Afghanistan 2015- Anno 0?
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Anno III - Num.5 - Maggio 2014
Mutazioni e rivoluzioni della geopolitica
Metamorfosi del Globo
Anno III - Num. 5 - Maggio 2014
Mutazioni e rivoluzioni della geopolitica
Metamorfosi del Globo
3Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Indicep.6 Editoriale Il silenzio assordante dell’Europa in un Mondo rumoroso di Daniele Lazzeri
p.10 Il graffio di Gordio di Alfio Krancic
p.11 Ridisegnare il mappamondo di Franco Cardini
p.14 Alessandro Bertirotti vincitore del Premio Nazionale di Filosofia “Ricerca Accademica”
p.16 Ucraina: il grande gelo Biloslavo: in Ucraina una seconda Guerra Fredda a cura della Redazione
p.23 Gli Occhi della Guerra. Il sistema del crowdfunding: la nuova frontiera del reportage a cura della Redazione
p.25 Nargorno Karabakh e crisi ucraina di Elvio Rotondo
p.31 Cosa succede in Ucraina? di Antonciro Cozzi
p.40 Gli Stati non riconosciuti Quella sporca dozzina... di Maurizio Stefanini
p.50 Speciale Kazakhstan La terra dei cavalieri e gli equilibri del mondo. Geopolitica del moderno Kazakhstan di Andrea Marcigliano
p.70 Il Kazakhstan nella Cooperazione di Shanghai. Una potenza regiona- le al centro della politica mondiale di Marcello Ciola
p.81 Da Milano ad Astana, il ponte verde della sostenibilità all’Expo di Alessandro Grandi
p.85 Ermegiyayev: L’energia del futuro all’Expo 2017 di Astana a cura della Redazione
p.91 Arte rigenerata. Luci dirette sul panorama kazako di Paolo Zammatteo
p.104 Sgarbi: Astana, capitale del Rinascimento asiatico a cura di Roberta di Casimirro e Paolo Zammatteo
p.107 Con il vessillo della scienza. Così il Kazakhstan va incontro al futuro di Renato Sartini
p.118 The Geo-politics of Soft Power and E-power: The Case of Kazakhstan’s G-Global Platform di Rafis Abazov
p.123 Polemos: lo scudo di Achille Compound Warfare Vecchie minacce nella Guerra Ibrida contemporanea di Federico Prizzi
5Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Puoi seguirci su:[email protected]
p.132 La Politica Estera Italiana nelle Sfide Globali di Matteo Marsini
p.138 Afghanistan, to 2014 and beyond di Francesca Oresta
p.142 Afghanistan 2015 - Anno O? di Giuseppe Caforio
p.169 “E di cani e d’augelli orrido pasto lor salme abbandonò” di Giulio Prigioni e Luca Zanni
p.172 Scenari & Prospettive Who Needs the European Army? di Matteo Marsini
p.176 Elezioni in Turchia: chi ha vinto tra politica ed economia di Giuseppe Mancini
p.181 Il Brasile riparte dal Nord Est di Alessandro Grandi
p.184 Voci di carta: le interviste di Gordio Tra conflitti regionali e crisi globale di Gian Guido Folloni
p.190 Prodi: il male oscuro dell’Africa si può battere Gian Guido Folloni incontra Romano Prodi*
p.198 Dabbous: In Siria, i fondamentalisti hanno preso il dominio della lotta armata di Daniele Lazzeri
p.203 Panzeri: Poco lungimirante il sostegno ai ribelli senza una roadmap politica a cura della Redazione
p.208 Conticelli: Cultura e Made in Italy al centro dei rapporti tra Italia e Bulgaria a cura della Redazione
p.212 Vivian: Uso il passato per progettare il futuro vivendo nel mio presente di Dora Doncheva-Bulart
p.216 Il labirinto del Minotauro Il Tempo Artistico di Alessandro Bertirotti
p.220 La storia & le storie Storia dell’Azerbaigian, dagli Achemenidi all’avvento dell’Islam di Diletta Cherra e Federico De Renzi
p.240 Apollonio di Tiana: tra Oriente e Occidente di Andrea Colombo
p.246 Giano Bifronte I due volti del Multilateralismo
p.250 La Biblioteca di Gordio
Editoriale
6 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Editoriale
di Daniele Lazzeri
Il silenzio assordante dell’Europa in un Mondo rumoroso
Europa, ancora l’Europa, sempre l’Eu-
ropa. È il Vecchio continente che, per
l’ennesima volta dalla nascita dell’U-
nione Europea, viene additato come il fallimenta-
re “non-protagonista” del panorama geopolitico
internazionale. L’Europa debole, l’Europa kantia-
na, l’Europa-Venere per dirla alla Robert Kagan e,
infine, l’Europa sonnambula. Sempre e comunque
marginale nelle decisioni che contano a livello glo-
bale. Troppo spesso messa sotto schiaffo per aver
vivacchiato all’ombra dell’ingombrante ombrello di
Washington, ancora in preda ad un surreale pa-
nico da “giovane promessa” nel complesso scac-
chiere mondiale, muta e chiusa nel suo colpevole
silenzio sulla gestione delle crisi che sono esplose
ai suoi confini orientali, che hanno travolto i Paesi
dirimpettai affacciati sulle coste del Mediterraneo
e in quel ginepraio che è da sempre il vicino Me-
dioriente.
