Afghanistan 2015- Anno 0?

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Anno III - Num. 5 - Maggio 2014 Mutazioni e rivoluzioni della geopolitica Metamorfosi del Globo

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Anno III - Num.5 - Maggio 2014

Mutazioni e rivoluzioni della geopolitica

Metamorfosi del Globo

Anno III - Num. 5 - Maggio 2014

Mutazioni e rivoluzioni della geopolitica

Metamorfosi del Globo

3Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Indicep.6 Editoriale Il silenzio assordante dell’Europa in un Mondo rumoroso di Daniele Lazzeri

p.10 Il graffio di Gordio di Alfio Krancic

p.11 Ridisegnare il mappamondo di Franco Cardini

p.14 Alessandro Bertirotti vincitore del Premio Nazionale di Filosofia “Ricerca Accademica”

p.16 Ucraina: il grande gelo Biloslavo: in Ucraina una seconda Guerra Fredda a cura della Redazione

p.23 Gli Occhi della Guerra. Il sistema del crowdfunding: la nuova frontiera del reportage a cura della Redazione

p.25 Nargorno Karabakh e crisi ucraina di Elvio Rotondo

p.31 Cosa succede in Ucraina? di Antonciro Cozzi

p.40 Gli Stati non riconosciuti Quella sporca dozzina... di Maurizio Stefanini

p.50 Speciale Kazakhstan La terra dei cavalieri e gli equilibri del mondo. Geopolitica del moderno Kazakhstan di Andrea Marcigliano

p.70 Il Kazakhstan nella Cooperazione di Shanghai. Una potenza regiona- le al centro della politica mondiale di Marcello Ciola

p.81 Da Milano ad Astana, il ponte verde della sostenibilità all’Expo di Alessandro Grandi

p.85 Ermegiyayev: L’energia del futuro all’Expo 2017 di Astana a cura della Redazione

p.91 Arte rigenerata. Luci dirette sul panorama kazako di Paolo Zammatteo

p.104 Sgarbi: Astana, capitale del Rinascimento asiatico a cura di Roberta di Casimirro e Paolo Zammatteo

p.107 Con il vessillo della scienza. Così il Kazakhstan va incontro al futuro di Renato Sartini

p.118 The Geo-politics of Soft Power and E-power: The Case of Kazakhstan’s G-Global Platform di Rafis Abazov

p.123 Polemos: lo scudo di Achille Compound Warfare Vecchie minacce nella Guerra Ibrida contemporanea di Federico Prizzi

5Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Puoi seguirci su:[email protected]

p.132 La Politica Estera Italiana nelle Sfide Globali di Matteo Marsini

p.138 Afghanistan, to 2014 and beyond di Francesca Oresta

p.142 Afghanistan 2015 - Anno O? di Giuseppe Caforio

p.169 “E di cani e d’augelli orrido pasto lor salme abbandonò” di Giulio Prigioni e Luca Zanni

p.172 Scenari & Prospettive Who Needs the European Army? di Matteo Marsini

p.176 Elezioni in Turchia: chi ha vinto tra politica ed economia di Giuseppe Mancini

p.181 Il Brasile riparte dal Nord Est di Alessandro Grandi

p.184 Voci di carta: le interviste di Gordio Tra conflitti regionali e crisi globale di Gian Guido Folloni

p.190 Prodi: il male oscuro dell’Africa si può battere Gian Guido Folloni incontra Romano Prodi*

p.198 Dabbous: In Siria, i fondamentalisti hanno preso il dominio della lotta armata di Daniele Lazzeri

p.203 Panzeri: Poco lungimirante il sostegno ai ribelli senza una roadmap politica a cura della Redazione

p.208 Conticelli: Cultura e Made in Italy al centro dei rapporti tra Italia e Bulgaria a cura della Redazione

p.212 Vivian: Uso il passato per progettare il futuro vivendo nel mio presente di Dora Doncheva-Bulart

p.216 Il labirinto del Minotauro Il Tempo Artistico di Alessandro Bertirotti

p.220 La storia & le storie Storia dell’Azerbaigian, dagli Achemenidi all’avvento dell’Islam di Diletta Cherra e Federico De Renzi

p.240 Apollonio di Tiana: tra Oriente e Occidente di Andrea Colombo

p.246 Giano Bifronte I due volti del Multilateralismo

p.250 La Biblioteca di Gordio

Editoriale

6 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Editoriale

di Daniele Lazzeri

Il silenzio assordante dell’Europa in un Mondo rumoroso

Europa, ancora l’Europa, sempre l’Eu-

ropa. È il Vecchio continente che, per

l’ennesima volta dalla nascita dell’U-

nione Europea, viene additato come il fallimenta-

re “non-protagonista” del panorama geopolitico

internazionale. L’Europa debole, l’Europa kantia-

na, l’Europa-Venere per dirla alla Robert Kagan e,

infine, l’Europa sonnambula. Sempre e comunque

marginale nelle decisioni che contano a livello glo-

bale. Troppo spesso messa sotto schiaffo per aver

vivacchiato all’ombra dell’ingombrante ombrello di

Washington, ancora in preda ad un surreale pa-

nico da “giovane promessa” nel complesso scac-

chiere mondiale, muta e chiusa nel suo colpevole

silenzio sulla gestione delle crisi che sono esplose

ai suoi confini orientali, che hanno travolto i Paesi

dirimpettai affacciati sulle coste del Mediterraneo

e in quel ginepraio che è da sempre il vicino Me-

dioriente.

Ma quest’Europa è anche un’Europa contesa e

confusa, ancora prigioniera delle cancellerie più

L’

L’Europa debole, l’Europa kantiana, l’Europa-Venere per dirla alla Robert Kagan e, infine, l’Europa sonnambula

Editoriale

7Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

La Russia dello zar Vladimir Putin, dopo l’annessione della Crimea e il conseguente argine alle mire espansionistiche della Nato, pensa già a come ritornare agli antichi fasti dell’Impero perduto con la deflagrazione dell’Unione Sovietica

Editoriale

8 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

influenti che vedono Berlino quale decision ma-

ker, con l’Inghilterra nel singolare e, per certi versi,

incomprensibile ruolo di invadente membro “non-

eurizzato” dell’Ue. Prendendo a prestito il gergo

della Banca Centrale Europea si potrebbe dire

che la Germania è il “decisore di ultima istanza”:

i puritani e immarcescibili custodi di un’ortodos-

sia rigorista nella gestione delle finanze pubbliche

che sta strozzando le economie dei Paesi “perife-

rici”. Marginalizzati e costretti all’angolo dai diktat

provenienti da Bruxelles e da Francoforte, non solo

Grecia, Spagna e Portogallo, ma anche l’Italia si

aggirano errabondi nel vano tentativo di ritrovare

un ruolo di primo piano nelle partite geopolitiche

che si profilano all’orizzonte per tutelare i propri

interessi nazionali. Non è stato così per la Libia,

dove il proditorio attacco militare anglo-francese

ha incrinato profondamente gli storici e vantag-

giosi accordi commerciali conclusi dall’Italia nel

corso degli anni con il rais Gheddafi, non lo è stato

per la Siria e per l’Egitto dove, al di là dei proclami

di rito, non si sono ancora chiariti idee e progetti

per ritornare alla stabilità perduta.

E così, si va al voto per rinnovare il Parlamento

di Strasburgo tra le paure per i crescenti movi-

menti euroscettici ed il totale oblio nelle scelte di

politica internazionale. Dietro il timore – molto

“domestico” peraltro – per il risultato dei cosid-

detti partiti populisti disseminati in tutta Europa,

si nasconde l’assoluta inadeguatezza dell’Ue ad

affrontare le sfide e le tensioni sorte a due passi

dai suoi confini orientali.

L’impressione è quella di un vecchio e stanco pu-

gile suonato, attento a guardarsi l’ombelico nella

speranza che qualcun altro gli tolga le castagne

dal fuoco. Un qualcun altro al quale, un domani

magari, dare la colpa se le cose si dovessero mette-

re male… La Russia dello zar Vladimir Putin, invece,

dopo l’annessione della Crimea e il conseguente

argine alle mire espansionistiche della Nato, pensa

già a come ritornare agli antichi fasti dell’Impero

perduto con la deflagrazione dell’Unione Sovie-

tica. Una leadership, quella di Putin, in grado di

evidenziare maggiormente il triste nanismo euro-

peo, incartatosi nello sposare il meccanismo delle

sanzioni contro Mosca per la questione ucraina.

Una decisione che, inevitabilmente, ha agevolato

la conclusione dello storico – nonché miliardario –

accordo tra Cina e Russia nel settore delle risorse

energetiche e nel mercato tecnologico che sposta

ancora più ad oriente il baricentro del mondo.

Un’ultima riflessione desideriamo dedicarla a

questa rivista. Negli ultimi mesi numerose au-

torità ed altrettanto autorevoli osservatori han-

no avuto occasione di evidenziare che il valore

aggiunto de “Il Nodo di Gordio” è ascrivibile alla

capacità di tracciare gli scenari futuri, forti della

conoscenza e dell’approfondimento della storia,

della cultura, della lingua dei Popoli. In una paro-

la: della Tradizione.

È questa, in effetti e fin dal principio, la mission

del nostro think tank condivisa con tutti i colla-

boratori ed i prestigiosi autori che danno lustro

alla rivista. È questo l’impegno preso con i lettori.

A questo impegno teniamo fede anche con il nu-

mero che avete tra le mani.

Daniele LazzeriDirettore Responsabile “Il Nodo di Gordio”

Segui il direttore su Twitter: @DanieleLazzeri

Editoriale

9Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

METAMORFOSI DEL GLOBOMutazioni e rivoluzioni della geopolitica

World economic and geopolitical outlookWorkshop annuale - XI edizione

MONTAGNAGA DI PINÉ (TN) - SABATO 5 LUGLIO 2014

ROMANTIK HOTEL AL POSTA 1899

Il Workshop verterà sulle mutazioni e rivoluzioni in atto dal punto di vista economico, geopolitico e militare, prestando particolare attenzione alle strategie di comunicazione.

Grazie alla partecipazione di Ambasciatori, Docenti universitari, Ufficiali delle Forze Armate, Giornalisti, Esperti di geopolitica, comunicazione ed economia internazionale la giornata di studi si

configura come una preziosa occasione per comprendere ed elaborare le nuove dinamiche nelle relazioni internazionali in campo diplomatico, economico e culturale.

Per info e prenotazioni: [email protected]

10 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Il graffio di Gordio

di Alfio Krancic

Editoriale

11Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

mappamondi di un tempo assu-

mevano come asse il meridiano di

Greenwich e si presentavano quin-

di come due cerchi appaiati verso il centro dei

quali – dove la sinistra di quello posto a destra

guardando e la destra di quello posto a sinistra

guardando si congiungevano – la costa occiden-

tale dell’Europa si affacciava sull’Atlantico. Era il

mondo delle grandi scoperte geografiche e delle

conquiste coloniali, il mondo della Gran Breta-

gna, della Monarchia di Spagna e dei “carrettieri

del mare” olandesi: un mondo reso plausibile dal

primo viaggio di Cristoforo Colombo alla volta del

Nuovo Mondo eppure entrato già in crisi quando

con l’apertura del Canale di Suez le comunica-

zioni tra Atlantico e Pacifico poterono evitare la

circumnavigazione del continente africano men-

tre più o meno negli stessi anni i giovani Stati

Uniti d’America badavano a portar avanti il loro

disegno di controllo del Pacifico mentre il Giap-

pone Mieji, loro fedele alleato quanto lo era stato

di Franco Cardini

Ridisegnare il mappamondo

I

La “Nuova Via della Seta” e il nuovo Great Game stanno provocando di nuovo una tensione mondiale che ha il suo centro tra area pontico-caspica e Asia

Editoriale

12 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

prima di Sua Maestà Britannica e quanto era av-

versario della Russia czarista – i cannoni ad alzo

zero del commodoro Perry puntate sulla città di

Uraga, nel 1853, avevano fatto miracoli! Altro che

gli Chassepots di quattordici anni dopo a Men-

tana… – dava gli attesi confortanti segni di non

pretendere il controllo dell’oceano ma di volgersi

semmai ad est, verso la Cina.

Il dominio sul mondo delle lobbies occidenta-

li, per quanto rinforzate da sostanziosi apporti

arabi, cinesi, indiani e giapponesi e sostenute dal

“poliziotto internazionale” statunitense, è sem-

brato per breve tempo, nello scorcio tra XX e XXI

secolo, obbligare i mappamondi a ridefinirsi sugli

esatti antipodi rispetto alla loro forma cinque-

novecentesca, proponendo un centro identificato

con il Pacifico attorniato ad ovest dal Giappone e

dall’Australia e ad oriente dalla California e dalla

lunga dorsale andina. Ma questo “mondo alla ro-

vescia – del quale potrebbero essere espressione

le potenze del BRIC: Brasile, Russia, India, Cina,

per quanto il Brasile gravi ancora sull’Atlanti-

co – non è sembrato durare a lungo. L’inatteso

tournant si è a quel che pare affermato negli

ultimi anni del secolo scorso, allorché ad est del

Caspio furono individuati quei giganteschi depo-

siti di petrolio e di gas che hanno letteralmente

mutato il volto politico-diplomatico-economico

del mondo dal conflitto aperto dall’aggressione

statunitense all’Afghanistan del 2001 in poi.

Il fallimento della politica aggressiva di Bush jr.

tra 2001 e 2008 ha, a quanto pare, chiuso pochi

anni dopo il suo avvio quella fase di predominio

mondiale unilateralista della superpotenza sta-

tunitense alla quale Francis Fukuyama aveva ap-

poggiato la sua tesi relativa alla “fine della storia”:

la quale, viceversa, sembra aver addirittura subìto

una brusca e vorticosa accelerazione durante gli

ultimissimi anni: con la riemersione di una specie

di nuova “guerra fredda” priva però della sua pri-

mitiva connotazione ideologica e fortemente an-

corata invece a linee di rottura più propriamente

Editoriale

13Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

geopolitiche che hanno fatto riemergere vecchie

problematiche se non addirittura vecchi confini.

Nel 1907 una Gran Bretagna preoccupata per la

politica “navalista” della Germania di Guglielmo II

che – a differenza di quel che il vecchio Bismarck

aveva sempre cercato di assicurarla che non sa-

rebbe accaduto – mostrava di volerle contendere

la talassocrazia oceanica e una Russia che ormai

bramava, dopo la batosta incassata contro il

Giappone nel 1905, a una politica di penetrazione

attraverso i Balcani e gli Stretti verso il Mediter-

raneo (e preoccupate entrambe per le concessioni

ferroviarie tedesche le quali dal sultanato otto-

mano si prolungavano verso l’Asia centrale) sigla-

rono quel trattato di San Pietroburgo con il quale

l’impero persiano qajar veniva spartito in due

grandi aree d’influenza e la Russia, ribadendo il

suo interesse per l’area a sud del Caspio, rinunzia-

va alle mire sull’Afghanistan e il Tibet assicurando

i confini settentrionali dell’impero britannico del-

le Indie lungo la “linea Durand” stipulata quattor-

dici anni prima. Si concludeva così il lungo Great

Game tra Russia e Inghilterra per la supremazia in

Asia centrale, mentre lo czar poteva sviluppare a

sua volta la sua rete ferroviaria in direzione della

Cina avviata negli Anni Ottanta grazie ai capitali

francesi. Si andavano in altri termini suturando

le antiche ferite diplomatiche che per molti anni

avevano impedito alle tre potenziali avversarie

della Germania – la Gran Bretagna, la Francia e

la Russia – di allearsi contro di lei. Era l’incubo del

Bismarck e il risultato del “nuovo corso” diploma-

tico guglielmino, della “politica delle mani libere

del cancelliere von Bülow: la Germania, che no-

nostante l’atteggiamento aggressivo e militarista

del suo Kaiser non voleva la guerra (perché con

le sue industrie, la sua finanza, il suo esercito e

il suo apparato scientifico-accademico aveva già

“vinto la pace”) aveva fornito alle altre potenze,

con la paura che incuteva e l’invidia che provo-

cava loro, il risultato di convincerle a superare le

loro rivalità e ad unirsi contro di lei.

Conosciamo il risultato: la “guerra dei Trent’An-

ni” 1914-45, che la “cattiva pace” di Versailles del

1919-20 prolungò, con i suoi esiti vicino- e me-

diorientali, ancora fino ai giorni nostri.

Ma oggi la “Nuova Via della Seta” (le pipelines

del petrolio e del gas centroasiatico diretti ver-

so occidente) e il nuovo Great Game che vede

USA, Unione Europea e sistema di lobbies che

ne innervano la compagine (e di cui magna pars

sono gli emirati arabi del Golfo) stanno provo-

cando di nuovo una tensione mondiale che ha

il suo centro tra area pontico-caspica e Asia: le

successive crisi afghana, iraqena, siriana, cauca-

sica e ucraina lo confermano, al pari dei segnali

dinamici che provengono dalle situazioni interne

turca e iraniana e dal nuovo ruolo di leadership

(solo “regionale”?...) assunto dalla Russia di Putin

lo confermano. D’altro canto il risveglio dei paesi

turco-tartari della “cintura meridionale musul-

mana” dell’URSS e la loro inquieta ricerca di un

equilibrio tra istanze “neoislamiche”, laicizzatrici-

occidentalizzatrici e neopanturchiste appare a

tutt’oggi come il principale fenomeno sociocul-

turale e geopolitico al quale siamo chiamati ad

assistere e che dobbiamo correttamente valutare.

Franco CardiniDirettore editoriale de “Il Nodo di Gordio”

Editoriale

14 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

con estremo piacere che rivolgiamo

le nostre più sincere congratulazioni

al prof. Alessandro Bertirotti, Senior

fellow del think tank “Il Nodo di Gordio”, insi-

gnito dalla giura dell’ottava edizione del Premio

Nazionale di Filosofia “Le figure del pensiero” del

premio “RICERCA ACCADEMICA”.

Nelle motivazioni dell’assegnazione di questo

importante riconoscimento si legge: “per i suoi

studi straordinari sull’Antropologia della mente,

in quanto è riuscito a far interagire diverse

discipline come la psicologia, la sociologia, la

filosofia, la neurobiologia e l’economia, al fine di

contribuire alla conoscenza e comprensione dei

diversi aspetti esistenziali del genere umano”.

La premiazione si è svolta a Certaldo (FI), sabato

31 maggio 2014 presso il Palazzo Pretorio situa-

to nel borgo storico. Al prof. Bertirotti vanno i

complimenti da parte di tutta la Redazione della

rivista per il meritato riconoscimento.

Daniele LazzeriChairman del think tank “Il Nodo di Gordio”

Alessandro Bertirotti vincitore del Premio Nazionale di Filosofia “Ricerca Accademica”

è

DAL 26 MAGGIoAPPRofoNDIMENTI

E ANALISIPER coMPRENDERE coME

cAMbIA L’EuRoPA

SoLo Su: www.ilnododigordio.org

Speciale

Elezioni Europee

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201416

Ucraina: il grande gelo

austo Biloslavo è un giornalista di

frontiera. Da lustri si occupa come in-

viato di guerra per “Il Giornale”, “Pa-

norama”, “Il Foglio” e “Oggi” di descrivere le zone

calde e le crisi internazionali con servizi realizzati

direttamente sul campo. I suoi reportage illustra-

no con dovizia di particolari e informazioni di pri-

ma mano le facce meno conosciute e i retroscena

di conflitti e tensioni emergenti in molte aree del

pianeta. Recentemente, grazie all’innovativa idea

del crowdunding (della quale diamo ampio risalto

nelle pagine seguenti) e al relativo progetto “Gli

Occhi della Guerra”, Biloslavo si è avventurato nel

cuore della crisi in Ucraina. “Il Nodo di Gordio” lo

ha intervistato per comprendere più a fondo le

radici e le possibili evoluzioni della nuova “Guerra

Fredda” tra la rinascente Russia dello “zar” Vladi-

mir Putin e un Occidente sempre più confuso ed

indeciso, diviso dalla scelta tra interessi economi-

ci e ragioni geopolitiche.

ucraina:il grande gelo

a cura della Redazione

Biloslavo: in Ucraina una seconda Guerra Fredda

La crimea è stata solo il primo passo di un’onda lunga, che il presidente Vladimir Putin sembra deciso a cavalcare rispolverando anche terminologie e miti zaristi

F

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 17

Ucraina: il grande gelo

Il braccio di ferro economico rischia di far male sia a Mosca che a Washington, anche se noieuropei, inevitabilmente fra due fuochi, faremo la fine peggiore”

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201418

Ucraina: il grande gelo

L’attuale crisi ucraina sembra avere aperto una nuova stagione di contesa e tensione fra Washington e Mosca. Pensi davvero, come molti commentatori, che si tratti di una nuo-va Guerra Fredda? Oppure siamo di fronte ad una situazione del tutto nuova?

“Si tratta di una seconda Guerra fredda con

strategie, tattiche e posizioni del tutto nuove. La

Russia non è più l’ “impero del male” di sovietica

memoria e gli Stati Uniti stanno decadendo dal

loro ruolo di potenza egemone. L’Europa segue

Washington sulla strada impervia e accidentata

del muro contro muro rispetto a Mosca senza

grande convinzione soprattutto per alcuni paesi

come l’Italia. La stessa Cdu tedesca ha criticato

la linea “dura” dell’Occidente con i russi. Per non

parlare dell’avversione del mondo economico

alle sanzioni che si ripercuotono sui nostri af-

fari con Mosca. Non siamo più ai tempi degli SS

20 piazzati in Europa, ma il Cremlino è sempre

stato molto chiaro sull’espansione della Nato e

dell’Unione europea verso Est. L’Occidente ha

platealmente appoggiato una rivolta a Kiev dai

contorni non solo europeisti e democratici, ma

ultra nazionalisti e poco liberali, nel cortile di

casa del Cremlino. In pratica abbiamo svegliato

l’orso russo dal letargo, che ha reagito tirando

una prima e non ultima zampata con l’annes-

sione della Crimea. Un gioco pericoloso in uno

scenario da seconda Guerra fredda, ma senza il

collante ideologico della libertà contro l’oppres-

sione del comunismo, che ha contraddistinto lo

scontro fra Usa e Urss fino al crollo del Muro di

Berlino. Non siamo di fronte alle invasioni sti-

le Budapest o Praga, ma ad una controffensiva

russa che invia le truppe accolte da un certo

appoggio popolare come è capitato in Crimea e

potrebbe accadere in alcune zone a maggioran-

za russofona dell’Ucraina sudorientale”.

Dopo la Crimea, il conflitto fra Mosca e Kiev si è spostato nella regione, mineraria e russo-fona, del Donbas. Come pensi che evolverà la situazione? Una nuova annessione potrebbe far esplodere un conflitto più generalizzato?

Barricate nei pressi di Piazza Maidan - © Fausto Biloslavo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 19

Ucraina: il grande gelo

“I segnali di questa espansione erano evidenti fin

dal referendum per l’annessione della Crimea. Nel

Donbas una minoranza armata di filo russi ha oc-

cupato, armi in pugno, i centri nevralgici in una

decina di città. La maggioranza russofona approva

o non si oppone, anche se sembra più favorevole

ad un forte federalismo ed un’unione doganale

con la Russa piuttosto che al distacco netto dall’U-

craina. Inoltre esiste sul territorio una componente

patriottica ucraina pronta a combattere contro

le spinte separatiste. Soprattutto al di fuori del

Donbas, da Kharkiv ad Odessa, la situazione è a

chiazza di leopardo e per questo più pericolosa del-

la Crimea. Si rischia con un intervento più incisivo

dell’esercito di Kiev e la reazione dei nazionalisti

ucraini sobillati dalle ali estreme come Pravi Sektor

una vera e propria guerra civile, come in Bosnia. Se

il livello dello scontro si alzasse con un tributo di

sangue quotidiano è possibile che le truppe russe

oltrepassino il confine. I separatisti della Repub-

blica di Donetsk già inneggiano all’intervento di

Mosca nel Donbas in funzione di “peacekeeper”. A

parte le infiltrazioni di agenti russi, il Cremlino non

ha alcuna intenzione di invadere l’Ucraina, ma se

ciò accadesse, di fronte ad un bagno di sangue nel

Donbas, gli americani reagirebbero. Lo scenario più

probabile è l’invio di truppe Usa aviotrasportate a

Kiev. Seppure in termini completamente diversi,

come abbiamo spiegato, rispetto alla prima Guerra

fredda non si può escludere che si ritorni sull’orlo

di uno scontro mondiale come capitò con la crisi

dei missili a Cuba. Per ora, però, nessuno ha inten-

zione di morire per Kiev”.

Il movimento di Piazza Maidan: quali sono le sue componenti, e quali, oggi, i nuovi equili-bri di forza a Kiev?

Attivista filo Kiev in Crimea - © Fausto Biloslavo

Statua di un gerarca comunista sovietico abbattuta a Kiev nelel ore della presa del potere dei rivoluzioanri di Maidan© Fausto Biloslavo

Soldato russo davanti all’ingresso della base ucraina presidiata in Crimea - © Fausto Biloslavo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201420

Ucraina: il grande gelo

“Nei mesi della rivolta di Maidan l’estremizza-

zione dello scontro con il regime aveva lasciato

il passo ai settori più nazionalisti dominati dalla

componente “occidentale” dell’Ucraina. I gruppi

paramilitari come Pravi Sektor hanno preso il

sopravvento e di fatto deciso e realizzato la pre-

sa del potere in una notte, dopo l’inutile firma di

un accordo fra il presidente deposto Viktor Ya-

nukovich ed i leader dell’opposizione parlamen-

tare. Da notare che l’accordo era stato tenuto

a battesimo dai grandi paesi europei e da una

scettica Russia.

La liberazione di Yulia Timoshenko ha portato la

discussa eroina vezzeggiata soprattutto dai me-

dia occidentale ad occupare con i propri uomini

i posti chiavi della nuova Ucraina dal ministero

dell’Interno alla presidenza ad interim. La fase

post rivoluzionaria ha in parte ridimensionato la

grande influenza sul terreno dimostrata a Maidan

degli ultra nazionalisti. La secessione della Crimea,

al contrario, ha fatto da volano al patriottismo di

Kiev e alla mobilitazione anche militare. A parte i

ribelli filo russi che non riconoscono né il governo

di Kiev, né le elezioni presidenziali, il voto del 25

maggio segnerà per il resto dell’Ucraina i nuovi

equilibri sorti dalla rivolta e presa di potere di

Maidan. L’iniziale favorita, Timoshenko, sta per-

dendo punti rispetto all’oligarca anti russo della

cioccolata Petro Poroshenko. Il leader del partito

nazionalista Svoboda, Oleh Tyahnybok, grazie alle

minacce separatiste dell’Est potrebbe ottenere un

buon risultato nella corsa alle presidenziali”.

La forte rivendicazione dell’unità del popolo russo che viene, oggi, da Mosca, potrebbe, nel tempo, causare tensioni con altre Repubbliche ex-sovietiche fino ad ora vicine al Cremlino?

Milizia filo russa Samobarona comandata da un veterano dell’Afghanistan (in mimetica) dvanti al ministero dell’Interno a Simferopoli capitale della Crimea - © Fausto Biloslavo

Volontari cetnici a Sebastopoli - © Fausto Biloslavo

Giovani filo russi a Donetsk con la bandiera della Repubblica di Donbas - © Fausto Biloslavo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 21

Ucraina: il grande gelo

“La Crimea è stata solo il primo passo di un’on-

da lunga, che il presidente Vladimir Putin sembra

deciso a cavalcare rispolverando anche termino-

logie e miti zaristi. Il 17 aprile, per la prima volta,

il capo del Cremlino ha rispolverato in diretta tv

la “Novorossija” parlando dei fermenti filo russi

nell’Ucraina orientale. La Nuova Russia è un va-

sto territorio a nord del Mar Nero, da Odessa a

Donetsk, che Caterina la grande colonizzò nel

diciottesimo secolo dopo una lunga lotta con gli

ottomani. In gran parte in questa fetta di Ucraina

vivono 8 milioni di russi.

Aleksander Dughin, ideologo degli euroasiatici,

ascoltato nei circoli del potere moscovita aveva

già preparato un piano in dieci punti battezzato

“la primavera russa”. Alla Crimea seguirà “la guer-

ra civile (nel’Est dell’Ucraina NdA). Mosca aiuterà

i russofoni, mentre l’Occidente appoggerà Kiev”.

Poi “la Russia invierà le truppe nell’Ucraina orien-

tale e inizierà la liberazione della Nuova Russia”

secondo Dughin.

A parte questo fosco scenario lo “zar” Putin per

contenere l’espansione della Nato e dell’Unione

europea verso Est mira a proteggere ed inglobare

territori dimenticati o sepolti dalla storia dove vi-

vono milioni di russofoni. La dimenticata Transni-

stria, una fetta di terra secessionista della Molda-

via, dove vivono 200mila russi è la cerniera con il

sud est dell’Ucraina. Dopo la Crimea le autorità del

paese che nessuno riconosce, ma presidiato da un

contingente di truppe di “pace” del Cremlino, han-

no chiesto l’unificazione alla Russia. La tenaglia del

Cremlino prosegue in Bielorussia con 785mila rus-

sofoni e arriva fino ai paesi Baltici. I russi rappre-

sentano il 26,2% della popolazione in Lettonia ed

il 24,6% dell’Estonia. In Lettonia, dal crollo dell’Urss

sono senza cittadinanza, di fatto, perché si rifiu-

tano di fare l’esame della lingua nazionale. Non a

caso il 21 aprile Putin ha semplificato la procedura

per la cittadinanza a favore dei russofoni che vivo-

no negli ex territori dell’Urss. Solo nel lontano Ka-

zakhstan sono il 23% della popolazione. E pure le

Manifesto per il referendum sull’indipendenza della Crimea - © Fausto Biloslavo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201422

Ucraina: il grande gelo

regioni georgiane separatiste dell’Ossezia del sud,

che vuole riunificarsi con il Nord e dell’Abkhazia

sognano di cavalcare l’onda della Crimea”.

La vicenda ucraina come inciderà sul futuro della nascente Unione Economica Euroasiati-ca? Ne accelererà o rallenterà il processo di aggregazione?

“L’errore madornale è respingere o contrapporre

la Russia rispetto all’Europa. Inevitabilmente Mo-

sca cercherà di rafforzare la sua posizione euroa-

siatica puntando ad accentuare l’aggregazione. Il

declino degli Stati Uniti in Asia, che affronta con

difficoltà il gigante cinese ribadendo l’alleanza

con il Giappone, favorirà l’effetto catalizzatore di

Mosca. Anche in questo scenario non si tratta di

una riedizione dell’Unione Sovietica, ma piutto-

sto di una riedizione moderna del pensiero zarista

della grande Russia. Una strategia “imperiale” da

un parte tesa a raggruppare tutte le comunità

russe disperse e dall’altra a garantire una valida

alternativa al declino dell’egemonia americana”.

Infine, brutalmente, chi vince e chi perde, ov-vero chi ci guadagna e chi no da questa crisi? E si allude tanto a soggetti politici quanto ad interessi finanziari.

“A breve termine perde l’Ucraina, che si è scrollata

da dosso un regime decotto pagando un prezzo

molto alto. Non solo la secessione della Crimea,

ma la spinte separatiste all’Est rischiano di spez-

zare in due il paese. La parte occidentale che ruo-

ta nell’orbita europea e americana e quella orien-

tale in mano ai russi. Per non parlare del collasso

economico del paese con Mosca che chiude i

rubinetti del gas chiedendo semplicemente la

riscossione dei crediti e rialzando il prezzo “po-

litico” delle forniture che aveva garantito a fasi

alterne fino ad oggi.

Subito dopo i diretti interessati, l’Europa è la pri-

ma a perderci pesantemente. Sul piano interna-

zionale non siamo stati capaci di fermare e nep-

pure gestire la crisi passata completamente nelle

mani di Washington. L’impressione è che siamo

sempre a rimorchio dello zio Sam. Ed alcuni pa-

esi come i Baltici, la Polonia e nazioni del nord

Europa consapevolmente o meno hanno tirato

la volata agli Usa. Grandi vecchi come George

Soros hanno giocato un ruolo fondamentale per

Washington dalla Serbia alla Georgia, alla pre-

cedente rivoluzione arancione in Ucraina fino a

Maidan con uomini e mezzi mascherati da Ong.

Si è giocato con il fuoco e ci siamo scottati senza

neppure immaginare fino a dove potrebbe arriva-

re la reazione di Mosca.

Le sanzioni hanno un effetto boomerang sulle

nostre imprese che lavorano sul mercato russo in

un momento di crisi economica che appesantisce

l’Eurozona. Non stiamo parlando dell’embargo

alla piccola Siria, ma di una “guerra” economi-

ca con una superpotenza dalla quale rischiamo

di uscire con le ossa più rotte dei russi. Gli stessi

americani dovrebbero fare meglio i loro calcoli.

Mosca ha annunciato rappresaglie sullo stesso

piano. Il braccio di ferro economico rischia di far

male sia a Mosca che a Washington, anche se noi

europei, inevitabilmente fra due fuochi, faremo la

fine peggiore”.

Fausto Biloslavowww.gliocchidellaguerra.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 23

Ucraina: il grande gelo

a cura della Redazione

Gli Occhi della Guerra.

Il sistema del crowdfunding: la nuova frontiera del reportage

e orbite rossastre di un bambino

soldato che ha già visto troppo, lo

sguardo terrorizzato di un prigionie-

ro che attende il plotone di esecuzione, l’ulti-

mo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito

sono gli occhi della guerra incrociati in tanti

reportage.

Gli occhi della guerra siamo anche noi giorna-

listi e abbiamo scelto questo nome per lanciare

un’idea ambiziosa, innovativa, web oriented con

il sito de Il Giornale, lo storico quotidiano fondato

da Montanelli. “Scegli il tuo reportage” attraver-

so “gli occhi della guerra” è un nuovo modo di

fare giornalismo, che vive e si sviluppa grazie al

crowdfunding. I lettori sostengono un reportage

con dei contributi volontari ed individuali. Prima

Comunicazione ha scritto: “Chi pensa che la pra-

tica del crowdfunding giornalistico, ovvero il fi-

nanziamento on line di piccole somme per realiz-

zare un reportage o un’inchiesta, sia prerogativa

esclusiva della sinistra liberal americana è servito:

la prima testata italiana, a importare il “metodo”

L

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201424

Ucraina: il grande gelo

all’americana Propublica, vincitrice di un Pulitzer,

è nientemeno che ilgiornale.it”

Il denaro raccolto serve esclusivamente a coprire i

costi del reportage ed i rendiconti delle spese sono

trasparenti. Grazie al sostegno dei lettori Fausto

Biloslavo ha raccontato l’Ucraina dalla rivolta di

piazza Maidan alla secessione della Crimea. Gian

Micalessin ha realizzato un reportage nella Libia

piombata nell’anarchia che rischia di sfaldarsi, da

dove continuano a partire dirette verso le nostre

coste ondate umane alla ricerca dell’effimero El-

dorado occidentale. Barbara Schiavulli ha raccol-

to il budget necessario per andare a scoprire il

cuore del radicalismo islamico in Europa.

L’idea fortemente sostenuta da Andrea Pontini,

amministratore delegato del sito de Il Giornale,

punta a coinvolgere think tank, associazioni, ong

per ampliare il più possibile il sostegno alterna-

tivo agli editori classici del giornalismo, delle in-

chieste e delle analisi di qualità.

Il Nodo di Gordio è il primo think tank che ha

deciso di sostenere i nostri reportage per trasfor-

marli in approfondimenti su aree di crisi o temi

non solo di guerra, che ci riguardano da vicino.

Un servizio di qualità, fuori dal coro e senza pa-

raocchi, che racconti il presente per individuare

il futuro. Un’idea, come sostiene Toni Capuozzo,

“per chi non si accontenta dell’informazione co-

pia-incolla, delle opinioni rimasticate a tavolino,

dei pregiudizi espressi da lontano. Un pezzetto di

onestà, di realtà, di lealtà. A tu per tu con i lettori”.

Ed i sostenitori del Nodo di Gordio.

partecipaalla raccolta fondi,

basta un click!

www.il giornale.it

www.gliocchidellaguerra.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 25

Ucraina: il grande gelo

l Nagorno Karabakh, porzione di

territorio dell’area caucasica, dalla

natura incontaminata e con una ricca

eredità culturale, sta risentendo attualmente,

più di altri paesi euroasiatici, del recente

confronto tra la Russia e l’Occidente derivante

dall’annessione della Crimea.

Una situazione questa che rischia di vanificare i

tanti sforzi fatti, a livello internazionale, volti a

porre termine all’irrisolto conflitto tra l’Armenia

e l’Azerbaijan.

La crisi ucraina rappresenta, infatti, un probabile

ritorno alla “Guerra Fredda” tra i due blocchi e

forse anche la fine del noto “Gruppo di Minsk”;

gruppo questo che, impegnato per la risoluzione

del conflitto in Nagorno Karabakh, vede al suo

interno la presenza di Stati coinvolti anche nella

crisi ucraina, ovvero: Stati Uniti, Francia e Russia.

Naturalmente, per comprendere meglio la

situazione nella regione, bisogna andare indietro

nel tempo quando nel 1920 Stalin decise di

di Elvio Rotondo

Nargorno Karabakh e crisi ucraina

I

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201426

Ucraina: il grande gelo

assegnare la regione alla Repubblica Sovietica

dell’ Azerbaijan. Tuttavia, l’ostilità latente tra i

due gruppi etnici principali: azeri e armeni sfociò

solo nel 1988 con una serie di atti di violenza e

di pulizia etnica compiuti da entrambe le parti.

Con il crollo dell’URSS, sull’onda emotiva dei

nazionalismi e degli indipendentismi, si arrivò

a una vera e propria guerra tra l’Azerbaijan e

l’Armenia. Un conflitto, però, che trovò il proprio

casus belli in seguito al voto del parlamento del

Nagorno Karabakh che, facendo leva sulla legge

dell’URSS allora vigente, dichiarò la nascita della

Repubblica del Nagorno Karabakh. La guerra durò

dal 1992 fino al 1994, anno in cui fu firmato il

cessate il fuoco e nel quale i militari armeni

controllavano di fatto il Nagorno Karabakh e

alcuni distretti adiacenti. Il bilancio del conflitto

fu di 30 mila vittime e un milione di profughi per

la maggior parte azeri (la popolazione azera, circa il 25% prima del conflitto, scappò dal Karabakh e

dall’Armenia, mentre gli abitanti di etnia armena

fuggirono dall’Azerbaijan). Successivamente,

fu creato il “Gruppo di Minsk”, una struttura

di lavoro composta da dodici nazioni e co-

presieduta, come già detto, da Francia, Russia e

Stati Uniti, con lo scopo di risolvere il conflitto.

La situazione, tuttavia, è rimasta ancora immutata

dal 1994, nonostante le quattro Risoluzioni del

Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (n° 822,

853, 874 e 884 emanate tutte nel 1993 mentre

il conflitto era in corso). Risoluzioni queste che

imponevano il ritiro delle forze armene da sei

distretti occupati (Kelbajar, Agdam, Fizuli, Jabrayl,

Qubladi e Zangilan) ma che furono ripetutamente

ignorate.

Secondo Adam EBERHARDT, del Center for Eastern

Studies (Polonia), negli ultimi anni l’Azerbaijan è

stato in grado di acquistare nuove armi grazie alle

sue entrate dovute al petrolio e al gas. La sua im-

portanza strategica è in crescita con importanti re-

lazioni economico-diplomatiche con Russia, UE e

Turchia. Nel 2012 il bilancio militare di Baku è sta-

Caccia Bombardiere MIG 29 Fulcrum

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 27

Ucraina: il grande gelo

to di 3 miliardi di dollari, rispetto ai 130 milioni di

dollari del 2003, un bilancio nettamente superio-

re a quello dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh

messi assieme. Attualmente Israele è il principale

fornitore militare dell’Azerbaijan.

Il Governo Azero, inoltre, gode anche dell’im-

portante sostegno economico e politico turco,

infatti, nell’Agosto 2010, l’Azerbaijan e la Turchia

hanno concluso una partnership strategica per

una cooperazione economica e militare.

Diversamente, l’Armenia si basa solo sul sostegno

della Russia che, oltre a fornire equipaggiamento

con armi moderne, tra le quali missili balistici Iskan-

der-M, 16 MiG-29 e prossimamente anche 18 nuovi

elicotteri d’attacco, probabilmente MI-24P, ha di-

spiegato nel paese tra i 4.000 e i 5.000 propri soldati.

Principalmente i russi sono concentrati

nel distretto militare di Gyumri con alcuni

reggimenti di fanteria, d’artiglieria e con un

reggimento missilistico contraereo. Inoltre,

secondo il Colonnello Gorbul, portavoce russo

del servizio stampa del Distretto Militare del Sud,

“Un lotto di caccia multiruolo MiG-29 è stato

introdotto in servizio presso la 3264ª base aerea

russa a Erebuni”. Tuttavia, il colonnello non ha

specificato il numero esatto di velivoli. Pertanto,

considerando che in passato la base ha ospitato

una squadriglia composta da 16 MiG-29 russi, è

molto probabile che il numero non si discosti da

queste cifre1.

La presenza di basi militari russe in Armenia è

regolata da un trattato bilaterale firmato il 16

marzo 1995. Nel 2010, durante la visita dell’allora

presidente russo Dmitry Medvedev a Yerevan,

l’accordo sarebbe stato prorogato per altri

quarantanove anni e prevedrebbe la protezione

armata di tutti i confini dell’Armenia, tra cui

quello con l’Azerbaijan.

1. Maurizio Sparacino, Rafforzata la presenza russa in Armenia, Analisi Difesa, 1 aprile 2014.

Elicottero MI 24 P

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201428

Ucraina: il grande gelo

Tracey GERMAN, del King’s College London, re-

centemente in un workshop ha descritto come

Yerevan abbia relazioni relativamente buone con

l’Iran oltre che membro dell’Organizzazione del

Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO)2. La CSTO è

una Organizzazione Internazionale guidata dalla

Russia il cui fine è quello di garantire il supporto

militare reciproco nel caso in cui uno Stato mem-

bro venisse attaccato.

Le partnership strategiche armene e azere con

parti terze complica, di conseguenza, questo

conflitto ancora non risolto.

Tuttavia, oggigiorno, un attacco azero all’Arme-

nia appare improbabile. Se scoppiasse una guer-

ra, infatti, gli azeri la limiterebbero probabilmente

alla sola regione del Nagorno Karabakh. Guerra

che, però, metterebbe nel contempo in pericolo

le infrastrutture energetiche situate nel Caucaso

meridionale vitali per il Governo di Baku.

L’oleodotto Baku - Tbilisi – Ceyhan, difatti, cor-

re vicino al Nagorno Karabakh e potrebbe essere

interrotto in caso di guerra. Inoltre, la recente

guerra russo-georgiana, dell’agosto 2008, ha già

evidenziato le gravi conseguenze economiche

relative un conflitto militare nella regione cauca-

sica. Tanto è vero che i danni materiali in Geor-

gia furono stimati in circa un miliardo di dollari,

escludendo la perdita della fiducia degli investi-

tori stranieri.

Pertanto, gli sviluppi nell’ambito della mediazio-

ne tra i due Stati potrebbero essere stati indivi-

duati nel 2009 nei cosiddetti “Principi di Madrid”.

Principi in buona parte accettati dai due bellige-

ranti ancora però divisi sulle modalità e sui tempi

di implementazione.

2. Alla CSTO partecipano: Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizi-stan, Tagikistan Uzbekistan e Armenia.

Missili Iskander

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 29

Ucraina: il grande gelo

I punti prevedevano:

1. Ritorno dei territori che circondano il Nagorno

Karabakh al controllo azero;

2. Stato interinale del Nagorno Karabakh, con ga-

ranzie per la sua sicurezza e il suo autogoverno;

3. Un corridoio che colleghi l’Armenia al Nagorno

Karabakh;

4. Un referendum in cui le popolazioni del Na-

gorno Karabakh possano esprimere liberamente

la propria volontà;

5. Il diritto di tutti gli sfollati interni e dei rifugiati

di tornare alle loro precedenti residenze;

6. Garanzie di sicurezza

internazionali che com-

prendano un’operazio-

ne di mantenimento

della pace.

Tuttavia, dopo qua-

si due decenni dalla

firma del cessate il

fuoco, le tensioni non

si sono ancora placate

tra le due etnie. Tanto è vero che una guerra di

cecchini si continua a svolgere lungo la linea di

contatto con vittime da entrambi le parti e reci-

proche accuse di violazioni del cessate il fuoco.

Violazioni molto difficili da verificare da parte di

terzi a causa della mancanza di accesso alla zona

di conflitto.

Nel Novembre 2013, il presidente armeno Serzh

Sargsyan e il presidente azero Ilham Aliyev si

sono incontrati a Vienna per la prima volta in

quasi due anni. Entrambi i leaders hanno dato

giudizi piuttosto positivi sui colloqui intercorsi

e si sono impegnati a incontrarsi di nuovo

all’inizio di quest’anno, ma a causa di improvvise

violazioni del cessate il fuoco nella zona di

conflitto e le conseguenti recriminazioni da parte

dei belligeranti, l’incontro è stato rimandato a

tempo indeterminato.

Nel frattempo la crisi ucraina, la fuga del

Presidente Yanukovich, il referendum sulla

Crimea e la sua conseguente annessione da parte

della Russia, non hanno mancato di contribuire a

rendere più incerta la soluzione del conflitto nel

Nagorno Karabakh.

Tanto è vero che, da parte armena, è stato

evidenziato che, a seguito dell’annessione della

Crimea, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, con le

imposizioni di sanzioni

contro la Russia e di

misure punitive nei

confronti di Mosca,

hanno anche messo

in discussione il lavoro

del “Gruppo di Minsk”

per la soluzione del

conflitto nel Nagorno

Karabakh. “I tempi

della Guerra Fredda stanno tornando e sarà

più difficile per loro mediare una soluzione”,

ha commentato Hakobian, Senior Analyst per

la Fondazione Civilitas, che ha scritto molto sul

conflitto nel Karabakh.

Inoltre, la rivista armena, “ePress”, ha riportato

che il Presidente armeno Serzh Sargsyan ha

telefonato al presidente russo Vladimir Putin il

19 Marzo per discutere dell’adesione armena

all’Unione Doganale. Durante il colloquio,

Sargsyan avrebbe affermato che la secessione

della Crimea costituisce “un altro caso di esercizio

del diritto all’autodeterminazione dei popoli

attraverso la libera espressione della volontà”.

Infine, in un intervista del 12 Marzo con 1News.az,

Nel frattempo la crisi ucraina, la fuga del Presidente Yanukovich, il referen-

dum sulla Crimea e la sua conseguente annessione da parte della Russia, non hanno mancato di contribuire a rende-re più incerta la soluzione del conflitto

nel Nagorno Karabakh

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201430

Ucraina: il grande gelo

il parlamentare indipendente Rasim Musabekov,

analista politico, le cui opinioni spesso coincidono

con quelle del governo azero, ha sostenuto che

la battaglia dell’Occidente contro la Russia sulla

Crimea, porterà a far diminuire, a breve termine,

l’interesse degli Stati Uniti e dell’Europa sul

conflitto del Karabakh. “Non mi aspetto che, a

seguito dell’evento Crimea, le potenze occidentali

insistano sull’integrità territoriale dell’Azerbaijan

più di prima”, ha detto Musabekov, “infatti, tale

azione non si è verificata neanche dopo la guerra

della Georgia con la Russia per l'Ossezia del Sud

nel 2008”.

Tuttavia, la crisi Ucraina potrebbe accrescere il

ruolo di Baku in alternativa alla Russia, sia per

le forniture energetiche verso l'Unione Europea

sia come canale per la NATO verso l’Afghanistan.

Diversamente, l’analista Vafa Guluzade, ex

braccio destro di politica estera dell’ultimo

presidente azero Heydar Aliyev, ritiene che, nel

complesso, la situazione di stallo potrebbe avere

un effetto positivo sia sulla regione del Caucaso

meridionale che nel processo di pace nel Nagorno

Karabakh. "Prima di tutto, non vi è alcun rischio

di guerra nel Karabakh a breve termine”, ha detto

Guluzade. Inoltre, ha previsto, che gli Stati Uniti

e la Francia intensificheranno i loro sforzi per

risolvere il conflitto in modo da ridurre il ruolo

della Russia e la sua influenza nella regione.

Tra gli azeri, però, l'insistenza dell’Armenia sulla

tenuta di un referendum nel Nagorno Karabakh

è visto come un grande problema a meno che, le

migliaia di azeri, costretti a fuggire dal Karabakh

durante il periodo 1988-1994 non vengano messi

in condizione di tornare a casa e prendervi parte.

Attualmente, nonostante l’incontro di Mosca del

4 aprile 2014, dove i co-presidenti del “Gruppo

di Minsk” hanno ribadito ai Ministri degli Esteri

dell’Armenia e dell’Azerbaijan il loro impegno

a lavorare per una soluzione giusta e pacifica

del conflitto del Nagorno Karabakh, allo stato

dei fatti, con il crescente raffreddamento dei

rapporti tra Russia e Occidente, sembra davvero

improbabile che il “Gruppo di Minsk” sia in grado

di portare avanti il negoziato in modo efficace.

Pertanto, allo stato attuale, lavorare per

impedire un’escalation di un conflitto sarebbe

già considerato un buon risultato, anche in

considerazione del fatto che un ipotetico scenario

di guerra, coinvolgente altri paesi, potrebbe

davvero apparire ben peggiore rispetto a quello

passato.

Elvio RotondoCountry Analyst

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 31

Ucraina: il grande gelo

li avvenimenti di questi ultimi giorni

di aprile, evidenziano che la mano-

vra di Putin, dopo la Crimea, è ora

diretta a cercare di inglobare nella Federazione

Russa anche le regioni orientali e i territori del

sud dell’Ucraina. Sembra un ulteriore passo nella

strategia del Cremlino, volta allo smembramento

dell’Ucraina, come denunciato negli ultimi giorni

dal premier di Kiev Arseny Yatsenyuk.

Nella città di Donetsk centinaia di persone hanno

occupato con l’uso della forza diversi edifici pub-

blici, tentando di impadronirsi anche della sede

della televisione di stato. Un fantomatico Consi-

glio popolare ha inoltre proclamato la nascita di

una Repubblica popolare di Donetsk, indicendo

un referendum di annessione alla Russia entro

l’11 maggio.

La Crimea è stata la prima pedina mossa da Pu-

tin nel suo progetto di creare una Grande Rus-

sia. Il sogno di riunire sotto un’unica bandiera i

territori dove vive una popolazione in prevalenza

di Antonciro Cozzi

Cosa succedein Ucraina?

G

La Russia sta cercando di recuperare uno status di grande potenza, e in quest’ottica una positiva risoluzione della questione ucraina, risulterebbe importante per lo stesso Putin

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201432

Ucraina: il grande gelo

russofona. Sono ormai diventati familiari i nomi

di Transnitria, territorio secessionista della Mol-

dova, ove vivono circa 200.00 russi, l’Ossezia del

sud, regione separatista della Georgia che vuole

riunificarsi con quella del nord e l’Abkhazia, altra

area della Georgia con velleità separatiste, que-

ste ultime due riconosciute da Mosca come en-

tità indipendenti dopo il conflitto del 2008. Ma il

vento della ribellione potrebbe estendersi anche

alla Bielorussia, alla Lettonia e la Lituania, ove è

presente una consistente minoranza russa.

La Russia sta cercando di recuperare uno status

di grande potenza, e in quest’ottica una positiva

risoluzione della questione Ucraina, risulterebbe

importante per lo stesso Putin, accrescendo il

suo prestigio dinanzi alle difficoltà economiche

e i problemi di gestione politica interna che af-

fliggono da tempo la Federazione Russa. L’an-

nessione della Crimea, probabilmente, non è il

Foto di: Frontierenews.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 33

Ucraina: il grande gelo

principale obiettivo strategico, poiché la Russia

disponeva in quel territorio, da anni, della base

navale di Sebastopoli. La regione è più importan-

te dal punto di vista turistico che economico, ma

è un simbolo primario per il nazionalismo russo.

Ben più eclatante, per l’economia, il ruolo delle

regioni orientali e meridionali dell’Ucraina, sedi

di imponenti infrastrutture industriali, verso le

quali si stanno ora rivolgendo gli interessi di Mo-

sca. Forse il vero fine potrebbe essere coinvolgere

l’Ucraina nel progetto Euroasiatico, affiancandola

alla Bielorussia e al Kazakhistan. Una risposta al

tentativo di allargamento a est dell’Unione Eu-

ropea, con l’Accordo

di Associazione pro-

posto ma non firmato

il 29 novembre 2013.

Ma anche la voglia

di riscatto della Rus-

sia, per controbattere i successi degli ultimi anni

conseguiti da Usa e NATO: i progetti antimissile,

il coinvolgimento nel Patto Atlantico di numerosi

Stati ex-sovietici, l’indipendenza del Kosovo e il

sostegno assicurato alla Georgia.

Tre sono le fasi salienti della crisi ucraina; la pro-

testa di Euromaidan, la politica di Putin e la posi-

zione degli Usa e dell’Unione Europea.

Risalgono al novembre 2013 le prime fasi delle

manifestazioni di Euromaidan, nate come prote-

sta al rifiuto della proposta di accordo con l’UE

da parte di Yanukovich, e progressivamente tra-

sformatesi in contestazione del governo in cari-

ca, autoritario e filorusso. La violenta repressione

della polizia ha radicalizzato il vento di protesta,

conducendo agli scontri del 18-20 febbraio con

numerose vittime, soprattutto tra i dimostranti,

e alla fuga dello stesso Yanukovich, abbandonato

da gran parte dei parlamentari inizialmente filo-

governativi, e sostituito da un governo provviso-

rio. Le accuse di fascismo, nazionalismo, razzismo

e antisemitismo, rivolte ai manifestanti e alle or-

ganizzazioni scese al loro fianco, sono state un

fine strumento propagandistico dei gruppi filo-

russi, per screditarne lo spirito dei loro obiettivi,

mentre le istituzioni dell’UE, e la stessa ONU, han-

no mostrato il loro cronico immobilismo nell’af-

frontare questioni di rilevanza internazionale.

Mosca ha sfruttato le divisioni e gli errori del go-

verno provvisorio, appoggiando i gruppi filo-russi

nel conquistare il potere in Crimea, indicendo un

referendum di annes-

sione alla Federazione

Russa, non ricono-

scendo, nel frattempo,

le nuove autorità di

Kiev, ritenendole non

elette democraticamente. Ha inoltre sostenuto le

proposte di riforma federale dell’Ucraina, avan-

zate sin dal dicembre precedente dal governo

Yanukovich, con lo scopo di evitare il pericolo di

divisione del paese e ridurre il potere di Kiev.

La posizione dei paesi occidentali è limitata a

mantenere lo status quo dell’Ucraina: uno stato

indipendente dove si intreccino gli interessi della

Russia (in prevalenza) e di Europa e Usa, senza

sbilanciamenti a favore di una delle due parti.

Restano però da analizzare le ambizioni imperia-

listiche che Mosca vuole continuare a preservare

in questa estrema propaggine dell’Europa.

Molti tra i russi della vecchia generazione hanno

vissuto con forte rammarico la caduta del vecchio

regime comunista ma, allo stesso tempo, sono per-

fettamente consapevoli che la riproposizione dello

stesso sistema ideologico e politico, ormai crollato,

Kiev é la vera madre Russiaessendo lo stato russo nato

dal leggendario Russ di Kiev

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201434

Ucraina: il grande gelo

è improponibile: per motivi geopolitici, ma soprat-

tutto per la debole struttura economica legata alla

cronica arretratezza delle ex repubbliche sovieti-

che, in particolar modo quelle centro-asiatiche.

All’Ucraina è riservato nell’immaginario russo un

posto particolare, totalmente diverso da tutte

le altre repubbliche. Kiev infatti, è la vera prima

“madre” Russia, essendo lo stato russo nato pro-

prio da questa città, capitale del leggendario RUS

di Kiev. I risvolti nazionalistici risultano quindi

fondamentali soprattutto nella strategia di Putin

fortemente radicata sulla supremazia e superiori-

tà russa. E’ infatti questa la leva che il presiden-

te russo sfrutta per la stabilità della sua politica

interna che deve fare fronte alla crisi economica

galoppante che attanaglia il paese. Inoltre metà

della popolazione ucraina è russofona si ritiene

infatti che appartengano entrambi allo stesso

ceppo linguistico.

La Russia è stata tra i primi stati a riconoscere

l’indipendenza di Kiev ed è interessata a mante-

nere con questa un rapporto stretto. L’influenza

sempre maggiore e il coinvolgimento in organiz-

zazioni filo-occidentali è visto, infatti, come una

ingerenza eccessiva e indesiderata da parte di

Mosca, impaurita da un allentamento dei legami

e un possibile affievolimento della sua influen-

za sul paese. Il timore di un indebolimento della

egemonia geopolitica della Federazione Russa

in questa strategica area potrebbe significare lo

schieramento dei missili Nato al confine delle

regioni di Kaluga, Belgorod e Rostov. Il compor-

tamento spesso non convenzionale dei paesi oc-

cidentali, e degli americani in particolare, in poli-

tica estera, non rassicura i russi, che considerano

l’Ucraina come il loro Rubicone.

Che il presidente Yanukovich fosse filo russo è più

un mito che una certezza: basti pensare che le

intere campagne elettorali del 2004 e del 2010

sono state organizzate da un gruppo di esperti

americani guidati da Paul Manafort direttamente

dall’ambasciata americana di Kiev.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 35

Ucraina: il grande gelo

Il suo ripensamento sull’accordo di associazione

all’UE è stato indotto da pressioni dello stesso Pu-

tin, con un ricatto in pieno clima da guerra fred-

da, sotto forma di prestiti e di sconti sul prezzo

del gas. Questo ipotetico accordo tra i due pre-

sidenti sarebbe stato raggiunto perché lo stesso

presidente ucraino avrebbe illustrato le difficoltà

economiche cui sarebbe incorso il suo paese dopo

la firma di adesione all’UE, come la chiusura delle

frontiere con la Russia, con la conseguente crisi e

il fallimento di tantissime aziende locali incapaci

di reggere la concorrenza delle imprese europee.

Per capire i veri obiettivi della Russia nella vicen-

da ucraina, bisogna necessariamente inquadrare

il problema della Crimea. La chiave di volta è il ri-

conoscimento del referendum di annessione della

regione alla Federazione Russa. Le posizioni dei

russi e degli occidentali sono ovviamente total-

mente divergenti. I primi continuano a non rico-

noscere l’indipendenza del Kosovo, una situazione

politica che però hanno abilmente sfruttato per

ratificare sia quella dell’Ossezia che dell’Abkhazia.

Lo stesso riconoscimento russo dell’ annessione

della Crimea non è stato avallato da tutti gli sta-

ti, comprese anche le repubbliche ex sovietiche.

Ma in risposta alle proteste per l’annessione della

Crimea, Putin si avvale del precedente creato pro-

prio dagli occidentali nel Kosovo, accusandoli di

usare due pesi e due misure.

La questione Ucraina si inserisce in uno scenario

che spazia dal futuro dell’UE e dei suoi rappor-

ti con la Russia, sino alla strategia americana e

la creazione di una nuova “Cortina di ferro”, un

anello che congiungerebbe l’Ucraina alla Polonia

e alle Repubbliche baltiche.

La politica statunitense si è ormai da tempo fo-

calizzata sul sistematico indebolimento sulla sce-

na internazionale dell’UE su vari piani, da quello

economico a quello politico. Il dislocamento di

componenti missilistici utili alla creazione dello

scudo di difesa e l’espansione dell’UE ad est che

ha inglobato paesi ed aree politicamente molto

Foto di: dailystorm.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201436

Ucraina: il grande gelo

depresse fanno ampiamente parte di questa po-

litica. Si può certamente dire che nella situazione

ucraina il diritto internazionale sia stato forte-

mente piegato e modellato secondo quelle che

erano le esigenze delle parti e si sia spesso sfociati

nell’utilizzo della forza in palese contraddizione

con suoi principi base. Questo allentamento delle

norme basilari rappresenta un precedente perico-

loso che può scatenare un conflitto difficilmente

controllabile.

La recente affermazione del Presidente america-

no Obama, secondo cui “la Russia è isolata dal

mondo”, e quella del Ministro degli Esteri france-

se Fabius, che ha anticipato l’esclusione di Mosca

dal G8, dimostrano che sono molti gli interessi

in gioco.

La scelta di Vilnius, come sede ove firmare l’Ac-

cordo di Associazione con l’UE, non realizzata,

rivestiva un grande valore simbolico: in passato

l’Ucraina faceva parte del Granducato di Lituania

ed in seguito della Confederazione polacco litua-

na. Una realtà che molti vorrebbero restaurare

per confinare definitivamente la Russia.

La nuova fase di allargamento, a nord ed est,

dell’Unione Europea, ha incontrato nell’Ucrai-

na un ostacolo capace di destabilizzare l’Europa

stessa, ormai divenuta un’entità complessa e di-

somogenea. La politica di rigore volta alla stabi-

lizzazione e alla riduzione dei debiti pubblici, ha

creato nel sud del continente un complesso di Pa-

esi indeboliti ed in profonda crisi sia politica che

economica. Ad est invece si è delineato un fronte

di Stati che temono l’espansionismo russo, in par-

ticolare la Polonia, che ritiene, ancora una volta,

di ritrovarsi terra di mezzo tra Russia e Germania.

Infatti l’espansione economica della Germania è

legata al consolidamento di rapporti economici

sempre più stretti con la Russia. L’ostacolo Ucrai-

na, con il pericolo di una frattura tra UE e Mosca,

costituirebbe un risvolto estremamente negativo

per la Cancelliera Merkel. Peraltro la stessa Fran-

cia non ha interesse ad agevolare l’espansione

dell’economia tedesca in Russia.

Nel frattempo, pur proclamando, il leader di

Mosca, il suo sostegno al diritto dell’Ucraina a

mantenere la sua unità nazionale, i recenti atti

di forza dei gruppi filo-russi a Donetsk e Kharkiv,

dovrebbero indurre gli Stati occidentali a con-

centrare i propri sforzi nel prevenire ulteriori ed

irreversibili smembramenti del territorio ucraino.

Lo scetticismo con cui sono state accolte le parole

di Putin, è stata l’occasione per proporre di invia-

re osservatori internazionali nelle città dell’Ucrai-

na orientale e meridionale. Dinanzi alla impossi-

bilità ad agire del Consiglio di Sicurezza dell’ONU,

bloccato dal veto russo, e all’immobilismo delle

diplomazie europea e americana, è stata l’OSCE a

raggiungere l’accordo per inviare una missione di

osservatori in Ucraina, con il compito di cercare di

ristabilire condizioni di stabilità e sicurezza. Il 21

marzo i primi osservatori sono giunti nel Paese,

nello spirito di una formula accettabile per l’U-

craina: “access throughout Ukraine”.

Tra la fine di marzo e la prima metà di aprile, si

susseguono una serie di avvenimenti che, se da

una parte sono espressione di una crescente ten-

sione tra le due fazioni, dall’altra rappresentano

il tentativo di trovare una pacifica via di uscita

dalla crisi.

Il 27 marzo l’Assemblea generale dell’ONU appro-

va una risoluzione che definisce illegale l’adesio-

ne della Crimea alla Federazione Russa. Nei giorni

successivi, il 1° aprile, la Nato sospende la coope-

razione militare e civile con la Russia.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 37

Ucraina: il grande gelo

Dopo le manifestazioni dei gruppi filo-russi, che

hanno occupato sedi governative a Lugansk,

Kharkhiv e soprattutto Donetsk, roccaforte in-

dustriale del paese, il primo ministro ucraino

Yatsenyuk, ha proposto alle regioni orientali

un’ampia autonomia amministrativa. Un gesto

forse tardivo, con cui il primo ministro ha cer-

cato di dimostrare che il governo centrale non è

rappresentativo delle sole regioni dell’ovest, ove

si è formato il pensiero nazionalista guida della

rivoluzione e da dove proviene la maggior parte

degli attivisti che hanno partecipato alla rivolta

contro Yanukovich.

In risposta al rifiuto di sospendere l’occupazio-

ne dei governatorati, il 15 aprile Kiev ha lanciato

un’offensiva antiterrorismo nelle regioni dell’est,

inviando mezzi militari e soldati. Scontri armati si

sono verificati con diverse vittime tra i filo-russi,

generando l’impressione che sia Kiev sia Mosca

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201438

Ucraina: il grande gelo

hanno alzato la posta in gioco proprio alla vigilia

dei negoziati di Ginevra.

Giovedì 17 aprile, a Ginevra, è stato raggiunto

un accordo tra Russia, Usa, Unione Europea e

Ucraina. Il ministro degli Esteri russo Lavrov, ha

confermato che l’intesa prevede “lo scioglimento

dei gruppi armati illegali in tutte le regioni ucrai-

ne, la riconsegna degli edifici governativi occu-

pati, lo sgombero di strade e piazze presidiate e

un’amnistia per tutti i manifestanti, tranne che

per coloro che hanno commesso gravi reati. Inol-

tre, dovrà essere avviato un dialogo nazionale nel

quale siano coinvolti tutti i gruppi e tutte le aree

del paese, e spetterà ai partiti ucraini attivarsi per

superare l’attuale crisi. Un ruolo guida di media-

zione andrà assegnato all’OSCE”.

Le speranze di un calo della tensione dopo l’ac-

cordo, sono state però vanificate dall’annuncio

che le milizie filo-russe lasceranno gli edifici oc-

cupati solo qualora il governo ad interim di Kiev

si dimetta. Per contro, gli Stati Uniti sostengono

che dietro i militanti filorussi in tenuta mimetica

apparsi negli ultimi giorni in molte città dell’U-

craina orientale, ci sarebbero forze militari e spie

russe. Le stesse dichiarazioni dei leader dei due

Paesi dimostrano che nonostante gli accordi, il

clima della crisi è ancora estremamente turbo-

lento. Il presidente Putin ha dichiarato “di sperare

tanto di non dover usare il diritto, concessogli dal

Parlamento, di impiegare la forza in Ucraina, e

che la situazione possa essere risolta con mez-

zi politico-diplomatici. La Russia deve fare ogni

cosa per aiutare la popolazione di lingua russa a

difendere i propri diritti in Ucraina, in particolare

quelli della gente che vive nella parte est del Pae-

se”. Il presidente ucraino Turcinov, a sua volta, ha

attaccato violentemente Putin affermando che

“ci teme molto perché l’Ucraina è un esempio per

molti Stati post-sovietici e insegna che la gente

può decidere quali autorità vuole e quali no”.

Il governo ucraino ha inoltre definito “un’ulterio-

re provocazione”, la nuova legge (promulgata il

Foto di: Il Giornale

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 39

Ucraina: il grande gelo

21 aprile) voluta dal leader del Cremlino per ren-

dere più agevole l’acquisizione della cittadinanza

russa per i madrelingua russofoni. Un provvedi-

mento nato per accelerare le domande si citta-

dinanza degli abitanti della Crimea dopo l’annes-

sione, ma che potrebbe avere un effetto a cascata

su tutti gli ex Paesi satelliti di Mosca.

Lo scontro armato avvenuto il giorno di Pasqua

nelle vicinanze di Sloviansk, con la morte di 4

persone, tra cui 3 militanti filo-russi, è stato de-

finito dal ministro degli Esteri russo “un episodio

oltre ogni limite, dimostrativo dell’incapacità e

della riluttanza delle autorità di Kiev a controllare

gli estremisti”. Il Ministro ha attaccato diretta-

mente anche il governo americano, accusandolo

di non capire le responsabilità di coloro “che ha

portato al potere”.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni di aprile sono

lo specchio di una situazione, che nell’est del Pa-

ese, sta pericolosamente degenerando. Nella città

di Sloviansk, i militanti separatisti hanno seque-

strato 12 rappresentanti dell’Osce, richiedendo

in cambio la liberazione dei filo-russi arrestati

nelle settimane precedenti. Un elicottero milita-

re è stato distrutto da un razzo dei separatisti. A

Donetsk, la marcia pacifica di alcune centinaia di

manifestanti in favore dell’unità del Paese, è stata

bloccata dall’assalto di gruppi filo-russi armati di

mazze di baseball.

Il premier ucraino Yatsenyuk, intervistato dal

magazine tedesco “Die Zeit”, ha ribadito che

“Mosca vuole riottenere il controllo sugli ex Stati

dell’Urss. Il piano di Putin è costruire un nuovo

ordine mondiale con la Russia nella posizione di

una grande potenza, copia dell’Unione Sovietica.

Gli atteggiamenti aggressivi dei militari russi sul

territorio ucraino, porteranno ad un conflitto sul

suolo europeo, con il pericolo di una terza guerra

mondiale”.

I leader di Gran Bretagna, Usa, Francia Germania

e Italia, hanno minacciato la possibilità di adot-

tare ulteriori sanzioni contro Mosca, ma nello

stesso tempo, hanno convenuto che la soluzione

della crisi non può essere raggiunta che con me-

todi pacifici. Una soluzione condivisa dallo stesso

Putin.

Questi episodi sono purtroppo la spia di un par-

ziale fallimento degli accordi di Ginevra e che la

strada per la risoluzione della questione Ucraina è

ancora irta di ostacoli, che solo una sincera e fer-

ma volontà degli attori nazionali e internazionali

potrà definitivamente rimuovere.

Antonciro CozziLaureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201440

Ucraina: il grande gelo

11 marzo 2014 il Consiglio Supremo

della Repubblica Autonoma di Crimea

e il Consiglio della Città di Sebasto-

poli votano una Dichiarazione di Indipendenza

dall’Ucraina in cui si fa appello alla Carta delle

Nazioni Unite e alla conferma dello status del Ko-

sovo fatto dalla Corte Internazionale di Giustizia

il 22 luglio 2010, “che dice come la dichiarazione

unilaterale di indipendenza da parte di un Paese

non viola nessuna norma internazionale”. La Re-

pubblica di Crimea così proclamata, “Stato demo-

cratico, laico e multinazionale, con un obbligo di

mantenere la pace e il consenso internazionale

e interconfessionale nel suo territorio”, annuncia

però un referendum per entrare a far parte del-

la Federazione Russa. Il 16 marzo si tiene il re-

ferendum: 81,36% di partecipanti; 96,77% di sì

all’unione alla Russia. Il 18 marzo viene firmato il

trattato di accessione alla Russia. La Crimea indi-

pendente è dunque esistita per esattamente sette

giorni. Il risultato del referendum è stato ricono-

di Maurizio Stefanini

Gli Stati non riconosciutiQuella sporca dozzina...

L’

La Repubblica di crimea così proclamata, “Stato democratico, laico e multinazionale, con un obbligo di mantenere la pace e il consenso internazionale e interconfessionale nel suo territorio”, annuncia però un referendum per entrare a far parte della federazione Russa

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 41

Ucraina: il grande gelo

sciuto il 17 da Russia, Venezuela, Ossezia del Sud

e Abkhazia. Il 18 dal Kazakistan. Il 19 dall’Armenia

e dal Nagorno-Karabakh. Il 20 dal Kirghizistan. Il

21 dall’Uganda. Il 22 da Corea del Nord, Afghani-

stan e Siria. Il 23 dalla Bielorussia. Il 27 da Cuba,

Bolivia, Nicaragua, Sudan e Zimbabwe.

Ossezia del Sud, Abkhazia e Nagorno-Karabakh

non sono riconosciuti dall’Onu. Degli altri 15 Pa-

esi, 11 il 27 marzo 2014 votano no alla risoluzio-

ne68/262 dell’Assemblea Generale dell’Onu, che

con 100 sì condanna la violazione dell’integrità

territoriale ucraina. Non vincolante, per via del

veto russo in Consiglio di Sicurezza. La “sporca

dozzina”, come la definiscono in Occidente, com-

prende, con la stessa Russia, quattro Paesi latino-

americani con governi di sinistra radicale inqua-

drati nell’alleanza dell’Alba, e con buoni rapporti

con la Russia in chiave di bilanciamento del peso

degli Stati Uniti nelle Americhe: Venezuela, Bo-

livia, Nicaragua e Cuba. Due sono repubbliche

ex-sovietiche strettamente legate a Mosca: l’Ar-

menia, che appoggia la separazione del Nagorno-

Karabakh dall’Azerbaigian e che sente il bisogno

dell’alleanza russa per controbilanciare quelle

che percepisce come minacce di Turchia e Azer-

baigian; e la Bielorussia di Alexander Lukashenko.

