ne racchiude, finalizzandolo, il sistemabiologico. Il signore è colui che comincia ed appagal’eccitazione delle terminazioni che attivano le diadiorganiche congiunte per sottomissione. In questo senso ilfeudalesimo trova, tendenzialmente, nell’allargamento degliscambi una pericolosa causa di destabilizzazione. Per questoVenezia, repubblica mercantile tesa all’ampliamento degliscambi, era un regime distinto dalla formazione signorile epresentava un ordine dei piaceri incomparabilmente più“dissoluto”, come aveva compreso Spinoza30, rispetto a quella.La “temperanza” – declinata secondo il grado di eminenza e dipotere - del sovrano, del cavaliere, del “magister”, ma anchedel popolo, seppur in questo caso come anedonia31, stabilivauna disciplina delle condotte rivolta a bloccare possibilitracimazioni del piacere fuori dell’organismo del signore. Lacastità e la continenza sono i grandi organizzatori libidinali,figurali come produttivi, del corpo sociale del feudatario.Diversamente, il capitalismo è un insieme che produce piacereattraverso lo straripamento degli impulsi suscitatati dalledirettrici montanti del valore. Il ciclo di valorizzazione èuna sinusoide, svolge le proprie scale produttive per periodicrescenti sia in profondità che in estensione. Il capitalismosi riproduce sfondando limiti e frontiere. Il piacere che nescuote i recettori puntiformi si trasmette per dismisura. Igangli nervosi recuperano nella circolazione irrefrenabiledegli stimoli individuali scariche emesse e le rendono

30 Spinoza, Tp, VII, § 18 – 24.31 Contro – stimolazione tesa ad una perenne sottrazione d’impulso, ascaricarsi negativamente in dolore per cedere piacere al signore.

materiali di godimento differito, allargando la penetrazionedella capacità orgasmica del sistema a stimolazioni anticipatein miriadi di sintesi proiettive singolari. Il capitale è unimmenso elaboratore neuronale che scuote i propri nervi tramiteincorporazioni particolari per generare infinite correnti diattivazioni transitive nucleari. Il godimento è una serieappropriativa ascendente, indipendentemente dalla quantitàeffettiva del piacere vissuto: scatta da un acquisto per sé cheprepara ulteriori assunzioni a venire. Il piacere é il sentirsimancante del Soggetto proprietario, un orgasmo solipsisticoprovocato dalla tensione motoria di un corpo atomizzato inaccelerazione verso un avere possibile. Centri lenticolari sieccitano per un possesso attuale che ne titilla i tessuti e litende verso una scarica ottenibile solo in una configurazioneneuronale dislocata più avanti, in un oggetto la cui forma èprospettata dal dato presente. Tramite esso il corpo porta asé, in una percezione incompleta ma reale, ciò che ancora nonha. Lo sente come termine di una disposizione organica in corsodi adempimento. In vista di tale soddisfacimento che già scuotele fibre si attivano le funzioni fisiologiche, muscolaripiuttosto che cognitive, necessarie a far muovere il sistema-persona. Condotto dalla serie di impulsi adeguati a giungere alclimax finale, l’individuo svolge fino al suo esito finale ilciclo edonico: la presa sulla cosa. A sua volta, essa non fache riattivare la titillazione orgasmica verso un ulterioreelemento. L’eccitazione è un disequilibrio neurale perenne cheun arco cinetico non può mai livellare proprio assicurandosil’orgasmo che cerca. L’insaziabile è l’essenza del piacerecapitalistico, e la conquista la sua modalità. Anche le terminazioni della forza-lavoro, parte del corpo delcapitale, vibrano nelle circuitazioni elettriche del possessoper i fantasmi sensoriali sollecitati dalla produzione. I nervidel lavoro subiscono ed agiscono gli appetiti avidi del valore,squassati da orgasmi che seguono, per implementazione,soddisfacimenti sempre incompleti e preparatori32. Il

32 «All’interno del processo di produzione il capitale si è sviluppato incomando sul lavoro, cioè sulla forza – lavoro in attività, ossiasull’operaio stesso. Il capitale personificato, il capitalista, vigilaaffinché l’operaio compia il suo lavoro regolarmente e con il dovuto gradodi intensità.

Il capitale si è sviluppato inoltre in un rapporto di coercizione,che forza la classe operaia a compiere un lavoro maggiore di quellorichiesto dall’ambito ristretto delle sue necessità vitali. E come

capitalismo preme l’epidermide delle unità di lavoro, nespinge le sinapsi a bramare secondo i ritmi e gli stimoli delplusvalore: quanto più gli organismi solitari che, digeritiforzosamente e carne della sua carne, il capitale mette allavoro si portano verso cose da padroneggiare, tanto più essosi agita nel culmine della produzione scosso dal piacere. Asua volta, l’area del significante si organizza intorno allefigure che, alleate del capitale, dispongono un regimecumulativo individuale d’eccitazione. Immagini–Io vivaci,stupefacenti, ed eppure abbastanza astratte da essereportatrici di stimolazioni generiche, figure carnali delSoggetto che premono sui trasmettitori simpatici del segno,esaltate da dilatazioni iconiche che ne determinano ilgradiente attrattivo (l’appetibilità delle silhouette data daldesign, o gli ammiccamenti erotizzati con cui vengono delineatenella pubblicità), rivestono di una neurologia egotica, in cuisi pompa bisogno per eiaculare consumando, gli organulicellulari del ciclo economico. Immagini soggettive voraci econquistatrici fagocitano l’immaginario e lo tengono aderentealla spinta appropriativa indotta dalla produzione. Effigi dibeni, connettivi iconici efferenti in cui passano flussi distimoli merceologici, stentorei e mobilissimi, transitano allavelocità incrementale della smania dell’Io che esplode indeliri orgiastici sempre più selvaggi man mano che il capitalemoltiplica la quantità di domanda. Michelstaedter ci ha dato, sotto il nome di “rettorica”,un’analisi eccezionale delle forme del piacere all’epoca delcapitalismo, sezionamenti anatomici della fisiologia dell’Egodesiderante 33. Ne cito solo alcune: la “dipendenza”, la“fusione”, l’”esplorazione“, l’”autismo”, l’”idealizzazione”,e, prevalente, il “denaro”. Tutte rispondono ad un’univocadisposizione narcisistica, governate dal reticolo di stimoliche ne decide il metabolismo. Il godimento indotto dal capitaleé il processo bioelettrico che dà sostanza somatica ai gestiimperialistici con cui nutre le sue apparecchiature soggettive.È l’invasione ininterrotta che occupa la vita con la perenneinconsistenza di un desiderio: in un accaparramento personale

produttore di laboriosità altrui, come pompatore di pluslavoro esfruttatore di forza-lavoro, il capitale supera in energia, dismisura edefficacia tutti i sistemi di produzione del passato fondati sul lavoroforzato diretto», K. Marx, Il Capitale, I, III, IX, cit., p. 348.33 C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Torino, Adelphi 1982, in part.il cap. La rettorica nella vita, pp. 137 e seg.

da ottenere, nella tensione spasmodica, nella carenzaincommensurabile che riproduce il circuito del possesso dovecoincidono acquisizione e realtà. Riattivando la carica cheinduce in se stesso acquisendo oggetti, riflessione tetica concui eccita il suo piacere, i nervi del capitale accrescono ilproprio potenziale edonico. Impulsi d’intensità in aumento neaccendono le contrazioni, spostando il limite dell’avere al dilà di una proprietà comunque da perfezionare. L’orgasmo delcorpo capitalistico è una virtualità, soddisfacimento che sicompie oltre il percepibile, in un valore incluso proprioperché posseduto, e completato nell’usufrutto di un statutoproprietario realizzato da un’assenza. La voglia, per cui ilcapitale si trascende nell’azione e nell’idea poste da unapluralità indeterminata di particolari, l’atto con cui essidanno al loro desiderio quanto non possiedono digerendo stimolodopo stimolo l’esistente, determina la catena gangliare che neinnerva la struttura di Soggetto e ne aziona i circuiti. Ilgodimento, scatto regressivo, torsione compulsiva di bramesolipsistiche su cui si dilatano totalizzazioni teticheripiegate su se stesse, sulle proprie ossessioni parossistiche,connota la fisica costituente di un sistema metamerico che ponela propria anatomia dalle sue ekstasi.Il denaro è la facoltà trascendentale dell’architetturapossidente. La moneta lega la carenza avvertita da un nucleocapitalisticamente efficiente con la proprietà da perfezionare.Gli schemi tetici di transizione creditizia compongono isintagmi propriocettivi, d’ordine individuale, che spostano iconnettivi pratici capitalistici verso un interesse dasoddisfare, da depositare quindi come risparmio perriconfigurarli subito in altra ricchezza incassabile tramiteinvestimento34. Il denaro è il commutatore interno dellameccanica selvaggia che, nel segno e nella società, rendel’esistente prerogativa di una moltitudine di corpi proprietariisolati, che fanno funzionare la leva del lavoro per chiuderecineticamente l’arco dell’acquisto: da potenziale di guadagno acapitale costituito. Il denaro dispiega l’autoreferenzialitàcostitutiva dei suoi portatori privatistici, monadi che34 Per questo l’importanza della banca, struttura operativa esistematizzazione generale della forma – denaro capitalistica. Marx non hamai scisso il nesso produzione capitalistica – moneta. Per questo non hamai separato produzione e banca. Cfr. K. Marx, La funzione del credito nellaproduzione capitalistica, in, Il Capitale, cit., III, V, XXVII; Elementi del capitalebancario, ivi, III, V, XXIX.