Ma quest’Europa è anche un’Europa contesa e
confusa, ancora prigioniera delle cancellerie più
L’
L’Europa debole, l’Europa kantiana, l’Europa-Venere per dirla alla Robert Kagan e, infine, l’Europa sonnambula
Editoriale
7Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
La Russia dello zar Vladimir Putin, dopo l’annessione della Crimea e il conseguente argine alle mire espansionistiche della Nato, pensa già a come ritornare agli antichi fasti dell’Impero perduto con la deflagrazione dell’Unione Sovietica
Editoriale
8 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
influenti che vedono Berlino quale decision ma-
ker, con l’Inghilterra nel singolare e, per certi versi,
incomprensibile ruolo di invadente membro “non-
eurizzato” dell’Ue. Prendendo a prestito il gergo
della Banca Centrale Europea si potrebbe dire
che la Germania è il “decisore di ultima istanza”:
i puritani e immarcescibili custodi di un’ortodos-
sia rigorista nella gestione delle finanze pubbliche
che sta strozzando le economie dei Paesi “perife-
rici”. Marginalizzati e costretti all’angolo dai diktat
provenienti da Bruxelles e da Francoforte, non solo
Grecia, Spagna e Portogallo, ma anche l’Italia si
aggirano errabondi nel vano tentativo di ritrovare
un ruolo di primo piano nelle partite geopolitiche
che si profilano all’orizzonte per tutelare i propri
interessi nazionali. Non è stato così per la Libia,
dove il proditorio attacco militare anglo-francese
ha incrinato profondamente gli storici e vantag-
giosi accordi commerciali conclusi dall’Italia nel
corso degli anni con il rais Gheddafi, non lo è stato
per la Siria e per l’Egitto dove, al di là dei proclami
di rito, non si sono ancora chiariti idee e progetti
per ritornare alla stabilità perduta.
E così, si va al voto per rinnovare il Parlamento
di Strasburgo tra le paure per i crescenti movi-
menti euroscettici ed il totale oblio nelle scelte di
politica internazionale. Dietro il timore – molto
“domestico” peraltro – per il risultato dei cosid-
detti partiti populisti disseminati in tutta Europa,
si nasconde l’assoluta inadeguatezza dell’Ue ad
affrontare le sfide e le tensioni sorte a due passi
dai suoi confini orientali.
L’impressione è quella di un vecchio e stanco pu-
gile suonato, attento a guardarsi l’ombelico nella
speranza che qualcun altro gli tolga le castagne
dal fuoco. Un qualcun altro al quale, un domani
magari, dare la colpa se le cose si dovessero mette-
re male… La Russia dello zar Vladimir Putin, invece,
dopo l’annessione della Crimea e il conseguente
argine alle mire espansionistiche della Nato, pensa
già a come ritornare agli antichi fasti dell’Impero
perduto con la deflagrazione dell’Unione Sovie-
tica. Una leadership, quella di Putin, in grado di
evidenziare maggiormente il triste nanismo euro-
peo, incartatosi nello sposare il meccanismo delle
sanzioni contro Mosca per la questione ucraina.
Una decisione che, inevitabilmente, ha agevolato
la conclusione dello storico – nonché miliardario –
accordo tra Cina e Russia nel settore delle risorse
energetiche e nel mercato tecnologico che sposta
ancora più ad oriente il baricentro del mondo.
Un’ultima riflessione desideriamo dedicarla a
questa rivista. Negli ultimi mesi numerose au-
torità ed altrettanto autorevoli osservatori han-
no avuto occasione di evidenziare che il valore
aggiunto de “Il Nodo di Gordio” è ascrivibile alla
capacità di tracciare gli scenari futuri, forti della
conoscenza e dell’approfondimento della storia,
della cultura, della lingua dei Popoli. In una paro-
la: della Tradizione.
È questa, in effetti e fin dal principio, la mission
del nostro think tank condivisa con tutti i colla-
boratori ed i prestigiosi autori che danno lustro
alla rivista. È questo l’impegno preso con i lettori.
A questo impegno teniamo fede anche con il nu-
mero che avete tra le mani.
Daniele LazzeriDirettore Responsabile “Il Nodo di Gordio”
Segui il direttore su Twitter: @DanieleLazzeri
Editoriale
9Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
METAMORFOSI DEL GLOBOMutazioni e rivoluzioni della geopolitica
World economic and geopolitical outlookWorkshop annuale - XI edizione
MONTAGNAGA DI PINÉ (TN) - SABATO 5 LUGLIO 2014
ROMANTIK HOTEL AL POSTA 1899
Il Workshop verterà sulle mutazioni e rivoluzioni in atto dal punto di vista economico, geopolitico e militare, prestando particolare attenzione alle strategie di comunicazione.
Grazie alla partecipazione di Ambasciatori, Docenti universitari, Ufficiali delle Forze Armate, Giornalisti, Esperti di geopolitica, comunicazione ed economia internazionale la giornata di studi si
configura come una preziosa occasione per comprendere ed elaborare le nuove dinamiche nelle relazioni internazionali in campo diplomatico, economico e culturale.
Per info e prenotazioni: [email protected]
Editoriale
11Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
mappamondi di un tempo assu-
mevano come asse il meridiano di
Greenwich e si presentavano quin-
di come due cerchi appaiati verso il centro dei
quali – dove la sinistra di quello posto a destra
guardando e la destra di quello posto a sinistra
guardando si congiungevano – la costa occiden-
tale dell’Europa si affacciava sull’Atlantico. Era il
mondo delle grandi scoperte geografiche e delle
conquiste coloniali, il mondo della Gran Breta-
gna, della Monarchia di Spagna e dei “carrettieri
del mare” olandesi: un mondo reso plausibile dal
primo viaggio di Cristoforo Colombo alla volta del
Nuovo Mondo eppure entrato già in crisi quando
con l’apertura del Canale di Suez le comunica-
zioni tra Atlantico e Pacifico poterono evitare la
circumnavigazione del continente africano men-
tre più o meno negli stessi anni i giovani Stati
Uniti d’America badavano a portar avanti il loro
disegno di controllo del Pacifico mentre il Giap-
pone Mieji, loro fedele alleato quanto lo era stato
di Franco Cardini
Ridisegnare il mappamondo
I
La “Nuova Via della Seta” e il nuovo Great Game stanno provocando di nuovo una tensione mondiale che ha il suo centro tra area pontico-caspica e Asia
Editoriale
12 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
prima di Sua Maestà Britannica e quanto era av-
versario della Russia czarista – i cannoni ad alzo
zero del commodoro Perry puntate sulla città di
Uraga, nel 1853, avevano fatto miracoli! Altro che
gli Chassepots di quattordici anni dopo a Men-
tana… – dava gli attesi confortanti segni di non
pretendere il controllo dell’oceano ma di volgersi
semmai ad est, verso la Cina.