Quest’ultimo è un leader autoritario che si sen-

te sotto pressione da parte dell’Occidente, ed è

perciò accomunabile al caso della Siria di Bashar

Assad, della Corea del Nord di Kim Jong-un, del

Sudan di Omar al-Bashir e dello Zimbabwe di

Robert Mugabe. Afghanistan, Kazakistan e Ugan-

da stanno invece in una lista di 58 astenuti. Tra

essi, innanzitutto i quattro partner della Russia

nei Brics: Brasile, India, Cina e Sudafrica. Ma vi

è anche una seconda repubblica ex-sovietica:

l’Uzbekistan. Tre Paesi del Medio Oriente: Algeria,

Egitto, Iraq. Ben altri 24 dell’Africa sub-sahariana:

Angola, Botswana, Burkina Faso, Burundi, Como-

re, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Gabon, Gambia, Kenya,

Lesotho, Mali, Mauritania, Mozambico, Namibia,

Ruanda, São Tomé and Príncipe, Senegal, Sud Su-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201442

Ucraina: il grande gelo

dan, Swaziland, Tanzania, Uganda, Zambia. Altri

13 delle Americhe: Antigua e Barbuda, Argen-

tina, Dominica, Ecuador, El Salvador, Giamaica,

Guyana, Paraguay Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia,

Saint Vincent e Grenadines, Suriname. Uruguay.

Altri 9 dell’Asia: Bangladesh, Brunei, Cambogia,

Mongolia Myanmar, Nepal, Pakistan, Sri Lanka,,

Vietnam, Due dell’Oceania: Figi, Nauru.

Il Kighizistan sta invece in una lista di altri 24 Pa-

esi che non hanno proprio preso parte al voto. Tra

di essi, due altre repubbliche ex-sovietiche: Tagi-

kistan e Turkmenistan. Sette Paesi medio-orien-

tali: Israele, Iran, Libano, Marocco, Oman, Emirati

Arabi Uniti e Yemen.

Quattro dell’Africa

sub-sahariana: Congo,

Costa d’Avorio, Gui-

nea Equatoriale, Gha-

na e Guinea-Bissau.

Due delle Americhe:

Belize e Grenada. Due

dell’Asia: Laos e Timor

Est. Tre dell’Oceania:

Tonga, Tuvalu, Vanua-

tu. Ma anche Serbia e Bosnia-Erzegovina. Per la

maggior parte si è trattato di una semplice non

voglia di compromettersi in una questione giu-

dicata lontana dai propri interessi. Ma l’Argen-

tina, ad esempio, ha fatto un raffronto tra l’in-

tervento occidentale sulla Crimea e la latitanza

sulle Falkland-Malvinas che ha presumibilmente

influenzato molti latino-americani. La Serbia e la

Bosnia-Erzegovina per la sua componente serba

hanno pensato al Kosovo. L’Afghanistan all’irre-

dentismo sulla Frontiera di Nord-Ovest pakista-

na. Il Pakistan al Kashmir. Il Marocco al Sahara

Occidentale. Timor Est e Sud Sudan alla propria

indipendenza. È peraltro curioso che non abbiano

condannato l’annessione russa della Crimea Pa-

esi governi che all’intervento occidentale devo-

no l’indipendenza o l’esistenza, o che comunque

all’aiuto occidentale sono fortemente esposti:

dalla Bosnia-Erzegovina all’Iraq passando per

Afghanistan, Israele, Timor Est, Sud Sudan o Gre-

nada. Per non parlare del Kirghizistan, che ha vis-

suto una “rivoluzione colorata” analoga a quelle

di Ucraina e Georgia. Singolare è anche che si

siano trovati schierati sulla stessa scelta Paesi in

teoria nemicissimi come Israele e Iran, o India e

Pakistan.

Comunque, l’annes-

sione della Crimea,

non riconosciuta

dall’Onu, crea un pre-

cedente importante

nel campo delle Re-

lazioni Internazionali.

Dalla fine della Secon-

da Guerra Mondiale,

infatti, è in pratica la

prima volta che un

territorio metropolitano di uno Stato passa a un

altro Stato. Lo stesso precedente invocato del Ko-

sovo riguarda un processo di separazione simile a

quelli della decolonizzazione. O alle dissoluzioni di

Unione Sovietica, Cecoslovacchia o del resto della

ex-Jugoslavia. O all’indipendenza del Bangladesh

dal Pakistan, dell’Eritrea dall’Etiopia o del Sud Su-

dan dal Sudan. Non c’è stato però un passaggio

del Kosovo dalla Serbia all’Albania: la grande rot-

tura in quel caso è stata che mentre il processo di

disintegrazione della Jugoslavia aveva rispettato

i confini delle ex-repubbliche federate qui ha ri-

guardato anche una provincia autonoma. Ingran-

Comunque, l’annessione della Crimea, non riconosciuta dall’Onu, crea un pre-cedente importante nel campo delle Re-lazioni Internazionali. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, è in pratica la prima volta che un territorio metropolitano di uno Stato passa a un

altro Stato

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 43

Ucraina: il grande gelo

dimenti statuali ci sono stati invece col passaggio

della Germania Est con la Germania Ovest, del

Vietnam del Sud con il Vietnam del Nord e dello

Yemen del Sud con lo Yemen del Nord: tre pro-

cessi di riunificazione in cui però gli Stati che si

sono fusi sono spariti integralmente. Così come

è avvenuto nel 1954 con il Territorio Libero di

Trieste, spartito tra Italia e Jugoslavia. Ci sono

stati invece i processi di annessione degli stabi-

limenti portoghesi di Goa, Daman e Diu all’India,

della Nuova Guinea olandese all’Indonesia e del

Sahara spagnolo prima a Marocco e Mauritania

e poi tutto al Marocco, per non parlare di quello

di Timor portoghese all’Indonesia, poi annullato

dall’indipendenza dello stesso Timor Est. Ma si

tratta di territori coloniali, separati dalla madre-

patria da migliaia di chilometri. Peraltro, anche

questi mutamenti di frontiere dopo il 1954 erano

avvenuti fuori dall’Europa, dove la guerra fredda

aveva sancito l’immutabilità della carta geografi-

ca. Solo nel 1989-92 il crollo del comunismo ha

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201444

Ucraina: il grande gelo

fatto saltare questo tabù, ma appunto nella dire-

zione della separazione di regioni amministrative

organiche, oltre che nella riunificazione tedesca.

Un precedente in cui un’eventuale indipendenza

scozzese o catalana potrebbe inquadrarsi. Il Koso-

vo ha rappresentato il già citato ulteriore salto di

qualità della separazione di una “sotto-regione”,

e la Crimea è ora una novità ulteriore. In questo

caso, sarebbe il precedente per una possibile riu-

nificazione tra Albania e Kosovo, o tra Moldavia

e Romania, o magari tra Repubblica Serba di Bo-

snia e Serbia.

Va però ricordato il caso dei Territori Occupati

di Israele, il cui status è ancora indeterminato,

salvo quell’annessione di Gerusalemme Est e

del Golan che né l’Onu, né nessun Paese hanno

riconosciuto. Ma è evidente che qui è un caso

molto particolare, legato al problema del rico-

noscimento dello Stato d’Israele da parte dei

Paesi arabi. E non solo, visto che non lo ricono-

scono ben 32 membri dell’Onu. Peraltro, non è il

solo membro dell’Onu non riconosciuto da altri

membri dell’Onu. La Cina ad esempio, non ha re-

lazioni diplomatiche con 21 Paesi e neanche con

la Santa Sede, che invece riconoscono la Repub-

blica di Cina in Taiwan, non riconosciuta dall’O-

nu. Peraltro la Repubblica di Cina in Taiwan non

esigerebbe più l’esclusività delle relazioni, ma

l’aut aut è imposto da Pechino. C’è poi l’Arme-

nia, che curiosamente si trova non riconosciuta

non da Turchia o Azerbaigian, ma dal Pakistan.

Cipro, non riconosciuta dalla Turchia. La Corea

del Nord, non riconosciuta da Corea del Sud e

Giappone. E la Corea del Sud, non riconosciuta

dalla Corea del Nord.

Abbiamo però all’inizio fatto un cenno a Abkha-

zia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh: tre

Dall’alto verso il basso, le bandiere di Armenia, Corea del Sud e Taiwan

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 45

Ucraina: il grande gelo

Stati di fatto esistenti e riconosciuti da membri

dell’Onu, ma non dall’Onu, che li considera legal-

mente parte di altri Stati membri. È la situazione

in cui si è trovata la Repubblica di Crimea nella

sua settimana di esistenza, ma attualmente sono

in tutto dieci le entità statuali che si trovano in

una situazione simile”, con “attualmente dopo

l’autoproclamazione il 7 aprile 2014 della Repub-

blica Popolare del Donetsk e il 27 aprile 2014 del-

la Repubblica Popolare di Luhansk, sono in tutto

dodici le entità statuali che si trovano in una si-

tuazione simile.

Il caso più antico è quello della Repubblica di

Cina in Tiwan, che però va considerato a parte,

nel senso che non solo è stato membro dell’O-

nu, ma addirittura tra

i suoi fondatori. Si

tratta infatti dell’e-

rede di quel governo

nazionalista di Chiang

Kai-shek che all’epoca

della nascita dell’O-

nu era considerato il

legittimo rappresen-

tante della Cina, ma

che nel 1949 in seguito alla sconfitta nella guerra

civile con i comunisti di Mao fu costretto a la-

sciare il Continente, rifugiandosi a Taiwan. Con

la risoluzione 2758 del 25 ottobre 1971 l’Onu

passò il riconoscimento alla Repubblica Popolare

Cinese, ma pur formalmente in un limbo di fatto

Taiwan partecipa alla comunità internazionale.

La maggior parte dei Paesi del mondo e la stessa

Cina hanno infatti relazioni diplomatiche con il

governo di Taipei, con il semplice escamotage di

non chiamare le ambasciate con quel nome. La

stessa Cina partecipa a aree di integrazione eco-

nomica con Taiwan, pure lì con l’escamotage di

definirle “tra economie” e non “tra stati”, e l’uso di

una bandiera e inno olimpico permette agli atleti

taiwanesi di partecipare anche alle grandi com-

petizioni sportive internazionali.

Dal punto di vista cronologico, il secondo esem-

pio è quello della Repubblica Turca di Cipro del

Nord, che dichiarò la propria indipendenza il 15

novembre 1983, anche se di fatto la parte nord

dell’isola era stata separata dal sud dopo l’inva-

sione turca del 20 luglio 1974: a sua volta venuta

cinque giorni dopo il colpo di Stato con cui un

gruppo di nazionalisti greco-ciprioti vicini al re-

gime militare al potere in quel momento a Atene

aveva deposto il presidente arcivescovo Makarios,

proclamando l’an-

nessione alla Grecia

e facendo partire una

sanguinosa pulizia

etnica, cui peraltro si

rispose con altre vio-

lenze. Riconosciuta

solo dalla Turchia an-

che se ha uno status

di osservatore presso

l’Organizzazione della Conferenza Islamica, con-

dannata sia dall’Onu che da un’Unione Europea

il cui territorio finisce per menomare, in realtà

la Repubblica Turca di Cipro del Nord non rifiu-

ta formalmente l’ipotesi di una riunificazione

col Sud, specie appunto da quando Cipro dal

primo maggio 2004 è entrata nell’Unione Euro-

pea. Anzi, il piano di pace per la riunificazione

elaborato nel 2002 dall’allora segretario dell’Onu

Kofi Annan il 24 aprile 2004 è stato approvato

per referendum dal 64,91% dell’elettorato di Ci-

pro del Nord. Ma sono stati i greco-ciprioti invece

Dal punto di vista cronologico, il secon-do esempio è quello della Repubblica Turca di Cipro del Nord, che dichiarò

la propria indipendenza il 15 novembre 1983, anche se di fatto la parte nord dell’isola era stata separata dal sud

dopo l’invasione turca del 20 luglio 1974

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201446

Ucraina: il grande gelo

a dire no, al 75,83%. Il nodo è stato che se i turco-

ciprioti per quel piano accettavano di smantel-

lare la loro repubblica autonoma avrebbero però

avuto il diritto di restare nell’isola gli immigrati

arrivati dalla Turchia continentale dopo il 1974,

e anzi loro stessi avevano potuto votare. Senza

contare la possibilità di un’ulteriore possibilità di

immigrazione dalla Turchia in futuro.

La Repubblica Araba Saharaui Democratica fu in-

vece proclamata il 27 febbraio 1976 dal Fronte

Polisario (=Fronte di Liberazione Popolare di Sa-

guia el Hamra e del Río de Oro), movimento che

aveva condotto la guerra d’indipendenza contro

la Spagna, dopo che dal 31 ottobre 1975 l’eser-

cito marocchino aveva iniziato l’invasione del

territorio che il caudillo Franco aveva deciso di

sgomberare, e il 14 novembre 1975 con gli Accor-

di di Madrid la Spagna aveva acconsentito a una

spartizione del territorio tra Marocco e Maurita-

nia. Il 5 agosto 1979 la Mauritania ha poi rinun-

ciato alla sua parte, riconoscendo la Repubblica

Araba Saharaui Democratica. Ma a quel punto

anche quell’area è stata occupata dal Marocco.

In effetti la gran parte dei seguaci del Polisario

non sta nel territorio del Sahara Occidentale ma

in campi profughi in Algeria, e tuttavia viene

stimato che per le meno il 25% del territorio sia

effettivamente sotto il controllo della Repubblica.

La stessa Repubblica Araba Saharaui Democrati-

ca è stata riconosciuta da 84 membri dell’Onu e

dall’Unione Africana, ma Lega Araba e Organiz-

zazione della Conferenza Islamica riconoscono

invece il territorio come parte del Marocco, e 39

Stati hanno poi ritirato il riconoscimento. L’O-

nu non riconosce La Repubblica Araba Saharaui

Democratica ma considera il territorio ancora de

decolonizzare ed il 6 settembre 1991 è riuscita

a raggiungere un cessate il fuoco sulla base del

principio di un referendum su cui però da allo-

ra non si è ancora raggiunto un accordo. Anche

qui, alla chiave del dissenso è stabilire chi ha il

diritto di votare, con veti marocchini sui profughi

Unione Africana Bandiera del Commonwealth

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 47

Ucraina: il grande gelo

in Algeria e Mauritania e veti del Polisario sugli

immigrati marocchini post-1975. Dal 2007 il Ma-

rocco propone un piano di autonomia alternativo

all’indipendenza; dal 2010 il Polisario ha interrot-

to i rapporti con la Missione Onu incaricata del

referendum (Minurso).

Il 15 novembre del 1988 l’Organizzazione per la

Liberazione della Palestina (Olp) proclamò ad Al-

geri lo stato di Palestina. All’epoca un governo in

esilio, che non controllava nessuna porzione del

territorio reclamato, ma esercitava solo autorità

su campi profughi. Al contrario di altri governi

con controllo effettivo sul territorio ma senza

riconoscimenti, lo Stato di Palestina ne ha avu-

ti in quantità: ben 134 membri dell’Onu, più la

Repubblica Araba Saharaui Democratica, la Lega

Araba e l’Organizzazione della Conferenza Islami-

ca. Tuttavia un’effettività di controllo su certi ter-

ritori l’ha avuta solo dal 17 maggio 1994 grazie al

riconoscimento di Israele in seguito agli Accordi

di Oslo. L’Autorità Nazionale Palestinese (Anp)

così riconosciuta è ridiventata Stato di Palestina

il 3 gennaio 2013 dopo che il 29 novembre 2012

con 138 voti contro 9, 41 astensioni e 5 assenze

l’Anp era stata riconosciuta dall’Onu come Sta-

to osservatore non membro, allo stesso modo di

Svizzera e Santa Sede. In seguito alla guerra civile

combattuta tra 10 e 15 giugno 2007 tra Al Fatah

e Hamas quest’ultima si è però impadronita della

Striscia di Gaza. Di fatto, quindi, ci sono oggi due

Stati palestinesi: quello di Al-Fatah in Cisgiorda-

nia e quello di Hamas a Gaza. Tuttavia entrambi

reclamano di essere il legittimo governo dell’Anp,

per cui il loro rapporto è simile a quello tra i due

governi di Pechino e Taipei rispetto alla Cina.

Sebbene a Hamas siano arrivati appoggi e visite

da governi come quelli di Qatar, Egitto, Siria, Iran

e Turchia, peraltro in parte rientrati, i riconosci-

menti ufficiali restano quelli all’Anp.

Il 23 aprile Fatah e Hamas hanno raggiunto un

accordo di riconciliazione per arrivare a un go-

verno di unità nazionale e nuove elezioni, ma altri

simili accordi tra le due organizzazioni nei passati

sette anni sono rimasti lettera morta.

Anche in Somalia con la guerra civile del 1991 il

Paese si è diviso in vari frammenti occupato da

fazioni l’una contro l’altra armate. Formalmente,

però, il Governo Federale di Somalia stabilito il 20

agosto 2012 ha ricondotto tutte sotto un qua-

dro teorico di autonomie federali. L’unica entità

che non ha voluto rientrare è la Repubblica del

Somaliland, auto-proclamata il 18 maggio 1991

nell’area che prima del 1960 era stata sotto il

dominio coloniale britannico. Formalmente non

la riconosce nessuno, ma una missione dell’nio-

ne Africana ha pubblicato un rapporto in cui

non esclude la possibilità di un riconoscimento,

e anche dall’Etiopia in una dichiarazione è venu-

to un riconoscimento de facto all’esistenza di un

Primo ministro del Somaliland. Rapporti di fatto

esistono comunque con Gibuti, Belgio, Francia,

Ghana, Kenya, Sudafrica, Svezia, Regno Unito e

Stati Uniti. Inoltre il governo del Somaliland è

stato invitato a un vertice del Commonwealth e

a un’inaugurazione dell’Assemblea Nazionale del

Galles, e una richiesta di ammissione al Common-

wealth è in sospeso.

Anche prima del caso della Crimea, una gran

parte degli Stati non riconosciuti oggi esistenti

è stata originata dal processo di disintegrazio-

ne dell’Unione Sovietica, proprio per il fatto che

l’indipendenza è stata riconosciuta alle repubbli-

che sovietiche e non alle entità amministrative

minori. Il 2 settembre 1990, in particolare, prima

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201448

Ucraina: il grande gelo

ancora che il 27 agosto 1991 la Moldavia potes-

se dichiarare la propria indipendenza dall’Unione

Sovietica, dichiarò la propria indipendenza dalla

Moldavia la Repubblica Moldava di Transnistria,

in un’area dove in realtà in censimenti indicano

che i russofoni sono meno dei moldavi di etnia

romena, ma ucraini e russi assieme di più, e co-

munque è ubicata la 14esima armata dell’esercito

russo, con il più importante arsenale e deposito

di munizioni d’Europa. D’altra parte nell’agosto

del 1990 anche la Gagauzia, popolata di turchi

cristiani, aveva proclamato la propria indipen-

denza dalla Moldavia. La secessione gagauza si

risolse con la legge sull’autonomia votata dal

parlamento moldavo il 23 dicembre 1994, anche

se il 2 febbraio 2014

un referendum ha de-

ciso che la Gaugauzia

chiederebbe l’indipen-

denza se la Moldavia

entrasse nell’Ue. Tra

Transnistria appog-

giata dalla Russia e

Moldavia appoggiata dalla Romania scoppiò

invece il primo marzo 1992 una vera e propria

guerra, che fece a seconda delle stime tra i 316

e i 637 morti, e fu conclusa con la tregua che

il 21 luglio 1992 congelò lo status quo tuttora

esistente. Riconosciuta il 17 novembre 2006 da

Abkhazia e Ossezia del Sud, con cui ha costituito

la Comunità per la democrazia e i diritti dei po-

poli, nel 2010 la Transinistria ha ripreso negoziati

con la Moldavia, ma il 18 marzo 2014 ha chiesto

a sua volta un’annessione alla Russia sul modello

della Crimea.

Anche l’Ossezia del Sud nel 1990 aveva dichiara-

to la propria separazione dalla Georgia, in risposta

all’attitudine separatista della Georgia dall’Urss. Dal

5 gennaio 1991 al 24 giugno 1992 scoppiò anche

qui una guerra, che provocò un migliaio di morti,

e si concluse con un cessate il fuoco mediato alla

Russia e sorvegliato da truppe russe. La proclama-

zione di indipendenza della Repubblica dell’Ossezia

del Sud, del 28 novembre 1991, all’inizio non ebbe

alcun riconoscimento. Il 12 ottobre 1994 venne

però un Trattato di Amicizia e Cooperazione con la

Transnistria, il 17 novembre 2006 il mutuo ricono-

scimento con il Nagorno-Karabakh e il 26 settembre

2007 il mutuo riconoscimento con l’altra repubblica

secessionista dalla Georgia dell’Abkhazia. Tra il 7 e

il 16 agosto 2008 un tentativo georgiano di ricon-

quista portò a un intervento russo e a una pesante

sconfitta militare geor-

giana, con un bilancio

tra i 400 e i 600 morti.

Il 26 agosto la Rus-

sia riconobbe dunque

l’Ossezia del Sud come

Stato sovrano, seguita

il 5 settembre 2008 dal

Nicaragua, il 10 settembre 2009 dal Venezuela, il 16

dicembre 2009 da Nauru, e il 19 settembre 2011 da

Tuvalu.

Nel Nagorno-Karabakh, provincia collocata

nell’Unione Sovietica nell’Azerbaigian per ri-

guardo alle sue connessioni economiche piut-

tosto che all’etnia amena della maggioranza

dei suoi abitanti, la guerra tra armeni e aze-

ri iniziò il 20 febbraio 1988 e durò fino al 12

maggio 1994. Dopo tra i 2000 e i 3000 morti, il

Protocollo di Bishkek grazie a una mediazione

russa arrivò a un cessate il fuoco che congelò

la situazione. Intanto il 2 settembre 1991 era

stata proclamata la Repubblica del Nagorno-

Anche prima del caso della Crimea, una gran parte degli Stati

non riconosciuti oggi esistenti è stata originata dal processo di

disintegrazione dell’Unione Sovietica

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 49

Ucraina: il grande gelo

Karabakh, e dal 1993 Turchia e Azerbaigian

sottopongono l’Armenia a un blocco delle

frontiere che obbliga gli armeni a appoggiarsi

su Russia e Iran. Il Nagorno-Karabakh è ricono-

sciuto da Transnistria, Abkhazia e Ossezia del

Sud, ma non dalla Russia e neanche dell’Arme-

nia. Come nel caso di Taiwan, vi sono però rap-

presentanze non ufficiali in Armenia, Australia,

Francia, Germania, Russia, Stati Uniti, Libano e

India. Richieste di riconoscimento sono venute

dagli Stati Usa di Rhode Island, Massachusetts,

Maine e Louisiana e dalla Provincia australiana

del Nuovo Galles del Sud.

La secessione dell’Abkhazia dalla Georgia è pa-

rallela a quella dell’Ossezia del Sud, ma con un

processo un po’ più lento. La guerra tra abkhazi,

appoggiati da volontari russi, georgiani, cosacchi

e caucasici, e Georgia si combatte infatti tra 14

agosto 1992 e 27 settembre 1993, provocando

secondo alcune stime fino a 40.000 morti, specie

per una feroce pulizia etnica di georgiani. Anche

qui è la mediazione russa a raggiungere il ces-

sate il fuoco, seguito dall’accordo di Mosca del

14 maggio 1994 sulla separazione delle forze.

Ma una guerra tra miliziani georgiani e abkhazi

scoppia di nuovo dal 20 al 26 maggio 1998, un

nuovo conflitto c’è tra 22 e 28 luglio 2006, e il

10 agosto 2008 la guerra tra Georgia e Ossezia

del Sud si allarga all’Abkhazia. L’indipendenza

della Repubblica di Abkhazia è stata dichiarata

formalmente il 23 luglio del 1992, e ribadita il 12

ottobre 1999. Abkhazia e Transinistria firmano un

Trattato di Amicizia e Cooperazione già il 22 giu-

gno 1993, il 17 novembre 2006 arriva il ricono-

scimento di Nagorno-Karabakh e il 26 settembre

2007 dell’Ossezia del Sud. Vengono poi la Russia il

26 agosto 2008, il Nicaragua il 5 settembre 2008,

il Venezuela il 10 settembre 2009, Nauru il 15 di-

cembre 2009, Vanuato il 23 maggio 2011 e Tivalu

il 18 settembre 2011.

C’è, ancora, la Repubblica del Kosovo. Che rappre-

senta una situazione piuttosto singolare, perché

dopo la guerra del Kosovo combattuta tra albane-

si e serbi dal 28 febbraio 1998 all’11 giugno 1999,

e dal 24 marzo 1999 anche con l’intervento della

Nato, il Kosovo era passato sotto un’Amministra-

zione a Interim Onu. Ma quando il 17 febbraio del

2008 è stata proclamata l’indipendenza, creando

il precedente poi citato per la Crimea, questa non

è stata riconosciuta da 107 membri dell’Onu oltre

che dalla Repubblica di Cina in Taiwan ma non

dall’Onu stessa, anche se fa parte di Fondo Mone-

tario Internazionale e Banca Mondiale.

Infine, le già citate Repubblica Popolare del Do-

nestk e Repubblica Popolare di Luhansk, che

separatesi a loro volta dall’Ucraina sul modello

della Crimea hanno sanzionato la propria indi-

pendenza con i referendum dell’11 maggio 2014.

Il loro è uno status in teoria transitorio, visto che

al momento di scrivere queste note nessun rico-

noscimento è ancora arrivato, e che peraltro il

loro obiettivo teorico è quello di essere annesse a

loro volta nella Federazione Russa. Ma proprio la

vicenda di questi Stati non riconosciuti dimostra

l’assioma per cui spesso non c’è nulla di più dura-

turo del provvisorio.

Maurizio StefaniniGiornalista, profesionista e saggista. Freelance, colabora con il Foglio, Libero, Limes, Longitude, Agi Energia

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

50

Asia Centrale è, storicamente, il teatro

privilegiato del Grande Gioco, come,

con espressione straordinariamente

evocativa, volle chiamarlo Kipling, vecchio ami-

co e sodale di Halford McKinder, il padre nobi-

le della moderna geopolitica. Lo scenario dove,

per alcuni secoli, sino agli albori della I Guerra

Mondiale, l’Impero degli Zar ed il Raj Britannico

si contesero, in una esasperante partita a scacchi,

il controllo di una vastissima regione che, esten-

dendosi dalle steppe gelide del Nord, ai confini

con la tundra siberiana, giunge, a Sud, sino ai

mari caldi, all’Oceano Indiano e al Golfo Persico,

o Arabico che dir si voglia, e che, chiusa ad Orien-

te dalle altissime catene montuose che segnano

il limes dell’Impero Cinese, ad Occidente sconfina

verso la Russia, il Caucaso ed il Mar Nero, dove

la steppa, appunto, incontra il bosco europeo e,

più a mezzogiorno, il primi segni della macchia

mediterranea. Regione che proprio McKinder

per primo identificò con chiarezza come “Cuore

SpecialeKazakhstan

di Andrea Marcigliano

La terra dei cavalieri e gli equilibri del mondo. Geopolitica del moderno Kazakhstan

L’Asia centrale è, oggi, il luogo dove inevitabilmente convergono e cozzano tutte le tensioni che attraversano il globo. una sorta di camera di decantazione – o di esplosione – di crisi e apparentemente remote, da quella del Mondo Arabo, a quella ucraina, sino a quella che vede confrontarsi in estremo oriente cina e Giappone...

L’

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

51

Il Kazakhstan è oggi il vero e proprio perno degli equilibri centro-asiatici, o, per usare un termine classico della scienza geopolitica, il “pivot d’area” (da inserire in Asimmetrie e tensioni..)In pratica tra Kazakhstan e Kirghizistan si sta realizzando l’embrione di una nuova zona di cooperazione, che se estesa, potrebbe portare all’alba di una nuova stagione di prosperità per tutta la regione centro-asiatica

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

52

del Mondo”, il cui controllo è necessario a colui

che volesse dominare l’Isola del Mondo, ovvero

il complesso macro-continentale Eurasia+Africa.

Identificazione che il politico e studioso britan-

nico fondò tanto sulla osservazione spregiudi-

cata della realtà geografica, quanto sull’attenta

rilettura dei portati storici. Che mostrano chia-

ramente come la regione centro-asiatica abbia

sempre rappresentato la cinghia di trasmissione

e comunicazione privilegiata del nostro mon-

do. Un intrico di “vie”, fra le quali quella detta

“della Seta” è solo la più famosa, che collegano

il quattro punti cardinali, ed hanno permesso, e

visto, nei secoli, un continuo passaggio di uomini

e merci, di armate e pellegrini, favorendo e con-

dizionando non solo gli equilibri geopolitici del

Mondo intero, ma anche quella particolarissima

sintesi di culture ed idee che è all’origine della

Civiltà moderna. Un flusso continuo nelle quattro

direzioni, anzi seguendo tutti i percorsi della Rosa

dei Venti, reso possibile anche, forse soprattut-

to, da una sostanziale assenza di confini, o per

lo meno dallo loro porosa aleatorietà. La steppa,

le immense pianure sono come il Mare, l’Oceano

nel quale terminano verso meridione... difficili da

controllare, quasi impossibili da marcare con pie-

tre miliari... Questo, almeno, sino a pochi decenni

or sono, sino ad un secolo fa circa, quando i due

conflitti mondiali portarono, come conseguen-

za, ad un terzo mai davvero combattuto a viso

aperto, più una partita a domino che una guerra

guerreggiata... un conflitto freddo, una Guerra

Fredda, che ebbe come principale conseguenza di

chiudere, entro confini apparentemente d’acciaio

il Mondo intero, tagliando l’Asia Centrale in due,

con una sorta di vallo invisibile ed insormontabi-

le al tempo stesso. Il confronto fra i Blocchi, tra

le due Superpotenze sembrò, allora spegnere il

Grande Gioco, e vanificare, rendere arcaiche tutte

le tesi della geopolitica classica. In realtà, si trat-

tava solo di una pausa, di uno stallo momenta-

neo per restare alla metafora scacchistica. E durò

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

53

poco; un’ottantina d’anni: molto se misurati alla

vita di un singolo uomo, nulla se confrontati con

la storia. In sostanza il Secolo breve, come lo ha

definito Hobsbawn. Chiusosi il quale, con il crol-

lo del Muro di Berlino, abbiamo visto riaffiorare

sempre più prepotentemente quelle dinamiche

che avevano a suo tempo ispirato le tesi dei gran-

di padri della geo-politica, da Kjéllen a McKinder,

da Mahan ad Haushofer.

Così anche l’Asia Centrale è tornata, rapidamen-

te, al suo ruolo classico; a rivestire un’impor-

tanza centrale nel rinnovato Grande Gioco della

geopolitica – e parimenti, in modo inestricabile,

della geo-economia – contemporanea. . E non

deve stupire il fatto che, un paio d’anni fa, nel

pieno delle cosiddette “Primavere Arabe” – quan-

do tutto il Maghreb ed il limitrofo Medio Orien-

te venivano contagiati da un vero e proprio in-

cendio – un alto funzionario di Foggy Bottom,

la Segreteria di Stato americana, interrogato

sulle preoccupazioni di Washington, rispondes-

se, sibillinamente: “Nord Africa? Medio Oriente?

Quello che ci preoccupa ed interessa davvero è

l’Asia Centrale.” Una ulteriore conferma di quale

sia veramente il teatro chiave della partita – in

essere e in fieri – fra le potenze contemporanee.

Fra Stati Uniti e Federazione Russa in primo luo-

go, di nuovo competitori globali che, dopo quasi

due decenni di sonno del vecchio Orso Moscovi-

ta, sembrano ora, dopo la crisi di Kiev, vocati ad

incrociare nuovamente le lame. Riproponendo in

nuova forma la tradizionale antitesi del Grande

Gioco di kiplinghiana memoria: la sfida tra Mosca

e Washington che ha preso il posto di quella tra

San Pietroburgo e Londra del tempo di “Kim”… Ma

anche competizione con la Cina, la cui politica,

certo, si fonda sul principio di evitare ingerenze

esterne e, al contempo, di non farsi coinvolgere in

conflitti oltre i propri confini; e tuttavia le élite di

Pechino appaiono ben coscienti dell’importanza

vitale che la regione centro-asiatica riveste per la

sicurezza ed il futuro economico dell’antico Im-

pero di Mezzo, nonché per l’assetto complessivo

degli equilibri globali. E poi, da Pechino, si vede

chiaramente come sulle distese del Centro Asia

convergano, oggi, le mire e le ambizioni di tan-

ti altri “giocatori”, potenze economico-politiche

emergenti come l’India che da lì trae le materie

prime necessarie al proprio convulso e disomoge-

neo sviluppo e potentati mediatici/economici ca-

paci di esercitare profonde suggestioni culturali,

come le petro-monarchie del Golfo guidate dalla

Casa di Saud – con il piccolo ma aggressivo Qa-

tar che spesso gioca in proprio – che esercitano

un’influenza sempre più pervasiva su tutto l’orbe

islamico sunnita, facendo di questa leadership re-

ligiosa e ideologica strumento per una politica di

potenza che va ben al di là dell’apparente peso di

questi paesi. Strategia in netta antitesi con quella

degli iraniani, a capo saldamente dell’Umma sci-

ita, che convergono anch’essi, per evidenza geo-

grafica e concreti interessi, verso l’Asia Centrale...

Insomma, un intreccio di partite e giocatori che

fa impallidire il ricordo del vecchio Grande Gioco

e che, non a caso, ha spinto due geopolitici cinesi,

Quiao Liang e Wang Xiangsui1, a parlare di “geo-

politica e conflitti a geometrie variabili”. Per farla

breve, l’Asia Centrale è, oggi, il luogo dove ine-

1. Il saggio “Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione” dei due militari cinesi è del 1999, e riveste, pertanto, quasi un ruolo profetico, vista la lungimiranza con cui guardavano agli scenari che si aprivano dopo il crollo del Muro di Berlino.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

54

vitabilmente convergono e cozzano un po’ tutte

le tensioni che attraversano il globo. Una sorta

di camera di decantazione – o di esplosione – di

crisi e tensioni apparentemente remote, da quella

del Mondo Arabo maghrebino e mediorientale, a

quella ucraina, sino a quella che vede confrontar-

si in estremo Oriente Cina e Giappone...

Asimmetrie e tensioni nel Cuore del Mondo

Dunque l’Asia Centrale come luogo dove con-

vergono, prima o dopo, tutte le tensioni, tutti gli

intrecci geopolitici globali; e dove queste tensioni

rischiano di raggiungere il calor bianco o, all’op-

posto, possono decantarsi. Di qui la necessità di

tenere sotto stretta osservazione, anzi di monito-

rare con la lente d’ingrandimento questo scena-

rio. Partendo da un’attenta disamina degli equili-

bri locali, degli attori regionali. Ed è una disamina

che, a tutta prima, presenta prospettive alquanto

inquiete e, soprattutto, inquietanti. Perché gran

parte dei paesi che ne compongono il mosaico

versano in una condizione di sostanziale insta-

bilità, inevitabile portato di una storia, o meglio

di una pluralità di storie complesse, nonché, da

ultimo, degli effetti, non ancora assorbiti, dell’im-

plosione dell’URSS, dalla quale la maggior parte

di queste nuove Repubbliche sono sorte. Diciamo

la “maggior parte” perché il Centro Asia com-

prende, dal punto di vista della Geografia storica,

anche l’Afghanistan e la Mongolia, che dell’an-

tico dominio russo-sovietico mai hanno fatto

formalmente parte. E tuttavia entrambi questi

paesi sono stati a lungo nell’orbita di Mosca, in

modo più drammatico il primo, più tranquilla-

mente – nonostante la lunga contesa di confine

con la Cina – la terra d’origine di Gengis Khan. Il

cuore della regione, però, è rappresentato dall’in-

sieme delle cinque repubbliche ex-sovietiche,

Kazakhstan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan

e Turkmenistan. Repubbliche, tutte, che hanno

conseguito l’indipendenza con un certo ritardo

rispetto alle membra occidentali dell’URSS, e,

per lo più, vivendola dapprima come un portato

ineluttabile, quasi come una costrizione piutto-

sto che come la realizzazione di un’aspirazione,

come, invece, è avvenuto per i Paesi Baltici, al-

fieri della secessione da Mosca, e, in parte e non

senza controversie, anche per l’Ucraina. Ritardo

dovuto alla pressoché totale assenza nella storia

di quelle terre di tradizioni statuali, ovvero di pre-

cedenti esperienze di Stato o Stati indipendenti

ed organizzati, tanto lungo era stato il dominio

degli Zar prima, dei Soviet poi. Per altro, anche

volendo spingersi più indietro nel tempo, è im-

possibile trovare altra forma politica organizza-

ta che non fosse quella dei Khanati, sorti dalla

frammentazione delle Orde: forme troppo arcai-

che per essere atte a fondare moderne identità

politiche e ad affrontare la realtà odierna. Di

fatto l’Asia Centrale non ha conosciuto, prima

di una ventina d’anni fa, altro tipo di Stato che

non fosse il dominio imperiale russo nelle sue di-

verse declinazioni; problema cui si aggiungeva la

questione tormentata e ancora per lo più irrisolta

del mosaico etnico e religioso che compone ogni

repubblica. Mosaico che non costituiva un pro-

blema critico fino a che tutto faceva parte della

Russia, ed era comunque Mosca a dettare regole

e leggi, ma che è divenuto potenziale elemento

di tensioni e conflitti intestini dopo la forzosa

indipendenza. Tant’è che l’ultimo ventennio ha

conosciuto un susseguirsi di crisi tanto interne

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

55

alle varie Repubbliche, quanto fra queste, gene-

rando una sostanziale e perdurante situazione

di instabilità. Il Kirghizistan ha visto più volte

avvicinarsi, e addirittura concretarsi, lo spettro

della guerra civile fra etnie e conosciuto un sus-

seguirsi di rivoluzioni e/o colpi di stato sovente,

se non sempre, ispirati ed anche eterodiretti da

Potenze esterne, divenendo più volte palestra del

confronto/scontro di interessi che esorbitano da

quelli nazionali. Ed anche l’Uzbekistan ha vissuto,

e ancora vive situazioni consimili, accentuate e

rinfocolate dalla prossimità del confine afghano

e dall’inevitabile coinvolgimento, anche per affi-

nità etnica e culturale, nel ventennale conflitto

civile che tormenta il paese dei talebani. Dove,

non va dimenticato, forte è la presenza di uzbeki,

divisi, per altro, al loro interno fra il dominio di

diversi Signori della Guerra e seguaci dell’ideolo-

gia jihadista, che hanno finito con l’ispirare l’IMU

(Movimento Islamico dell’Uzbekistan) il più for-

te e minaccioso movimento armato fondamen-

talista dell’Asia Centrale. Un movimento che, in

sinergia con i Talebani afghani, opera sistema-

ticamente ovunque vi siano minoranze uzbeke

e, ovviamente, in particolare nella terra che fu

patria di Tamerlano, con l’obiettivo dichiarato di

dare vita ad un Califfato centro-asiatico. Il Tagiki-

stan - per quanto etnicamente meno composito

e sicuramente più tranquillo e meno conflittuale

dei suoi vicini – paga, però, anch’esso la vicinanza

ed i legami con il teatro afgano. Non va infat-

ti dimenticato che l’etnia tagika è presente con

una forte minoranza nel nord dell’Afghanistan, e

coinvolta appieno nell’endemico conflitto regio-

nale: tagiki, in prevalenza, erano e sono i compo-

nenti dell’Alleanza del Nord in aperto contrasto

con i talebani, a maggioranza pashtun; e tagiko,

fra l’altro, era il leggendario Comandante Mas-

sud, il Leone del Panshir, che emissari jihadisti as-

sassinarono poco prima degli attentati suicidi di

New York e Washington. Inoltre il Tagikistan non

gode di particolari risorse naturali – se si eccet-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201456

tuano quelle idriche, che però rischiano di coin-

volgerlo nelle “guerre per l’acqua” che minaccia-

no l’Asia Centrale – e tale penuria ne rallenta lo

sviluppo economico e sociale. Più ricco, certo, il

Turkmenistan, che dall’indipendenza ad oggi ha

per altro goduto di una notevole stabilità interna,

ottenuta, però, con una rigida chiusura del paese

ad ogni influenza esterna. Chiusura, cui solo oggi

sembra orientato a rinunciare gradualmente, che

ha reso la terra dei turkmeni assente sul piano

della politica estera e sostanzialmente ininfluente

sulla scena geopolitica regionale.

Resta fuori da questa disamina – forzatamente

breve e sommaria – il solo Kazakhstan oggi il

vero e proprio perno degli equilibri centro-asia-

tici, o, per usare un termine classico della scien-

za geopolitica, il “pivot d’area”. È sicuramente il

paese più ricco – ancorché non il più popoloso

della regione; il più industrializzato, capace di

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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

57

differenziare la produzione sfruttando, certo, le

potenzialità naturali – petrolio, gas, uranio, ter-

re rare... – ma non vincolandosi esclusivamente

all’industria estrattiva. Tanto che, oggi, oltre ad

un sistema industriale altamente differenziato

– che punta sempre più anche sullo sviluppo di

industrie piccole e medie, con un modello che

ricorda quello delle regioni del Nord-est italiano

– possiede anche un’agricoltura ricca ed avanza-

ta, ed ha visto formarsi, nel ventennio successivo

all’indipendenza, un ceto medio diffuso che co-

stituisce il vero asse portante dello sviluppo del

paese, nonché il nerbo di una nuova classe diri-

gente. Classe dirigente prettamente “kazakistana”

ovvero non espressio-

ne di un’unica etnia,

ma trasversale, com-

posta sulla base della

nuova identità nazio-

nale del Kazakhstan,

dove, sotto la guida

del Presidente Nazarbayev, vige da vent’anni una

Costituzione che garantisce pari diritti e pieno ri-

conoscimento a tutti i gruppi etnici – più di 130

– nonché alle diverse religioni – circa 37 – che co-

stituiscono il variegato multicolore mosaico della

Repubblica. Costituzione che costituisce la pietra

di fondazione del processo di moderno State Bu-

ilding – e parimenti di Nation Building – avviatosi

nel paese dopo l’indipendenza e che, in appena

due decenni, è giunto a fase molto avanzata, tan-

to da permettere al Kazakhstan anche di avviare

una serie di riforme che ne stanno facendo uno

degli Stati più moderni e democratici dell’intera

Asia. E questo senza mai mettere in discussione la

stabilità e l’armonia interna; condizione che lo ha

reso non solo tranquillo e prospero – nonostan-

te alcuni tentativi di destabilizzarlo da parte di

occhiuti potentati economici che facevano leva

su locali aspiranti “oligarchi”, nonché su tenta-

tivi di penetrazione d movimenti jihadisti legati

all’IMU del limitrofo Uzbekistan - ma anche il Pa-

ese naturalmente vocato alla guida di tutta l’Asia

Centrale.

Ruolo guida esercitato, però, senza alcuna ambi-

zione imperiale, senza mai cadere nello sciovini-

smo tribale o in un nazionalismo ottuso. Piuttosto

sempre più, in questi anni, Astana si è proposta

come mediatrice nei conflitti che travagliano la

regione; come una sorta di “polo” che tende a

decantarne le tensioni. Lo si è visto in occasione

della crisi attraversata

dal Kirghizistan nel

2010, quando il Go-

verno del Presidente

Bakiyev venne rove-

sciato da una sangui-

nosa rivolta di piazza,

dietro alla quale molti osservatori cedettero, non

senza ragione, di intravvedere un nuovo episodio

del Grande Gioco oggi in atto tra Washington e

Mosca per il controllo dell’Asia Centrale. Comun-

que la defenestrazione di Bakiyev – che trovò ri-

fugio in Bielorussia – non si tradusse dopo una

prima fase cruenta in un, più o meno tranquillo,

Regime Change; infatti, il nuovo Governo prov-

visorio guidato da Rosa Otumbayeva – già Am-

basciatore a Washington e Londra – si dimostrò

incapace di riportare l’ordine nel paese, e, soprat-

tutto, di porre fine agli scontri etnici cui il crollo

del precedente regime aveva dato la stura. Scon-

tri etnici particolarmente cruenti nel sud, tra le

province di Osh e Jalalabad, dove la minoranza

uzbeka si era rivoltata ed aveva cominciato una

Di fatto l’Asia Centrale non ha conosciuto, prima di una ventina

d’anni fa, altro tipo di Stato che non fosse il dominio imperiale russo nelle

sue diverse declinazioni

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

58

guerra civile con la maggioranza kirghisa , con un

bilancio di oltre duemila morti in pochi giorni. E

soprattutto con decine di migliaia di uzbeki che

fuggivano dalle loro terre sotto la pressione kir-

ghisa, premendo sui confini della vicina Repub-

blica dell’Uzbekistan, dando luogo ad una vera

e propria emergenza umanitaria. E, soprattutto,

lasciando chiaramente intravvedere il concreto

rischio di un vero e proprio conflitto regionale tra

Uzbekistan e Kirghizistan, capace di incendiare

tutto il centro Asia. Una situazione di emergen-

za che dimostrò come il “global player”, ovvero

le Grandi Potenze i cui interessi convergono sulla

regione – USA e Russia, naturalmente, ma anche

la Cina, interessata sia per il passaggio di impor-

tanti pipeline, sia per la prossimità della zona con

la provincia dello Xijn Jang, il turbolento Turke-

stan cinese – non fossero preparate né disposte

ad un intervento diretto – che necessitava anche

di un accordo preventivo, vista la compresenza

in territorio kirghiso di basi militai sia americane

che russe – volto a porre fine alla guerra civile e

a sedare il conflitto. Questa indisponibilità, o me-

glio impossibilità di Washington e Mosca ad un

intervento risolutivo apriva, dunque, la strada al

rischio tanto del dissolvimento dello Stato kirghi-

so, quanto di una guerra regionale, con pesanti

ricadute generali, vista anche la prossimità con

l’Afghanistan. E fu solo per l’intervento del Ka-

zakhstan che la situazione trovò una soluzione e

la crisi venne acquietata. Infatti, il Presidente Na-

zarbayev, forte tanto degli stretti rapporti amicali

con il Cremlino, quanto della collaborazione con

la Casa Bianca e la NATO nel frenare la diffusione

la diffusione della guerriglia jihadista in Asia Cen-

trale, si propose nel ruolo di mediatore tra uzbeki

e kyrghisi. E, dosando abilmente la spada – ovve-

ro la minaccia di un diretto intervento militare

– con la feluca – una sottile azione diplomatica a

360° – riuscì ad evitare il dilagare della guerra, ad

impedire l’implosione del Kirghizistan e a ridurre

progressivamente l’emergenza umanitaria degli

uzbeki in fuga. Un ruolo che Astana aveva, per

altro, già dovuto necessariamente addossarsi an-

che nel 2005, durante le crisi attraversata dall’Uz-

bekistan in occasione delle rivolte che fecero per

un momento vacillare il Governo di Karimov. E

soprattutto riproposto con maggiore nettezza e

decisione di fronte al rischio dell’esplodere delle

cosiddette “guerre per l’acqua”.

La minaccia delle guerre per l’acqua

La sicurezza dell’intera Asia Centrale, come ab-

biano visto già precaria, potrebbe ulteriormente

venire messa a rischio da una “guerra per l’acqua”

che incombe su questo quadrante critico del-

la geo-politica e della geo-economia mondiale.

Dove, appunto, le tensioni per il controllo e la ge-

stione delle risorse idriche sono andate crescendo

esponenzialmente, anno dopo anno, sin dall’im-

plosione dell’Impero Sovietico. Quadrante critico,

non solo per molte ben note ragioni - in primo

luogo perché area di importante produzione di

gas naturale e petrolio, destinata, secondo tutti

gli analisti internazionali, a divenire sempre più

importante nei prossimi decenni, visto che i gia-

cimenti dell’Asia Centrale e del Caspio rappresen-

tano la più grande riserva mondiale di idrocarburi

ancora in gran parte da sfruttare. E importante

anche perché per quella regione passano e si di-

ramano le pipeline – gasdotti ed oleodotti – che

vanno ad alimentare i sistemi industriali dell’Oc-

cidente da un lato e dall’altro quelli, sempre più

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

59

“assetati” dei Colossi orientali, in primo luogo la

Cina, poi l’India, il Giappone e tutti gli altri “pa-

esi emergenti” dell’area pan-pacifica. Basterebbe

questo a far comprendere il grado di pericolosi-

tà che potrebbe assumere per tutto il mondo un

conflitto che scoppiasse in questa regione per il

controllo delle risorse idriche. Il “Cuore del Mon-

do” è infatti, da tempo, inquietato da una tensio-

ne per il controllo e la gestione delle risorse idri-

che. L’implosione del sistema sovietico ha portato,

fra le altre conseguenze, alla frantumazione di un

sistema di cooperazione e redistribuzione delle

risorse che innervava tutta la regione. Si è, così,

venuta a creare una situazione per molti versi pa-

radossale: alcuni paesi, in particolare Kirghizistan

e Tagikistan, detengono nei loro territori le “fon-

ti” – o, più esattamente, il corso superiore - dei

due grandi fiumi che alimentano i sistemi irrigui e

quelli idroelettrici di tutta la regione, il Syr Darya

e l’Amu Darya. Per sovramercato, poi, questi stessi

due paesi sono quelli più “poveri” di altre risor-

se naturali, in particolare sostanzialmente privi

di riserve consistenti di idrocarburi. Inevitabile,

quindi, che abbiano cercato sin dai primi anni

della loro indipendenza, e continuino a cercare

ancor oggi di sfruttare al massimo quelle risorse

idriche che ritengono “loro proprietà” e ricchezza

privilegiata, ma dalle quali dipendono i sistemi

agricoli, e gli stessi eco-sistemi, di tutta la regio-

ne centro-asiatica. Così il crescente sfruttamento

delle acque, con la costruzione di grandi centrali

energetiche in Kirghizistan e Tagikistan, rischia di

minacciare gli interessi di Kazakhstan, Uzbekistan

e Turkmenistan, provocando una penuria d’acqua

nel periodo caldo che provoca siccità, con conse-

guenti, pesanti, ricadute sull’agricoltura locale; e,

all’opposto, minacciando gli stessi paesi di piene

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

60

e inondazioni devastanti nella stagione piovosa.

Di qui uno stato di tensione che sta via via preoc-

cupando tutte le Cancellerie del mondo, in parti-

colare Mosca che teme l’esplodere di conflitti in

paesi con lei confinanti, ed a lei profondamente

legati per storia e cultura. Una preoccupazione

che è stata, di recente, espressa chiaramente dal

Comandante delle Forze militari terrestri rus-

se, Vladimir Chirkin, che ha parlato rischio per

la sicurezza degli equilibri globali rappresentato

dall’esplodere di un conflitto di questo tipo, so-

prattutto in concomitanza con il prossimo ritiro

della NATO dall’Afghanistan. Un timore condiviso

anche da Washington, almeno secondo la fonte,

solitamente ben informata, del sito “EurasiaNet”,

specializzato nell’analisi dei problemi e degli sce-

nari dell’Asia Centrale.

Due i focolai centro-asiatici di un “rischio con-

flitto” per l’acqua. Quello fra Kirghizistan e Ka-

zakhstan per il corso dello Syr Darya, che un tem-

po era noto ai greci di Alessandro come Iaxartes,

e quello fra Tagikistan ed Uzbekistan per il con-

trollo delle acque dell’Amu Darya, l’antico Oxus.

Le cause di un conflitto per il Syr Darya sono

state, però, progressivamente depotenziate in

questi due decenni post-sovietici dalla politica e

dall’azione diplomatica di Astana. Dove il Presi-

dente Nursultan Nazarbayev ha, pazientemente,

tessuto una serie di accordi con il Kirghizistan, in

sostanza cercando di portare avanti il progetto di

una cooperazione inter-regionale che venisse a

colmare il pericoloso vuoto lasciato dall’implosio-

ne dell’URSS. Una tessitura resa non certo facile

dalla passata instabilità politica del Kirghizistan,

ma che ha portato nel 2011 – dopo appunto la

mediazione kazaka che ha sedato i rischi di un

conflitto civile nella vicina Repubblica - ad un

accordo fra Astana e Bishkek per lo scambio reci-

proco di risorse. Da un lato il Kazakhstan – come

si è visto il paese economicamente e socialmente

più avanzato della regione, nonché il più stabile,

e ponte naturale fra Europa ed Asia – con le sue

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

61

immense ricchezze di idrocarburi ed altre materie

prime, dall’altro il Kirghizistan, che per puntare

allo sviluppo avrebbe dovuto sfruttare pesante-

mente le risorse idroelettriche, a detrimento degli

interessi del vicino. Con gli accordi promossi da

Nazarbayev, dunque, si potrà realizzare un equi-

librio nello sfruttamento a fini idroelettrici delle

acque del Syr Darya, che permetterà al Kirghi-

zistan uno sviluppo industriale – in forza delle

forniture privilegiate di idrocarburi kazaki – senza

danneggiare l’agricoltura del paese vicino e senza

sconvolgere l’ecosistema della regione. In pratica

tra Kazakhstan e Kirghizistan si sta realizzando

l’embrione di una nuova zona di cooperazione,

che, se estesa, potrebbe portare all’alba di una

nuova stagione di prosperità per tutta la regio-

ne centro-asiatica. E, come effetto collaterale,

mettendo in sicurezza tutto quel delicato “per-

no” degli equilibri globali. Tant’è vero che l’Onu

ha indicato proprio nella strategia politica e di-

plomatica del Kazakhstan, e nell’accordo recente

con il Kirghizistan, un “modello” da seguire. Da

seguire, innanzi tutto, nella regione, dove, invece,

la tensione fra il Tagikistan – che, puntando tutto

sullo sfruttamento idroelettrico sta costruendo a

Rogun una gigantesca centrale che dovrebbe en-

trare in funzione nel prossimo 2015 – e l’Uzbeki-

stan sta giungendo al calor bianco. Con Rogun a

pieno regime infatti l’agricoltura di intere regioni

dell’Uzbekistan si troverebbe a dover affrontare

una continua alternanza fra siccità e inondazioni

devastanti, con conseguenti, gravissime ricadute

sulla vita della popolazione e inevitabili contrac-

colpi sulla stabilità politica. Urgente, dunque, se-

guire l’esempio dell’accordo tra Kazakhstan e Kir-

ghizistan. Come ha detto l’on. Riccardo Migliori,

Presidente emerito dell’Assemblea Parlamentare

dell’OSCE: “La posizione del Kazakhstan per di-

rimere le frizioni in quest’area sulla questione

legata alle risorse idriche è metodologicamente

perfetta.” E rappresenta, appunto, il primo em-

brione di un possibile tessuto di cooperazione

d’area cui, da tempo, punta la politica di Asta-

na. Dove Nazarbayev cerca di realizzare, a fianco

della nascente Unione Economica Eurasiatica – di

cui il Kazakhstan rappresenta un pilastro accanto

alla Russia – una sorta di nuovo, per molti versi

inedito, sistema di sinergie che, innervando tutta

l’Asia Centrale, porti a depotenziare le cause di

tensione e ad avvicinare paesi storicamente e po-

liticamente affini.

La nuova Via della Seta

In questa direzione - ovvero quella di una strate-

gia politica volta ad integrare la regione centro-

asiatica nel contesto di nuovi equilibri mondiali,

depotenziando così le cause di conflitto – va let-

to anche il fondamentale e strategico progetto

di una grande rete ferroviaria eurasiatica varato

dalla SCO, in un summit tenutosi a Bishkek, la

capitale del Kirghizistan, nel 2013. Un progetto

del quale Astana è stata ed è, con Pechino, uno

dei principali promotori. Una lunghissima strada

ferrata che dalla Cina dovrebbe giungere in Euro-

pa, passando attraverso Kazakhstan, Uzbekistan e

Turkmenistan; un nuovo corridoio internaziona-

le che – ripristinando i fasti dell’antica Via del-

la Seta – collegherebbe l’Oceano Pacifico con il

Mar Baltico e, a sud, con il nostro Mediterraneo,

abbattendo barriere doganali e riducendo tempi

e costi per l’interscambio delle merci. Un inter-

scambio già oggi di dimensioni ciclopiche, e de-

stinato a crescere visto che persino le stime più

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

62

prudenti ipotizzano entro il 2020 un traffico di

circa 240 milioni di tonnellate di merci, per un

importo complessivo pari ad 1,8 miliardi di dol-

lari di fatturato. E questa nuova infrastruttura

permetterebbe di ridurre drasticamente i tempi

di percorrenza e quindi i costi: solo 10 giorni a

fronte dei 45 necessari al trasporto marittimo ed

alle due settimane necessarie utilizzando l’ormai

vecchia Transiberiana. Inoltre, questa nuova rete

di trasporto favorirebbe, lungo tutto il suo per-

corso, il sorgere di nuovi distretti industriali, con

notevoli ricadute soprattutto per le repubbliche

centro-asiatiche, e, di conseguenza generereb-

be condizioni favorevoli ad una progressiva in-

tegrazione della regione. Ovvio, a questo punto,

pensare che la recente Unione doganale Russia-

Kazakhstan-Bielorussia e la prospettiva di una

vera e propria Unione Economica Eurasiatica non

potrebbero che trarre vantaggi da tale opera in-

frastrutturale. Che, come dicevamo, vede appun-

to Astana fra i principali promotori ed investitori.

L’Unione Economica Eurasiatica. L’ottica di Astana e quella di Mosca

E veniamo alla, nascente, Unione Economica Eura-

siatica, della quale il Kazakhstan è, come si diceva,

uno dei pilastri portanti insieme alla Russia. Si trat-

ta, per ora, di un’unione doganale che unisce Rus-

sia, Kazakhstan e Bielorussia, ma che ha vaste pro-

spettive di allargamento, visto che già l’Armenia

ha chiesto di entrarvi e molte Repubbliche dell’A-

sia Centrale vi guardano con interesse. Un’Unione

che, per altro, potrebbe assumere un forte potere

di attrazione ben al di là dei confini dell’ex URSS,

visto che la crisi in cui versa attualmente l’Unione

Europea potrebbe spingere n questa direzione pa-

esi sino ad ora tenuti ai margini dai salotti buoni

di Bruxelles, come la Serbia, potenza economica

emergente dell’area ex-jugoslava e, soprattutto, la

Turchia. Tuttavia, in questo caso, usare il condizio-

nale è d’obbligo, in quanto tutto dipende dall’im-

postazione politica che verrà data a questa Unione

Eurasiatica. La cui prima idea albeggiò proprio ad

Astana ancora negli anni caotici di Eltsin, in cui la

Russia versava in situazioni di grave difficoltà; fu

allora che il Presidente del Kazakhstan Nursultan

Nazarbayev, cominciò a propugnare la necessità

di far sorgere sulle macerie dell’URSS una nuova

forma di Unione, che definì “Eurasiatica” in forza

tanto dell’evidenza geopolitica, quanto della sto-

ria e dei legami culturali. Unione, però, fra “liberi”,

che favorisse lo viluppo di una nuova, vasta area

di pace e prosperità creando le sinergie necessarie

fra le nuove repubbliche, tutte, in certo qual modo,

in difficoltà a causa della frantumazione delle

strutture portanti dell’impero sovietico. L’idea di

Nazarbayev, poi, ha preso concretezza quando al

Cremlino è entrato Vladimir Putin.

Tuttavia fra Mosca ed Astana intercorrono, al di là

della stretta collaborazione, alcune notevoli diffe-

renze. La visione kazaka è, infatti, rigorosamente

eurasista, e proiettata necessariamente al dialogo

con i paesi dell’area turcofona del centro Asia, del

Caucaso e con la stessa Turchia. Inoltre ad Astana

non si vuole interpretare la nuova Unione in anta-

gonismo né con la UE, né tantomeno con Washing-

ton e la NATO, realtà con le quali il Kazakhstan in-

trattiene ottimi rapporti di collaborazione a tutti i

livelli, da quello economico a quello della sicurezza

internazionale, tanto da essere arrivato a rivestire

nel 2010 il ruolo di Presidenza dell’OSCE, primo, ed

oggi unico, paese ex-sovietico. Su un altro fron-

te, poi, il Kazakhstan è anche membro attivo della

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

63

SCO, la Shangai Cooperation Organization, della

quale, certo, fa parte anche Mosca, ma che, con

tutta evidenza, è uno degli strumenti privilegiati

della politica estera di Pechino. Di qui una visione

dell’Unione Economica Eurasiatica come ponte fra

Oriente ed Occidente, non causa di antagonismi e

frizioni, bensì soggetto attivo nel cooperare alla

costruzione di un nuovo, stabile, sistema di equi-

libri internazionali. Un ruolo che il Kazakhstan ha

cercato, in questi anni, di declinare ed interpretare

con la sua politica estera. E con alcune iniziativa

internazionali particolarmente notevoli. Tali da

aver portato il paese centro-asiatico a giocare più

di una volta un ruolo non secondario sulla scena

geopolitica generale. A cominciare dalla collabo-

razione fra le Forze Armate kazakistane e la NATO

nel contrastare i tentativi di infiltrazione dei gruppi

jihadisti in tutta la regione – tentativi organizzati

dalla già citata IMU in sinergia con i Talebani af-

gani, e volti alla creazione di un Califfato in Asia

Centrale – sino all’importanza che Astana assume-

rà presto a fronte del progressivo ritiro delle forze

della NATO dall’Afghanistan, che, appunto, avverrà

in buona parte, attraverso il territorio e le basi del

Kazakhstan. Ruolo importante, e reso ancora più

rilevante dal fatto che Astana ha sempre cercato,

in questi anni di violenti conflitti, di promuovere

in territorio afgano politiche civili e sociali atte a

depotenziare le tensioni e tali da favorire una paci-

ficazione interna. Poi vi è stata l’iniziativa, assunta

in prima persona dallo stesso Nazarbayev, di offrire

una via d’uscita a Teheran e Washington nel mo-

mento in cui, sotto la presidenza di Ahmadinejad,

sembrava che le relazioni (se tali è lecito definirle)

tra i due paesi fossero sul punto di degenerare in

uno scontro militare diretto. Punto dolente, com’è

noto, la questione del “nucleare iraniano”, che gli

States ed Israele temevano – e in parte ancora te-

mono, nonostante il volto più rassicurante della

presidenza Rohani – volto a costruire un minac-

cioso arsenale strategico. Una questione contro-

versa, ché ai veti della Casa Bianca, l’Iran contrap-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

64

poneva il suo diritto, indiscutibile, allo sviluppo del

nucleare per usi civili ed industriali. A quel punto,

di fronte ad uno stallo sempre più minaccioso, Na-

zarbayev avanzò la proposta della creazione di una

sorta di “banca dell’uranio arricchito”, ovvero un

luogo, sotto il controllo degli emissari dell’ONU,

ove fosse possibile ad un paese ottenere dell’ura-

nio arricchito a bassa intensità, atto quindi ad usi

civili, ma non a quelli militari. Proposta – che per

altro trovò un’approvazione di massima da parte di

tutte le principali potenze al G20 di Seul – che si

fonda sull’esperienza in materia di nucleare del Ka-

zakhstan, in possesso, dopo il crollo dell’URSS, del

terzo arsenale atomico mondiale. Al quale, però,

ha rinunciato motu proprio – caso praticamente

unico sulla scena internazionale – trasformando il

vecchio poligono atomico sovietico di Semipala-

tinsk da base militare in centro per la dismissione

degli armamenti nucleari, e sviluppando, di con-

seguenza, un’esperienza tecnica che metteva a

disposizione della comunità internazionale. Pro-

posta, quella kazaka, al momento accantonata, in

conseguenza dell’allentarsi della tensione fra Iran

e States, ma che continua a restare valida a fronte

dei rischi sempre incombenti di conflitti nucleari in

varie parti del globo.

Bajkonur. Da simbolo della Guerra Fredda a luogo di cooperazione internazionale

D’altro canto, il simbolo della politica internazio-

nale del Kazakhstan è perfettamente rappresen-

tato da Bajkonur. L’antico cosmodromo dell’era

sovietica, quello da cui partì Yuri Gagarin, è

infatti ancor oggi la più grande, ed attiva, base

per lanci spaiali, ma ha di fatto cambiato il suo

volto simbolico. Da simbolo della Guerra Fredda

e della competizione tra Super-potenze – in anti-

tesi all’ormai dismesso Cape Canaveral – a luogo

emblematico del dialogo e della cooperazione

internazionale nella corsa allo spazio. Infatti, il

governo del Kazakhstan, che con l’indipendenza

si è trovato in eredità Bajkonur, dopo un primo

momento di difficoltà –nel quale, per assenza di

mezzi, dovette di fatto affittare il cosmodromo

a Mosca – non ha, in questi vent’anni, soltanto

sviluppato un progetto ed una propria industria

aereospaziale, ma ha proceduto ad una sorta di

“internazionalizzazione” della base. Dalla quale

oggi partono missioni tanto russe che americane;

dalla quale lanciano nello spazio i loro satelliti per

le telecomunicazioni gli europei e alcuni paesi

arabi, e la stessa Israele... simbolo, appunto, della

possibilità di dare impulso ad una cooperazione

internazionale e di definire nuove regole comuni

condivise nella Geopolitica dello Spazio, evitando

quell’anarchia, quella sorta di futuristica “guerra

di corsa” nelle distese degli oceani stellari che po-

trebbe diventare il nuovo, minaccioso teatro del

Grande Gioco2.

Da tutti questi elementi è possibile evincere con

chiarezza come la strategia internazionale di

Astana non sia dettata da una navigazione a vi-

sta, ma stia prendendo piuttosto, la forma di un

progetto di ampio respiro. Progetto, che lo stesso

Presidente Nazarbayev ha esplicitamente formu-

lato in un suo recente saggio programmatico: “Il

Kazakhstan è parte integrante di questo mondo,

e partecipa pienamente, in questo momento dif-

2. Sul tema si veda “Da Baikonur alle stelle. Il Grande Gioco spaziale” Vox Populi, Pergine Valsugana (Trento) 2013.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

65

ficile, del processo iniziale di globalizzazione. Fin

dai primi giorni di Indipendenza, compresi bene

che la pace, l’armonia e la sicurezza nel nostro

nuovo Paese multietnico, sotto molti aspetti,

potevano essere saldamente garantiti solo nel

contesto di soluzioni regionali e globali. Pertanto,

sviluppando e ben organizzando il nostro natio

Kazakhstan, abbiamo risolto non solo i complessi

problemi interni relativi alla formazione di una

nuova economia nazionale, una nuova società,

un nuovo Stato. Abbiamo anche confrontato

i nostri piani con le linee di tendenza dello svi-

luppo globale e regionale, studiando attentamente

tutto ciò che sta acca-

dendo intorno a noi nel

nostro quadrante geo-

politico e nel mondo.

Per avere successo nel-

la realizzazione della

nostra strategia a lun-

go termine di sviluppo

– che abbiamo voluto

chiamare “Kazakhstan

- 2030” - abbiamo preso accuratamente in consi-

derazione la totalità dei fattori globali e regiona-

li, esordendo felicemente sul piano della politica

estera... La ricerca della migliore formula per an-

dare verso un ordine mondiale più equo è sempre

stata una delle questioni centrali che hanno oc-

cupato pensatori e scienziati, leader politici ap-

partenenti a varie epoche e nazioni. Divenendo,

infine, l’esigenza fondamentale di questa moder-

na della globalizzazione, quando si è reso eviden-

te che sono necessari enormi sforzi collettivi per

garantire lo sviluppo sostenibile dell’economia

mondiale e delle relazioni internazionali.

Il 24 maggio 2012, ho incontrato un gruppo di

studiosi autorevoli ed economisti di fama mon-

diale, giunti al V Forum Economico di Astana. Tra

i partecipanti al meeting vi erano i premi Nobel

Robert Mundell, Edward Prescott, John Nash, Eric

Maskin, Robert Aumann, Finn Kydland, Christo-

pher Pissarides, Murray Gell-Mann, Ada Tsonat,

Richard John Roberts e Carrie Banks Mullis.

Durante la conversazione si affrontò l’argomento

dello stato dell’economia mondiale, che nel 2009

si trovava in una situazione assai difficile a causa

della crisi globale.

Alla vigilia del mio

discorso alla sessione

plenaria del Forum

economico di Astana,

ho dato una valuta-

zione dettagliata del-

le ragioni dello stato

di crisi dei mercati

globali e ho espresso

l’idea secondo cui sia

necessario affrontare i problemi globali in una

nuova, più vasta ed ariosa prospettiva. I miei in-

terlocutori hanno evidenziato che nel mondo di

oggi si nota un chiaro deficit di concezioni posi-

tive e di tolleranza nell’ordine mondiale. Nel suo

vorticoso sviluppo tecnologico il nostro pianeta è

andato avanti, ma molti dei principi e dei metodi

di gestione inerenti all’economia mondiale, alle

relazioni internazionali sono sostanzialmente

rimasti indietro, gravati dal fardello dell’eredi-

tà, certo non positiva, dell’epoca precedente. La

mancanza di fiducia tra gli Stati continua ad

3. Dall’introduzione al saggio del Presidente Nazarbayev sul progetto G-Global, in corso di pubblicazione per i tipi di Vox Populi.

La crisi di Kiev ha visto il Kazakhstan al centro dell’attenzione della

diplomazia internazionale. E lo stesso Nazarbayev, in forza proprio di quella

politica di equilibrio di cui abbiamo parlato, è stato di fatto considerato

l’unico mediatore credibile tra le potenze occidentali e la Russia

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

66

ostacolare l’adozione di soluzioni adeguate al

superamento della crisi economica globale. Gli

studiosi hanno assecondato la mia idea circa

l’ordine mondiale del XXI secolo, che ho suggerito

di chiamare G-GLOBAL. Questa iniziativa è stata

approvata dall’élite scientifica e politica di vari

Paesi del mondo, riuniti al V Forum economico

di Astana.”3

È evidente che un progetto di tale respiro determi-

na anche una specifica visione del ruolo che dovrà

assumere, nel tempo, la nascente Unione Econo-

mica Eurasiatica. Tuttavia proprio su questo punto

nodale potrebbero insorgere, secondo alcune fonti

ed osservatori, notevoli problemi fra Astana e Mo-

sca. Dove alcune componenti del nuovo establi-

shment politico tendono ad interpretare la CEEu

come una proiezione della rinnovata ambizione

del Cremlino; come strumento per ritornare a tutti

gli effetti Super-potenza globale e, di conseguen-

za, in aperta competizione con Washington e, più

velatamente, con Pechino. Naturalmente stiamo

parlando solo di una tendenza, che non è affat-

to detto sia prevalente nelle “segrete stanze” del

potere moscovita, dove, all’ombra di Putin, si con-

frontano e scontrano diversi gruppi, fautori di con-

cezioni sovente diversissime del futuro della Russia

e dei fini dell’Unione Eurasiatica. D’altro canto lo

stesso Putin si è sempre dimostrato ben coscien-

te dell’improponibilità di una nuova versione del

vecchio imperialismo russo-sovietico, nonché della

necessità di non confliggere con il fondamentale

partner kazako.