intimano ognuna per sé, producendo come personalità separate,un supremo diritto proprietario. Il denaro raccorda il connubiotra carenza e incasso, implica, nella sostanza connettiva chene è la forma, le possibilità d’integrazione riflessa chedescrivono lo specifico campo di possibilità di ogni singoloproprietario: la sintesi attiva con cui elimina lo scarto traproprietà potenziale e disponibilità effettiva. La specificacapacità d’esprimere l’equivalenza di credito e acquisizione avenire, dinamica intrinseca della formazione capitalistica,occupa il medesimo spazio di quest’ultima. Non esisteproduzione capitalistica senza scambio monetario che nedisponga gli assi di allargamento in termini sociali35. Lamoneta afferma nel presente la conclusione, con il prossimoacquisto, di un ciclo produttivo in corso. È la causa finale ela membrana epiteliale che ne tiene unite le parti, ne impostae condiziona gli scambi. Il denaro accompagna e sospinge lamatrice espansiva di ogni meccanica a capitale. Per“espansione” non va inteso un mero aumento dei termini diprofitto. Il capitale può attraversare delle crisi, in termininumerici, e la conquista di spazi di mercato e di opportunitàdi acquisizione crescere. L’universalità del denaro è postadalla totalizzazione del capitale. Sostiene e attua ladislocazione dei particolari tutti, come sistema generaleorganizzato del modo di produzione capitalistico, verso unaconferma della loro soggettiva individualità data dal possessofuturo. La valuta è la forma a priori e la determinazionevettoriale delle dislocazioni edonistiche del capitale Ildenaro è forma appunto perché effettua e contiene la totalitàdelle estasi con cui il capitale detta il decorso, le suescansioni e i suoi ritmi, della formazione che determina. Lamoneta è il Tempo: l’attributo che svolge la linea degliistanti con cui il capitale anticipa il suo futuronell’avanzata a posteriori che ne marca il passato.. Una fame perenne di voluttà solipsistiche sovrasta con i suoispasmi monetari il mondo dell’individuo produttore,dell’imprenditore di Sé, del Soggetto – impresa. L’impresa é lapersonalità forgiata dal capitale. È principio generativo dellesue fameliche ascensioni. Ma ne è anche il simbolo sacrale35 Ciò vale per l’ambiente esterno, ma anche per quello interno, di ogniparticolare entità capitalistica. Cfr. G. La Grassa, Lezioni sul capitalismo,Bologna, Clueb 1996; La tela di Penelope: conflitto, crisi e riproduzione nel capitalismo,Pistoia, CRT 1999; e, Il capitalismo oggi: dalla proprietà al conflitto strategico: per una teoriadel capitalismo, Pistoia, Petite Plaisance 2004.

prediletto. Riunendo produzione e sintagma, si propaga come lasuprema eucarestia del valore.Il segno–denaro e le funzioni rappresentative ad esso legatecompongono l’infrastruttura delle imago individualizzantid’impresa, semantemi monadici che si diffondono a nugolo,prevalendo per inquinamento virale. I segni sono innestati ineffigi soggettive di desiderio per mezzo di significazioniegotiche, spore semanticamente subordinate che attaccanoelementi estrinseci e ne fanno colonie di soggettivazione. Ilrapporto di referenza va ad adombrare condotte appropriatricidirette dalle determinazioni monetarie del valore. I contenutidi senso che riportano il significante sul significato sonoassimilati, come oggetti d’appropriazione, ad immagini-persona.Il narcisismo consumistico è il rimando pulsionale checaratterizza la pragmatica semica del modo di produzionecapitalistico. La soddisfazione dell’Ego è l’espressionesuprema della coscienza semantica del capitale-Soggetto.“Persona”, “Scelta”, “Libertà”, sono i connotati astratti cheemettono declinazioni figurali trascendental-possessive. Talisignificanti si agganciano alle stringhe d’enunciazione, lecolonizzano e le inglobano. Divengono segnali omnicomprensividi totalizzazione egotica,. Un muscolare, nervoso agitarsisotto la sferza di un’esigenza di avere improcrastinabile; laricerca di un sollievo per il piacere insaziato che incalzaorgani manducatori in perenne deperimento, comunicano leimmagini dominanti. L’egocentrismo, il violento bisogno fagico,le movenze sempre individualmente asseverative distinguono lecostellazioni figurali del capitale. Ne coronano l’estetica ela poetica. L’”homo homini lupus”, figura legata allariproduzione ciclica e naturale, ad un equilibrio crudele mavitale, appartiene al passato. Il “cannibale”, lo “zombie”,personificazione iconica della pura volontà d’ingurgitare,domina la semantica della soggettivazione. Esso é “non vivo”,un’entità carente e distruttiva, mai detentrice di forzavitale. Ma è anche “non–morto” in quanto organismo trofico,organizzazione biologica generatrice di un mondo dove tuttosignifica la sua fame, e prende significato da essa. Lo“zombie”, che dà senso alle cose perché segni di un pasto dadivorare mai sazi, è l’immagine tracciata dagli inserimentisignificanti con cui il denaro trasmuta la materia segnica inun pulviscolo semico di sinossi soggettive. Oltre questa,un’altra figura iletica rende completo il dominio del Soggetto:

l’’”anoressica”, organismo femminile produttore di vita checonsuma nutrimento rigurgitando se stesso fino a morirne perpoter continuare, preso il cibo e risputatolo come materialegastrico, a rendere la realtà appendice propria. L’”anoressica”è l’icona dell’interdetto peptico ingiunto dalla semantica delSoggetto: la voglia sacrifica l’avuto per un di più da avere.

Il modo di produzione capitalistico fa scorrere i carrellidei cicli economici in entità parcellari e distinte, le imprese.Non esiste, non è mai esistito, se non nelle “bevute” causatein Marx da residui di dialettica hegeliana già disgregatidall’impianto de Il Capitale, un capitale generale: concentrato,condensato in un’unica entità proprietaria e governato da unsingolo, per quanto esteso, centro di comando. Il narcisismoorale identifica l’espressione esclusivamente con un unicolegame semantico: il desiderio. Il senso si delinea in formaautoreferenziale e possessiva, sistema semiotico sostenuto davoglie e predicati di stato. Il linguaggio codificasintatticamente figure–Io, denotazioni reiterate di un’entitàpuntuale che articola verbalmente stati d’eccitazione.Parallelamente, nell’economia l’impresa capitalistica è l’unitàseparata che produce per cumulare spazio da occupare con i suoiprocessi. Ottiene più di valore portando la superficie di suapertinenza produttiva ad una dimensione implementata. L’impresa effettua i suoi comportamenti rispondendo a volizioniintrinseche il cui oggetto sono appercezioni tetiche. L’impresalavora le sue componenti come personalità autonoma responsabiledi sé. L’impresa vede, sente e sceglie: l’intenzionalità che nedefinisce la forma la qualifica soggettivamente. Per questo, éun organismo-Io che funziona in termini solipsistici. Gliorientamenti d’impresa sono gesti isolati compiuti per darecorso ad un campo di possibilità coincidenti con la sueproprietà formali. L’impresa agisce in vista della attuazionedelle sue facoltà egotiche per confermare la separatezza delsuo apparato. Si porta verso il suo contesto in adombramentiriflessivi che ne confermano il carattere organico. Ma lasoggettività d’impresa ha una modalità specifica: non si svolgesemplici richiami dell’autocoscienza, né dà percettivamenteatto della consistenza di sostanza dell’intenzione. Vale a direche l’impresa non produce per permettere la comunicazione trale sue parti, né per le necessità operative richieste dai suoisistemi e competenze. La ragione tetica dell’impresa èimperialistica. Realizza la sua costituzione atomizzata

attraverso un incremento costante di posizioni soggettive. Ogniflessione posizionale rilancia un movimento estatico che tendead una nuova sintesi. L’impresa mette al lavoro componentisubordinate, fuse al suo corpo, nelle iniziative che la portanoa cercare, senza soluzione di continuità, successive annessioniper ulteriori sequenze produttive. L’impresa non è mai totaledi per sé. Tende a farsi totale incorporando altre entitàimprenditoriali, le cui parti – tra cui il lavoro - spinge a difar ruotare una linea rivolta a generare un'altra manovraespansiva. L’impresa resta individuo. Per poter ampliare il suo ambitod’intervento ha bisogno dunque di essere singolo tra singoli.Per quanto possa crescere, sempre la sua azione, rivolta al suointerno o all’esterno, cercherà l’accumulo di capacitàproduttiva evitando la coagulazione sui suoi compartimenti ditutte le entità agenti. Non avrebbe altrimenti più margine perespletare le sue circuitazioni cumulative. L’impresa devesalvaguardare la dispersione della zona di cui è parte permantenersi in vita come personalità individualmente possidente,soggettività solipsistica che il “far-prorio, la proprietà,aziona per lo sviluppo. L’impresa non esiste, per struttura eper funzione, se non nel contesto determinato dai rapporti trauna pluralità di soggetti d’impresa. La dimensione in cui e percui l’impresa si attiva, di cui determina l’organizzazionemolecolare dettandone le dinamiche, è il campo pulviscolare,proiettivo, striato e gerarchico, circoscritto da due assi inrapporto disgiuntivo: la presa possidente e lacompartimentazione nucleare. Lo spazio prospetticamentediffratto circoscritto dall’insieme delle imprese e dalle lororelazioni agonistiche è il mercato. Nel mercato, sulla spintadi comportamenti concorrenziali tesi ad assicurare acquisizionie supremazia, l’impresa reagisce alla presenza degli altrinuclei, impiegando le sue filiere per portare sotto il suocontrollo diretto, e sfruttarla, la quota di produzione da essiposseduta. L’impresa a capitale è un’entità conflittuale perdefinizione. Applica i suoi fattori contro altre imprese,manovrando strategicamente per vincerle ed appropriarsene,eseguendo la propria capacità di estrazione del valore infunzione di una maggiore intensità d’accumulazione. Il mercato è il punto generativo e la risultante dell’interameccanica del capitale. Se è contro il lavoro che i segmenti dicapitale si organizzano, è a partire dal bisogno individuale di