Il dominio sul mondo delle lobbies occidenta-
li, per quanto rinforzate da sostanziosi apporti
arabi, cinesi, indiani e giapponesi e sostenute dal
“poliziotto internazionale” statunitense, è sem-
brato per breve tempo, nello scorcio tra XX e XXI
secolo, obbligare i mappamondi a ridefinirsi sugli
esatti antipodi rispetto alla loro forma cinque-
novecentesca, proponendo un centro identificato
con il Pacifico attorniato ad ovest dal Giappone e
dall’Australia e ad oriente dalla California e dalla
lunga dorsale andina. Ma questo “mondo alla ro-
vescia – del quale potrebbero essere espressione
le potenze del BRIC: Brasile, Russia, India, Cina,
per quanto il Brasile gravi ancora sull’Atlanti-
co – non è sembrato durare a lungo. L’inatteso
tournant si è a quel che pare affermato negli
ultimi anni del secolo scorso, allorché ad est del
Caspio furono individuati quei giganteschi depo-
siti di petrolio e di gas che hanno letteralmente
mutato il volto politico-diplomatico-economico
del mondo dal conflitto aperto dall’aggressione
statunitense all’Afghanistan del 2001 in poi.
Il fallimento della politica aggressiva di Bush jr.
tra 2001 e 2008 ha, a quanto pare, chiuso pochi
anni dopo il suo avvio quella fase di predominio
mondiale unilateralista della superpotenza sta-
tunitense alla quale Francis Fukuyama aveva ap-
poggiato la sua tesi relativa alla “fine della storia”:
la quale, viceversa, sembra aver addirittura subìto
una brusca e vorticosa accelerazione durante gli
ultimissimi anni: con la riemersione di una specie
di nuova “guerra fredda” priva però della sua pri-
mitiva connotazione ideologica e fortemente an-
corata invece a linee di rottura più propriamente
Editoriale
13Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
geopolitiche che hanno fatto riemergere vecchie
problematiche se non addirittura vecchi confini.
Nel 1907 una Gran Bretagna preoccupata per la
politica “navalista” della Germania di Guglielmo II
che – a differenza di quel che il vecchio Bismarck
aveva sempre cercato di assicurarla che non sa-
rebbe accaduto – mostrava di volerle contendere
la talassocrazia oceanica e una Russia che ormai
bramava, dopo la batosta incassata contro il
Giappone nel 1905, a una politica di penetrazione
attraverso i Balcani e gli Stretti verso il Mediter-
raneo (e preoccupate entrambe per le concessioni
ferroviarie tedesche le quali dal sultanato otto-
mano si prolungavano verso l’Asia centrale) sigla-
rono quel trattato di San Pietroburgo con il quale
l’impero persiano qajar veniva spartito in due
grandi aree d’influenza e la Russia, ribadendo il
suo interesse per l’area a sud del Caspio, rinunzia-
va alle mire sull’Afghanistan e il Tibet assicurando
i confini settentrionali dell’impero britannico del-
le Indie lungo la “linea Durand” stipulata quattor-
dici anni prima. Si concludeva così il lungo Great
Game tra Russia e Inghilterra per la supremazia in
Asia centrale, mentre lo czar poteva sviluppare a
sua volta la sua rete ferroviaria in direzione della
Cina avviata negli Anni Ottanta grazie ai capitali
francesi. Si andavano in altri termini suturando
le antiche ferite diplomatiche che per molti anni
avevano impedito alle tre potenziali avversarie
della Germania – la Gran Bretagna, la Francia e
la Russia – di allearsi contro di lei. Era l’incubo del
Bismarck e il risultato del “nuovo corso” diploma-
tico guglielmino, della “politica delle mani libere
del cancelliere von Bülow: la Germania, che no-
nostante l’atteggiamento aggressivo e militarista
del suo Kaiser non voleva la guerra (perché con
le sue industrie, la sua finanza, il suo esercito e
il suo apparato scientifico-accademico aveva già
“vinto la pace”) aveva fornito alle altre potenze,
con la paura che incuteva e l’invidia che provo-
cava loro, il risultato di convincerle a superare le
loro rivalità e ad unirsi contro di lei.
Conosciamo il risultato: la “guerra dei Trent’An-
ni” 1914-45, che la “cattiva pace” di Versailles del
1919-20 prolungò, con i suoi esiti vicino- e me-
diorientali, ancora fino ai giorni nostri.
Ma oggi la “Nuova Via della Seta” (le pipelines
del petrolio e del gas centroasiatico diretti ver-
so occidente) e il nuovo Great Game che vede
USA, Unione Europea e sistema di lobbies che
ne innervano la compagine (e di cui magna pars
sono gli emirati arabi del Golfo) stanno provo-
cando di nuovo una tensione mondiale che ha
il suo centro tra area pontico-caspica e Asia: le
successive crisi afghana, iraqena, siriana, cauca-
sica e ucraina lo confermano, al pari dei segnali
dinamici che provengono dalle situazioni interne
turca e iraniana e dal nuovo ruolo di leadership
(solo “regionale”?...) assunto dalla Russia di Putin
lo confermano. D’altro canto il risveglio dei paesi
turco-tartari della “cintura meridionale musul-
mana” dell’URSS e la loro inquieta ricerca di un
equilibrio tra istanze “neoislamiche”, laicizzatrici-
occidentalizzatrici e neopanturchiste appare a
tutt’oggi come il principale fenomeno sociocul-
turale e geopolitico al quale siamo chiamati ad
assistere e che dobbiamo correttamente valutare.