In questo quadro è però venuta a cadere come

una vera e propria bomba la crisi ucraina. Non è

qui il luogo per entrare nel merito delle cause, ap-

parenti ed occulte, di questa crisi che, oltre a sca-

tenare un vero conflitto civile nel cuore dell’Eu-

ropa, sta rimettendo in discussione gli equilibri

internazionali e facendo soffiare venti gelidi sui

delicatissimi rapporti fra Oriente ed Occidente. Ci

preme, invece, mettere in rilievo come questa cri-

si rischi di influenzare la politica futura di Mosca,

sino al punto di incidere negativamente nei rap-

porti con i suoi attuali partner eurasiatici e con

lo stesso Kazakhstan. Infatti, per reazione ai fatti

accaduti in Crimea e, soprattutto, alla vera e pro-

pria guerra civile nel Dombas – russo per popo-

lazione e storia, ma assegnato all’Ucraina, all’atto

della creazione dell’URSS negli anni ’20, per vo-

lontà dello stesso Lenin – in tutta la Federazione

Russa si è diffuso un crescente nazionalismo che

esplicitamente mira a riunificare sotto Mosca

tutte le terre e le province popolate da russi o

russofoni restate separate dopo la fine dell’era

sovietica. Violento sciovinismo che il Cremlino

sembra intenzionato a cavalcare, probabilmente

perché vi vede l’unica arma di propaganda da po-

ter contrapporre efficacemente all’indicibile Soft

Power messo in campo da Washington e dai suoi

alleati4. Tuttavia quest’arma rischia di sfuggire di

mano al Cremlino e suscita forti preoccupazioni

in tutti suoi vicini ed alleati, che temono di di-

venire prossimo teatro di rivolte delle minoranze

russe interne. Timore che, diffondendosi, potreb-

be avvallare le tesi degli avversari dell’Unione

Economica Eurasiatica, di coloro che la vedono

4. Un’autentica tempesta mediatica che, di fatto, ha imposto a livello globale la vulgata che vuole la Rivolta di Piazza Maidan come un moto autenticamente democratico, il nuovo governo, alito al potere non con il potere, ma con un golpe, come legittimo, mentre presenta come un sopruso imperialistico le rivendicazioni dei russofoni di Crimea e Dombas. Mettendo a tacere tutte le voci discordanti, e passan-do in secondo piano autentici massacri, perpetrati dalle nuove forze di sicurezza ucraine, come quello del rogo di Odessa. Dimostrazione, ancora una volta, del gap di comunicazione che separa Mosca dal suo competitor statunitense.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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solo come il ritorno delle ambizioni imperiali del

Cremlino. Di qui una situazione delicatissima, che

proprio in occasione della crisi di Kiev ha visto il

Kazakhstan al centro dell’attenzione della diplo-

mazia internazionale. E questo perché lo stesso

Nazarbayev, in forza proprio di quella politica di

equilibrio di cui abbiamo parlato, è stato di fat-

to considerato l’unico mediatore credibile tra le

potenze occidentali e la Russia. Tanto che il te-

lefono del Palazzo Presidenziale di Astana deve

essere diventato addirittura rovente con Obama,

Cameron e le Merkel che telefonavano “all’amico

Nazarbayev” per chiedergli di farsi mediatore di

un accordo di pace, o almeno di una tregua si-

cura, con Putin. Troppo presto, e troppo poche le

informazioni, in questo momento estremamente

critico, per poter anche solo avanzare una qual-

che ipotesi sulla possibilità che tale mediazione

del Presidente del Kazakhstan riesca a sortire ef-

fetti e a decantare l’attuale stato di tensione. È

però inevitabile constatare come tali richieste di

Il cosmodromo di Bajkonur

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

68

intervento costituiscano di per se stesse un im-

portante riconoscimento del ruolo assunto dal

Paese in questi ultimi anni. Ruolo non soltanto,

come si diceva, di “pivot geopolitico regionale”,

ma proiettato sugli scenari globali, in forza non

solo della sempre più rilevante economia interna,

ma anche, e forse soprattutto, della complessa

tessitura di una rete di relazioni internazionali,

portata avanti con acribia, equilibrio e pazienza.

Ruolo cui, per altro, il Kazakhstan è in certo qual

modo vocato per la sua stessa posizione geogra-

fica. È infatti la terra dove, secondo le vecchie

carte geografiche, passa il confine tra Europa ed

Asia; confine più immaginario che altro, tanto

che il Kazakhstan finisce, con le sue vaste distese,

con il costituire un ponte naturale, una via pri-

vilegiata di comunicazione fra i due mondi per

troppo tempo considerati remoti ed oggi, invece,

sempre più vicini.

Il Kazakhstan e l’ONU

In quest’ottica va letta la candidatura, recentemen-

te avanzata da Astana, ad un seggio come membro

non permanente del Consiglio di Sicurezza delle

Nazioni Unite, che potrebbe venirle assegnato in

base ai principi vigenti di rotazione geografica e

ai criteri di equa e adeguata rappresentanza nel

Consiglio di tutti i paesi membri. Richiesta che il

Kazakhstan ha presentato ricordando il proprio

impegno ventennale per la pace e i diritti umani,

l’azione svolta, in sinergia con l’ONU e altri Paesi

contro le minacce transnazionali – quindi la lotta

al terrorismo – la politica sempre improntata ad

una visione multilaterale degli equilibri mondiali e

contraria ai rigidi antagonismi fra Blocchi; e senza

dimenticare l’importante ruolo cui ha assolto, e cui

continua ad assolvere per il disarmo nucleare. E ha

ricordato che:

•Il paese stabile, in crescita e pacifico con un

medio livello di reddito e con l’economia con la

più rapida crescita nel mondo ha raggiunto gli

obiettivi millenari nell’ambito dello sviluppo e de-

gli standard internazionali;

•Il leader riconosciuto nel campo della sicurezza

nucleare e di non proliferazione;

•Conferisce un contributo significativo nella si-

curezza alimentare ed energetica;

•Con la sua posizione attiva nella mediazione e

nel rafforzamento della fiducia riveste un ruolo

chiave nell’ambito della sicurezza della comunità

euroatlantica ed euroasiatica;

•Un mediatore onesto, noto con la sua impar-

zialità, con un approccio equilibrato, efficace e

neutrale in diplomazia multilaterale;

•Rappresenta l’Asia Centrale ed è pronto a rap-

presentare i problemi regionali nell’ambito del

Consiglio della Sicurezza;

•Mira a cooperare con altre organizzazioni inter-

nazionali e regionali nelle diverse parti del mon-

do al fine di risolvere i problemi comuni vitali di

sicurezza;

•Il Kazakhstan, paese in grande sviluppo, come

tutte le altre nazioni senza sbocco sul mare, si

rende pienamente consapevole della situazione

geografica svantaggiata, a cui si aggiungono i

paesi con grande linea costiera o i piccoli paesi

insulari in via di sviluppo, minacciati dall’aumen-

to del livello del mare.

•Sta diventando sempre più visibile sul panora-

ma mondiale con i suoi impegni nel sostenere la

diplomazia multilaterale con una vasta esperien-

za nella risoluzione delle questioni della sicurez-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

69

za, indirizzate al Consiglio della Sicurezza delle

Nazioni Unite dove ha decisamente introdotto le

nuove prospettive.5

Di fatto una sintesi, di per sé già esaustiva, della

sua storia recente, nonché delle strategie diplo-

matiche e geopolitiche poste in essere dall’indi-

pendenza ad oggi.

Ed è significativo che tale candidatura sia stata

presentata per il biennio 2017/2018. Perché pro-

prio nel 2017 la capitale del Kazakhstan, Astana,

ospiterà l’Expo della durata di tre mesi. Una ve-

trina importantissima non solo per la fiorente

economia del Paese, ma anche, e soprattutto,

per l’immagine di una giovane Repubblica che ha

saputo interpretare con intelligenza il ruolo sulla

scena internazionale che la storia e la geografia

le hanno assegnato.

Andrea MarciglianoSenior fellow “Il Nodo di Gordio”

5. Citazione dal documento ufficiale con cui il Kazakhstan ha avanzato la propria candidatura al Consiglio di Sicurezza per il 2017/2018.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

70

l lago Zajsan è uno dei luoghi dove le

relazioni sino-russe hanno iniziato, nel

bene e nel male, a instaurarsi a cavallo tra

il XVII e il XVIII secolo. Questo luogo incontaminato si

trova oggi in Kazakhstan, una Repubblica che negli

ultimi dieci anni ha svolto un incontestabile ruolo di

perno1 nel mondo delle relazioni mondiali e regionali.

Nello specifico, la Repubblica del Kazakhstan è riusci-

ta a essere il raccordo tra Federazione Russa e Repub-

blica Popolare Cinese, e, in modo più generale, tra Est

e Ovest, Nord e Sud, utilizzando (anche) uno dei più

importanti strumenti di politica internazionale attivi

oggi nel mare magnum delle organizzazioni interna-

zionali: la Cooperazione di Shanghai (SCO)2.

di Marcello Ciola

Il Kazakhstan nella Cooperazione di Shanghai. Una potenza regionale al centro della politica mondiale

La Repubblica del Kazakhstan è riuscita a essere il raccordo tra federazione Russa e Repubblica Popolare cinese, e, in modo più generale, tra Est e ovest, Nord e Sud

I

1. Definire il ruolo del Kazakhstan “ruolo di ponte” sarebbe estrema-mente riduttivo, in quanto quest’ultima definizione potrebbe lasciare intendere un ruolo più passivo che attivo all’interno delle relazioni internazionali. Il ruolo di perno, invece, è tanto attivo quanto fonda-mentale per il corretto funzionamento delle relazioni internazionali. 2. La Cooperazione di Shanghai o Shanghai Cooperation Organisation è un’organizzazione regionale antiterrorismo fondata nel 2001 di cui fanno parte Russia, Cina, Repubbliche centroasiatiche (escluso il Tur-kmenistan) e altri membri osservatori e partner di dialogo. Per ulteriori informazioni, consultare il sito ufficiale http://www.sectsco.org/.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

71

Già membro dello Shanghai Five3, il Kazakhstan

è uno degli Stati fondatori della Cooperazione di

Shanghai ed è attualmente uno degli attori più

attivi al suo interno oltre che il terzo in ordine

di importanza militare, economica e politica.

La politica interna del Kazakhstan rappresenta

un’eccellente strategia al servizio della pacifica

e prospera coesistenza tra popoli con religioni

e tradizioni diverse tra loro; alla stessa maniera,

la SCO è una casa dove degli Stati con diverse

culture e tradizioni, ma simili obiettivi di politi-

ca estera4, riescono a convivere e cooperare in

maniera pacifica ed efficace. In questo senso, il

Kazakhstan riesce benissimo a sfruttare la sua

efficace politica interna in questo scenario mul-

tilaterale, rappresentando non solo una potenza

regionale, ma anche un importante attore globa-

le in grado di garantire equilibrio e distensione a

livello internazionale. Non è un caso che il kazako

Bolat Kabdylkhamitovich Nurgaliyev, già amba-

sciatore negli Stati Uniti, Sud Corea e Giappone,

fu prima eletto Segretario della SCO dal 2007 al

2010 (anno di presidenza kazaca) e in seguito im-

pegnato presso l’OSCE durante il periodo di Presi-

denza kazaca: la continuità e la trasversalità della

diplomazia multilaterale kazaca ha trovato soste-

gno da tutta la comunità internazionale e i risul-

tati ottenuti sono stati altrettanto apprezzati da

un eterogeneo numero di Stati e organizzazioni

internazionali. Dei successi diplomatici della SCO,

molti si sono avuti durante il periodo di presiden-

za kazaca e l’attività del Paese centroasiatico si è

contraddistinta sia per quanto concerne l’utiliz-

zo del soft power, sia per quanto riguarda il lato

della cooperazione militare e anche (e soprattut-

to) sul lato economico, essendo il Kazakhstan un

3. Organizzazione nata nel 1996 per risolvere le dispute di confine tra Cina e Stati nati dalla disgregazione dell’Unione Sovietica. 4. Tali obiettivi sono perseguiti tramite lo Shanghai Spirit, un approccio diplomatico basato su reciproca fiducia, mutui benefici, eguaglianza, consultazioni, rispetto per le diversità delle culture e aspirazione verso uno sviluppo comune che incarna l’aspirazione comune della comunità internazionale per l’attuazione della Democrazia nelle relazioni internazionali.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

72

punto di transito, produzione e smistamento di

risorse, energetiche e non, fondamentale per l’in-

tera Eurasia.

Soft power e attività diplomatica kazaka nel quadro SCO

Il processo d’integrazione promosso dal Ka-

zakhstan in ambito SCO parte innanzitutto con

un ottimo utilizzo del soft power e, quindi, della

cooperazione a livello culturale, di comunicazio-

ne e d’istituzioni politiche. Soprattutto durante

il periodo di segretariato di Nurgaliyev questa

peculiare capacità kazaka è emersa in maniera

evidente attraverso i diversi incontri interni ed

esterni al framework SCO promossi dal segretario

kazako. Per citare degli esempi, si potrebbe ricor-

dare la scrittura del piano d’azione sulla coopera-

zione sanitaria e ospedaliera5, volto a coordinare i

dipartimenti della salute dei diversi Stati membri

SCO per favorire non solo una ricerca integrata e

una condivisione di know-how in ambito sanita-

rio tra gli Stati, ma anche un più efficiente siste-

ma medico che in alcune zone dell’Asia Centrale

scarseggia in termini di infrastrutture, materiali e

personale preparato. Anche nel campo dell’edu-

cazione Nurgaliyev è stato in grado di mediare tra

le delegazioni degli Stati membri in modo che si

raggiungesse un accordo circa la condivisione di

piani di studio all’interno delle scuole e un rico-

noscimento tra i Paesi dei titoli di studio rilasciati

dai ministeri competenti6. La segreteria kazaka

della SCO è stata anche un’ottima occasione per

dare inizio a un processo di apertura verso nuovi

Stati membri e verso le relazioni con attori esterni.

Questo processo inciderà in maniera fondamen-

tale nella crescita politica dell’intera Cooperazio-

ne di Shanghai, Stati fondatori compresi. Nel giu-

gno 2007, in occasione del sesto anniversario dal-

la fondazione della SCO, ad Almaty, il Kazakhstan

International Institute of Modern Politics (KIIMP)

organizzò un incontro dove studiosi, esperti po-

litici e diplomatici provenienti da diversi istituti e

istituzioni, hanno discusso i temi dell’espansione

dell’organizzazione, i criteri di adesione, quelli per

diventare membri osservatori e partner di dialo-

go, quelli per la cooperazione con le altre orga-

nizzazioni internazionali e per la cooperazione tra

le diverse istituzioni della SCO quali il Business

Council, l’Interbank Consortium e l’Energy Club;

il KIIMP dovette poi raccogliere tutte le idee e

sintetizzarle in una lunga mozione da presentare

al seguente incontro di Bishkek7. Nello stesso pe-

riodo, la SCO a guida kazaka è stata protagonista

di numerosi incontri a livello internazionale come

quello nel giugno 2007 con il Sottosegretario ita-

liano agli Affari Esteri, Gianni Vernetti, in cui si

discusse dei rapporti tra l’area economica SCO e

l’Unione Europea e l’Italia in particolare, o quelli

con Cipro e poi Israele nel settembre successivo,

in cui si discusse dei rapporti politici in Medio

Oriente e delle relazioni economiche. Importante

è stata l’azione di mediazione tra Afghanistan e

SCO svolta da Nurgaliyev nell’autunno 2007, che

ha rappresentato la fase embrionale di quello che

diventerà lo SCO-Afghanistan Contact Group8.

5. Il primo incontro per discutere del piano d’azione si è tenuto tra il 5 e il 6 giugno del 2007. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2007, 31 dicembre 2007. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=97 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 6. Ibidem. 7. Ibidem. 8. Ibidem.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

73

Anche a livello di relazioni con altre organizza-

zioni internazionali, la SCO ha ricevuto un grosso

contributo da parte della gestione kazaka: i pro-

ficui incontri con i rappresentanti dell’Unione Eu-

ropea per l’Asia Centrale, Pierre Morel, e per l’Af-

ghanistan, Francesc Vendrell, rispettivamente nel

febbraio e nel marzo del 2008, ne sono solo un

esempio9. Un cenno va fatto anche all’attività di-

plomatica svolta congiuntamente all’Uzbekistan

in campo della non proliferazione di armi e test

nucleari: l’idea di creare un’Asia Centrale libera

da armamenti e test nucleari, nacque nel 2002 e

dopo 4 anni, l’8 settembre del 2006, presso il sito

per test nucleari di Semipalantisk in Kazakhstan

si raggiunse la firma del Trattato sulla denucle-

arizzazione dell’Asia Centrale (The Central Asian

Nuclear-Weapon Free-Zone, CANWFZ)10. È nel

settore delle emergenze umanitarie e ambientali

che il Kazakhstan, nel quadro della SCO, ha dato

un decisivo contributo; già dal 2002 la SCO tie-

ne incontri regolari a livello ministeriale sul tema

delle emergenze11, nel 2007 il governo kazako ha

deliberato un proprio piano di azione per gli aiuti

umanitari in Afghanistan da coordinare con gli

altri Stati membri SCO12, ma è in seguito al terre-

moto del 24 maggio 2008 in Sichuan, quando il

9. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=66 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 10. Entrato in vigore il 21 marzo del 2009, Secondo il trattato, ogni firmatario non poteva ricercare, sviluppare, fabbricare, accumulare, acqui-stare o possedere qualsiasi tipo di arma nucleare o dispositivo esplosivo nucleare; nessuno Stato contraente poteva poi prestare assistenza in una di queste azioni a terzi, né incoraggiare un’azione in questo senso. Gli Stati membri dovevano aderire all’Agenzia Internazionale sull’E-nergia Atomica e a tutti i suoi protocolli addizionali entro 18 mesi dall’entrata in vigore. James Martin Center for Non Proliferation Studies, The Central Asian Nuclear-Weapon Free-Zone, CANWFZ, 28 gennaio 2013. http://cns.miis.edu/inventory/pdfs/canwz.pdf [sito consultato il 18 aprile 2014]. 11. InfoSCO, Meeting of the SCO Ministers of Emergency Situations, 5 giugno 2009. http://infoshos.ru/en/?idn=4347 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 12. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2007, 31 dicembre 2007. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=97 [sito consultato il 18 aprile 2014].

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

74

Kazakhstan inviò immediatamente 3,6 milioni di

dollari in aiuti umanitari13, che i rappresentanti

kazaki presso la SCO iniziarono a proporre la crea-

zione di un unico centro per le emergenze situato

ad Astana14. Il centro non è stato ancora ufficial-

mente istituito ma continua ad essere uno dei

principali temi di discussione durante le riunioni

dei ministri incaricati15. Sempre per quanto con-

cerne le emergenze umanitarie, in occasione dei

disordini di Osh del giugno 2010, il Kazakhstan fu

il Paese che accolse il maggior numero di profu-

ghi minorenni tra tutti quelli dell’area SCO16.

Antiterrorismo ed esercitazioni militari: indipendenza, coerenza e multivettorialità

La SCO, nonostante la sua estrema duttilità in

ambito di politica internazionale, rimane nella

sostanza un’organizzazione regionale antiterro-

rismo; questa non solo ha al proprio interno gli

strumenti necessari per svolgere autonomamen-

te un’efficace azione contro gruppi fondamenta-

listi e separatisti, ma attraverso la sua peculiare

capacità di fare rete con altre organizzazioni in-

ternazionali riesce a coordinare la propria azione

con quella di altri attori in modo da aumentare

l’efficacia della propria strategia antiterrorismo.

Il Kazakhstan, rispetto ai suoi vicini, è stato uno

dei Paesi che meno ha sofferto la presenza di

fondamentalisti sul proprio territorio. Nonostan-

te questo, il Paese è sempre stato in prima linea

per la lotta al terrorismo, dimostrando di essere

preparato politicamente e strategicamente ad af-

frontare emergenze del genere, e di essere anche

un utile e leale alleato per i Paesi vicini. Tale lealtà

è stata evidente fin dai primi periodi d’indipen-

denza, quando, per esempio, la Cina poco prima

di iniziare l’operazione Strike Hard contro il sepa-

ratismo uiguro di matrice terroristica, aveva chie-

sto ai propri vicini (nonché partner nello Shang-

hai Five) di riconoscere l’illegalità dei partiti e dei

movimenti che sostenessero la costituzione di un

Turkestan indipendente attraverso l’uso del ter-

rorismo. In quest’occasione, il Kazakhstan fu uno

dei primi Paesi a rendere illegali tre movimenti

separatisti: il Fronte Unito Nazionale e Rivolu-

zionario del Turkestan dell’Est, l’Organizzazione

per la Liberazione dell’Uiguristan e l’Unione dei

Popoli Uiguri17. L’amicizia e la cooperazione con i

popoli e gli Stati vicini dello Shanghai Five prima

e della Cooperazione di Shanghai dopo, sono sta-

te caratteristiche sempre presenti all’interno del-

la politica estera kazaka, a queste si aggiunge la

coerenza di voler sradicare il terrorismo dall’Asia

Centrale e di voler contribuire a questa causa a

prescindere dall’interlocutore con cui cooperare.

Non sono mancate, infatti, le occasioni in cui il

Kazakhstan ha dialogato con attori internaziona-

li, a livello bilaterale e multilaterale, sia nel qua-

13. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=66 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 14. InfoSCO, Meeting of the SCO Ministers of Emergency Situations, 5 giugno 2009. http://infoshos.ru/en/?idn=4347 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 15. SCO summit 2013, The 13th Summit of the SCO Member States to be held on September 13, 2013 in Bishkek. http://www.scosummit2013.org/en/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 16. Ne accolse in tutto 100; il secondo Paese fu la Cina con 50 bambini accolti. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2010, 31 dicembre 2010. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=255 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 17. R. CASTETS, The Uyghurs in Xinjiang. The Malaise Grows, in “China Perspectives” [versione Online], n. 49, settembre-ottobre 2003. http://chinaperspectives.revues.org/648 [sito consultato il 17 dicembre 2013].

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

75

dro SCO che al di fuori di esso, per combattere

il terrorismo. La politica estera multivettoriale di

Astana è comunque ben accetta all’interno del

quadro SCO poiché permette, nella buona fede

delle élite politiche kazake, di fungere da ponte

tra la politica russo-cinese e quella occidentale.

Si potrebbe citare l’esempio più noto di collabo-

razione militare multilaterale in chiave antiterro-

rismo a cui ha preso parte il Kazakhstan e alcuni

altri Stati sia asiatici che non asiatici (come, per

esempio, gli Stati Uniti): si sta parlando del Cen-

trAsBat (Central Asian Battalion) costituitosi nel

199518 tra Kazakhstan, Kyrgyzstan e Uzbekistan

con il coinvolgimento principale degli Stati Uniti

ma che nel corso degli anni ha coinvolto anche

altre nazioni e che dal 2000 in poi ha continuato

la sua esperienza all’interno del programma Re-

gional Cooperation19 (di cui l’ultima esercitazione

risale al 2012, RC-1220). Per riportare un paio di

esempi di cooperazione militare bilaterale, che

possano mostrare come anche dal punto di vista

militare il Kazakhstan non abbia mai avuto pro-

blemi a porsi come perno tra area SCO e Occi-

dente, si potrebbero citare la serie di esercitazioni

Zhardem, congiuntamente con gli Stati Uniti21,

o la serie Aldaspan, insieme alla Russia22. All’in-

terno del framework SCO, il Kazakhstan è il terzo

Paese, dopo Russia e Cina, in termini di partecipa-

zione alla cooperazione militare e antiterrorismo.

L’aspetto militare è scisso da quello dell’antiter-

rorismo dopo la costituzione del Regional Anti-

Terrorism Structure (RATS) avvenuta nel 2004.

L’esperienza kazaca in materia di antiterrorismo

ha portato innovazione all’interno della SCO e dei

singoli Paesi membri. Quando il 17 maggio 2011

ad Aktobe un uomo si fece esplodere all’interno

del quartier generale del servizio di sicurezza

dell’oblast kazaco uccidendo sé stesso e feren-

do altre due persone23, iniziò un’escalation senza

precedenti nella storia del Paese che in poco più

di un anno contò una decina attentati dinamitar-

di, numerose altre azioni terroristiche e poco più

di una trentina di morti e numerosi altri feriti24. Il

governo kazaco agì sia attraverso la riforma della

legge in materia di antiterrorismo25, sia attraverso

un incremento della sicurezza e del lavoro d’intel-

ligence sui gruppi terroristi attivi sul territorio26,

ma anche attraverso il coinvolgimento diretto

18. Attraverso un Partnership for Peace Program, accordo ad hoc che la NATO sigla con il Paese o i Paesi con cui vuole stringere una collabo-razione militare. 19. M. STEIN, Compendium of Central Asia Military and Security Activity, Foreign Military Studies Office (FMSO), Fort Levenworth 3 ottobre 2012, pp. 3, 17. 20. B. CLASHMAN, Multinational forces participate in Regional Cooperation 12 Exercise, U.S. Air Force Central Command, 28 giugno 2012. http://www.afcent.af.mil/news/story.asp?id=123307374 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 21. Anche la serie Steppe Eagle ha una certa importanza nelle relazioni tra Stati Uniti e Kazakhstan ma questa coinvolge anche il Regno Unito e non può essere quindi considerata bilaterale tout court. M. STEIN, Compendium of Central Asia Military and Security Activity, Foreign Military Studies Office (FMSO), Fort Levenworth 3 ottobre 2012, pp. 19, 20, 22. 22. M. STEIN, Compendium of Central Asia Military and Security Activity, Foreign Military Studies Office (FMSO), Fort Levenworth 3 ottobre 2012, pp. 6 – 7. 23. Eurasianet, Kazakhstan Official Blames Mafia for Suicide Bombing, 17 maggio 2011. http://www.eurasianet.org/node/63499 [sito consul-tato l’18 aprile 2014]. 24. Il presidente Nazarbayev dichiarò che tra il 2011 e il 2012 circa cento crimini erano di matrice terroristica. J. NICHOL, Central Asia: Regional Developments and Implications for U.S. Interests, Congressional Research Service, Report for Congress, 20 novembre 2013, p. 20. http://www.fas.org/sgp/crs/row/RL33458.pdf [sito consultato il 18 aprile 2014]. 25. Nel 2013 la legge avrebbe scongiurato, secondo il Comitato di Sicurezza Nazionale, 35 azioni di terrorismo e aveva consentito di neutraliz-zare 42 gruppi estremisti nel Paese; però non era riuscita a bloccare 18 azioni terroristiche, tra cui sette esplosioni. Ibidem. 26. Attraverso l’adozione del Programma Statale per Contrastare il Terrorismo e l’Estremismo Religioso per il periodo 2013-17. Eurasianet, Kazakhstan: Astana Mulls Expansion of Anti-Terror Controls, 19 giugno 2013. http://www.eurasianet.org/node/67146 [sito consultato il 18 aprile 2014].

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

76

del Consiglio Spirituale dei Musulmani del Ka-

zakhstan che, per andare in contro alle esigenze

del governo, creò sei gruppi regionali di imam col

compito di monitorare le espressioni religiose e

di incoraggiare gruppi salafiti e fondamentalisti

a tornare nell’alveo dell’Islam Tradizionale del

Consiglio Spirituale27. Quest’ultimo aspetto ha

rappresentato un’importante novità in campo

di politiche antiterrorismo che la SCO ha saputo

sfruttare nella politica interna degli Stati membri

e in altri scenari, come quello afghano, a caratte-

re multilaterale28. È sotto la segreteria kazaka che

la SCO è riuscita anche a siglare numerosi Me-

morandum of Understanding con altrettanto nu-

merose organizzazioni internazionali o regionali

in tema di antiterrorismo, uno su tutti la CSTO29.

27. J. NICHOL, op. cit., p. 21. 28. Rispetto alle strategie occidentali che vertono sull’utilizzo della forza e dello strumento militare o, più in generale, dell’hard power, quella kazaka, traslata all’interno del quadro SCO, diviene una scelta strategica più efficace, oltre che più tollerata dalle popolazioni locali. 29. SCO Website, The development of SCO’s links with international organisations in 2007-2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=120 [sito consultato il 18 aprile 2014].

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

77

Altro simbolo di avanguardia della strategia ka-

zaka e di centralità di questo Paese nella lotta al

terrorismo è la costituzione del Central Asia Re-

gional Information and Coordination Center (CA-

RECC) ad Almaty, nato nel 2009 sotto iniziativa

dell’UNODC (United Nation Office on Drugs and

Crime), che coinvolge le cinque Repubbliche cen-

troasiatiche più Russia e Azerbaijan30.

Il Kazakhstan come via di transito e centro di relazioni commerciali ed energetiche: lo SCO Energy club e le Nuove vie della Seta

Geograficamente, il Kazakhstan si trova al cen-

tro di una serie di rotte di comunicazioni, eco-

nomiche ed energetiche che non possono non

rendere questo Paese un attore trascurabile per

l’economia asiatica e, quindi, mondiale. Il Paese

è il punto di partenza, di arrivo e di transito di

enormi quantità di denaro, merci e materie pri-

me. Infatti, Astana fa parte di una serie notevole

di organizzazioni economiche regionali e interna-

zionali oltre la SCO; giusto per citarne alcune, si

potrebbero ricordare il TRACECA31, il CAREC32, lo

SPECA33, l’INOGATE34 e, ovviamente, il CIS e l’Eu-

rAsEC. All’interno del quadro SCO, la Repubblica

del Kazakhstan rappresenta la terza economia

come volume di affari, ma come profondità stra-

tegica e come ruolo economico essa non ha nulla

da invidiare ai due giganti vicini, Russia e Cina.

Infatti, oltre la sua strutturata e funzionale New

Silk Road Strategy, il Kazakhstan è stato protago-

nista di numerose iniziative economico-energe-

tiche che hanno consentito ai Paesi consumatori

di energia SCO (Cina, Kyrgyzistan e Tajikistan) di

differenziare il loro approvvigionamento di mate-

rie prime35 tradizionalmente russo; questo tipo di

“concorrenza leale” kazaka non mette in discus-

sione le fraterne relazioni con la vicina Russia

con cui continua a cooperare tranquillamente

sia a livello energetico che economico36. Anche

dalla Cina sono arrivati numerosi miliardi di dol-

lari d’investimenti soprattutto per l’estrazione di

materie prime e la costruzione di vie di trasporto.

Questa spiccata capacità del governo kazako di

attrarre investimenti esteri e di tessere proficue

relazioni economiche con imprenditori privati e

diversi governi, permette al Kazakhstan di gioca-

re un ruolo centrale per la crescita del progetto

di Nuova Via della Seta che, come ha ricorda-

to durante la sua ultima visita a Washington il

consigliere politico del presidente Nazarbayev,

Ermuhamet Ertysbaev, non è una semplice rie-

vocazione storica ma è la rappresentazione della

30. CARICC – about us. http://caricc.org/index.php/en/about-caricc [sito consultato il 6 gennaio 2014]. All’organizzazione partecipano come membri osservatori: Austria, Canada, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Pakistan, Stati Uniti e Interpol. 31. Il Transport Corridor Europe-Caucasus-Asia di cui fanno parte Armenia, Azerbaijan, Bulgaria, Georgia, Iran, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Moldo-va, Romania, Tajikistan, Turchia, Ucraina e Uzbekistan. http://www.traceca-org.org/en/home/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 32. Il Central Asia Regional Economy Cooperation di cui fanno parte Afghanistan, Azerbaijan, Cina, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, Pakistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. http://carecprogram.org/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 33. Programma delle Nazioni Unite -Special Programme for the Economies of Central Asia- a cui hanno aderito Afghanistan, Azerbaijan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. http://www.unece.org/speca/welcome.html [sito consultato il 18 aprile 2014]. 34. Progetto dell’Unione Europea -Interstate Oil and Gas Transportation to Europe-, concentrato soprattutto sul settore energetico di cui fanno parte Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Kazakhstan, Kyrgyzistan, Moldavia, Tajikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan più la Federazione Russa come membro osservatore; parallelamente questo progetto e al TRACECA si è sviluppata la cosiddetta Baku Initiative, un progetto del 2004 che mette in dialogo UE, TRACECA e INOGATE per la cooperazione energetica. http://www.inogate.org/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 35. Tra le materie prime il Kazakhstan può annoverare non solo petrolio e gas ma anche uranio, oro, tungsteno, rame, zinco ecc… 36. È utile ricordare a tal proposito il progetto di Unione Doganale Euroasiatica tra Russia, Kazakhstan e Bielorussia.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

78

volontà di voler creare una nuova ed enorme via

di trasporto che aiuti il Kazakhstan e tutti i Paesi

dell’Asia Centrale a rafforzare la propria sovra-

nità37. Insieme a Russia, Cina e Unione Europea,

il Kazakhstan ha creato un’altra importante

iniziativa dal nome Western Europe – Western

China: si tratta della costruzione di un corrido-

io supertecnologico con video sorveglianza su

tutto il tragitto e rete internet iperveloce che

connetterà attraverso un sistema di autostrade

e ferrovie San Pietroburgo e Shanghai38. Il per-

corso39 sarà pronto per il 2015 e si prevede che

aumenterà del 250% i traffici lungo questa via

riducendo drasticamente i tempi di collegamen-

to che oggi per via marittima (Canale di Suez)

risultano di 45 giorni, tramite la ferrovia trans-

siberiana di 14 giorni, mentre con questo pro-

getto saranno di soli 10 giorni40. Due sono state

le iniziative in cui il Paese ha inciso di più attra-

verso lo strumento della SCO: il Memorandum

of Understanding con United Nations Economic

and Social Commission for Asia and the Pacific

(UNESCAP) del 21 gennaio 2008 e la promozio-

ne, insieme al Presidente russo Putin, dello SCO

Energy Club. La proposta russa fu sostenuta da

tutti gli Stati membri, tra cui il Kazakhstan che

tramite il suo primo ministro Danial Akhmetov

dichiarò chiaramente che il settore della sicu-

rezza energetica rappresentava il futuro per l’or-

ganizzazione e per la cooperazione regionale41.

Il tema toccò anche il summit dell’anno dopo

a Bishkek in cui si propose di creare un merca-

to unico dell’energia per favorire uno sviluppo

regionale che fosse proficuo per tutti gli Sta-

ti e si valutò l’ipotesi della costituzione di un

esperimento preliminare di “club dell’energia”42.

Anche nel 2008, nel 2009 e nel 2010 diverse di-

chiarazioni sono venute soprattutto da Russia

e Kazakhstan per costituire un forum o un club

che riunisse i rappresentanti permanenti degli

Stati del quadro SCO43. Pur non essendo anco-

ra oggi ben definita la struttura di questo “club

di Stati” legati alla produzione, al consumo e al

transito di energia, si è capito che essa dovrebbe

trasferire a livello multilaterale (all’interno delle

riunioni SCO) ciò che fino ad oggi si è fatto a

livello bi o trilaterale: una piattaforma stabile,

con incontri periodici, all’interno della quale di-

scutere non solo di produzione e trasporto ma

anche di prezzi. Secondo Asset Magauov, diret-

tore generale di KazEnergy, la prima riunione del

club dell’energia SCO sarà organizzata entro il

37. Omega.kz, Новый Шелковый путь [Nuova Via della Seta], 19 luglio 2012. http://omega.kz/node/4011 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 38. Passando per Mosca, Nizhny Novgorod, Kazan, Orenburg, Aktobe, Kyzylorda, Shymkent, Taraz, Korday e Almaty. 39. Western Europe – Western China coinvolge 21 investitori principali e 66 investitori secondari (tra cui l’italiana Salini) e 35.000 operai, sarà lungo 8.445 chilometri. 40. Astana Times, Major Transport Corridor to Connect Kazakhstan, Russia, China by 2015, 20 febbraio 2013. http://www.astanatimes.com/2013/02/major-transport-corridor-to-connect-kazakhstan-russia-china-by-2015-2/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 41. Ria Novosti, Energy outcome of SCO meeting in Dushanbe, 20 settembre 2006. http://en.ria.ru/analysis/20060920/54104304.html [sito consultato il 18 aprile 2014]. 42. A. NARAIN ROY, Shanghai Cooperation Organization - Towards New Dynamism, in “Mainstream Weakly”, vol. XLV, n. 39, 15 settembre 2007. http://www.mainstreamweekly.net/article313.html [sito consultato il 18 febbraio 2014]. 43. Nel 2008, il primo ministro del Kazakhstan, Karim Masimov, disse che “l’attuale sistema di pipelines sullo spazio SCO che collega la Russia, gli Stati dell’Asia Centrale e la Cina è una base seria per la creazione di uno spazio unificato SCO dell’energia”. InfoSCO, SCO energy club: what it should be?, 13 marzo 2012. http://infoshos.ru/en/?idn=9616. Nel 2009 Putin richiamò la sua proposta di anni prima e disse che la questione energetica era diventata ormai la questione chiave dell’agenda politica globale e la SCO non poteva perdere questa occasione di cooperazione regionale. CIIS - China Institute of International Studies, SCO in the Past 10 Years: Achivements and Challenges, 11 agosto 2011. http://www.ciis.org.cn/english/2011-08/11/content_4400582.htm [siti consultati il 18 aprile 2014].

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

79

XXI Congresso Mondiale del Petrolio che si terrà

tra il 14 e il 20 giugno 2014 a Mosca44.

Un nuovo modello per la cooperazione regionale

Quanto visto finora, pone due tipi di considera-

zioni circa il rapporto che intercorre tra la SCO

e il Kazakhstan: una prima considerazione è che

entrambi gli attori sono fondamentali l’uno per

l’altro. La Cooperazione di Shanghai perderebbe

il suo senso di “cartello diplomatico” compatto

se una potenza regionale e attore internaziona-

le come il Kazakhstan cessasse di collaborarvi. Il

ruolo di questo Paese per la crescita della SCO è

stato fondamentale in quanto l’unico, tra gli Stati

membri, in grado di mediare tra le posizioni rus-

44. AGC Comunication, SCO Energy Club meeting, 2 febbraio 2014. http://www.agccommunication.eu/inostriservizi-it/informazione-e-formazione/osservatorio-est/russia-e-asia-centrale/6396-sco-petrolio-kazakhstan [sito consultato il 18 aprile 2014].

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201480

se e quelle cinesi e di fungere da collante. Per le

relazioni estere, la Repubblica kazaka è riuscita

(e riesce) meglio rispetto agli altri Stati mem-

bri a svolgere un ruolo di raccordo tra Oriente e

Occidente e, attraverso una politica estera ami-

chevole e pragmatica, è in grado di mantenere

gli equilibri tra questi due poli. Viceversa, la SCO

garantisce al Kazakhstan una dimora politica si-

cura e affidabile oltre che un punto di partenza

e una cassa di risonanza per la propria politica

estera regionale e internazionale in campo tanto

diplomatico quanto economico ed energetico. La

seconda considerazione è che entrambi, SCO e

Kazakhstan, sono la prova che si è entrati in una

nuova fase di politica globale in cui la logica dei

“blocchi” non è più valida e non può più esse-

re valida; il loro metodo di condurre le relazioni

diplomatiche esterne (che è identico, solo che si

svolge su due livelli diversi) dimostra che l’inte-

grazione regionale non è più di natura “esclusiva”

ma è di natura “inclusiva”: gli interessi nazionali

(o regionali) si possono difendere senza necessa-

riamente ledere gli interessi altrui e senza porre

un muro fra “sé e l’altro”. Secondo questo nuovo

metodo, difendere gli interessi economici, politici

e anche le identità culturali diviene un esercizio

che rende partecipe il prossimo, per quanto pos-

sa essere mutualmente benefico, ed è questo il

senso di quanto contenuto nello Shanghai Spirit,

essenza del funzionamento della SCO. Per que-

sti motivi, come disse l’ex portavoce del Senato

kazako, Kassym-Jomart Tokayev, al connazionale,

ex segretario della SCO, Nurgaliyev: “La Coopera-

zione di Shanghai rappresenta un nuovo modello

per la cooperazione regionale45” e il Kazakhstan

ne è un attore decisivo.

Marcello CiolaStudioso di relazioni internazionali e geopolitica

45. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=66 [sito consultato il 18 aprile 2014].

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

81

ell’era di internet, del web, dei social

forum le manifestazioni fieristiche, le

esposizioni, le mostre sembravano un

retaggio inutile di un passato ormai dimenticato.

E invece per l’Expo di Milano del prossimo anno

sono attesi tutti i principali Paesi del mondo con

milioni di visitatori.

Il problema, però, non è esserci. Ma avere qualcosa

da dire, da mostrare. Qualcosa di più e di meglio di

ciò che si può trovare su Google. E il Kazakhstan ce

l’ha. Non soltanto perché rappresenta lo snodo tra

Europa ed Asia, o perché ha un ruolo fondamen-

tale lungo l’antica Via della seta in fase di grande

rilancio sullo scacchiere internazionale.

Astana sarà protagonista dell’Expo milanese in-

nanzi tutto perché, sullo sviluppo sostenibile ha

puntato molto. Sia sul fronte dell’alimentazione,

che è il tema dell’appuntamento milanese, sia su

quello delle energie, che sarà l’argomento di con-

fronto dell’Expo 2017 proprio nella capitale del

Kazakhstan.

di Alessandro Grandi

Da Milano ad Astana, il ponte verde della sostenibilità all’Expo

Alimentazione ed energie rinnovabili, aspetti collegati e fondamentali per uno sviluppo che non dimentichi i popoli

N

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201482

Una grande sfida, per il Paese dell’Asia Centrale.

Ma anche un percorso obbligato. Perché sono i

Paesi come il Kazakhstan che possono e devono

trasformarsi nei poli di riferimento per nuovi mo-

delli di sviluppo. Immensi territori, popolazione

ridotta, grandi risorse economiche da investire.

E, a differenza di quanto troppo spesso avviene

nella Vecchia Europa, voglia di investire queste

risorse per la ricerca, per l’innovazione, per avere

un ruolo da protagonisti.

La sostenibilità ambientale può significare qual-

siasi cosa. Dipende dalla volontà e dagli obiettivi

di chi utilizza un termine spesso abusato. Astana

sta dimostrando di credere veramente nella so-

stenibilità. Coniugando tradizione ed innovazio-

ne, senza assurdi salti di tempo e di spazio, senza

rinnegare alcunché della propria cultura.

D’altronde la storia stessa del Paese ha evidenzia-

to le grandi capacità di sintesi tra aspetti estre-

mamente differenti. Sotto l’aspetto etnico, reli-

gioso, culturale. Ma anche per quanto concerne

Alcuni rendering sulle strutture che ospiteranno l’Expo di Milano 2015 (sopra) e Astana 2017 (nella pagina a fianco), con i rispettivi loghi

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

83

il territorio ed il suo utilizzo. Così un Paese che,

da sempre, è un grande consumatore di carne, è

anche uno dei maggiori produttori mondiali di

grano. E proprio l’Italia ha visto le importazione

di grano duro dal Kazakhstan crescere negli ultimi

anni con incrementi a due cifre. Non è solo l’Italia

a beneficiare della produzione kazaka. Sono oltre

70 i Paesi che importano grano duro da Astana

che, con 8 milioni di vendite all’estero medie di

farina e grano, è entrata tra i primi 10 esportatori

mondiali del settore.

Tra l’altro a favorire le esportazioni contribuisce

anche l’accordo doganale con Russia e Bielorus-

sia. Ma non va sottovalutata la scelta strategi-

ca del governo di Astana di non aumentare le

vendite se non in presenta di incrementi della

produzione totale. Non si riduce, dunque, l’ap-

provvigionamento di grano destinato al mercato

interno. E questo sempre in un’ottica di sosteni-

bilità che deve riguardare, in primo luogo, la po-

polazione stessa del Paese.

Una dimostrazione di attenzione agli aspetti

umani che caratterizza anche il ruolo del Ka-

zakhstan sulla scena internazionale. Un ruolo

che diventa anche di esempio, considerando che

Astana ha raggiunto l’Obiettivo di Sviluppo del

Millennio 1 ed il Kazakhstan continua ad esse-

re impegnato nella lotta contro la povertà e per

la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento

d’acqua. Temi che caratterizzeranno la candida-

tura di Astana per l’elezione a membro del Consi-

glio di sicurezza dell’Onu.

Astana da tempo ha sottolineato l’importan-

za della cooperazione Sud-Sud anche in questo

ambito. Un ribaltamento delle strategie abituali

ma che offre grandi opportunità per affrontare e

risolvere i problemi della povertà e della mancan-

za di cibo in varie parti del Globo, a partire dalle

regioni meno favorite dell’Africa.

Ma l’attenzione nei confronti del Terzo Mondo

non mette in discussione i rapporti con tutti gli

altri Paesi. Basti pensare che, per quanto riguar-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

84

da il grano, solo un’effettiva collaborazione tra i

principali Paesi esportatori, ma anche con gli im-

portatori, può consentire di calmierare il prezzo.

Evitando le speculazioni internazionali che hanno

fatto lievitare artificiosamente i prezzi, creando

problemi di alimentazione e di sopravvivenza tra

le popolazioni più povere e determinando una ri-

duzione di altri consumi nei Paesi più ricchi. Dove

l’incremento dei prezzi dei prodotti ottenuti con

la farina determina il calo di acquisti di altri ge-

neri alimentari e non alimentari. Provocando la

contrazione del mercato interno che si ripercuote

sull’andamento delle industrie locali e sull’occu-

pazione.

Il Kazakhstan, tuttavia, non parteciperà all’Expo

solo per mostrare al mondo i suoi successi legati

alla produzione di grano. Astana, infatti, è riusci-

ta a sviluppare l’agricoltura anche in un territorio

estremamente diversificato e non sempre ideale

per la coltivazione. Ma in questo si dimostra l’ef-

ficacia delle iniziative di ricerca e di collaborazio-

ne con tecnici internazionali, italiani compresi.

Far crescere la vigna in condizioni non ottima-

li diventa un esempio per il mondo intero, così

come portare colture in zone semidesertiche. Fa-

cendo coesistere allevamenti di bestiame – dalle

vacche ai cammelli, dai cavalli alle pecore – con

la produzione di frutta, ortaggi, canapa, riso, co-

tone, tabacco.

Nel rispetto dell’ambiente che parte dall’alimen-

tazione e si estende sino all’utilizzo dell’energia.

Un programma di “Ponte verde” che coinvolge

ogni aspetto del Paese. E che rappresenta dav-

vero un ponte di sostenibilità in grado di colle-

gare l’Expo di Milano con l’Expo di Astana. Perché

tutelare la Terra con un’agricoltura sostenibile è

solo il primo passo verso una tutela del Globo che

comprenda anche l’utilizzo di energie rinnovabili,

non inquinanti, in grado di favorire lo sviluppo

delle persone e non soltanto quello di alcune

multinazionali.

Alessandro GrandiStorico, Collaboratore de “Il Nodo di Gordio”, fotografo di viaggio

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

85

opo Milano-2015, sarà il turno di

Astana. La capitale della Repubblica

del Kazakhstan, infatti, si sta pre-

parando ad ospitare l’Expo-2017, evento inter-

nazionale dedicato all’“Energia del futuro”, una

vetrina mondiale di alto livello e una preziosa

occasione per rilanciare l’immagine del Paese

centrasiatico. “Il Nodo di Gordio” ha intervista-

to Talgat Emergiyaev, Presidente del board della

Compagnia nazionale “EXPO-2017” sull’organiz-

zazione dell’esposizione e sulle ricadute in ter-

mini commerciali e turistici per la sua nazione.

Uomo di lunga esperienza, Emergiyaev ha rico-

perto ruoli di primo piano in settori chiave dell’e-

conomia kazaka e, più recentemente, l’incarico di

Viceministro dello Sport e Turismo.

Perché il Kazakhstan ha deciso di organizzare EXPO-2017?

Lo svolgimento dell’esposizione EXPO nel cuo-

re del continente Eurasiatico è una nuova fase

a cura della Redazione

Ermegiyayev: L’energia del futuro all’Expo 2017 di Astana

Il tema “Energia del futuro” è la continuazione logica delle iniziative globali del Presidente della Repubblica del Kazakhstan sulla conservazione del pianeta

D

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

86

nella vita economica non solo di Astana, del Ka-

zakhstan, ma anche dell’intero spazio della CSI

nel suo complesso, e il tema “Energia del Futuro”

è un passo verso la preservazione del nostro pia-

neta per le future generazioni.

Secondo le nostre aspettative, l’esposizione di

Astana riunirà più di 100 paesi-partecipanti, tra

cui circa 6 principali organizzazioni internaziona-

li. In tre mesi i padiglioni saranno visitati da 2-3

milioni di persone.

Il Kazakhstan mira ad assicurare che l’EXPO-2017

diventa una delle esposizioni più avanzate e in-

teressanti. Astana presenterà una sorta di “Città

del futuro”.

Lo svolgimento di EXPO-2017 con il tema “Ener-

gia del futuro” è la continuazione logica delle ini-

ziative globali del Presidente della Repubblica del

Kazakhstan sulla conservazione del pianeta. Pro-

ponendo il tema “Energia del futuro”, il governo

ha preso tutte le misure necessarie per muovere

il paese in una direzione pratica per lo sviluppo

dell’economia “verde”.

Il tema “Energia del futuro” si inserisce anche nella

strategia di sviluppo economico ed energetico del Ka-

zakhstan. E per questo lo svolgimento dell’esposizio-

ne ad Astana è giustificata non solo dalle opportunità

politiche ed economiche del Kazakhstan, ma anche

dall’orientamento dello Stato verso lo sviluppo di un

‘energia efficace’.

In Kazakhstan vengono sviluppati e si stanno realiz-

zando le numerose iniziative che devono cambiare

radicalmente la struttura dell’economia naziona-

le. Così il 30 maggio del 2013, il Presidente ha firmato

un decreto per l’adozione del concetto sul passaggio

della Repubblica del Kazakhstan all’“economia ver-

de”. Questo è uno degli strumenti più importanti per

garantire lo sviluppo sostenibile del Paese.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

87

Il Kazakhstan si trova alla soglia dei cambia-

menti. Nei prossimi anni, c’è da risolvere ancora

molte questioni, bisognerà dimostrare in pratica

che “l’economia verde” non è solo un vantaggio

per i cittadini del Kazakhstan, ma anche il con-

tributo molto proficuo e a lungo termine per lo

Stato. Così nel corso dello svolgimento dell’espo-

sizione internazionale EXPO-2017 il Kazakhstan

sarà in grado di condividere un’esperienza unica

con il mondo – come diventare un paese con una

economia sana, un ambiente sano e persone sane.

Qual è il tema dell’evento, e qual è il budget?

L’utilizzo di energia ha sempre determinato e de-

terminerà l’evoluzione del genere umano. La mis-

sione dell’esposizione EXPO sul tema “Energia del

futuro” è richiamare l’attenzione della comunità

internazionale sul problema della conservazione

dell’energia, sulla disponibilità e sul costo dell’e-

nergia, sull’impatto del loro utilizzo sull’ambiente,

sulla sicurezza energetica e sull’accesso a un ap-

provvigionamento energetico affidabile per tutti.

Il progetto “Energia del futuro” si basa sull’ideolo-

gia dello sviluppo sostenibile, che si intende come

un processo volto a soddisfare le esigenze econo-

miche e sociali, mantenendo la diversità culturale

e la purezza ambientale.

Lo sviluppo delle energie alternative, indissolubil-

mente legato sia allo sviluppo delle industrie con-

nesse – l’estrazione e la profonda trasformazione

di terre rare e di metalli rari, la costruzione mecca-

nica di precisione e la strumentazione, l’ingegne-

ria energetica, l’industria elettronica, l’industria

chimica, le biotecnologie, le fonti non tradizionali

della costruzione automobilistica, sia alla scienza

fondamentale e applicata, e all’istruzione.

Non c’è dubbio che dopo lo svolgimento dell’e-

sposizione queste imprese di compartecipazione

diventeranno un nucleo scientifico e continue-

ranno ad esistere e svilupparsi. Tutte le conqui-

ste saranno utilizzate nella costruzione e nella

progettazione di quartieri in tutte le città del

Kazakhstan.

Per quanto riguarda il budget, dopo il completa-

mento dei progetti relativi al complesso dell’espo-

sizione, allo studio di fattibilità e alla documen-

tazione progettuale (compreso il valore stimato),

verrà svolta la valutazione dell’impatto economi-

co complessivo dell’Expo. Saranno eseguiti anche

i calcoli del costo dell’intera esposizione.

Quali impianti saranno costruiti per ospitare i milioni di visitatori che verranno?

Nell’autunno dell’anno 2013 è stato approvato il

disegno architettonico del complesso espositivo

EXPO-2017. Il vincitore del concorso è lo studio

di architettura AdrianSmith + GordonGillArchi-

tecture.

Ricordiamo che l’area complessiva della struttura

proposta è di 173,4 ettari di cui 25 ettari corri-

spondono al centro espositivo, e sul territorio di

148 ettari, saranno collocati i progetti di edilizia

abitativa, strutture sociali e culturali, dell’istru-

zione e della sanità, centri commerciali, parchi

e viali. La superficie approssimativa dei padi-

glioni è 118.620 metri quadri, delle aree di ser-

vizio 95.400 metri quadri, nonché abitazioni per

586.465 metri quadri. La costruzione della città

di EXPO è prevista nella zona Yesil, nel quadrato

delle vie e dei viali Kabanbai Batyr, Khussein ben

Talal, Orynbor, e Ryskulov.

Ora la documentazione preprogettuale e pro-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

88

gettuale è in fase di completamento. Il 24 aprile

il Capo dello Stato Nursultan Nazarbayev ha pre-

so visione del piano di lavoro per la costruzione

del complesso espositivo “Astana EXPO-2017”, e

ha posto anche la capsula, dando l’inizio ai lavori

di costruzione.

Nel complesso è prevista la costruzione di 4000

appartamenti, un albergo nuovo, il Palazzo dei

Congressi, così come la “città coperta”, con la

lunghezza di 500 metri. Nell’area coperta verrà

collocato il complesso dei punti vendita e dei di-

vertimenti. Il padiglione principale sarà realizzato

in forma di una sfera con diametro di 80 metri e

un ‘altezza di 100 metri, dove saranno situati i pa-

diglioni internazionali. Inoltre, verrà fatto un viale

con tutti gli oggetti necessari. In generale, nella

costruzione del complesso sarà occupato un nu-

mero di costruttori molto elevato, piccole e medie

imprese potranno creare un numero significativo

di posti di lavoro. Però l’obiettivo principale è di

attirare alla costruzione gli imprenditori kazaki.

I principali lavori di costruzione sono previsti per

il periodo dal maggio 2014 al dicembre 2016.

Nell’area espositiva verrà collocato il Padiglione

Nazionale del Kazakhstan, i padiglioni interna-

zionali, aziendali e tematici, punti vendita e di

divertimento. Nella zona fuori dall’esposizione è

prevista la costruzione di un centro congressi, di

un centro stampa, della città coperta, di edilizia

abitativa e degli alberghi.

Il progetto AdrianSmith + GordonGillArchitectu-

re è più accettabile sia dal punto di vista dello

sviluppo sostenibile, dell’aspetto architettonico e

artistico, sia dal punto di vista del suo ulterio-

re utilizzo, dopo lo svolgimento dell’esposizione

EXPO-2017.

Il vantaggio del progetto è che tutti gli ogget-

ti, dopo la mostra, potranno essere trasformati,

smontati o convertiti, cioè non sarà necessaria

la demolizione degli edifici. In generale, il piano

complessivo e gli edifici sono stati progettati uti-

lizzando il design che segua principi ambientali,

economici e socialmente sostenibili. Il volto ar-

chitettonico espressivo di oggetti EXPO-2017 è

unico e porta enormi vantaggi per il Kazakhstan,

ma soprattutto il progetto costituisce un’eredità

per il nostro Paese e per tutto il mondo.

La maggior parte dell’energia che sarà consumata

dai visitatori dell’Expo, secondo quanto progetta-

to dagli architetti, deriverà da fonti rinnovabili. E

tutti gli edifici sono centrali elettriche che utiliz-

zano l’energia solare ed eolica.

Quasi tutte le strutture realizzate per la Mostra

specializzata EXPO-2017 ad Astana, rimarranno

dopo la Mostra. Tutti i padiglioni, lo sviluppo cul-

turale e residenziale, e gli edifici associati saranno

edificati considerandone il riutilizzo nel periodo

dopo la Mostra.

EXPO-2017 ad Astana è un progetto di importan-

za nazionale che resterà come patrimonio anche

dopo la Mostra.

Dopo il 2017 l’area espositiva diventerà un mo-

dello per un nuovo stile di vita ad Astana: una

zona dinamica in cui la vita continua anche di

notte, dove ci saranno complessi di appartamenti,

centri di ricerca, infrastrutture commerciali, non-

ché strutture culturali.

Dopo il risultato dello svolgimento della Mostra

e la strategia di successo dell’uso del complesso

nel periodo successivo, nonché grazie alle atti-

vità propositive per rafforzare l’immagine della

capitale, Astana sarà certamente considerata una

moderna metropoli in rapida crescita. Il comples-

so, dopo la Mostra, ospiterà i centri della ricerca e

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

89

istruzione, i centri di cultura e arte, gli edifici per

uffici, le abitazioni, le necessarie infrastrutture di

accompagnamento ed aree pubbliche.

Si prevede che il complesso, dopo la Mostra, ab-

bia un impatto positivo sull’economia di Astana

e dell’intero Paese, grazie all’attrazione esercitata

sui turisti in termini di investimenti stranieri e lo-

cali da parte di grandi aziende e multinazionali.

Che tipo di sviluppo si aspetta in futuro, in termini di turismo, accordi commerciali e so-cietà miste industriali?

Il Kazakhstan conta che fino all’85 per cento dei

visitatori della Mostra ad Astana, sarà costituito

da kazaki. Così oggi prende piena velocità piena

il lavoro sulla promozione del marchio “EXPO”

nel nostro Paese. L’obiettivo principale è quello

di portare il riconoscimento del brand “EXPO” al

livello della Coppa del Mondo FIFA e delle Olim-

piadi.

Perché proprio l’85 per cento della popolazione

locale visita la mostra? Questa cifra non è casua-

le. Per la preparazione del fascicolo di registra-

zione sono state condotte le indagini ad Almaty,

Astana, Karaganda, Pavlodar e in altre città. Nei

questionari i cittadini hanno risposto a domande

su ciò che sanno riguardo alla Mostra, se hanno

intenzione di visitarla, come pensano di arrivarci:

in auto, in treno o in aereo. Tale indagine det-

tagliata ci ha permesso di garantire pienamente

che per il popolo del Kazakhstan sarà interessante

vivere l’atmosfera di una Mostra così unica. Allo

stesso tempo, si tengono in considerazione i dati

statistici relativi a mostre precedenti nei diversi

Paesi. In base di questa statistica si evidenzia il

fatto che fino al 97 per cento dei visitatori era

costituito solo dai residenti dei Paesi ospitanti la

Mostra mondiale EXPO. Guardando alla storia, si

scopre che i turisti stranieri rappresentano solo il

3-8 per cento dei visitatori. Grazie alla politica del

Presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbayev,

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

90

il nostro Paese ha ottenuto ampio riconoscimen-

to internazionale, ed è per questo che abbiamo

fissato la staffa, fino ad ipotizzare il 15 per cento

di partecipanti stranieri.

Lo svolgimento dell’EXPO-2017, darà, senza dub-

bio, un nuovo impulso allo sviluppo delle piccole

e medie imprese di Astana. Cominciamo con il

fatto che oggi la città, grazie anche agli sforzi di

piccole e medie imprese, si sta sviluppando come

un centro polifunzionale, comodo per i residenti,

attraente per le imprese e divertente per gli ospi-

ti. L’EXPO-2017 trasformerà Astana in un centro

d ‘importanza mondiale, com’è successo con la

maggior parte delle città, in cui si sono svolte le

Mostre EXPO.

Ad Astana si svilupperà il settore dei servizi. Grazie

alla mostra si svilupperà anche il settore dei servizi:

taxi, hotel, negozi, ristoranti, servizi, guide, inter-

preti; l’industria pubblicitaria, per non parlare poi

del settore delle costruzioni. E, naturalmente, per

lo sviluppo delle PMI avrà un grande contributo il

tema della mostra e l’economia “verde”.

Il fatto che la mostra EXPO-2017 si svolgerà ad

Astana indubbiamente porta persone da tutto

il mondo a desiderare di visitare questa città. Il

lavoro per attrarre i turisti stranieri e gli ospiti

inizierà a metà 2014, quando l’Agenzia Interna-

zionale delle Mostre avrà approvato il dossier di

registrazione del Kazakhstan, così il Paese riceve-

rà il riconoscimento presso le fiere di livello inter-

nazionale. Da quel momento in poi potremo pro-

cedere ad una campagna di informazione attiva

all’estero, così come ad invitare i Paesi a parteci-

pare alla Mostra. L’impulso a questo lavoro deve

venire da tutte le agenzie statali che realizzano

sul piano pratico questo progetto nazionale. Così,

in collaborazione con il Comitato del Turismo del

Ministero dell’industria e delle nuove tecnologie

della Repubblica del Kazakhstan, sono in elabo-

razione i pacchetti turistici, come per i turisti

stranieri, così pure per quelli del Kazakhstan, che

siano soprattutto in linea con la revisione delle

procedure per i visti degli altri Paesi.

In Kazakhstan sono stati delineati cinque cluster

turistici. La Mostra Expo è inclusa nel cluster di

Astana, che comprende anche la zona di Boro-

voye, la città Astana, Korgalzhyn, Karkaralinsk.

Qui abbiamo qualcosa per sorprendere gli ospiti:

prima di tutto, ci sono le risorse naturali, uniche,

del Kazakhstan. Oggi per gli organizzatori della

mostra, ci sono due problemi da risolvere: in pri-

mo luogo c’è il livello di servizi che è necessario

aumentare, in secondo luogo c’è la consistenza,

che permetterà agli ospiti, oltre che di visitare la

Mostra, anche di conoscere meglio il Kazakhstan.

Sono in fase di elaborazione diversi tipi di pac-

chetti turistici. Tutto questo è necessario a ga-

rantire lo sviluppo dell’industria del turismo nel

Paese, che l’economia riceva una nuova fonte di

reddito, e che gli ospiti desiderino tornare ancora

in Kazakhstan.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

91

olte volte il patrimonio artistico diventa

argomento per cercare radici comuni,

un modo per riconoscere e unire nella

diversità. Succede al Kazakhstan del Terzo Millen-

nio, una grande regione, multietnica, giovane e

ricca di risorse, che ha trovato un suo equilibrio,

sostanzialmente condiviso, dopo lo sbandamento

dovuto alla caduta del blocco sovietico.

Le esperienze nelle arti, soprattutto in quelle rap-

presentative (da distinguere fra architettura e le

altre manifestazioni figurative), sono il prodotto

di una ricerca coraggiosa, propositiva e in crescita

costante.

Da Baikonur di ieri, Astana di domani

The 20th Century, la scultura di Erkin Mergenov

che occupa lo spazio centrale dell’atrio del Ka-

steev Museum di Almaty e che viene presentata

al pubblico italiano nel volume Da Baikonur alle

Stelle: il Grande Gioco spaziale, descrive allego-

di Paolo Zammatteo

Arte rigenerata. Luci dirette sul panorama kazako

In Kazakhstan le esperienze nelle arti sono il prodotto di una ricerca coraggiosa, propositiva e in crescita costante

MD. Nassyrova, Woman, 2012

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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ricamente l’epilogo di una lunga parentesi nella

storia kazaka contrassegnata dalla competizione

per la conquista dello Spazio. Mergenov evocava

un passato recente, un misto di Neorealismo e di

Belle Epoque regionale, di cultura accademica e

drammaturgica di alto spessore, che successiva-

mente sono passate a far parte del patrimonio

artistico più attuale nel panorama pittorico e pla-

stico del Kazakhstan, con esiti apprezzati a scala

internazionale. A venticinque anni dall’epilogo di

quelle vicende, il loro insegnamento ha però un

esito straordinario e inatteso: la nuova capitale

del Kazakhstan, Astana. Città modernissima, em-

blema del Rinascimento kazako, le cui intenzioni

sono quelle di corrispondere adeguatamente alla

rappresentazione di sé di una società giovane e

multietnica, raccolta idealmente tutta sotto il suo

tetto, e di essere davvero la capitale di uno stato

che si prefigge di entrare nella cerchia delle tren-

ta economie più potenti del Pianeta entro il 2050.

Risorta dall’immaginazione dell’epopea spaziale

di stampo sovietico come una Fenice tecnologica,

Astana è una iperbole, frutto della visione del pre-

sidente Nazarbayev. Una visione tanto marcata,

che è diventata il soggetto del film “Il cielo della

mia infanzia”. Dove c’è un’ammissione di eterna

adolescenza, che è poi l’essenza del sogno. E un

sogno ha bisogno di simboli, soprattutto quando

si chiede di fermarsi, stavolta volontariamente, a

una popolazione dalle tradizioni nomadi come

quella delle Steppe. In mancanza di Storia la nuo-

va capitale si affida al mito, attingendo tanto dal

repertorio classico che da quello più recente, la

conquista dello Spazio. E qui entrano in gioco le

geometrie implicite, un Grande Gioco fatto di ci-

tazioni, non banali, e stimoli percettivi legati alla

memoria, tanto fiabesca quanto recente.

Astana si ispira alla rivoluzione neolitica, il cui og-

getto di riferimento è il sole: in Asia centrale ven-

ne portato da Samruk. È l’uovo d’oro sull’albero

che Norman Foster ha usato come emblema della

fondazione della città. Anche la piramide con i

L’accesso al Palazzo Presidenziale Il masterplan dell’Expo 2017

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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tre stadi della conoscenza (il teatro del mondo, il

tavolo, la cuspide) allude all’avvento della cultura

stanziale e al desiderio di comprendere. La società

neolitica si ferma per permettere alla Terra, che

diventa definitivamente sacra, di generare. Smet-

te di predare e si dedica a favorire la nascita e la

rinascita delle messi. È una rinascita che diventa

anche quella dell’uomo: se si ferma, ha più tem-

po, può riflettere, pensare e rigenerarsi spiritual-

mente.

Nazarbayev ha semplicemente riaffermato per

Astana ciò che Victor Hugo fece per Parigi e che

ormai è diventato patrimonio culturale condivi-

so: una verità epica su una capitale che la rende

più attraente. Non ha voluto che Astana fosse

apolide, una Las Vegas, ma ne ha cercato il valore

etico attingendo alle radici culturali mesopota-

miche e mediterranee, unendo simboli e citazioni.

Nel film, le pietre con cui il piccolo Sultan gioca

alle costruzioni sono la metafora di quei simboli:

il risultato è già la città ideale.

La simbologia del sole è l’immagine dello Spa-

zio Celeste, la stessa dei templi di Amon, del

Pantheon, dell’Anastasis, il Santo Sepolcro

costantiniano del IV secolo. L’orientamento

di Astana è quello delle colonie greche, delle

città etrusche o dei municipia romani. L’albero

di Samruk è lo stesso della fede coranica, dei

frattali di Mandelbrot, e può diventare la co-

lonna di fondazione di Costantinopoli. Le torri

dorate sono ancora quelle templari dei sume-

ri, le “montagne di dio”. Tende gigantesche e

piramidi di vetro rievocano i monumenti irre-

alizzabili di étienne-Louis Boullée, che nel di-

segno del Cenotafio di Newton ha consegnato

l’immagine più nitida della cultura illuminista,

la scoperta di un nuovo ordine. Un grande mo-

dello universale, che è stato ripreso, non a caso,

nel masterplan per l’Expo 2017. Che a sua volta

è denso di riferimenti alle nuove frontiere della

ricerca: dal passato al futuro, dal microcosmo

all’Infinito.

Lo Sport Palace L’Albero di Samruk al centro di Astana

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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Il Kazakhstan: in arte è donna

Più complesso e profondo è il rapporto del Ka-

zakhstan con le arti figurative (pittura, scultura,

grafica, ecc.). Per comprenderne l’attualità in

Kazakhstan è necessario consultare una pubbli-

cazione, Eurasianism througth the prism of the

Fine Art of Kazakhstan (2010) di Gulmira Shala-

baeva, docente di Scienze filosofiche, che rievoca

l’identità nomadica centroasiatica. La pubblica-

zione sancisce il compimento di una evoluzione

artistica di cui si possono distinguere le tendenze

e le fasi negli ultimi trent’anni, cioè da quando la

produzione artistica ha recuperato un carattere

nazionale:

1. La Pre-Perestroika (1980-1985). Nell’inerzia

dominante del realismo sociale ci sono alcuni ar-

tisti le cui opere non rientrano nel conformismo

dell’arte ufficiale.

2. La Perestroika (1985-1990). In quegli anni ven-

gono stabiliti Centri delle Arti e i primi gruppi che

realizzano mostre e simposi internazionali. La di-

namica della vita culturale permette di rimarcare

questo periodo come l’età d’oro dell’arte nella

periferia sovietica.

3. La fase dell’indipendenza post-coloniale

(1990-2000). Negli anni Novanta l’arte attra-

versa una fase di smarrimento, riconoscibile nel

conservatorismo del sistema dell’istruzione e in

stereotipi obsoleti che pesano sulla percezione

delle nuove espressioni artistiche. Ci si concen-

tra principalmente sull’organizzazione di simposi

internazionali.

4. La fase di stabilizzazione e ripresa (dal 2000 a

oggi). Si assiste all’avvio della riforma scolastica

nella formazione artistica e alla comparsa di una

nuova generazione di artisti che si adoperano

Donatello, David, bronzo, 1440

J. Currin, Laughin Nude, olio su tela, 1998

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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nelle forme più attuali dell’arte e organizzano la

partecipazione a grandi eventi artistici per il dia-

logo culturale tra Oriente e Occidente.

Il risultato più evidente è la diffusione della ri-

cerca sulla cultura etno-nomadica. L’idea forte è

la proiezione identitaria su un piano non ideo-

logico e il ruolo centrale è delle donne. Akzhan

Abdalieva elabora la rappresentazione della don-

na in forma di icone che grazie all’uso raffinato

degli sfondi sono ponderate tra Bisanzio e i Fau-

ves; Dilka Nassyrova interiorizza l’allegoria della

malinconia calata dentro un mondo fantastico;

Almagul Menlibayeva spazia verso la Visual Art

e il linguaggio filmico per evocare la ritualità

gestuale e simbolica che appartiene alle donne

centroasiatiche.

Nata all’interno del blocco sovietico negli anni

Trenta del Novecento, l’arte contemporanea ha

sviluppato una vena indipendente, proponendo

riferimenti alla Russia zarista, all’Europa occi-

dentale del secolo XVI-XIX, all’arte islamica. Oggi,

dopo l’ultimo e definitivo collasso della memoria

del Novecento (1989) gli artisti kazaki restano fi-

gurativi e sono alla ricerca di contenuti interiori

e autobiografici. L’intenzione non è mai élitaria,

descrittiva, storicistica o ideologica: si radica

nell’antropologia delle Steppe, nell’equilibrio del

nomadismo.

Riflessi d’Occidente

È da notare come l’Italia venga ancora osservata

come il fulcro della cultura latina, bella e rassicu-

rante anche oltre i suoi stessi confini.

La più grande struttura per esposizioni è il mu-

seo di Almaty intitolato a Abylkhan Kasteev, nato

nel 1976 dalla collezione della galleria di Stato

Shevchenco, che a sua volta risale al 1935, e da

altri contributi, non ultimo quello dell’Ermitage di

San Pietroburgo. L’edificio attinge dal Neoplasti-

cismo socialdemocratico di De Stijl e di Theo van

Doesburg, di Walter Gropius, dell’epopea brande-

burghese del Bauhaus. Lo spazio interno è sud-

diviso per piani netti. Il concetto di superficie si

estende anche ai soffitti, trattati con tassellature

elementari su cui talvolta emergono geometrie

pitagoriche, come cerchi o triangoli. Il rimando

immediato è alla ponderazione greca e alla sezio-

ne aurea, quello più profondo alle simmetrie della

lezione decorativa islamica.

All’ingresso il lucernario a piramide isoscele allude

al Cielo, quasi fosse una cupola pagana innalzata

dal Modernismo. All’interno ricorda la Cappella di

Mark Rothko a Houston. Con Houston attraverso

il cosmodromo di Baikonur il Kazakhstan condivi-

de la corsa allo Spazio, ma è il senso di spiritualità

quello che pervade il luogo e tutta la produzione

artistica kazaka degli ultimi trent’anni almeno.

The 20th Century di E. Mergenov allude con iro-

nia alle spedizioni nello spazio: l’opera, in allumi-

nio, sta al Novecento come il David di Donatello

al Quattrocento italiano, realistica e dissacrante

al contempo. Poco più in là The Horseman di N.

Dalbayev ritrova il gusto descrittivo del fram-

mento che fu di un altro illustre italiano, Andrea

Mantegna, ma riprende anche certi elementi

della scultura arcaica ellenica, come il Cavaliere

Rampin, la nota figura equestre ateniese risalente

al VI secolo a. C..

Abylkhan Kasteev, il primo grande pittore kazako

di formazione accademica studiò a Mosca: i suoi

paesaggi ricuperano la pittura italiana del XV se-

colo, luminosa e determinata nella scoperta della

prospettiva albertiana. Le connessioni ideali alla

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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produzione masaccesca, belliniana, mantegnesca

- ovvero puramente descrittiva - sono facili. Ne

deriva una evoluzione indipendente rispetto al

blocco sovietico tra gli anni ‘30 del Novecento e il

1980, che si concentra su un positivismo descrit-

tivo. All’epoca dell’indipendenza c’è un tenore

diverso rispetto alla crisi che anima il resto degli

Stati di ambito ex URRS.