estrinsecare il proprio potenziale d’attivazione fagocitandosi,che prendono la caratteristica qualità capitalistica d’impresa.Il mercato ingiunge all’impresa di fronteggiare la sfida diun’entità avversaria allo scopo di esplicitare la capacitàdelle sue strutture. Allo stesso tempo, il sistema degli scambisi articola a partire dai differenziali di forza produttiva chepermettono, o meno, di procedere ad un allargamento. L’impresanon esiste senza mercato, perché il mercato è l’impresa stessanelle sue architetture e nelle sue specifiche condizioni diesistenza. Si produce quando si trovino soggetti consumatoricui vendere e cumulare settori di mercato. Si amplia il bacinoeconomico quando sussistono fattori di ulteriori possibilicapitalizzazioni. Il mercato é il punto 0 che dà sostanza allasoggettività imprenditoriale, il centro generativo da cuiprocedere ad ogni successivo accumulo. L’impresa organizza isuoi sistemi, ne definisce gli organigrammi, il disegnogerarchico, e le strategie in funzione degli orientamentiagonistici del mercato, L’assunzione di nuovo capitale avvienesul mercato, tramite la soppressione di nuclei avversari el’incameramento della produzione da loro svolta. Nel mercatol’impresa svolge in desiderio inconcluso di sé la suasoggettività, prendendo le risorse necessarie a ingenerarealtra produzione, a dilazionare l’orizzonte di scelta del suovolere. L’impresa, in ogni sua parcella, è un tessuto connettivoformato da rapporti mercantili. Il mercato é una regionerelazionale, deposito di scambi diseguali, delle procedureeconomiche antagonistiche che portano a termine un cicloproduttivo con una maggiorazione conseguente ad un acquisto. Laconcorrenza governa l’intera dinamica del modo di produzionecapitalistico. Vincendo lo scontro con altre imprese i capitalisi realizzano, chiudendo il ciclo di valorizzazione inrelazione a cui prendono forma e agiscono. Ego proprietari inproduzione si dispongono secondo fronti o settori strategici,scontrandosi ad un duplice livello, corrispondente alla doppianatura del processo capitalistico di produzione del valore: dauna parte, sottomettere l’avversario, per cui ogni impresatrova nelle altre un’occasione di crescita, assorbendone laproduzione ed eliminandole dal mercato; dall’altra, mantenerein funzione il circuito della merce. Il capitalismo,complessivamente inteso, necessita la parcellizzazione in unitàavverse compiendo allo stesso momento catene di sintesi. La

disgregazione e l’assunzione trofica sono egualmente essenzialial suo funzionamento sistemico. Ciò vale anche per il lavoro36. Il lavoro é ingranaggio delmeccanismo d’impresa ed insieme imprenditore capitalistico ilcui fondo da valorizzare risiede nella sua opera: è un esecutoreindividuale di capitalizzazione, segmentato e diretto dalleazioni imprenditoriali cui è subordinato. I lavoratori lottanotra loro al pari delle unità capitalistiche allargate.Combattono lo scontro della concorrenza, in orizzontale, perfavorire il loro assorbimento nella produzione salvaguardandol’impresa, mirando con la crescita del nucleo produttivo di cuisono parte ad un aumento di potere d’acquisto da poterreinvestire ed estendere il proprio ambito d’intervento,nell’impresa stessa o al di fuori di essa. Alla concorrenzaorizzontale si aggiunge una concorrenza verticale, quella tralavoro e l’entità produttiva che lo ingloba. Per l’impresa ènecessario, allo scopo di non perdere posizioni concorrenziali,controllare la crescita della capacità capitalistica dellavoro, sfruttandone la forza operativa e permettendonel’implemento, condizione necessaria ad una crescita di valore.Deve però impedire che questo provochi interruzioni o blocchidelle linee a causa di un eccesso di capacità d’investimentodel lavoro, o in seguito alla cattura da parte di altrisoggetti imprenditoriali attratti dalla sua produttività edattraenti per le sue strategie cumulative. Il lavoro rispondealle pressioni del mercato con i sezionamenti del propriocorpo, ritagliato sulle esigenze della produzione37. Ciò che

36 «Inoltre, la cooperazione degli operai salariati è un semplice effettodel capitale che li impiega simultaneamente; la connessione delle lorofunzioni e la loro unità come corpo produttivo complessivo stanno al difuori degli operai salariati, nel capitale che li riunisce e li tieneinsieme. Quindi agli operai salariati la connessione tra i loro lavori sicontrappone, idealmente come piano, praticamente come autorità delcapitalista, come potenza di una volontà estranea che assoggetta al propriofine la loro attività», K. Marx, Il Capitale, I, IV, 11, cit., p. 373.37 Le lotte all’insegna dell’egualitarismo salariale, quelle contro ilcottimo o la deregolamentazione dell’orario di lavoro avevano colto unaspetto fondamentale dell’assetto capitalistico, mettendo in campo lacontro – mossa più appropriata a colpirne i presupposti. Per questo ogniiniziativa “sindacale” che non ponga come punto centrale l’uguaglianzasalariale è corporativa e reazionaria, cioè funzionale al sistema direlazioni produttive che vive sulla subordinazione del lavoro. Si guardianche «Notizie Internazionali. Bollettino internazionale della Fiom –Cgil», giugno 2009, n. 117 – 118.

distingue l’agonismo tra sezioni di lavoro da quello traimprese, che ne sono l’insieme superiore, è la forma: l’impresaconcorre puntando a proliferare sulle branche di mercatoconquistate. Non distrugge le imprese perdenti, le annette e nemette in produzione il circuito. Il lavoro agisce laconcorrenza, all’inverso, per via negativa. Tende a ridurre lesezioni di lavoro, o addirittura ad espellerle, così da farsifattore privilegiato dell’apparato d’impresa e mantenersi fusoal suo corpo. La proporzione inversa tra disoccupazione, monte-salari, orario di lavoro e sua intensità non fa che descrivereil processo d’integrazione di parti vincenti di lavoro sullastruttura d’impresa. Per questo nel caso di un’acquisizione daparte di un gruppo vincente è il lavoro ad essere espulso. Nonsono i settori gerarchicamente preminenti a metterlo fuoridalla produzione. È il lavoro che resta attivo a decretarnel’inutilità, prendendo in gestione la sue mansioni e carichi.Egualmente, la precarizzazione non è che una declinazione dellecaratteristiche della concorrenza tra sezioni di forza-lavoro. L’impresa capitalistica si riproduce nel mercato ripetendo ladinamica schizoide che compone agglomerati mentre seziona illavoro in settori corporativi. Solo una morfologia politica, o una genealogia militare, puòricostruire le congiunture del mercato: non solo rispetto allestrategie dei dominanti, ma anche e soprattutto rispetto aquelle che effettuano l’agire concorrenziale dei dominati.Questo è lo scopo dello strumento che Panzieri ha chiamato“inchiesta”38, sistema di carotaggio delle scissioni cheattraversano il lavoro e delle loro direzioni. Non ha sensoipostatizzare il mercato rendendo lo scambio un attributoontologico della società. Il mercato capitalistico è l’insiemedelle operazioni economico–politiche della concorrenza. Permezzo di essa imprese e lavoro assumono le posizionicompetitive che ne definiscono le rispettive collocazionigerarchiche. Il mercato, organizzazione e ragione socialed’impresa, è lo scheletro e la funzione che aggancia i legamidella formazione sociale capitalistica. Il mercato è laprocedura generale con cui il valore effettua geometrieegotiche tramite ekstasi piramidali di valore. La competizioned’impresa, con le alleanze o gli antagonismi che induce sia sulversante delle unità produttive che su quello del lavoro,

38 Cfr. R. Panzieri, Uso socialista dell’inchiesta operaia, in, La ripresa del marxismo–leninismo in Italia, cit., pp. 314 – 325.

rappresenta la logica propria della forma capitalistica dallaproduzione: la guerra permanente tra soggetti d’accumulazioneche genera e insieme squassa il corpo polimorfico ebatteriforme del capitale, decretandone la conformazioneverticale e i suoi svolgimenti

Il crollo dell’Unione Sovietica pone fine alla lunga fase,cominciata tra gli anni ’20 e ’30, della produzione organizzatain unità estensive. La polarizzazione dei complessi produttiviha indotto una gestione oligopolistica del mercato, occupato dapochissimi soggetti preminenti, di natura il più delle voltestatuale, connessi quindi in una disposizione tendenzialmentemonocentrica che vedeva allora la supremazia dei centricapitalistici statunitensi. Questo assetto ha definito legerarchie capitalistiche fino alla fine degli anni ‘70. Ilciclo si è organizzato in economie di scala eseguite dacomplessi produttivi massivi. La grande impresa - con lerelative proiezioni internazionali - pretendeva lapianificazione, la regolazione e normalizzazione complessiva,vale a dire il governo generale di un circuito ridotto dimercato, attivato da relativamente poche entità produttive Il“fordismo” pretende l’equilibrio del mercato: le impreseevitano una eccessiva frammentazione sia delle frazioni distruttura che dell’ambiente, cedendo e riacquisendo quote dipari entità, in modo da restare invariate. Egualmente, lacircolazione di capitale è modulata da tutte le entità sulivelli di crescita proporzionale alle loro dimensioni, in mododa impedire cambiamenti di assetto in grado di mettere arischio la conformazione dei soggetti e delle loro relazioni.Era conseguentemente imprescindibile un controllo dei flussifinanziari e monetari che evitasse interruzioni osbilanciamenti, ad esempio dei rovesci provocati daun’eccessiva dinamicità dei mercati valutari. La “catena dimontaggio” taylorista è la riflessione tetica, oltre chel’applicazione tecnica, di un processo di valorizzazioneintegrato per saturazione molare che amministra componentivastissime di lavoro sottoponendole a direttive tanto pervasivequanto livellate. La produzione continua su nastro distribuisceil lavoro in sequenze rigide in modo da renderne leapplicazioni standard, ed efficienti al punto da assicurare unprocesso di cumulazione dello stesso ordine di grandezza delsoggetto di cui sono le azioni.