Franco CardiniDirettore editoriale de “Il Nodo di Gordio”
Editoriale
14 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
con estremo piacere che rivolgiamo
le nostre più sincere congratulazioni
al prof. Alessandro Bertirotti, Senior
fellow del think tank “Il Nodo di Gordio”, insi-
gnito dalla giura dell’ottava edizione del Premio
Nazionale di Filosofia “Le figure del pensiero” del
premio “RICERCA ACCADEMICA”.
Nelle motivazioni dell’assegnazione di questo
importante riconoscimento si legge: “per i suoi
studi straordinari sull’Antropologia della mente,
in quanto è riuscito a far interagire diverse
discipline come la psicologia, la sociologia, la
filosofia, la neurobiologia e l’economia, al fine di
contribuire alla conoscenza e comprensione dei
diversi aspetti esistenziali del genere umano”.
La premiazione si è svolta a Certaldo (FI), sabato
31 maggio 2014 presso il Palazzo Pretorio situa-
to nel borgo storico. Al prof. Bertirotti vanno i
complimenti da parte di tutta la Redazione della
rivista per il meritato riconoscimento.
Daniele LazzeriChairman del think tank “Il Nodo di Gordio”
Alessandro Bertirotti vincitore del Premio Nazionale di Filosofia “Ricerca Accademica”
è
DAL 26 MAGGIoAPPRofoNDIMENTI
E ANALISIPER coMPRENDERE coME
cAMbIA L’EuRoPA
SoLo Su: www.ilnododigordio.org
Speciale
Elezioni Europee
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201416
Ucraina: il grande gelo
austo Biloslavo è un giornalista di
frontiera. Da lustri si occupa come in-
viato di guerra per “Il Giornale”, “Pa-
norama”, “Il Foglio” e “Oggi” di descrivere le zone
calde e le crisi internazionali con servizi realizzati
direttamente sul campo. I suoi reportage illustra-
no con dovizia di particolari e informazioni di pri-
ma mano le facce meno conosciute e i retroscena
di conflitti e tensioni emergenti in molte aree del
pianeta. Recentemente, grazie all’innovativa idea
del crowdunding (della quale diamo ampio risalto
nelle pagine seguenti) e al relativo progetto “Gli
Occhi della Guerra”, Biloslavo si è avventurato nel
cuore della crisi in Ucraina. “Il Nodo di Gordio” lo
ha intervistato per comprendere più a fondo le
radici e le possibili evoluzioni della nuova “Guerra
Fredda” tra la rinascente Russia dello “zar” Vladi-
mir Putin e un Occidente sempre più confuso ed
indeciso, diviso dalla scelta tra interessi economi-
ci e ragioni geopolitiche.
ucraina:il grande gelo
a cura della Redazione
Biloslavo: in Ucraina una seconda Guerra Fredda
La crimea è stata solo il primo passo di un’onda lunga, che il presidente Vladimir Putin sembra deciso a cavalcare rispolverando anche terminologie e miti zaristi
F
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 17
Ucraina: il grande gelo
Il braccio di ferro economico rischia di far male sia a Mosca che a Washington, anche se noieuropei, inevitabilmente fra due fuochi, faremo la fine peggiore”
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201418
Ucraina: il grande gelo
L’attuale crisi ucraina sembra avere aperto una nuova stagione di contesa e tensione fra Washington e Mosca. Pensi davvero, come molti commentatori, che si tratti di una nuo-va Guerra Fredda? Oppure siamo di fronte ad una situazione del tutto nuova?
“Si tratta di una seconda Guerra fredda con
strategie, tattiche e posizioni del tutto nuove. La
Russia non è più l’ “impero del male” di sovietica
memoria e gli Stati Uniti stanno decadendo dal
loro ruolo di potenza egemone. L’Europa segue
Washington sulla strada impervia e accidentata
del muro contro muro rispetto a Mosca senza
grande convinzione soprattutto per alcuni paesi
come l’Italia. La stessa Cdu tedesca ha criticato
la linea “dura” dell’Occidente con i russi. Per non
parlare dell’avversione del mondo economico
alle sanzioni che si ripercuotono sui nostri af-
fari con Mosca. Non siamo più ai tempi degli SS
20 piazzati in Europa, ma il Cremlino è sempre
stato molto chiaro sull’espansione della Nato e
dell’Unione europea verso Est. L’Occidente ha
platealmente appoggiato una rivolta a Kiev dai
contorni non solo europeisti e democratici, ma
ultra nazionalisti e poco liberali, nel cortile di
casa del Cremlino. In pratica abbiamo svegliato
l’orso russo dal letargo, che ha reagito tirando
una prima e non ultima zampata con l’annes-
sione della Crimea. Un gioco pericoloso in uno
scenario da seconda Guerra fredda, ma senza il
collante ideologico della libertà contro l’oppres-
sione del comunismo, che ha contraddistinto lo
scontro fra Usa e Urss fino al crollo del Muro di
Berlino. Non siamo di fronte alle invasioni sti-
le Budapest o Praga, ma ad una controffensiva
russa che invia le truppe accolte da un certo
appoggio popolare come è capitato in Crimea e
potrebbe accadere in alcune zone a maggioran-
za russofona dell’Ucraina sudorientale”.
Dopo la Crimea, il conflitto fra Mosca e Kiev si è spostato nella regione, mineraria e russo-fona, del Donbas. Come pensi che evolverà la situazione? Una nuova annessione potrebbe far esplodere un conflitto più generalizzato?