Essere culturalmente nomadi significa letteral-

mente essere naturali. Non c’è alcun legame al

bene materiale, al caos della società post-indu-

striale. Gli artisti kazaki che operano all’estero

assegnano molto spazio al mito delle radici. Qui

si segna nuovamente il più totale trionfo della vi-

sione sciamanica al femminile. E mentre Akhzan

Abdalieva rievoca l’arte della Russia zarista ela-

borando il soggetto della Vergine di Fedorov in

chiave moderna, compaiono le prime esperienze

al di fuori dei crismi accademici, ad esempio nella

Visual Art e nell’impiego di installazioni museali

minimaliste.

Sopra: V. Rakhmanov, Khojaly, bronzo, 1989A destra: E. Mergenov, The 20th Century, alluminio, 1985-’88

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

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Al Kasteev Museum lo sguardo rivolto all’Italia

non si limita al Rinascimento. Tra le opere del

museo Kasteev ce n’è una di Arturo Ricci, pittore

fiorentino vissuto a cavallo fra Otto e Novecento,

Giocare a scacchi, ambientazione barocca in cui

spicca un sontuoso tappeto ottomano. Il rimando

è al mondo di relazioni esistite nel Mediterraneo

fin dall’affermazione di Venezia. Sono simmetrie

politiche e simmetrie geometriche, intrecciate

come i tappeti esposti nella sezione dedicata alle

arti applicate.

Spiritualità e Neoumanesimo prorompono dall’o-

pera Khojaly di V. Rakhmanov, dove la figura

androgina in bronzo è dematerializzata nel ri-

cordo della tragedia del primo villaggio distrut-

to dall’intolleranza civile nel Nagorno Karabakh:

la possiamo accostare idealmente a Guernica di

Picasso o a Costruzione molle con fave bollite:

presagio di guerra civile di Salvador Dalì.

L’arte attuale

Il Novecento è stato molto breve. Dal canto suo

il Kazakhstan lo ha vissuto dentro un flusso inin-

terrotto di cambiamenti sociali. All’avvento bol-

scevico ha fatto seguito la scalata di Stalin e con

Stalin sono arrivati artisti giudicati pericolosi e

messi al confino. Senza saperlo, la macchina so-

vietica ha portato i semi dell’arte occidentale. Ne

è scaturito un panorama artistico rinnovato ed

ampiamente condiviso, eminentemente figurati-

vo e che può essere considerato un remake regio-

nale della Belle époque.

Rappresentative di quel mondo sono state Gul-

fairus Ismailova e Aisha Galimbayeva, entrambe

attrici, la prima nel teatro musicale, la seconda

cinematografica, e pittrici. Molti sono i tratti co-

muni alle due donne, non solo la loro versatilità.

Oltre ad essere le prime pittrici del panorama ka-

zako, ne hanno incarnato lo spirito diventando-

ne riferimenti indiscussi fin dagli anni Settanta.

Le loro visioni hanno il carattere della sacralità

che a Occidente era stata a fondamento di Arts

& Crafts oltre un secolo prima. I loro paesaggi

rivelano la bellezza inspiegabile della natura e

una grande fiducia nella legge suprema dell’U-

niverso: entrambe cercano di catturare il prin-

cipio della conoscenza infinita e dichiarano la

supremazia dello spirito umano sul mondo. Con

il trittico Peace del 1975 Aisha Galimbayeva asse-

gna decisamente il primato alla sfera femminile.

Tra le opere di Gulfarius Ismailova ricordiamo La

danza kazaka. Ritratto di Shari Zhandarbekova

nella parte di Aktokty, Ritratto di Kulyash Bai-

seitova nella parte di Kyz-Zhibek, le scenografie

per il film Kyz-Zhibek. La sintesi delle arti nelle

opere destinate al teatro della Ismailova è den-

sa di emozioni sublimi. Mantenendo richiami ai

maestri della pittura russa, la sua cifra non è più

solo accompagnare visivamente l’azione ma an-

che aiutare a esprimere la musica, i suoi temi e

le sue figure, coniugando le tecniche pittoriche

con quelle plastiche proprie dei tableaux vivants

(Ванслов В., Изобразительное искусство и музыка. Л., 1983).

In piena Perestroika è stato Erkin Mergenov a

descrivere l’epilogo di quell’epoca. Tecnicamente

è iperrealista, ammicca all’eredità di Duane Han-

son e dei suoi celebri turisti americani; ma allude

all’Art Decò con l’impiego della stibnite a pig-

mentare le porzioni scoperte del corpo e duetta

corrosivamente con l’ambiguità. L’atteggiamento

del suo eroe, che si stira su una sedia, è uno sfor-

zo immane degno del Laocoonte, di un Prigione

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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michelangiolesco, del titanismo spirituale del-

la Maddalena, oppure un gesto annoiato? È un

chiasmo, tanto ponderato come nella scultura at-

tica del V secolo a. C. (vedi il Poseidone di Atene),

quanto leggero come una poesia postmoderna.

Il Kazakhstan è distante dallo straniamento che

avvolge l’Occidente, dalla ricerca affannosa di un

senso per l’arte attraverso nuovi alfabeti e incro-

ci con le discipline scientifiche. Va giustamente

messa in risalto la prospettiva attuale, molto

più aderente alla “verità in pittura” che non al-

tre visioni. Tornando al tema della donna forte,

basta confrontare Laughin Nude di John Currin

del 1998, Cold Woman di Marlene Dumas, A Big

Family di Zhang Xiaoyan del 1995 e le anime tra-

scendenti di Natalia Viktorova (Berik Barisbekov,

Kazakhstan Contemporary Art, Central Asia Pro-

duction, Almaty 2011, p. 18).

Va ricordato che le civiltà individualiste sono tutte

stanziali, al punto che esse lottano strenuamente

contro il nomadismo: basta citare i miti di Caino e

Abele o di Romolo e Remo. Lo stanziale vive nella

paura, pur essendo un benestante rispetto al no-

made, che invece vuole sentirsi libero di agire e di

muoversi dove e come vuole. L’attività lavorativa

che svolge deve dargli soddisfazione, il gusto della

vita. Il nomadismo, per millenni, è stato la rego-

la principale del vivere civile. Le ricerche dell’arte

kazaka attuale sono perciò particolarmente sti-

molanti. Idealmente si rivolgono ad un desiderio

di adolescenza perenne, che per gli artisti è certa-

mente la condizione antropologica migliore.

Accanto compaiono le prerogative della civiltà

neonomade.

«Il nomade, estremamente mobile nello spazio

poiché si sposta senza sosta, avrà per rifugio una

tenda circolare perpetuamente smontata e ri-

In ordine dall’alto:A. Kasteev, Turksib, olio su tela, 1929G. Bellini, Orazione nell’Orto, olio su tavola, 1465-70G. Ismailova, Bozzetti per il film Kyz-Zhibek, tecnica mista, 1956

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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montata. Poiché vive così, lontano dal Suolo, e

dunque più vicino al Cielo, le sue arti saranno

composte di elementi che si succedono nel tem-

po: danza, poesia, eccetera e, poiché durante la

notte deve vegliare il suo gregge, osserva il cie-

lo notturno e scopre la luna, le costellazioni e lo

zodiaco: il suo calendario non sarà solare come

quello del sedentario, ma lunare. Per le stesse ra-

gioni, avrà tendenza al politeismo, distinguendo

tanti dèi quante stelle vede nel cielo. Per lui che si

sposta, l’indice principale sarà il punto fisso della

stella Polare, il nord, contrariamente a quanto fa

il sedentario che individua il sole a mezzogior-

no, nel sud, per regolare il suo gnomone. L’uomo

pensa, e cerca sempre di registrare i propri pen-

sieri allo scopo di conservarli e di trasmetterli; da

questo sorge l’invenzione della scrittura. Orbene,

esistono due modi di scrivere, e ciascuno appar-

tiene, è evidente, allo stile sedentario o nomade.

Il sedentario includerà nella sua scrittura tutti gli

elementi allo stesso tempo (coesistenza), creando

così il pittogramma, l’ideogramma, il geroglifico;

mentre il nomade scriverà in successione, inven-

tando gli alfabeti» (Jacques Lavier, Medicina ci-

nese, Garzanti).

Le radici nomadi spiegano, ad esempio, le opere di

Mulat Mekebaev, che attingono all’eredità del ma-

estro kazako dell’Avanguardia Erbolat Tolepbaev: i

Trittici (“Mezzogiorno, notte, giorno”, 2001 – “Mat-

tino, notte, giorno”, 2006) e “L’amore della luna e

della notte”, 2007 (Bulat Mezebaev. Schnittstellen/

Interface. Bilder/Painting 2000-2009, s.n., s.l., s.e.).

Risulta perciò perfettamente condivisibile l’analisi

di Gulmira Shalabaeva, quando nel 2009 introduce

un catalogo dell’artista.

«Come le Grandi Steppe, l’Europa è aperta da

sempre alle altre culture, alle nuove tenden-

ze, agli influssi intellettuali e al dialogo. Al suo

interno le culture nazionali hanno espresso la

capacità di assorbire e assimilare vari elementi

dalle altre. Storicamente quella kazaka è stata

costituita dalla coesistenza e dalla capacità di

sintesi. Segnata dalla saggezza della Steppa, ha

assorbito caratteri persiani, arabi, nomadi, turchi

e slavi, e ha conseguito una maturità che si ca-

ratterizza nella Weltanschaung di un profondo

internazionalismo. La saggezza della steppa sta-

bilisce che non ci si può rinchiudere nell’indivi-

dualismo: l’uomo appartiene all’Universo e come

tale ha uno spirito trascendente” (G. Shalabaeva,

Der Neonomade Bulat Mekebaev, in Bulat Meke-

baev. Schnittstellen/Interface. Bilder/Painting

2000-2009, s.n., s.l., s.e., p. 11).

La Donna delle Steppe, la sua natura e la modernità dell’arte

L’oggetto d’arte può essere valutato dalla somma

fra l’abilità artigianale applicata e la capacità di

trovare corrispondenza con un bisogno simboli-

co. In passato il rapporto era totalmente rivolto

all’esecuzione, la rappresentazione del bisogno

simbolico veniva delegata alla capacità delle bot-

teghe di inventare e sviluppare modelli, e questo

valeva tanto per dare forma a caratteri collettivi

che nel caso di poteri personali. Quell’equilibrio

è cambiato negli ultimi duecento anni. Molto è

dipeso dalla destrutturazione delle società tradi-

zionali quando si presentarono i mutamenti della

rivoluzione industriale.

I popoli stanziali si trovarono impreparati. Ciò

fece nascere l’esigenza di un bagaglio d’immagini,

puntualmente ripartito tra futurismi, paranoie e

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

100

correnti neoclassiche, che supplisse alla percezio-

ne dello sradicamento, del caos, del relativismo.

Ma qualcuno non è stato travolto. Sono i popoli

delle steppe. Forti di una formazione accademica

di prim’ordine, le loro comunità artistiche hanno

ora una propositività formidabile.

In questa prospettiva le donne sono oggi un’a-

vanguardia di genere, permettendo una intrigan-

te lettura sulla, mobilissima, visione femminile

dell’arte.

Ogni lettura della sfera artistica femminile è

complessa. La produzione stessa delle donne non

è priva di contraddizioni. Sono i casi in cui, anche

quando si recupera il carattere autentico della

phoemina come espressione di forza vitalistica

e generatrice autore-

ferenziale, essa non è

protagonista ma sem-

plice metafora, la sua

immagine viene usata

in modo est-etico per

alludere ad altro. In

questo caso è, peraltro legittimamente, la proie-

zione dell’intelligenza umana nell’altro da sé.

Anche così però il gesto assume carattere rituale,

di sacralità, e si riflette dentro la natura. Con que-

sto antefatto tanto i mondi di fiaba che le figu-

re grottesche scaturite dalle creatività femminili

fanno un effetto del tutto naturale, ma allo stes-

so tempo rendono tutto ciò che è realistico asso-

lutamente innaturale. Perché il linguaggio della

natura non è artefatto, punta all’immediatezza,

crea estraniamento, anche l’astrazione risponde

a regole rare e precise. Le donne possiedono la

freschezza della natura: è una capacità che non

risponde a categorie maschili, ma che è fatta di

equilibrio compositivo, ricchezze cromatiche e/o

atmosfere intense. Che è ciclica e immutabile,

come il tempo della natura. Soprattutto, la loro

è una visione forte che non è mai aggressiva. Chi

riceve un dono, la vita, e lo elabora sapendo di

poterla dare “in sé” a sua volta, è consapevole

di non appartenere solo a se stesso. Una donna

sa di essere parte dei disegni dell’Universo e nel

percorso creativo propone la stessa situazione,

divenendone protagonista.

Nel percorso artistico “al femminile” gli incon-

tri sono vitali; incontri con persone, situazioni,

drammi, flash di felicità o di dolore: dietro si cela-

no sensazioni, che ne sono frutto e danno il sen-

so stesso all’identità femminile, all’appartenenza

alla metà del genere umano.

La forza sta nel saper

essere vere anche nel-

le piccole cose. È un

valore riconosciuto,

tanto che tale dime-

stichezza si vede sia

nella scrittura che

nella narrazione di saggiste, scrittrici, poetesse e

attrici.

Allo stesso modo, pur con mezzi diversi, le arti

figurative interpretate dalle donne recano im-

presso uno stile che è sempre introspezione. Dove

della cultura, affidata tanto a Occidente che

dall’Impero Sovietico alle categorie della ragione,

viene snudata la fragilità in nome del vero: un

vero che emerge dalla concatenazione di relazio-

ni e input di “varia umanità”. Rispetto ad essi la

donna interprete si pone come nodo congiuntu-

rale, network, e li rielabora assumendo quasi un

carattere sacro, sacerdotale.

È un aspetto motivazionale che si va a proporre

con forza proprio là dove ogni forma di religio-

La sfera artistica femminile è complessa,

perché le donne possiedono la freschezza della natura

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

101

sità e di legame nazionale è stata custodita nel

silenzio fino al dissolvimento dell’Unione Sovieti-

ca, che per tutt’altro verso aveva incoraggiato la

partecipazione femminile ai movimenti artistici.

Una volontà di questo genere, schiettamente an-

tropologica e che ritiene gli elementi fondamen-

tali del proprio immaginario, non riesce a dare

forma compiuta al cambiamento, se la tradizione

che la sostiene non è fortissima. Uno dei suoi mo-

tivi caratterizzanti non è la trasparenza all’inter-

no, che è ideologica, ma l’interiorizzazione dell’e-

sterno, che è sempre in divenire. La categoria del

simbolico è svuotata di ogni senso e sostituita

dal caleidoscopico: ciò che viene rappresentato

diventa il verosimile, fatto di spazi, colori e sug-

gestioni (spesso frammentarie o calligrafiche, con

scritture vere o d’invenzione) ma sempre sospeso

nel tempo.

Si può parlare di una essenza fantastica femmi-

nile. Come fantasia essa conduce le forme della

metamorfosi. Non ne distrugge i caratteri, ma

ne dissolve i contorni: e questo con l’arte lo si

può ottenere alleggerendo ogni forma della sua

gravità. Anche questa immagine del mondo è sol-

tanto una immagine; dissolverne la fissità equi-

vale a percepirne infinite altre sullo sfondo.

L’azione creativa è metafora del genius Artis che

ricalca il senso con cui è stato reso ideale dal

mondo greco. La creazione dell’uomo artificia-

le e la modifica delle capacità fisiche dell’uomo

naturale sono temi affrontati nella mitologia,

nelle scienze prima di Galileo, nella letteratura e

recentemente anche nella filmografia in relazione

ai desideri e alle speranze, soggettive e collettive,

dell’umanità.

In Kazakhstan la donna riveste un ruolo centra-

le e sciamanico. Spesso anche nella letteratura e

nelle espressioni figurative più recenti la trovia-

mo rappresentata davanti alla nascita.

Nella dimensione simbolica tradizionale la don-

na dà vita mentre l’uomo si limita a guardare il

mistero della procreazione rivestendo la donna di

Z. Xiaoyan, A Big Family, olio su tela, 1995B. Mekebaev, Silenzio notturno, olio su tela, 2003

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

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sacralità. La procreazione è un mistero, ma anche

lo specchio psichico della dualità: come il rappor-

to padre-figlio, dominante-dominato, maestro-

allievo. Neanche la modernità, verticistica e fallo-

cratica, può incidere su questa condizione.

Rispetto al mutamento il problema si complica.

Nel Novecento il mito è ancora l’uomo-macchina

e si assiste al nuovo orizzonte del trans-umano e

del post-umano.

Ma sono vari i riferimenti antichi in cui sia l’uomo

che la donna cercano più o meno inconsciamente

una perfezione divina immaginata, forse sperata,

che entrambi non hanno.

È un universo rappresentativo in cui si perpetua

un moto ciclico, circolare, dei riferimenti. Parte

dalla femmina sacra per tornarvi in forma ine-

dita, più profonda e suggestiva. Vi si ritrova la

figura classica di Pigmalione, lo scultore che rap-

presentò in effige la sua donna ideale, Galatea,

alla quale gli dei diedero poi vita (Ovidio, Meta-

morfosi X, 243-297). Ma se la cultura classica (e

classicista) si rifugia nel figurativo come sinoni-

mo di simulacro, la modernità rivela subito una

dimensione estetica diversa. Mentre la ricerca

scientifica si occupa di forme di vita artificiale, o

almeno di intelligenza, di rigenerazione e sostitu-

zione di parti del corpo umano, al fondo rimane

la supremazia femminile nella Creazione.

Il femminino nell’arte kazaka è figurativo sì, ma

ideale, candidato, purificato secondo i crismi che

furono comuni anche a più antiche civiltà eura-

siatiche. Per gli Egizi Bastet era la Dea della gioia

e del calore del Sole. Ma il soggetto, che emerge

alle sue spalle, è la Donna domina, la Dea Madre

tanto tellurica come la Terra (Gea) quanto iperu-

ranica come Freya: nella sintesi delle due visioni

diventa olimpica e distante come Hera, moglie e

sorella maggiore di Zeus, figlia di Rea, che a sua

volta era sorella e moglie di Crono (il Tempo) e

figlia di Gea.

È una deità imperturbabile, che si confronta es-

senzialmente con il tema della rappresentazione

G. Ismailova, La danza kazaka. Ritratto di Shari Zhandarbekova nella parte di Aktokty olio su tela, 1958

B. Mekebaev, La ragazza nella notte, olio su tela, 2008

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

103

antropometrica della Creazione come si trova ad

esempio nelle figure antitotemiche delle origini,

le cosiddette veneri preistoriche, la cui caratte-

ristica spesso è quella di presentare una effigie

isterica, un’ Origen du Monde ante litteram.

Richard de Clare nel 1169 riportava dall’Irlanda,

che era rimasta isolata da oltre un millennio, la

figura di Sheela na Gig, colei che si genera ed è

generatrice. Della divinità irlandese esistono varie

rappresentazioni ad ornamento di monumenti

religiosi. È la deità della Madonna nera del mondo

argotico, la Notre-Dame cui sono intitolate tutte

le cattedrali in quello stile; che è la mutazione

dalla categoria dell’umano al post-umano, la

traduzione concettuale della Creazione in chiave

estetica.

La Donna delle Steppe, l’universalismo di un modello regionale

La donna come soggetto dell’arte kazaka si collo-

ca a metà fra immagine (naturalistica) e simbolo

(antinaturalistico) ovvero fra una raffigurazione

individuale e una collettiva. Operando, libera-

mente, per categorie concettuali, si passa da un

pensiero fondato sull’analogia (l’immagine) ad

uno fondato sulla logica (la parola).

Rispetto all’approccio tecnico, l’atteggiamento

si diversifica per una maggiore immediatezza di

esecuzione e comunicazione, cosa che legittima

ad esempio l’uso della fotografia digitale o di una

prevalenza del disegno sul colore e sulla verosi-

miglianza dei soggetti pittorici.

Sarebbe interessante, quando possibile, cercare un

phylos costitutivo con le divinità degli agricoltori

neolitici, che divennero femminili perché l’agri-

coltura si fonda non sulla forza ma sulla fertilità:

ovvero, il cacciatore si procurava il cibo attraverso

la morte, l’agricoltore attraverso la nascita.

Elementi coessenziali ad una ricerca di questo

genere riguardano l’analisi più ampia dei cambia-

menti intervenuti nelle società centroasiatiche:

gli insediamenti stabili;

il concetto di nazione, come connubio di etnia e

di territorio di appartenenza;

la differenziazione delle classi sociali.

Come si è già espresso precedentemente, si modi-

fica anche la religione.

L’arte è femmina, in quanto attributo inaliena-

bile del dio artefice. Quella nomade delle Steppe

centroasiatiche è stata tradotta nelle forme più

attuali della mondializzazione.

Paolo Zammatteo Architetto e critico d’arte

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

104

alvolta il patrimonio artistico diven-ta patrimonio per cercare le radici comuni, un modo per riconoscere

ed unire nelle diversità. Lei è un critico attento: queste fonti hanno una valenza storica o pos-sono essere solo strumentali e tautologiche?

Né strumentali né tautologiche: il fondamento è

dimostrato nella lunga articolazione della storia

dell’arte, soprattutto nella sua organizzazione

storiografica novecentesca che accentua la com-

ponente geografica, territoriale, locale e quindi

presuppone una storia ed una geografia dell’arte,

non soltanto una storia dell’arte.

La storia dell’arte – per come l’abbiamo imparata e

per come è stata codificata – è esattamente come

la lingua italiana, per la quale fu stabilito, nel ‘500,

che dovesse essere una lingua sana e colta: dun-

que, la lingua di Petrarca e Boccaccio – che sono

diventate la lingua scritta, tant’è vero che Manzoni

deve “risciacquare i panni in Arno”, perché scrive

a cura di Roberta di Casimirro e Paolo Zammatteo

Sgarbi: Astana, capitale del Rinascimento asiatico

T

Ascolta il podcast con l’intervista a Vittoro SgarbiAttiva il tuo lettore di Qr Code su smartphone

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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

105

una lingua che presenta dei solecismi lombardi, ma

che però – in realtà – sono una specificità. E così la

pittura italiana è stata per molto tempo identifica-

ta con la pittura dell’avanguardia Toscana e quindi

con quella di Cimabue, Giotto, Lorenzetti, Masac-

cio, Simone Martini, Piero della Francesca, Miche-

langelo: tutto il filone dei grandi artisti che noi

abbiamo consacrato è toscano. In seguito, verso la

metà del ‘900, il pittore più gettonato e più ammi-

rato diventa Caravaggio, il quale è nato a Milano:

si contravviene, quindi, alla linea toscana e anche

in arte contemporanea il pittore più riconosciuto è

un bolognese: Morandi. Bologna e Milano, ovvero

due città padane, hanno lo spazio più ampio del

‘900 rispetto alla storiografia precedente.

Si comprende quindi che la storiografia ha rico-

minciato a considerare la storia dell’arte per aree

geografiche: quella padana, ferrarese, parmigia-

na, piemontese e via dicendo con una caratte-

rizzazione che è sempre più puntuale e distinta

rispetto ad una lingua universale che sarebbe

quella toscana. Quindi quella toscana è una lin-

gua convenzionale ma i caratteri distintivi sono

tutti locali ed hanno i loro artisti legati ai territori

con caratteristiche che sono specifiche e distinte.

Quindi anche il paesaggio influenza l’arte?

Certamente.

Ritiene che i popoli di tradizione nomade – come per lungo tempo gli euroasiatici delle steppe – usino l’arte figurativa come stru-mento per essere riconosciuti nella storia?

Non lo so, ma direi di no. Altrimenti ne avremo

memoria.

Oggi la capitale Astana è l’emblema del nuo-vo Kazakhstan: la nuova capitale ha qualche affinità ideale con le città del Risorgimento italiano?

No, non del Risorgimento, ma del Rinascimento

italiano: il Risorgimento è un fatto regionale, di

definizione statuale-politica sul piano simbolico-

rappresentativo. Ma l’Italia c’era già prima del

Risorgimento, basti pensare ad un Leonardo o ad

un Michelangelo: l’arte aveva identificato un’i-

dentità italiana ben prima del Risorgimento.

Quindi, una città nuova che sorge con una grande

ambizione, con architetture di architetti che hanno

desideri e ambizioni molto riconoscibili si può, al

di là delle singole risultanze, mettere in relazione

con il nostro Rinascimento cioè con Brunelleschi,

Leon Battisti Alberti, Bramante, Palladio, quindi

con i grandi artisti che hanno improntato l’arte

moderna. Infatti, i modelli italiani sono talmente

importanti ed esemplari che, ad esempio, la Casa

Bianca è ispirata a modelli di Palladio e Bramante:

evidentemente c’è un carattere universale di alcuni

fenomeni dell’architettura italiana e questo con-

sente un accostamento all’architettura nuova di

una città altrettanto nuova, come Astana.

L’arte e la cultura materiale sono davvero in grado di unire tradizione e modernità?

Direi di sì: la Tradizione è una visione del mon-

do, è una mentalità, è uno spirito; tecnologia e

modernità sono strumenti; quindi uno è uno spi-

rito l’altro è uno strumento. Uno strumento può

essere utile allo spirito, infatti, un nomade può

andare a cavallo oppure in jet, dal momento che

la natura nomadica non è legata ad un mezzo di

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

106

trasporto: la tecnica è al servizio della Tradizione

e della visione.

Secondo lei quali sono le frontiere dell’archi-tettura?

L’architettura è l’arte più difficile e anche quella

più pericolosa, perché cambia la forma del mondo

e quindi stabilisce una diversità rispetto a quel-

lo che noi abbiamo davanti agli occhi: una città

nuova – infatti – è un nuovo mondo, mentre una

foresta o il mare sono sempre gli stessi.

La presenza dell’uomo e della sua visione si spec-

chiano nell’architettura con dei rischi: se la visione

è povera e speculativa, vediamo gli orrori fatti in

Italia negli ultimi 50 anni; se, invece, la visione è

più alta, vediamo quello che è stato fatto durante

il fascismo, con la costruzione di città nuove in cui

ci sia una forte volontà di rappresentare il potere.

Dopo l’intervento a sostegno del patrimonio culturale a L’Aquila, il Kazakhstan cosa può insegnare a chi si occupa di beni culturali?

Essendo un paese ricco, dovrebbe legare questa

ricchezza a qualcosa di così utile sul piano della

scienza e della conoscenza, in modo da diventa-

re un paese di riferimento. Se, per esempio, delle

specialità mediche o di ricerca scientifica vengono

potenziate e sviluppate in Kazakhstan, allora si do-

vrà andare lì per trovare quella che si chiama “ec-

cellenza”. Cioè qualcosa che lì trova una maggiore

rappresentazione ed esaltazione che non altrove.

Si è ipotizzato di portare un Caravaggio in mostra ad Astana. Quale valenza potrebbe avere nell’interscambio culturale ed artistico

tra Italia e Kazakhstan?

La richiesta mi è sembrata intelligente e preve-

dibile. Caravaggio, infatti, è cresciuto in modo

esponenziale rispetto ad altri artisti italiani: pro-

babilmente oggi è più amato e conosciuto persi-

no di Michelangelo.

È una conoscenza dinamica ed una bellezza che

è agganciata al nostro tempo, e quindi la scelta

di quella probabilmente è un automatismo ma è

comunque interessante che venga richiesto un

Caravaggio e non un Michelangelo.

Quindi, l’idea che ci sia in lui una straordinaria

modernità di visione, e che questo sia percepito

anche da chi non lo conosce, è una prova in più

per la grandezza di Caravaggio ed anche per il

nesso che si può stabilire con una civiltà nuova:

Ma qual è il messaggio di Caravaggio che potrebbe essere più accattivante per il Ka-zakhstan?

Caravaggio non ha un messaggio. Caravaggio in-

venta la fotografia. Fa le rappresentazioni più mo-

derne che si fossero mai fatte prima, e anche insu-

perate. Dopo quel punto di vista c’è solo il cinema,

ma la rappresentazione statica non può andare

oltre Caravaggio neanche con la fotografia.

Quindi vuol dire che nel 1600 era andato già

molto avanti. Questo lo rende particolarmente

consentaneo a chi intende il progresso come una

necessità e un avanzamento. Lui da questo punto

di vista è più avanti di qualunque fotografo.

Paolo ZammatteoArchitetto e critico d’arte Roberta Di CasimirroRegista di Radio RAI 1

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

107

quasi una ventitreenne la Repubblica

del Kazakhstan. Giovane e piena di

voglia di vivere. Di esserci, e di dire la

propria nel mondo. Con quell’energia di chi vuole

conquistarlo perché la gioventù, per chi ancora

l’attraversa, sembra immortalità; bellezza eterna;

energie mentali e fisiche infinite. E lei di bellezza

ne ha da “vendere”. Il suo corpo naturale, che si

estende su circa 2,7 milioni di chilometri quadrati

tra Russia, Mar Caspio e Cina, è tra i più ricchi e

affascinanti del pianeta. Selvaggio nei suoi spet-

tacolari boschi del nord; o come le montagne del

sud come il settemila “signore degli spiriti” Khan-

Tengri e “la montagna sanguinosa” color tramon-

to del Kantau. Spettacolare anche nelle immen-

se steppe che la vestono, o nei gioielli di cui si

adorna fatti di tulipani e mele che, da qui, si sono

diffusi in tutto il mondo. Ed è anche seducente

questa giovane Repubblica. E lo sa bene. Anche

che il Vecchio continente la guarda con occhi di-

versi. Di desiderio che si posa su quel “ventre” che

di Renato Sartini

Con il vessillo della scienza.Così il Kazakhstan va incontro al futuro

è

Intervista all’Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica del Kazakhstan nella Repubblica Italiana, Andrian Yelemessov

“I venerabili scienziati kazakistani sono in gran parte giovani: nel campo della ricerca la quota di 35enni è del 38%, mentre quelli al di sotto dei 45 anni costituiscono la maggioranza, cioè il 56%”

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

108

nasconde molti piaceri materiali, chiamati risorse

minerarie. Tra le quali più di ottanta sono ele-

menti della tavola periodica di Mendeleev come

l’uranio – di cui è leader mondiale –, lo zinco, il

tungsteno, il bario, l’argento, il piombo, il cromo, il

rame; e fluoriti, molibdeno e oro. Alcuni rientrano

anche nella classificazione delle terre rare, impor-

tanti per l’elevato valore che hanno per i settori

ad alto contenuto scientifico quali l’elettronica,

la tecnologia laser, gli impianti di comunicazione

e le attrezzature medicali. Ma dal sottosuolo di

questa terra si estrae

anche tantissimo pe-

trolio e gas. Kashagan

è un gigantesco giaci-

mento di greggio nel

Mar Caspio, ed è tra

i più grandi ritrovati

al mondo negli ultimi

decenni. E immenso è anche quello di gas di Ka-

rachaganak alla cui produzione partecipa anche

l’italiana Eni che, fin dal 1992, ad appena un anno

dalla conquista dell’indipendenza dall’ex URSS

della Repubblica presieduta da Nursultan Nazar-

bayev, è stata una delle prime aziende straniere a

lavorare nel Paese asiatico.

Ma in questo immenso territorio (è il nono Pa-

ese al mondo per estensione), anche la “tavola

mendeleeviana degli elementi umani” è ben rap-

presentata dai circa 130 gruppi etnici e dalle 40

confessioni presenti all’interno di una popolazio-

ne di circa 16 milioni di abitanti; lanciata verso

l’obiettivo ambizioso di diventare una comunità

a preponderanza di classe media dal reddito pro

capite di 60.000 dollari (entro il 2050). Un tra-

guardo non impossibile se si pensa all’importante

“dote” ricevuta dal Paese da madre natura, che

già oggi assicura un reddito pro capite pari a più

di 14.000 dollari. A conferma di questo potenziale

c’è anche l’evidenza di un tasso di crescita medio

tra i più alti al mondo, pari a quasi l’8% (secondo

soltanto a Cina e Qatar). Nel 2011, per esempio, il

PIL era al 7% mentre, dopo la flessione del 2012,

è risalito verso il 6% nel 2013 con previsioni per

il 2014 del 7% e oltre. Con questi numeri si può

aspirare a tutto. Soprattutto quando a questi dati

si affianca la volontà del Governo di andare in-

contro al futuro investendo fino ad almeno il 3%

del PIL in istruzione e

ricerca scientifica, che

rappresentano la vera

moneta di scambio sul

mercato della concor-

renza mondiale. Ma

per entrare a pieno

titolo e rispetto nella

Comunità scientifica internazionale tutti que-

sti investimenti rappresentano una condizione

necessaria ma non sufficiente. Perché a ventitré

anni la Repubblica kazaka, ormai nell’età del-

la “laurea”, non verrà giudicata soltanto sulla

struttura dell’impianto economico, ma anche su

quello della democrazia (reale). Che, in una Paese

che vuole svilupparsi secondo l’economia della

conoscenza, non può che essere fondato sull’u-

guaglianza dei diritti.

In attesa del raggiungimento di un’identità de-

mocratica meglio definita, le iniziative a favore

della ricerca scientifica in un Paese così giovane

rappresentano una ghiotta occasione per seguire

e misurare gli effetti della scienza sullo svilup-

po di un territorio. Questa intervista nasce pro-

prio tenendo conto di questa prospettiva. La sua

genesi, però, sta tutta nell’incontro tenutosi il

“la politica ‘scientifica’ kazaka diven-ta materia di studio, e il territorio un

possibile ‘laboratorio’ in cui osservare e misurare la correlazione tra investi-mento in ricerca scientifica e sviluppo

economico e sociale”

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

109

dieci aprile scorso a Roma dal titolo “C’è spazio

per il futuro - Geopolitica dello spazio e nuove

frontiere”, nel corso del quale è stato presentato

il libro “Da Baikonur alle stelle - Il grande gioco

spaziale”. Pubblicato dal think tank di geopolitica

“Il Nodo di Gordio” in collaborazione col “Centro

Studi Vox Populi”, con il patrocinio dell’Agenzia

Spaziale Italiana e del Consiglio Nazionale delle

Ricerche, la monografia promuove la conoscenza

sul tema dell’esplorazione del cielo raccontan-

do del Cosmodromo della città kazaka; luogo di

scienza sconosciuto ai più, ma che ha segnato

la storia della conquista dello spazio non meno

della più nota base di lancio statunitense Cape

Canaveral. E già questa narrazione mi aveva di

per sé affascinato, visto che è dalle steppe di

questa terra che l’Uomo ha iniziato la sua avven-

tura di conquista dello spazio con “il lancio dello

Sputnik dal Cosmodromo di Baikonur nell’odier-

no Kazakistan;” - come si legge tra le pagine -

“e anche a spedire e sacrificare nello spazio un

essere vivente, la cagnetta Laika: a inviarvi un

cosmonauta, il ventisettenne Yuri Gagarin, che il

12 aprile del 1961 girò per due volte intorno alla

Terra a bordo della navicella Vostok; a manda-

re nello spazio una donna, Valentina Tereskova,

nel 1963”. Ma il vero spunto per l’intervista non

è stato soltanto il libro, ma un piccolo opusco-

lo informativo pubblicato a gennaio dall’Amba-

sciata della Repubblica del Kazakhstan in Italia,

i cui contenuti sono risultati molto interessanti

per chi come me si occupa di scienza: “La Via del

Kazakhstan-2050: un obiettivo comune, interessi

comuni, un comune futuro – Messaggio al popo-

lo del Kazakhstan del Presidente della Repubbli-

ca-Leader della Nazione Nursultan Nazarbayev”.

Nelle pagine si legge che è proprio la scienza una

delle basi su cui costruire il futuro del Paese; e

che lo sviluppo del Kazahkstan sarà basato sul

triangolo scienza-educazione-innovazione. Ma si

legge anche che, affinché ciò avvenga, la “crea-

zione di nuovi settori ad alta tecnologia dell’eco-

L’Ambasciatore del Kazakhstan Yelemessov in una visita in Italia nel 2013

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

110

nomia richiede la crescita del finanziamento alla

ricerca fino ad un livello non inferiore al 3% del

PIL. […] Creare un’economia ad alto contenuto

scientifico significa in primo luogo incrementare

il potenziale della scienza kazakhstana. In questa

direzione è opportuno perfezionare la legislazio-

ne dei capital venture, la tutela della proprietà

intellettuale, il sostegno alla ricerca e all’innova-

zione, ma anche alla commercializzazione delle

scoperte scientifiche. […] È indispensabile un

piano di incremento graduale del finanziamento

della scienza per concreti lavori e scoperte utili al

Paese al fine di elevarlo al livello degli indici dei

Paesi più sviluppati”. Ciò che traspare dall’inchio-

stro impresso sulle trentuno pagine del messag-

gio al suo popolo del Presidente è che il futuro si

deve giocare su un’economia ad alto contenuto

scientifico. Per questo la politica “scientifica” ka-

zaka diventa materia di studio, e il territorio un

possibile “laboratorio” in cui osservare e misurare

la correlazione tra investimento in ricerca scien-

tifica e sviluppo economico e sociale.

In “La Via del Kazakhstan - 2050” il Presi-dente Nursultan Nazarbayev individua nella ricerca scientifica la stella polare da seguire per ottenere una rapida crescita intellettuale e materiale del Paese. Quali sono le iniziative intraprese a favore dello sviluppo scientifico?

In linea con la visione del nostro Presidente, in

questi ultimi anni, con l’obiettivo di ottenere

prodotti competitivi, garantire la sicurezza eco-

nomica nazionale e, quindi, la crescita del po-

tenziale industriale e scientifico del Kazakhstan,

abbiamo puntato allo sviluppo di tutto ciò che

è high tech, sia in campo produttivo che nel

settore dell’Information and Communications

Technology (ICT).

La scienza è diventata un riferimento primario

per noi tanto che negli ultimi 10 anni il Paese

ha raggiunto grandi risultati grazie agli investi-

menti in ricerca. In ambito agricolo, per esem-

pio, le tecnologie satellitari di telerilevamento

e osservazione terrestre ci aiutano a fare pre-

visioni sul rendimento delle colture di grano; e

ci consentono di realizzare e aggiornare modelli

cartografici digitali territoriali per una gestio-

ne razionale dei pascoli. Riuscendo, con questi

strumenti innovativi, a fare una valutazione

scientifica della fertilità del suolo. Abbiamo,

inoltre, studiato e testato sul campo 193 varietà

di colture agricole, e selezionate 14 nuove razze

di animali d’allevamento.

In ambito strettamente industriale cosa ave-te realizzato? In “La Via” si legge che state puntando alla valorizzazione della proprietà intellettuale e all’innovazione come strumen-ti di competitività.

A oggi ci sono stati riconosciuti e registrati 877

brevetti, tra cui la tecnologia per la produzione

di acido nicotinico necessario sia in campo me-

dico che per l’agricoltura. In ambito industriale,

inoltre, è stata predisposta la documentazione

tecnica, progettuale e di ingegneria per la realiz-

zazione di 36 industrie ad alta tecnologia in di-

versi settori dell’economia. Gli studi comprendo-

no anche l’ammodernamento e l’espansione delle

industrie chimiche e petrolchimiche, e soluzioni

che favoriscono la nascita di piccole e medie im-

prese specializzate nella lavorazione di petrolio,

gas e carbone. Dei combustibili fossili abbiamo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

111

realizzato anche una serie di mappe geologiche e

documentazioni economiche previsionali che ri-

velano ottime prospettive di sviluppo produttivo.

Dal punto di vista delle politiche a favore del-la scienza che cosa avete realizzato? In ambi-to formativo, qual è la vision e quali sono i progetti principali?

L’infrastruttura di ricerca scientifica del Ka-

zakhstan è stata modernizzata attraverso una

serie di azioni tra cui l’approvazione della legge

sulla scienza e la costituzione di un comitato per

la scienza all’interno del ministero che si occupa

della pubblica istru-

zione. Da un punto di

vista strettamente fi-

nanziario è stato cre-

ato anche un fondo

speciale per la scienza,

e un modello che lega

il rapporto tra scienza e business, che aggiornia-

mo spesso. Dal punto di vista delle strutture, è

stato realizzato un centro nazionale per l’informa-

zione scientifica e tecnica, un centro nazionale per

le biotecnologie e quello per l’astrofisica. Un’at-

tenzione particolare è stata posta alla formazione

dei professionisti di domani: dal 1993 è attivo il

programma Bolashak, che significa Futuro, con il

quale, a spese dello Stato, si sono laureati nelle mi-

gliori università del mondo più di 7500 studenti

kazakistani che, rientrati, lavorano oggi per il bene

del nostro Paese.

Quante sono le Università e scuole di spe-cializzazione e perfezionamento? Quanti gli iscritti?

Attualmente in Kazakhstan ci sono 139 Istituti

di grado superiore paragonabili a quelli che per

voi sono, per esempio, i licei o gli istituti tecnici.

Hanno 599.000 iscritti pari a 377 studenti ogni

diecimila abitanti. Un numero elevato se si pensa

che in Giappone sono 222 e in Germania 258. Le

figure professionali più ricercate e in linea con le

priorità della politica generale del nostro Paese

sono quelle legate allo sviluppo delle tecnologie

innovative del settore industriale e dell’econo-

mia. Come quella dell’ingegnere, specializzato nei

settori dell’ICT, delle nano e biotecnologie, o del

personale formato per lavorare nel settore del-

la medicina, dell’ecologia, dell’industria chimica,

dei trasporti e della

logistica. Attualmente

in Kazakhstan il 57%

delle Università sono

attive nell’ambito del-

la ricerca impegnando

circa 18.000 giovani.

Solo negli ultimi 2 anni e mezzo i ragazzi che

hanno iniziato a lavorare per la scienza sono circa

3.000.

Un eccellente esempio di università impegnata

nella ricerca scientifica in Kazakhstan è la Nazar-

bayev University. È un’università di livello mon-

diale, creata su iniziativa del Presidente con l’o-

biettivo di integrare istruzione, scienza e produ-

zione creando un ambiente accademico efficace

e in grado di entrare a far parte della Comunità

scientifica mondiale. Le lezioni vengono tenute

da professori provenienti dalle principali Uni-

versità del mondo. Presso questo ateneo è stato

creato un centro sulle scienze della vita, per gli

studi energetici, la scuola di business e di politi-

ca dello Stato. Stiamo lavorando anche all’avvio

“Oggi la leadership non la possiedono i paesi che hanno più idrocarburi, ma

coloro che possiedono le tecnologie innovative”

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

112

della scuola di medicina e di estrazione mineraria.

Nell’ambito della ricerca, nella Nazarbayev sono

in corso più di 100 progetti scientifici, e sono stati

registrati diversi brevetti. Nel prossimo futuro è

in programma la realizzazione di una piattaforma

industriale ad alta tecnologia in cui far coesiste-

re centri di ricerca e di produzione nell’ambito

dell’energia solare e delle tecnologie spaziali.

Che ruolo ha per il Kazakhstan la coopera-zione scientifica internazionale? Ci sono an-che progetti di ricerca scientifica che portate avanti congiuntamente con l’Italia?

Per quanto riguarda la cooperazione, partecipiamo

attivamente a progetti di ricerca internazionali su

larga scala. Nel 2010 il Kazakhstan è diventato il

47esimo paese membro del “Processo di Bologna”,

un programma di riforma dell’istruzione superio-

re a carattere internazionale. Grazie anche a esso

i nostri giovani possono studiare in 35 paesi del

mondo. La loro formazione all’estero viene svolta

attraverso scambi didattici, borse di studio mes-

se a disposizione dai governi dei paesi stranieri

e dalle organizzazioni internazionali, da privati o

attraverso la borsa Bolashak. In Kazakhstan ci sono

anche molte Università internazionali congiunte:

l’Università tecnica Kazako-Britannica; l’Università

Kazako-Turca di Yassawi; l’Università kazako-tede-

sca; l’Università libera Kazako-Americana; l’Univer-

sità Kazako-Russa.

Molto efficace si è rivelata la cooperazione nel

quadro del programma transfrontaliero TACIS e in

quello Tempus dell’Unione Europea, diretti a sta-

bilire legami accademici tra le università del Ka-

zakhstan e dei Paesi europei. Per esempio, nel qua-

dro del programma Tempus una serie di università

kazake collaborano con quelle italiane: la KIMEP

University con l’Università di Ferrara nel campo

del diritto tributario; la Al-Farabi Kazakh National

University in più ambiti con le Università di Firen-

ze, Pisa e Bologna. Altro importante accordo con

l’Italia è stato firmato tra l’Università di Bologna

e la Kazakh Economic Univesity in tema di busi-

ness internazionale. Nell’ambito dei programmi di

formazione congiunti in materia “di creazione e di

sviluppo delle tecnologie innovative nelle piccole e

medie imprese nei paesi con le economie in tran-

sizione” è previsto anche il rilascio di un diploma

di master riconosciuto sia dalla Repubblica del Ka-

zakhstan che da quella italiana.

Tra gli altri importanti accordi c’è anche quello

tra l’Università di Trieste e l’Istituto Politecnico

della Karaganda State University che prevede lo

scambio di studenti e docenti tra i due atenei,

nonché lo svolgimento di progetti comuni in ma-

teria di risparmio energetico e nuove tecnologie.

Attualmente sono in corso di valutazione nuovi

accordi di collaborazione con l’Università di Peru-

gia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università

di Teramo e l’Università degli Studi di Roma “La

Sapienza”.

Risulta chiaro dal vostro programma politico e dalle sue parole che il Paese ha scelto di affrontare il futuro investendo nella società della conoscenza.

Nella strategia di “La Via del Kazakhstan – 2050”

grande attenzione viene prestata alle questio-

ni della formazione e all’economia intellettuale.

Come dimostrano le tendenze mondiali, al fine

di garantire la crescita dei settori economici ad

alta competitività è necessario prestare partico-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

113

lare attenzione alla formazione di personale al-

tamente qualificato, alla disponibilità di capitale

di rischio e all’attivazione di iniziative volte allo

sviluppo di una cultura dell’innovazione. Tutto

questo consentirà al Kazakhstan entro il 2050

di diventare un Paese a preponderanza di classe

media, con un indice del PIL pro capite che, in

previsione, potrà passare dai circa 14.000 dollari

US attuali a circa 60.000. Ben oltre, quindi, il tas-

so dei paesi più sviluppati.

Per raggiungere il vostro obiettivo di Paese costruito sull’economia della conoscenza, vi siete posti come primo step il raggiungimen-to del 2% di PIL di investimento in ricerca scientifica. Con l’obiettivo dichiarato di rag-giungere al più presto il 3%, considerato dal vostro Presidente il minimo necessario per essere al passo con i Paesi più sviluppati. At-tualmente, quali sono i fondi che avete mes-so a disposizione della scienza?

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

114

In termini di numeri assoluti i finanziamenti per

la ricerca aumentano di anno in anno. Se nel

biennio 2010-2011 dai fondi pubblici venivano

assegnati per lo sviluppo della scienza circa 20

miliardi di tenge, pari a circa 100 milioni di euro,

nell’anno 2012 questa cifra è salita a 50 miliardi

di tenge, pari a 250 milioni di euro. È stata, cioè,

più che raddoppiata. Nell’anno 2013, invece, sono

stati stanziati circa 52 miliardi di tenge. Queste

risorse vengono distribuite sulla base di un nuovo

modello di gestione della scienza e nuovi mecca-

nismi di tipo competitivo gestiti dal Centro na-

zionale di valutazione scientifica e tecnica, e da

cinque commissioni scientifiche. Grazie a questo

sistema, nella Repubblica attualmente possono

operare ben 345 organizzazioni scientifiche. Ma

la cosa più importante è che i “venerabili scien-

ziati” kazakistani sono in gran parte giovani: nel

campo della ricerca la quota di 35enni è del 38%,

mentre quelli al di sotto dei 45 anni costituiscono

la maggioranza, cioè il 56%.

Parte della vostra storia scientifica è legata all’ex URSS. Soprattutto per ciò che riguarda la ricerca spaziale. Che ruolo ha lo Spazio, e quindi il Cosmodromo di Baikonur, nello svi-luppo del Paese?

Oggi Baikonur è considerata una delle più impor-

tanti basi di lancio del mondo. Il suo potenziale

economico e scientifico è per noi molto impor-

tante, tanto che il Governo ha stanziato 48 mi-

liardi di tenge per la realizzazione del programma

spaziale 2013-2015. Il “cammino” del Kazakhstan

verso lo spazio è motivato anche dalla potenzia-

lità delle ricadute dell’innovazione tecnologica

sulla crescita socio-economica. Come ha detto

il Presidente Nursultan Nazarbayev, “Oggi la lea-

dership non la possiedono i paesi che hanno più

idrocarburi, ma coloro che possiedono le tecno-

logie innovative”. Proprio per questo la cosmo-

nautica del Kazakhstan si è posta due obiettivi

fondamentali. Il primo è quello di servire alla co-

munità, contribuendo all’aumento del benessere

del popolo. Questo, in particolare, attraverso la

creazione di un sistema di telecomunicazioni sa-

tellitari kazakhstane e di un sistema completo di

TV satellitare e radio. Ma anche realizzando un

sistema di telerilevamento, di navigazione satelli-

tare e posizionamento capaci di soddisfare le esi-

genze di sviluppo regionale. Il secondo obiettivo è

quello di stimolare la scienza e la tecnologia così

da sostenere lo sviluppo economico. Ciò significa

utilizzare il progresso scientifico e tecnologico

nel settore delle attività spaziali come una forza

trainante per promuovere le innovazioni inclusi-

ve nei settori riguardanti la tecnologia dell’infor-

mazione, promuovendo anche la formazione e lo

sviluppo di nuovi settori industriali innovativi.

Il 28 aprile è stato lanciato un satellite ka-zako costruito da Finmeccanica. Con quali obiettivi? Quali sono i progetti di collabora-zione in ambito spaziale con l’Italia?

Lo scorso mese dal Cosmodromo è stato lanciato

il terzo satellite geostazionario per la comuni-

cazione e radiodiffusione nazionale KazSat-3.

Questo satellite è destinato a soddisfare le

esigenze del mercato della radiodiffusione te-

levisiva, della comunicazione fissa, di Internet

e del sistema di trasmissione dei dati. L’Italia è

nostro partner in questo programma attraver-

so la società Thales Alenia Space, società del

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

115

gruppo Finmeccanica. Per noi si sono occupati

di eseguire i lavori di completamento delle par-

ti tecnologicamente più importanti, il “cuore”

del satellite. La parte kazaka è soddisfatta della

qualità del lavoro svolto dalla società italiana

che si è confermata essere un partner serio e

affidabile. Siamo speranzosi che nel futuro ci si-

ano ulteriori e proficue collaborazioni con l’Ita-

lia. Anche perché con il vostro Paese gli scambi

sono ottimi: il commercio bilaterale nel 2013

ammontava a circa 16,2 miliardi di dollari (ex-

port: 15,2 miliardi di dollari; import: 993 milioni

di dollari). Nel mese di gennaio 2014 questa ci-

fra ha già superato i 2 miliardi di dollari (export:

2 miliardi; import: 69 milioni). L’Italia si colloca

al terzo posto dopo Cina e Russia tra i Paesi che

sono nostri partner commerciali.

Il progetto “Via della Seta”, ricerca scientifica congiunta Cina-Italia che vede impegnati gli istituti IMAA-Cnr, IBAM-Cnr e l’asiatica CAS nello studio dell’antica Via attraverso l’uso dei satelliti, ha come scopo quello di includere il “tratto” nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO. In Kazakhstan le carovane commerciali pas-savano tra le steppe e nei pressi dell’odierna Kyzylorda, non molto distante da Baikonur: riterrebbe utile per il Kazakistan partecipare a questo importante progetto culturale, visti anche i possibili risvolti nell’ambito del turi-smo archeologico? Il Governo ha approvato un programma per il potenziamento del cor-ridoio di trasporto terrestre tra Cina ed Eu-ropa denominato “Kazakistan - La Nuova Via della Seta”: non ritiene che questo progetto potrebbe essere affiancato a quello di ricerca archeologica così da fare economie di scala?

La “Grande Via della Seta”, che ha più di 2000

anni di storia, non solo ha consolidato le rela-

zioni commerciali nel continente eurasiatico, ma

ha anche svolto un ruolo prezioso per l’integra-

zione delle culture di molti Paesi. L’anno scorso

il presidente della Repubblica popolare cinese Xi

Jinping ha pronunciato un discorso alla Nazar-

bayev University proponendo di costruire insieme

una zona economica della Via della Seta, basata

su un modello innovativo d’interazione pensato

per rafforzare ulteriormente i legami economici

tra i Paesi dell’Eurasia. È un progetto grandioso e

ambizioso: basti pensare che “La Nuova Via della

Seta” passa da Est a Ovest attraversando 18 Paesi

dell’Eurasia, la cui popolazione è di circa 3 mi-

liardi di persone, cioè circa la metà della popo-

lazione mondiale. La parte orientale della nuova

rotta include la comunità economica dell’area

Asia-Pacifico, e sul lato Ovest si collega con la

Comunità Economica Europea. Questo percorso è

considerato come il corridoio economico più lun-

go e potenzialmente più significativo nel mondo.

Di questa “Nuova Via”, quasi 3000 chilometri at-

traversano il Kazakhstan, e presentano centinaia

di testimonianze e monumenti storici di diverse

epoche. Questo rappresenta un’opportunità uni-

ca per il turismo archeologico che, insieme con

lo sviluppo dell’eco-turismo, rientra tra le priorità

del Kazakhstan. Per questo lo Stato assegna fondi

per la ricerca archeologica. In quest’ambito, ab-

biamo già un’esperienza positiva di cooperazione

con l’Italia attraverso la missione archeologica

iniziata nel 2001 e che continua tutt’oggi.

Tra il 21 e il 23 maggio prossimo si terrà il “VII Forum Economico di Astana”. Saranno presenti 7000 delegati di 150 Paesi, e ol-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

116

tre 50 capi di organizzazioni che operano nell’ambito della ricerca scientifica. Qual è l’importanza di questo appuntamento?

L’Astana Economic Forum (AEF) è una piattaforma

annuale di dialogo che ha come obiettivo quello

di discutere e risolvere problemi globali. Per la sua

importanza e portata non ha precedenti in tutta

l’Eurasia. Il principale organizzatore dell’AEF è la

Eurasian Economic Club of Scientists, un’associa-

zione creata nel 2008 su iniziativa del Presidente

Nazarbayev con lo scopo di raccogliere intorno

a un stesso tavolo i rappresentanti internazionali

della società civile, delle istituzioni e della ricerca.

I temi principali del Forum di quest’anno saran-

no: investimenti, innovazione, infrastrutture; gli

aspetti sociali e culturali della crescita economi-

ca; la globalizzazione ed i processi di integrazio-

ne; le grandi prospettive del complesso energeti-

co e molti altri ancora. La ricerca scientifica sarà

uno dei principali protagonisti degli incontri.

La NATO ha un programma di finanziamen-ti della ricerca scientifica e tecnologica. Ol-tre ai 28 Paesi aderenti, coinvolge anche 22 cosiddetti “Partner Countries”, tra cui il Ka-zakhstan: in quali progetti siete impegnati?

Il Kazakhstan e la NATO collaborano attivamen-

te nel settore della difesa e della sicurezza, della

protezione civile, della scienza e dell’ambiente. In

quest’ultimo ambito ha ricevuto sovvenzioni per

una ventina di progetti di cooperazione scienti-

fica in campo ecologico attraverso il programma

“Scienza per la pace e la sicurezza”. I progetti

includono lo studio dei rischi da radioattività in

Asia centrale, la gestione integrata delle risorse

idriche e lo sviluppo di nuove tecnologie per la

costruzione di edifici antisismici. Il contributo

della NATO alla soluzione dei problemi della re-

gione di Semipalatinsk, ad esempio, è pari a 400

mila dollari, e sono in gran parte impegnati per

il progetto “Indagine sulle condizioni di radioat-

tività nel sito del poligono nucleare di Semipa-

latinsk”.

Il Kazakhstan è coinvolto, inoltre, nel progetto “La

Via della Seta Virtuale”, che è indirizzato a mi-

gliorare l’accesso a Internet attraverso l’uso della

rete satellitare dei dipendenti di istituti di istruzio-

ne superiore e ricercatori dei Paesi del Caucaso e

dell’Asia centrale. Attualmente, un gran numero di

istituzioni presenti nella città di Almaty utilizzano

questa rete, ma sono in corso i lavori per espandere

la connettività nelle città di tutto il Paese.

Negli ultimi anni il Kazakhstan è salito alla ribalta internazionale grazie anche alle in-genti risorse di combustibile fossile scoperte nel suo sottosuolo. Come nel resto del mon-do, anche nel vostro Paese dovrete affrontare il problema del Global Warming. Quali misure state già adottando?

Il problema del riscaldamento globale sta diven-

tando sempre più rilevante a livello mondiale.

Fino ad ora le opinioni degli esperti si limita-

vano al fatto che le minacce per il Kazakhstan

consistevano soprattutto nella desertificazione

del territorio e nella crescente siccità. A questo

proposito, il Kazakhstan ha adottato una serie

d’iniziative e programmi per combattere il Clima-

te Change promuovendo il risparmio energetico,

un uso più parsimonioso delle risorse idriche e

l’adozione delle energie rinnovabili, compresa

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

117

l’energia eolica. Il nostro Paese, inoltre, con ini-

ziativa volontaria, si è già impegnato per ridurre

le emissioni di gas serra del 15% entro il 2020 e

del 25% entro il 2050. Stiamo anche sviluppando

e implementando tecnologie a basse emissioni di

carbonio: rappresentano un enorme potenziale

per il business in Kazakhstan, e attireranno molti

investimenti nel Paese.

Nell’ambito della protezione della natura vorrei

sottolineare l’importanza dell’iniziativa della città

di Astana chiamata “Il Ponte Verde”. Obiettivo del

progetto è quello di creare un centro internazio-

nale e una rete regionale di studio e trasferimen-

to di tecnologie green. Tutte le idee e nuove ap-

plicazioni che verranno prodotte saranno presen-

tante durante l’evento mondiale “ASTANA EXPO

– 2017”. Non a caso l’incontro avrà come slogan

“L’Energia del Futuro”: è stato pensato proprio

per attirare l’attenzione del pubblico sulle nuove

soluzioni e metodi per una gestione energetica

sostenibile. L’Expo potrà sicuramente svolgere un

ruolo importante nella lotta contro il riscalda-

mento globale.

In “La Via del Kazakhstan - 2050” Nazarbayev, in

conclusione, scrive: “Ho sentito spesso le persone

discutere sulla questione ‘Quale dovrebbe essere

l’idea nazionale del popolo del Kazakhstan?’. C’è

un’idea che ci indica la direzione per il futuro, che

consolida la nazione e porta alla realizzazione di

grandi ambizioni. È l’idea di “Manghilik Yel” – la

Terra Immortale”. Ma per consegnare all’immor-

talità il Paese non basterà soltanto nutrire l’“in-

telletto collettivo” di conoscenza. Per non incor-

rere nello stesso errore di quei Paesi della “vecchia

generazione” che ai propri figli hanno trasmesso

ambienti sfruttati per sempre e inquinati, la gio-

vane Repubblica dovrà porre molta attenzione

anche alla cura del proprio “corpo”. Fatto di step-

pe, montagne, e luoghi dalla natura magica e an-

cora incontaminata.

Renato SartiniScientific Journalistwww.renatosartini.itPresidente di Divulgo, Associazione per la Disseminazione di Scienze, Natura e Tecnologie

Guarda il servizio del TG sulla TV di stato del Kazakhstan in occasione della tavola rotonda “La Via del Kazakhstan 2050”Attiva il tuo lettore di Qr Code su smartphone

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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

118

or more than two decades Ka-

zakhstan’s elite has been dreaming

about the greater say in the inter-

national arena and voicing out its own vision

of the future of the Eurasian region. This vi-

sion covered a wide range of issues, from sta-

bilization of Afghanistan to the regional Free

Trade Arrangements (FTAs), from own position

on economic policies to a different approach

in dealing with the global financial crisis

(2008-2012). After trying different options to

enhance its soft-power, Kazakhstan’s policy

makers in Astana finally discovered the poten-

tials of e-power – the significance of modern

Information and Communication Technologies

(ICTs) and they have begun building their own

global communication platform – called G-

Global. But does this G-Global platform able

to deliver intended outcomes in the modern

very complex world?

di Rafis Abazov

The Geo-politics of Soft Power and E-power:The Case of Kazakhstan’s G-Global Platform

F

Per più di due decen-ni, l’élite kazaka ha sognato di possedere la principale voce in ambito internazio-nale per esprimere una propria visio-ne sul futuro della regione eurasiatica. La massima recente espessione è la piatta-forma G-Golbal. un network mediatico atto a produrre soft power

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

119

G-Global: Building Soft Power

Kazakhstan introduced the G-Global as an “in-

tellectual network” in the format of “commu-

nication Internet platform“ in 2012. A leading

Kazakhstan’s think tank – the Eurasian Economic

Club of Scientists (EECS) envisioned it as a per-

manent platform of its annual Astana Economic

Forum (AEF) in order to express the views of Ka-

zakhstan and improve the “equality of the dia-

logue of the people of the world.”1 At the same

time it is a quite clear quest for the increasing

Kazakhstan’s soft power defined by Joseph Nye

of Harvard University (USA) as ability to attract

and co-opt rather than use force.2 It means to

use “diplomacy”, “strategic communication” and

other opportunities to attract support from and

influence the global public opinion.

G-Global has gradually become an important

international communication platform and op-

portunity to increase its international recognition

for the country of 16 million people and GDP of

about US$220 billion (2012, est. or slightly larger

of the budget of the city of Rome) – rich in re-

sources, but new in the regional and global af-

fairs. Since independence in 1991 Kazakhstan’s

leadership has been eager to establish itself as an

independent player in the regional and global poli-

tics. However, very quickly it discovered that be-

ing a mid-income developing country establishes

significant limits on hard power. Therefore, Astana

has been very keen to develop its soft power. This

also proved to be not an easy task as the estab-

lished global information and communication

infrastructure has its own structures, established

players and it is very tough to break through. In

1. For details see: www.group-global.org2. Nye, Joseph. Soft Power: the Means to Success in World Politics. Boston: Public Affairs, 2004.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

120

the end, it has become quite natural that Kazakh-

stan’s young and ambitious policy-makers and

diplomats turned to the merging power of ICT and

decided to explore the e-power. The G-Global has

been established to rely on two pillars.

One is a conceptualization of non-Alliance idea

to assert its independence and independent for-

eign policy, as Astana has shown persistency and

quite systematic non-Alliance approach in pro-

moting what President Nursultan Nazarbayev of

Kazakhstan called “Multi Vector Foreign Policy” –

the ability to maintain good relations with East

and West, the USA and the Russian Federation,

etc. 3 The country’s elite has been not alone in its

desire to develop an independent stage, as there

are many countries in the former Soviet Union

and in the Middle East and East Asia who don’t

want to be allied with the two emerging global

political blocks – east and west. Like many de-

cades ago, these leaders and intellectuals around

them would like to be independent – a kind of

reincarnation of the non-Alliance Movement,

which was an important part of the global bal-

ance of powers in the 1970s and 1980s. In ad-

dition, they want their voices to be heard at the

global level.

The second one is institutional – the G-Global

is intellectually supported and internationally

promoted by the Eurasian Economic Club of Sci-

entists (EECS).4 In turn the EECS also organizes

its regular flagship event – the Astana Economic

Forum (AEF), which is a gathering of leading re-

gional and international experts, intellectuals

and policy practitioners. It is dubbed as a Eurasian

mini-Davos for addressing global issues and try-

ing to offer possible solutions and policy recom-

mendations and expressing the views not only of

Kazakhstan, but also of its allies and like-minded

partners in the region.

For Kazakhstan the establishment of G-Global

Internet platform as a international communica-

tion tool for like-minded representatives of world

community is a tall order, as Kazakhstan still has

to strengthen its network of its think tanks to

provide intellectual support to the project and to

win the international recognition.

Latest Development: Building Regional Economic and Security Infrastructure

Kazakhstan’s policy-makers have been known in

the region for having quite innovative approach-

es in their diplomatic initiatives (from chair-

ing OSCE in 2010 to chairing OIC in 2011) and

building regional institutional infrastructure for

security and economic cooperation. The G-Global

has become one of the tools in development that

infrastructure based on the modern ICTs.5 The

G-Global platform (www.group-global.org) has

been organized as an open internet portal with

focus on addressing global and national issues.

Ina way it s quite similar to the web portal of the

World Economic Forum (http://www.weforum.

org/) as it is subdivided into sections,6 including

3. http://www.astanatimes.com/2013/09/22-years-of-balanced-foreign-policy-yield-success-lay-ground-for-future/4. For details see: http://eecsa.kz/ 5. For Kazakhstan’s government efforts in developing e-governance and e-dialogue see: Abazov, Rafis and Elmira Alim. ‘Observing the Global Financial Crisis from the Developing World: the Case of Kazakhstan.’ Asian Politics and Policy. Vol. 4, April 2012. Pp. 276-278.6. For skeptics of globalization and global dialogue platforms see: Bremmer, Ian. Every Nation for Itself: Winners and Losers in a G-Zero World. New York: Portfolio, 2012.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

121

news, reports on various issues and materials

prepared by experts (including international ex-

perts). The portal is open to all, but requires a reg-

istration in order to contribute or participate in

the discussions. Also it offers a huge opportunity

for blogging, which can be done both by invita-

tion and through contributions by all interested

parties. Most popular bloggers attract more than

2,000-3,000 followers. The G-Global portal itself

attracts several thousand visitors per day with

pick coming during the Astana Economic Forum

every year in late May.

Systematic approach in organizing the AEF and

promoting the G-Global platform at the interna-

tional arena gradually gave important fruit. First,

it provided a unique opportunity to Kazakhstan’s

integration into the global intellectual and policy

community around the world who are indeed

would like to search for a solution of global prob-

lems outside the box and outside the existing

clichés in world politics and. to gradually reform

existing world’s geopolitical structures. Second

the establishment of G-Global helped indeed

to achieve one of the objectives of the project

and Astana’s goal – to increase its voice in the

international affairs and to play a greater role

in solving regional and supra-regional conflicts

and problems. Third, it created a communicative

quite-neutral platform which can be also used by

great powers if there is a need for global dialogue

for discussions of new approaches and solutions

to old and new problems.

The biggest beneficiaries of this project are

young policy-makers and experts not only from

Kazakhstan but also from the Central Asian re-

gion, who received an opportunity to test their

ideas and views on the international stage and

who can exchange thoughts with world’s lead-

ing experts, especially in the field of economics,

global finance and public policy. In addition they

can communicate in person with world’s leaders

who frequently visit Astana on various occasions,

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Speciale Kazakhstan

122

including attending its flagship international

public event – the Astana Economic Forum.

Conclusion

Recent media studies suggest that the borders

between traditional and new media are diminish-

ing.7 This provides a huge opportunity for young

generation of policy makers and to all smaller

players in the international arena to voice out

their ideas and views and to reach out global au-

dience for support and encouragements.8

The G-Global platform continues to attract at-

tention and new followers especially among

young generation of intellectuals and policy

practitioners not only from Kazakhstan, but also

from other close- and far-away countries. At this

stage G-Global here to stay, but it needs a long

way to go in order to achieve a better recognition

and greater say in international affairs.

For example it should considerably revise the

whole idea of the G-Global project by consider-

ing it as a global startup and by using new cre-

ative and innovative approaches to attract young

and dynamic generation of policy activists. It has

also to establish a greater cooperation with vari-

ous think tanks around the world and it should

create an excitement around the platform, espe-

cially among one of its largest target audiences

– young followers.

Rafis AbazovVisiting professor Al Farabi University in Almaty (Kazakhstan) and Earth Institute of Columbia University (New York, US)

Selected Bibliography

Abazov, Rafis and Elmira Alim. ‘Observing the Global Fi-

nancial Crisis from the Developing World: the Case of Ka-

zakhstan.’ Asian Politics and Policy. Vol. 4, April 2012. Pp.

276-278.

Bennete, Peter, Alex Kendal and Julian McDougall. After

the Media: Culture and Identity in the 21st Century. Lon-

don: Routledge, 2011.

Bremmer, Ian. Every Nation for Itself: Winners and Losers

in a G-Zero World. New York: Portfolio, 2012.

Kirinitsianov, U. Menietsia mir, meniemsia mi [The world

Changes, we Change]. Almaty: KISI, 2013.

Nazarbayev, Nursultan. The Chronicle of a Global Dialogue:

Kazakhstan in the Context of Global Trends. Almaty: Rar-

ity, 2013.

Nye, Joseph. Soft Power: the Means to Success in World

Politics. Boston: Public Affairs, 2004.

7. Bennete, Peter, Alex Kendal and Julian McDougall. After the Media: Culture and Identity in the 21st century. London: Routledge, 2011. 8. See for example: Abazov, Rafis. Book Review: iPolitics: Citizens, Elections, and Governing in the New Media Era, by Richard L. Fox and Jennifer M. Ramos. Journalism & Mass Communication Quarterly, December 2013; vol. 90, 4: pp. 820-822.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

123

on questo articolo dedicato alla Com-

pound Warfare (CW) continua l’analisi

sulle teorie militari attualmente in

voga negli Stati Maggiori occidentali relative i

futuri scenari di guerra asimmetrica o comunque

non convenzionale. Teorie che attualmente, so-

prattutto nei think tank anglo-americani, gravi-

tano intorno al concetto di Hybrid Warfare1. Per-

tanto, dopo aver descritto il tramonto del concet-

to di Peacekeeping e il superamento di quello di

Postmodern Conflict affronteremo quello di CW.

Tuttavia, prima di addentrarci in questa analisi, è

doveroso fare alcune considerazioni di carattere

metodologico. Molte delle teorie polemologiche

e dei termini utilizzati in questo “studio a pun-

tate” sulla rivista Il Nodio di Gordio, non fanno

sempre parte di un corpo dottrinario apparte-

Polemos: lo scudodi Achille

di Federico Prizzi

Compound WarfareVecchie minacce nella Guerra Ibrida contemporanea

La “compound Warfare” è un conflitto che prevede l’impiego combinato di forze convenzionali e irregolari sotto la direzione di un unico comandante

C

1. Federico Prizzi, Polemos: le guerre del XXI Secolo, dal tramonto del Peacekeeping all’Hybrid Warfare, Il Nodio di Gordio, Anno III – Num. 4, Gennaio 2014, pp. 110-120.

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014124

Dopo la II G.M. nacque l’esigenza da parte degli eserciti convenzionali di dirigere e coordinare in una visione unitaria l’impiego delle forze irregolari

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

125

nente a una Forza Armata o a una organizzazione

militare specifica. Spesso invece, sono, correnti

di pensiero, approcci storico-filosofici, teorie di

singoli esperti militari che cercano di compren-

dere e spiegare l’evoluzione dei conflitti passati

per comprendere quelli futuri. Ciò comporta che

queste teorie non sono necessariamente accetta-

te da tutti gli studiosi del settore e che vi siano

altre speculazioni ad esse opposte. Questo vale

anche per il Compound Warfare.

Allo stesso tempo, la

necessità dei pole-

mologi contempo-

ranei non è quella di

trovare schemi rigidi

e universali. Bensì di

individuare griglie di

analisi flessibili che permettano ai politici e agli

Stati Maggiori di inquadrare nell’immediato un

conflitto in macrocategorie al fine di trovare so-

luzioni operative allo stesso. Sarà poi compito de-

gli Storici Militari studiare il conflitto e confron-

tarlo con gli esempi passati. Ciò non toglie, però,

che ogni guerra ha delle caratteristiche peculiari

proprie in termini storici, geografici, politici ed

economici, che ne renderanno sempre difficile un

suo incasellamento in strutture precostituite.

Per quanto riguarda poi i conflitti asimmetri-

ci, oggetto della nostra attenzione, è doverosa

un’altra considerazione: nella Storia militare, si-

curamente almeno fino al 1945, dal punto di vi-

sta della dottrina di impiego delle forze, la Guer-

riglia, espressione “militare” di un’Insorgenza,

non godeva di grande considerazione. Neanche

come strumento “fiancheggiatore” dello sforzo

principale condotto dalle forze regolari, tanto

meno come elemento risolutore di un conflitto.

Sarà solo con la resistenza dei partigiani russi e

titini contro l’Asse (unici esempi seri e strutturati

in tutta l’Europa occupata) che le potenzialità del

concorso delle forze irregolari al successo delle

forze regolari venne preso in considerazione an-

che dai militari. Cadde così quella pregiudizia-

le tutta dei “militari in uniforme” nei confronti

degli “irregolari” e che darà vita un significativo

impiego di quest’ultimo gruppo nei conflitti del

Novecento. Per questo motivo, dopo la II G.M.,

nacque l’esigenza da

parte degli eserciti

convenzionali di diri-

gere e coordinare in

una visione unitaria

e strategica, sia per le

operazioni offensive

che per quelle difensive, l’impiego dei due tipi di

forze. Esigenza che ancora oggi perdura.