Il modello di democrazia concertativa, uscito vincente allafine della seconda guerra mondiale su quello dittatoriale–corporativo è stato il regime istituzionale che meglio harisposto a questo posizionamento del capitale. Ne potevasostenere il peso e l’ampiezza grazie allo strumento dellamediazione tra controparti, volano della stabilità dei vettoridi cumulazione e della distribuzione delle frazioni di valore.Il sostegno al reddito ed alla domanda, nonostante i tentatividi rovesciarne il senso in termini rivoluzionari, sono statidegli efficacissimi strumenti di organizzazione del mercato daparte del fordismo, non più ristretta cerchia di speculatoricircondata da orde impoverite, ma base di massa di un processogenerico, perché universale, di cumulazione a lotti disposta inserie geometrica39.

Il “gigantismo” dell’impresa fordista ha fatto parlare di“epoca dei monopoli”40. In realtà, il monopolio è il limitenegativo, presente ma continuamente spostato, del fordismo,proprio perché stato trascendente la soggettività del valore alpunto da esaurire le funzioni tetiche d’impresa. Totalizzandosifino a fare coincidere se stessa con il mercato, un’unitàproduttiva renderebbe reale l’impossibile: una valorizzazionesenza acquisizione e senza scambio effettivi che consumaun’impresa divenuta mezzo di produzione e interlocutorecommerciale di se stessa. Un’accumulazione che, non perseguendopiù alcun valore, ne sottrae invece al proprio organismo. Durante il fordismo si é effettivamente verificata unagigantesca concentrazione di capacità produttiva in pochiesercizi, accompagnata dall’equivalente dilatazione del raggiod’azione dei loro piani d’investimento come delle condizionistrumentali ed amministrative adibite ad eseguirli. Eppure isoggetti proprietari che ne sono stati promotori non erano gliunici. Altri occupavano quote di mercato di nicchia,eterodiretti e dipendenti commercialmente dalla “grande

39 Cfr. R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione (appunti per una lettura del Capitale), in,La ripresa del marxismo–leninismo in Italia, cit. , pp. 329 e seg.40 Cfr. tra gli altri, A. Lipietz, Le Capital et son espace, Paris, Maspero 1977;G. Lunghini, Scelte politiche e teorie economiche in Italia, Torino, Bollati Boringhieri1995, Sul capitalismo contemporaneo, Torino, Bollati Boringhieri 2001. Cfr. anchei lavori classici di H. De Man, Réfléxion sur l’économie dirigée, Bruxelles etParis, L’Englantine 1928, Le Plan du Travail, Bruxelles, Institut d’économieeuropéenne 1934; P. Mattick, Marxisme, dernier réfuge de la bourgeoisie?, ed. fr. Acua di D. Saint-James, Paris, Entremonde 2011, in particolare le pp. 140 –160 del cap. Marxisme et économie bourgeoise.

fabbrica”, ma uniti ad essa mediante un dispositivo protetto direlazioni industriali, secondo cui l’impresa maggiore impiegavaquella minore fornendole al tempo stesso sufficiente gioco sulmercato per mantenere struttura ed un’iniziativa separate. La“piccola impresa” ha così goduto di un’agibilità “per procura”.Si guardi la storia d’Italia dall’epoca degli aiuti “UNRRA”statunitensi (istituiti ufficialmente il 9 novembre 1943) finoa tutti gli anni ’80. L’Italia del dopoguerra è un esempioparticolarmente emblematico della sussunzione di un’area ad unnucleo ristretto di soggetti produttori, egemoni socialmentecome economicamente, a loro volta rispondenti a limitatisegmenti capitalistici esterni, in particolare i Trustsstatunitensi41. La piccola impresa ha subito il comandodell’impresa fordista. In Italia, al pari che negli altri paesiindustrializzati, è stata un’appendice, dotata di una relativamobilità, delle movimentazioni pianificate della grande impresameccanica, la cui componente lavorativa ha determinato anche lavalenza produttiva e il posizionamento – e quindi l’incidenzapolitica – dell’intero settore del lavoro (vedi lo svolgimentodella dinamica contrattuale). La sconfitta dell’UnioneSovietica ha aperto di fronte al polo nordamericano frontieredi conquista inaudite. Un’enorme area di gestione capitalisticavedeva sbriciolati gli organismi che ne effettuavano losfruttamento. Mezzi e risorse prima precluse, anch’esseprecedentemente soggette ad entità molari, diventavanodisponibili ad essere impiegati come leve di produzione divalore. Lo “Smithsonian Agreement” del 197142 è il punto di svoltache ha sancito il passaggio da una fase all’altra, non lacaduta del muro di Berlino. Questa variazione strategica hainnescato il riassetto complessivo, sistemico, delleconfigurazioni produttive, e delle gerarchie e delle linee dicomando capitalistiche. La ridefinizione globale delle modalitàdi crescita ha portato alla ristrutturazione delle tipologied’impresa, e alla costruzione di nuovi ordinamenti di mercato,ivi compreso quello finanziario. L’assemblarsi di fabbriche di

41 Sulle congiunture dell’assetto capitalistico del dopoguerra, cfr. G. LaGrassa, Lezioni sul capitalismo, cit., pp. 144 – 155. Rispetto specificamente alrapporto tra Trusts statunitensi e impresa italiana cfr. P. Ginsborg, Storiad’Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica, Torino, Einaudi, 1989; A. Graziani,L’economia italiana dal 1945 ad oggi, Bologna, Il Mulino 1972.42 Accordo sul rapporto oro – dollaro sottoscritto nell’agosto del 1971 dalle maggiori potenze industriali (G10) per fronteggiare le conseguenze della sopraggiunta inefficacia degli accordi di Bretton Woods.

valore diverse, sulla scorta di obiettivi di valorizzazionemodificati, ha provocato la complessiva riorganizzazione dellerelazioni commerciali sottese dal ciclo e degli schieramentieconomico-politici conseguenti. Le precedenti collocazioni sonosaltate poiché funzionali all’ordine imposto dalla grandeimpresa. Energie venute ad accumularsi negli interstizi delmercato oligopolistico sono poste in condizione di operare inqualità di elementi autosufficienti. Una fase policentricas’insedia sostituendo la precedente. La grande impresa, già dotata di apparato e di organismiefficienti, si ricolloca per prima allestendo processi adeguatia immobilizzare, inquadrare e valorizzare forze e benisconnessi dalle filiere di riferimento. La razionalizzazionedell’impresa statunitense vede la predisposizione di cateneduttili, segmentate, diffuse, orientate ad estrarre valoregrazie ad un sovrappiù di dinamismo43. Ma, contemporaneamente,anche altre forze capitalistiche, slegate dai vincoli disubordinazione ai gruppi estensivi, vanno ad assemblarsi inprocessi d’impresa reticolari, intensivi, attivi in parallelonel mentre espletano in funzioni integrate produzione evendita. In Giappone, in Germania, quindi in Cina, in Brasile,in India si costituiscono costellazioni di agenti capitalistici(Hirsch e Thompson44 ne identificano tre. Oggi, ne potremmocontare fino a sei: Stati Uniti, Germania, Cina, India,Giappone, Brasile). La concorrenza che ne modula il confrontosvolge una superficie di mercato multidimensionale, la cuimorfologia è data dalle direzioni e dalle scale diappropriazione di ciascun vettore commerciale. Ladisarticolazione delle vecchie gerarchie lascia il posto amovimenti a sciame. Molteplici compagini si distribuisconosecondo assi polimorfi. Si aggregano o disperdono in funzionedella forma e della qualità dei processi economici innescati di

43 In generale i ricercatori hanno affermato che questo modello diproduzione sia stato applicato prima di tutto in Giappone, da cui ladefinizione di “toyotismo”. In realtà, come ha affermato B. Coriat, la suaelaborazione è estremamente articolata, e comunque da riportareall’evoluzione di strutture produttive già esistenti. In questo senso,Coriat afferma che l’apparizione della produzione “snella” si evidenzia inogni centro produttivo primario, in primis gli Stati Uniti, cfr. B. Coriat,Ripensare l’organizzazione del lavoro, Paris, Christian Bourgeois 1991, tr. it. acura di C. Vercelloni, Bari, Dedealo 1991.44 Cfr. P. Hirsh et G. Thompson, Globalization in Question: The International PoliticalEconomy and the Possibilities of Governance, Cambridge, Cambridge Polity Press 1996.