Barricate nei pressi di Piazza Maidan - © Fausto Biloslavo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 19
Ucraina: il grande gelo
“I segnali di questa espansione erano evidenti fin
dal referendum per l’annessione della Crimea. Nel
Donbas una minoranza armata di filo russi ha oc-
cupato, armi in pugno, i centri nevralgici in una
decina di città. La maggioranza russofona approva
o non si oppone, anche se sembra più favorevole
ad un forte federalismo ed un’unione doganale
con la Russa piuttosto che al distacco netto dall’U-
craina. Inoltre esiste sul territorio una componente
patriottica ucraina pronta a combattere contro
le spinte separatiste. Soprattutto al di fuori del
Donbas, da Kharkiv ad Odessa, la situazione è a
chiazza di leopardo e per questo più pericolosa del-
la Crimea. Si rischia con un intervento più incisivo
dell’esercito di Kiev e la reazione dei nazionalisti
ucraini sobillati dalle ali estreme come Pravi Sektor
una vera e propria guerra civile, come in Bosnia. Se
il livello dello scontro si alzasse con un tributo di
sangue quotidiano è possibile che le truppe russe
oltrepassino il confine. I separatisti della Repub-
blica di Donetsk già inneggiano all’intervento di
Mosca nel Donbas in funzione di “peacekeeper”. A
parte le infiltrazioni di agenti russi, il Cremlino non
ha alcuna intenzione di invadere l’Ucraina, ma se
ciò accadesse, di fronte ad un bagno di sangue nel
Donbas, gli americani reagirebbero. Lo scenario più
probabile è l’invio di truppe Usa aviotrasportate a
Kiev. Seppure in termini completamente diversi,
come abbiamo spiegato, rispetto alla prima Guerra
fredda non si può escludere che si ritorni sull’orlo
di uno scontro mondiale come capitò con la crisi
dei missili a Cuba. Per ora, però, nessuno ha inten-
zione di morire per Kiev”.
Il movimento di Piazza Maidan: quali sono le sue componenti, e quali, oggi, i nuovi equili-bri di forza a Kiev?
Attivista filo Kiev in Crimea - © Fausto Biloslavo
Statua di un gerarca comunista sovietico abbattuta a Kiev nelel ore della presa del potere dei rivoluzioanri di Maidan© Fausto Biloslavo
Soldato russo davanti all’ingresso della base ucraina presidiata in Crimea - © Fausto Biloslavo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201420
Ucraina: il grande gelo
“Nei mesi della rivolta di Maidan l’estremizza-
zione dello scontro con il regime aveva lasciato
il passo ai settori più nazionalisti dominati dalla
componente “occidentale” dell’Ucraina. I gruppi
paramilitari come Pravi Sektor hanno preso il
sopravvento e di fatto deciso e realizzato la pre-
sa del potere in una notte, dopo l’inutile firma di
un accordo fra il presidente deposto Viktor Ya-
nukovich ed i leader dell’opposizione parlamen-
tare. Da notare che l’accordo era stato tenuto
a battesimo dai grandi paesi europei e da una
scettica Russia.
La liberazione di Yulia Timoshenko ha portato la
discussa eroina vezzeggiata soprattutto dai me-
dia occidentale ad occupare con i propri uomini
i posti chiavi della nuova Ucraina dal ministero
dell’Interno alla presidenza ad interim. La fase
post rivoluzionaria ha in parte ridimensionato la
grande influenza sul terreno dimostrata a Maidan
degli ultra nazionalisti. La secessione della Crimea,
al contrario, ha fatto da volano al patriottismo di
Kiev e alla mobilitazione anche militare. A parte i
ribelli filo russi che non riconoscono né il governo
di Kiev, né le elezioni presidenziali, il voto del 25
maggio segnerà per il resto dell’Ucraina i nuovi
equilibri sorti dalla rivolta e presa di potere di
Maidan. L’iniziale favorita, Timoshenko, sta per-
dendo punti rispetto all’oligarca anti russo della
cioccolata Petro Poroshenko. Il leader del partito
nazionalista Svoboda, Oleh Tyahnybok, grazie alle
minacce separatiste dell’Est potrebbe ottenere un
buon risultato nella corsa alle presidenziali”.
La forte rivendicazione dell’unità del popolo russo che viene, oggi, da Mosca, potrebbe, nel tempo, causare tensioni con altre Repubbliche ex-sovietiche fino ad ora vicine al Cremlino?
Milizia filo russa Samobarona comandata da un veterano dell’Afghanistan (in mimetica) dvanti al ministero dell’Interno a Simferopoli capitale della Crimea - © Fausto Biloslavo
Volontari cetnici a Sebastopoli - © Fausto Biloslavo
Giovani filo russi a Donetsk con la bandiera della Repubblica di Donbas - © Fausto Biloslavo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 21
Ucraina: il grande gelo
“La Crimea è stata solo il primo passo di un’on-
da lunga, che il presidente Vladimir Putin sembra
deciso a cavalcare rispolverando anche termino-
logie e miti zaristi. Il 17 aprile, per la prima volta,
il capo del Cremlino ha rispolverato in diretta tv
la “Novorossija” parlando dei fermenti filo russi
nell’Ucraina orientale. La Nuova Russia è un va-
sto territorio a nord del Mar Nero, da Odessa a
Donetsk, che Caterina la grande colonizzò nel
diciottesimo secolo dopo una lunga lotta con gli
ottomani. In gran parte in questa fetta di Ucraina
vivono 8 milioni di russi.
Aleksander Dughin, ideologo degli euroasiatici,
ascoltato nei circoli del potere moscovita aveva
già preparato un piano in dieci punti battezzato
“la primavera russa”. Alla Crimea seguirà “la guer-
ra civile (nel’Est dell’Ucraina NdA). Mosca aiuterà
i russofoni, mentre l’Occidente appoggerà Kiev”.