Compound Warfare

Con il termine Compound Warfare (CW) si inten-

dono tutti quei conflitti che hanno visto l’impie-

go combinato di forze convenzionali e irregolari

in combattimento, in modo simultaneo e sotto

la direzione di un unico Comandante, per fron-

teggiare un nemico invasore. Sostanzialmente

oggigiorno, nella Polemologia contemporanea, le

CW si pongono nell’ambito di quella vasta e arti-

colata tipologia di conflitti che abbiamo definito,

nello scorso articolo, Guerre Ibride.

Questo termine fu coniato per la prima volta nel

1996 da Thomas M. Huber in un articolo intito-

lato Napoleon in Spain e dedicato alla Guerra

di Indipendenza Spagnola (1808-1814). Scritto

per il Combat Studies Institute (CSI), l’articolo

La “Stay Behind” fu il primo caso di pianificazione militare, in Occidente, che progettò

volutamente l’impiego delle forze per una “Compound Warfare”

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014126

era destinato agli ufficiali americani frequenta-

tori del U.S. Army Command and General Staff

College. Sei anni dopo lo stesso istituto decise,

sull’onda del successo avuto in ambito acca-

demico dallo scritto di Huber, di dedicare una

propria pubblicazione alla Compound Warfare2.

Tuttavia, a differenza della sua prima edizione,

Huber volle aggiungere al titolo della nuova

pubblicazione una significativa dicitura: That

Fatal Knot. Ciò al fine di richiamare la celebre

dichiarazione di Napoleone Bonaparte fatta a

Emmanuel de Las Cases durante il suo esilio a

Sant’Elena e raccolta successivamente nel cele-

bre Memoriale di Sant’Elena. Un’opera, questa,

curata dallo stesso de Las Cases, che raccolse le

riflessioni e i ricordi fatti dall’Imperatore ai po-

2. Compound Warfare, That Fatal Knot, U.S. Army Command and General Staff College Press, Fort Leavenworth, Kansas, 2002.

Truppe irregolari franco-africane. Fonte: Life Magazine

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

127

chi seguaci che lo accompagnarono a Longwood

House.

Proprio nel Memoriale Napoleone rivelò, infatti,

come la Guerra di Indipendenza Spagnola fosse

stata non solo il più lungo conflitto delle Guer-

re Napoleoniche, ma anche il suo “nodo fatale”.

Ovvero dichiarò che: “tutte le ragioni delle mie

sconfitte derivano da quel nodo fatale. Esso ha

complicato i miei problemi, diviso le mie forze,

prestato il fianco all’intervento dell’esercito in-

glese, distrutto il mio prestigio in Europa”.

Pertanto, Huber voleva evidenziare come il

combinato impiego di forze regolari con forze

irregolari da parte spagnola fosse stato il moti-

vo principale per il quale Napoleone non riuscì

mai a sottomettere la Spagna3. In particolare, gli

effetti sinergici raggiunti dall’esercito inglese di

Arthur Wellesley, futuro Duca di Wellington, con

i guerrilleros4 spagnoli impegnarono a tal punto

le armate napoleoniche che impedirono al sovra-

no francese di utilizzare quei contingenti durante

tutte le sue successive campagne militari5.

Partendo proprio da questa analisi storica, T. M.

Huber voleva così creare un modello interpretativo

dei conflitti del XXI Secolo che avrebbero potuto

vedere coinvolti gli Stati Uniti in seguito al Crollo

del Muro di Berlino. Naturale fu pertanto, per lo

storico americano, trovare anche dei parallelismi

tra la sconfitta di Napoleone in Spagna e quella

degli USA nella Guerra del Vietnam (1965-1973).

Infatti, proprio il conflitto nel Sud-Est asiatico

rappresenta ancora il modello contemporaneo

per eccellenza di Compound Warfare. Ciò è dato

dal fatto che il Military Assistance Command,

Vietnam (MACV)6, nell’occupazione del territorio

indocinese, dovette affrontare non solo l’insurre-

zione comunista del Vietcong, ma anche le Forze

Armate del Vietnam del Nord.

Un impiego sinergico di forze regolari e irregolari

che, come noto, fu per gli Stati Uniti fatale poiché

contribuì ad alimentare le pressioni dell’opinione

pubblica americana e la conseguente sconfitta

politica degli USA.

Tuttavia, il conflitto vietnamita secondo Huber,

così come quello spagnolo, avevano altri due

elementi peculiari che li rendevano modelli teo-

rici ideali in supporto alla teoria del Compound

Warfare, ovvero: l’impiego combinato di queste

due tipologie diverse di forze nello stesso tempo

sotto un unico comandante (CW Operator) e la

presenza di Safe Haven.

L’unicità di comando, sia delle forze regolari che

di quelle irregolari, rappresenta il presupposto

fondamentale affinché una Compound Warfare

consegua gli effetti desiderati. Tendenzialmente,

infatti, chi sviluppa una CW sono le forze armate

di uno Stato invaso da un esercito nemico mi-

litarmente più forte, in grado di condurre ope-

3. Per comprendere il dramma di quella insorgenza e l’impatto che ebbe la rappresaglia francese sulla popolazione civile, si invita il lettore a guardare i quadri del celebre pittore spagnolo Francisco Goya: 2 maggio 1808 e 3 maggio 1808. 4. Fu proprio in questa guerra che venne coniato, per la prima volta, il termine guerrilla, cioè “piccola guerra”, oggi ampiamente utilizzato per definire quell’attività di lotta armata condotta da truppe irregolari entro il territorio controllato dal nemico usufruendo dell’appoggio della popolazione civile. 5. In realtà, non è vero che le operazioni dei guerriglieri spagnoli fossero così ben coordinate con quelle condotte dalle forze regolari ispanico-inglesi. Ciò è dovuto anche al fatto che i mezzi di comunicazione del tempo non consentivano un comando e controllo di tutte le operazioni in maniera sinergica. Inoltre, l’insorgenza spagnola nacque e si sviluppò non per ordine di Londra, ma per motu proprio. 6. Struttura di comando e controllo costituita nel 1962 dagli Stati Uniti nel Vietnam del Sud per organizzare, coordinare e dirigere tutte le forze militari americane (terrestri, navali, aeree) schierate nel corso degli anni in Indocina per assistere il Governo di Saigon. In seguito agli accordi di pace di Parigi del 1973 e con la fine dell’impegno militare americano nel Vietnam, il MACV venne sciolto.

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014128

razioni su larga scala e di fronteggiare diverse

minacce asimmetriche. Pertanto, la Compound

Warfare è una reazione di difesa a un invasore

che, se ben coordinata, come dimostrato dagli

esempi storici citati, diventa un ambiente opera-

tivo logorante e, a medio-lungo termine, letale

per l’invasore. Anche perché lo scopo della Com-

pound Warfare, attraverso l’impiego delle forze

irregolari, è quello di fiaccare e di disperdere le

forze convenzionali avversarie affinché non si

concentrino contro quelle regolari della propria

fazione. Contemporaneamente, l’azione delle for-

ze regolari del paese invaso ha il fine di ostaco-

lare una completa dispersione delle forze armate

avversarie al fine di impedirgli di sviluppare delle

operazioni di Counterinsurgency.

Si ha, di conseguenza, dal punto di vista ope-

rativo e tattico, un effetto di complementarietà

tra le due forze. Precisamente, le forze irregolari

accrescono lo sforzo di quelle regolari fornendo

loro informazioni, truppe locali, supporto della

popolazione, conoscenza del territorio e pres-

sione psicologica costante sull’avversario. Quelle

regolari, invece, possono fornire agli insorti forni-

ture logistiche di armi ed equipaggiamenti, anche

sofisticati, di personale istruttore, di fondi e di

informazioni strategiche, aumentandone così la

libertà di azione. Proprio come dimostrato dall’a-

zione di comando del Generale Giap nell’impiego

combinato dell’Esercito Popolare Vietnamita e del

Viet Cong sotto il suo unico comando.

La Compound Warfare si dice, inoltre, fortified

(FCW) quando per un esercito invasore è impos-

sibile distruggere completamente le forze armate

avversarie poiché quest’ultime continuano a vi-

vere grazie a dei Safe Haven. Questi “Santuari”

sono tali non solo dal punto di vista geografico e

morfologico, ma soprattutto da fattori intangibili

quali quello politico, diplomatico e tecnologico.

Fattori resi concreti grazie alle protezioni fornite

da un paese terzo che supportano la lotta armata

del paese invaso. Paese terzo che, in termini di

Truppe americane in Viet Nam

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

129

potenza politico-militare, è almeno pari a quella

del paese invasore.

Huber, in particolare, individuò nelle Linee di Tor-

res Vedras volute dal Duca di Wellington e nella

Cambogia e nel Nord Vietnam i due esempi di

Safe Haven per i conflitti da lui studiati.

Il modello fin qui esposto di Compound Warfare

trova, tuttavia, significativi esempi anche nella

storiografia italiana. Infatti, la CW è un conflit-

to a metà strada tra una guerra convenzionale,

ad esempio la Guerra Italo-Turca (1911-1912),

e la Controinsorgenza, come quella sviluppa-

ta dal Fascismo in Cirenaica, Tripolitania e Fez-

zan contro la Confraternita islamica dei Senussi

(1922-1932). Esempi legati alla Storia militare

nazionale che si possono avvicinare, sebbene con

significativi distinguo, alla Compound Warfare

sono: l’annessione del Regno delle Due Sicilie al

Regno Sabaudo (1860-1861) e la Guerra d’Etiopia

(1935-1936).

Nel primo caso, però, la Monarchia Borbonica

non riuscì a realizzare, neanche con l’arrivo del

Generale spagnolo José Borjés, quella completa

unicità di comando tra forze regolari e irrego-

lari necessaria alla CW per conseguire i propri

obiettivi. Nel secondo caso, invece, gli italiani

dimostrarono come anche in presenza di forze

regolari e irregolari, di unicità di comando e di

safe haven, una Compound Warfare sia battibi-

le. Infatti, nel 1935 la Campagna militare italiana

fu incentrata in un primo tempo nella completa

distruzione dell’Esercito regolare di Hailé Selas-

sié. Successivamente, ottenuti i risultati voluti,

l’Esercito italiano venne impiegato nella soppres-

sione delle forme di insorgenza con operazioni di

Counterinsurgency. Un successo più che signifi-

cativo considerato i mezzi del tempo e i rischi che

un impiego di questo tipo, per delle forze armate

occidentali, poteva avere in un territorio così lon-

tano dalla propria madrepatria. Tutto ciò, tenuto

anche conto di quanto accaduto recentemente in

Iraq agli americani nella Seconda Guerra del Gol-

Truppe Coloniali del Regno d’Italia

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014130

fo (2003-2011) quando, dopo aver rapidamente

sconfitto le forze regolari di Saddam Hussein, non

riuscirono però a vincere quelle irregolari.

Altri esempi significativi nostrani che si avvici-

nano al concetto teorico di Compound Warfare

sono la Campagna d’Italia (1943-1945) e l’orga-

nizzazione della NATO Stay Behind, nota nel Bel-

paese con il nome di Gladio.

Il primo esempio, si attaglia meno di tutti di quelli

fin qui citati alla definizione di CW perché mancò

quell’unicità di comando e di coordinamento tra

forze regolari e irregolari indispensabile per il suo

presupposto teorico. Inoltre, rientra pienamente

in quello atteggia-

mento di diffidenza

dei militari di profes-

sione nei confronti

delle unità irregolari,

descritto in premessa,

come dimostrato pubblicamente dal famoso Pro-

clama Alexander7.

Tuttavia, può fornire al lettore degli importanti

spunti di riflessione per meglio comprendere il

concetto di Compound Warfare.

Infatti, sebbene con i limiti evidenziati, la Cam-

pagna d’Italia vide l’impiego dei Gruppi di Com-

battimento al fianco delle unità anglo-americane

sulla direttrice sud-nord e, contemporaneamen-

te, nel centro-nord l’azione del Comitato di Libe-

razione Nazionale (CLN).

Nel secondo esempio, invece, la Gladio sarebbe

stata quella struttura che, in caso di invasio-

ne sovietica dell’Italia e del collasso delle forze

convenzionali, avrebbe dato vita a una duratura

insorgenza con il compito di fiaccare l’occupan-

te comunista. La Stay Behind, inoltre, può essere

considerata come il primo caso di pianificazio-

ne militare, in Occidente, che progettò voluta-

mente l’impiego di forze irregolari. Impiego che,

comunque, rappresentò anche una “risposta”

alla altrettanto pianificata “guerriglia rossa”. Una

guerriglia, strutturata all’interno del blocco At-

lantico a favore dell’Armata Rossa, ben organiz-

zata e finanziata, con depositi clandestini di armi

e munizioni, con forze adeguate composte da

agenti “in sonno” del KGB e indigene di provata

fede comunista.

Oggigiorno, tuttavia,

il modello di interpre-

tazione dei conflitti

ideato da Huber può

ancora essere valido

e trovare una propria

applicazione a tre esempi di Compound Warfare

contemporanea, sebbene due di essi siano attual-

mente allo stadio potenziale.

Il primo esempio interessante di CW è la Guer-

ra civile siriana scoppiata nel 2011. Guerra che

vede da una parte schierate le Forze Armate Si-

riane (forze regolari) affiancate dai guerrilleros di

Hezbollah, dalla Forza Nazionale di Difesa, dagli

Shabiha, dai miliziani di Al-Jaysh al-Sha’bi e dalla

Brigata Al-Abbas. Forze alle quali si contrappon-

gono, e questa è la tipicità di questo conflitto,

non un esercito regolare invasore, bensì un nu-

mero molto alto e significativo di milizie irrego-

lari a gran maggioranza composte da non-siriani

che occupano ampie zone del territorio siriano.

l’Iran e l’Ucraina rappresentano due modelli di “Compound Warfare”

allo stadio potenziale

7. Avvenuto il 13 novembre 1944. Questo proclama si inseriva in quell’impostazione attesista incoraggiata dagli alleati, favorevoli alla colla-borazione di nuclei ristretti di sabotatori e informatori, sul modello della “Rete Nemo” e dell’ “Organizzazione Franchi”, piuttosto che a quel-la di un possibile esercito popolare. Tanto è vero, che gli Alleati sfruttarono l’impiego dei partigiani occasionalmente e solo a livello tattico.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

131

Tra queste, oltre al noto Esercito Siriano Libero, vi

sono i mujaheddin del Fronte al-Nusra, i miliziani

dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e altri.

Significativo, inoltre, che entrambi gli schiera-

menti posseggano dei Safe Haven che rendano la

loro una Fortified Compound Warfare. Infatti, il

ruolo assunto dalla Russia e dall’Iran da una par-

te e quello di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna,

Turchia e paesi del Golfo dall’altra, permettono a

entrambe le parti in lotta di avere quelle carat-

teristiche delle FCW individuate teoricamente da

Huber nel suo studio.

Per quanto riguarda, invece, le due Compound

Warfare allo stadio potenziale esse sono: l’Iran e

l’Ucraina.

La Repubblica Islamica dell’Iran, infatti, da anni

ha adottato un sistema difensivo per fronteggia-

re una eventuale invasione del proprio territorio

nazionale strutturato sul modello delle CW. In

particolare, le Forze Armate iraniane svolgereb-

bero il ruolo di forze regolari, mentre il Corpo

delle Guardie della Rivoluzione, noti anche come

Pasdaran, assumerebbe quello di forze irregola-

ri. L’esperienza di Hezbollah nella “Guerra dei 33

Giorni” contro Israele (2006), nonché il conflitto

siriano, hanno dimostrato la forza e l’efficacia in

combattimento di una organizzazione che rap-

presenta, di fatto, una filiazione diretta dei Pa-

sdaran.

Inoltre, anche la recente crisi Ucraina potrebbe

trasformarsi per la Russia in uno scenario di Com-

pound Warfare, soprattutto se Putin decidesse di

intervenire nelle aree ove la comunità russofona

è in minoranza. Questo scenario vedrebbe, infat-

ti, le forze armate ucraine affiancate da truppe

irregolari composte da miliziani animati da sen-

timenti antirussi. Tuttavia, questa ipotesi sembra

oggettivamente poco concretizzabile.

Molto più probabile, invece, è l’ipotesi che sia

l’attuale governo di Kiev che possa trovarsi ad af-

frontare con le proprie mediocri unità convenzio-

nali una Compound Warfare nell’Ucraina Orien-

tale. In questo caso, in particolare, il Presidente

Oleksander Turchinov rischierebbe di fronteggiare

contemporaneamente le forze regolari russe e i

miliziani ucraini filorussi. Il cui impiego combina-

to sotto un unico CW Operator, Vladimir Putin, e

la presenza di numerosi Safe Haven renderebbero

il conflitto in Ucraina il nuovo case study di Forti-

fied Compound Warfare del XXI Secolo.

Federico Prizzi

Polemologo e Storico Militare

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014132

l primo luglio 2014 si aprirà la quar-

ta presidenza semestrale italiana del

Consiglio dell’Unione Europea. Una

opportunità per l’Italia di ricercare la propria af-

fermazione in ambito multilaterale, rimarcare ed

accrescere il processo di recupero di credibilità

internazionale avviato dagli ultimi due esecutivi

e farsi portavoce attiva di importanti iniziative

politiche e di riforma, tanto a livello europeo,

quanto a livello interregionale.

Spina dorsale di un tale processo di guida e pro-

mozione sarà certamente la politica estera del

Paese, che avvalendosi in primo luogo delle forze

diplomatiche ed amministrative dell’ufficio esteri,

segnerà le direttrici dell’approccio internazionale

della Repubblica Italiana dal primo luglio 2014 al

primo gennaio 2015.

Ad orientare, e allo stesso tempo a limitare, l’am-

bito di manovra dell’impostazione italiana, oltre

che a far emergere le priorità d’azione, si distin-

guono sfide globali caratterizzate da criticità

di Matteo Marsini

La Politica Estera Italiana nelle Sfide Globali

Prerogative e Prospettive all’appuntamento del Semestre Italiano di Presidenza del Consiglio UE

Scenari complessi e direttrici internazionali rispetto ai quali ricondurre l’approccio dell’Italia in ambito estero e far valere l’iniziativa italiana alla guida del consiglio uE

I

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

133

molteplici ed eterogenee. Tali direttrici dello sce-

nario mondiale sono costante oggetto di studio

dei principali think tank e centri internazionali di

ricerca ed analisi quali la NATO Defence College

Foundation, il Centro Militare per gli Studi Stra-

tegici, l’Istituto Affari Internazionali ed Il Nodo di

Gordio.

Sebbene ogni studio portato avanti in tal senso

abbia messo in luce in modo diverso le dinamiche

globali, è possibile, in via di prima approssima-

zione, distinguere cinque aree di interesse, cinque

quadranti dello scenario internazionale: il Qua-

drante Pacifico (Q1); il Quadrante Africano (Q2);

il Quadrante Atlantico (Q3); il Quadrante Euro-

Mediterraneo (Q4); il Quadrante Asia Centrale-

Indiano (Q5).

I cinque quadranti identificabili dagli studi dei

think tank e dei centri di ricerca ed analisi so-

pracitati, evidenziano non solo le crisi in atto e

quelle potenziali, ma anche le situazioni di svi-

luppo delle relazioni internazionali in ambito

difesa e cooperazione economica. Uno scenario

dettagliato a cui ricondurre l’approccio di Roma

in ambito estero e a partire dal quale, con tutta

probabilità, si declinerà l’iniziativa italiana al capo

del Consiglio UE.

Quadrante Pacifico (Q1). Comprendente l’intera

area oceanica, con particolare riferimento alle co-

ste nord-americane e quelle dell’estremo oriente,

quest’area rappresenta uno scenario di crescente

interesse sia dal punto di vista dei flussi commer-

ciali, sia per l’aumento degli ambiti di instabilità

e tensione. Se infatti da un lato i negoziati per

un’espansione dell’accordo commerciale Trans-

Pacific Partnership (tra Stati Uniti, Australia,

Brunei, Cile, Canada, Giappone, Malesia, Messico,

Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam) mira

a rilanciare il Pacifico quale nuova piazza eco-

nomica mondiale, mettendo di fatto in secondo

piano i mercati cinese e del MERCOSUR, dall’altro

Mappa © M.Marsini

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014134

la corsa agli armamenti di Cina e Giappone, ed

il sempre più complesso rapporto di conflitto tra

questi due Stati, non fa che alimentare la crisi re-

gionale. Si delinea in tal modo un quadrante che

non solo include minacce storicamente definite

come quella rappresentata dal regime autoritario

della Corea del Nord, ma si trova a dover fronteg-

giare continue contese tra Pechino e Tokyo (em-

blematica in questo senso la disputa sul piccolo

arcipelago delle isole Diaoyu/Senkaku) oltre alle

instabilità democratiche della Thailandia.

Quadrante Africano (Q2). Relativo all’intero

continente africano, con particolare accento sui

Paesi a Sud del Sahara, questo quadrante identi-

fica tradizionalmente un’area di grande instabili-

tà e di netta eterogeneità di sviluppo. Numerose

sono in questa regione le situazioni di incertezza

e di crisi. A vent’anni dal tremendo genocidio che

ha flagellato il Rwanda, ben poco è cambiato nel

cuore del continente. Lotte intestine e caren-

ze amministrative continuano a caratterizzare i

Paesi da un lato e dall’altro dell’Equatore. Sudan,

Sud-Sudan, Mali, Nigeria sono solo gli esempi più

evidenti dell’instabilità africana che è presente in

maniera trasversale in numerose altre situazioni

del quadrante. Tuttavia, a fare da contro altare

a questa difficile situazione, emergono con cre-

scente rilievo le iniziative di investimento e finan-

ziamento nella regione da parte di attori cinesi e

turchi in un processo di graduale sostituzione dei

tradizionali contribuenti occidentali. È così che la

finanza islamica di matrice turca acquista quo-

te di partecipazione della African Development

Bank, mentre Pechino prosegue con il suo pro-

cesso di investimenti africani che ha visto la Cina

impegnare oltre US$80 miliardi tra il 2000 ed il

2013 in diversi Paesi dell’area, in particolare An-

gola, Sudan, Nigeria e Congo.

Quadrante Atlantico (Q3). Comprendente le tre

coste America Latina, America Settentrionale e

Mali, E.Feferberg AFP photo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

135

Europa Occidentale, questo quadrante si carat-

terizza per gli scambi commerciali e finanziari

ad alta intensità in tutte e tre le direzioni. Se da

un lato tali movimenti economici, in particolare

sulle sponde settentrionali americana ed euro-

pea, hanno promosso una crescente integrazione

commerciale, dall’altro è proprio a causa di tale

integrazione che la crisi finanziaria statunitense

del 2008 ha raggiunto e contagiato con facilità le

economie europee determinando in tutto il qua-

drante instabilità finanziaria e contrazione delle

produzioni. In questa prospettiva, in parallelo con

il negoziato commerciale del Pacifico, si pone il

negoziato ad iniziativa statunitense Transatlantic

Trade and Investment Partnership, volto a ripri-

stinare un assetto economico-commerciale in

grado di ridare slancio agli interessi di Stati Uniti

e dell’Unione Europea.

Al pari degli altri quadranti anche quello Atlan-

tico presenta elementi di criticità. Oltre a quelle

collegate alla crisi finanziaria globale, che come

detto hanno comportato instabilità economica

e politica in diversi paesi atlantici (si pensi alla

Spagna, al Portogallo o all’Irlanda), emergono le

instabilità che stanno mettendo a dura prova gli

equilibri interni in numerosi Paesi dell’America

Latina, prime fra tutte le crisi democratiche del

Venezuela e del Brasile, o le continue lotte tra

Stato e criminalità organizzata che affliggono il

Messico, la Colombia e l’Honduras.

Quadrante Euro-Mediterraneo (Q4). Racchiu-

so tra la sponda Nord e quella Sud del “Mare No-

strum”, ed esteso ad Est sino ai confini con la Fe-

derazione Russa ed il Mar Nero, il quadrante Eu-

ro-Mediterraneo rappresenta da sempre un’area

tanto cruciale, quanto delicata. Caratterizzata da

un’economia che ancora stenta a superare la crisi

finanziaria del 2008 a Nord, e un’organizzazione

statale carente se non in certi casi inesistente a

Sud, questa regione si presenta minata più che

mai da molteplici questioni irrisolte. Il caos libi-

Thailandia, AP photo

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014136

co, l’infinita rivoluzione egiziana, il rebus siriano

e l’instabilità politica di Paesi Membri UE come la

Grecia e l’Italia, sono solo alcuni tra i più eclatanti

esempi di criticità regionale a cui si devono ag-

giungere i disordini registrati nell’ultimo anno in

Turchia, le tradizionali contese di Cipro ed Israele

e le sanguinose proteste ucraine. Se dallo scorso

11 febbraio sono ripresi i negoziati tra greco-ci-

prioti e turco-ciprioti per la riunificazione dell’i-

sola, non un simile clima distensivo si è potuto

constatare in Ucraina all’indomani delle rivolte

di Kiev. Al confine orientale del quadrante infatti,

si sono rapidamente delineati nuovi e pericolosi

assetti, elementi di tensione nei rapporti con il

vicino russo che rischiano di compromettere se-

riamente - se già non lo hanno fatto - i rapporti

occidentali con Mosca ed il Presidente Putin. Una

situazione delicata che ha già avuto come effetto

quello di mettere in ombra gli altri scenari cri-

tici della regione che ancora non hanno trovato

avvio per una soluzione sicura (si pensi solo alla

drammaticità della situazione in Libia o in Siria,

Stati che dal 2011, e per ragioni differenti, ancora

oggi brancolano incautamente nel buio).

Quadrante Asia Centrale-Indiano (Q5). Relativo

all’area compresa tra il medio-oriente ed il sub-

continente indiano, si estende il quadrante dell’A-

sia Centrale-Indiano. Tale quadrante identifica al

suo interno due epicentri distinti, l’area medio-

rientale e l’area indiana, attorno ai quali gravitano

i rapporti intra-regionali. Tradizionalmente densa

di conflitti, l’area mediorientale rappresenta uno

scenario di continui giochi di supremazia regiona-

le che se un tempo contrapponevano interi Paesi,

oggi portano a scontri sempre più frammentati tra

comunità, tribù, scuole di pensiero e religione. Ne Dall’alto verso il basso: TPP agreement, A.Rahim EPA photo - Gruppi Armati di Al Fatah - Pirati somali, D.News

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

137

deriva che in questo contesto perde necessaria-

mente di significato parlare di rivalità per l’egemo-

nia tra Iran e Arabia Saudita o più genericamente

tra Paesi sunniti e sciiti. Per distinguere con pre-

cisione le fazioni in lotta risulterà indispensabile

affinare la prospettiva. Emergerà dunque lo scon-

tro ideologico tra salafiti ed alawiti, piuttosto che

la contesa tra Hamas, Fatah ed Hezbollah in terra

santa o quella tra Al Qaida e altre frange jihadiste

in tutto il Golfo Persico, sino alla contrapposizione

con il gruppo di Al Shabaab e le diverse bande che

affliggono con la pirateria le acque tra il Golfo di

Oman ed il Golfo di Aden.

Non meno delicata la situazione nell’area sub-re-

gionale con epicentro nella penisola indiana in cui

si inquadrano il Grande Gioco afghano, la contesa

tibetana e l’atteggiamento in passato contraddit-

torio del Pakistan. L’addio ormai prossimo all’Af-

ghanistan da parte delle forze internazionali lascia

ancora troppi dubbi sul futuro di questo Paese che

rischia di unirsi presto alla Somalia nella famiglia

degli Stati Falliti. Storicamente conteso e mai do-

mato, il nuovo Afghanistan indipendente e libero

non smette di allarmare la Comunità Internazio-

nale, che anche per questo aspetta di vedere come

si comporteranno l’Iran di Rohani, fresco di riaper-

tura del dialogo con l’occidente, e l’India che verrà,

figlia delle ultime elezioni che si concluderanno a

maggio 2014.

Scenari complessi, direttrici internazionali che

con differente grado influenzano le politiche

estere nazionali e regionali. Dinamiche a cui l’ap-

proccio italiano non potrà non dare il giusto peso

nell’intreccio multilaterale delle relazioni inter-

nazionali che più la riguardano; indirizzi che in

chiave presidenza italiana del Consiglio UE assu-

mono particolare rilevanza, offrendo la possibilità

a Roma di portare in primo piano gli interessi dei

propri quadranti di riferimento.

Matteo MarsiniEsperto di Relazioni Internazionali e Diritto Internazionale

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014138

t has been thirteen years since the In-

ternational Security Assistance Force

(ISAF) was deployed in Afghanistan.

The UN-mandated and NATO-led mission has

been set up with the purpose to cooperate with

Afghan government in the key tasks of maintain-

ing security in the area and fighting terrorism.

However, by the end of 2014, the ISAF mission

will formally come to an end. The situation in

the region is still dramatic, and that is the reason

why NATO will not abandon Afghanistan, rather

change its mandate. A window of uncertainty is

opening, concerning the future of the country,

but the unanimous aim of the entire internation-

al community is to avoid a second example of no

man’s land, of a so called failed state.

In 2001, UN-mandated ISAF mission was de-

ployed in Afghanistan, to help Kabul government

in maintaining security and promoting a strong

fight against terrorism. In August 2003, NATO

di Francesca Oresta

Afghanistan, to 2014 and beyond

Avoiding a no man’s land

“The country still needs all possible help or it might soon become a no man’s land, the next failed State. Afghanistan is surely a country which needs to be su-stained, nonetheless it is at the same time a State which can-not tolerate foreign occupation from time immemorial. Enou-ght-Afghanistan: It is crystal clear that the Afghan affair is not closed at all”

I

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

139

took command of the Force, and the field of mis-

sion was enlarged, from delimited Kabul area to

the whole country. As of June 2013, 49 nations

are contributing troops to the mission, includ-

ing 21 non-NATO members, cooperating with 28

NATO Allies.

Nonetheless, these are not the only targets of

ISAF mission. It is meant in order to train and de-

velop the Afghan National Security Forces (ANSF),

which is expected to be able to guarantee full se-

curity for their people and country within 2014.

The development of a national security force is

a fundamental step to give back to Afghanistan

the complete control of its own territory. ISAF has

always been carried out in this perspective, and

its purpose is about to be reached.

In fact, by the end of 2014, ISAF mission will end.

The troops will be redeployed and the mission will

change its umbrella. In any way, a training pro-

cess should go on in the Afghan country. This is

supposed to mark an important turning point not

only for States in charge of the mission itself, but

basically for the whole international community.

Among the international initiatives concern-

ing the future of Afghanistan, it stands out the

BSA, Bilateral Security Agreement. Such treaty is

intended to set conditions for US forces in Af-

ghanistan after 2014 as a part of “train, advise

and assist” mission, and is aimed at building a

security framework.

The BSA is included in the US-Afghanistan Stra-

tegic Partnership Agreement, officially titled

Enduring Strategic Partnership Agreement. Nev-

ertheless, until now, it is not well known who is

going to put a signature on the Afghani spot of

BSA. President Hamid Karzai, who is at the end of

his mandate, claimed that this would be a more

appropriate task for his successor. So, the entire

international community is waiting for the elec-

toral results, which will be announced on April,

24th.

Whether it will be Mr. Abdullah Abdullah, former

Illustrazione © M.Marsini

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014140

Foreign Minister, or Mr. Ashraf Ghani, former

Economics Minister, the new Head of State, by

this signature, he will pave the path for a secure

and solid future cooperation.

Under this point of view, the Governor of Herat

District, Mr. Sayeed Fazullah Wahidi reassures:

“Eventually, the agreement will be signed, but not

until some fundamental aspects will not be clari-

fied, especially with regard of civilian protection,

and of the reorganization of the security system.

In other words, peace first, because Afghanistan

is surely a country to be sustained but, at the

same time, it is a State which cannot tolerate

foreign occupation from time immemorial.”

It is well known that Afghan affair is not yet

closed. The country still needs all possible help in

political, economic, and social matters, and that

is why wider cooperation between NATO and Af-

ghanistan will continue beyond 2014, within the

framework of the NATO-Afghanistan Enduring

Partnership signed at NATO’s Lisbon Summit in

2010. Moreover, the new NATO Resolute Support

Mission has been disposed in order to keep on

assisting Afghani secure forces, without combat

purpose.

To deeply understand why it is so vital not to leave

Afghanistan alone, we have to keep in mind what

has been said in the framework of the Conference

organized by the NATO Defense College Founda-

tion in Rome, on February 13th and 14th, entitled

“Security in a no one’s world? Game Changers”.

Mr. Ivan Safranciuk, Russian publisher of “Great

Game: politics, business, security in Central Asia”,

articulating his remarks, said: “In the last 20 years

Illustrazione © M.Marsini

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

141

Central Asia, Afghanistan in particular, could be-

come: somebody’s land, integrated to some big-

ger economic system, Russia, China or EU, for

instance; no man’s land but successful; no man’s

land and failed.”

The last is not an option for the international

community at all, and UN and NATO are cooper-

ating just to erase this chance. There are a num-

ber of aspects which do not allow Afghanistan to

become a failed State.

The international law defines as failed State an

authority which once was a State, but nowadays

it has lost its international subjectivity. Such loss

can be due to several reasons. Insurrections, riots,

civil wars, or external military intervention could

cause the collapse of the government and, con-

sequently, of the State itself.

The world has already seen the dramatic con-

sequences when this possibility becomes reality.

From 1991, Somalia gives traditional example

of failed State. Years of civil wars have brought

the country on the edge of the abyss, throwing

people in terror and chaos, and not permitting to

any government to remain permanent, in order

to bring the situation under control. Having lost

his effectiveness, the failed State can no longer

be considered as a member of international com-

munity.

Despite this considerations, the international

practise appears more variable and magmatic.

Continuity of international subjectivity of failed

State must be maintained in any case, that is

what emerges from international scenario.

On one hand, this is justified by political rea-

sons. International law wants to avoid dangerous

regulatory vacuum which damage global system

efficiency, and threaten international security. It

must be clear and ensured that a State and, most

of all, a body of law is present even in the worst

situations.

On the other hand, keeping international sub-

jectivity for failed State has legal reasons. The

extinction of a State authority for lack of effec-

tiveness could create a no man’s land, susceptible

of occupation by other States. We will basically

assist to a way back to colonial empires, which

will therefore break the principle of people self-

determination.

Eventually, there are historical reasons stand-

ing for continuity. Today’s failed States are yes-

terday’s colonial properties, which, at that time,

have been recognized as States by international

community, even though they did not have all

requisites yet. This process has been called a le-

galized subjectivity by United Nations.

It is crystal clear why we cannot afford Afghani-

stan to become the second Somalia. International

community will have to continue in cooperating

with Afghanistan, both through NATO and UN, to

reach a democratic upswing for the country, and

to avoid that someone throws Afghanistan in the

failed State’s basket.

Francesca OrestaEsperta di Diritto Internazionale

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014142

a comunità internazionale ha fatto

uno sforzo lungo 13 anni per rendere

il paese sicuro, democratico ed in gra-

do di reggersi autonomamente, cercando inoltre

di migliorare le condizioni di vita ed economiche

delle popolazioni, talchè l’Afghanistan non po-

tesse essere più considerato un faible state, facile

a rivolgimenti interni capaci di renderlo un san-

tuario per lo sviluppo di attività terroristiche in

un quadro generale di guerra asimmetrica1.

Pochi numeri possono dare una idea di questo

sforzo: basta dire che 50 diversi paesi2 hanno in-

viato propri contingenti militari per garantire la

di Giuseppe Caforio

Afghanistan 2015 - Anno O?

come sarà il panorama Afgano dopo il disimpegno delle forze della coalizione ISAf? Previsioni e prospettive

L

1. Sulla guerra asimmetrica vedi G.Caforio 2013.2. ISAF comprende 101.152 militari appartenenti a contingenti di 50 Paesi. Il contributo maggiore è fornito dagli Stati Uniti (68.000 unità), seguiti dal Regno Unito (9.500), dalla Germania (4.318), dall’ Italia (3.100), dalla Polonia (1.770 unità), dalla Spagna (1.606), dalla Georgia (1.561), dalla Romania (1.549 unità), dall’Australia (1.094) e dalla Turchia (998) (Fonte NATO – 6 gennaio 2012).. Comandante della missione dal 10 febbraio 2013 è il generale USA Joseph Dunford. Alla stabilità del Paese contribuiscono inoltre circa 185.000 soldati dell’Esercito nazionale afgano nonchè le forze di polizia locali.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

143

sicurezza interna dell’Afghanistan ed addestrare

le forze locali: contingenti che hanno perduto

nella lotta contro gli insurgents ben 3.274 soldati

(dati della fine 2012); fondi rilevanti sono stati

stanziati e spesi per garantire una ricostruzione

ed un ammodernamento del paese; magistrati,

poliziotti, tecnici sono stati inviati da ogni parte

del mondo per concorrere a creare il know out

utile a questa ricostruzione ed ammodernamen-

to; ONG di tutto il mondo si sono alternate per

dare sollievo e supporto alle popolazioni più di-

sagiate.

Il 1 gennaio 2015, archiviata la missione ISAF,

avrà inizio la Resolute Support Mission della

Nato. La missione dunque cambia denomina-

zione, dimensioni e, verosimilmente, mandato.

Ma non cambiano i principi regolatori di una

presenza a lungo termine da tempo annunciata.

E non poteva essere diversamente: troppo eleva-

to il rischio di vedere collassare lo Stato afghano,

incapace di sopravvivere con le proprie sole for-

ze, ancora impreparate ad assicurare il controllo

del territorio. Come riporta lo statunitense Go-

vernment Accountability Office, solamente il 7%

(15 su 219) dei battaglioni dell’esercito e il 9%

(39 su 435) delle unità di polizia sono in grado di

operare in maniera indipendente ma con l’assi-

stenza dei consiglieri occidentali.

Ora alla vigilia comunque di una sostanziale ri-

duzione dell’impegno internazionale di cui sopra,

soprattutto nella sua componente di sicurezza,

riduzione pianificata per la fine del 2014 , come

si presenta la situazione in Afghanistan, quali le

prospettive?

Questo articolo si propone di cercare risposte a

tale interrogativo, attingendo soprattutto a noti-

zie e dati di fonte locale e/o internazionale.

Contrariamente a quanto è d’uso, ho evitato di

tradurre dall’inglese le notizie e le fonti di cui

sopra. Questo per una duplice considerazione: in

primis poiché l’uso della lingua inglese è ormai

talmente diffuso, specie tra gli addetti ai lavo-

Le forze afghane assumono la leadership della sicurezza nella provincia di Herat e gli Alpini passano la base di Bakwa all’esercito di Kabul.

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014144

ri, che una traduzione non appare più necessa-

ria. Secondariamente perché nelle traduzioni c’è

sempre un briciolo di arbitrarietà ed è invece bene

che i brani presentati siano apprezzati e letti nella

loro vivacità , genuinità e, talvolta, drammaticità.

La situazione odierna

Sotto il profilo economico ci troviamo di fronte

ad un paese che trae ancora buona parte del suo

sostentamento dalla produzione e commercio di

oppio e non vi è accenno, malgrado tutte le risor-

se investite, ad un progressivo passaggio a forme

diverse di economia: anzi, a dispetto degli inve-

stimenti fatti dai donor states, della distribuzione

gratuita di migliaia di bulbi di zafferano come

coltura alternativa, ad esempio, ed altre inizia-

tive di sviluppo agricolo, la produzione di oppio

sembra crescere anno dopo anno, come afferma

William Dalrymple (2013).

Opium production in Afghanistan grew in 2012

for the third year in a row, according to a United

Nations report released on Monday, and Afghan-

istan accounted for 75 percent of the world’s

heroin supply, increasing concerns among inter-

national law enforcement officials that opium

cultivation could be the country’s main economic

driver after the NATO combat mission ends in De-

cember 2014.

Una situazione confermata anche dal Foreign

Policy Magazine3 (FPM November 13, 2013) che

riporta; Illicit opium poppy cultivation in Af-

ghanistan has hit a record high this year, the U.N.

Office on Drugs and Crime (UNODC) reported on

Wednesday. In its annual report on drugs in Af-

ghanistan, the office said that the 2013 poppy

harvest resulted in approximately 5,500 metric

tons of opium - a 49 percent increase over last

year and more than the combined output of the

rest of the world. The report added that the in-

crease comes from the fact that the area where

the crop is being cultivated in Afghanistan grew

by 36 percent, and Jean-Luc Lemahieu, the out-

going UNODC Afghanistan director, noted that:

“This is the third consecutive year of increasing

cultivation” .

Ma il principale problema che impedisce una

rinascita economica del paese malgrado le risorse

investite è la piaga della corruzione, largamente

diffusa a tutti i livelli della amministrazione,

pubblica e privata. Documenta in merito Wikipedia

alla voce “Afghanistan”: Corruption in Afghani-

stan is a widespread and growing problem in Af-

ghan society. Afghanistan ranks 174 from 176

in Transparency International’s 2012 Corruption

Perceptions Index. (North Korea and Somalia were

ranked the same corrupt.) One of the recent major

corrupt cases was the 2010 Kabul Bank financial

scandal in which Sherkhan Farnood, Khalilullah

Fruzi, Mohammed Fahim, and other insiders were

spending the bank’s $1 billion for their own per-

sonal lavish style living as well as lending money

under the table to family and friends. As of Oc-

tober 2012, the government only recovered $180

million of the $980 million fraudulent loans.

3. Il “Foreign Policy Magazine” fu fondato 40 anni fa da Samuel Huntington con lo scopo di creare una “voce alternativa” sulla politica estera americana. Il magazine si presenta così: One of the most credible names in international politics and global affairs, Foreign Policy delivers highly influential corporate, policymaker, and professional audiences in print and online. Foreign Policy and ForeignPolicy.com provide the best available analysis of pressing global challenges by the world’s leading experts

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

145

According to the High Office of Oversight and

Anti-Corruption (HOOAC), corruption is rampant

in the north of the country, particularly Balkh

Province which borders neighboring Uzbekistan,

a country with similar corruption problems as

Afghanistan.

Dello stesso tenore le dichiarazioni di alcuni

studiosi del fenomeno, quali Andrei Akulov: The

popularity of the Taliban is growing because of the

huge rate of unemployment, drugs, poverty and

corruption. There was an embarrassing revelation

made earlier this month that British intelligence

agency MI6 regularly provided Karzai’s govern-

ment with ‘ghost money’ estimated to run in the

tens of millions of dollars in order to buy influence

through bribes. Karzai’s government is widely seen

as corrupt as it is unpopular with many Afghans.

There was significant overlap between the corrupt

Afghan political establishment and the coun-

try’s illegal heroin trade, including the president’s

brother Ahmed Wali Karzai, who was assassinated

in 2011. A UN report released last month showed

that Afghan poppy production was rapidly ex-

panding, and that the country was expected to

produce 90 percent of the world’s opium this year.

(Andrei Akulov, in ISAF Afghan Pull Out and Se-

curity Concerns 20.05.2013 Strategic Culture

Foundation - on-line journal. ISAF).

D’altra parte il fenomeno ed il livello della corru-

zione in Afganistan è ampiamente noto in sede

internazionale, specialmente da parte delle donor

states, come testimoniato da notizie quali la se-

guente: Senior Afghan officials and representa-

tives from more than 55 countries met in Kabul

on Wednesday to evaluate the progress made

regarding the aid pledges, benchmarks, and mu-

tual accountability framework laid out at last

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014146

year’s Tokyo conference . Afghanistan pledged

to tackle endemic corruption in exchange for

international aid, but European officials say

that only 3 of the 17 benchmarks have been

achieved, calling about $4 billion of continued

aid into question. One of the goals concerned

the Afghanistan Independent Human Rights

Commission, which is almost entirely funded

by international donors. President Hamid Kar-

zai’s recent appointment of five new commis-

sioners has been widely criticized by Afghans

and human rights activists who doubt the

news commissioners’ ability to be impartial.

(Foreign Policy Ma-

gazine (FPM Tuesday,

July 9, 2013).

Alla corruzione e alla

monocultura dell’oppio

si aggiungono altri

problemi, magari minori ma che comunque hanno

il loro impatto sugli investimenti nel paese. Tra essi

significativo è il frequente rapimento di persone a

scopo di estorsione, fenomeno in crescita negli ultimi

anni, testimoniato localmente da documenti come il

seguente: In the once peaceful and safe western city

of Herat, kidnappings for ransom are skyrocketing,

with almost 500 people arrested last year on kidnap-

ping charges compared to about a dozen five years

ago. The perpetrators target the relatives of Herat’s

wealthier businessmen and politicians, demanding

tens of thousands of dollars for their release. The

rising trend has locals concerned that a security

vacuum left by the drawdown of NATO troops will

allow not only the Taliban but also criminal gangs to

flourish. (FPM; Thursday, April 25, 2013).

Alla corruzione ed alla criminalità si accompagna

anche un generale deterioramento dei costumi,

come si può evincere da testimonianze quali: The

northern Afghan city of Mazar-i-Sharif has seen

a much-needed business boom in recent years,

but that economic uplift has been accompa-

nied by a troubling expansion of the city’s sex

trade. Mazar-i-Sharif is less conservative than

other parts of Afghanistan, and brothels once

flourished openly there. Now, the prostitutes,

most of whom have been forced into the trade

by poverty, divorce, or the death of their spouse,

operate through a secretive network and often

host clients in nondescript apartments around

the city, or even their

own homes. (FPM:

Wednesday, April 17,

2013).

Neppure la situazione

del paese per quanto

riguarda la sicurezza in generale sembra essere

migliorata in questi ultimi anni, salvo che in

alcune aree.

I dati disponibili ci dicono infatti che gli attacchi

dei talebani sono aumentati del 47% nel primo

trimestre del 2013, rispetto al medesimo periodo

dell’anno precedente, secondo lo Afghanistan

NGO Safety Office. Anche se il Comando Militare

alleato ed il Ministro della Difesa Afgano hanno

sinora evitato di diffondere le loro statistiche in

merito, il forte aumento degli attacchi talebani

è stato ampiamente documentato dai media. Lo

stesso Afghanistan NGO Safety Office esprime la

preoccupazione che i talebani stiano testando

la capacità delle forze di sicurezza Afgane di

assumere in proprio il compito di mantenere la

sicurezza nel paese.

Alla corruzione e allamonocultura dell’oppio

si aggiungono altri problemi che hanno un impatto negativo

sugli investimenti nel paese

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

147

E’ la cronaca quotidiana che ci fornisce chiare te-

stimonianze del peggiorare della situazione. Ba-

sta prendere come esempio una giornata qualsi-

asi, cosi’ come descritta dal ben documentato Fo-

reign Policy Magazine per rendersene conto come

segue: At least 24 people were killed in five sepa-

rate attacks across Afghanistan on Wednesday,

including seven women and children who died

when their bus hit a roadside bomb in Herat Pro-

vince. In the eastern province of Ghazni, another

roadside bomb killed five men who worked for

a local government security force. In the ea-

stern province of Laghman insurgents attacked

a checkpoint, killing four local policemen. In the

northern province of Jawzjan insurgents opened

fire on a group of village elders, killing two health

workers who were caught in the crossfire. And six

Afghan soldiers were killed (slit the throats) by

the Taliban after being kidnapped while travel-

ling home for vacation in Jawzjan.

At least 17 high school girls lost consciousness

and were hospitalized after a suspected poison

gas attack on their school in the northern pro-

vince of Takhar on Thursday.( FPM Thursday, April

18, 2013).

E ancora dal numero di Monday, May 20, 2013

...wave of violence swept Afghanistan this week-

end, killing dozens of police officers and civilians.

The attacks continued on Monday when a suicide

bomber wearing a police uniform struck the pro-

vincial council building in the capital of Baghlan

province, killing 14 and wounding 9. The attack

specifically targeted Rasoul Mohseni, the head

of Baghlan’s provincial council, who was killed

in the blast. Widely regarded as the most pow-

erful man in Baghlan, Mohseni was a veteran

commander who had led northerners in a revolt

against the Taliban

Effettuando attacchi persino alla parte più forti-

ficata della capitale Kabul.

Four suicide bombers and three security guards

Guerriglieri Talebani - Fonte: www.patrickandrade.com

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014148

were killed Tuesday during a brazen attack on the

heavily fortified presidential palace in Kabul . The

attackers used land cruisers similar to those used

by coalition forces, ISAF uniforms, fake badges,

and vehicle passes to access the compound, and

they were able to bluff their way past two se-

curity checkpoints before they were halted by

security officers. The Afghan Taliban released a

statement taking responsibility for the attack

and claimed the targets were the presidential

compound, the defense ministry, and the Ariana

Hotel, which they said is the CIA base in Kabul.

(FPM, Tuesday, June 25, 2013).

Sotto il profilo militare, le notizie circa la ca-

pacità delle ANSF di gestire la sicurezza e con-

trastare efficacemente gli insurgents non sono

incoraggianti. Come sopra riportato, secondo il

Government Accountability Office nel report “Af-

ghanistan Security: Long-standing Challenges

May Affect Progress and Sustainment of Afghan

National Security Forces”, solamente il 7% delle

unità dell’esercito ed il 9% di quelle della polizia

sarebbero idonee ad operare sul terreno autono-

mamente, seppure con l’assistenza dei consiglieri

occidentali.

A proposito dei quali non bisogna poi trascura-

re gli effetti psicologici dei cosiddetti attacchi

green-on-blue4; gli oltre sessanta episodi del

2012 hanno creato una fatale breccia tra i soldati

della NATO e le ANSF (si veda Crisis of trust, and

cultural incompatibility, ISAF report, 2012). Essi

continuano a verificarsi anche nel 2013, come

testimoniato da reports giornalistici: One Slova-

kian soldier was killed and three U.S. troops were

wounded on Tuesday when an Afghan National

Army member opened fire from a guard tower

at Kandahar Airfield . The shooter has been ar-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

149

rested and is currently being investigated. The

Slovak soldier is the ninth NATO service member

to die in a so-called “green-on-blue” attack this

year (FPM, Friday, July 19, 2013).

Due aspetti sono inoltre generalmente condi-

visi dagli osservatori: la incapacità degli afgani

di gestire la evacuazione medica dal campo di

battaglia (la cosiddetta MEDEVAC), e il forte e

crescente rateo di diserzioni tra le file delle forze

di sicurezza afgane. Riporta in merito il Defense

News e-Newsletter (Jul. 30, 2013): The Decem-

ber 2012 report said that in the previous two

years, 2,000 to 4,000 soldiers a month were

walking away from the force after the NATO

coalition had already spent money to recruit,

train, equip and deploy them. Those numbers

actually got worse from October 2012 to May,

with 4,000 to more than 7,000 soldiers simply

deserting their posts each month — a dropout

rate of 2.5 percent to 4.1 percent of the entire

force in any given month.

Non vi e’ infine accordo sulla condotta politico-

militare della campagna contro gli insurgents tra

i due principali attori operanti sul territorio, gli

Stati Uniti e il governo afgano, il cui presidente

Karzai spesso si lamenta per il comportamento

delle forze militari ISAF e NATO, ponendo talvol-

ta sullo stesso piano Stati Uniti e insurgents ta-

lebani: Afghan President Hamid Karzai said on

Saturday that both the United States and the

Taliban are to blame for a NATO airstrike that

killed 17 civilians during a fierce gunfight in Ku-

nar Province on April 6 . Members of the Afghan

intelligence service called in the airstrike after

they came under attack by militants while at-

tempting to detain two insurgent commanders

in the Shigal district of Kunar. Earlier this year,

Karzai banned the Afghan Army from request-

ing U.S. airstrikes after several civilians were

killed in a strike. (FPM April, 13, 2013).

Atteggiamento comune al governo del vicino

Pakistan, particolarmente ostile, ad esempio,

all’uso dei droni sul proprio territorio5. Ma

sbaglierebbe chi pensasse che, di fronte ad una

situazione obiettivamente difficile i due governi,

Afgano e Pakistano, si trovino a collaborare.

Ad esempio, in una intervista con il programma

della BBC denominato “Hardtalk”, il generale

Sher Mohammad Karimi, comandante in capo

dell’esercito afgano, presentò numerose accuse

contro il Pakistan, quali una complicità con gli

USA negli attacchi con i droni, la prassi di offrire

rifugio ai capi talebani ecc., dichiarando infine che

il conflitto interno afgano potrebbe essere risolto

in poche settimane se il Pakistan imponesse ai

gruppi di insurgents di fermarsi.

4. Si tratta degli attacchi a tradimento fatti da militari o poliziotti afgani in divisa contro soldati delle forze ISAF.5. L’uso dei droni per attacchi mirati in Pakistan è particolarmente motivato da un ulteriore e grosso problema che il governo afgano non riesce a risolvere da solo, cioè quello dei santuari di insurgents esistenti in Pakistan, nonche’ della permeabilita’ di quel confine, attraverso il quale passano in continuazione armi, esplosivi, rifornimenti di ogni genere, nonché bande addestrate di insurgents. Frequenti sono le inascoltate doglianze del governo afgano in proposito, a cui si sommano dispute sulla linea di confine tra i due paesi. Citando ad esempio la fonte Foreign Policy Magazine possiamo leggere: President Karzai on Sunday also continued his complaints about Pakistan, ordering his security forces to immediately dissemble a new Pakistani border gate that he said was erected without coordination with Afghanistan . Pakistani officials maintain that the new border gate is located fully inside of Mohmand Agency, which borders the Afghan province of Nangarhar, but Afghanistan has long disputed the Durand line drawn by the British in the 1893 to divide Afghanistan from the Raj. (April, 13, 2013)

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014150

Naturalmente il Ministero degli Esteri Pakistano si

è affrettato a smentire tali accuse.

E questo mi porta ad esaminare la situazione del

maggiore paese confinante, appunto il Pakistan,

situazione che presenta non minori aspetti di

complessità.

La situazione in Pakistan

E’ evidente infatti che sussiste una forte intera-

zione tra I due paesi e che la situazione dell’uno

non puo’ essere migliorata se non si opera anche

sulla situazione dell’altro.

Problematica del resto chiaramente percepita dai

vertici politico militari internazionali, come risul-

ta da diverse dichiarazioni pubbliche. Per esem-

pio, parlando in un meeting dei ministri della di-

fesa NATO a Bruxelles (giugno 2013), il segretario

generale dell’alleanza, Anders Fogh Rasmussen,

ha affermato che il Pakistan deve giocare un ruo-

lo positivo nel portare pace durevole e stabilità in

Afganistan ed ha stimolato le autorità pakistane

a prendere misure concrete contro i talebani che

effettuano puntate offensive in Afganistan dal

territorio pakistano.

La comunanza della situazione, in particolare per

quanto riguarda la sicurezza dei cittadini, risul-

ta anche da diversi dati di ricerca internazionali,

quali ad esempio il Global Peace Index, che, su

162 paesi considerati, vede per il 2013 l’Afgha-

nistan all’ultimo posto (162°) ed il Pakistan poco

prima (al 157°) con un chiaro trend negativo di

entrambi negli ultimi anni.

Graduatoria dei paesi secondo il livello di sicurezza Fonte: Global Peace Index 2013 (The Guardian)

Iceland 1.16 1 1.11 1

Denmark 1.21 2 1.24 2

New Zealand 1.24 3 1.24 2

Canada 1.31 8 1.32 4

Japan 1.29 6 1.33 5

Austria 1.25 4 1.33 6

Ireland 1.37 12 1.33 6

Slovenia 1.37 13 1.33 8

Finland 1.30 7 1.35 9

Switzerland 1.27 5 1.35 10

Belgium 1.34 10 1.38 11

Qatar 1.48 19 1.40 12

Czech Republic 1.40 14 1.40 13

Sweden 1.32 9 1.42 14

Germany 1.43 15 1.42 15

Portugal 1.47 18 1.47 16

Hungary 1.52 23 1.48 17

Norway 1.36 11 1.48 18

Bhutan 1.49 20 1.48 19

Malaysia 1.57 29 1.48 20

Mauritius 1.50 21 1.49 21

Australia 1.44 16 1.49 22

Singapore 1.44 16 1.52 23

Poland 1.53 25 1.52 24

Spain 1.56 27 1.55 25

Slovakia 1.62 33 1.59 26

Taiwan 1.54 26 1.60 27

Netherlands 1.51 22 1.61 28

2013GPIScore

Country 2013Rank

2012GPIScore

2012GPIRank

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

151

United Kingdom 1.79 44 1.61 29

Chile 1.59 31 1.62 30

Botswana 1.60 32 1.62 31

Romania 1.58 30 1.63 32

Uruguay 1.53 24 1.63 33

Vietnam 1.77 41 1.64 34

Croatia 1.57 28 1.65 35

Costa Rica 1.76 40 1.66 36

Laos 1.72 39 1.66 37

Italy 1.66 34 1.69 38

Bulgaria 1.66 34 1.70 39

France 1.86 53 1.71 40

Estonia 1.71 38 1.72 41

Korea, South 1.82 47 1.73 42

Lithuania 1.78 43 1.74 43

Argentina 1.91 60 1.76 44

Latvia 1.77 41 1.77 45

United Arab Emirates 1.68 36 1.78 46

Kuwait 1.70 37 1.79 47

Mozambique 1.91 61 1.80 48

Namibia 1.81 46 1.80 49

Ghana 1.90 58 1.81 50

Zambia 1.83 48 1.83 51

Sierra Leone 1.90 59 1.86 52

Lesotho 1.84 49 1.86 53

Morocco 1.90 57 1.87 54

Tanzania 1.89 55 1.87 55

Burkina Faso 2.06 87 1.88 56

Djibouti 1.92 63 1.88 56

Mongolia 1.92 64 1.88 58

Oman 1.81 45 1.89 59

Malawi 1.98 74 1.89 60

Panama 1.89 56 1.90 61

Jordan 1.86 52 1.90 62

Indonesia 1.88 54 1.91 63

Serbia 1.91 62 1.92 64

Bosnia and Her-zegovina 1.97 71 1.92 65

Albania 1.96 69 1.93 66

Moldova 1.98 74 1.93 66

Macedonia 2.04 79 1.94 68

Guyana 1.96 70 1.94 69

Cuba 1.92 65 1.95 70

Ukraine 2.24 111 1.95 71

Tunisia 2.00 77 1.96 72

Cyprus 1.84 49 .96 73

Gambia 2.09 93 1.96 74

Gabon 2.00 76 1.97 75

Paraguay 2.06 84 1.97 76

Greece 1.96 68 1.98 77

Senegal 2.06 85 1.99 78

Peru 2.26 113 2.00 79

Nepal 2.06 82 2.00 80

Montenegro 1.98 73 2.01 81

Nicaragua 1.93 66 2.01 81

Brazil 2.05 81 2.02 83

Bolivia 2.06 86 2.02 84

Ecuador 2.06 83 2.03 85

Swaziland 2.07 88 2.03 85

Equatorial Guinea 2.07 89 2.04 87

United States 2.13 99 2.06 88

China 2.14 101 2.06 89

Dominican Republic 2.10 94 2.07 90

Bangladesh 2.16 105 2.07 91

Guinea 2.27 116 2.07 92

Papua New Guinea 2.13 99 2.08 93

Trinidad and Tobago 2.07 90 2.08 94

Angola 2.15 102 2.10 95

Guinea-Bissau 2.43 132 2.10 95

Cameroon 2.19 108 2.11 97

Uganda 2.18 106 2.12 98

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014152

Tajikistan 2.28 118 2.12 99

Madagascar 2.07 90 2.12 99

Liberia 2.05 80 2.13 101

Mali 2.35 125 2.13 102

Sri Lanka 2.23 110 2.14 103

Congo 2.18 107 2.15 104

Kazakhstan 2.03 78 2.15 105

Saudi Arabia 2.12 97 2.18 106

Haiti 2.08 92 2.18 107

Cambodia 2.26 115 2.21 108

Belarus 2.12 96 2.21 109

Uzbekistan 2.33 124 2.22 110

Egypt 2.26 113 2.22 111

El Salvador 2.24 112 2.22 111

Jamaica 2.27 117 2.22 113

Benin 2.16 104 2.23 114

Armenia 2.12 98 2.24 115

Niger 2.36 127 2.24 116

Turkmenistan 2.15 103 2.24 117

Bahrain 2.11 95 2.25 118

Rwanda 2.44 135 2.25 119

Kenya 2.47 136 2.25 120

Algeria 2.28 119 2.26 121

Eritrea 2.29 120 2.26 122

Venezuela 2.37 128 2.28 123

Guatemala 2.22 109 2.29 124

Mauritania 2.33 122 2.30 125

Thailand 2.38 130 2.30 126

South Africa 2.29 121 2.32 127

Iran 2.47 137 2.32 128

Honduras 2.33 123 2.34 129

Turkey 2.44 134 2.34 130

Kyrgyzstan 2.39 131 2.36 131

Azerbaijan 2.35 126 2.36 132

Philippines 2.37 129 2.42 133

Cote d’ Ivoire 2.73 151 2.42 134

Mexico 2.43 133 2.44 135

Lebanon 2.58 142 2.46 136

Ethiopia 2.63 146 2.50 137

Burundi 2.59 144 2.52 138

Myanmar 2.53 140 2.52 139

Zimbabwe 2.70 149 2.54 140

Georgia 2.51 139 2.54 141

India 2.57 141 2.55 142

Yemen 2.75 152 2.60 143

Colombia 2.63 147 2.62 144

Chad 2.49 138 2.67 145

Nigeria 2.69 148 2.80 146

Libya 2.60 145 2.83 147

Syria 3.39 160 2.83 147

Pakistan 3.11 157 2.83 149

Israel 2.73 150 2.84 150

Central African Republic 3.03 153 2.87 151

Korea, North 3.04 154 2.93 152

Russia 3.06 155 2.94 153

Congo, Democra-tic Republic of 3.08 156 3.07 154

Iraq 3.24 159 3.19 155

Sudan 3.24 158 3.19 156

Afghanistan 3.44 162 3.25 157

Somalia 3.39 161 3.39 158

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

153

Converrà quindi fare qualche cenno anche sulla

situazione del Pakistan, che viene così descritta

da uno studioso locale: I would like to highlight

this issue of democracy and political parties in

Pakistan. Almost every single political party in

Pakistan is dishonest and naïve to the core prin-

ciples of democracy, and their only objective is to

loot and plunder. ...omississ..., the most turbulent

areas in Pakistan are the tribal areas, neither the

police nor the army can enter their tribal areas.

A couple days ago, Imran Khan staged a rally, a

peace march, and he

wanted to go through

North Waziristan. But

when he arrived, just

before the entrance of

North Waziristan, the

Pakistan Army advised him not to enter the area.

They said, ‘The people you are going there with

are spread, they are stretched out to at least 12

km. If you enter now, there is no electricity and

it is going to be completely dark; and we cannot

protect you in the dark. That is the most turbu-

lent part in the area. If you want to do so you do

it on your own risk.’ So Imran Khan pulled back

all his people. The military doesn’t have access,

the police don’t have access. So this is the area

where all the killers and smugglers go and find

sanctuary. Secondly, the Taliban in Afghanistan

is their interior matter; you can’t do anything

about it. But what you can do is get a hold of

their brand, Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP).

What you must do now is disown these tribal

areas and seek help from America and other We-

stern countries to take care of Tehreek-e-Taliban

Pakistan. Those individuals who support Taliban

call themselves Tehreek-e-Taliban Pakistan and

whenever they target somebody, they kill some-

body, after one hour some of their spokesmen

come on the television and rave about how bra-

ve they are. The innocent public will continue to

suffer and we have seen thousands of death at

once. Pakistan should take care of Tehreek-e-

Taliban and get rid of these tribal areas if they

want to restore peace in Pakistan. (Moham Ikhlaq

“Conflict transformation, peacebuilding and se-

curity”, Workshop on Transforming Humiliation

and Violent Conflict, December 8-9, 2011, Colum-

bia University).

Disown these tribal

areas, ipotesi assai

grave ma opinione

condivisa anche da

alcune sfere governa-

tive pakistane visto che l’allora candidato Primo

Ministro Imran Khan in occasione di un tour elet-

torale in Dera ha detto a migliaia di sostenitori,

che avrebbe ordinato il ritiro delle truppe pakista-

ne dal Nord Waziristan e che, “The money that is

spent on the war in the tribal areas will be spent

on the welfare of the people”.

Anche per il Pakistan troviamo una buona esem-

plificazione sulla mancanza della sicurezza inter-

na sfogliando le pagine del Foreign Policy Maga-

zine- Leggiamo, ad esempio sulle uscite dell’aprile

2013: The Pakistani Taliban continue to target

secular politicians in the country’s northwest,

launching a bomb attack on Sunday that killed

Awami National Party (ANP) candidate Mukar-

ram Shah as he drove through Swat, while a se-

parate attack wounded ANP candidate Masoom

Shah as he drove through Peshawar from a cam-

paign rally. The provincial president of the ANP in

il Pakistan deve giocare un ruolopositivo nel portare pace durevole

e stabilità in Afghanistan

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014154

Khyber Pakhtunkhwa, Afrasyab Khattak, accused

the government and the election commission of

failing to take attacks on secular candidates se-

riously; negligence he said amounted to the deli-

berate sabotage of his party’s success in the upco-

ming elections. Meanwhile, at least eight people

were killed on Saturday when a bomb exploded on

board a bus in Peshawar (April 12, 2013).

At least 16 people died in Peshawar on Tuesday in a

suicide attack at a rally attended by senior Awami

National Party (ANP) leader Ghulam Ahmed Bilour,

who was the railways minister in the outgoing

Pakistan People’s Party (PPP) government . Bilour

escaped with cuts and bruises, and the Taliban

apologized for injuring him, saying the attack was

meant to target his nephew Haroon, whose father

Bashir Balour was assassinated last year. The at-

tack brought the death toll from election-related

bombings on Tuesday to 20, with four killed in an

attack on another politician in Balochistan earlier

in the day. ( April 17, 2013).

Al di là dei singoli, pur significativi, esempi gli

analisti documentano un crescendo della violen-

za interna del paese nel tempo: An Islamabad-

based think tank, the Pakistan Institute for Peace

Studies, released its “Pakistan Security Report

2013” on Sunday, revealed that sectarian violen-

ce is continuously increasing across the country

and that the number of suicide attacks increa-

sed by 39 percent . According to the report, there

were 208 incidents of sectarian-related terrorist

attacks across Pakistan in 2013, which left 658

people dead and 1,195 injured. It also noted that

suicide attacks in the country rose from 33 in

2012 to 46 in 2013. Based on the report’s num-

bers, Sindh is the most dangerous province, with

132 attacks, followed by Balochistan (33), Khyber

Pakhtunkwha and the Federally Administered Tri-

bal Areas (26), and Punjab (17). (FTP, Monday,

January 6, 2014).

Carenza di sicurezza che incide pesantemente

anche sul regolare svolgimento del confronto

politico nel paese, in particolare in quelle aree del

nord ovest ove il controllo statale appare preca-

rio. Riferisce in merito un autore locale: In Pa-

kistan’s northwest, the secular Awami National

Party is coming under sustained fire from the

Taliban, with deadly attacks and threats forcing

ANP candidates to stage small, tense meetings

rather than the large-scale rallies that usually

define Pakistani politics. Even in the southern

port city of Karachi, some 40 ANP activists have

been killed over the past six months, effectively

stifling the party’s campaign there. Asad Munir, a

retired Army brigadier who worked for Pakistan’s

intelligence agency, says, “The most effective

campaign is being run by the Taliban. They are

holding the state of Pakistan hostage, and doing

their activities as they want.”: (Daud Khattak,

“Pakistani Taliban’s deadly game of politics” FPM

19.04.2013).

Più in generale I talebani hanno dichiarato che

il sistema democratico è anti-islamico ed han-

no incoraggiato la gente a non partecipare alle

elezioni. Partecipazione comunque resa difficile

dalle particolari condizioni del paese, dove: Of

180 million Pakistanis, 37 million women and 48

million men are registered to vote, but in Khyber

Pakhtunkhwa Province and the Federally Admi-

nistered Tribal Areas, election officials fear that

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

155

Taliban threats, social taboos, and poorly organi-

zed voting drives will prevent most women from

voting in the upcoming elections. In 2008, not

a single vote was cast at many women’s polling

stations in these areas, in part due to the requi-

rement that the women have official identifica-

tion, but also because village elders forbade them

from voting. ( FPM, Thursday, April 25, 2013).

Si accompagna alla difficoltà dello svolgimento

della normale dialettica democratica una ac-

canita persecuzione verso il mondo della infor-

mazione, che giunge fino all’uccisione dei gior-

nalisti, particolarmente di quelli legati ai media

occidentali. Come riferisce ancora FPM: At least

four unidentified gunmen opened fire on the of-

fice of the Karachi-based Express Media Group,

wounding at least three people and underscoring

the ongoing threats to journalists working in the

country. The media house publishes the English

Express Tribune -- a partner publication of the

International New York Times -- and the Urdu

Daily Express, and owns the Express News televi-

sion network. While the building was previously

targeted (again by unknown assailants) in Au-

gust, the motive of this most recent attack is

still unclear and there were no immediate claims

of responsibility. Journalists demanded that the

Pakistani government arrest those responsible

within the next 72 hours, threatening to hold

countrywide rallies if they were not. According

to the Committee to Protest Journalists, 53 re-

porters have been killed in Pakistan since 1992.

(FPM December 3, 2013).

E l’infiltrazione talebana in Pakistan non si limita

più a certe aree del paese ma sembra avere anche

pienamente coinvolto le principali città e, in par-

ticolare Karachi ove, secondo quanto riferisce Zia

Ir Rehman, si conterebbero ormai 7000 militanti

talebani, che inoltre esercitano una proficua for-

ma di mafia attraverso l’obbligo del pagamento

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014156

del “pizzo” per i lavoratori emigrati dalle aeree

tribali: Far from their traditional home in Paki-

stan’s Federally Administered Tribal Areas (FATA)

and Khyber Pakhtunkhwa Province (KP), TTP mi-

litants have increasingly moved to this bustling

commercial hub to escape Pakistani military ope-

rations and U.S. drone strikes. Although the TTP’s

movement to Karachi has been visible since at

least 2009, the group began to escalate violent

activities in June 2012, threatening to destabili-

ze one of Pakistan’s preeminent cities—home to

the country’s central bank and stock exchange.

Today, evidence suggests that entire Pashtun nei-

ghborhoods in Karachi are under the influence of

TTP militants. In October 2012, a report submitted

to Pakistan’s Supreme Court claimed that 7,000

TTP militants have infiltrated Karachi.

Since June 2012, the TTP factions in Karachi

have become more brazen and violent. Dozens of

truckers in Karachi whose families live in South

Waziristan, Mohmand and Khyber tribal agencies

have paid tens of thousands of dollars during the

last year to free their family members from TTP

militants. As part of these extortion rackets, TTP

militants often threaten a Karachi-based worker,

saying that their fellow militants in FATA will kid-

nap or kill the worker’s family unless “protection”

or ransom money is paid (Zia Ur Rehmanin CTC

Sentinel. May 2013 volume 6 issue 5).

Al deterioramento della sicurezza si accompagna

anche quì, come è ovvio, un declino economico

sostanziale, come confermato dalle stesse sfere

ufficiali del governo: On Monday, as election re-

sults continued to come in with positive results

for the Pakistan Muslim League-Nawaz, Pri-

me Minister-elect Nawaz Sharif moved quickly Guerriglieri Talebani - Fonte: www.tempi.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

157

to form a new government, and named Ishaq

Dar as his finance minister . With the country’s

economy high on the party’s agenda, Dar, who

served in the post twice before, is considered the

most experienced man for the job. An expert in

finance, audits, and accounts, he would be a cri-

tical player in a country suffering a sharp eco-

nomic decline (FPM, Monday, April 22, 2013).

E riportata in sede internazionale: The chief of

the United Nations World Food Program (WFP),

Ertharin Cousin, said Sunday that Pakistan is fa-

cing a food “emergency” due to years of conflict

and natural disasters, but is receiving little aid

as donors focus on emerging and ongoing con-

flicts in other parts of the world. About half of

Pakistan’s population still does not have secure

access to food, and fifteen percent of Pakistani

children are malnourished, according to the U.N.

WFP. (FPM Tuesday, June 25, 2013).

Prospettive per l’anno 0

E’ unanime tra i paesi che costituiscono la coali-

zione ISAF la decisione di ritirare le forze militari

dislocate in Afghanistan entro il 2014. Diversi pa-

esi anzi stanno attuando un ritiro progressivo ed

anticipato.