fronte ad un plateau di concorrenti dal’impatto moltiplicato,non solo per il numero, ma anche per le continue manovre diefficientamento effettuate al fine di occupare territori dimercato sempre più ampi. La quantità dei soggetti impegnati adassolvere i bisogni di accrescimento rende veemente lo scontrosul mercato, ponendo in perenne rischio la sussistenza diun’entità produttiva. Il ciclo “produzione di massa – consumodi massa” era al limite statico, rispondendo a procedureamministrative regolari e rigide. Ora è lo spostamento e larepentinità a dettare la logica di una concorrenza fattasifrenetica e feroce. La conquista di spazi d’accumulazione primapreclusi ha preteso uno scatto in avanti della mobilità delcapitale, un potenziamento esponenziale della tenutadell’impresa. La disposizione flessibile ed aggressiva énecessaria al drenaggio di mezzi di produzione che assicurinola permanenza delle attività d’impresa sotto l’attacco dellaforza d’investimento avversaria. L’esigenza di proteggerel’attitudine cumulativa delle strutture di valorizzazione, dioffrirle spazio per il perfezionamento del ciclo ma anche digarantirle sviluppo e prospettiva, induce l’impresa areimpostare le sue componenti in relazione ad un’attivazioneseconda. L’unità produttiva produce non solo per annetterevalore corrispondente al surplus proporzionale alle risorseinvestite, ma incassa anche capitale equivalente adinvestimenti successivi in modo da impedire in partenza ilprimato di un concorrente e le inevitabili ricadute involutive.Il cumulo di mezzi di produzione sotto forma monetaria, delcorrispondente astratto di acquisti virtualmente presenti comeproprietà non ancora sancite dallo scambio, diviene fattorestrategico. La preminenza della finanza si afferma, di controalla produzione industriale, con il ritmo, la densità e lafrequenza della concorrenza. Il capitale finanziario è il veroprotagonista della fase seguita alla transizione. Anche oggi,in questo istante, ridefinisce rapporti di potere e contesti.Questa è la “crisi” che è sopraggiunta: ma non certocongiuntura trasmodale, piuttosto di aggiustamento sistemico.Sulla distesa riarsa di un mondo disseccato dalla concorrenza,viaggiano alla velocità della luce divise, azioni edobbligazioni, divisioni belliche spinte dai turbini atomicidella moneta. Bretton Woods, certo, ha stabilito i quadranti diun nuovo capitalismo la cui materia prima è l’intercettazionedegli spostamenti globali della rendita. Il titolo e la valuta

assurgono a momento primario del ciclo del valore. Solidificatain speculazioni puntuali, l’impresa continua a ricavare dalmercato valore monetario il quale, ricondotto al centro deiprocesso, é reinvestito in azioni di captazione di effettoimmediato che rappresentano allo stesso tempo una pluralità divettori anticipati d’investimento, già protesi verso ulterioriimpieghi capaci d’interdire le velleità egemoniche degliavversari. La superiorità tattica, economica e politica dellafinanza regna indiscussa su un circuito di accumulazione il cuisolo limite è la repentinità delle sue metamorfosi. La finedegli accordi di Bretton Woods, la deregolamentazione deimercati finanziari che ne è conseguita, ha sancito l’egemoniadi parti capitalistiche frattali, in grado di seguire, per laloro immateriale leggerezza e la loro vertiginosatrasferibilità, le correnti convulse di un mercato in cui ilcontrollo e la deterrenza divengono armi decisive. Analizzando la composizione organica delle impresecapitalistiche, di qualsiasi dimensionamento esse siano, èevidente come la presenza e l’importanza del capitalefinanziario nella loro struttura, e quindi nelle lorostrategie, sia elemento non solo ricorrente, ma qualificante.L’organismo che fluidifica e regola i flussi della finanzaassurge a pari importanza. La banca, e non l’impresa, è oggi ilmozzo che muove i diversioni aggressive dei capitali intrasmigrazione. La banca è il perno dell’organizzazione socialeche funziona a capitale circolante. Non che l’industriasparisca, come ha troppo frettolosamente profetizzato qualcuno.Siamo, al contrario, di fronte ad un suo ulteriore ampliamento,grazie alla presenza in settori produttivi centrali di entitàcapitalistiche provenienti da nazioni prima impiegate comeriserva di risorse o mercati marginali. Solamente, l’industriadefinisce strumenti organizzativi volumi e strategie su impulso esotto diretto comando del capitale finanziario, mezzo di produzioneessenziale per le esigenze di valorizzazione dell’impresa. Essodefinisce i rapporti di forza che sezionano l’epidermidemonetaria del mercato. La produzione di fabbrica non énient’altro che la concrezione di un processo di valorizzazionegovernato dal sistema di equivalenze asimmetriche di naturamonetaria. I fattori produttivi, tra cui il lavoro, prendono laforma di “titolo di credito”, che sia divisa o azione. Sotto taleconformazione, il lavoro é impiegato nei fronti distribuiti trale borse mondiali.

Il lavoro, componente dei circuiti suppletivi della produzione,partecipa come fattore capitalistico alle congiunture delloscontro tra forze in cui dirimente diviene la dotazionefinanziaria. Mutatone lo statuto in quoziente azionario, laforza-lavoro é captata dall’evoluzione di borse e andamentispeculativi in cui interviene come quota di credito o didebito. Viene così integrata e ricombinata in relazione alletendenze del mercato dei capitali. Uno degli aspetti dellagestione competitiva del lavoro è il reinvestimento delrisparmio privato accumulato durante la fase fordista: l’usoproduttivo e l’immissione sul mercato di porzioni di forza–lavoro trasposte in forma finanziaria. L’accantonamento deiredditi da lavoro é salario differito usato come riserva distabilizzazione. Si trattava di una quantità di risorsedisponibili che non permettevano, in termini corporativi,scostamenti abnormi dei corrispettivi (rapporto tra capacità diacquisito del salario e quella del capitale), penalizzanti peril lavoro perché segno di uno sbilanciamento del ciclo versouna concorrenza instabile, in cui il capitale andava adesercitare una maggiore presa attraverso dinamiche disussunzione ancora più gravose. II lavoro viene iniettato nellearterie della finanza tramite riconversione del salario noncircolante da fondo di garanzia a rendita speculativa. I titolidi credito statali sono rivalutati in veri e propri titoli dirischio, la previdenza da pubblica è riformata in privata inmodo da favorire la sottoscrizione di fondi d’investimento,ossia il passaggio diretto da salario a capitale finanziario.Stessa natura hanno i vari sistemi di compartecipazione agliutili, ma anche, più empiricamente, la compressione deisalari allo scopo di incentivare il debito privato pressofinanziarie dipendenti da banche. Un’altra modalità, mediata, di finanziarizzazione del lavoro èla definizione del monte-salari in funzione delle esigenze diredditività dell’impresa-Stato, agente produttivo impegnato nelmercato come tutti gli altri. Le politiche fiscali e di spesatoccano il lavoro come quota di P.I.L. in qualità di sezionedella linea di produzione che fa capo all’investimento statale.Il lavoro è un mezzo di produzione dello Stato, scambia conesso ricchezza agganciato all’apparato che lavora titoli diproprietà statuale per ampliarne la portata. L’interventoeconomico dello Stato incide sui bilanci pubblici, sul debito,vale a dire sulla capacità monetaria istituzionale. Allo stesso

modo il valore-lavoro che ne è un quoziente. Accorpato alcapitalista-Stato, il lavoro si trova esposto alle turbolenzespeculative che ne determinano lo spessore. In ragione di uncontesto di concorrenza estremamente turbolento e variato, laquantità di ricchezza scambiata con il lavoro è parametrata alfabbisogno monetario delle Stato, ed alle quote di redditivitàda raggiungere se vuole mantenere una valenza capitalistica: lapossibilità di annettere beni e metterli in produzione in vistadi una valorizzazione. Un piano regolatore, la stesura di unbilancio, una legge finanziaria sono immediatamente funzionalialle esigenze del capitale finanziario.È saltata la relazione biunivoca tra dimensione dell’impresa ecrescita (tendenzialmente) proporzionale del valore-lavoro. Illavoro non riceve una dotazione d’investimento, o un ambitod’appropriazione, dimensionati all’incremento costante eregolato del valore prodotto. La curva del salario non è piùagganciata alla spirale ascendente di un ciclo aperto e chiuso,su valori accresciuti, da una filiera in equilibrio durevole:individuata, continua e compatta. La regolazione restaattributo secondario rispetto alla flessibilità. I segmenti diforza-lavoro devono soprattutto investire in “qualitàmimetica”, la predisposizione a modificare competenze,mansioni e ruoli rispetto alle disposizioni agonistiche delmercato finanziario. Questo atout decide la concorrenza nelmercato del lavoro, realizzando lo scambio con il capitale. Illavoro non è abbandonato dal capitale, come vuole far intendereBevilacqua in un articolo apparso in «Il Manifesto» nel 201245,tutt’altro. Il capitale porta il lavoro, costringendolo ancorauna volta a convertire forma e caratteristiche, ad operare alsuo stesso tasso di versatilità, alla stessa celerità di unacedola che cambia di mano in borsa. Il capitale pretende cheentri ed esca dalla produzione, spostandosi, ridefinendo ruoli,gerarchie, funzionalità cognitive, comportamentali, tecniche.L’epoca in cui l’accumulazione massiva progrediva sul consumodi massa, l’espansione/integrazione in cui produzione,circolazione e distribuzione si sovrapponevano per tassi dicrescita, è finita. Ora tutto è rendita, svolgendo un ruolo direttonella valorizzazione. Con l’andamento regolare del ciclo, èspazzata via il dispositivo istituzionale che aveva sostenutola supremazia del fordismo. Lo Stato keneysiano s’insedia