Poi “la Russia invierà le truppe nell’Ucraina orien-
tale e inizierà la liberazione della Nuova Russia”
secondo Dughin.
A parte questo fosco scenario lo “zar” Putin per
contenere l’espansione della Nato e dell’Unione
europea verso Est mira a proteggere ed inglobare
territori dimenticati o sepolti dalla storia dove vi-
vono milioni di russofoni. La dimenticata Transni-
stria, una fetta di terra secessionista della Molda-
via, dove vivono 200mila russi è la cerniera con il
sud est dell’Ucraina. Dopo la Crimea le autorità del
paese che nessuno riconosce, ma presidiato da un
contingente di truppe di “pace” del Cremlino, han-
no chiesto l’unificazione alla Russia. La tenaglia del
Cremlino prosegue in Bielorussia con 785mila rus-
sofoni e arriva fino ai paesi Baltici. I russi rappre-
sentano il 26,2% della popolazione in Lettonia ed
il 24,6% dell’Estonia. In Lettonia, dal crollo dell’Urss
sono senza cittadinanza, di fatto, perché si rifiu-
tano di fare l’esame della lingua nazionale. Non a
caso il 21 aprile Putin ha semplificato la procedura
per la cittadinanza a favore dei russofoni che vivo-
no negli ex territori dell’Urss. Solo nel lontano Ka-
zakhstan sono il 23% della popolazione. E pure le
Manifesto per il referendum sull’indipendenza della Crimea - © Fausto Biloslavo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201422
Ucraina: il grande gelo
regioni georgiane separatiste dell’Ossezia del sud,
che vuole riunificarsi con il Nord e dell’Abkhazia
sognano di cavalcare l’onda della Crimea”.
La vicenda ucraina come inciderà sul futuro della nascente Unione Economica Euroasiati-ca? Ne accelererà o rallenterà il processo di aggregazione?
“L’errore madornale è respingere o contrapporre
la Russia rispetto all’Europa. Inevitabilmente Mo-
sca cercherà di rafforzare la sua posizione euroa-
siatica puntando ad accentuare l’aggregazione. Il
declino degli Stati Uniti in Asia, che affronta con
difficoltà il gigante cinese ribadendo l’alleanza
con il Giappone, favorirà l’effetto catalizzatore di
Mosca. Anche in questo scenario non si tratta di
una riedizione dell’Unione Sovietica, ma piutto-
sto di una riedizione moderna del pensiero zarista
della grande Russia. Una strategia “imperiale” da
un parte tesa a raggruppare tutte le comunità
russe disperse e dall’altra a garantire una valida
alternativa al declino dell’egemonia americana”.
Infine, brutalmente, chi vince e chi perde, ov-vero chi ci guadagna e chi no da questa crisi? E si allude tanto a soggetti politici quanto ad interessi finanziari.
“A breve termine perde l’Ucraina, che si è scrollata
da dosso un regime decotto pagando un prezzo
molto alto. Non solo la secessione della Crimea,
ma la spinte separatiste all’Est rischiano di spez-
zare in due il paese. La parte occidentale che ruo-
ta nell’orbita europea e americana e quella orien-
tale in mano ai russi. Per non parlare del collasso
economico del paese con Mosca che chiude i
rubinetti del gas chiedendo semplicemente la
riscossione dei crediti e rialzando il prezzo “po-
litico” delle forniture che aveva garantito a fasi
alterne fino ad oggi.
Subito dopo i diretti interessati, l’Europa è la pri-
ma a perderci pesantemente. Sul piano interna-
zionale non siamo stati capaci di fermare e nep-
pure gestire la crisi passata completamente nelle
mani di Washington. L’impressione è che siamo
sempre a rimorchio dello zio Sam. Ed alcuni pa-
esi come i Baltici, la Polonia e nazioni del nord
Europa consapevolmente o meno hanno tirato
la volata agli Usa. Grandi vecchi come George
Soros hanno giocato un ruolo fondamentale per
Washington dalla Serbia alla Georgia, alla pre-
cedente rivoluzione arancione in Ucraina fino a
Maidan con uomini e mezzi mascherati da Ong.
Si è giocato con il fuoco e ci siamo scottati senza
neppure immaginare fino a dove potrebbe arriva-
re la reazione di Mosca.
Le sanzioni hanno un effetto boomerang sulle
nostre imprese che lavorano sul mercato russo in
un momento di crisi economica che appesantisce
l’Eurozona. Non stiamo parlando dell’embargo
alla piccola Siria, ma di una “guerra” economi-
ca con una superpotenza dalla quale rischiamo
di uscire con le ossa più rotte dei russi. Gli stessi
americani dovrebbero fare meglio i loro calcoli.
Mosca ha annunciato rappresaglie sullo stesso
piano. Il braccio di ferro economico rischia di far
male sia a Mosca che a Washington, anche se noi
europei, inevitabilmente fra due fuochi, faremo la
fine peggiore”.
Fausto Biloslavowww.gliocchidellaguerra.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 23
Ucraina: il grande gelo
a cura della Redazione
Gli Occhi della Guerra.
Il sistema del crowdfunding: la nuova frontiera del reportage
e orbite rossastre di un bambino
soldato che ha già visto troppo, lo
sguardo terrorizzato di un prigionie-
ro che attende il plotone di esecuzione, l’ulti-
mo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito
sono gli occhi della guerra incrociati in tanti
reportage.