In questa ottica il passaggio della responsabili-

tà della sicurezza interna del paese tra le forze

della coalizione e l’esercito e la polizia afgani è

in corso già dal 2011. Esso sarebbe anzi già stato

completato6, secondo quanto afferma il Journal

of Strategic Security (JSS 24 .03.2013)7: NATO

forces transferred the control of 95 remaining

districts to Afghan security forces in a ceremony

on Tuesday, completing a transition process that

began in 2011. Afghan President Hamid Karzai

said that beginning Wednesday, for the first time

since 2001, Afghan forces will lead all security

activities across the country. As the New York Ti-

mes points out, Afghan security personnel have

already taken the lead across three-quarters of

the country but after Tuesday, these forces must

operate without American air support, medical

evacuation helicopters, or partnered combat

units. The 100,000 coalition troops remaining in

the country will serve as mentors and trainers to

the growing Afghan forces, providing help in only

the most dire of circumstances.

Si pongono qui due interrogativi importanti:

il primo e se le forze di sicurezza afgane siano

pronte ad assumersi tale funzione. Il secondo è se

e quale supporto militare internazionale rimarrà

in opera dopo il 2014.

Sul primo punto esistono opinioni contrastanti e

dubbi consistenti. Sempre il JSS (24.03.2013) sol-

leva, ad esempio, il problema del soccorso sanita-

rio per le forze dell’ANA in campo: While President

Obama promised to complete the security tran-

sition in Afghanistan in his speech on Thursday,

the focus remained on training the Afghan na-

tional security forces, not providing them with

6. Anche se in modo ancora relativo, visto che l’appoggio aerotattico viene tuttora assicurato dalle forze ISAF; per non parlare di altri settori, ove la transizione è ancora parziale.7. In questo articolo faccio spesso riferimento a dati e notizie pubblicati sul Journal of Strategic Security con la semplice indicazione “JSS” e la data. Secondo quanto afferma la sua redazione The Journal of Strategic Security (JSS) is a peer-reviewed professional journal published quarterly by Henley-Putnam University. The Journal provides a multidisciplinary forum for scholarship and discussion of strategic security issues drawing.

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014158

the life-saving equipment they seem to need

most -- helicopters. According to a recent report

by the Washington Post, the U.S. evacuated 4,700

Afghan soldiers by air while the Afghan air for-

ce managed only 400 such rescues. The U.S. has

spent millions training and equipping the Afghan

air force but with only 60 helicopters in its arse-

nal, many of which are out of commission at any

given time, injured Afghan forces in remote areas

will have to wait for military ambulances and the

number of men who die from minor injuries will

increase.

Opinioni più ottimi-

stiche vengono inve-

ce espresse dai vertici

militari della NATO: As

Afghanistan prepares

for the 2014 presiden-

tial and provincial elections, NATO generals told

Afghan reporters on Wednesday that the Afghan

National Security Forces (ANSF) have the ability

to keep security for about 95% of the country’s

polling centers and combat next year’s annual

fighting season. Lt. Gen. John Lorimer, the British

deputy commander of the International Security

Assistance Force, said there are currently 350,000

ANSF soldiers and policemen and that the NATO-

led force is focused on improving their capabi-

lities. Other NATO officials noted that there are

also 13,000 Special Forces soldiers and 22,000

local police officers in the country. According to

U.S. Lt. Gen. Mark A. Milley, only 12% of Afgha-

nistan is affected by the insurgency, enabling the

Afghan forces to provide the security next year’s

election will need. (JSS, 24.03.2013).

Per converso il National Intelligence Estimate

americano formula previsioni assai più negati-

ve, specie nel caso di una mancata approvazione

del “Bilateral Security Agreement” (BSA, vedi più

oltre). Riporta infatti il FPM (Thursday, January

2, 2014): With no movement by either Kabul or

Washington to sign the Bilateral Security Agree-

ment (BSA) by the Dec. 31 deadline, a new Natio-

nal Intelligence Estimate (NIE) predicted that the

gains made in Afghanistan since 2010 “are likely

to have been significantly eroded by 2017”. First

cited by Ernesto Londoño, Karen DeYoung, and

Greg Miller in the Wa-

shington Post on Dec.

28, the intelligence

assessment predicts

that the Afghan Tali-

ban and other power

players in the region

will become more in-

fluential as the NATO combat mission comes to

an end in December 2014, especially if the BSA

-- which will determine the size and scope of any

post-2014 U.S. troop presence in Afghanistan

-- is not signed. The report, which was rejected

by Kabul as “baseless,” appears to have split the

Obama administration, with some U.S. officials

agreeing with the underlying conclusion that the

security situation in Afghanistan will deteriorate

rapidly without a continued international troop

presence and ongoing financial support, and

others arguing that the NIE doesn’t adequately

reflect the gains the Afghan security forces have

made in recent years. Spokespeople for James

Clapper, the Director of National Intelligence,

whose office coordinates the assessments, and

the CIA have declined to comment on the report

or its findings .

Le forze di sicurezza afgane sonopronte ad assumersi il compito

della sicurezza?Quale supporto militare

internazionale rimarrà in opera dopo il 2014?

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

159

Sul secondo punto manca ancora (gennaio 2014)

un accordo tra il governo afgano e gli US.

Gen. Martin Dempsey, Chairman of the Joint

Chiefs of Staff, told U.S. senators on Thursday

that there would be no American troops in Af-

ghanistan post-2014 without a signed Bilateral

Security Agreement . Speaking to members of the

Senate Armed Services Committee, Dempsey said

that while any U.S. presence in the country after

combat troops withdraw at the end of next year

is dependent on the signing the agreement, he’s

confident it will be formalized in time. Afghan

President Hamid Karzai suspended negotiations

over the agreement after the Taliban opened a

political office in Qatar. (JSS, 24.09.2013).

In particolare, una ipotesi di accordo approvata

dalla Loya Jirga (grand council) afgana, viene

boicottata proprio dal presidente uscente, Hamid

Karzai, che si rifiuta di firmarla ed accentua il suo

distacco (se non vera e propria rottura) verso l’al-

leato americano, come appare ormai di dominio

pubblico: As NATO forces marked the 12th anni-

versary of the Afghan war on Monday, Afghan

President Hamid Karzai gave a blistering inter-

view to the BBC, calling the international effort

“one that has caused Afghanistan a lot of suffe-

ring, a lot of loss of life and no gains, because the

country is not secure”. Karzai’s words come as

representatives for the two countries are trying

to restart negotiations over the stalled Bilateral

Security Agreement (BSA) that would determi-

ne the size and scope of the U.S. mission after

most combat troops withdraw at the end of next

year. In describing the agreement, Karzai said it

“has to suit Afghanistan’s interests and purposes.

If it doesn’t suit us, and if it doesn’t suit them,

then naturally we will go separate ways.” (FPM,

Tuesday, October 8, 2013).

Cercando nel contempo pretesti dilatori centrati

sulla opportunità che a firmare le BSA sia il suo

successore, che scaturirà dalle elezioni dell’aprile

20148:

But despite the personal letter from the U.S. pre-

sident, Karzai told the jirga that the agreement

should be signed after the presidential and pro-

vincial elections that are set to occur next April.

Karzai’s decision to defer signing the agreement

and leaving it to his successor had been seen as a

possibility, though it raises concerns that it could

be a potential deal breaker as the United States

had wanted a finalized and signed security pact

by the end of October. (FPM Thursday, November

21, 2013).

Distacco tra i due governi che appare anche di-

mostrato anche dalla mossa del governo Afghano

di liberare, alla fine del 2013, centinaia di prigio-

nieri talebani ancora in attesa di giudizio ed im-

putati di gravi reati contro l’esercito afgano e le

forze della coalizione, mossa chiaramente osteg-

giata dal governo americano.

8. The other contested issue, the immunity from Afghan law for U.S. troops who commit crimes in Afghanistan, also appeared to have been resolved, with the United States maintaining jurisdiction over their security forces and contractors. According to Article 13 of the draft BSA, “Afghanistan, while retaining its sovereignty, recognises the particular importance of disciplinary control, including judicial and non-judicial measures, by the U.S. forces authorities over members of the force and of the civilian component.” Karzai then returned to the stage and insisted that “America cannot kill anyone in their homes,” ending the assembly session in a rather dramatic fashion. He also demanded that U.S. soldiers immediately cease conducting raids on Afghan homes, an issue that had resulted in an impasse during last week’s negotiations over the pact’s text, but one that had seemingly been resolved. (FPM Monday, November 25, 2013)

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014160

L’atteggiamento tenuto da Karzai sembra avere

intanto una influenza negativa sulla situazione

generale del paese, producendo un clima di incer-

tezza con pesanti conseguenze sugli investimenti,

come lo stesso Karzai sembra riconoscere: As he

spoke to reporters in New Delhi on Saturday, Karzai

said that he understood his defiance of the United

States by not signing the BSA would have “serious

consequences,” noting that the “Afghan people are

short of resources. Our military and police will suf-

fer” . While there are concerns over what a comple-

te withdrawal of U.S. troops -- a “zero option” thre-

atened by Washington if the BSA is not signed soon

-- will mean for Afghanistan’s security forces, Khalil

Sediq, the chairman of the Afghanistan Banks As-

sociation, noted on Monday that Karzai’s stance on

the BSA has also caused a flight of capital from the

country . Speaking at a meeting in Kabul, Sediq said

uncertainty about the country’s future has led to

declining investments and a hesitation to expand

businesses. (FPM,Monday, December 16, 2013).

In assenza di tale accordo si fa strada negli US

anche una cosiddetta “zero option”, cioè un ritiro

integrale delle forze americane dopo il 2014. Come

riporta infatti il JSS: As the U.S.-Afghan relationship

continues to deteriorate, President Obama is se-

riously considering a “zero option,” speeding up the

withdrawal of U.S. forces from Afghanistan and

bringing home all U.S. troops by the end of 2014,

according to the New York Times. American and

European officials familiar with the situation say

that a recent video teleconference between Obama

and Afghan President Hamid Karzai ended badly,

and that a military exit once seen as a worst-case

scenario is being considered a possible alternative.

There are currently 63,000 U.S. troops in Afghani-

stan, a number that is scheduled to go down to

34,000 by next February. The option now under

consideration would withdraw the bulk of U.S. sol-

diers - if not all - by next summer, after the annual

fighting season winds down. (JSS, 24.09.2013).

Artificieri al lavoro dopo un attentato - Fonte: www.ilgiornale.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

161

Minacciata poi chiaramente dallo stesso amba-

sciatore Americano, secondo quanto riporta FPM

(Monday, November 25, 2013).

James Cunningham, the U.S. ambassador to

Afghanistan, declined to comment on Karzai’s

closing statements, saying only: “I am gratified

that the loya jirga, which represents the Afghan

people, overwhelmingly offered support for the

bilateral security agreement and asked President

Karzai to sign it by the end of next month”. The

United States has said it will pull all of its forces

out of Afghanistan - the so-called “zero option”

- without a signed agreement, a stance that has

been echoed by most of America’s coalition allies.

Tale soluzione viene però dai vertici militari USA ri-

tenuta disastrosa come afferma il Gen. Martin Dem-

psey, Chairman of the Joint Chiefs of Staff: During

the hearing, Dempsey also said that a faster pullout

of U.S. troops or leaving no troops behind - the so-

called “zero option” - would “likely compromise the

sustainability of the ANSF [Afghan National Securi-

ty Force]. It would also impact our ability to retro-

grade all our personnel and equipment”.

Secondo il generale gli Stati Uniti dovrebbe man-

tenere truppe in Kabul e nei “quattro angoli” del

paese, dove gli USA dovrebbero avere centri ad-

destrativi regionali9.

Anche la NATO si sta muovendo per trovare un

accordo sullo stato delle forze NATO dopo il 2014,

ma la trattativa tra Governo afghano ed alleanza

Atlantica rispecchierà, ovviamente le condizioni

del BSA. Scrive infatti Janes: Kabul begins SOFA

talks with NATO, but bilateral deal with US re-

mains crucial. NATO and Kabul have begun nego-

tiations on a status of forces agreement (SOFA)

for the alliance’s post-International Security

Assistance Force (ISAF) presence in Afghanistan

after 2014, NATO said on 21 December. The an-

nouncement comes amid Washington’s continu-

ing pressure on Kabul to first sign a bilateral se-

curity agreement (BSA) for US troops after 2014

(Janes, first posted on 24 December 2013).

Anche se questa situazione apparirà in qualche

modo definita quando uscirà questo articolo,

essa testimonia ulteriormente le difficoltà di re-

lazione tra gli alleati ISAF e il governo afgano.

La preoccupazione di sostenere la ANSF non è

d’altronde solo NATO. Anche la Russia, ad esem-

pio, cerca di dare un contributo a tale sostegno,

secondo quanto riferisce Janes [first posted on 06

May 2013].

Russian and NATO officials have agreed to bol-

ster their support to the nascent Afghan Air Force

(AAF), which flies several aircraft of Russia origin.

Sergey Lavrov, Russia’s foreign minister, and his

NATO counterparts agreed during a NATO-Russia

Council (NRC) meeting in late April to increase

9. Obama e la sua amministrazione debbono anche tener conto della generale ostilità della opinione pubblica del paese verso la guerra in Afghanistan. Secondo FPM, infatti, Two-thirds of Americans say the war in Afghanistan has not been worth fighting, according to a new ABC News/Washington Post poll released on Thursday, “matching peak criticism of the war in Iraq” . The poll, which was conducted from Dec. 12 to Dec. 15, found that the criticism of the war held majorities across all demographic groups, though independents and liberals (71 and 78 percent, respectively) were more critical than conservatives (61 percent). However, despite the criticism and the recent standoff between Washington and Kabul over the Bilateral Security Agreement, 55 percent favored keeping some U.S. troop presence in the country for training and counterinsurgency purposes. (FPM Friday, December 20, 2013)

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014162

their efforts to help maintain the AAF’s growing

helicopter fleet.

Più in generale i paesi NATO partecipanti alla mis-

sione ISAF appaiono tutti d’accordo nel terminare

qualsiasi operazione di combattimento in Afgani-

stan entro il 2014, conservando ruoli logistici ed

addestrativi come riferisce il JSS (August 16, 2013).

“We have just endorsed the detailed concept of

our non-combat mission in Afghanistan” to gui-

de military planners as they prepare NATO’s advi-

ce and training program, alliance head Anders

Fogh Rasmussen said.

Rasmussen said “Re-

solute Support”, will

be based on a “limi-

ted regional appro-

ach”, with operational

centers in Kabul and

around the country to train and advise some

350,000 Afghan government troops.

Asked about staffing levels for the new mission,

Rasmussen said: “We have not decided the exact

number.”

In questo quadro di incertezza politico militare si

inserisce una trattativa diplomatica tra il governo

afgano (unitamente agli USA) e i leader dei princi-

pali movimenti degli insurgents (i talebani), diretta

ad instaurare colloqui di pace con l’obiettivo di ar-

rivare alla formazione di un governo inclusivo delle

principali forze in campo, formazione forse agevo-

lata dall’annuncio dell’attuale presidente Karzai di

volersi ritirare dalla vita politica10. Scrive in merito

Janes (first posted on 19 June 2013): Agha Jan

Muhtasim, a senior Taliban leader, had announced

in an interview that the group was in favour of ne-

gotiations with the Afghan government, and was

not looking for the restoration of an Islamic emi-

rate akin to its previous rule in the country. On 18

June the Taliban also announced that it would take

part in peace talks with US and Afghan officials in

Doha, Qatar, where it will open a political office

Atteggiamento poi confermato dal Mullah Omar,

come riportato dal

JSS (6.08.2013): In a

recorded message re-

leased on Tuesday to

mark the Muslim fe-

stival of Eid al-Fitr, a

three-day celebration

that closes the holy month of Ramadan, Afghan

Taliban leader Mullah Mohammed Omar said

that his fighters will not seek to monopolize po-

wer in Afghanistan after foreign troops withdraw

next year, and that the group will work to create

“an inclusive government based on Islamic prin-

ciples”...omissis...”Omar’s statement was released

the same day as an Associated Press report that

said members of the Afghan Taliban and the Kar-

zai government have been secretly meeting in an

effort to jumpstart the reconciliation process that

has been on hold since the June opening of the

Taliban’s political office in Qatar. The talks, which

were confirmed by Afghan officials, have been oc-

La preoccupazione di sostenere le forze di sicurezza afgane non è

d’altronde solo NATO. Anchela Russia è interessata

10. Afghan President Hamid Karzai made clear on Wednesday that there is “no circumstance that will allow [him] to stay as president,” and he will not make any attempt to run in the April 2014 elections . Karzai gave two reasons: “One is, I’m exhausted. Really, totally exhausted and I would like to be retired. And second, why would I ruin my legacy by staying on and taking an opportunity away from Afghanistan to become an institutionalized democracy?” (JSS, May 22, 2013). Il presidente Karzai viene poi giudicato da alcuni autori come non particolarmente idoneo al difficile compito di pacificare e riorganizzare il paese. Vedi in merito Adriana Zobrist Galàd (2012, op. cit. p.21)

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

163

curring on an individual and informal basis, and

are focused on creating the conditions for formal

negotiations between the Taliban and the Afghan

High Peace Council.

Questo pur confermando “ his belief that next

year’s presidential election (programmate per

l’aprile 2014) is a “waste of time”. Infatti I tale-

bani non hanno smesso di scoraggiare gli afgani

a partecipare alle elezioni e continuano a bollare

i candidati come attivisti del governo di Kabul,

nonché a mettere in opera tutte le possibili azioni

idonee a disturbare il processo elettorale.

Comunque da parte governativa il processo elet-

torale va avanti, come testimoniato anche dalla

edizione del 15 agosto 2013 del JSS che recita.

Afghan President Hamid Karzai recommended

in a meeting last week that Abdul Rab Rassoul

Sayyaf, a powerful ex-jihadi leader, be nominated

as a candidate in next year’s presidential election,

(potentially ending months of speculation about

whom he would support). According to Syed Fazl

Sancharaki, a spokesman for the National Coali-

tion Party, Karzai’s announcement came during a

meeting with political party representatives and

former jihadi leaders. Mohammad Daud Kalkani,

a leader of Sayyaf’s party, confirmed the meeting

had taken place but denied that Sayyaf’s candi-

dacy had been discussed.

Sulla possibilità poi che elezioni si svolgano in una

cornice di sicurezza le opinioni sono contrastanti.

Mentre la ANSF si dice sicura di poter garantire il

regolare svolgimento delle elezioni dell’Aprile 2014,

il Free and Fair Election Foundation of Afghanistan

(FEFA) ha rilasciato un rapporto che prefigura con-

dizioni di insicurezza, possibilità di frodi e riferisce

violazioni delle regole di registrazione già in questa

fase preparatoria delle elezioni stesse.

La sindrome del disimpegno

Similmente a quanto era già accaduto per il Viet

Nam, la sindrome del disimpegno delle forze della co-

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014164

alizione dall’Afghanistan si è già sviluppata nel paese

e costituisce un sintomo abbastanza chiaro di una

valutazione pessimistica del “dopo 2014” da parte di

settori significativi della popolazione afgana.

Ciò si rivela in una serie di testimonianze sulla

tendenza degli afgani che hanno collaborato

con ISAF ad ottenere un “passaporto per l’occi-

dente”. Riporta ad esempio il Journal of Strate-

gic Studies: Afghans who have worked for the

U.S. military wait anxiously for responses to their

applications for American visas as NATO acce-

lerates its transition out of Afghanistan, with

interpreters bearing the brunt of Taliban attacks

on Afghans who have supported Western forces.

But a very small proportion of the applications

have been accepted so far, due in large part to

issues with the program itself. Only 7,500 visas

are available to Afghans, compared to 25,000 for

Iraqis who were involved in the U.S. war effort

there. And for Afghans, only spouses and depen-

dent children are allowed to join the applicant,

excluding parents, siblings, and non-dependent

children. (JSS May 14, 2013).

E non soltanto per gli US: In welcome news, the Bri-

tish government released a proposal Wednesday

that will allow six hundred Afghan interpreters

who have worked with British troops for more

than a year to relocate to Britain on a five-year

visa. Those who do not meet the year-requirement

will be given training and education packages

with the Afghan security forces and wages equal

to their current salaries (JSS,May 21 2013).

As U.S. troops begin to withdraw from Afghani-

stan, many Afghans who have supported the co-

alition forces as translators, mechanics, cleaners,

and drivers are suddenly finding themselves wi-

thout jobs. In addition to losing an income than

was often greater than that of typical semiskilled

Afghan jobs, many of these former employees

fear retaliation from the Taliban. Though the U.S.

does offer a Special Immigrant Visa program for

Afghans who provided “faithful and valuable

service to the U.S. government,” such visas are

limited to 1,500 a year. (JSS , July 15, 2013).

Fenomeno che si estende anche ai diplomatici in

missione all’estero: the New York Times reported on

Friday that more than 60 percent of Afghan diplo-

mats do not return home after their assignments

end. The Times report follows one from the German

paper Der Spiegel, which said that of the 105 diplo-

mats who were supposed to report for duty in June,

only 5 appeared in Kabul. (JSS, August 13, 2013).

E tutta quest’ansia appare giustificata dalle minacce

ripetutamente rivolte dai talebani agli afgani che

collaborano con le forze della coalizione, come, ad

esempio, riporta il JSS (Friday, May 17, 2013).

Hezb-i-Islami, the militant group responsible for

yesterday’s suicide bombing, said Thursday’s at-

tack marked the start of a stepped-up campaign

against foreign troops in Afghanistan and promi-

sed more such assaults. While HaroonZarghoun,

a group spokesman, said U.S. military advisors

were the specific targets in this attack, another

spokesman, Zubair Sediqqi, stated they would

also target Afghans working with foreigners. Mi-

nacce che hanno già avuto concrete applicazioni

locali come riferisce Pajhwok (Agosto 2013) Tali-

ban militants cut off hands and feet of two men

they accused of helping escort NATO convoys.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

165

Uno degli aspetti significativi del processo di de-

mocratizzazione dell’Afghanistan riguarda gli sfor-

zi compiuti (ed i risultati ottenuti) dalle forze della

coalizione per migliorare la posizione della donna

nella società afgana. Accesso alla istruzione, at-

tribuzione di elettorato attivo e passivo, addolci-

mento delle misure penali repressive, sono alcuni

dei settori in cui l’intervento internazionale si è

cimentato e che rappresentano un aspetto fonda-

mentale del processo di democratizzazione della

società civile di quel paese. Come afferma infatti

Simone Baschiera (Baschiera, 2013 pag. 213): toc-

cherà alle donne muovere il paese verso il XXI se-

colo, sollevando l’Afghanistan dal buco nero della

arretratezza tribale e dalla società di clan.

Ma tutte le misure prese ed i risultati ottenuti ri-

schiano di essere vanificati11 con il disimpegno an-

corchè parziale delle forze della coalizione, come

viene già paventato da chi si è occupato attiva-

mente del processo di affrancamento della donna

in Afghanistan: In an op-ed for the Washington

Post that was published on Thursday, former first

lady Laura Bush warned that the hard-won achie-

vements of women and girls in Afghanistan over

the last 12 years are at risk of being reversed. She

noted that, just as the civilian death toll has ri-

sen dramatically over the past year, the death

rate for Afghan women and children rose by 38

percent during the same time period. While Bush

highlighted the efforts of female members in Af-

ghanistan’s parliament, the American University

11. Scrive ancora Baschiera ( Baschiera 2013 pag 195): Il problema in ambito islamico della educazione scolastica delle donne, accomuna Afghanistan e Pakistan. In ambedue i paesi, i talebani Pashtun vogliono con determinazione e decisione, talvolta crudele, eliminare le scuole per le ragazze islamiche…..omisssis….le donne afghane di tutte le età, stanno tentando di affrancarsi dalla costrizione in cui il credo islamico le ha rinserrate come in un cilicio, trasportato dal medioevo ai tempi moderni… Fonte: rickrozoff

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014166

of Afghanistan, non-governmental organizations,

and U.S. companies to increase opportunities for

women, she worried that “the message we are

sending to Afghan men, women and children is

that their lives are not worth our time or atten-

tion.” She implored readers to let Afghans know

that the United States will stand with them as

they continue their fight for freedom. (FPM Friday,

November 15, 2013).

Ed il problema si presenta sotto diversi aspetti e

con diverse sfaccettature, come la seguente testi-

monianza mostra: Reports of the deaths emerged

as women’s rights advocates began expressing

concern over the fates of Afghan female prisoners

once foreign troops withdraw from the country.

One report cites the case of Farina, who like most

Afghans goes by one name. Farina is serving a 20-

year sentence in Herat province for stabbing her

husband to death after he sold their three-year-

old daughter to support his drug habit. While the

first four years of her incarceration have been

relatively comfortable -- foreign aid donors have

ensured regular meals, heating, and healthcare

-- as the Italian Provincial Reconstruction Team,

which is the prison’s main benefactor, winds down

its operations, that could change. Advocates are

concerned about what will happen to these priso-

ners, as many Afghan attitudes towards women

have not changed, and the government’s limited

resources will likely go towards fighting the Tali-

ban instead. (FPM Friday, December 20, 2013).

Da alcune fonti poi si sostiene che la posizione

della donna nella società afgana sia già peggio-

rata nel 2013. Scrive FPM (Monday, January 6,

2014).

Violent crimes against women in Afghanistan

topped previously reported numbers to hit record

levels in 2013 and became increasingly brutal,

according to the Afghanistan Independent Hu-

man Rights Commission (Reuters). Sima Samar,

the chair of the commission, told Reuters that:

“The brutality of the cases is really bad. Cutting

the nose, lips, and ears. Committing public rape.

Mass rape... It’s against dignity, against humani-

ty.” Samar attributes the increase in crimes to a

culture of impunity and the impending departure

of international troops and aid workers, which

she believes will leave Afghan women more ex-

posed to attacks.

Conclusioni

Come ha scritto recentemente Adriana Zobrist

Galàl , (Zobrist 2012, p. 6): Despite the lessons

of history, the international community became

involved in a conflict from which an exit would

be hard to envisage and in which success would

be difficult to define, let alone to achieve. One of

the key elements contributing to this status is the

problematic nature of the goal of building a We-

stern-style state structure in the context of a tribal

society wracked by ongoing conflict.

Appare chiaro che nessun annuncio di vittoria o

di “missione compiuta”, alla Bush junior per inten-

derci12, potrà essere dato dagli USA e dai loro alle-

ati in Afganistan. Potrà forse qui essere applicato

il concetto di “vittoria sufficiente” di Yaakov Ami-

dror13, il cui significato potrebbe essere quello di

avere tolto ad Al Queda un sicuro santuario come

quello afgano da cui far partire i suoi attacchi

all’Occidente e di avere avviato una lenta moder-

nizzazione e parziale democratizzazione del paese.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

167

Gli analisti che si sono occupati del tema preve-

dono scenari futuri come:

1. Un precario equilibrio dinamico tra gli insur-

gents e le forze di sicurezza afgane, appoggiate

comunque dalla NATO, ove il potere centrale può

esplicare capacità di governance soltanto in alcu-

ne aree centrali, lasciando buona parte del paese

a forme di potere locale e periferico (non sempre

eversivo). (Claudio Bertolotti in Osservatorio Stra-

tegico del CEMiSS. Prospettive 2013).

2. Un paese che rimane povero, instabile, con

una persistenza con-

flittuale sia politica

che militare: tuttavia

è una situazione che

non dovrebbe portare

ad un collasso dello

Stato Afgano, becau-

se the centre of government in Kabul has been

reconstituted to the extent that it will manage

to hold together, place limits on the ability of the

insurgents to operate within the country and on

exterior actors who seek to exacerbate internal

instability. (Nicholas Redman (Editor), Toby Dod-

ge (2012) “Afghanistan to 2015 and Beyond” (The

Adelphi books) [Kindle Edition].

In ambedue i casi si tratta di previsioni sostanzial-

mente ottimistiche circa il raggiungimento quan-

tomeno di quella “vittoria sufficiente” di cui ho

parlato più sopra. Ed in effetti Redman e Dodge

concludono essi stessi Overall, the book argues

for a cautious but highly constrained optimism.

Tuttavia queste analisi sembrano non tenere suf-

ficientemente conto della stretta complementa-

rità dei due paesi esaminati in questo articolo,

Afganistan e Pakistan. Non è infatti senza rilievo

quanto affermato dal generale afgano Sher Mo-

hammad Karimi, e cioè che il conflitto interno af-

gano potrebbe essere risolto in poche settimane

se il Pakistan non offrisse nel suo territorio sicuri

santuari agli insurgents (vedi sopra). Ma il vero

problema è che, ammesso che esista nella lea-

dership pakistana una

ferma volontà di at-

tuare questo disegno,

sembra che il governo

pakistano non abbia

proprio la capacità

politico militare di

controllare i suoi territori confinanti con l’Afga-

nistan, quali il Nord Waziristan.

Appare quindi possibile che si consolidi in tali

territori e nelle adiacenti aree afgane un sorta

di ampia zona franca, priva di qualsiasi control-

lo governativo, nazionale o internazionale, zona

idonea a costituire un sicuro santuario alle nu-

merose sigle eversive operanti oggi nel mondo,

con particolare riguardo ovviamente a quelle di

matrice islamica.

Si tratta di una prospettiva che potrebbe mettere

in discussione quel principio di vittoria sufficien-

te sopra evocato, malgrado gli enormi sacrifici,

Appare chiaro che nessun annunciodi vittoria o di “missione compiuta”,

alla Bush junior per intenderci,potrà essere dato dagli USA e dai

loro alleati in Afghanistan

12. Il 1º maggio 2003 il presidente Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln (che aveva partecipato alle operazioni in Iraq e stava rientrando alla base) e vi tenne un discorso avendo alle spalle uno striscione che diceva Mission Accomplished. Nel suo discorso Bush proclamò la conclusione delle operazioni militari su larga scala in Iraq.13. Lo studioso israeliano Y. Amidror osserva che ‘The approach of the Western alliance toward limited counterinsurgency wars has been, on the whole, very negative. ... This monograph demonstrates that, contrary to popular belief, military forces can indeed defeat terrorism by adopting an alternative concept of victory, called “sufficient victory”.’ (Amidror, 2008: 3), dove “vittoria sufficiente” indica una situazione nella quale la parte debole del confronto asimmetrico, anche se non è stata completamente sconfitta, tuttavia è stata posta in condizioni di non raggiungere i propri obiettivi.

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014168

umani ed economici, sostenuti dai paesi della

coalizione dall’inizio del conflitto afgano ad oggi.

Ecco perché mi sento di concludere questo saggio

con le parole di Adriana Zobrist Galàl con le quali

ho iniziato questo paragrafo: Despite the lessons

of history, the international community became

involved in a conflict from which an exit would

be hard to envisage and in which success would

be difficult to define, let alone to achieve.

Giuseppe CaforioVicepresidente del “Centro Interuniversitario di studi storici militari”

Bibliographical References

• Amidror, Yaakov, (2008). “Winning Counterinsurgency

Wars: The Israeli Experience.” JCPA Strategic Perspecti-

ves, June, 23.

• Baschiera Simone (2013) Afghanistan, Pisa, ETS.

• Caforio Guseppe (2013) “La guerra asimmetrica tra te-

oria e realta’”, in American Legacy, edited by “Società

Italiana di Storia Militare”, Quaderno 2012- 2013: pp

637- 658

• Dalrymple William (2013)”Return of a King: The Battle

for Afghanistan,” Thursday, April 25, 2013, Women’s Na-

tional Democratic Club, VNDC Event Thursday, April 25,

2013Moham Ikhlaq

• Conflict transformation, peacebuilding and security,

2011 Workshop on Transforming Humiliation and Vio-

lent Conflict, Columbia University

• Zobrist Galàd Adriana, (2012) “The challenges and role

of structures in the reconstruction of Afghanistan”, in

Connections Vol. XI, No. 2, Spring 2012, pp5- 36

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

169

l recente scandalo che coinvolge

membri del governo turco a seguito di

intercettazioni illegali effettuate nien-

te meno che ai danni del ministro degli Affari

Esteri Davutoglu ci riporta indietro di almeno un

secolo. Non che di scandali ne siano mai mancati,

e si fanno oramai cose turche un po’ dovunque.

Ma è l’oggetto della conversazione intercettata

ad interessarci, e tralasceremo qui un’opinione

politica del fattaccio, e fingeremo di non averne

una che invece è maturata da tempo.

Si diceva dell’oggetto del contendere: la Turchia

considererà un attacco al suolo turco, e dunque

ad un paese NATO, ogni violazione della sovranità

turca sul luogo di sepoltura di Suleyman Shah.

Sin qui nulla da eccepire, salvo che Suleyman

Shah, che poi fu il nonno di Osman I, fondato-

re dell’Impero Ottomano, morì nel lontano 1236,

annegando sulle rive del fiume Eufrate. Sì, l’Eu-

frate della Bibbia e della Mezzaluna Fertile; desti-

no che nell’epoca precedente la grande Cementi-

di Giulio Prigioni e Luca Zanni

“E di cani e d’augelli orrido pasto lor salme abbandonò”

Omero, I’Iliade

Un’exclave turca in pieno territorio siriano: la tomba di Suleyman Shah

La Turchia considererà un attacco al suolo turco, e dunque ad un paese NATo, ogni violazione della sovranità turca sul luogo di sepoltura di Suleyman Shah

I

Polemos: lo scudo di Achille

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014170

ficazione e le teorie keynesiane sulla costruzione

di dighe e ponti capitò, per dire, anche a Federico

Il Barbarossa (quello della Lega Lombarda), che

morì, sempre annegato in un fiume, sempre in

Turchia, nel 1190.

Solo che la tomba di Suleyman Shah non si trova

più in Turchia, ma in Siria. Con il crollo della di-

nastia ottomana e il successivo trattato di Angora

(cioè di Ankara come divenne nota dopo Atatürk)

del 20 ottobre 1921, il Ministro Franklin-Bouillon

per la Francia (la Siria era sotto influenza francese)

e Youssuf Kemal Bey per la neonata “Turchia” si

accordarono proprio su questo punto: Articolo 9

“Le tombeau de Suleiman Chah, le grand-père du

Sultan Osman, fondateur de la dynastie ottomane

(tombeau connu sous le nom de Turc Mézari), situé

à Djaber-Kalessi restera, avec ses dépendances, la

propriété de la Turquie, qui pourra y maintenir des

gardiens et y hisser le drapeau turc”.

Parole sante verrebbe da dire, e così è a tutt’oggi; la

tomba, che fra le altre cose è anche stata spostata

agli inizi degli anni ’70 a causa di una diga (la stessa

tecnica di Abu Simbel… si ricordi cosa fa dire Lewis

Carroll ad Alice nel Paese delle Meraviglie… «I ricordi

non stanno mai fermi»...), è oggi una exclave turca in

pieno territorio siriano, occupa una superficie di cir-

ca ottomila metri quadri, ospita qualche soldato con

funzioni più che altro scenografiche, e vi sventola

la bandiera turca. Nè si deve pensare che sia l’unica

exclave simile esistente. La stessa Turchia ebbe per

un certo numero di anni una famosa exclave da-

nubiana, l’isola di Ada Kaleh, che divenne il rifugio

di contrabbandieri e pirati fino a che fu sommersa

(altra diga altro regalo) negli anni ’60.

E vi sono enclaves ed exclaves ovunque, dalla no-

stra Campione d’Italia (apparteneva alla diocesi di

Milano), Baarle Nassau tra Belgio e Olanda, Llivia

che è spagnola ma circondata interamente dalla

Francia, Ceuta e Melilla con le Plazas de Sovera-

nia (si riveda l’articolo del Centro Cipolla dal Cir-

colo Militare di Melilla), lo furono Tangeri e Ifni,

lo sono Busingen in Svizzera et cetera. Lo furono

Tranquebar (enclave danese in India, che nessuno

ricorda mai mentre si ricordano sempre in India

Pondichèry, Goa, Daman e Diu).

Vi sono poi exclaves de facto, il cui stato non è

realmente regolato, come il Sacrario Militare

Italiano ad El Alamein in Egitto, o la tomba di

Gustavo Adolfo di Svezia a Luetzen, nell’attuale

Sassonia (vi morì nel 1632, alla fine della guerra

dei Trent’Anni).

E chi potrebbe negare che, come il sito di Tiwinza,

di proprietà dell’Ecuador ma in territorio peru-

viano (vi perirono soldati ecuadoriani durante la

cosiddetta guerra del Cenepa e costituisce un im-

portante riferimento nazionale in Ecuador, tanto

da essere esplicitamente inserita nel trattato di

pace di Itamaraty del 1995, in cui l’Ecuador ri-

nunciò a considerarsi paese amazonico, pretesa

a cui aveva diritto proprio grazie a un piccolo ri-

gagnolo che si immetteva nell’idrografia del Rio

delle Amazzoni, il Cenepa appunto), così non ap-

partenga un po’ agli Stati Uniti anche Iwo Jima, o

Adua e l’Amba Alagi un po’ all’Italia, e Fashoda e

Dien Bien Phu un po’ alla Francia?

I morti si appropriano sempre del terreno in cui

sono sepolti:

If I should die, think only this of me:

That there’s some corner of a foreign field

That is for ever England. There shall be

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Polemos: lo scudo di Achille

171

In that rich earth a richer dust concealed;

A dust whom England bore, shaped, made aware

(Rupert Brooke)

Anzac Cove, nell’attuale Turchia, appartiene in

fondo all’Australia e alla Nuova Zelanda come la

tomba di Napoleone (che il Centro Cipolla ha avu-

to il privilegio di visitare sull’Isola di Sant’Elena)

appartiene alla Francia.

Applicare concetti del XIX secolo all’era di Inter-

net in fondo non ha più molto senso, e la pietà

verso i caduti e l’attaccamento a simboli nazionali

sarà sempre più forte di qualunque Cancelleria. La

Turchia fa bene a difendere la tomba di Suleyman

Shah, è in gioco il suo passato, e come Alice, non

deve scordare che il passato e la storia mutano

sempre, come mutiamo noi che ricordiamo.

Fu l’Eufrate a sommergere l’originaria tomba di

Suleyman Shah, ma fu la mano dell’uomo a de-

cretarne la fine. Si diede elettricità alla Siria e si

creò un lago artificiale, che esiste fino ai nostri

giorni indisturbato e tranquillo: il lago Assad.

Giulio PrigioniGià Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario d’Italia in Bielorussia e Lituania, Presidente Istituto “C.M. Cipolla” Luca ZanniCentro Studi “C.M. Cipolla”

172 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

he recent intervention, or rather a

disguised invasion, by Russia in the

former Ukrainian region of Crimea has

warned the EU Member States and led them to

reflect on whether they can carry on with cut-

ting their military capabilities without fearing the

consequences. In response to the global econom-

ic crisis, the European defence budget has fallen

from $200 billions in 2008 to $170 billions today.

Compared to the current occurrences which are

threatening Europe’s security, such financial cut

to the European defence budget appears at least

controversial and brought international analysts,

as well as some governments, to wonder whether

this defence-spending review is or not the best

way to save money and ensure security.

Under a rational point of view, the right response

to a reduced defence budget should be to deepen

the cooperation and responsibility among the

EU governments rather than keeping to protect

each national operational control and defence

Scenari &Prospettive

di Matteo Marsini

Who Needs the European Army?European military capabilities between international threats and national protection

Europe itself needs a common defence while the majority of its members do not. Since security cannot be anything but a subject of national exclusive jurisdiction, Great britain will not accept any Eu additional commitment

T

Scenari & Prospettive

173Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

industry. Europe can no longer afford to be ab-

sent and miss the chance to run a pivot role con-

cerning the international crisis which affects the

EU security or its interests and no less requires

a military involvement. Such logical approach

would eventually concentrate available funds on

a common defence project, avoiding both useless

duplications of effort and the development of

weaken separate national forces, while improving

the role of the European Union as a geopolitical

power in terms of credibility and concreteness.

As a result, this regional scenario, compared to

international changes such as the conflicts in

Syria, Mali and Ukraine, is persuading some Eu-

ropean governments to engage in a more serious

consideration of security as an issue in common.

The civil war which is afflicting Syria since the

first riots bursted in 2011, clearly showed the

inefficacy and unsuitability of the European

Union’s foreign policy. Together with the inter-

national inaction the EU weakness marked also

the failure outcome of the diplomatic peace talks

held in Geneva last January 22nd 2014.

On the other hand the crisis in Mali, tackled

thanks to the French unilateral military initia-

tive in January 2013 (Operation Serval), outlined

the need for Europe to improve its defence ar-

chitecture in terms of cooperation and strategy.

Such need, acknowledged in particular by France,

led to the defence summit of the EU Council

where President François Hollande called for an

operational permanent fund aimed to finance

the military commitment of European national

forces. The Council, held in Brussels on the 19th

and the 20th December 2013, first of all met the

scepticism of several Member States to cede their

operational control in conflicts to a European

command. The Council therefore did not reach

any significant step and responded feebly to any

particular request.

Illustrazione © M.Marsini

174 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

Among the most sceptic countries Great Britain

played a leading role, criticizing that «France has

decided for good reason to engage in Mali uni-

laterally», a British spokesman asserts, «nonethe-

less they now expect Europe to pay. It is not that

simple».

Moreover, during that same Council, the British

Prime Minister David Cameron confirmed that

«since security cannot be anything but a subject

of national exclusive jurisdiction, Great Britain will

not accept any EU additional commitment neither

to help any European national force engaged in a

mission of European interest, nor to promote the

development of any common defence because»

continues Mr. Cameron «a shared defence system

already exists and it is called NATO».

The United Kingdom, which is together with

France one of the two big military powers in Eu-

rope, has nonetheless cut its defence budget by

8% since 2010 and foresees to cut even more by

the end of 2015. In order to counterbalance such

financial loss, the government of London signed

on the 2nd November 2010 a bilateral agreement

with Paris which sets out a 50-year military co-

operation. The so called Lancaster House Treaties

between Britain and France, ensure defence and

security cooperation as well as an exchange of

operational matters and a collaboration on the

technology associated with nuclear energy in

support of both countries’ independent nuclear

deterrent capabilities.

It has to be stressed that despite the Lancaster

House Treaties are bilateral agreements between

two EU Member States, in line with the British

perspective of security as a national exclusive ju-

risdiction, they neither have any formal link with

the European Union’s Common Security and De-

Illustrazione © M.Marsini

175Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

fence Policy, nor they do use the separate Lisbon

Treaty’s Permanent Structured Cooperation facil-

ity or do involve the European Defence Agency.

The UK-France cooperation, out of any European

framework, does not help the EU to develop its

defence architecture, rather it marks the distance

between the single national military care and

the European unsuitability to do the same. Since

EU States invest little in military research and

development, cooperation among EU Members

becomes even more essential. Nonetheless such

collaboration must be placed into a real com-

mon frame or, like the Lancaster House Treaties

eventually do, it will end to protect the national

industries leaving Europe with a redundant and

overpriced production of equipment and a pre-

dictable loss of competitiveness both on regional

and international markets.

It is therefore not just a matter of cooperation,

the European Union needs a defence strategy to

share too. Here comes the problem: it appears at

least meaningless to talk about a common de-

fence without a shared strategy and at the same

time it looks useless to believe that there can be

a real European foreign policy without a com-

mon defence. The EU Member States’ lack of will

and capability to set aside their own priorities in

favour of a general involvement in the field of

defence marks a clear conflict of interests which

stands out in terms of inaction while Europe

tries to face the growing instability on the EU’s

doorstep. That is what it is happening once more

with the Ukrainian issue these weeks where, after

more than a month of pointless sanctions against

Russia, the EU finds itself again powerless and

sadly gets prepared to witness to another failure

of a peace talk. That eventually might be the case

of the Geneva agreement aimed to calm Ukraine

tensions signed last 17th April 2014 by EU, US,

Russia and Ukraine.

Who does really need the European army? Given

such scenario, a unified EU security policy seems

as far as it always has, relegating the European

Union main contribution to global security and

stability only in terms of training and general

support. It therefore appears that Europe itself

needs a common defence while the majority of

its members do not. As a result there will be no

European army as long as the main EU powers do

not engage in. Britain will definitely not.

Matteo Marsini London, UKEsperto di Relazioni Internazionali e Diritto Internazionale

176 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

risultati definitivi ancora non ci sono,

in alcuni distretti – a causa di irrego-

larità riscontrate – si dovrà votare di

nuovo a giugno: ma le elezioni amministrative del

30 maggio in Turchia hanno un chiaro vincitore,

il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) –

guidato dal premier Recep Tayyip Erdogan– che

ha conquistato il 45% circa dei consensi e qua-

si metà dei comuni (a Istanbul la vittoria è stata

nettissima, ad Ankara di misura e contestata con

accuse di brogli); gli avversari: il Chp kemalista

si è fermato al 28%, il Mhp nazionalista è salito

al 16%, il Bdp/Hdp filo curdo ha ottenuto il 6%.

L’affluenza è stata poi molto elevata anche per gli

standard turchi, pari all’87% degli aventi diritto.

L’Akp ed Erdogan hanno vinto, ma i danni subiti

durante la campagna elettorale dalle istituzioni

sono micidiali e vanno riparati in fretta: lo scan-

dalo corruzione del 17 dicembre, con le dimissioni

di 4 ministri; la guerra aperta con la confraterni-

di Giuseppe Mancini

Elezioni in Turchia: chi ha vinto tra politica ed economia

Le elezioni amministrative del 30 maggio in Turchia hanno un chiaro vincitore, il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) guidato dal premier RecepTayyip Erdoğan che ha conquistato il 45% circa dei consensi e quasi metà dei comuni

I

177Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

ta islamica di Fehtullah Gülen, ex alleati politi-

ci accusati di aver creato uno “stato parallelo”;

una minacciosa strategia di delegittimazione,

attraverso la diffusione online di registrazioni

compromettenti, di cui sarebbero responsabili

proprio i “paralelçi” (guarda caso, dopo le ele-

zioni il flusso si è autonomamente bloccato); la

risposta durissima – riforma della magistratura

e dei servizi segreti, legge restrittiva su Internet,

blocco temporaneo di Twitter e di Youtube – che

ha fatto gridare alla regressione democratica le

opposizioni e gli osservatori occidentali.

La strategia del maggior partito di opposizione, il

Chp kemalista, era quella di conquistare Istanbul

e Ankara con un blitz – anche grazie a candidati

esterni, ma popolari – e provocare l’implosione

dell’Akp: ma si è rivelata fallimentare; i motivi

sono essenzialmente due: una campagna elettora-

le tutta negativa, condotta attaccando incessan-

temente Erdogan; la mancanza di progettualità

alternative in città – come Istanbul, soprattutto –

governate nel complesso con buoni risultati. Molti

slogan, pochi rendering: un’arte, quella della vi-

deo-animazione per presentare arditi progetti in-

frastrutturali e urbanistici, su cui l’Akp ha costruito

in parte le sue fortune, oltre che sulla competenza

manageriale (e non è un caso se tra i candidati del

partito di maggioranza il gruppo più cospicuo è

costituito proprio da ingegneri). Ma c’è un altro

dato che deve far riflettere: la quasi totale assenza

del Chp nell’est e nel sud-est a maggioranza cur-

da, in cui raccoglie a malapena l’1-2%; e invece, è

proprio lo storico negoziato di pace con Abdullah

Öcalan e il Pkk che sembra aver dato un bonus di

voti all’Akp: che non è riuscito a strappare al Bdp

filo-curdo le principali città, ma che ha ottenuto

percentuali dappertutto molto elevate. Insomma,

il partito al potere dal 2002 è l’unico autentica-

mente nazionale.

Nel suo discorso vittorioso “dal balcone” a mez-

zanotte – dal balcone della sede del partito, ad

TUrChIA AL VOTO

178 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

Ankara – il premier è apparso raggiante e sol-

levato: comunque provato da oltre un mese in-

tensissimo fatto di più comizi quotidiani, tanto

da perdere completamente la voce negli ultimi

giorni prima del voto; rinvigorito, ha promesso

ancora una volta rappresaglie contro “i nemici” –

i gülenisti, cioè – pronti a mettere a repentaglio

la sicurezza nazionale pur di provocarne la sua

fine politica. Nella sua interpretazione, è la “nuo-

va Turchia” quella che ha trionfato nelle urne: e a

uscire sconfitte sono le élites politiche, sociali ed

economiche che hanno guidato il paese fino al

2002 e che con colpi bassi e senza scrupoli hanno

tentato di recuperare il potere. Le elezioni del 30

marzo sono però solo il primo passo di un trit-

tico ravvicinato: si tornerà a votare il 10 agosto

per eleggere a suffragio universale il presidente

della Repubblica, poi nel 2015 per le politiche.

Cos’accadrà? Ne abbiamo parlato con due illustri

commentatori, entrambi editorialisti del quoti-

diano Today’s Zaman (vicino al movimento güle-

nista, ma aperto a una pluralità di voci): Seyfet-

tin Gürsel, economista e direttore del Centro per

le ricerche economiche e sociali dell’università

Bahçesehir (Betam); Etyen Mahçupyan, giornali-

sta e già direttore del settimanale turco-armeno

Agos dopo l’assassinio di Hrant Dink.

Per il professor Gürsel le ragioni del successo net-

to dell’Akp vanno ricercate essenzialmente nel

buon andamento dell’economia (+ 4% anche nel

2013): “nell’ultimo decennio c’è stato ad esempio

un grande miglioramento nelle condizioni delle

fasce più deboli della popolazione sia in termini

di reddito pro capite – che dal 2002 è triplicato

– sia di servizi pubblici”. Sul piano strettamente

politico, Erdogan ha saputo fondere il centro de-

stra e i conservatori d’ispirazione moderata in un

progetto comune: attingendo a piene mani da

un serbatoio che ammonta a 2/3 dell’elettorato.

La principale opposizione kemalista, inoltre, si è

dimostrata debole soprattutto perché divisa: “il

Il Premier turco Erdogan

179Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

Chp è un partito schizofrenico con una doppia

identità, al quale la convivenza forzata tra ultra-

laici e social-democratici impedisce ad esempio

di essere chiaro sui temi che riguardano le liber-

tà individuali o i rapporti con le minoranze reli-

giose ed etniche”; se non avviene una scissione,

secondo Gürsel, è solo perché i due partiti che

ne risulterebbero sarebbero ancor più penalizzati

dall’attuale legge elettorale.

L’analisi di Mahçupyan è sostanzialmente simile,

è anch’essa basata su elementi economici e po-

litici (di breve come di lungo periodo): “l’Akp ha

vinto le elezioni del 30 maggio perché governa

bene, perché l’economia continua a crescere,

perché l’opposizione si è dimostrata ancora una

volta incapace di proporre una visione alterna-

tiva, perché ha saputo interpretare al meglio la

radicale trasformazione sociologica iniziata negli

anni ‘90”. Il merito principale di Erdogan in campo

economico è quello di “non aver mai preso deci-

sioni populiste e di fidarsi di un gruppo di tecnici

guidato dal vice-premier Ali Babacan”: perché “sa

bene che decisioni populiste avrebbero effetti de-

leteri sul budget provocando l’innalzamento dei

tassi d’interesse, mentre è stata l’invidiabile disci-

plina fiscale (debito pubblico portato al 36%) che

ha consentito di ridurre la spesa per interesse e

di destinare cospicui fondi ai programmi sociali”.

Da un punto di vista politico, l’Akp può invece

trarre beneficio da un duplice effetto della glo-

balizzazione che ha ampliato significativamente

il proprio potenziale bacino elettorale “modera-

to”: in primo luogo, la nascita di una classe media

conservatrice d’ispirazione islamica – il tessuto di

piccole e medie imprese chiamate “tigri anatoli-

che – che ha rigettato la posizione subordinata

imposta dalle élites kemaliste; inoltre, la risco-

perta della religiosità da parte di settori consi-

derati secolari (“la religione, in Turchia, sta ten-

denzialmente diventando un fenomeno sempre

più individuale”). Inoltre, Erdogan non smette di

infondere “sangue fresco” nel partito: si rivolge ai

giovani, li coinvolge in prima persona con candi-

dature e posti di responsabilità (è di grande aiuto

in questo senso il limite di 3 mandati consecutivi

per i parlamentari, deciso autonomamente dal

partito).

Nonostante l’affermazione chiarissima, il partito

del premier ha però perso il 5% rispetto alle po-

litiche del 2011: il prezzo pagato per lo scanda-

lo corruzione. Secondo Seyfettin Gürsel, questo

calo ha fatto saltare la strategia dell’Akp per le

prossime due tornate elettorali: “Erdogan nuovo

presidente, elezioni politiche anticipate, ampia

maggioranza di seggi per approvare la riforma in

senso presidenziale osteggiata in questa legisla-

zione dalle opposizioni”. L’attuale primo ministro

rimane comunque il grandissimo favorito: “è da

escludere che l’attuale presidente Abdullah Gül

possa proporsi come rivale, candidati delle oppo-

sizioni di uguale carisma non ce ne sono, in un

eventuale secondo turno Erdogan potrà benefi-

ciare della desistenza di almeno parte dell’elet-

torato curdo e nazionalista”. Servirà in ogni caso

un passaggio ulteriore per realizzare i piani: la

riforma della legge elettorale, uninominale all’in-

glese o collegi ristretti a cinque deputati così dare

all’Akp ( basterebbero rispettivamente il 41/42% o

il 45% dei voti) la maggioranza qualificata in seg-

gi richiesta per approvare da soli una nuova co-

stituzione, in sostituzione di quella autoritaria del

1982; ma stranamente, negli ultimi giorni sembra

180 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

prevalere un orientamento diverso: quello di la-

sciare invariata la legge elettorale (proporzionale

di collegio, sbarramento nazionale al 10%). Gli

scenari rimangono invece aperti su chi sostituirà

Erdogan come primo ministro e come presidente

del partito: verranno comunque scelte personali-

tà in grado di lavorare con lui in armonia così da

preservare la stabilità, si fanno aanche i nomi del

vice-premier Babacan o del ministro degli esteri

Ahmet Davutoglu; superata questa fase delicata,

con quattro anni senza elezioni dopo quelle del

2015 l’esecutivo si dedicherà con ogni probabilità

a realizzare nuove riforme strutturali: sia in cam-

po economico, sia in campo istituzionale.

Per Mahçupyan, è poi fondamentale avere ben

presente il contesto in cui si trova la Turchia:

quello di “una transizione da un sistema anti-de-

mocratico e autoritario a una democrazia poten-

ziale”. Ritiene infatti ingenerose e fattualmente

sbagliate le critiche rivolte a Erdogan, conside-

rato un autocrate e un dittatore; in realtà, “nella

storia della Repubblica turca la democrazia e lo

stato di diritto non sono mai esistiti, le poche fasi

di apertura democratica sono state soffocate da

colpi di stato – nel 1960, 1971, 1980, 1997 – e

dall’imposizione di un regime questo sì autori-

tario”; ancora nel 2007, le forze armate hanno

preso esplicitamente posizione contro l’elezione

di Gül, attraverso un memorandum diffuso su In-

ternet. Quella dell’Akp è invece “una rivoluzione

estesa nel tempo, l’istituzione di una nuova Re-

pubblica – sicuramente più democratica di quella

esistente, come provano le aperture verso i curdi

e gli armeni – lasciando intatte le strutture stata-

li”. In questa fase, però, l’Akp è sotto attacco: e per

questo motivo “ha cercato i voti soprattutto della

sua base elettorale, prendendo delle contromisu-

re comunque temporanee” (e continueranno le

azioni contro i gülenisti con posizioni di respon-

sabilità all’interno della burocrazia); ma già prima

delle elezioni presidenziale verranno annunciati

nuovi “pacchetti di democratizzazione”, per ri-

prendere il percorso riformista che aveva fatto

della Turchia di Erdogan – candidata a entrare

nell’Unione europea – un esempio da seguire per

tutto la regione: crescita economica, progresso,

democrazia, libertà.

Giuseppe ManciniCorrispondente da Istanbulhttp://istanbulavrupa.wordpress.com/

181Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

l Brasile rallenta. Non bastano i Cam-

pionati mondiale di calcio o le Olimpiadi

per garantire la crescita di un’economia

che aveva fatto sperare investitori ed imprenditori

di tutto il mondo. Troppe promesse mancate, troppi

errori strategici, troppo pressapochismo nella rea-

lizzazione dei progetti. E troppi ritardi. L’immagine,

nell’economia del XXI secolo, conta molto, quasi

quanto la sostanza. A volte persino di più.

E l’immagine di inefficienza non è l’ideale per far

ripartire un’economia che - come altre dei Paesi

Bric o Brics - si è trovata ad affrontare rallenta-

menti imprevisti. Se il Pil del 2010 era cresciuto

del 7,5%, già l’anno seguente la crescita era stata

del 2,79%. Per scendere allo 0,9% nel 2012 e risa-

lire all’1,9% lo scorso anno. Trainata anche dalla

costruzione delle infrastrutture per il doppio ap-

puntamento sportivo sulla scena mondiale.

Dunque una crescita in parte “drogata” da even-

ti non ripetibili. Si pensava che, comunque, i

massicci investimenti per il calcio e le Olimpiadi

di Alessandro Grandi

Il Brasile riparte dal Nord Est

Mondiali e olimpiadi non trainano la crescita del Paese. Ma nello Stato di fortaleza il Pil cresce e si insediano nuove aziende. Arrivano i coreani, si attendono gli italiani

I

182 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

avrebbero rappresentato un traino formidabi-

le per l’economia. Non è stato così. Polemiche,

scontri, incidenti sul lavoro, slittamenti dei tempi.

L’occupazione non ha avuto il sussulto sperato.

Ma non tutto il grande Paese sudamericano mar-

cia alla stessa velocità. Il Nord Est, ad esempio,

cresce molto di più. Lo Stato di Cearà, che ha

Fortaleza come capitale, ha visto il proprio Pil

aumentare del 7,9% nel 2010, del 6,1% nel 2011,

del 3,65% l’anno seguente e del 3,6% nel 2013.

Dunque un incremento costantemente superiore

a quello medio del Brasile.

Legato indubbiamente al turismo, che ha trai-

nato anche in questo caso un’economia delle

costruzioni per far fronte ad una forte richie-

sta di abitazioni e di strutture di divertimento,

commerciali, per l’accoglienza, per la cultura.

Ma, parallelamente, si è rafforzato il settore in-

dustriale. E continuerà a rafforzarsi, cercando di

conciliare il turismo con la produzione manifat-

turiera ed il commercio internazionale.

Per questo, ad esempio, si è deciso di trasforma-

re il porto commerciale di Fortaleza in uno sca-

lo turistico, spostando il porto per le merci a 35

km, a Pecém. Lo scorso anno lo scalo ha accolto

6 milioni di tonnellate di merci, ma la crescita è

nell’ordine del 25-30% all’anno e Pecém dovreb-

be diventare il terzo o forse il secondo scalo ma-

rittimo dell’intero Brasile (attualmente è in setti-

ma posizione).

Anche perché, alle spalle del porto, si sta svilup-

pando la Zpe, la zona franca destinata ad acco-

gliere grandi e medie industrie. I coreani sono

già arrivati, insediando un impianto siderurgico

grande il doppio rispetto all’Ilva di Taranto. A re-

gime occuperà 25mila operai brasiliani e 5mila

tecnici coreani. Per questo gli investitori coreani

stanno anche predisponendo abitazioni e scuo-

le per accogliere non solo il personale in arrivo

dall’Asia, ma anche le famiglie.

Sempre nella Zpe verrà realizzata la raffineria di

Petrobras, destinata a diventare la maggiore del

Brasile. Ma la Zpe ha un vincolo: almeno l’80%

del fatturato deve essere legato all’export (an-

Le proteste scoppiate a Rio e nel resto del Brasile, contro l’aumento dei prezzi per pagare le infrastrutture per il mondiale FIFA 2014.

183Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Scenari & Prospettive

che se si discute se limitarlo al 60%). Un limite

che appare in contrasto proprio con la situazione

economica e sociale dello Stato e del Nord Est in

generale.

Qui, infatti, si sta sviluppando una classe media

sempre più numerosa e sempre più alla ricerca di

prodotti di maggior qualità che soddisfino le nuo-

ve esigenze e rispondano anche al desiderio di evi-

denziare il nuovo status. Al momento, però, la gran

parte delle merci destinate al ceto medio arrivano

dal sud del Paese o, direttamente, dall’estero.

Per questo il gruppo italiano Edilmedia ha in-

vestito su un’area adiacente alla Zpe ma non

soggetta ai vincoli di quota di export. Dunque

si potrà andare a produrre, nel nuovo distretto

industriale di Croatà, anche e soprattutto per il

mercato interno.

Ma il distretto sarà solo in piccola parte destinato

alle industrie. A fianco, infatti, sorgeranno aree

verdi, edifici amministrativi ed aree residenziali

di diverso tipo. Da un lato, infatti, ci saranno gli

alloggi di maggior pregio (e costo), destinati alla

fascia più alta dei lavoratori, dai manager ai tec-

nici qualificati, in arrivo dal Brasile o dall’estero.

Con rispettive famiglie.

Altre abitazioni saranno destinate a lavoratori

con salari inferiori - gli operai non qualificati,

nella zona, costano all’azienda 500-550 euro lor-

di al mese - ed una terza area ospiterà le case

del progetto “Minha casa, minha vida”, con mille

appartamenti di edilizia sociale. In Brasile, infatti,

è stato stimato un deficit di 10 milioni di abita-

zioni ed è stato avviato un programma per favo-

rire l’insediamento di famiglie con agevolazione

al credito (mutui intorno al 4% rispetto al tasso

normale del 10-11%) per chi ha salari “decorosi”

mentre chi guadagna di meno potrà ottenere un

intervento a fondo perduto sino all’80% del valo-

re dell’abitazione.

Alessandro GrandiStorico, Collaboratore de “Il Nodo di Gordio”, fotografo di viaggio

Una vista di Fortaleza, capitale dello Stato di Cearà.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014184

Voci di carta: le interviste di Gordio

inizio della crisi finanziaria è datato al

2007. L’anno successivo, 2008, si ma-

nifestò il dato sommerso della vera e

propria crisi economica globale. Il malessere non

riguarda solo la finanza, ma l’economia in quan-

to tale: il lavoro, i consumi, le reti di protezione

sociale. Le maggiori economie (G7) entrano pro-

gressivamente in recessione. Uno stato patologi-

co che ha coinvolto, non solo ma in modo parti-

colare l’Occidente, il suo pensiero e il suo ethos.

Trascorsi sei anni, la crisi perdura e non consente

ancora di individuare quale sarà il nuovo pun-

to d’equilibrio dell’economia globale. Tuttavia è

all’interno di questo scenario che vanno collocate

le sempre più violente tensioni sul fronte geopo-

litico.

Qui è possibile trovare le radici delle turbolenze

esplose nel mondo arabo e islamico, la guer-

ra civile in Siria e, più recentemente, quella che

investe l’Ucraina. Anche i conflitti seguiti all’11

settembre possono essere considerati un’antici-

Voci di carta:le interviste di Gordio

di Gian Guido Folloni

Tra conflitti regionali e crisi globale

Trascorsi sei anni, la crisi perdura e non consente ancora di individuare quale sarà il nuovo punto d’equilibrio dell’economia globale. Tuttavia è all’interno di questo scenario che vanno collocate le sempre più violente tensioni sul fronte geopolitico

L’

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 185

Voci di carta: le interviste di Gordio

Metà della popolazione del pianeta vive in Asia e fa perno su due macro nazioni, la Cina e l’India, che da sole ne rappresentano il 40%. A questo si aggiunge che proprio lì si concentra ormai gran parte della produzione dei beni commerciati a livello mondiale

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014186

Voci di carta: le interviste di Gordio

pazione di ciò che avrebbe poi seguito il mani-

festarsi della vera e propria crisi internazionale.

Le situazioni sono diverse da luogo a luogo per

varietà di situazioni culturali, sociali, religiose e

politiche. Ma uscendo dalle contingenze è possi-

bile gettare uno sguardo complessivo sull’inten-

sificarsi, per numero e gravità, delle situazioni di

conflitto. Collocare quelli che da vicino possono

essere definiti come scontri regionali in un più

generale stato di tensione globale: una causa

profonda che ha radice non nei singoli luoghi ma

nel disequilibrio globale. Senza superare la quale

scontri, tensioni e conflitti sono destinati a ripro-

dursi e a intensificarsi.

Possiamo indicare con il termine pressione asia-

tica il fattore principale che deve assolutamente

essere considerato. Vale a dire la forte crescita,

tanto assoluta quanto in termini relativi rispetto

al resto del mondo, di questo vastissimo conti-

nente: cioè il suo straordinario sviluppo.

Tutti gli indicatori rilevano il cambiamento in

atto, e la conseguente tensione che esso porta

con sé. In primo luogo c’è il dato demografico.

Metà della popolazione del pianeta vive in Asia e

fa perno su due macro nazioni, la Cina e l’India,

che da sole ne rappresentano il 40%. A questo si

aggiunge che proprio lì si concentra ormai gran

parte della produzione dei beni commerciati a

livello mondiale. Proprio perché Cina, in primis,

e India sono divenute le “fabbriche del mondo”,

esse attraggono a se quantità crescenti di risorse,

sia energetiche sia di materie prime. La disloca-

zione della produzione dai paesi ad alto sviluppo

e costo del lavoro alle regioni asiatiche ha come

conseguenza lo spostamento del baricentro della

produzione di ricchezza reale, ma anche dell’a-

rea dei consumi: se quello pro capite è ancora

più basso (nordamericani ed europei sono larga-

mente in testa), il mercato cinese cresce vertigi-

nosamente. Sia perché cresce il tenore medio di

vita (soprattutto sulla costa del Pacifico) sia per il

numero degli abitanti.

Vista sulla stazione centrale di Pechino

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 187

Voci di carta: le interviste di Gordio

Tutto questo rende evidente che la fotografia del

mondo è cambiata. Non prendere atto dei muta-

ti pesi economici, demografici, sociali e pertanto

politici e immaginare una nuova e coerente “go-

vernance” economico-finanziaria e dei problemi

globali (energia, risorse, ambiente, sicurezza) si-

gnifica lasciare campo a nuovi stati di tensione.

Oppure operare per la restaurazione il ritorno a

vecchie logiche di contrapposizione che dopo il

1989 parevano accantonate.

I conflitti, le inquietudini, la stessa crisi globale

portano a una sorta

di bivio. Da una par-

te l’accettazione e la

costruzione del nuovo

equilibrio e della sua

governance, dall’altra

il ritorno a una stagio-

ne simile a quella nota come guerra fredda.

La prima via esige che le vecchie potenze rico-

noscano spazio e ruolo a quelle cosiddette emer-

genti, in realtà già avanzate a protagoniste di

prima grandezza. La presa d’atto passa inevita-

bilmente da un bilanciamento dei tenori di vita:

meno abbondanza a Occidente e più benessere

a popolazioni un tempo sottosviluppate. E’ una

dinamica che la crisi ha già messo in movimento,

ma accettarla non è semplice.

La seconda sembra poter prolungare nel tempo

i vantaggi accumulati a Occidente nel XX seco-

lo, tuttavia non più compatibili con la realtà del

secolo nuovo. In questa prospettiva maturano i

conflitti. Non a caso essi si collocano, come av-

veniva prima della caduta del muro di Berlino, in

un asse che vede le Nazioni europee da una parte

e Mosca e l’Asia tutta dall’altra. Questa linea di

faglia lungo l’asse Est – Ovest, scende al Medi-

terraneo, abbraccia il Medio Oriente, la regione

del Golfo persico e isola, a Sud l’intero Continente

africano.

Tra l’altro, questa fascia abbraccia la più impor-

tante zona petrolifera del mondo: vero e proprio

bacino di rifornimento delle maggiori economie

industriali.

O questa linea diventa lo spazio per costruire il

nuovo equilibrio e la nuova governance, o il vec-

chio muro risorgerà, solo di poco spostato più a

Est, per meglio cingere le tigri asiatiche e il risve-

glio della Russia.

Dopo la seconda

guerra del Golfo, inu-

tile e inconcludente

per la pacificazione

della regione, dopo

quella dell’Afghani-

stan, infinita e altrettanto senza sbocco, nell’arco

dei due lustri abbiamo assistito alla catena di ri-

volte frettolosamente ed erroneamente definite

“primavere arabe”. Tutte sono state caratterizzate,

pur con differenti motivazioni d’origine, da ini-

ziali tumulti di piazza; hanno avuto il supporto

di potenze straniere, un forte sostegno mediati-

co e di armamenti. Queste rivolte hanno portato

al cambio dei governi, ma solo in Tunisia e solo

dopo anni s’intravvede uno sbocco verso una pur

precaria stabilità. Ma né in Egitto e tantomeno

in Libia nessuno parla più di primavera e di de-

mocrazia.

Interessante è osservare che le rivolte hanno in-

vestito tutte e solo le repubbliche sorte al tempo

del panarabismo socialista. Sotto la spinta delle

cosiddette Primavere quelle nazioni sono passate

dalla stabilità garantita da forme repubblicane

autoritarie all’instabilità segnata dall’emergere

I vantaggi accumulati a Occidente nel XX secolo non sono più compatibili con

la realtà del secolo nuovo. In questa prospettiva maturano i conflitti

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014188

Voci di carta: le interviste di Gordio

del fondamentalismo islamico e da estremismi di

matrice sunnita. Si è invertita la dinamica tesa

a separare religione e politica. I vettori di riferi-

mento un tempo volti verso l’area del socialismo

e alla laicità occidentale si sono riorientati verso

le monarchie della penisola arabica.

In ogni caso la costante pare essere l’instabilità.

Anche il pilastro saudita pare oggi meno collo-

cato nella stabilità di stato e d’alleanze che l’ha

caratterizzato per molti decenni. Probabilmente

anche per effetto della politica d’affrancamento

dalla dipendenza in campo energetico lanciata

dal presidente Obama.

Gli Stati Uniti hanno compiuto, al riguardo, scelte

radicali. Oggi l’estrazione degli idrocarburi dagli

scisti bituminosi consente loro di fare a meno del

grande alleato arabo, sul quale gravano, in ogni

caso, anche le diffidenze sorte a seguito dell’11

settembre. Così emiri, sceicchi e regnanti sulla

sponda occidentale del Golfo cercano altrove

clienti e relazioni.

In questo contesto, la mai sanata, e forse insa-

nabile ferita che divide arabi e persiani, sunniti

e sciiti, trova ulteriore alimento nella decisione

degli USA di indirizzare in senso più positivo le

relazioni con l’Iran, dopo il cambio di presidenza

a Teheran. Il fatto è in sé apprezzabile. Riporte-

rà i siti nucleari sotto le verifiche degli ispettori

dell’AIEA. Ridà all’Iran il ruolo di potenza regio-

nale, ma rende più inquieto il mondo sunnita che

vive sull’altra sponda del Golfo.

Finisce la stagione politica dell’Asse del male e del

Grande Satana. Cambiano le complesse geome-

trie di Golfo e Medio Oriente. Ma anche in questo

caso l’instabilità non si riduce ma aumenta.

In Siria la guerra civile si è accesa sull’onda delle

primavere arabe. Il regime di Damasco è, infat-

ti, l’ultimo residuo del panarabismo, del quale il

padre dell’attuale presidente era cofondatore. Tra

i rivoltosi che combattono il giovane Assad e la

parte siriana a lui fedele ci sono anche fonda-

mentalisti e miliziani arrivati da Tripoli e dal Cai-

La guerra in Siria - Fonte: www.openworldblog.com

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 189

Voci di carta: le interviste di Gordio

ro. Il flusso di kalashnikov, di esplosivi e d’armi in

genere che alimentò gli insorti di Bengasi e Misu-

rata ha preso a scorrere verso Aleppo e Damasco,

nelle zone controllate dai ribelli. La guerra siriana,

i milioni di profughi che ingolfano i campi in ter-

ritorio curdo, in Iraq, Turchia e Iran sono elementi

che ribollono nel vaso di Pandora apertosi a est

del Mediterraneo.

Tutta questa instabilità – che muove da Nord a

Sud, dalle Repubbliche dell’Asia centrale fino al

Golfo, sfiora e contamina la regione del Caucaso,

le nazioni del Caspio e del Mar Nero, si estende al

nord dell’Africa con propaggini che s’irradiano a

ovest anche a sud del Sahara – ritarda o addirit-

tura finisce per vanificare i tentativi di creare un

asse di equilibrio euroasiatico. Invece di una nuo-

va Via della Seta pare essere in tessitura il ritorno

alla guerra fredda.