45 P. Bevilacqua, La globalizzazione distruggi-diritti, in, «Il Manifesto», 3 gennaio 2012.

sostituendo i precedenti sistemi liberali. L’apparatoamministrativo (basti pensare al ruolo avuto dai servizipubblici di massa, come i sistemi sanitario ed educativo)sancisce a livello di governo generale il predominio di unassetto “a moltiplicatori”. Le funzioni di garanzia, tutelaregolazione dello Stato “sociale” ne hanno posto in apparenzail carattere “terzo”, di “mediazione”. Lo Stato invece hasvolto i suoi deliberati come impresa molare di testa,sufficientemente ampia per coprire la maggior parte del mercatoe deciderne l’organizzazione. Lo Stato ha impostato il mercatosulla stabilità delle proprie procedure di assunzione,lavorazione e implemento. Se la differenza, in aumento, dellacapitalizzazione doveva mantenersi proporzionaleall’ampliamento degli stock prodotti, dovevano sussistere egualiscatti della distribuzione e della circolazione così da nonintaccare la ragione d’omologia tra produzione e scambio.Questo è stato il compito delle funzioni d’impresa dello Stato.Lo Stato keynesiano ha sancito la congruenza perfetta trasocietà e capitale. Gli organismi istituzionali hanno svoltoun’azione di bilanciamento, regolarizzando i differenzialiesistenti tra capitale e salario. Uso “deviato”, “spostato”della sovranità, cui nel segno si è affiancata termine atermine, avente altri oggetti e forme, una specificadisposizione giuridica. La sovranità assume caratteri“costituzionali”, concretando in organismi generali dideliberazione e gestione le volizioni di una soggettivitàriflettente ampia e capace quanto omogenea e organizzata: il“popolo”. Questa figura trascendente e speculativa dettal’esistenza e i principi dell’organizzazione istituzionale. Èdunque personalità giuridica originaria e fondamentale. Ilpopolo è entità per definizione pubblica e collettiva, le suedecisioni non sono mai puntuali ma affermano contenuti checomprendono a priori un numero indefinito di occorrenze. Nessunaltro contenuto se non il popolo stesso, solo oggetto realmentecomplessivo, possono avere le sue ideazioni e i suoi atti. Inpratica, il popolo non può che decidere e agire per il popolo.Esprimendo flessioni tetiche sostanziali, le sue azioni sisvolgono sempre nell’immanenza di una Storia che non è altro senon la sussistenza di se stesso, solo Soggetto effettivo e solointelletto volente. Esso si dà nella realtà incondizionata delsuo avvento, facendosi presenza “in prima persona” sotto levesti della “Nazione”, comunità organica e attiva di cui lo

Stato rappresenta in strutture concrete gli istituti e gliasserti (il suffragio universale ed il sistema tripartito deipoteri; la democrazia fondata sulla “rappresentanza”; in ambitopenale, il carattere “pubblico” dell’accusa come“rappresentante del popolo” tutto). Le funzioni e i decretidello Stato assumono carattere imperativo ed inderogabileperché disposti della Nazione, normativi e normalizzanti inquanto supporti della dazione autotelica di un’entità,giuridicamente ed ontologicamente prima, universale. Essa siattiva interminabilmente in ogni punto esistente o potenzialedel esistere posto dai suoi irradiamenti tetici. Lo Statosociale è la rappresentazione empirica di un ”argomentum adhominen” invertito: coincide con il numero infinito delle suemanifestazioni individuali senza perdere compattezza ecoesione. Ogni segno, o comportamento semanticamente rilevante,prende senso e rimanda al significante ultimo che è lo Stato.Nessun significato fa da terminale della relazione di referenzase non come accidente della significazione tetica statuale,espressa dai dettati di legge. Come lo Stato keynesiano èl’impresa allargata di base, così lo Stato liberal–democraticoè il connettivo semantico fondante.La preminenza della finanza porta la produzione a muoversi edistribuirsi in tutt’altri termini. Anche l’impresa-Stato ésottoposta ad una profonda revisione. Il carattere stabilizzatodella produzione e la facilitazione della distribuzionedivengono un appesantimento mortale per i rapidiriposizionamenti, per la prontezza delle risposte che isegmenti di capitale devono garantire per continuare amanovrare nelle correnti sempre montanti di relazioni dimercato impetuose. Dopo durissimi scontri le forze legate allafase precedente sono state sconfitte (in Italia il conflitto èavvenuto piccola impresa e distretto contro grande impresa eindotto: tra “seconda” e “terza” Italia). La produzione ed ilmercato si razionalizzano secondo le direttive degli aggregativincenti. Per quello che concerne diritto e comportamentisociali, le istituzioni perdono l’equidistanza e l’astrattezzache permetteva loro di svolgere i compiti di misura, giudizio everifica, svolgendo, in ciascun apparato ed ufficio, un mandatopartigiano. Il segno dominante, il Soggetto proprietario, siscinde in parcelle concorrenti, frammenti significantimobilissimi e cangianti che lottano per primeggiare sugli altriescludendoli da qualunque processo di formazione del senso che

non sia loro. La figura vincente pone le condizioni di legge:ad esempio, il “non-morto”, significante l’insaziabilefagocitosi capitalistica che determina sia i termini deldiritto d’esproprio di un proprietario che ne porta un altro alfallimento, sia i contenuti dell’immaginario dominante. La movenza dello Stato è quella di un impresa orientata allaconcorrenza non alla regolamentazione. Ma le sue proiezionirimangono generali. Le prerogative “universali” dello Statoestendono la titolarità e il potere dei suoi apparati su tuttolo spazio pubblico. Lo Stato fa divenire l’agonismo di mercatola ragione della “società” intera e l’unico orizzonte socialepossibile. Per questo i conti dello Stato devono sempre esserein ordine. Agendo in modo competitivamente “razionale” nelmercato lo Stato inquadra in vettori d’investimento i segmentidella società a lui soggetta e li consegna all’impresa comefattori produttivi efficaci. L’immane opera giurisprudenzialedi questi anni, soprattutto in Europa, ha tradotto takericonfigurazione in un rinnovato ordinamento normativo46. Laproduzione di Stato deve coadiuvare la dislocazione produttivadelle risorse finanziarie, impedendo gli avvitamenti – magaricausati dalla formazione di posizioni eccessivamente dominanti- che potrebbero bloccare la realizzazione del valore di uncerto schieramento capitalistico nella concorrenza. La funzionedi garanzia che svolge non ha più finalità genericamente“inclusive”, “sociali”, si rivolge alla produzione competitiva.Volendo riprendere la definizione foucaultiana di“ordoliberalismo”47, lo Stato interviene per mantenere aperteopportunità d’accumulazione, salvaguardando, con la propria, lavalenza produttiva dello sciame d’imprese cui è legato perinteresse commerciale. Lo Stato protegge ed incentiva laredditività della sua produzione per difendere e stimolare inumeri dei soggetti produttivi suoi alleati nel mercato. Ancorauna volta l’impresa-Stato è capitalista di ultima istanza. Nonpiù però allo scopo di far partecipare attivamente al cicloquanta più parte possibile di componenti produttive. Ora lo

46 Cfr. C. Giovanna, Comunità, individuo e globalizzazione. Idee politiche e mutamenti delloStato contemporaneo, Roma, Carocci 2001; E. Paciotti (a cura di), La Costituzioneeuropea. Luci ed ombre, Roma, Meltemi 2004; L. Pellizzoni (a cura di), Ladeliberazione pubblica, Roma, Meltemi 2005; E. Rigo, Europa di confine, Roma,Meltemi 2007.47 M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France 1978 – 1979, Paris,Gallimard 2004, ed. it. a cura di M. Bertani e V. Zini, Milano, Feltrinelli2005, pp. 112 – 132.

Stato interviene consegnando sempre nuovi pezzi di società adun determinato gruppo di capitali, i più performanti, perché liconsumino, facendo dell’esclusione di questi il mezzoprincipale di crescita. L’investimento dello Stato deve esseremantenuto, esso è vitale per le compagini imprenditoriali chese ne avvalgono.