Gli occhi della guerra siamo anche noi giorna-
listi e abbiamo scelto questo nome per lanciare
un’idea ambiziosa, innovativa, web oriented con
il sito de Il Giornale, lo storico quotidiano fondato
da Montanelli. “Scegli il tuo reportage” attraver-
so “gli occhi della guerra” è un nuovo modo di
fare giornalismo, che vive e si sviluppa grazie al
crowdfunding. I lettori sostengono un reportage
con dei contributi volontari ed individuali. Prima
Comunicazione ha scritto: “Chi pensa che la pra-
tica del crowdfunding giornalistico, ovvero il fi-
nanziamento on line di piccole somme per realiz-
zare un reportage o un’inchiesta, sia prerogativa
esclusiva della sinistra liberal americana è servito:
la prima testata italiana, a importare il “metodo”
L
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201424
Ucraina: il grande gelo
all’americana Propublica, vincitrice di un Pulitzer,
è nientemeno che ilgiornale.it”
Il denaro raccolto serve esclusivamente a coprire i
costi del reportage ed i rendiconti delle spese sono
trasparenti. Grazie al sostegno dei lettori Fausto
Biloslavo ha raccontato l’Ucraina dalla rivolta di
piazza Maidan alla secessione della Crimea. Gian
Micalessin ha realizzato un reportage nella Libia
piombata nell’anarchia che rischia di sfaldarsi, da
dove continuano a partire dirette verso le nostre
coste ondate umane alla ricerca dell’effimero El-
dorado occidentale. Barbara Schiavulli ha raccol-
to il budget necessario per andare a scoprire il
cuore del radicalismo islamico in Europa.
L’idea fortemente sostenuta da Andrea Pontini,
amministratore delegato del sito de Il Giornale,
punta a coinvolgere think tank, associazioni, ong
per ampliare il più possibile il sostegno alterna-
tivo agli editori classici del giornalismo, delle in-
chieste e delle analisi di qualità.
Il Nodo di Gordio è il primo think tank che ha
deciso di sostenere i nostri reportage per trasfor-
marli in approfondimenti su aree di crisi o temi
non solo di guerra, che ci riguardano da vicino.
Un servizio di qualità, fuori dal coro e senza pa-
raocchi, che racconti il presente per individuare
il futuro. Un’idea, come sostiene Toni Capuozzo,
“per chi non si accontenta dell’informazione co-
pia-incolla, delle opinioni rimasticate a tavolino,
dei pregiudizi espressi da lontano. Un pezzetto di
onestà, di realtà, di lealtà. A tu per tu con i lettori”.
Ed i sostenitori del Nodo di Gordio.
partecipaalla raccolta fondi,
basta un click!
www.il giornale.it
www.gliocchidellaguerra.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 25
Ucraina: il grande gelo
l Nagorno Karabakh, porzione di
territorio dell’area caucasica, dalla
natura incontaminata e con una ricca
eredità culturale, sta risentendo attualmente,
più di altri paesi euroasiatici, del recente
confronto tra la Russia e l’Occidente derivante
dall’annessione della Crimea.
Una situazione questa che rischia di vanificare i
tanti sforzi fatti, a livello internazionale, volti a
porre termine all’irrisolto conflitto tra l’Armenia
e l’Azerbaijan.
La crisi ucraina rappresenta, infatti, un probabile
ritorno alla “Guerra Fredda” tra i due blocchi e
forse anche la fine del noto “Gruppo di Minsk”;
gruppo questo che, impegnato per la risoluzione
del conflitto in Nagorno Karabakh, vede al suo
interno la presenza di Stati coinvolti anche nella
crisi ucraina, ovvero: Stati Uniti, Francia e Russia.
Naturalmente, per comprendere meglio la
situazione nella regione, bisogna andare indietro
nel tempo quando nel 1920 Stalin decise di
di Elvio Rotondo
Nargorno Karabakh e crisi ucraina
I
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201426
Ucraina: il grande gelo
assegnare la regione alla Repubblica Sovietica
dell’ Azerbaijan. Tuttavia, l’ostilità latente tra i
due gruppi etnici principali: azeri e armeni sfociò
solo nel 1988 con una serie di atti di violenza e
di pulizia etnica compiuti da entrambe le parti.
Con il crollo dell’URSS, sull’onda emotiva dei
nazionalismi e degli indipendentismi, si arrivò
a una vera e propria guerra tra l’Azerbaijan e
l’Armenia. Un conflitto, però, che trovò il proprio
casus belli in seguito al voto del parlamento del
Nagorno Karabakh che, facendo leva sulla legge
dell’URSS allora vigente, dichiarò la nascita della
Repubblica del Nagorno Karabakh. La guerra durò
dal 1992 fino al 1994, anno in cui fu firmato il
cessate il fuoco e nel quale i militari armeni
controllavano di fatto il Nagorno Karabakh e
alcuni distretti adiacenti. Il bilancio del conflitto
fu di 30 mila vittime e un milione di profughi per
la maggior parte azeri (la popolazione azera, circa il 25% prima del conflitto, scappò dal Karabakh e
dall’Armenia, mentre gli abitanti di etnia armena
fuggirono dall’Azerbaijan). Successivamente,
fu creato il “Gruppo di Minsk”, una struttura
di lavoro composta da dodici nazioni e co-
presieduta, come già detto, da Francia, Russia e
Stati Uniti, con lo scopo di risolvere il conflitto.
La situazione, tuttavia, è rimasta ancora immutata
dal 1994, nonostante le quattro Risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (n° 822,
853, 874 e 884 emanate tutte nel 1993 mentre
il conflitto era in corso). Risoluzioni queste che
imponevano il ritiro delle forze armene da sei
distretti occupati (Kelbajar, Agdam, Fizuli, Jabrayl,
Qubladi e Zangilan) ma che furono ripetutamente
ignorate.