Uno dei punti chiave è quale soluzione dare alla

sempre più evidente insostenibilità dei vecchi ac-

cordi di Breton Wood. Altre economie, altre va-

lute, altri equilibri geo-economici e geo-politici

esigerebbero un concorde ridisegno di quelle re-

gole. Ma finora nessuno pare disposto ad aprire

questo tavolo: il primo e forse il più importante

per la transizione non conflittuale verso i nuovi

equilibri. Da una parte il dollaro resiste all’idea

di cedere la sua signoria assoluta a un “paniere”

di valute tra loro bilanciate. Dall’altra le nazioni

emergenti, BRICS in testa, si stanno organizzando

per muoversi fuori dal suo dominio.

L’Europa non avendo completato il suo percorso

politico resta un vasto e ricco mercato ma non è

diventato un player nel mondo in cambiamen-

to. Ha la moneta, ma non ha un governo. Non

ha un esercito e non è potenza. Le gelosie na-

zionali, ombra inquietante di vecchi nazionalismi,

resistono. Dopo Breton Wood l’Europa è un altro

punto chiave. Senza l’Europa, come si è visto nella

crisi dell’Ucraina, è difficile sottrarsi alle logiche

della guerra fredda. Chi non amò quella stagione

dovrebbe lavorare a costruirla davvero. Anche se

il tempo si è fatto breve.

Gian Guido FolloniPresidente di ISIAMED (Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo), già Ministro per i Rapporti con il Parlamento

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014190

Voci di carta: le interviste di Gordio

l professore, il presidente della Com-

missione Europea, il due volte presi-

dente del Consiglio dei ministri dell’I-

talia e, oggi, il delegato delle Nazioni Unite per

l’Africa: Romano Prodi è statista a 360 gradi. Uno

dei pochi italiani, forse il solo, che può essere

considerato tale. Ma il provincialismo della politi-

ca italiana non riesce a mettere a valore la stima,

il prestigio, l’autorevolezza e la competenza che il

mondo gli riconosce.

Trovarlo al telefono è stato semplice, perché è

persona che non alza barriere a chi vuole rag-

giungerlo. Fissare il momento dell’intervista è

stato, al contrario, una difficile partita. L’Africa, la

Cina, la Russia, le Repubbliche dell’Asia centrale e

ovviamente, oltre Atlantico, le Americhe: il pro-

fessore è globe trotter. Bisogna pazientare, ma la

cordialità dell’accoglienza ripaga.

Non parleremo d’Italia. Non di Europa. Mettendo

il registratore sul tavolo sappiamo che l’incarico

dell’ONU di cui oggi è titolare è tra i più gravosi.

Gian Guido Folloni incontra Romano Prodi*

Prodi: il male oscuro dell’Africa si può battere

Le “primavere” fallite. Il fondamen-talismo. La pressione dei cinesi. La fragile politica dell’Europa e la quasi assenza dell’I-talia. Il Sahel, la fame, le guerre intestine. una proposta: offrire cooperazione inter-nazionale costruendo infrastrutture e ospe-dali su priorità fissate dall’oNu e realizzate sotto controllo della banca Africana

I

* “Il Nodo di Gordio” ringrazia la rivista “Contromano” e il suo Direttore responsabile Gian Guido Folloni per aver concesso la pubblicazione di questa intervista a Romano Prodi.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 191

Voci di carta: le interviste di Gordio

Nel mondo che cambia, l’Africa è turbolenta e in-

quieta. È anche un enigma: ricca di ogni risorsa, è

però rimasta la regione meno sviluppata.

Partiamo da un dato: nel passaggio dal G7 al G20 tutti i continenti sono ampiamente rappresentati nel nuovo Club dei potenti del mondo. Ma l’Africa vi partecipa con una sola nazione: il Sudafrica. Quale male oscuro av-volge questo immenso e ricco territorio?

Questo rispecchia il peso specifico del mondo di

oggi. Devo però specificare che non ritengo che i

G20 abbiano alcun ruolo nel futuro del mondo. È

una struttura in cui è importante per il confron-

to delle idee, ma dal punto di vista decisionale

non lo è. Se invece lo fosse, forse l’Africa sarebbe

ugualmente trattata male. Mi consola che non è

questo il punto.

Detto questo, il male oscuro esiste. In primis per

un motivo storico e oggettivo: il livello di povertà.

L’Africa rappresenta solo il 3-4 per cento del pro-

dotto mondiale. Qualsiasi conto si faccia non su-

pera comunque il cinque. Però l’Africa non è solo

il suo livello di povertà. Non è solo la sua eredità

coloniale. Il problema è la sua frammentazione:

sono i cinquantaquattro paesi. Il lavoro della Fon-

dazione che io presiedo, ha un solo tema: cin-

quantaquattro paesi ma un’unica realtà. Finché

l’Africa non ha forza di rappresentazione, rimarrà

sempre emarginata nella storia del mondo.

Nonostante tutto io penso che l’Africa abbia

aperto un nuovo capitolo. Da qualche anno si è

svegliata. È ancora a un livello di povertà estre-

ma, ma è cominciata la fermentazione. Da sei-

sette anni lo sviluppo africano è molto superiore

a quello della media mondiale. Le sue città da

orizzontali diventano verticali. C’è una nuova

gioventù africana che ha come orizzonte il mon-

do e adotta le nuove tecnologie. La diffusione de

telefonini è a livello di centinaia di milioni: una

piccola cosa, segno tuttavia di un movimento.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014192

Voci di carta: le interviste di Gordio

Oggi l’Africa è ancora il buco nero del mondo, ma

perlomeno a me offre la speranza.

Il Nord Africa e le fallite primavere. C’è una domanda di democrazia che non ha avuto ri-sposta?

Difficile a dirsi. La domanda di democrazia c’è sta-

ta, ma molto fragile: senza le istituzioni partiti-

che, senza tradizioni, senza consapevolezza della

popolazione, senza esperienze precedenti diffuse.

Nello stesso tempo, in Paesi profondamente divisi

al loro interno da fattori religiosi, etnici e storici.

Chiamandole primavere ci aspettavamo l’a-dozione del modello occidentale. L’esporta-zione democratica pare non funzionare nem-meno in questo caso. Perché?

Non è che me lo aspettassi – sapevo le difficoltà –

ma ci speravo. Speravo che le elezioni, con i tanti

partecipanti, dopo una vera campagna, avrebbe-

ro prodotto i cambiamenti. Parlo dell’Egitto che

ritengo la chiave di questa rivoluzione mancata.

Non solo è il Paese più numeroso del Nord Africa,

ma è il centro intellettuale di tutto l’islamismo

moderno. Dalle università egiziane partono le

idee, le condensazioni intellettuali, quelle che poi

fanno breccia nel resto del continente africano,

soprattutto nel Sub Sahara.

È un fallimento, ma attenzione a non genera-

lizzare. In ogni nazione il fallimento della cosid-

detta primavera democratica ha una sua ragio-

ne specifica. In Egitto la tradizione e il costume

hanno sempre avuto quale punto di riferimento

e di comando del Paese il blocco tra l’esercito e

l’economia.

Si. La forza è sempre stata l’esercito, ma alleato

con duemila grandi famiglie economiche e che

in se stesso possiede quasi un terzo dell’econo-

mia egiziana. Se uno va in un albergo a Sharm-

el-Sheik gestito da qualche compagnia interna-

zionale, scopre probabilmente che la proprietà è

dell’esercito, gestita magari da qualche generale

in pensione. L’establishment egiziano è sempre

stato estremamente forte intorno all’esercito.

Le elezioni sono state una grande rivoluzione. Sa-

rebbe andata avanti se il governo avesse risposto

alle attese e alle richieste del Paese. Di fronte ad

una risposta governativa ritenuta insufficiente, la

controrivoluzione è diventata inevitabile. In Libia

non si è trattato di rivoluzione democratica.

In Tunisia ho ancora speranza che la struttura de-

mocratica persista e si rafforzi.

In Marocco c’è l’unica lezione positiva. Sentiti gli

echi di questa scossa democratica, il re – identità

molto forte della nazione – ha capito di dover pre-

cedere con le riforme ogni possibilità di rivoluzione.

L’Algeria non si è mossa a causa della terribile

traccia del recente passato.

L’Italia che vive nel mezzo del Mediterraneo si pone la domanda: dove vanno le nazioni arabe africane, punto di riferimento per una nazione europea così proiettata a Sud?No. L’Italia non si pone questi problemi, purtroppo.

Dovrebbe …

Se li dovrebbe porre! Perché poi ci vogliono bene.

Non è retorica. Mi sono sempre sentito dire: ma

l’Italia dov’è? Non mi hanno mai detto: vergogna-

tevi! La chiave di questo è la guerra libica. Abbia-

mo seguito decisioni altrui, senza pensare ai nostri

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 193

Voci di carta: le interviste di Gordio

interessi. Si potrebbe dire: siamo stati grandiosi,

democratici e generosi. Ma non abbiamo nemme-

no pensato a quello che sarebbe avvenuto dopo.

Chiunque conoscesse la Libia sapeva che costituiva

l’equilibrio di tutto il Sud Sahara. Quando Gheddafi

ha smesso di creare turbolenze, e ha voluto essere

il padre protettore dell’Africa, per mantenere un

suo esercito versava una quantità grande di risorse

a sud del deserto. Lo sapevano tutti. Distrutta la

struttura libica, quello che è poi successo era fata-

le. Gheddafi era un dittatore. All’interno del paese

era di una durezza estrema. All’esterno aveva ca-

pito che sarebbe stato schiacciato se continuava a

portare problemi in Ciad, eccetera.

Questo è il motivo per cui lo invitai a Bruxelles,

acquistandomi pima l’attenzione degli americani

e degli inglesi e poi la loro gratitudine. Era venuto

a mancare un elemento di turbamento.

Dopo quella visita fu ammesso in tutte le sedi internazionali…

Non c’era conferenza africana in cui non ci fosse

la coda dei leader occidentali per essere ricevuti

da Gheddafi. Mi ricordo: una volta dovetti aspet-

tare perché c’era il primo ministro irlandese che

doveva vendere la carne, bovina naturalmente; il

primo ministro inglese aveva dei contratti petro-

liferi, e così via.

Rotto quell’equilibrio, il Sud Sahara è andato in

mano all’economia illegale: la droga, i rapimenti;

è crollato il turismo e di conseguenza l’artigiana-

to. È diventata una zona drammatica.

La regione sub sahariana e le nazioni centro africane, il Sahel, il corno d’Africa. A distanza di molti lustri, l’indipendenza post coloniale non ha stabilizzato queste nazioni.

La divisione dei Paesi era completamente artifi-

ciale. Per questo quando Ban Ki Moon ha detto

“cerchiamo di fare una politica che consideri final-

mente questi Paesi in rapporto fra loro”, ha avuto

Arrivo di un barcone di clandestini a Lampedusa - Fonte: www.tempi.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014194

Voci di carta: le interviste di Gordio

un’idea giusta. Tutti parlano francese, hanno cose

in comune, ma non si sono mai trovati assieme.

Non ci sono comunicazioni. Innovando, ho voluto

che i progetti di sviluppo partissero dalle univer-

sità locali e ho trovato che quei professori non si

conoscevano assolutamente. Tutti avevano stu-

diato a Parigi, ma nessuno conosceva l’altro. Ban

ki Moon ha avuto una grossa intuizione, e spero

vada avanti anche dopo la fine del mio manda-

to. A fine gennaio consegnerò il mio rapporto. Gli

“inviati speciali” per essere tali devono stare poco

tempo: fare le cose che devono e poi lasciare che

le strutture dell’ONU le portino avanti.

Per questo do tanta importanza e giudico ne-

gativa la guerra in Libia. I dittatori sono nemici

della democrazia, ma prima di abbatterli bisogna

pensare al dopo.

La penetrazione fondamentalista. È accertato che elementi dell’islamismo radicale operano da detonatore in molti territori africani. Sono

rinati califfati che si pongono in alternativa ai governi sorti dopo la stagione dell’indipen-denza. Chi governerà l’Africa?

Il terrorismo si sta spargendo senza confini: sono

paesi che hanno frontiere porose ed è finanzia-

to anche dall’esterno. È un gravissimo problema.

Non pensiamo però che la maggioranza degli

africani sia fondamentalista o sia amica di questi

terroristi.

Posso raccontare un episodio. Quando andai a

trovare Morsi, fu l’unico leader da me incontra-

to a dimostrarsi molto contrario all’argine che i

francesi avevano posto all’attacco terrorista dal

nord. Il giorno dell’attacco io ero a Bamako. Non

c’era alcuno che non ritenesse provvidenziale la

reazione francese. Il problema guerra giusta o in-

giusta non si poneva: la si considerava indispen-

sabile, obbligata. L’unico leader internazionale

– in tutto il mondo non c’è stata opposizione

alcuna – che mi ha fatto un attacco su questo è

Guerriglieri libici - Fonte: www.tempi.it

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 195

Voci di carta: le interviste di Gordio

stato l’egiziano Morsi. Però alla fine del colloquio

mi ha chiesto, quasi con angoscia, se il terrorismo

del Sahel avrebbe potuto raggiungere il Sinai.

Ritengo che il problema del terrorismo sia av-

vertito da tutti. È un grave problema, ma ci sono

anche gli antidoti. Il terrorismo è senza regole.

Destabilizza tutto. Anche i governanti – sciiti,

sunniti, destra, sinistra, centro – hanno paura di

questa destabilizzazione. Anzi, la maggioranza

assoluta dei popoli ne ha paura.

D’altra parte, la penetrazione cinese da orien-te potrebbe diventare una nuova e dolce for-ma di colonialismo?

La penetrazione cinese è profondamente diversa

dalle altre. Le altre avevano un forte connotato

politico; quella cinese economico con una carat-

teristica straordinariamente diversa da quanto

accaduto in passato. I cinesi esportano in Africa

beni, capitali, tecnologia e persone: tecnici, ope-

rai. È la prima volta nella storia – salvo il limita-

to caso dell’Algeria – in cui c’è questo modo del

tutto nuovo di penetrare in Africa. E poi c’è una

grave differenza, che può rendere il problema più

serio. I francesi lo fanno con i francofoni; gli an-

glofoni con la costa dell’Ovest e con i paesi “ami-

ci”. Ma i cinesi lo fanno per tutto il continente.

La Cina è ben accolta?

In generale il giudizio è positivo, con momenti

di forte tensione soprattutto in zone minerarie:

come protesta per l’eccessiva presenza di lavora-

tori stranieri o per la concorrenza alle industrie

di basso livello. Tuttavia… Quattro anni fa chiesi

al presidente algerino Buteflika come andava con

i cinesi. Mi disse: abbiamo grandi appalti sia per

le strade sia per le case popolari. I cinesi le fanno

a metà prezzo rispetto a italiani e francesi. Sono

venuti 25 mila cinesi. Consegnano con puntualità

svizzera. Inoltre, ogni anno cinquemila smettono

di fare i muratori. Altri cinesi li sostituiscono. E

quelli sposano ragazze algerine e danno vita alla

piccola imprenditorialità di cui ho bisogno.

La domanda gliel’ho rifatta quest’anno, appena

prima si ammalasse: “Va come le dissi quattro

anni fa; adesso abbiamo trentamila cinesi diven-

tati in sostanza algerini”.

Al momento della guerra in Libia sono stati rim-

patriati 38 mila tecnici e operai cinesi.

La Cina ha aiutato lo sviluppo dell’Africa. Lei sola

ha bisogno dell’Africa per la propria sopravviven-

za: cibo, materie prime ed energia. Le trova in

Africa e in America Latina.

I vecchi colonialisti hanno smesso di sac-cheggiare il continente?

Il saccheggio dipende molto dal governo africa-

no. Servirebbero governi forti e non corrotti. De-

vono vendere le loro risorse, ma a beneficio delle

loro popolazioni. Turba che tante terre venano

comprate dai cinesi, ma sono gli africani che le

vendono. Oggi la concorrenza cinese ha svegliato

l’Occidente.

E l’Unione africana? È una speranza o un’il-lusione?

Una speranza, ne sono convinto. Sono stato il pri-

mo presidente della Commissione Europea che ha

deciso di finanziare le truppe di pace dell’Unione

africana. Non con le armi, ma con la formazione.

Sulla facciata del Palazzo dell’Unione africana –

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014196

Voci di carta: le interviste di Gordio

più bello e più grande che quello ONU – c’è una

piccola placca con scritto: “Dono del popolo cine-

se al popolo africano”. Quando entri, trovi giovani

tecnici cinesi che per due anni insegnano come

gestire il Palazzo.

Di fronte alla nostra lentezza presenterò, appro-

vato dal Consiglio di Sicurezza, un progetto ri-

voluzionario. Dobbiamo organizzare lo sviluppo

del Sahel non solo come progetto in comune ma

rendendo possibile donazioni sia in denaro sia in

generi. Affinché si possano costruire direttamen-

te strade e ospedali sui quali mettere la bandiera:

cinese, tedesca, eccetera. E si possa fare in fretta.

E tra le nazioni ci sia una concorrenza virtuosa:

nelle gerarchie stabilite dall’ONU e sotto il con-

trollo della Banca africana di sviluppo.

Non è stato facile. L’idea è matura. Anche se

adesso – a fronte di problemi come quello siriano

– parlare del Sahel è diventato faticosissimo.

Per l’Africa la concorrenza, prima viziosa deve

diventare virtuosa. Non più sulle armi, ma sulla

crescita.

Dov’è finito il partenariato che l’Europa im-maginò fin dalla Convenzione di Lomé?

L’Europa è ancora il maggior donatore, ma l’idea

politica non c’è. L’Europa non riesce ad avere

un’idea politica per nessuna parte del mondo.

Quando vado in Medio Oriente mi domando:

dov’è l’Europa?

Torniamo al Sahel, alla fame e alla sete, malattie, morti e guerre. Campagne di aiu-to, missioni internazionali, volontariato non hanno abbattuto queste piaghe?

No. Però questi paesi disperati cominciano a cre-

scere. Dicendo crescere mi viene quasi la vergo-

gna. Si parte da livelli così tragici ed elementari…

Dove non ci sono guerre ci si muove. Le guerre

sono terribili. Vent’anni fa un modello era la Costa

d’Avorio. La tragica guerra civile l’ha devastata.

Sono guerre endogene o esogene?

Sono sempre più endogene. E non sono nemme-

no più fra Stati e potenze, ma etniche, religiose,

anche se interessi di singoli e gruppi soffiano su

di esse. Ma fra Stati rimane solo il residuo della

guerra tra Eritrea ed Etiopia. Oggi, sulle guerre

pesa l’artificialità dei confini fissati a Berlino o in

altre Conferenze internazionali.

Che cosa non ha funzionato e cosa di diverso si deve fare?

Primo: il rafforzamento dell’Unione africana e,

in chiave economica, delle varie Unioni regionali.

Nulla avviene tutto in una volta.

Europa e Italia possono o devono fare qual-cosa?

Mentre – come in Siria – l’ONU ha molte diffi-

coltà a risolvere i grandi conflitti, all’interno dei

Paesi le truppe ONU hanno svolto un ruolo di

crescente stabilizzazione. Ci sono molte compli-

cazioni e inefficienze, i mezzi sono scarsi, però

nel mondo e specialmente in Africa sono più di

centomila i soldati con il casco blu. Questo è un

progresso dell’umanità. Nel Mali i francesi si riti-

rano e ovunque vedi l’ONU.

Io auspico la politica estera dell’Europa. In tutti i

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 197

Voci di carta: le interviste di Gordio

casi citati l’Europa è stata sempre divisa. In Libia

la Germania non ha partecipato. In Medio Oriente

l’Europa non ha mai avuto una posizione unita-

ria. Altrimenti noi e non gli americani avremmo

gestito i rapporti. E si sarebbe potuto parlare di

“Colosseo”, invece di “Camp David”.

Pur con tutti i cinesi del mondo, in Africa l’Europa

resta ancora primo investitore e commerciante e

chi rapporti culturali più forti.

In Africa, allora, c’è domanda d’Europa…

Non c’è dubbio. La desiderano. Ma c’è sempre più

delusione.

Alcuni momenti dell’operazione “Mare Nostrum”

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014198

Voci di carta: le interviste di Gordio

iornalista professionista italo-si-

riana, Susan Dabbous ha studiato

relazioni internazionali all’Universi-

tà di Roma “La Sapienza” e alla “Carlos III di

Madrid”. Si laurea nel 2006, anno in cui inizia

ad occuparsi di giornalismo ambientale per

poi dedicarsi a temi sociali e politiche europee

soprattutto da Bruxelles e Parigi. Nel 2008, a

Washington, segue l’ultima fase della campa-

gna elettorale americana e l’insediamento di

Barack Obama alla Casa Bianca. Dal 2011 co-

pre gli accadimenti in Siria viaggiando spesso

in Turchia e in Libano. Collabora con diverse

testate italiane tra cui Avvenire, l’Espresso e

Rainews24.

“Il Nodo di Gordio” l’aveva intervistata nel marzo

2013, un mese prima del suo rapimento in Siria

insieme ad una troupe della Rai per mano del

gruppo jihadista al-Nusra. Un anno dopo, esce

il suo libro “Come vuoi morire?” dedicato alla

drammatica esperienza del sequestro.

di Daniele Lazzeri

Dabbous: In Siria, i fondamentalisti hanno preso il dominio della lotta armata

“Da siriana ho sempre visto le cose da dentro. L’Islam superstizioso che usano gli estremisti per giustificare le loro violenze non ha nulla a che fare con l’Islam tradizionale praticato in Siria dai siriani”

G

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 199

Voci di carta: le interviste di Gordio

Lei ha affrontato le sue vicissitudini perché è stata davvero sul fronte dei combattimenti. Nell’immaginario collettivo prevale la con-vinzione che alcuni dei grandi inviati, il fron-te non lo vedano proprio. Che restino in hotel attendendo i reportage di giornalisti meno famosi che rischiano al posto loro. Quanto c’è

di vero in questa immagine?

Io credo che in coscienza ognuno lavora come

si sente, dopo quel che ci è accaduto capisco

perfettamente chi rimane in albergo in attesa

di ascoltare voci dal fronte che arrivano in certi

posti fresche e di prima mano. Detto ciò ovvia-

mente ci vuole onestà nei confronti dei lettori,

dire sempre dove si è veramente. Nel caso della

Stampa anglosassone ad esempio è obbligato-

rio perché ogni corrispondente è controllato

a vista dalla concorrenza, cosa che nel nostro

caso non accade perché gli inviati sono sempre

di meno.

Nella prefazione al libro, Paul Wood non esclude che sul sequestro di cui è stata vit-tima abbiano pesato anche ragioni econo-miche come la richiesta di un riscatto, oltre che a causa del sospetto nei confronti degli Occidentali presenti in Siria. A distanza di un anno dalla tremenda esperienza del rapimen-to, si è fatta un’idea più precisa delle reali motivazioni?

Sicuramente siamo stati arrestati perché non

volevano diffondessimo le immagini della chie-

sa che avevano profanato. Non credo che siamo

stati liberati senza ottenere nulla in cambio, ma

non credo neanche, alla luce di ciò che sappiamo,

che si sia trattato di un riscatto in senso classico.

I fondamentalisti islamici siriani del Fronte al-Nusra, sono stati fiancheggiatori di al-Qaeda e poi si sono fusi nell’Isis (Stato Isla-mico dell’Iraq e del Levante). Secondo Lei, si

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014200

Voci di carta: le interviste di Gordio

tratta di un’adesione maturata nel tempo o al-Nusra rappresentava già una cellula di al-Qaeda sotto mentite spoglie?

Parte del gruppo al-Nusra è confluito in Isis per

ragioni di dominio del territorio, ideologicamente

si rifanno entrambi ad al-Qaeda ma si è aperta

tra loro una guerra fratricida solo per questioni

legate al potere.

Ad oggi, possiamo ancora credere all’esisten-za di un autentico Esercito siriano libero o l’adesione a gruppi fondamentalisti piuttosto che il dedicarsi ad attività criminali ha preso il sopravvento? In base alla Sua esperienza, c’è il rischio che i fondamentalisti egemoniz-zino la rivolta siriana?

I fondamentalisti hanno già preso il dominio della

lotta armata della rivolta siriana, ma dubito che

abbiano il dominio ideologico o politico. Come

noto, quella siriana è una società composita e

multi confessionale sarebbe impensabile stabilire

un governo di stampo religioso senza tenere conto

di questa realtà. L’esercito siriano libero esiste an-

cora solo grazie ad alcune figure chiave, generali e

ufficiali disertori, che lo tengono formalmente in

vita. Di fatto non ha nessun potere effettivo.

La figura di Sheikh che è a capo del gruppo Jabhat al-Nusra e quella di Miriam, moglie di un jihadista che l’ha tenuta in ostaggio, sono particolarmente presenti nel Suo racconto del periodo di cattività. Per loro scrive di pro-vare sentimenti contrastanti. A tratti sembra quasi essere caduta vittima di una sorta di sindrome di Stoccolma...

Ho avuto una sindrome di Stoccolma fulminan-

te con Sheick, perché sapevo che non avrebbe

permesso a nessuno di toccarmi, la mia integrità

fisica in quel contesto era la cosa prioritaria, con

Miriam perché, oggettivamente, era una ragazza

molto dolce.

Questa drammatica esperienza personale, ha cambiato le sue convinzioni sull’Islam e più in generale sulle cosiddette “Primavere arabe”?

No. Ero molto deideologizzata già da prima, a

gennaio 2013 mi accorsi che la situazione era

cambiata, c’erano gruppi di mercenari provenien-

ti da diversi paesi, amici e volontari mi spiegarono

come la corruzione dilagante aveva arricchito ex

poveri e impoverito ex ricchi. Da siriana ho sem-

pre visto le cose da dentro. L’Islam superstizioso

che usano gli estremisti per giustificare le loro

violenze non ha nulla a che fare con l’Islam tradi-

zionale praticato in Siria dai siriani. Le primavere

arabe sono una fase storica che riguarda un anno

preciso, il 2011. È evidente che oggi ci troviamo

di fronte a qualcosa di molto diverso, qualcosa

che potremmo decifrare molto meglio più in là

perché ora ci siamo ancora dentro.

Si evince dalla pagine del libro che molti aiuti umanitari provenienti dalla Turchia finiscono purtroppo nelle mani di al-Qaeda. Qual è a Suo avviso l’attuale posizione della politica estera turca nel conflitto siriano?

La Turchia è una base logistica e geografica per i

gruppi di combattenti che entrano in Siria, qaidi-

sti e non, mi sembra difficile credere che non sia

a conoscenza di chi atterra nei propri aeroporti…

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 201

Voci di carta: le interviste di Gordio

Un ultimo pensiero al Libano, terra martoria-ta alla quale Lei è molto legata. Continuerà ad essere il “fegato” dove si sfogano molte delle tensioni dell’area mediorientale?

Il Libano contrariamente alla Turchia non ha gli

stessi mezzi militari e istituzionali per proteggersi

dalle minacce esterne e interne del terrorismo. È

l’anello debole del Medioriente, il punto di sfogo

delle conflittualità regionali.

COME VUOI MORIRE?Rapita nella Siria in guerradi SUSAN DABBOUS

Castelvecchi Editore, pp. 186 - Euro 18,50

È un libro che può vantare numerosi meriti quello

di Susan Dabbous. “Come vuoi morire?” non è in-

fatti solamente il diario della cattività alla quale

è stata costretta l’autrice negli undici giorni del

sequestro in terra siriana. Non è nemmeno una

mera raccolta di ricordi fatti di angosce e di pau-

re che una giornalista – ma prima ancora una

donna – ha dovuto affrontare durante e dopo il

rapimento da parte di un gruppo jihadista fian-

cheggiatore di al-Qaida.

Quella di Susan Dabbous è un’attenta descri-

zione di uno spaccato della drammatica guerra

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014202

Voci di carta: le interviste di Gordio

civile che si sta combattendo in Siria. Ma anche

un autentico reportage che trasuda l’esperienza

diretta personale – a tratti intima – di cosa signi-

fichi svolgere il difficile lavoro di inviato di guerra.

Di quanto più complessa sia la situazione reale

rispetto a ciò che si legge nelle pagine degli este-

ri dei giornali o nelle cronache dei Tg. Di come

cambi profondamente la percezione quando ci

si immerge completamente nella cruda realtà

quotidiana di popoli e paesi solo apparentemente

lontani. E la Siria non è poi così lontana. Non lo è

per tutte le civiltà che si affacciano, proprio come

la Siria, sul Mediterraneo. Lo è tanto meno per

Susan Dabbous la cui famiglia paterna è origi-

naria di Aleppo. Ma quella raccontata in “Come

vuoi morire?” è un’altra storia, dove i bei ricordi

dei viaggi giovanili e spensierati in Siria si appan-

nano, lasciando il posto ad una realtà più dura:

quella che oppone il presidente Bashar al-Assad

all’Esercito siriano libero.

Susan Dabbous torna in Siria, ma stavolta pas-

sando clandestinamente attraverso il confine con

la Turchia. È il suo lavoro, quello di giornalista in-

viata in quelle zone a realizzare dei documentari

in compagnia di una troupe della Rai. Sorpresi

mentre riprendevano immagini “scomode” in una

chiesa sconsacrata a Ghassanieh, un villaggio cri-

stiano non distante da Lattakia, da appartenenti

al gruppo di fondamentalisti islamici “al-Nusra”

vengono catturati e fatti prigionieri.

Da qui si innerva la tormentata testimonian-

za della libertà rubata, rapita e annichilita dal

credo ideologico ed integralista dei carcerieri

di al-Nusra. Dalla violenza psicologica e morale

alla quale viene sottoposta Susan Dabbous per

ricondurla sulla retta via tracciata dalla parola

del Profeta. Costretta ad indossare lo “hijab”, il

velo islamico, ed a rispettare i dettami coranici di

sottomissione prescritti per le donne musulmane

dalle esegesi (“tafsir”) più integraliste.

È il 3 aprile del 2013 e da quel momento inizia

un calvario che durerà per undici lunghi giorni

contrassegnati dall’alternarsi di speranza e rasse-

gnazione. Sono i momenti in cui ci si aggrappa

a qualsiasi cosa per sopravvivere ma anche un

periodo emotivamente intenso durante il quale

appaiono in tutta la loro asprezza metodi e di-

storsioni, magistralmente descritti dall’autrice, di

quella che avrebbe dovuto essere la “Primavera

siriana” e, invece, è stata l’ennesima primavera

tradita che ha lasciato il passo all’autunno della

democrazia. I ribelli siriani, presto trascinati alla

deriva dal crescente ruolo svolto dai gruppi jiha-

disti, rendono la soluzione del conflitto siriano

ancora più complessa e destinata a durare a lun-

go. “Una guerra civile a bassa intensità destinata

a durare a lungo” – diceva Susan Dabbous nell’in-

tervista rilasciata al “Nodo di Gordio” un mese

prima del sequestro. Aveva ragione. Purtroppo.

Daniele LazzeriChairman del think tank “Il Nodo di Gordio”

Susan Dabbous: in Siria una guerra civi-le a bassa intensità che durerà per anniAttiva il tuo lettore di Qr Code su smartphone

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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 203

Voci di carta: le interviste di Gordio

uroparlamentare del PD, membro del-

la Commissione Affari Esteri, della de-

legazione all’Assemblea parlamentare

dell’Unione per il Mediterraneo e Presidente della

delegazione per le relazioni con i Paesi del Magh-

reb, l’On. Antonio Panzeri ha maturato una pre-

ziosa esperienza grazie ai rapporti costanti con

molti Paesi che si affacciano sulla sponda meri-

dionale del Mediterraneo. Alla luce delle moltepli-

ci vicissitudini, succedutesi dopo lo scoppio delle

cosiddette “Primavere arabe”, “Il Nodo di Gordio”

ha approfondito con lui le prospettive e gli sce-

nari che si profilano all’orizzonte nelle relazioni

internazionali dell’Europa in Maghreb, nella Libia

del post-Gheddafi, in Algeria e più in generale nel

vasto e complesso scacchiere nordafricano.

L’Africa del Nord è quasi sparita dalle notizie dei quotidiani. Riappare solo in relazione alla partenza di barconi di migranti. Ma le prima-vere arabe sono davvero finite nel nulla?

a cura della Redazione

Panzeri: Poco lungimirante il sostegno ai ribelli senza una roadmap politica

“occorre che tutti gli Stati africani comprendano che la lotta contro il terrorismo e il sottosviluppo si può vincere soltanto dotandosi di un orizzonte comune. credo che in questo, l’Europa rappresenti un esempio”

E

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014204

È vero, del Maghreb si parla ormai solo in occa-

sione degli sbarchi oppure quando avvengono

episodi di violenza.

Molto più difficile, invece, sentire analisi puntuali

sui diversi processi di democratizzazione, più o

meno evoluti, che stanno avendo luogo nell’area.

La situazione è estremamente variegata e presen-

ta forti contraddizioni.

Il Paese più avanzato è il Marocco, che è appena

stato lambito dal vento di cambiamento e non ha

subito forti contraccolpi. Merito di un regime che

ha iniziato diversi anni fa un processo di apertura

politica, accompagnato da riforme economiche e

sociali importanti.

Il Marocco ha anche intrapreso un dialogo ap-

profondito con l’Unione europea e adesso può

essere considerato un partner importante, an-

che in virtù dell’Accordo di Associazione entrato

in vigore nel 2000 e dello Statuto Avanzato ot-

tenuto nel 2012.

Anche la Tunisia, è avviata sulla strada di impor-

tanti sviluppi politici, e sta completando il pro-

cesso di transizione democratica.

Gli altri Paesi del Maghreb non hanno ancora

raggiunto lo stesso grado di maturità politica, ma

sarebbe comunque giusto che gli organi di infor-

mazione si occupassero degli sviluppi che stanno

avendo luogo nel Mediterraneo.

Servirebbe a capire molte cose e a definire una

politica estera più efficace, tenendo conto del

fatto che in alcuni casi è ancora difficile indivi-

duare quali siano gli interlocutori più affidabili.

La Libia è sempre sull’orlo della scissione, ma poi non succede nulla e si prosegue con il caos. Quali sono le prospettive nel breve periodo?

Lo scenario libico è uno dei più complessi dell’area

nordafricana. L’instabilità politica e la presenza di

forze armate contrapposte rappresentano enormi

ostacoli allo svolgersi di processi politici e decisio-

nali capaci di far svoltare pagina a questo Paese.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 205

Voci di carta: le interviste di Gordio

Nelle scorse settimane, il caos ha preso il soprav-

vento. Il Primo ministro Ali Zeidan è stato sfi-

duciato a marzo e, poco dopo, il suo successore

Abdullah Al Thinni si è dimesso.

La nomina di un nuovo premier, poi, è stata in-

terrotta da un vero e proprio assalto al Congresso

Generale Nazionale. Dalla caduta di Gheddafi, la

Libia non ha avuto pace.

I Paesi occidentali che hanno appoggiato il Con-

siglio Nazionale Libico che si è sollevato contro il

rais non sono privi di responsabilità.

Certo il regime di Gheddafi era odioso, ma la co-

munità internazionale lo ha tollerato per 40 anni.

Anzi, in certe circostanze ha persino fatto como-

do: penso alla cogestione delle politiche migrato-

rie e agli accordi fra Italia e Libia.

Decidere repentinamente di dare sostegno mili-

tare ai ribelli, senza preoccuparsi però di aprire un

tavolo di negoziati e di definire una roadmap per

la transizione politica e per il ripristino di condi-

zioni di sicurezza adeguate, si è dimostrata una

soluzione poco lungimirante.

Ora è difficile prevedere quanto potrà accadere,

con un governo centrale delegittimato, una pre-

senza degli islamisti in crescita e una crisi petroli-

fera in atto nella regione della Cirenaica.

Le forze di sicurezza del governo centrale hanno sem-

pre cercato di mantenere il controllo sulle vendite di

idrocarburi, ma in diverse occasioni i separatisti della

Cirenaica si sono impadroniti degli impianti. Recen-

temente sono riusciti a realizzare vendite illecite di

petrolio, un precedente pericoloso.

Le prospettive, in ogni caso, dipenderanno dalla vo-

glia di confrontarsi delle diverse parti in causa e dalla

capacità, da parte della comunità internazionale, di

non appoggiare soluzioni affrettate che potrebbero

portare a un sollievo temporaneo, ma di breve durata.

L’Algeria vede la riconferma del leader uscen-te. Ma i partecipanti al voto sono crollati e l’economia del Paese non pare avere prospet-tive di crescita. Anche l’Algeria potrebbe di-ventare un terreno di scontri violenti?

Non credo che questa sia una prospettiva vicina.

La storia dell’Algeria è stata profondamente se-

gnata dalla guerra civile degli anni ’90 ed è anche

per questo che l’establishment continua a scom-

mettere sulla conservazione, rappresentata da

un leader debole e facilmente manovrabile come

Bouteflika.

Inoltre, storicamente lo Stato algerino ha sopito

i movimenti di rivolta grazie a un sapiente mix di

assistenzialismo e di repressione.

Certo, non bisogna neppure sottovalutare le

istanze di cambiamento e pensare che si possa

andare avanti così senza ripercussioni future.

L’Algeria basa la propria sopravvivenza economi-

ca sull’esportazione di idrocarburi, ma dovrebbe

iniziare a pensare a come sostenersi in futuro.

Le riserve diminuiscono, mentre aumentano i

consumi interni. In pochi anni, molti giacimenti

diverranno improduttivi.

Senza i proventi dell’export l’Algeria non potrà

più permettersi di soffocare il dissenso con la di-

stribuzione di impieghi e sovvenzioni, com’è av-

venuto fino a questo momento.

Prima che questo momento arrivi, è dunque im-

portante che l’establishment politico, economico

e militare comprenda la necessità di un profondo

rinnovamento dello Stato. La strada intrapresa

dal Marocco potrebbe rappresentare un buon

precedente di transizione guidata e di apertura

graduale.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014206

Voci di carta: le interviste di Gordio

L’Egitto pare pacificato, con il trionfo dei mi-litari. Ma anche in questo caso l’economia non aiuta il consolidamento della nuova fase. Basterà il ricordo del caos precedente per evi-tare nuove tensioni? E quale sarà il ruolo del Cairo nello scenario Mediorientale?

Credo sia presto per parlare di una vera pacifica-

zione: mano a mano che l’appuntamento delle

Presidenziali si avvicina, infatti, aumentano gli epi-

sodi di violenza e gli attentati ai danni dei militari.

L’attuale Presidente Al Sissi sembra il favorito,

ma non è da escludersi una escalation di attac-

chi condotti dalle forze jihadiste per cambiare le

carte in tavola.

La destituzione di Mohamed Morsi, il primo pre-

sidente democraticamente eletto della storia egi-

ziana, ha lasciato forti strascichi. La repressione

indirizzata verso i Fratelli Musulmani è ora il pre-

testo per una vendetta di gruppi radicali islamici

che rappresentano una minaccia concreta al pro-

cesso di transizione.

Questa instabilità non fa che peggiorare dram-

maticamente la situazione economica di un Pa-

ese che storicamente dipende dai flussi turisti-

ci per la propria sopravvivenza. Da diversi anni,

ormai, l’Egitto perde visitatori per i problemi di

sicurezza che il governo non riesce a gestire.

Se davvero i militari desiderano pacificare il Pae-

se, forse dovrebbero tentare il dialogo con tutte le

forze politiche, senza escludere che anche il Par-

tito Libertà e Giustizia possa essere interessato a

trovare una soluzione condivisa per garantire un

futuro al Paese.

La posta in gioco è enorme. Le ripercussioni di

una maggiore instabilità colpirebbero non sol-

tanto la popolazione egiziana, ma potrebbero

rappresentare un pericolo anche per i precari

equilibri del Medio Oriente e del Maghreb. L’Egit-

to è sempre stato un importante ago della bilan-

cia, soprattutto per quanto riguarda la vicenda

Israelo-palestinese. Un Egitto stabile potrebbe

contribuire al processo di pace, riassumendo il

suo ruolo storico. Al contrario, un Egitto debole e

frammentato potrebbe essere risucchiato nel vor-

tice di instabilità mediorientale, che avvantaggia

i movimenti più estremi allontanando sempre più

la prospettiva di sviluppo democratico.

Come muteranno i rapporti tra questo Nord Africa ed i Paesi subsahariani? Il Ciad conti-nuerà a rappresentare un problema con cui confrontarsi?

I rapporti fra i paesi del Nord Africa e quelli dell’a-

rea subsahariana sono mutevoli tanto quanto è

mutevole la situazione dei singoli Stati.

Si possono, tuttavia, osservare alcuni fenomeni.

Il primo è rappresentato dalla porosità dei confini

e dalla facilità, per i gruppi armati, di spostarsi li-

beramente fra Nord Africa e fascia subsahariana.

Al Qaeda e i gruppi terroristici hanno tratto van-

taggio dalla situazione di instabilità presente in

numerosi Paesi del Maghreb per rafforzare la pro-

pria presenza nel deserto e ormai sono in grado

di operare in Mauritania, Mali e Niger. Oltre ad

Al Quaeda nel Maghreb Islamico, gruppi radicali

sono presenti nel Nord della Nigeria (Boko Ha-

ram) e in una parte del Ciad, ma anche in Sudan,

Etiopia e Somalia.

Il secondo fenomeno è rappresentato dall’assenza

di un coordinamento forte di Stati Africani capa-

ce di combattere gli estremismi e favorire la pace.

Nonostante la presenza dell’Unione Africana e di

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 207

Voci di carta: le interviste di Gordio

altri organismi regionali, i Paesi africani faticano

a intervenire su conflitti che si trascinano ormai

da anni, rendendo difficile ogni progresso econo-

mico e sociale.

Dalla Repubblica centroafricana al Sud Sudan,

dal Mali alla Nigeria, il Continente è percorso da

guerre che generano povertà e costringono mi-

gliaia di persone alla fuga.

In Ciad, invece, si sta consumando una vera e

propria catastrofe ecologica: se non ci saranno

interventi rapidi, il deterioramento del lago Ciad

potrebbe privare di sostentamento milioni di

persone, determinando migrazioni imponenti in

un’area già fortemente instabile.

In definitiva, occorre che tutti gli Stati africani

comprendano che la lotta contro il terrorismo e

il sottosviluppo si può vincere soltanto dotandosi

di un orizzonte comune.

Credo che forse, in questo, l’Europa possa rap-

presentare un esempio capace di dare speranza.

Le popolazioni del nostro continente hanno tra-

scorso centinaia di anni a combattersi, ma han-

no compreso che soltanto un’unione più stretta

avrebbe permesso di superare i vecchi conflitti in

nome di un obiettivo di crescita e prosperità.

Quando un grande continente come l’Africa capirà

questo, potrà davvero aprirsi una nuova fase non

solo per i suoi abitanti, ma per il mondo intero.

La zona sub-sahariana Fonte: Vio Cavrini

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014208

Voci di carta: le interviste di Gordio

ambizioso progetto di progressivo

allargamento ad est dell’Unione europea

ha portato all’ingresso della Bulgaria

nella “casa comune” del Vecchio Continente il 1

gennaio 2007. Una Paese che occupa un’area di

cruciale interesse geopolitico e che vanta storici

rapporti e relazioni con l’Italia. Legami politici ma

soprattutto intrecci culturali ed economici che

delineano interessanti sviluppi per il futuro. “Il Nodo

di Gordio” ne ha parlato con l’Ambasciatore d’Italia

in Bulgaria, Marco Conticelli in occasione del festi-

val internazionale dell`arte contemporanea “CON-

TEMPO” di Varna al quale ha partecipato con suc-

cesso anche lo scultore trentino Paolo Vivian con la

mostra personale intitolata “Hortus Memoriae”.

Italia e Bulgaria hanno antichi e profondi legami. Oggi, però, non sarebbe secondo Lei necessario intensificare l’interscambio cultu-rale? E cosa si dovrebbe fare a Suo avviso?

a cura della Redazione

Conticelli: Cultura e Made in Italy al centro dei rapporti tra Italia e Bulgaria

La cultura è già un importante terreno d’intesa tra Italia e bulgaria E lo sarà sempre di più nella prospettiva della candidatura congiunta italo- bulgara per la “capitale della cultura europea 2019”

L’

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 209

Voci di carta: le interviste di Gordio

La cultura è già un importante terreno d’intesa

tra Italia e Bulgaria E lo sarà sempre di più nella

prospettiva della candidatura congiunta italo-

bulgara per la “Capitale della Cultura europea

2019”. L’Ambasciata, anche grazie all’Istituto

Italiano di Cultura di Sofia, intende senz’altro

continuare a investire sulla cultura, valorizzan-

do in particolare quei settori che possono avere

importanti ritorni economici per il nostro Paese:

come l’arte e il cinema, il restauro e l’architettura,

la moda e la musica, l’insegnamento dell’italiano.

Quest’anno, ad esempio, abbiamo previsto una

mostra di disegni di Michelangelo che si svol-

gerà nella prestigiosa Galleria Nazionale d’Arte

di Sofia; un seminario sulle tecniche di restauro

dei mosaici e delle superfici architettoniche stori-

che, in collaborazione di Assorestauri; una mostra

sull’architettura “Made in Italy”; la presentazione

dei lavori dell’architetto italiano Vico Magistretti

alla “Settimana del Disegno” di Plovdiv; la parte-

cipazione al Festival internazionale del cinema di

Stara Zagora, al Festival autunnale del cinema di

Sofia ed al Festival annuale del cinema di monta-

gna di Bansko; l’organizzazione di una “Sanremo

a Sofia” in una Sala da 9.000 persone; una sfilata

di moda in Ambasciata in collaborazione con Ca-

nali; il lancio di corsi di lingua italiana per il busi-

ness, rivolti all’imprenditoria locale, in aggiunta ai

corsi di italiano già svolti a tutti i livelli secondo il

quadro comune europeo.

Bulgaria ed Italia hanno in comune l’inte-resse geopolitico per la sicurezza dei Balcani. Quale collaborazione è necessaria al fine di rendere più stabile questa regione cruciale?

Sono molte le iniziative che ci vedono impegnati

assieme per promuovere la crescita e la stabilità

dell’area, anche nel quadro della comune appar-

tenenza all’UE e alla Nato. Dalla progressiva in-

tegrazione euro-atlantica dei Balcani al rafforza-

mento della spazio Schengen, dal consolidamento

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014210

Voci di carta: le interviste di Gordio

democratico alla lotta alla criminalità organizzata,

fino allo sviluppo dell’interdipendenza energetica e

delle grandi reti di trasporto regionali.

Il nostro Semestre di Presidenza europea, che si

aprirà fra poche settimane, rappresenta un’im-

portante occasione per compiere concreti e ra-

pidi passi in avanti in questa direzione, in parti-

colare facendo avanzare i Paesi della regione nei

rispettivi percorsi di integrazione e rilanciando la

cooperazione regionale con la definitiva appro-

vazione della nuova “Strategia UE per la macro-

regione adriatico-ionica”.

La Bulgaria pare uscita dalla crisi. Con pro-spettive di crescita del Pil nettamente supe-riori rispetto all’Italia. Un fuoco di paglia o una ripresa vera?

La ripresa c’è. L’economia bulgara è già cresciuta,

sia pure moderatamente, nel 2012 e nel 2013 e le

previsioni per i prossimi anni sono favorevoli. Gli

organismi economici internazionali si attendono

infatti un ulteriore consolidamento ed accelera-

zione della crescita, che dovrebbe avvicinarsi già

quest’anno al 2% e registrare una media del 3%

tra il 2015 ed il 2018. L’export bulgaro rappresen-

ta il principale volano della ripresa. Nel 2013 è già

aumentato del 9% verso l’UE.

Certo, questo non significa che sono tutte rose e

fiori… per il momento la domanda interna resta

debole, la disoccupazione alta e gli investimen-

ti esteri in netta flessione. La sostenibilità della

crescita quindi dipenderà anche dalla ripresa

dell’eurozona, dalla fiducia degli investitori sullo

sviluppo del Paese e non ultimo dagli sforzi del

Governo per garantire certezza del diritto, traspa-

renza e regole di mercato.

L’Italia è il secondo importatore (dopo la Ger-mania) dalla Bulgaria ed il terzo esportatore (dopo Russia e Germania). È prevedibile un incremento delle nostre esportazioni? In qua-le settore?

L’interscambio commerciale con l’Italia in questi

ultimi anni è cresciuto notevolmente, nonostante

la crisi, ed ha ormai raggiunto livelli record. Il 2013

si è chiuso con un fatturato di 3,852 milioni di euro,

superiore di 402 milioni di euro rispetto al 2012

(+11,65%) e di 566 milioni di euro circa rispetto

al 2007 (+ 17,21%). Nel 2013 il nostro export è

cresciuto del 14,20% ed ha interessato soprattutto

i settori della meccanica – che rappresenta

tradizionalmente la prima voce delle vendite

italiane verso la Bulgaria – e degli autoveicoli.

Su cosa puntare in futuro? Innanzitutto sui mac-

chinari per l’industria e l’agricoltura, per i quali

continuerà verosimilmente una forte domanda di

tecnologia da parte bulgara. Ma non tralascerei

neppure il settore dei beni di consumo e quindi

del Made in Italy. La sfida risiede nell’intercettare

le nascenti classi medie e proporre loro un pro-

dotto d’alta gamma ad un prezzo accessibile. Par-

liamo chiaramente di moda, arredamento e cibo,

che esercitano già un appeal fortissimo su una

parte rilevante dei consumatori bulgari.

In un recente passato alcuni imprenditori ita-liani avevano scommesso sullo sviluppo del turismo interno bulgaro, sia sul mare sia in montagna. Poi la crisi aveva rallentato il de-collo di questi progetti. Ora pare che anche sul fronte turistico interno la situazione stia migliorando. Il turismo è un business su cui gli italiani possono scommettere?

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 211

Voci di carta: le interviste di Gordio

La Bulgaria dispone di un grande patrimonio na-

turale e storico, i prezzi sono bassi e la gente è

estremamente aperta e cordiale. Le premesse per

il rilancio del turismo ci sono quindi e gli sviluppi

futuri dipenderanno probabilmente dalle attività

di marketing che saranno svolte a livello interna-

zionale per promuovere il Paese come meta turi-

stica. Il Governo bulgaro è impegnato in questa

direzione ed ha varato una strategia nazionale

per lo sviluppo del comparto, con particolare rife-

rimento al turismo naturale e culturale, sportivo,

enogastronomico, termale e balneare.

I dati del resto mostrano un crescente interes-

se per la Bulgaria. Nel 2013 sono arrivati circa

9.200.000 turisti (in aumento del 4% rispetto al

2012), principalmente da Romania, Turchia, Ger-

mania, Serbia, Russia, Ucraina. Ma anche dall’I-

talia, da cui sono arrivati circa 130.000 turisti. A

maggior ragione l’industria italiana può svolgere

un ruolo importante in questo settore, sulla base

della propria esperienza, promuovendo trasferi-

menti di know-how.

Anche in uscita il turismo bulgaro cresce. Ma non premia adeguatamente l’Italia, supera-ta non solo dai Paesi vicini come Turchia e Grecia, ma anche dalla Spagna. Problemi di offerta? Di comunicazione e marketing?

Innanzitutto c’è un problema di capacità di spesa.

La Bulgaria resta comunque il Paese più povero

dell’UE, con un reddito medio di circa 300 euro

al mese. Quindi il turismo in uscita è in linea di

principio un turismo “low cost”.

L’Italia comunque piace e i flussi verso il nostro

Paese hanno ricominciato a crescere dopo la fles-

sione nel 2009, evidentemente registrata a causa

della crisi. Nel 2013 sono stati 38.637 i turisti bul-

gari che hanno visitato l’Italia, rispetto ai 32.800

del 2012 ed ai 26.133 del 2011.

Sono dati incoraggianti che occorre consolidare

anche puntando sulla destagionalizzazione (con

pacchetti di viaggio a costi contenuti) e sul Sud

(completamente ignorato dal pubblico bulgaro

finora, che si dirige piuttosto verso Veneto, Lazio,

Toscana). L’Expo 2015, a cui la Bulgaria parteci-

perà con un proprio Padiglione, rappresenta un

ulteriore motivo per puntare sul turismo in Italia.

I rapporti tra la monarchia bulgara ed i Sa-voia hanno ancora qualche incidenza sulla popolazione locale?

Sono importanti legami storici, che sottolineano

la vicinanza tra i due Paesi anche nel passato. Si-

meone, figlio della Regina Giovanna di Savoia e

dello Zar Boris III, è stato Re della Bulgaria dal

1943 al 1946, anno in cui la Monarchia è stata

abolita con un referendum. Poi, a seguito delle

elezioni politiche del 2001, è stato Primo Ministro

di Bulgaria dal 21 luglio 2001 al 16 agosto 2005.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014212

Voci di carta: le interviste di Gordio

“Hortus Memoriae” è una mostra di

scultura, installazioni site-specific ed

oggetti relative alle ricerche artistiche

dell’artista italiano Paolo Vivian sulla memoria

collettiva e sull’esperienza umana. Lo spazio di

galleria appositamente organizzato e la posizio-

ne codificata delle opere, invitano il visitatore in

un rebus intellettuale ed estetico. L’artista gioca

con i concetti, scambia i posti delle percezioni ed

affascina i visitatori in un percorso personale, uti-

lizzando le tecniche del pensiero associativo già

conosciuto da antichi trattati metafisici e dall’er-

meneutica contemporanea.

“Hortus Memoriae” è una pratica famosa per la

memorizzazione di un’enorme quantità di infor-

mazioni svelateci da Giordano Bruno nel suo stu-

dio “Ars Memoria”. L’antica formula rappresenta

il “cuore” nascosto del progetto di Vivian ed è la

chiave del suo giardino fantasioso.

L’autore rivela la diversità delle forme della co-

di Dora Doncheva-Bulart

Vivian: Uso il passato per progetta-re il futuro vivendo nel mio presente

“contempo 2014”, il festival Internazionale dell’Arte contemporanea a Varna (bulgaria), ha registrato la presenza dell’artista italiano Paolo Vivian con la mostra personale “HoRTuS MEMoRIAE”

L’

La mostra “Hortus memoriae di Paolo Vivian”

racchiude in sé l’idea del genius loci della

Bulgaria.

Varna riunisce radici arcaiche, un’antica oc-

cupazione romana, la cultura degli Unni, un

popolo “barbaro” nuovo sulla scena europea

agli albori del medioevo, varie stratificazioni

successive di storia e civiltà.

Espandendosi dal dettaglio dell’allestimento

fino alla geografia urbana, troviamo i valori

dell’incontro e della condivisione, dove la di-

versità è risorsa, dove i codici comportamen-

tali comuni sono condizioni naturali.

Paolo Zammatteo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 213

Voci di carta: le interviste di Gordio

scienza collettiva nel processo di unificazione

dell’Europa, esplorando le relazioni umane e le

metamorfosi dell’esperienza collettiva nel pre-

sente. Lui mette l’accento sull’uomo e la sua

capacità di distinguere e ricordare. Per compor-

re questo particolare puzzle artistico realizzato

dai suoi simboli e sistemi semiotici, Paolo Vi-

vian trasforma i principi mnemonici dell’“Hortus

Memoriae”. Nella sua “fusione degli orizzonti” la

memoria umana ha una forma laconica ed una

direzione verticale. Tessuti, colori, parole e nume-

ri sono coinvolti nel gioco intellettuale. D’altro

canto i ricordi individuali sono cubi di legno di

diverse dimensioni e colorazione.

L’artista provoca i visitatori ad entrare senza pre-

giudizi, a trovare la password per la mostra espo-

sitiva ed a creare il proprio giardino personale

della memoria. All’inizio del viaggio è stata inse-

rita l’allusione alla grande famiglia europea, alle

relative sovrapposizioni multiculturali ed ai mix

della globalizzazione e della migrazione. La sin-

tesi dell’esperienza collettiva in questo progetto

si riflette nell’interpretazione creativa dell’amore,

della connessione con la natura ed il perfeziona-

mento spirituale.

Gli archetipi culturali, la mutazione del mito e del

tabù nel giardino di Vivian sono dei totem e dei

menhir del ricordo. Il codice a barre della moder-

nità rappresenta il dialogo tra le generazioni ed i

quotidiani contatti umani. Il significato sacro del

numero sette così come il simbolismo dei cinque

elementi dell’antica cosmogonia vengono tra-

sformati nella sua arte e diventano segno di virtù,

di passione o di dolore.

I titoli delle opere sono dei punti di orientamento

nascosti ai visitatori - “Struttura Nera e Memorie

Futuri”, “I Cani Randagi vanno in paradiso”, “Ar-

cheologo della Memoria”, “Proto-Memoria”, “Au-

rora dello Spirito”, “Codici ed Incroci”, “Menhir. I

Anna Amendolagine, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura-Sofia, Dora Doncheva, curatore della mostra, Paolo Vivian, Polina Marinova - Vice Sindaco del Comune di Varna, Petra Dimitrova, Direttore della galleria Graffit

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014214

Voci di carta: le interviste di Gordio

Cinque elementi”, “L`excess. Fons excessorum”,

“Memorie del Ghiacciaio”, “Codice a Barre. Ferro”.

In questo modo l’artista riordina le percezioni del

suo pubblico e lo aiuta a fare una sua personale

ricerca ed un suo viaggio.

La password d’accesso in questo mondo imma-

ginario di segni è la parola “pace”, a cui l’artista

conferisce un ruolo centrale nel tempo presente.

Intrecciando liberamente gli artefatti culturali

accumulati, Paolo Vivian crea le sue sculture e

oggetti di legno, pietra o metallo, come segni dei

tempi in cui viviamo e codifica il futuro modello

della memoria tramite il “cuore” della sua mostra

ponendoci al centro anche il concetto di pace.

Dora DonchevaCuratore del progetto

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 215

Voci di carta: le interviste di Gordio

biografia

Paolo Vivian (1962, Serso di Trento) opera nel campo della

scultura, dell’installazione e della performance. Le sue opere

sono state presentate nel programma di Vilnius - Capita-

le Europea della Cultura 2009, in occasione della celebra-

zione del 100° anniversario dalla fondazione della città di

Differdange, nei progetti “L’angolo degli eroi” – Budapest,

“Natura e Arte” - sotto l’egida della Regina olandese, Off-

On - Amburgo, Exi(s)t- Varna, il Palazzo Ducale - Genova,

l’Abbazia augustiniana - Bolzano, Galleria “Aktus Magnus”

- Vilnius ed altri. Le sue opere monumentali fanno parte di

collezioni pubbliche in Natuurkunst - Drenthe (Paesi Bas-

si); Istituto Italiano di Cultura di Bergen (Norvegia); il Parco

Gerlache - Differdange (Lussemburgo); il Parco Tre Castagni

- Pergine Valsugana (Italia); Forst – Germania; Rabka-Zdroj

– Polonia; Kunstforum - Stubenberg (Austria); la Fondazio-

ne “Camille Claudel” - La Bresse (Francia) ed altri. Ha vinto

premi internazionali per la scultura in Italia e all’estero. Art

direttore e curatore dei progetti internazionali di scultura -

“Memoria della amnesia” (Pergine Valsigana, Trento 2007) e

“6x6” (Baselga di Pine, Trento 2008-2014); fondatore della

rete internazionale artistica sKulturclub . Vive e lavora a

Palù del Fersina, Trento, Italia.

CONTEMPOIl Festival Internazionale d’arte contempora-nea - Varna, Bulgaria, 2014

HORTUS MEMORIAE mostra personale di PAOLO VIVIANsculture, installazioni ed oggetti

Galleria Graffit - Varna, Bulgaria29 aprile - 31 maggio 2014

La mostra è realizzata con il sostegno del Fondo

“Cultura” del Comune di Varna, l’Istituto Italiano

di cultura di Sofia, la Fondazione “Raya Georgie-

va”, la galleria Graffit, la compagnia assicurativa

“Armeec”, la Bulgaria Air, Devnya Cement (Ital-

cementi group), Hotel Plaza, Grand Mobil, hotel

Plaza, Ginger coffee. Il progetto viene a sostene-

re la candidatura di Varna come Capitale Euro-

pea della Cultura nel 2019.

Paolo Vivianwww.paolovivian.it

Dora Donchevawww.contempovarna.org

Petra Dimitrovawww.graffitgallery.com

Istituto Italiano di Cultura - Sofiawww.iicsofia.esteri.it/IIC_Sofia

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014216

Il labirinto del Minotauro

ono molto più numerose le caratteri-

stiche che rendono gli esseri umani si-

mili fra loro se paragonate alle pretese

di originalità individuali, ed in molte occasioni ho

avuto la possibilità di evidenziare quali sono gli

aspetti evolutivi e migliorativi di questa afferma-

zione.

Eppure, specialmente in questo periodo, sembra

che la necessità di apparire diversi, migliori nelle

azioni e nelle intenzioni, rispetto all’andamento

silenzioso e spesso anonimo della vita quotidiana,

sia così importante che solo il sensazionalismo è

ritenuto degno di considerazione effettiva.

In realtà, nessun essere umano, anche quando ha

la possibilità di professare un credo esistenziale

che mette in luce con evidenza le proprie abilità,

può effettivamente affermare di essere nella vita

ciò che ha sempre desiderato diventare.

No, vi è sempre una quota di differenza, di ap-

prossimazione per difetto, che separa la realtà

della nostra vita quotidiana dal desiderio di rea-

Il labirintodel Minotauro

di Alessandro Bertirotti

Il Tempo Artistico

L’arte è l’unico codice comunicativo umano che sappia contenere l’umanità intera sotto lo cielo fermando il tempo quotidiano di tutti

S

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 217

Il labirinto del Minotauro

Proprio perché questa possibilità non ci è data, noi siamo l’unica specie vivente su questo pianeta ad aver inventato una situazione originale, completamente umana ed artefatta, che chiamiamo “esposizione artistica”

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014218

Il labirinto del Minotauro

lizzare in quella stessa vita qualcosa di originale

e totalmente nuovo. Ogni cosa nuova, per essere

tale, ha bisogno di essere riconosciuta dagli altri

come importante, necessaria ed utile, perché di

fronte alle leggi per la sopravvivenza che la Na-

tura impone a tutti noi, non ci si può permettere

il lusso di agire senza uno scopo preciso da rag-

giungere ed importante per tutti. Non possiamo

agire nel mondo senza migliorare noi stessi nel

mondo, mentre tutto ciò che ci circonda, in qual-

che modo e misura, vive assieme con noi, condi-

videndo aspettative e desideri.

Eppure, proprio perché questa possibilità non ci

è data, noi siamo l’unica specie vivente su questo

pianeta ad aver inventato una situazione origi-

nale, completamente umana ed artefatta, che

chiamiamo “esposizione artistica”. E non vi è bi-

sogno di una Galleria d’arte, così come non vi è

bisogno di un teatro per essere e diventare attori,

mentre certamente basta un palcoscenico, ossia

un luogo dove potersi mettere in scena cercando

di raccontarsi come si vorrebbe essere rispetto a

come si è.

Ecco cosa sono le Gallerie d’Arte, i luoghi dove si

espone il desiderio, dove tutto si mette in scena

cercando di rispettare quello che nella vita quo-

tidiana non possiamo esprimere, per una serie di

motivi, nel contempo, seri e futili.

E nel luogo espositivo dove ci rechiamo ad am-

mirare le opere d’arte si ferma il tempo della vita

quotidiana, perché, visitando le opere, con il cor-

po e la mente, durante la passeggiata che spesso

un’esposizione richiede al visitatore, ci costrin-

giamo a riflettere sulle intenzioni creative dell’ar-

tista e sulle proprie, come visitatori.

Per questo sostanziale motivo, ritengo che non

sempre sia utile sostenere, come alcuni famosi

intellettuali pensano, che il Museo e le Gallerie

d’arte debbano uscire dai loro luoghi consueti

e riversarsi nelle strade, sostenendo che solo in

questo modo le opere stesse prendono vita. In

realtà, anche nel tempo immobile di una galle-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 219

Il labirinto del Minotauro

ria d’arte, dove tutte le cose restano al loro posto

fino a quando l’esposizione non viene smontata,

le opere, assieme ai visitatori, vivono, esistono e

ci cambiano.

Entrare in un luogo, che è un preciso territorio,

all’interno del quale compiamo la promenade che

ci porta in un mondo esterno a quello di tutti i

giorni, si annulla il tempo delle cose che si usura-

no, e il passato, il presente e il futuro si trovano

tutti assieme appesi alla stessa parete, oppure fis-

sati in una statua appena scolpita.

Ecco perché, il luogo dove ognuno di noi si rap-

presenta per quello che vorrebbe essere, o diven-

tare, oppure crede di essere stato, senza avere an-

cora pensato al proprio futuro, è il luogo dell’arte,

dell’esposizione artistica dove avviene quel ritua-

le dialogico che mette in relazione l’artista, le sue

opere e il tempo del fruitore. E lì, non vi è fretta

o lentezza, perché l’attenzione alle opere diventa

qualcosa di personale, andando, come accade per

i ricordi secretati nella nostra memoria, a scoprire

quanto intima può essere l’espressione originale

di un’artista. E se siamo persone attente, ci ren-

diamo conto che l’intimità, la dimensione inte-

riore di ognuno di noi, è la cosa più preziosa che

dobbiamo tutelare. L’intimità possiede il tempo

immobile della meditazione, mentre lo spazio di-

venta una sorta di rituale collettivo, la promena-

de, che mette in relazione le intenzioni dell’artista

con quelle del fruitore.

Avvengano dunque le interazioni e si continui a

costruire chiese, luoghi sacri, musei e gallerie, fa-

cendo sì che le mistificazioni imposte alla nostra

attenzione dalla fretta di vivere non oltrepassino

le loro soglie, restino fuori da questi luoghi, nei

quali si realizza la perfezione del tempo artistico:

la meditazione.

Alessandro BertirottiAntropologo della mente

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014220

La Storia & le Storie

a storia dell’Azerbaijan, il più esteso

degli stati del Caucaso, da sempre

terra di incontro e convivenza di cul-

ture e naturale cerniera tra l’Asia e l’Europa, ha

origini antichissime, risalenti fino al Paleolitico, e

nella sua evoluzione millenaria ha inciso in pro-

fondità nel processo di formazione della civiltà

e della cultura della Mesopotamia. Tra le prime

tracce di insediamenti umani (Homo Sapiens

sapiens) diffuse su un ampio territorio (Qazma,

Qobustan, Həsənli, Firuz) dopo la fine dell’ultima

Era Glaciale (10.500 a.C.) vi sono quelle ascritte

alla cosiddetta Cultura del Kura-Araxes (dal ba-

cino fluviale dell’Arasse, ca. 3400 – 2000 a. C.),

che vide inizialmente la diffusione della cultura di

tipo “indo-mesopotamico” (su modello delle città

dell’Indo di Mohenjo-daro e Harappa) e “Cauca-

sico” irradiatesi dalle città e regni mesopotami-

ci e che condividevano una cultura più o meno

coerente (Ittiti, Urriti, Mitanni, Gutei, Assiri). Tra

le prime città-stato definibili da un punto di vi-

La storia& le storie

di Diletta Cherra e Federico De Renzi

Storia dell’Azerbaigian, dagli Achemenidi all’avvento dell’Islam

Tra le prime città-stato definibili da un punto di vista cronologico e l’annessione al Regno dei Medi prima e dunque all’Impero Achemenide intercorsero oltre 1500 anni. La regione fu prima sotto il controllo prima degli urriti, legati al multietnico Regno dei Mitanni

L

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 221

La Storia & le Storie

La presenza massiccia di Popoli delle Steppe (Cimmeri prima, Medi e Sciti poi) fece sì che la regione dell’attuale Transcaucasia (a nord dell’Arasse), venisse considerata da Erodoto come parte della Scizia, e così era vista anche dai sovrani Achemenidi

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014222

La Storia & le Storie

sta cronologico e l’annessione al Regno dei Medi

prima e dunque all’impero Achemenide intercor-

sero oltre 1500 anni. La regione fu prima sotto

il controllo prima degli Urriti (popolazione forse

di lingua kartvelica, o anche caucasica), legati al

multietnico Regno dei Mitanni (dove una élite

indo-aria dominava una popolazione “urrita”, ca.

1500 – 1300 a.C.), poi a partire dal XII sec a.C.,

cadde sotto il Regno di Urartu (forse legato lin-

guisticamente con i primi). Nel periodo IX-VII sec.

a.C. la regione vide dunque tre principali entità

statuali, note come Urartu, Etio (Etiuni, assorbi-

to dagli Urartei) e Mannu (Mannei), più o meno

ostili al rinato impero Neo-assiro (934 – 609 a.C.),

vera potenza regionale. Di qui passarono prima

i Cimmeri (1300 - 700 a. C.), prima popolazione

“indoeuropea” delle Steppe a essere ricordata ne-

gli annali sia dagli Assiri che dai loro nemici). Nel-

la regione giunsero poi i Medi, inizialmente (X –

VII sec. a.C.) come sudditi degli Assiri e poi, alleati

dei Babilonesi di Nabopalassar (r. 625 – 605 a.C.)

e degli Sciti (Saka), come nemici, partecipando

attivamente nella rivolta all’impero e alla stessa

distruzione di Ninive (616 – 605 a.C).

La presenza massiccia di Popoli delle Steppe (Cim-

meri prima, Medi e Sciti poi) fece sì che la regio-

ne dell’attuale Transcaucasia (a nord dell’Arasse),

venisse considerata da Erodoto come parte della

Scizia, e così era vista anche dai sovrani Acheme-

nidi. Nel periodo della dominazione degli Ache-

menidi (550 al 330 a. C.), l’attuale Azerbaigian era

stato parte integrante della satrapia della Media

con il nome di Media Atropatene (anche cono-

sciuta come Media minore), dal nome del satrapo

persiano Atropate cui era stato affidato il gover-

no di questa provincia, ma con la caduta dell’im-

pero degli Achemenidi e la morte di Alessandro il

Macedone per la Media Atropatene si determina

l’occasione per divenire una regno indipendente

sotto una vera e propria dinastia locale che, tra

alterne vicende, durò fino al I secolo a. C.

Atropatene Historyof Iran

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 223

La Storia & le Storie

L’origine del nome Azerbaigian è infatti contro-

versa. Le due interpretazioni prevalenti le attri-

buiscono, da una parte, una derivazione da un

termine della religione dello Zoroastrismo, mol-

to radicata nel territorio e dedita al culto del

sacro fuoco, per cui Azerbaigian equivarrebbe a

“terra del fuoco” o “terra dei fuochi”, per la pre-

senza dei numerosi templi illuminati da fuochi

che ardevano perenni; la seconda interpreta-

zione vedrebbe, invece, nel termine Azerbaigian

la corruzione lessicale, da parte di popolazioni

di lingua iranica in-

sediatisi nel territorio

(genericamente noti

come Medi), del nome

Atropatène, derivante

dal satrapo persiano

Atropate, l’ex gover-

natore della Media occidentale sotto il cui do-

minio il territorio divenne regno indipendente

dopo la morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C.

Proprio la fine del periodo ellenistico rappresen-

ta un momento cruciale per la costituzione ter-

ritoriale e storica del futuro Azerbagjan, perché

è in questo periodo che il suo territorio e la sua

storia iniziano a definirsi in maniera specifica

e autonoma attraverso le vicende parallele e il

processo di autonomia delle due province ache-

menidi della Media Atropatene e dell’Albania

Caucasica.

Nel 323 a.C inizia la spartizione del vasto impero

greco-macedone (spartizione di Babilonia) tra i

generali di Alessandro, i diadochi, ed è in que-

sto processo di parcellizzazione territoriale che

l’ex provincia della Media Atropatene diviene,

con Atropate, una realtà autonoma chiamata

Atropatene, in greco ᾿Ατροπατήνη, in persiano

Aturpatakan e poi Adurbadagan, da cui derive-

rebbe il nome Azerbaigian.

L’area geografica di questo regno indipendente, il

cui nucleo centrale fu sempre l’area montagno-

sa a est del lago Urmia, doveva corrispondere ad

un’area approssimativamente delimitata a nord

dal fiume Araxes (Arasse), che lo separava così da

quella che gli autori classici chiamano Armenia e

dall’Albania Caucasica, a est dalle montagne lun-

go il Mar Caspio, a ovest dal lago Urmia (l’antico

Matiane Limne) e dalle montagne dell’attuale

Kurdistan, a sud, in-

fine, dal fiume Ar-

mados, individuando,

dunque, un territorio

oggi compreso tra

l’Iran, l’attuale Azer-

baigian persiano, la

Repubblica di Armenia e il Nagorno Karabakh.