Il comando del capitale non muta, nella sua sostanza. Necambiano le forme. Oggi la produzione accentua vertiginosamentela sua capacità di rotazione e vantaggio. Ha sempre cometermine, già superato d’avanzo e da doppiare di nuovo, la quotadi valore già estratta. La disperde però in rotazionicumuliformi di nugoli esponenziali nella miriade di processilocali dal ritmo accelerato e infinitesimale cui lo piega laconcorrenza. Lo Stato, ordito disciplinare alleato del capitalee capitalista lui stesso, ha abbandonato senza ritorno la suaconnotazione di sistema gestionale sussidiario e comprensivo.Nessun senso hanno le proposte, non si capisce quantoideologiche o semplicemente ottuse, che spacciano un nuovo“populismo”, una “egualibertà”48 da realizzare rilanciandopolitiche economiche improntate alla crescita e rinnovando, permezzo di presidi di welfare, l’organizzazione keynesiana delladistribuzione. Gli stessi orientamenti caratterizzano leposizioni attuali degli ambienti “moltitudinari”49 e dellaFiom, secondo cui un sistema di garanzie neokeynesiane,riorganizzato nel funzionamento ma invariato negli obiettivi,sarebbe in grado di rilanciare il “patto”, all’insegna del“comune”, tra capitale e lavoro. Mai esistito, in verità, senon nell’epopea socialdemocratica delle primavere dei popoli,la narrazione consolatoria secondo cui sviluppo e del progressoavrebbero benedetto il mutualismo solidale di ceti resi consci,e quindi responsabili, dalla guerra. In questo raccontoedificante lo Stato delle “garanzie” raccoglie in comunitàgaudiosa, usando con lungimiranza la mano amorevole dei suoienti, la nazione dispersa nella contrapposizione degliinteressi, che fossero di gruppo o di nazione. Questo mito èmorto. Lo Stato keynesiano scompare, e parallelamente,attraverso vicende riguardanti solo l’ordine del segno, anche48 Cfr. E. Balibar, La proposition de l’égaliberté, Pars. P.u.f. 2010. 49 Cfr. T. Negri, Moltitudine e welfare del comune, in, C. Orsi, Ai confini delwelfare, Roma, Manifestolibri 2009, pp. 133 – 146; Commonwealth. Oltre il privato eil pubblico, Milano, Rizzoli 2010. A. Fumagalli, Trasformazione del lavoro etrasformazioni del welfare: precarietà e welfare del comune (commonfare) in Europa, in,Uninomade 2.0.

l’immaginario progressista che ne ha tracciato le diegesifinisce (in Italia, la “democrazia uscita dalla resistenza”).Con esso muore anche la figura che ne doveva personificare laportata universalizzatrice, l’aspirazione onnicomprensiva:l’”intellettuale”, agente totalitario incaricato di uniformarelinguaggi, culture e comportamenti irregimentandoli in uncodice ideologico-disciplinare unitario. La funzione “nazional-popolare” dell’intellettuale diviene obsoleta, e con essa lareversibilità dei segni che assicurava assimilandoli mediantel’infinita capacità enunciativa di concetti quali: “popolo”,“nazione”, diritto”, “progresso”, “modernità”, “sviluppo”,“rappresentanza”, e così via in declinazioni forse piùesoteriche che teoriche (“soggetto”, “dialettica”, “libertà”,“vita”, “Ragione”, ecc.). Un passaggio di fase, questa è la scissione senza ritorno chesi è prodotta. Ne abbiamo visto gli effetti nei collassieconomici che si sono susseguiti: dalle recessioni argentina ecoreana fino alla depressione spagnola e greca, passando per icedimenti finanziari statunitense, islandese e irlandese.Questi avvenimenti sono stati percepiti come i segnaliinequivocabili di una prossima caduta sistemica delcapitalismo. Il termine “crisi”, con cui sono stati in generedefiniti, echeggia di tutti i timori o le speranze - cheevidentemente condividono un eguale sfondo ideologico - di uncedimento interno, portato necessario dell’“irrazionalità”,dell’“ingiustizia”, della “fragilità” che minerebbe dallefondamenta la statica del capitale. Nessuna “crisi” si èprodotta: nessuna caduta del comando del capitale si è data, nétanto meno, né s’intravede una rigenerazione salvifica che,sorgendo dalle ceneri di una tirannide a lungo subita, stiainaugurando un’era di libertà50. Nessuna disfunzione internapuò far crollare il capitalismo perché il capitalismo funziona perdisfunzioni interne. Ne sono l’ossigeno e il metabolismo che nemuove l’ingranaggio. Il mondo dominato dal valore non è allasua apocalisse. Al contrario, siamo vittime e protagonisti diun ulteriore passaggio del gigantesco, immane, processo diristrutturazione che sta ridefinendo, rispetto alla faseprecedente, componenti, modalità di interazione, e meccanismidi governo capitalistici. La reiterazione normalizzata non èpiù misura di funzionamento valido della produzione. La

50 Come é circolando nella maggior parte dei commenti “militanti” sullerivolte nel Magreb o in Brasile.

devianza dei cicli e la paranoia da investimento ne stimano oralivelli di produttività e gradienti di capitalizzazione. Illavoro non rimane esterno a questarazionalizzazione/ricombinazione. Ne anzi parte integrante enecessaria. Quanto incida il tasso di disoccupazione sui corsifinanziari lo dimostra. Quale modalità vada ad assumere laforza-lavoro, che abbia i caratteri di cronica sovrabbondanzad’offerta qualificata, di potenziale d’occupabilità piuttostoche di precariato dequalificato, la sua conformazione èdeterminata dalle devoluzioni effusive della produzione in unmercato indefinitamente accelerato dalla competizione generale.

Analizziamo le caratteristiche comuni delle aree in cuisono scoppiate bolle speculative o gravi default. Viriscontriamo fenomeni simili. Questi caratteri delineano itratti distintivi di un capitalismo disforico ben saldo nel suocomando: 1) identificazione tra Stato e capitale finanziario, anche esoprattutto in forma di storno di risparmio per saldare debitidi banche o imprese;2) una selezione statuale delle soggettività imprenditorialiin grado di agire efficacemente nello scenario attuale,realizzata alternando spinte inflattive a manovre anticicliche,interruzioni del credito a shock monetari51. Le politichepubbliche si rivolgono a identificare compagini produttivevincenti, cambiando la geografia e morfologia d’impresa aseconda delle condizioni. A spinte centrifughe si sommanoinnesti centripeti: l’associazione in holding tentacolari ècontornata da una dispersione pulviscolare di piccole entitàproduttive che intrattengono rapporti complessi con il mercatonon riducibili alla semplice dipendenza da gruppi piùimportanti;3) un governo élitario dell’economia, cui si accompagna, perun necessario rapporto d’incidenza strutturale, una gestionecorporativa del potere di Stato. Gruppi ristretti, settoriintegrati ai soggetti economici prevalenti, gestisconoamministrazione e istituzioni in relazione agli assetti dimercato, operando di riflesso alle sollecitazioni di un mondo-ambiente connotato interamente in senso capitalistico.L’attività deliberativa e gestionale dirige l’impresa-Stato permassimizzarne la produttività ed il ruolo attivatore,

51 In questa direzione si è mosso, soprattutto rispetto al credito, ilsecondo governo“Prodi”.

applicandosi a plasmare composizione e competenze dellasocietà, fatta materia duttile, inerte, per la valorizzazione.Ciò significa chiudere tutte le opzioni che fuoriescano dalbinomio efficienza de governo/efficienza del mercato. Ilmaggioritario e la progressiva autonomizzazione degli esecutivisono le colonne portanti, in termini d’istituti di governo, sucui poggia una dittatura “light”, una parvenza di libertà che sisolidifica in regime autoritario di mercato, in cui l’aspettomilitare, all’esterno ed all’interno, ritorna in primo piano.La guerra, dentro o fuori le varie nazioni, torna utile persostenere la competitività (tipo assumere il controllo dirisorse energetiche fondamentali), per mettere sotto pressionegli avversari, recuperare le scissioni52, o, carattere deltutto inedito delle attuali guerre “postmoderne”, perpermettere all’immagine della guerra guerreggiata di precederenelle immagini, come una lunga ombra, i cozzi non meno cruentima silenziosi in cui i capitali si trucidano a vicenda sulcampo di battaglia del mercato globale.

Ripartizioni di valore a produttività intensiva si spargonosenza tregua in un turbinio di tensioni agonistiche. In questasocietà sottoposta alla disciplina marziale di un capitale inguerra permanente, tutto viene messo a valore e impiegatonell’agone della concorrenza. Chi scrive ha pensato a lungo chela crisi attuale fosse un ritorno a modalità ottocentesche disfruttamento. Ma é un errore. Il capitalismo non si ripete.Razionalizza e modifica in continuazione sistemi e processi.Magari recupera modalità trascorse, ma reimpostandone scopi ecompiti. Quello che il capitalismo reitera, per sua specificacostituzione, è la presa proprietaria con cui sussume illavoro agganciandolo al circuito di cumulazione. L’ottocento è il secolo in cui si compie la definitivasaldatura tra capitale e lavoro. Nella fase che, all’incirca,dal Congresso di Vienna arriva fino alla fine della primaguerra mondiale, dominata dall’egemonia inglese53, la grande