A nord di Atropatene si estendeva quindi l’Al-bania Caucasica, il cui territorio corrispondeva

quasi interamente a quello che oggi è l’Azerbai-

gian settentrionale. Come la Media Atropatene,

anche l’Albania Caucasica, come già accennato,

fu in età achemenide provincia sotto il dominio

del satrapo Atropate, rientrando dunque nell’or-

bita dell’impero degli Achemenidi prima, e di

quello macedone dopo. Lo storico Arriano, che

con la sua Anabasi costituisce la prima fonte

sull’Albania Caucasica, ricorda infatti gli Albani

accanto ai Medi tra i popoli agli ordini di Atropa-

te nella battaglia di Gaugamela, combattuta tra

Alessandro Magno e il sovrano achemenide Dario

III nel 331 a.C., testimonianza che conferma l’an-

tico nesso tra le due province da cui nascerà, nel

corso dei secoli, la terra d’Azerbaigian.

La dinastia fondata da Atropate regnò su Atropa-

L’origine del nome Azerbaigian è controversa: equivarrebbe a “terra del

fuoco” o “terra dei fuochi”

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014224

tene per alcuni secoli, prima in maniera indipen-

dente, poi sottoposta ai Seleucidi e ai Parti, costi-

tuitisi in regno nel 247 a.C., fino a divenire, nel I

secolo a.C, alleata dei Romani nella loro strategia

di contenimento della potenza partica nel Cauca-

so. A partire dal I secolo a.C. il Caucaso meridio-

nale entrò infatti nella sfera di interesse di Roma,

che vi si mosse con la consueta energia pur senza

mai riuscire a sottometterlo, e la lotta per il con-

trollo del Vicino Oriente tra Parti e Romani coin-

volse profondamente la Transcaucasia, i cui regni

avrebbero conosciuto nei secoli continui passaggi

di mano dalla sovranità romana a quella partica.

Per ottenere il controllo dell’Alta Mesopotamia e

consolidare il confine orientale dell’impero, Roma

diede dunque inizio ad una serie di campagne

militari nella regione, prima con le guerre contro

Mitridate Eupatore (r. 120–63 a.C.), re del Ponto,

poi con le guerre contro la Partia, queste ultime

protrattesi per circa tre secoli fino alla sconfitta

dei Parti ad opera dei Sassanidi.

Con il I secolo a.C., i Romani entrarono quin-

di progressivamente in contatto con gli stati

nati a oriente dell’Eufrate in seguito alla caduta

dell’impero Seleucide, tra cui l’Albania Caucasica

e la Media Atropatene, che vennero inserite nel

dispositivo strategico romano. Nel 69 a.C. con Li-

cinio Lucullo prima, e poi nel 66 a.C. con Pompeo

(nominato dal Senato al posto del primo a causa

dello scarso successo ottenuto nella campagna),

le operazioni in Oriente portarono infatti ad un

isolamento del re Mitridate Eupatore, re del Pon-

to, e dei suoi alleati, tra cui Iberi e Albani così,

dopo aver combattuto e vinto i primi, Pompeo,

all’inseguimento di Mitridate, entrò in Albania

e si scontrò, sconfiggendole, con le forze del re

albano Oroeze. I Romani avanzarono poi in dire-

zione del Caspio e nel 62 a.C. Pompeo, vittorioso,

celebrò a Roma il trionfo anche su Albani e Iberi.

L’obiettivo principale di Pompeo era quello di

annientare il re del Ponto e di dare alle nuove

regioni una condizione di stati-scuscinetto, to-

L’impero Romano al tempo di Augusto nel 30 a.c.

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 225

La Storia & le Storie

gliendo così a Mitridate i sudditi alleati e contro-

bilanciarne la presenza con una potenza fedele

a Roma. Il controllo dei regni caucasici di Iberia

e Albania, e per certi versi dello stesso regno di

Armenia, corrispondeva a questa logica e mira-

va, al contempo, a rafforzare l’immagine di Roma

di fronte al crescente e sempre più minaccioso

regno della Partia. Le guerre mitridatiche e le

campagne di Pompeo avevano infatti spostato

oltre l’Eufrate l’epicentro della politica orientale

romana portando alla ribalta la potenza partica,

ancora non completamente nota nella sua realtà

a Roma, e dando, allo stesso tempo, un nuovo

ruolo strategico alla Transcaucasia. Con l’ulterio-

re spostamento del limes imperiale ad oriente,

per Roma divenne allora necessario consolidarsi

nel Caucaso e contenere il potere e l’espansione

dei Parti, necessità che fu confermata dalla di-

sastrosa campagna di Licinio Crasso del 53 a.C.

(Battaglia di Carre (Carrhae), oggi Harran, in Tur-

chia sud-orientale) e dall’uccisione di questi per

mano del generale partico Surena. La disfatta di

Crasso, dovuta anche al presunto tradimento del

re Armeno Artavasde, confermò la strategia cau-

casica di Roma ponendo le basi per le successive

campagne contro i Parti.

Con Marco Antonio, Roma avvertì la necessità

di prevenire possibili attacchi da parte delle po-

polazioni locali nelle nuove zone-cuscinetto e di

assicurarsi, allo stesso tempo, la loro assistenza

militare e logistica nelle possibili e future opera-

zioni contro la Partia. Nel 37-36 a.C. Antonio fu

costretto ad inviare nella regione P. Canidio Cras-

so per sedare alcune rivolte e in quest’occasione

Roma ottenne una vittoria tattica su Armeni, Ibe-

ri e Albani, arrivando ad invadere e conquistare

l’Albania che divenne, almeno nominalmente, un

protettorato romano, e dando il via ad una con-

dizione di vassallaggio che si protrasse per quasi

tre secoli. Antonio fece dell’Armenia la sua base

per un’invasione della Media Atropatene, ma a

causa di un attacco a sorpresa dei Parti dovette

Regione Caucasica

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014226

La Storia & le Storie

abbandonare l’assedio della capitale Fraata, e tor-

nare in Armenia. Poco dopo la disfatta dei Roma-

ni, tra Artavasde (59 ca.- 20 a.C.) I di Atropatene

e Fraate IV (r. 37-2 a.C.), nuovo sovrano partico,

sorsero delle rivalità circa la divisione dei bottini

e lo status di autonomia del regno di Atropatene,

con il risultato che il re medo giunse ad offrire ad

Antonio un’alleanza, accettata nel 33 a.C. Questa

venne ben accolta da Antonio che sperava ancora

nel sostegno dell’Atropatene contro i Parti e per

rinsaldare i legami con il re medo Antonio fece

fidanzare suo figlio

Alessandro Helios con

la figlia di Artavasde,

Iotape. Quando Anto-

nio fu costretto a ri-

tirare i distaccamenti

romani dalla Media

per condurre la guerra

contro Ottaviano, il re

medo Artavasde non poté resistere a lungo con-

tro i Parti.

Nonostante il fallimento della spedizione di An-

tonio, dovuto alla condotta ambigua del re di

Armenia Artavasde II, le posizione di Roma, pur

indebolitesi, rimasero sostanzialmente inaltera-

te, creando pur tuttavia le condizioni favorevoli

per un distacco di Iberia e Albania dall’Armenia,

la quale, nel frattempo con l’ascesa al trono di

Artaxias II (r. 34-20 a.C), era tornata nella sfera di

influenza partica.

Con Augusto Roma tornò ad esercitare un con-

trollo su Albani, Iberi e la Media Atropatene. I

buoni rapporti con la Media Atropatene, ostile

alla Partia, si concretizzarono con la concessione

del regno della Piccola Armenia al re Artavasde I,

nel 31 a.C. Nel 30 a.C. Artavasde I fu fatto prigio-

niero dai Parti ma, riuscito a fuggire grazie alla

guerra civile scoppiata tra Fraate IV e il rivale al

trono partico Tiridate, si rifugiò presso Ottaviano

e morì a Roma poco prima del 20 a.C. Nel frat-

tempo la morte del re di Armenia, Artaxias, offrì

all’imperatore Augusto l’occasione per riaprire la

contesa sulla successione al trono armeno e, allo

stesso modo, sulla Media Atropatene, nominando

sovrano di entrambe i regni il figlio di Artavasde I,

Ariobarzane II. Con la nomina di questi, dunque,

sia la Media Atropatene che l’Armenia vennero

unificate sotto un solo

sovrano. Con l’incoro-

nazione di Artabane II

(r. 10-38 d.C.), la Par-

tia tentò di riprendere

le posizione perdute

nell’area subcauca-

sica, riaffermando la

sua egemonia sull’Ar-

menia. Il principe partico Vonone, cresciuto a

Roma e romanizzato, cercò l’appoggio di questa

per riaffermare il suo potere in Armenia. Nel 19

o 20 d.C., con l’assassinio del figlio e successore

di Ariobarzane, Ardavsde II, cessò il dominio della

dinastia fondata da Atropate sulla Media. I Parti,

in seguito ai negoziati del trattato di pace del 18-

19 d.C. tra Germanico e Artabane II, consentirono

alla Partia di tornare ad esercitare un controllo

sulla regione della Media facendone un regno

vassallo.

Negli anni seguenti i rapporti di Roma con Iberia

e Albania sembrano tornati buoni tanto che alla

morte del sovrano armeno Artaxias (r. 18-34 d.C),

e al rinnovarsi dello scontro tra Roma e la Partia

per il controllo dell’Armenia, Tiberio (r. 14-37 d.C.)

ottenne l’aiuto dei due regni caucasici, i cui sovrani

Con Augusto, Roma tornò ad esercitare un controllo su Albani, Iberi e la

Media Atropatene. I buoni rapporti si concretizzarono con la concessione del regno della Piccola Armenia al re

Ardavasde I

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 227

La Storia & le Storie

non solo combatterono contro i Parti ma, aperto il

passo di Darial (Porte Caspiche), lasciarono che gli

Alani invadessero l’Armenia. La scelta strategica di

Tiberio di puntare sull’alleanza con l’Iberia e l’Al-

bania in funzione anti-partica si rivelò vincente e

i Romani riuscirono a prevalere ancora una volta

nel controllo della corona di Armenia, che venne

assunta da Mitridate iberico, ma i rapporti di forza

nel Caucaso mutarono nuovamente quando Ca-ligola (r. 37-41 d.C) richiamò e trattenne a Roma

Mitridate lasciando l’Armenia in balia dei Parti.

Con Claudio (r. 41-54 d.C) Mitridate venne libe-

rato e gli venne riconsegnata la corona dell’Ar-

menia. Le tensioni tra Armenia e Partia ricomin-

ciarono e nel 51 d.C. Il sovrano iberico Radamiste

assassinò Mitridate per impadronirsi del trono,

aprendo così l’Armenia alla dominazione di un

ramo cadetto dei Parti arsacidi. Radamiste tut-

tavia non riuscì a consolidare il suo potere in Ar-

menia ottenendo di fatto un aggravamento della

situazione politica interna e la dichiarata ostilità

di Roma. Di questa situazione di debolezza ne

approfittò il re partico Vologese I (r. 51 - 78 d.C.),

che invase il regno armeno mettendo sul trono il

fratello Tiridate I (r.54 ca.-58; 63-100 d.C.)

Con Nerone (r. 54 – 68 d.C) Roma rispose invian-

do in Oriente il generale Domizio Corbulone che

con l’appoggio dello stesso Farasmane costrinse il

nuovo re partico a fuggire dalla sua capitale Ti-

granocerta (oggi presso Diyabakir, Turchia).

Dopo un periodo di tregua Vologese I tornò ad at-

taccare l’Armenia dove, con il sostegno di Roma,

regnava il principe erodiano (bisnipote di Erode il

Grande di Giudea) Tigrane VI (r.58-63 d.C.) (Gaio

Giulio Tigrane) e indusse Roma ad accettare una

resa che avrebbe segnato la consegna dell’Arme-

nia ai Parti. Roma si rifiutò di ratificare gli ac-

cordi e inviò nuovamente Corbulone il quale, nel

63 d.C., giunse ad un’intesa con Tiridate, siglando

un accordo a Rhandeia. Secondo questo accor-

do i Romani accettavano che la corona andasse

ad un membro della famiglia arsacide e questi,

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014228

La Storia & le Storie

a sua volta, acconsentiva a riceverla dalle mani

dell’imperatore romano. Nel 66 d.C. Tiridate rice-

vette dunque da Nerone l’investitura del regno.

La tregua romano-partica influì negativamente

sui rapporti tra Roma e Iberia, dato che questa

si era sempre dimostrata fedele a differenza de-

gli Albani, ostili e generalmente filopartici. Con

il trattato di Rhandeia Farasmane perse definiti-

vamente l’opportunità di insediare sul trono ar-

meno un rappresentante della sua famiglia e di

estendere il suo territorio ai danni dell’Armenia.

Le linee fondamentali del nuovo approccio roma-

no alla Transcaucasia vennero decise nel 67 d.C,

ma l’uccisione di Nerone, l’anno seguente, va-

nificò il potenziamento del controllo sulla costa

pontica e sulla Colchide, oltre che sulle vie che

mettevano in comunicazione la costa con l’inter-

no della Transcaucasia, facendo cadere i disegni

di conquista. La mancata realizzazione della spe-

dizione neroniana e la guerra civile del 68-69 d.C,

seguita alla morte dell’Imperatore, indebolirono

ulteriormente la posizione di Roma nel Caucaso.

Per contro i Parti dominavano sull’Armenia e la

Media Atropatene ma il loro controllo politico,

economico e culturale si spingeva fino all’Alba-

nia. Attorno al 72 d.C. la popolazione sarmatica

degli Alani fece un’incursione ai danni dell’Arme-

nia e della Media Atropatene, probabilmente in

concerto con gli Iberi. Questi ultimi, infatti, sen-

tendosi liberi dal controllo di Roma ma assediati

dai Parti avrebbero tentato di indebolire il potere

di questi ultimi.

La forza distruttrice degli Alani potrebbe aver

confermato all’imperatore Vespasiano (r. 69-79

d.C.) il timore che l’instabilità nel Caucaso potesse

rappresentare un pericolo per i territori dell’Asia

Minore. Tanto Vespasiano quanto i suoi succes-

sori risposero operando per modificare i rapporti

di forza lungo il limes orientale dell’impero, nel

Caucaso e lungo il Caspio. Tra il 70 e il 74 d.C. Ve-

spasiano riorganizzò la frontiera nord-orientale

rimodulandone l’assetto provinciale, incrementò

Impero Persiano

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 229

La Storia & le Storie

la presenza militare nella regione e pose sotto il

controllo romano la rete viaria che univa l’Ana-

tolia all’Armenia e alla Partia. La presenza di un

distaccamento della Legio XII Fulminata ad una

distanza di alcuni chilometri dalla costa caspica

(69 km a sud di Baku) è testimoniata da un’iscri-

zione risalente agli anni tra l’83 e il 93 del regno

di Domiziano.

La situazione politica dei Flavi e la loro condotta

nei rapporti con i regni sub caucasici furono se-

gnate dalla continuazione del processo di pene-

trazione nella regione,

intensificando le rela-

zioni amichevoli con

Iberia e Albania, dove

dislocarono guarnigio-

ni e imposero gradual-

mente il loro controllo.

Tra la fine del principato dei Flavi e l’inizio del-

la campagna partica di Traiano (r. 98-117 d.C)

la scarsezza delle fonti rende problematica l’in-

terpretazione delle relazioni romano-albane. Nel

114 d.C. a causa del riesplodere dei contrasti per

una nuova crisi dinastica armena, seguita alla

morte di Vologese I, Traiano occupò l’Armenia

annettendola all’impero come provincia. Prima di

sferrare l’offensiva che lo avrebbe portato sino a

Ctesifonte. l’imperatore incontrò i sovrani di al-

cuni popoli orientali al fine di rinsaldare i rappor-

ti di fedeltà a Roma in vista della penetrazione

nella Mesopotamia. Durante l’incontro di Satala

Traiano ristrutturò il potere politico degli Albani

annettendolo sotto il diretto controllo di Roma.

Gli Albani furono dunque indotti a rientrare

nell’orbita di Roma dal nuovo prestigio conferi-

to all’impero dalla spedizione partica di Traiano.

Questi mostra infatti, ancora una volta, di consi-

derare strategica l’alleanza con i regni caucasici

in funzione antipartica e anche se la sua politica

di conquista e annessione può apparire un ele-

mento nuovo rispetto al passato, non di meno vi

si può vedere il momento culminante della pa-

rabola che aveva portato Roma ad affermare e

rafforzare le sue posizioni in Oriente e nel Cau-

caso fino al punto di portare le sue armi nel cuore

dell’impero partico.

La rivolta nella Mesopotamia nel 115 d.C. e la

morte di Traiano nel 117 d.C segnarono una pau-

sa nella politica di

espansione romana.

Con Adriano (r. 117-

138 d.C) venne ripri-

stinata sul confine

orientale una situa-

zione analoga a quella

esistente al tempo dei Flavi. Le nuove conquiste

vennero abbandonate e l’Armenia riportata allo

status di regno autonomo sotto il controllo ro-

mano. Durante il suo regno l’Albania venne nuo-

vamente invasa dagli Alani aggravando le tensio-

ni esistenti tra re Farasmane (II o III) (r. 116-132

ca.) e Adriano, causando danni anche alla Media

Atropatene e giungendo fino all’Armenia e alla

Cappadocia.

Con Antonino Pio (r. 138-161 d.C) i rapporti tra

Albania e Roma si normalizzarono e a partire dal

principato di Marco Aurelio fino alla metà del

III secolo l’Albania è assente dalle testimonian-

ze storiche, nonostante l’impegno di Roma sul

fronte partico fosse particolarmente intenso. Con

Settimio Severo (r. 193-211 d.C.), la linea dell’Eu-

frate fu oltrepassata sia dall’offensiva partica

verso la Siria che dalle armate imperiali le quali

misero nuovamente a sacco la capitale Ctesifon-

Gli Albani furono dunque indotti a rientrare nell’orbita di Roma dal nuovo

prestigio conferito all’Impero dalla spedizione partica di Traiano

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014230

La Storia & le Storie

te. L’abbandono della strategia di accerchiamento

di Armenia e Partia e la concentrazione dell’at-

tenzione sulla frontiera dell’Eufrate, dovuta alle

offensive partiche, contribuirono ad allentare la

pressione romana sui territori transcaucasici fa-

vorendo il distacco dell’Albania dal controllo di

Roma.

Si chiude così la fase storica in cui si era andato

delineando il processo di creazione dell’Albania

del Caucaso e definendo la sua funzione stra-

tegica, accanto alla Media Atropatene, per gli

equilibri politici dell’area sub caucasica rispetto

all’impero romano. Nella suo lungo impegno

sul fronte del Caucaso e dell’alta Mesopotamia,

Roma poté esercitare sull’Albania Caucasica solo

un controllo indiretto, facendone uno stato vas-

sallo nella sua politica anti partica, ma non fu mai

in grado di annetterla come provincia all’impero,

come accadde invece con l’Armenia. Conclusa la

parabola dell’espansionismo imperiale romano,

l’Albania Caucasica conobbe un nuovo periodo

di definizione della sua identità storica e statuale

rientrando nell’orbita di influenza persiana e, a

partire dall’inizio del IV secolo d.C, nell’ecumene

cristiano.

L’avvento dei Sassanidi in Persia nel 224 d.C.

contribuì ad aggravare l’instabilità della fron-

tiera orientale dell’impero romano e dell’intera

Transcaucasia. L’ideologia sassanide rifacendosi

all’antica tradizione della potenza achemenide

considerava i tre regni alle pendici del Caucaso,

ovvero Atropatene, Iberia e Albania, come parte

integrante dello stato persiano. L’atteggiamento

imperialistico e il dinamismo militare che carat-

terizzarono la politica sassanide sin dal suo inizio

obbligarono Roma ad assumere una posizione di-

fensiva nella regione e solo alla fine del III secolo,

con la pace di Nisibi, si stabilì un nuovo equilibrio

tra i due imperi. Lo stesso fondatore della dinastia

sassanide, Ardashir I (r. 224-240 d.C), tentò a più

riprese di sfondare il limes romano ad occidente.

Le vicende belliche proseguirono sotto il succes-

Impero Romano alla morte dell’Imperatore Traiano

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 231

La Storia & le Storie

sore Shapur I (r .240-272 d.C), il quale nel 244 d.C.

impose all’imperatore Filippo l’Arabo (r. 244-249)

una pace effimera. Qualche anno dopo i Sassanidi

occuparono l’Armenia, che divenne una provincia

persiana, e riuscirono ad annettere anche l’Ibe-

ria e l’Albania. La controffensiva romana, guidata

dall’imperatore Valeriano (r. 253-260 d.C) si risol-

se in un disastro senza precedenti con la cattura

dello stesso imperatore ad Edessa. Fino a questo

momento Iberi e Albani non erano stati ancora

sottomessi dai Sassanidi, mantenendo anzi una

posizione piuttosto favorevole a Roma, tanto da

poter partecipare ad una possibile controffensi-

va. La rivolta dei re di Palmira, Settimo Odenato (r.

260 ca.-268) e Zenobia (r.268-274), determinando

la ritirata dall’Oriente di Roma, fece sì che la con-

quista sassanide della Transcaucasia si attuasse.

L’Albania appare infatti tra le province Sassani-

di elencate nell’iscrizione trilingue di Shapur I a

Naqš-e Rustam. La riconquista dell’Oriente, da

parte di Roma, avvenne sotto Aureliano (r. 270-

275 d.C.) e l’autorità romana sulla regione, per

quanto non completa, venne ristabilita da Dio-

cleziano (r. 284-305 d.C.). Con questi la Mesopo-

tamia e l’Armenia passavano nuovamente sotto

il dominio romano mentre l’Iberia e l’Albania ri-

manevano sotto il controllo dell’impero persiano.

Nel corso del IV d. C. secolo si assiste al definitivo

affermarsi del Cristianesimo nella Transcauca-

sia. La sua adozione come religione di Stato da

parte dell’Armenia, dell’Albania e dell’Iberia non

è che il completamento di un lungo processo di

penetrazione e diffusione della nuova dottrina

nella regione. Nelle fonti scritte la cristianizzazio-

ne dell’Albania e delle altre regioni del Caucaso

sudorientale è presentata come un fenomeno

complesso fatto di fasi di grande slancio e di

momenti di regressione, che si avvalse di stimoli

provenienti da luoghi e ambienti culturali diver-

si. L’affermarsi del Cristianesimo costituisce un

evento cardinale anche per il contributo che esso

diede alla formazione della coscienza nazionale

Impero Romano nel terzo secolo

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014232

La Storia & le Storie

degli stati caucasici, generalmente considerati

terra di frontiera anche rispetto alla cristianità.

Il loro avvicinamento al Cristianesimo significò

anche un loro avvicinamento all’impero romano,

divenuto a sua volta cristiano alla fine del IV se-

colo, e una notevole riduzione dell’influsso cultu-

rale iranico, divenuto sempre più predominante

con l’affermarsi della potenza sassanide.

Per l’Albania, in particolare, la penetrazione del

Cristianesimo sembrerebbe iniziata già in età apo-

stolica e si può ricondurre la prima fase di diffu-

sione della fede in Al-

bania ad un discepolo

dell’apostolo Taddeo,

Eliseo, che, ricevuto

da San Giacomo l’in-

carico di evangeliz-

zare l’Oriente, iniziò

la sua predicazione a

Cora e fondò la prima

chiesa cristiana a Gis. Organizzata religiosamente

intorno ad un proprio catholicos, discendente da

San Gregorio Illuminatore (ca. 257-ca. 332), fon-

datore della Chiesa apostolica armena, l’Albania

si dotò presto di un alfabeto nazionale anche al

fine di disporre di uno strumento efficace per la

diffusione dei testi sacri nella lingua autoctona.

In questo modo la nuova religione diede indiret-

tamente impulso alla nascita di una letteratura

locale e contribuì a forgiare la cultura nazionale

albana.

Nella Transcaucasia le vie della cristianizzazione

s’imbatterono presto nei precari equilibri politici

tra Romani e Persiani. A partire dal IV secolo l’Al-

bania, come rivelano le fonti, appare sempre più

vicina alla Persia e dalla metà del secolo la sua

partecipazione alle azione dei Sassanidi ai danni

di Roma si fa sempre più frequente. Nel 359 d.C.

I persiani invasero al Mesopotamia e conquista-

rono l’importante fortezza di Amida. Al fianco di

Shapur erano il re dei Chioniti (o Kidariti, popola-

zione forse iranica, proveniente dalla Transoxiana e

nel V secolo scacciata in India dagli Eftaliti, o Unni

Bianchi, anch’essi un insieme di popolazioni irani-

che del Tokharistan e forse “altaiche” che all’inizio

del VI secolo distrussero l’Impero indiano dei Gupta)

e «il rex Albanorum, pari loco atque honore su-

bilimi». L’Albania si schierò dunque apertamente

con la Persia mentre

l’Armenia continuò a

mantenere un atteg-

giamento ambiguo e a

cercare, almeno fino al

363 d.C, un equilibrio

tra la potenza romana

e persiana. Con la pace

del 363 d.C. siglata tra

gli imperatori Gioviano e Shapur II (r. 309-379)

Roma rinunciò però al controllo di tutta Meso-

potamia settentrionale fino alla città di Nisibi e

l’Armenia si trovò abbandonata dall’alleato ro-

mano. Per i Persiani divenne allora fondamentale

rafforzare il confine settentrionale dell’impero

lungo i passi caucasici, li dove si profilava la nuo-

va minaccia delle popolazioni nomadi stanziate a

nord del Caucaso.

Nel 372 d.C. l’Albania, alleata di Shapur II, inva-

se l’Armenia e benché il re albano Urnayr venisse

sconfitto a Bagavan Shapur lo aiutò ad imposses-

sarsi delle province armene di Uti, Šakašen, Kolt,

Gardman che divennero così parte integrante

dell’Albania. Nel 387 Persiani e Bizantini si accor-

darono sulla divisione dell’Armenia che venne sud-

divisa lungo la linea Teodosiopoli (Karin)-Amida.

Nel 372 d.C. l’Albania, alleata di Shapur II, invase l’Armenia e benché il re albano Urnayr venisse sconfitto

a Bagavan, Shapur lo aiutò ad impossessarsi delle province armene di

Uti, Šakašen, Kolt, Gardman

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 233

La Storia & le Storie

Questa ripartizione fu l’occasione per l’Albania

di espandersi ulteriormente erodendo territori

dell’Armenia di parte persiana e di ampliare il suo

territorio a sud del fiume Kura, annettendo l’Owtik

e l’Arc’ax. A fronte di questa espansione ai danni

dell’Armenia, il regno albano si dimostrò invece

incapace di mantenere nella sua orbita i territori

della costa caspica, difficoltà che spinse i Sassa-

nidi ad istituire un marzpān, un governatorato,

nella regione di Cora, con la finalità di controllare

questo passo strategico da eventuali attacchi dalle

popolazione stanziate al nord.

L’alleanza tra l’Albania e la Persia, rafforzatasi nel

corso IV secolo, si incrinò nel secolo successivo per

questioni religiose quando l’imperatore persiano

Yazdegerd II (r. 438-457), con un editto, impose

ai sudditi cristiani di convertirsi al Mazdeismo

con lo scopo di vincolarli ancora di più all’impero.

Gli Albani, insieme ad Armeni e Iberi, si ribellaro-

no nel 450 d.C. e mossero guerra alla Persia che

perse lo strategico marzpān di Cora, sottoposto

da allora al principe albano Vahan. Alla morte di

questi l’Albania rimase per oltre trenta anni sen-

za un sovrano. Fu il sassanide Balas a decidere di

ristabilire la monarchia nominando re Vacagan,

detto il Pio per lo zelo dimostrato nella difesa del

Cristianesimo e nell’avversione contro il mazdei-

smo e le pratiche pagane ancora molto diffuse

in Albania.

Nel VI secolo d.C. salì al trono di Persia Cosroe I

(Khusraw, r. 531-579), uno dei maggiori sovrani

Sassanidi sotto il cui regno l’impero raggiunse

un’estensione pari a quella dell’impero ache-

menide nel momento del suo splendore. Cosroe

riorganizzò tutta la macchina amministrativa e

territoriale del regno e in questo nuovo assetto

Albania, Armenia e Iberia vennero a costituire

un’unica realtà: la «provincia del Caucaso», inclu-

dendo anche l’Atropatene.

Nel VII secolo il Caucaso vide la progressiva af-

fermazione della potenza bizantina. Siglata una

gravosa pace con gli Avari che allentò, dopo lun-

Impero Sessanide

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014234

La Storia & le Storie

go tempo, la pressante minaccia sul fronte balca-

nico, l’impero bizantino potè infatti concentrare

il suo impegno militare contro i Sassanidi e con

l’imperatore Eraclio (r. 610-641) iniziò una serie di

campagne vittoriose nella regione. Dopo la con-

quista dell’Atropatene nel 624, Eraclio volle tra-

scorrere l’inverno in Albania e chiese al sovrano di

accogliere lui e il suo esercito con tutti gli onori

dovuti. Nonostante il periodo trascorso nei regni

dell’Albania e di Iberia l’imperatore bizantino non

riuscì a conquistarsi l’appoggio delle genti cau-

casiche. Gli Albani, in particolare, appoggiando

i Persiani guidati da Cosroe, opposero una stre-

nua resistenza in tutto il territorio dell’Albania,

sia contro i bizantini sia contro i Cazari (Khazar),

genti euroasiatiche, probabilmente turciche, che

Bisanzio aveva reso suoi alleati, e resistettero fino

all’espugnazione delle fortificazioni strategiche di

Cora e di Partaw. La disfatta consentì ad Eraclio di

nominare Varaz-Grigor, uno dei più illustri rappre-

sentanti della nobiltà albana, principe di Albania.

Per la prima volta, dunque, anche in Albania viene

creato, come già lo era stato per l’Iberia al tempo

dell’imperatore bizantino Maurizio, un principato,

ma la sua permanenza nell’orbita di Bisanzio durò

poco perché i territori albani rientrarono ben pre-

sto nella strategia espansionistica dei Cazari. Nel

confronto con la popolazione cazara e con le sue

mire di conquista ebbe un ruolo centrale il il ca-

tholicos della Chiesa monofista albana, il patriarca

Viroy, che, riconosciuto come referente dai Cazari

trattò e siglò la pace con loro, dimostrando come

la Chiesa di Albania stesse progressivamente assu-

mendo anche un importante ruolo politico nelle

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 235

La Storia & le Storie

vicende della popolazione albana. Di questa ac-

cresciuta rilevanza politica ne è ulteriore riprova

la consacrazione, da parte del Patriarca Viroy di un

membro della dinastia Mihrakan, Varaz-Grigor, a

principe dell’Albania.

A partire dalla metà del VII secolo l’impero per-

siano cade a poco a poco sotto i colpi degli Arabi

musulmani che penetrano progressivamente nel-

la Transcaucasia e la sottopongono così al con-

trollo musulmano. Sotto il califfato di ‘Uthman (r.

644-656), secondo successore di Muhammad, gli

Arabi invasero i terri-

tori albani, l’Armenia

e tutto il Caucaso

orientale, spingendosi

oltre il fiume Arasse,

nella valle del Kura,

e occupando Partaw,

Baylakan, Kapalak e

le regioni di Šakašen

e Širvan e il passo di

Darbent. La particola-

re attenzione che gli Arabi mostrarono per l’Al-

bania si deve all’importanza strategica di questo

paese sia da un punto di vista militare, essendo

l’Albania l’unico ponte di accesso per i Cazari, sia

da un punto di vista economico, perché rappre-

sentava il trait-d’union tra l’Asia centrale e l’area

Caspica da una parte e il Caucaso settentriona-

le dall’altra. L’Albania si trovò dunque al centro

delle mire bizantine e arabe allo stesso tempo e

subì dunque attacchi da entrambe le parti anche

a causa di una divisione politica interna che vide

il principe albano Varaz-Grigor arrendersi, insie-

me allo sparapet armeno Teodoros Rstowni, agli

Arabi e suo figlio Jowanser schierarsi invece con

Bisanzio.

Il riconoscimento della sovranità araba da parte

dell’Armenia al tempo di Mu‘awiya I (r. 661-680),

primo califfo della Dinastia Omayyade, isolò di

fatto l’Albania dal suo alleato armeno e la co-

strinse ad accettare anch’essa il protettorato

arabo.

All’inizio dell’VIII secolo, infine, la politica degli

Arabi nel Caucaso subì una svolta radicale e si raf-

forzò ulteriormente tanto che l’Armenia, l’Iberia e

l’Albania, che sino ad allora avevano visto le loro

vicende intrecciarsi, ma pur sempre conservando

una loro autonomia,

vennero riunite in

una sola unità ammi-

nistrativa, la provincia

di al-Arminiya, e da

stati vassalli diven-

nero allora territori

sottoposti alla diretta

amministrazione dei

governatori arabi.

Le tavole dell’impero di Via dei Fori Imperiali

La complessità della storia del Caucaso, dovuta,

come abbiamo visto emergere da questa bre-

ve narrazione delle vicende relative all’Albania

caucasica, dall’intreccio continuo di popolazioni

sempre diverse in un territorio strategico perché

cerniera tra Asia e Europa, ha spesso determinato

confusione e difficoltà nel definire la storia e la

geografia dei singoli paesi della regione caucasica

e, in molti casi, ha sfumato, sotto il grosso tratto

della comune appartenenza ad una stessa area

geografica identità e storie tra loro ben diverse.

Di questa confusione storica ne è prova monu-

All’inizio dell’VIII secolo, la politica degli Arabi nel Caucaso subì una svolta

radicale e si rafforzò ulteriormente tanto che l’Armenia, l’Iberia e

l’Albania, che sino ad allora avevano sempre conservato una loro autonomia,

vennero riunite in una sola unità amministrativa

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014236

La Storia & le Storie

mentale e ben nota la serie delle tavole dell’im-

pero che si trovano a Roma lungo il percorso della

via dei Fori Imperiali e che fanno parte delle opere

di arredo che Antonio Muñoz, direttore della X

Ripartizione, Antichità e Belle Arti del Governa-

torato fascista e responsabile dei lavori urbani-

stici per l’apertura di questo nuovo asse viario nel

cuore di Roma, fece realizzare a partire dal 1931

quali rappresentazioni della progressiva espan-

sione dell’impero romano e della sua ideale con-

tinuazione con la gloria di Roma fascista.

Inaugurate il 21 aprile del 1934, queste cinque

tavole marmoree, di cui la quinta però illustrava

i territori governati dopo l’unità d’Italia (1861), e

come tale venne rimossa alla caduta del Fasci-

smo, rappresentano dunque le fasi di espansione

dell’impero romano dalla nascita di Roma fino

all’impero sotto il principato di Traiano (98-117

d.C.), offrendo così un’illustrazione delle varie

province e dei territori che nel corso dei secoli

rientrarono nel dominio romano. Se si considera

tuttavia la quarta tavola, relativa appunto al II

secolo d.C., si vedrà che per la regione del Cauca-

so, lì dove abbiamo visto affondare e svilupparsi,

accanto al regno di Armenia, le radici e la storia

dell’Albania e della Atropatene, nessun nome in-

dica la presenza di questi stati, ma sola appare

l’Armenia a riassumere, e quasi a semplificare una

storia ben più complessa, quella tracciata nell’a-

spra terra caucasica anche dalla millenaria vita

dell’Azerbaigian.

Le motivazioni di questa scelta, diremmo prag-

matica, in quanto dettata da esigenze di semplifi-

cazione e divulgazione, sono dunque fondamen-

talmente politiche.

L’attenzione infatti di Benito Mussolini e del suo

governo fascista per le idee legate ad un passato

“mitico” e riletto alla luce di una presunta continu-

ità storica di cui il regime si faceva portatore, si è

manifestata anche attraverso una scrupolosa vo-

lontà di costruire la città di Roma, di farla a sua

“immagine e somiglianza”. Non è casuale che la

lunga via dei Fori Imperiali unisca due monumenti

simbolo di un potere: il Colosseo a ricordare l’im-

pero Romano, il Vittoriano a ricordare il potere del

re e dell’Italia monarchica dei Savoia.

La via voluta da Mussolini, così realizzta i modo

tale da consentire di vedere in una ottima visuale i

due monumenti citati, fu una precisa decisione di

mostrare il potere e le ambizioni imperiali fasciste.

In questa opera, diremmo pubblicitaria prima che

propagandistica, le tavole, collocate su un lato dei

resti della Basilica di Massenzio, in un primo mo-

mento sarebbero dovute essere poste sulla grande

parete posta di fronte al Colosseo. Tale soluzione fu

scartata perché non offriva sufficiente spazio alle

tavole, che per essere adeguati strumenti di propa-

ganda dovevano essere realizzate in scala monu-

mentale. L’efficacia propagandistica dell’iniziativa

dunque fu sancita due anni dopo con l’apposizione

dell’ultimo pannello, quello come ricordato relati-

vo all’istituzione dell’impero dell’Italia fascista, in

occasione della conquista dell’Etiopia (1936).

Federico De RenziTurcologo, Studioso dell’Islam Diletta CherraStorica dell’Arte Bizantina

Bibliografia essenziale

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M. Schottky, Media Atropatene und Gross-Armenien in

hellenisticher Zeit, Bonn 1989

Un percorso affascinante fra tradizioni orali e spazi epici, in un’area del mondo attraversata da sempre dalle civiltà: dove la geografia sposa tanto i contrasti della modernità che i segni della storia.

La vicenda dell’Albania Caucasica, emblematica-mente rappresentata dalle chiese e dalle tracce di

cultura materiale ancora numerose in Caucaso, densa di descrizioni e interpretazioni che vanno ben oltre la Storia, viene affrontata nel rispetto delle fonti e nella prospettiva presente, come ri-sorsa indispensabile ad una rinnovata visione del mondo, dove identità e differenze sono risorse per il futuro. Per tutto questo, il patrimonio cul-turale rappresenta la risorsa più preziosa.

Edizioni Vox Populi - Nodo di Gordio, 2014 pp. 164 – Euro 18,00 - Per ordinazioni: [email protected]

La chiesa del 6. Secolo a Shaki,oggi Museo Nazionale dell’arte popolare

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014240

La Storia & le Storie

anto o ciarlatano? Filosofo o stre-

gone? Su Apollonio di Tiana (vissuto

all’incirca fra il 4 e il 97 d.C.) è stato

scritto molto, a volte anche a sproposito, facendo

di questo pensatore pitagorico contemporaneo

di Gesù uno sciamano dai poteri soprannaturali.

Di certo fu un personaggio che, anche nella sua

veste di consigliere di diversi imperatori romani,

fece da ponte fra Oriente e Occidente. Cresciuto

nell’ambito della cultura greca, fu un instancabi-

le viaggiatore, arrivò fino in India e si addentrò

persino nel deserto egiziano giungendo ai confini

dell’Etiopia. Incontrò i saggi di tutti i luoghi che

visitava, scambiando informazioni e insegna-

menti e tentando di individuare i punti di contat-

to fra le varie tradizioni, da quella araba a quella

indiana fino a quella egiziana. Ora il libro dello

studioso dell’antichità, nonché giornalista di “Li-

bero”, Miska Ruggeri, intitolato “Apollonio di Tia-

na. Il Gesù pagano” (Mursia, pag. 226, euro 13),

frutto di lunghe e certosine ricerche, ha il merito

di Andrea Colombo

Apollonio di Tiana: tra Oriente e Occidente

Il libro dello studioso dell’antichità Miska Ruggeri, intitolato “Apollonio di Tiana. Il Gesù pagano”, ha il merito di gettare nuova luce su questo personaggio leggendario. Nella sua veste di consigliere di diversi imperatori romani fece da ponte fra oriente e occidente

S

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 241

La Storia & le Storie

di gettare nuova luce su questo personaggio

leggendario.

La vita

Rifacendosi alla vita scritta da Lucio Flavio

Filostrato (Lemmo, 172 circa – Atene, 247

circa), Ruggeri ripercorre le varie tappe di

un’esistenza eccezionale ed avventurosa.

Apollonio nasce da un’antica e ricca fa-

miglia a Tiana sulle pendici settentrio-

nali del Tauro (presso l’odierna Kilisse

Hissar - Cappadocia). A 16 anni si

converte al pitagorismo, si la-

scia crescere i capelli, diviene

vegetariano (la sua dieta con-

siste principalmente in pane,

verdura e frutta secca) e aste-

mio (niente vino, neppure

quello di palma), sebbene tol-

lerante con il comportamento

altrui, va in giro scalzo e ve-

stito di lino. Ad Aigai respin-

ge le avances del governatore

della Cilicia, subito giustiziato

dai Romani per una cospirazione

politica, quindi torna in patria, dove

si spoglia della maggior parte dei suoi

beni e riporta sulla retta via il fratello

maggiore. Fa voto di castità, sempre ri-

spettato nonostante le calunnie di alcuni, e

decide di obbedire per cinque lunghi anni, tra-

scorsi tra Panfilia e Cilicia, al voto pitagorico del

silenzio. che del resto aiuta la sua straordinaria

memoria. Ostile alle terme e ai bagni caldi, per

pulirsi utilizza l’acqua fredda. Ma nulla fa pensare

a una “guerra” sistematica contro il corpo e il suo

ascetismo, confrontato con quello coevo cristia-

no, appare assai moderato. Assetato di conoscen-

ze e consapevole del dovere di viaggiare per ap-

prendere, sceglie di andare «dove mi conducono

la sapienza e il mio demone». Visita Ninive e la

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014242

La Storia & le Storie

Mesopotamia. Dagli Arabi apprende il linguaggio

degli animali, soprattutto degli uccelli. Frequenta,

con non troppo entusiasmo, i Magi persiani, poi si

reca in India. Giunge a Tassila dal re indiano Frao-

te, anch’egli vegetariano e amante della sapienza.

Ma il vero obiettivo del viaggio sono i Brahmani

di Iarca. Questi, devoti al sole, con un turbante

bianco e lunghe chiome, a piedi nudi, vestiti di

lana e dotati di un anello e un bastone dai poteri

magici, sono in grado di sollevarsi per aria fino a

due cubiti dal suolo. Si considerano dei in quan-

to «uomini buoni». Con loro Apollonio disserta di

metempsicosi, di giustizia, dei cinque elementi. E

pratica diverse guarigioni (di storpi, ciechi) impo-

nendo le mani e compiendo numerosi esorcismi.

Quelle di Apollonio, per quanto fantasiose, sono

le prime “cronache” di un viaggiatore occidentale

in India. Tornato a Efeso, Apollonio esorta gli abi-

tanti alla filosofia e alla comunanza dei beni. In

tutta la Grecia, esorta le popolazioni a rispettare

le tradizioni religiose e a ripudiare i costumi con-

siderati immorali. A Sparta, ad esempio, si scaglia

contro i mercanti e gli armatori, contro «le mi-

serie del mercato», e convince un giovane con la

passione per la navigazione a vendere le sue navi.

Approda a Roma dove, nonostante l’atteggia-

mento persecutorio di Nerone nei confronti dei

filosofi, considerati dall’imperatore dei ciarlatani

intriganti, grazie alla protezione del console Tele-

sino, è libero di vivere nei templi e di far crescere

con i suoi discorsi la spiritualità. Dopo la paren-

tesi romana, non priva di disavventure giudizia-

rie, Apollonio con i suoi seguaci parte alla volta

dell’estremo Occidente, per ammirare le maree

oceaniche e la città di Gades. Quindi ritorna in

Grecia, passando per la Sicilia. Giunge ad Ales-

sandria: della religione egiziana non approva il

sangue dei tori né i sacrifici degli animali per il

banchetto degli dei, preferendo far bruciare la fi-

gurina di un bue ricavata nell’incenso. Rimprove-

ra anche la passione degli abitanti per i cavalli e le

violenze dei tifosi all’ippodromo. In quel periodo

Vespasiano progettava la conquista dell’impero.

Apollonio, dopo 50 anni di tiranni crudeli, ne è

contento e viene chiamato dall’imperatore, in un

primo momento, a fare da consigliere. Dall’Egitto

Apollonio vuole raggiungere l’Etiopia seguendo il

corso del Nilo dove, tra quelle genti selvagge (i

cosiddetti Ginni, neri di carnagione), elogia l’eco-

nomia premonetaria, un mondo primitivo di pace

e uguaglianza, in cui la ricchezza non è tenuta

in alcun conto e tutta la terra sembra un’unica

patria. Sotto Domiziano Apollonio si troverà a

dover subire il carcere, accusato di stregoneria e

magia. La riconciliazione con le autorità imperiali

avverrà sotto Nerva. Per alcuni autori Apollonio si

spegne a 80 anni, per altri ultranovantenne, per

altri ancora centenario, sempre fresco d’aspetto e

integro nel fisico.

Apollonio e i Cristiani

Fin qui la sua vita così com’è narrata da Filofa-

stro. Ma la novità di questo saggio sta da un lato

nell’interpretazione che si vuole dare del saggio

Apollonio, dall’altro dalla fortuna che questo fi-

losofo pitagorico dell’antichità ha avuto nella

letteratura contemporanea. Ruggeri non può, ov-

viamente, esimersi dal proporre l’accostamento

con il Cristo, e non solo perché i due personaggi

vivono nello stesso periodo storico. Scrive Rugge-

ri: “Le analogie storiche tra Apollonio e Gesù sono

evidenti. Entrambi sono taumaturghi e predica-

tori itineranti, rifiutati inizialmente dai concitta-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 243

La Storia & le Storie

dini; hanno una propria cerchia di devoti disce-

poli; sono considerati dai rispettivi seguaci esseri

dotati di poteri soprannaturali; si attribuiscono

loro profezie, esorcismi, guarigioni, risurrezioni di

defunti; conoscono cosa sta accadendo in luo-

ghi distanti e predicono specifici eventi futuri a

particolari individui; (…) come predicatori, hanno

severissime pretese morali sul proprio uditorio;

disprezzano la ricchezza; si autodefiniscono «pa-

stori», i loro seguaci sono «pecore» e i non iniziati/

malvagi sono «lupi»; usano espressioni epigram-

matiche e uno stile oracolistico; insegnano come

se ne avessero l’autorità ed entrano in conflitto

con il clero istituzionale dei templi che visitano

nel tentativo di riformarli”. Entrambi poi “vengo-

no imputati di magia e sedizione e processati (…);

agli inizi delle rispettive carriere si ritirano nel

deserto, dove incontrano e sconfiggono demoni.

Inutile poi ricordare le analogie tra i loro miraco-

li. Alla fine delle loro esistenze, mentre Apollonio

riesce a sottrarsi miracolosamente alla condanna,

Gesù viene crocifisso, ma risorge miracolosamen-

te dalla morte. In seguito, vivono entrambi per

un certo periodo con i propri discepoli per poi

salire in cielo, e vengono loro attribuite appari-

zioni anche a persone incredule”. Queste evidenti

analogie portano molti fra i primi scrittori cristia-

ni (come Eliodoro, San Gerolamo) a considerare

positivamente la figura di quest’uomo pacifico

e saggio, anche se pagano. Persino autori molto

severi verso ogni forma di magia come Sant’Ago-

stino e San Giovanni Crisostomo ne scrivono con

rispetto. Ruggeri ammette che, dopo tanti secoli

di controversie e diverse interpretazioni, ricostru-

ire chi era il “vero” Apollonio è quasi impossibile.

Tuttavia da molte fonti, quali le lettere, emerge-

Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014244

La Storia & le Storie

rebbe un filosofo vegetariano, casto e “povero”

(secondo la regola pitagorica), che credeva in un

unico Dio, il Sole, nella reincarnazione e nella fra-

tellanza fra tutti gli uomini, pur nelle diversità di

lingua, etnia e religione. Inoltre si rivela pacifista

e nemico di ogni imperialismo. Pur astenendo-

si da ogni attività sessuale, consigliava il matri-

monio, con una moglie austera e innamorata, e

la procreazione, visto che la mancanza di eredi

è una iattura. Ben si vede come questi insegna-

menti si conciliavano alla perfezione con quelli

della Chiesa cattolica.

Apollonio e la letteratura

Ruggeri dedica un intero capitolo a come Apol-

lonio viene riscritto, e in molti casi reinventato,

dagli scrittori della nostra era. Ad esempio, nella

Tentazione di Sant’Antonio di Gustave Flaubert

(1874), viene descritto come uomo “di alta sta-

tura, il viso dolce, il contegno solenne. I capelli

biondi, divisi nel mezzo come quelli di Cristo, gli

scendono sulle spalle” . Nell’Enchanteur pouris-

sant di Guillaume Apollinaire (1909) Apollonio

appare in un girotondo magico di personaggi e di

animali della mitologia classica. Sempre in ambi-

to francese, nel 1934 Antonin Artaud, in epigrafe

all’Eliogabalo, libro profondamente «inattua-

le» e «inutile», paradossale romanzo storico che

si rivolta contro la storia, centrato sulla figura

del giovane imperatore romano, scrive: «Dedico

questo libro ai Mani di Apollonio di Tiana, con-

temporaneo di Cristo, e a quanto può restare

d’Illuminati autentici in questo mondo che se

ne va». Un’ampia riflessione meriterebbe il ruolo

che questo filosofo dell’antichità ebbe nel “para-

diso celeste” del poeta statunitense Ezra Pound

(p.152). Ruggeri si sofferma con particolare at-

tenzione sulla presenza di Apollonio nei Cantos.

L’autore sottolinea che “agli occhi di Pound, Apol-

lonio è riuscito a dare concretezza alla filosofia,

cercando di convincere i sovrani a governare con

saggezza”. Il filosofo pitagorico viene accostato

a Confucio e ai faraoni egiziani illuminati. Nel

canto XCIV ricorda l’opposizione ai sacrifici di

animali: «Apollonio fece pace con le belve/sugli

altari di Venere non fu versato sangue». Il poeta è

particolarmente colpito dal buon rapporto che il

filosofo ha con gli animali, indice di civiltà.

Viaggiatore, filosofo, guaritore, pacifista e vege-

tariano, l’Apollonio descritto da Ruggeri riassume

in sé tutte le qualità di un esponente di rilievo

della grecità, capace di esprimere valori sublimi

anche nel momento della sua decadenza. Non a

caso l’introduzione di Luciano Canfora s’intitola

“Apollonio e la fine del mondo classico”. Dopo di

lui il mondo ellenistico conoscerà varie metamor-

fosi e troverà ancora in Giustiniano e nell’Impero

Bizantino un periodo di inaspettato splendore.

Parte di quell’universo verrà ereditato dall’Orien-

te cristiano sia ortodosso sia greco cattolico ed

è grazie a queste tradizioni che frammenti di

quell’antica saggezza e bellezza (pensiamo alla

perfezione geometrica, in qualche modo pitago-

rica e “divina” appunto, delle icone) sono giunti

fino a noi.

Andrea ColomboScrittore e saggista, Giornalista di “Libero”

246 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Giano Bifronte

il declinodell’impero americanoDi SERGIO ROMANO

Longanesi, 2014 - pp. 126 - Euro14,90

Dalle guerre che hanno tormentato e fatto im-

plodere l’ex-Jugoslavia alle controverse Primave-

re Arabe; dal conflitto libico, che ha portato alla

morte di Gheddafi e aperto la strada all’anarchia

in cui versa oggi il paese maghrebino, alle in-

certezze sulla perdurante guerra civile in Siria;

dalla crisi del sistema finanziario che, dal 2008,

ha portato l’economia mondiale sull’orlo del tra-

collo, al rinnovarsi del braccio di ferro “storico”

con Mosca a causa dell’Ucraina... Sergio Roma-

no, in questo suo agile ed acuto saggio, passa in

rassegna, punto per punto, tutte le ultime tappe

I due volti del Multilateralismo

Giano bifronte

247Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 247Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

internazionalismo liberale. attori e scenari del mondo globaleDi GUIDO LENZI

Rubettino, 2014 - pp. 94 - Euro12,00

Fine della Diplomazia oltre che fine della Storia?

Parrebbe proprio di no. Se da un lato, infatti, la

teo-ria di Francis Fukuyama è andata a cozzare

contro il “muro del tempo”, rimettendo in di-

scussione la convinzione secondo cui la storia

dell’umanità aveva raggiunto il suo culmine con

le democrazie liberali del XX secolo, dall’altro

lato stiamo assistendo ad un ripensamento del

ruolo cruciale svolto a livello globale dalla di-

plomazia.

Il repentino cambiamento degli scenari geopo-

litici mondiali è al centro di un acceso dibattito

248 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Giano Bifronte

della politica estera di Washington, leggendole

nella luce di un progressivo, lento ma al tem-

po stesso inesorabile, declino di quell’egemonia

mondiale che gli Stati Uniti avevano conquistato

all’indomani del crollo del Muro di Berlino, con

l’implosione dell’URSS e la conseguente fine della

Guerra Fredda. Un’egemonia che, a tutta prima,

appariva tanto solida da far pensare che, come

scrisse Fukuyama, la Storia fosse giunta alle sue

conclusioni; che vi fosse spazio, ormai, per un

unico modello politico, economico e sociale. E

che questo modello non potesse non incentrarsi

sulla Grande Potenza uscita vincitrice dalla lunga,

estenuante partita a scacchi che aveva attraver-

sato tutto il secolo. Romano, però, mostra come

sin dall’inizio l’Impero Americano portasse in sé

i segni di quel, tutto sommato rapido, declino

che in molti, oggi, preconizzano. Sin dagli anni

“spensierati” di Clinton, con quella deregulation

finanziaria che ha preparato il terreno per la crisi

mondiale in cui oggi versiamo. E poi la controver-

sa stagione di George W. Bush, l’interventismo,

anzi “imperialismo democratico” di matrice wil-

soniana dei neoconservatori che determinava-

no le scelte in politica estera della Casa Bianca.

L’Afghanistan e l’Iraq: due non vittorie, che, per

una grande potenza, per un Impero, si traduco-

no automaticamente in due sconfitte. E il mondo

del dopo Guerra Fredda, quello dell’illusoria Pax

Americana, che si rivelava ben più pericoloso di

quello precedente, perché al conflitto fra due gi-

ganti, il Behemot sovietico e il Leviathan statuni-

tense, si è sostituito un proliferare incontrollato

ed incontrollabile di svariati conflitti regionali. In-

fine, Barack Obama, che per Romano – che pure

lo tratta non senza una qualche umana simpatia

– riveste decisamente il non comodo ruolo di Pre-

sidente del Declino. Il ruolo di colui che, con una

politica estera ambigua e contraddittoria, si avvia

a liquidare l’Impero e a condurre gli States verso

una nuova forma di isolazionismo. E a fronte di

questo progressivo ritirarsi di Washington dalla

scena internazionale, l’emergere di nuovi compe-

titori per il Grande Potere Mondiale; contendenti

globali, come la Cina, o potenze che mirano ad

una egemonia regionale, come il Brasile in Sud

America. E il ritorno sulla scena del Giappone, il

nuovo ruolo che cerca di assumere una Turchia

“neo-ottomana”, l’Arabia Saudita che sta sempre

più rinfocolando con l’Iran una nuova versio-

ne della tradizionale Fitna, il conflitto tra sciiti

e sunniti che da sempre divide l’Umma islamica

e che oggi sta assumendo proporzioni mondiali,

determinando anche i movimenti del jihadismo

internazionale. Sullo sfondo resta l’Europa, sem-

pre meno coperta dall’ombrello statunitense ed

incapace di darsi un’unica direzione strategica.

Europa nella quale Sergio Romano mostra, tutta-

via, di riporre ancora speranze non sempre facili

da condividere. Infine affascinante il quesito con

cui il saggio si chiude; il chiedersi come gli States

vivranno questa riduzione di ruolo globale, que-

sto progressivo chiudersi in se stessi. E come li

vivrà, con quali traumi e contraccolpi, il mondo

intero. Un saggio, come dicevamo, che affasci-

na per la lucidità ed il rigore del ragionamento,

anche se, talvolta, può lasciare interdetti per le

conclusioni che l’autore trae.

A.M.

249Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Giano Bifronte

che coinvolge trasversalmente esponenti del

mondo accademico, militare, politico ed econo-

mico.

Un interessante contributo all’analisi delle nuove

dinamiche nelle relazioni internazionali è quello

racchiuso nel volume “Internazionalismo liberale”,

nato dalla penna puntuale e competente di Gui-

do Lenzi. Ambasciatore di lunga esperienza, Lenzi

conosce bene le stanze diplomatiche europee e,

grazie agli incarichi ricoperti negli Stati Uniti, nella

Mosca sovietica e nelle Organizzazioni internazio-

nali, mette a disposizione del lettore un bagaglio

di conoscenze e di riflessioni frutto di una vita tra-

scorsa sotto le insegne del Ministero degli Esteri.

Il caos determinato dalle crescenti frizioni globali,

dall’insorgere di pericolosi e incontrollabili focolai

di guerra, le ripetute forzature del diritto inter-

nazionale piegate – ancor prima che interpretate

– alle necessità del momento e i mutati equilibri

geopolitici planetari inducono ad una più atten-

ta valutazione dei rischi e delle contromisure da

adottare per stabilizzare le diffuse fibrillazioni.

Da qui il percorso tracciato dall’Autore. Un per-

corso fatto di approfondimenti e di utili spunti di

riflessione sul radicale cambiamento dei rapporti

internazionali che “non sono più verticali, ordi-

nati gerarchicamente, sulla base di una delega

di autorità e responsabilità bensì sono diventati

orizzontali, in rete, in una miriade di interconnes-

sioni”. Questa mutazione porta con sé l’incognita

di un pericoloso aumento degli spazi d’azione per

soggetti caratterizzati da comportamenti apoliti-

ci, illegali se non addirittura criminali. Ragiona-

mento che conduce alla revisione del concetto di

sicurezza. “La distinzione fra sicurezza interna e

internazionale – scrive Lenzi – è stata spazzata

via”. Così come il ricorso continuo alla gestione

delle crisi ex post, in uno stato di perenne emer-

genza, deve condurre allo sviluppo di “più accu-

rate e condivise modalità di prevenzione con la

simultanea mobilitazione di strumenti diploma-

tici, politici, economici, istituzionali e culturali”.

In questo senso, per Lenzi, il modello di integra-

zione e collaborazione che sta alla base dell’Unio-

ne europea rappresenta ancora oggi un esempio

carico di importanza.

Così, in attesa che si addivenga alla realizzazio-

ne di un diritto cosmopolitico destinato ad una

cittadinanza universale, ci si interroga sui nuovi

modelli di governance globale e, conseguente-

mente, su un altrettanto nuovo approccio multi-

laterale nella gestione dell’ordine planetario.

Dalla fine della Guerra Fredda molti equilibri sono

saltati. Stiamo assistendo anche ad un profondo

ripensamento dei concetti stessi di Guerra e Pace.

Viviamo nell’era in cui il “Ministero della Guerra”

è diventato “della Difesa”, probabilmente in ordi-

ne a quel moderno approccio “politicamente cor-

retto”, finanche nella sua declinazione lessicale.

Gli schieramenti in campo sono a geometria

variabile e vedono sempre più spesso impiegate

nelle cosiddette “Operazioni di pace” le coalition

of the willings in larga parte occidentali ma prive

di una reale visione comune e, talvolta, anche in

assenza di una convergenza di interessi.

A dispetto di questo scenario, per Lenzi la diplo-

mazia “è tornata a svolgere appieno il ruolo che le

è proprio: quello di tessere le regole di convivenza

tra gli Stati”, e si appella a quell’internazionali-

smo liberale interrotto solo dalla Guerra Fredda.

Una Guerra Fredda che pare riaffacciarsi alle por-

te di Kiev.

D.L.

250 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Recensioni libri/riviste internazionali

il mosaico del buon sensoDi ALESSANDRO BERTIROTTI

Bonanno Editore, pp. 116 - Euro12,00

È difficile affrontare, in una sola opera, tutto lo

scibile umano, trattando in particolar modo le

emozioni, le attitudini ed i comportamenti socia-

li. Al contrario, “Il mosaico del buon senso” offre

una panoramica ben articolata e strutturata su

argomenti di vario genere, illustrandoli in manie-

ra spesso provocatoria e senza peli sulla lingua.

In questa miscellanea così sapientemente archi-

tettata, veniamo catapultati in un mondo che ci

sembra di conoscere così bene – quello dell’essere

umano – eppure, pagina dopo pagina, quelle po-

che certezze decadono inesorabilmente, di fronte

ad un’analisi elegante e verace.

L’autore, l’illustre professore Alessandro Bertirotti,

con la sua penna pungente, dipinge il quadro di

un’umanità spesso dilaniata tra ciò che è e ciò

che vuole apparire: per natura, noi uomini siamo

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251Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014

Recensioni libri/riviste internazionali

socievoli, portati a costruire legami duraturi e ad

intessere relazioni empatiche con i nostri simili.

Ma la realtà di tutti i giorni, sovente, smenti-

sce tali caratteristiche. Forse perché l’uomo del

III millennio ha edificato il suo essere più sulla

sabbia, che sulla roccia; ha preferito “vendersi” a

dei cliché sociali di basso profilo, invece di aderire

alla sua più profonda moralità.

“Il mosaico del buon senso” ci parla della fatica

di essere uomini e donne veri in contrasto alla

cultura dell’”effimero”, di rispondere alle nostre

più intime necessità, dando la priorità ai fondanti

valori della vita.

Veniamo, così, messi davanti a questioni “spino-

se”, di grandissima attualità: la sessualità, le emo-

zioni, la condotta sociale, la famiglia, la politica…

tutti temi largamente dibattuti e che conosciamo

bene (o almeno così ci sembra!).

Ciò che più colpisce, in questo libro tanto breve

quanto intenso, è quello che lascia dopo averlo

letto: appena si termina un paragrafo, il lettore si

sofferma a riflettere su quelle parole; è come co-

stretto a fare i conti con la sua visione del mondo

e perfino di se stesso, a mettere in gioco le sue

credenze e – perché no – a riformularle alla luce

di quanto appreso. Queste preziose pagine non

lasciano indifferenti. Sicuramente, si potranno

incontrare punti di vista diversi, ma un pubblico

attento e curioso troverà molte chiavi di lettura,

interessanti e profonde.

L’autore non vuole indorare la pillola: ci trasmet-

te quanto siano importanti i legami familiari,

quanto la scuola e le istituzioni debbano colla-

borare affinché si crei una società consapevole

ed una nuova generazione libera, ma responsa-

bile (e noi, oggi, sappiamo quanto sia essenziale

avere dei punti di riferimento forti e stabili). Ci

fa comprendere quanto sia fondamentale non

solo saper godere dei momenti lieti che la vita

ci offre, ma anche e soprattutto saper affrontare

i momenti bui e dolorosi, perché è proprio in

quei frangenti che esce il meglio di una persona,

con tutta la sua forza e capacità di risollevarsi

(“Ci sono sofferenze che scavano nella persona

come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito

ne esce melodiosa” – V. Brancati). Ci proietta in

una dimensione fatta di connessioni cerebrali e

di avvertimenti dati dal nostro cervello, perché le

prime avvisaglie di sentimenti positivi o negativi

provengono proprio dal nostro sistema neurona-

le. Ci sottolinea quanto sia vero il famoso motto

“l’unione fa la forza”: in un mondo che sembra

andare verso l’autodistruzione, la collaborazione

e l’accettazione reciproca sono le chiavi di svolta

per un futuro migliore. Ci mostra come ognuno

di noi sia diverso, nella sua unicità, a partire dalla

dicotomia uomo/donna, ma è da queste macro-

differenze che si può costruire una società sì

variegata, però sempre cooperativa ed integrata

con le esigenze di ciascuno.

Ed insieme a queste realtà “favorevoli”, troviamo

affiancate quelle più oscure e torbide, che spesso

si annidano nell’animo umano: la tendenza di al-

cuni individui alla violenza, allo stupro, allo sfrut-

tamento della prostituzione o alla pedofilia… Ve-

rità scomode e dolorose, che non vorremmo mai

incontrare, ma che, ahinoi, fanno parte di questa

intricata umanità.

In conclusione, dopo aver dato una personale

opinione, che non vuole essere esaustiva, ma solo

offrire piccoli flash, affinché altri si accostino a

questa lettura, mi permetto di affermare che “Il

mosaico del buon senso” è uno dei libri più dif-

ficili che abbia mai letto, non tanto nel registro

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stilistico o nel lessico utilizzati (anzi, da questo

punto di vista, l’ho trovato molto comprensibile

ed alla portata di tutti, anche di chi non ha dime-

stichezza con l’antropologia della mente – mate-

ria per eccellenza del nostro brillante autore): è

difficile perché obbliga ad interrogarsi approfon-

ditamente su importanti tematiche. E, si sa, met-

tersi in gioco non è mai cosa semplice. Perché se

ne può uscire “sconfitti”. Ma credo che, in questo

caso, non si tratti di sconfitta, quanto piuttosto

di “arricchimento”: solo un lettore dalla mente

aperta, con una buona dose di umiltà e voglia di

intraprendere nuovi percorsi intellettuali, può ac-

costarsi con piacere ed interesse all’illuminante “Il

mosaico della mente”.

Chiara Serreli

orientalisti italiani e aspetti dell’orientalismo in italiaAA.VV.

Edizioni Labrys - Canale Editoriale del CUAM, Consorzio Uni-

versitario dell’Africa e del Mediterraneo, pp. 216 - Euro 20,00

Una monografia essenziale, una gemma incasto-

nata nel panorama editoriale italiano, la cui pub-

blicazione rappresenta un inestimabile apporto

atto a testimoniare la rilevanza, lo spessore acca-

demico e scientifico posseduti dall’Orientalismo

italiano, pressoché misconosciuti al di fuori dei

ristretti ambienti specialistici.

Il libro è dedicato alla memoria di Mirella Galletti,

esperta di mondo curdo, recentemente scompar-

sa nella sua casa romana d’adozione, in Via del

Plebiscito.

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Autrice di numerosi saggi e volumi inerenti alla

storia, alla lingua e alla cultura di quest’obliato

tassello del Vicino Oriente.

Un testo che, come glossa Cardini nella sua prefa-

zione, ci indirizza a fare delle riflessioni sull’eterna

alternanza fra luce e tenebra appartenente a quella

dimensione conflittuale, totalizzante di un Oriente,

sovente inteso come mundus imaginalis, definito

dall’orientalista Henry Corbin, alam al-mithâl.

Un’“Isola che non c’è” o un “na-koja-abad”, per

dirla con una locuzione persiana del filosofo e

sufi del XII secolo, Sohravardî, detto Shaikh al-

Ishraq o “Maestro della metafisica della luce”. Let-

teralmente, la città o il luogo (abad) del non-dove

(na-koja). L’esatto equivalente del termine greco

ou-topia. Un riverbero che Cardini riconduce alle

proiezioni ed alle estroversioni di un Occidente,

definito anche “categoria dello spirito” con tutte

le implicazioni e i corollari filosofici contenuti in

questo enunciato. Occidente, come luogo del lo-

gos e Oriente come luogo del mythos aggiunge

Cardini. Un Occidente che però, dall’alto di que-

ste speculazioni, dopo aver prodotto un dualismo

fra quel Dio – secolarizzatosi nell’Io – e la natura,

ritorna ad ammiccare al panteismo primigenio,

avvolgendosi in un amplesso casto ma allo stes-

so tempo prolifico, rigenerativo, seppur talvolta

ineffabile, con la sua controparte geografica, che

oggi diviene anche geopolitica.

Il libro annovera, quindi, tutti i profili di quel-

le personalità che hanno dato luce e splendore

all’orientalismo italiano: dagli arabisti Guidi Igna-

zio e Michelangelo, Virginia Veccia Vaglieri con la

sua storica grammatica, il turcologo Ettore Rossi,

ancora l’arabista Francesco Gabrieli, l’iranista e

tuttologo-poliglotta Alessandro Bausani e tanti

altri.

Un volume curato da Angelo Spina che si avvale

coralmente del contributo di vari autori: Andrei-

na Albanese, Daniela Amaldi, Simona Di Iorio,

Mirella Galletti, Aurélien Girard, Giuseppina Igo-

netti, Claudio Lo Jacono, Luca Mantelli, Salvatore

Orlando, Angelo Michele Piemontese, Maria Glo-

ria Rosselli, Daria Rosetti, Serena Sautto, Angela

Spina e Daniela Testa, con la preziosa e magistrale

prefazione di Franco Cardini.

Un’opera importante, dunque, che non può man-

care sullo scaffale dello specialista ma anche su

quello del giornalista piuttosto che su quello

dell’esperto di relazioni internazionali, visto che il

fulcro geoeconomico del pianeta si è già spostato

nella direzione del sole nascente.

Ermanno Visintainer

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teoria del drone.principi FilosoFici del diritto di uccidereDi GRéGOIRE CHAMAYOU

DeriveApprodi, 2014 - pp. 220 - Euro 17,00

Sempre più spesso si sente parlare dell’utilizzo di

droni nei conflitti “postmoderni”. In realtà, per gli

addetti ai lavori, la corretta definizione di questi

strumenti è “Unmanned Aerial Vehicle” (veico-

lo aereo senza equipaggio) o, nella sua variante

“Combat”, se muniti di armi.

Mezzi già impiegati dagli Stati Uniti in Afghani-

stan, Somalia, Yemen e Pakistan. Una flotta che

supera i 6.000 esemplari, di cui ben 160 del mo-

dello “Predator”, forse i più conosciuti massme-

diaticamente.

Tuttavia, a dispetto dei numerosi trattati tecnici,

pubblicati soprattutto negli Usa, e delle analisi

formulate dai Centri studi strategici e militari,

mancava ancora nel panorama editoriale europeo

un lavoro in grado di cogliere le problematiche fi-

losofiche che stanno a monte dell’utilizzo bellico

dei droni. Per colmare questa lacuna, è uscito per

i tipi di “DeriveApprodi” il volume “Teoria del Dro-

ne. Principi filosofici del diritto di uccidere”. L’au-

tore, Grégoire Chamayou, ricercatore di filosofia

presso il CNRS di Lione, accompagna il lettore in

un viaggio alla scoperta di un mondo, quello della

“guerra tecnologia”, a tratti ancora poco cono-

sciuto e studiato. Quali risvolti, quali effetti sta

portando l’impiego di questi nuovi strumenti?

Fu il filosofo Umberto Galimberti ad illustrare,

tra i primi in Italia, il profondo cambiamento del

concetto stesso di Guerra. Il guerriero tradiziona-

le si approcciava alla guerra sapendo di rischiare

la vita. Oggi, il “soldato postmoderno”, seduto da-

vanti ad un computer ipertecnologico, controlla

a distanza le operazioni militari ma “non fa la

guerra: lavora”. Si assiste, dunque, ad una radi-

cale mutazione non solo dei rapporti di forza in

campo, ma anche delle più elementari leggi che

hanno regolato per millenni gli scontri militari.

Se da un lato, le nuove frontiere tracciate dalla

Guerra asimmetrica prima e della Guerra ibrida

poi – della quale ci stiamo occupando diffusa-

mente sulle pagine de “Il Nodo di Gordio” grazie

alle analisi di Federico Prizzi – hanno modifica-

to la cornice ed il ruolo degli attori in campo,

dall’altro lato l’esponenziale sviluppo tecnologico

ha posto le basi per la progressiva espansione dei

programmi high-tech applicati al settore della

Difesa. Dati, peraltro, confermati dal significativo

incremento degli investimenti militari in questa

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sfera, così come in quella legata all’esplorazione

dello Spazio che, dopo qualche decennio di semi

immobilismo, stanno riprendendo quota.

D’altronde, anche per l’Autore “diventando stra-

tosferico, il potere imperiale modifica il suo rap-

porto con lo spazio. Non è più questione di oc-

cupare un territorio, ma di controllarlo dall’alto

assicurandosi il dominio del cielo”. Siamo giunti

ormai all’“Aereopolitica”, seguendo il filo del-

le analisi di Eyal Weizman che, parlando della

strategia israeliana contemporanea, la definisce

come una politica della verticalità.

Sullo sfondo, c’è anche l’avvio del progetto euro-

peo per lo sviluppo di un sistema aereo avanzato

a pilotaggio remoto denominato “Uas” (European

Unmanned Aerial System) varato dalle tre prin-

cipali aziende del settore aeronautico in Europa:

“Airbus Defence and Space”, “Dassault Aviation” e

“Alenia Aermacchi” (Finmeccanica). Francia, Ger-

mania e Italia si propongono, dunque, di realizza-

re il drone europeo, anche per recuperare il gap

tecnologico con Usa e Israele.

Il libro di Chamayou aiuta il lettore a comprende-

re più a fondo quella che l’Autore definisce “l’ar-

ma umanitaria per eccellenza” utilizzata in una

“guerra senza rischi”. È la guerra asimmetrica che

si radicalizza fino a diventare unilaterale. Perché

“si muore ancora ma da una parte sola”.

D.L.