52 L’assorbimento delle spinte antagoniste, alternando metodi duri ad altripiù morbidi e suadenti. La cultura non sfugge al militarismo di mercato.Gli scrittori “democratici” italiani, spesso delegati alla schierad’intellettuali “progressisti” che scodinzola loro dietro, i vari Saviano,Lucarelli, Baricco, Scamarcio, De Cataldo, Ammanniti e compagnia, sonoalcuni degli individui-impresa che ne costituiscono la truppa.53 Errore storico fatale di Benjamin, sintomo eclatante dell’inconsistenzadelle sue tesi: è Londra la capitale del XXmo secolo, come aveva ben capito

impresa afferma il suo predominio e si pongono le condizionidella fase fordista. L’industria è la fucina d’assemblaggio checompleta il processo d’inserzione della forza-lavoro nellaproduzione di valore. Le terribili condizioni di sottomissionee sfruttamento imposte dall’ingranaggio dell’officina serialesono state operazioni di modellaggio e ribattitura necessarie arendere il lavoro, già incorporato al capitale fin dai tempidella manifattura, adatto e rispondente ad un nuovo processo divalorizzazione. La grande industria è stata la prima granderistrutturazione tecnico-economica del capitalismo. Lamanifattura abbisognava della contiguità tra lavorazione edestinazione d’uso. La fabbrica moderna ha bisogno dicontinuità, coerenza e grandi dimensioni. La produzionetrascorre all’interno di una catena a filettature fisse legatain una sequenza di valorizzazione, dalla produzioneall’acquisizione, univoca ed individuata. Le sue linee sidispongono in vista di circuitazioni endogene equilibrate inaltezza, dirette ad ottenere dal loro ruotare sul posto apicidi produttività massivi. L’impresa molare agisce da organismoautosufficiente. Ingloba risorse accorpando funzioni chesaturano quindi al suo interno i compiti produttivi. Accrescedi portata e valori accogliendo progressivamente porzionisempre maggiori di forze produttive. È spinta perciò adallargare la sua superficie e le sue fila. L’esigenza didecuplicare le strutture della fabbrica, così da portare illavoro a produrre i quozienti di valore maggiorati richiestidal volume d’investimento del ciclo totale, ha portato isoggetti capitalistici vincenti ad allargare il bacino socialedella borghesia (nuovi ceti, nuove figure, nuovi interessi,nuovi ruoli si aggiungono a quelli ereditati dall’epoca dellemonarchie assolute semifeudali e della nobiltà “borghese”). Ilmontaggio delle linee di cooperazione lavorativa, la coesionegarantita dal consumo, il ruolo produttivo delle fasi di nonlavoro – come la formazione - , sono serviti a calibrare laforza-lavoro sulla produzione in scala della fabbrica

Marx, non Parigi. Inoltre, Benjamin era troppo provinciale e culturalmentesprovveduto per capire il ruolo avuto dalla cultura anglosassone –letteratura e pittura (Carlyle, Turner, Morris, Rossetti, Ruskin, tra glialtri) – nel contesto francese. Basti pensare al debito di Baudelaire eMallarmé verso Milton, o di Proust verso Ruskin e i preraffaelliti. Questo gliha impedito di cogliere, da uomo di fede qual’era, un dato di realtàincontrovertibile: come Parigi fosse, nell’economia e nel segno, una forza“seconda”.

meccanica. Nell’ambito dei segni, eguale transizione hannocondotto i tropi figurali del “popolo”, della “massa” e del“progresso” – come nel concetto l’”Intelletto”,l’”Autocoscienza”, la “Storia”, la “dialettica” e il “negativo”- contro cui hanno lavorato nella scrittura Verga e Rimbaud,Baudelaire e Emilio Praga, Lucini e Wilde, producendo vettorieversivi nell’immagine dei quali il più potente è opera diConrad: il cuore di tenebra.Oggi non è più così. I capitali sbancano la società nelleconvulsioni del valore. La produzione non accorpa più elementiin processi di costituzione/ampliamento, non ne produce più losviluppo. Dispiega prensioni distrofiche. La valorizzazione sirealizza per mezzo della distruzione di altro capitale. Illavoro è incorporato sottraendogli consistenza numerica evalore di mercato. La svalutazione della forza-lavoro è unmovente primario dell’investimento, ne è la ratio e la causaefficiente. L’espulsione di lavoro è uno strumento primario perannichilire germinazioni gemellari di capitale incontrate sulterreno della concorrenza. Il neoliberismo è una fabbricadiffusa che lavora collassi nucleari. La crisi non è il suotermine: è l’integrale energetico che ne mette in moto lamateria, il momento e i vettori.

Il capitale non cade a causa della sragione delle sueostensioni. Una rottura lo abbatte. Una trasformazione sistemica éeffetto di una pratica eversiva. Negli urti e contro-urti, daisommovimenti tellurici prodotti nei corpi e nel segno dallaguerra per la supremazia, un insieme di ingranaggi irriducibilial capitale può arrivare a comporsi in forze. Questi apparecchiattivano, contro il valore, molteplici, non totalitarie,cooperative, singolari macchine sociali “altre”. Una filierafatta di gesti d’avversione verso le strutture capitalistichemonta fabbriche di comunanza. I processi che distendono èinnanzitutto un attacco alla autorità del valore, unadissociazione completa dalla sovranità dispotica dellegerarchie comandate dalla proprietà e dalla concorrenza.Questa scissione, se in grado di costituirsi in schieramentonemico e colpire con efficacia, può provocare una radicalevariazione dei connettivi e dell’architettura della formazionesociale capitalistica. Organizzati orizzontalmente, tali circuiti di produzionesociale hanno una conformazione che interdice ogni avvitamentogerarchico. La convivenza senza autorità erige un limite

invalicabile di fronte a qualunque velleità totalizzante etotalitaria. Organismi di lavoro condiviso, usano la parzialitàdegli attori a garanzia di un governo comune incapaced’ingenerare dominio. Funzionano per differenza e singolarità,avendo come portato relazionale specifico il conflitto,condizione e pratica di una secessione permanente dal potere.La partecipazione comune nella differenza è la cinghia ditrazione collettiva che li mette in moto. La decisionepartecipata, l’intervento congiunto e la verifica condivisa,salvaguardati e sostenuti dal conflitto, vettored’ininterrotti processi di sovranità democratica, inducono leconvergenze necessarie ad un’integrale messa in comune.L’eguaglianza di statuto, di cui il conflitto è garanzia,ricomprende in una disposizione equanime ed orizzontale ledifferenze d’attribuzione, che divengono distinzione difunzioni, delle componenti in confluenza. Reti di complessisempre singolari e sempre singolarizzantesi, collettivi il cuipensiero è un processo di costruzione diffusa che non conoscesintesi e non si concentra in funzioni esclusive(l’intellettuale), producono senza arresto linee di connessionecooperativa che democratizzano sempre di nuovo la società. Ilpotere che esprimono, sempre aggressivo contro il dominioperché intrinsecamente esente da sopraffazione e comando, édirettamente governo di tutti, senza vertice e senzamediazioni. Questo corpo inaudito, che non riconosce in nessuncaso alcuna forma di “rappresentanza isituzionale”, praticaun’inconclusa riduzione di trascendenza, un’inesaustaprivazione di soggettivazione, disperdendo ad ogni attoattestazioni costituenti, funzioni intellettive regolative edecisori eminenti. Il capitale non crolla su se stesso. Ma macchine conflittualidi produzione del comune possono giungere a praticare azionirivoluzionarie che ne scuotano il dominio costruendo unasocietà dissidente. Non sono certo l’effetto di un avanzamentoobbligato, la soluzione logica di un integrale ontologico checalcola le variabili della Storia con gli intervalli dialetticidell’economia. Sono effetti di diagenesi eversiva,stratificazioni produttive che funzionano fuori e contro ilcapitale. Fabbriche del comune sedimentano a qualunque livellodell’esistere. Una forza in distacco dall’industria del valorelavora sovversione combattendo il regime dell’individuo

proprietario. Una lavorazione discordante dell’immagine spezzale figure tetiche che controllano il segno. Baudelaire è uncollettivo in sedizione che si schiera accanto a Marx. Svevo èun agente plurale di scissione tanto quanto i gruppi in lottanel territorio. Abbiamo visto dei frammenti di “complessi in secessione” nellerivolte di questi ultimi mesi, in Italia, in Inghilterra, inGrecia, in Turchia. Sono emersi, a tratti, quasi increduli diloro stessi, mescolati ad un sindacalismo vecchio, segnatodalla più trita retorica “democratica” e rivendicazionista,utile solo a incentivare i processi di “riforma” di unneoliberismo che, lui, non teme di essere conseguente con lesue rivoluzioni. Ne abbiamo visto la pratica in Messico (EZLN)ed in Brasile (Sem Terra), dove sono in corso le esperienzepionieristiche di un comunismo dell’oggi che richiede gioventù dimente e di cuore, e il coraggio laico di sperimentare vie nuoveabbandonando un passato ossificato. Questo è il compito che cispetta, e questo dobbiamo costruire, combinando pezzo dopopezzo meccanismi di liberazione. Dobbiamo praticare i processicomplessi, il ritmi e gli obiettivi, di una produzione dicomunanza che effettui condivisione come bastione di difesa daogni torsione dispotica, e pratichi uguaglianza come un martelloche spezzi ogni legame gerarchico. Una politica manca, una“nostra” politica, nella produzione come nel segno54, in gradodi aprire fratture nell’apparato del capitale. Manca un’azioneche ne saboti il funzionamento strappando gruppi assoggettatial suo controllo diretto, immettendoli in organismi collettivisenza residui dispotici. Dobbiamo ritrovare una strategia,definire strumenti coerenti con un congegno sociale che facciagirare le maglie di una produzione a–seriale e arborescentealiena dal dominio, che effettui emancipazione nel momentostesso in cui genera comunanza. Il compito è immane, e comportaanni di lavoro e di tentativi – se saremo tanto capaci ed umilida ricominciare a sperimentare. Altri, prima di noi, Marx inprimis, hanno agito e pensato all’altezza dell’eversioneinaudita di cui erano parte. È dato, è successo, è possibile.Ancora, è una via praticabile.

54 Seppure delle stupende esperienze siano state fatte in questi anni: nelfumetto, sul web (penso ad Indymedia - nonostante tutto - ma non solo), nelteatro, o nella scrittura.