Secondo Adam EBERHARDT, del Center for Eastern
Studies (Polonia), negli ultimi anni l’Azerbaijan è
stato in grado di acquistare nuove armi grazie alle
sue entrate dovute al petrolio e al gas. La sua im-
portanza strategica è in crescita con importanti re-
lazioni economico-diplomatiche con Russia, UE e
Turchia. Nel 2012 il bilancio militare di Baku è sta-
Caccia Bombardiere MIG 29 Fulcrum
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 27
Ucraina: il grande gelo
to di 3 miliardi di dollari, rispetto ai 130 milioni di
dollari del 2003, un bilancio nettamente superio-
re a quello dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh
messi assieme. Attualmente Israele è il principale
fornitore militare dell’Azerbaijan.
Il Governo Azero, inoltre, gode anche dell’im-
portante sostegno economico e politico turco,
infatti, nell’Agosto 2010, l’Azerbaijan e la Turchia
hanno concluso una partnership strategica per
una cooperazione economica e militare.
Diversamente, l’Armenia si basa solo sul sostegno
della Russia che, oltre a fornire equipaggiamento
con armi moderne, tra le quali missili balistici Iskan-
der-M, 16 MiG-29 e prossimamente anche 18 nuovi
elicotteri d’attacco, probabilmente MI-24P, ha di-
spiegato nel paese tra i 4.000 e i 5.000 propri soldati.
Principalmente i russi sono concentrati
nel distretto militare di Gyumri con alcuni
reggimenti di fanteria, d’artiglieria e con un
reggimento missilistico contraereo. Inoltre,
secondo il Colonnello Gorbul, portavoce russo
del servizio stampa del Distretto Militare del Sud,
“Un lotto di caccia multiruolo MiG-29 è stato
introdotto in servizio presso la 3264ª base aerea
russa a Erebuni”. Tuttavia, il colonnello non ha
specificato il numero esatto di velivoli. Pertanto,
considerando che in passato la base ha ospitato
una squadriglia composta da 16 MiG-29 russi, è
molto probabile che il numero non si discosti da
queste cifre1.
La presenza di basi militari russe in Armenia è
regolata da un trattato bilaterale firmato il 16
marzo 1995. Nel 2010, durante la visita dell’allora
presidente russo Dmitry Medvedev a Yerevan,
l’accordo sarebbe stato prorogato per altri
quarantanove anni e prevedrebbe la protezione
armata di tutti i confini dell’Armenia, tra cui
quello con l’Azerbaijan.
1. Maurizio Sparacino, Rafforzata la presenza russa in Armenia, Analisi Difesa, 1 aprile 2014.
Elicottero MI 24 P
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201428
Ucraina: il grande gelo
Tracey GERMAN, del King’s College London, re-
centemente in un workshop ha descritto come
Yerevan abbia relazioni relativamente buone con
l’Iran oltre che membro dell’Organizzazione del
Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO)2. La CSTO è
una Organizzazione Internazionale guidata dalla
Russia il cui fine è quello di garantire il supporto
militare reciproco nel caso in cui uno Stato mem-
bro venisse attaccato.
Le partnership strategiche armene e azere con
parti terze complica, di conseguenza, questo
conflitto ancora non risolto.
Tuttavia, oggigiorno, un attacco azero all’Arme-
nia appare improbabile. Se scoppiasse una guer-
ra, infatti, gli azeri la limiterebbero probabilmente
alla sola regione del Nagorno Karabakh. Guerra
che, però, metterebbe nel contempo in pericolo
le infrastrutture energetiche situate nel Caucaso
meridionale vitali per il Governo di Baku.
L’oleodotto Baku - Tbilisi – Ceyhan, difatti, cor-
re vicino al Nagorno Karabakh e potrebbe essere
interrotto in caso di guerra. Inoltre, la recente
guerra russo-georgiana, dell’agosto 2008, ha già
evidenziato le gravi conseguenze economiche
relative un conflitto militare nella regione cauca-
sica. Tanto è vero che i danni materiali in Geor-
gia furono stimati in circa un miliardo di dollari,
escludendo la perdita della fiducia degli investi-
tori stranieri.
Pertanto, gli sviluppi nell’ambito della mediazio-
ne tra i due Stati potrebbero essere stati indivi-
duati nel 2009 nei cosiddetti “Principi di Madrid”.
Principi in buona parte accettati dai due bellige-
ranti ancora però divisi sulle modalità e sui tempi
di implementazione.
2. Alla CSTO partecipano: Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizi-stan, Tagikistan Uzbekistan e Armenia.
Missili Iskander
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 29
Ucraina: il grande gelo
I punti prevedevano:
1. Ritorno dei territori che circondano il Nagorno
Karabakh al controllo azero;
2. Stato interinale del Nagorno Karabakh, con ga-
ranzie per la sua sicurezza e il suo autogoverno;
3. Un corridoio che colleghi l’Armenia al Nagorno
Karabakh;
4. Un referendum in cui le popolazioni del Na-
gorno Karabakh possano esprimere liberamente
la propria volontà;
5. Il diritto di tutti gli sfollati interni e dei rifugiati
di tornare alle loro precedenti residenze;
6. Garanzie di sicurezza
internazionali che com-
prendano un’operazio-
ne di mantenimento
della pace.
Tuttavia, dopo qua-
si due decenni dalla
firma del cessate il
fuoco, le tensioni non
si sono ancora placate
tra le due etnie. Tanto è vero che una guerra di
cecchini si continua a svolgere lungo la linea di
contatto con vittime da entrambi le parti e reci-
proche accuse di violazioni del cessate il fuoco.
Violazioni molto difficili da verificare da parte di
terzi a causa della mancanza di accesso alla zona
di conflitto.
Nel Novembre 2013, il presidente armeno Serzh
Sargsyan e il presidente azero Ilham Aliyev si
sono incontrati a Vienna per la prima volta in
quasi due anni. Entrambi i leaders hanno dato
giudizi piuttosto positivi sui colloqui intercorsi
e si sono impegnati a incontrarsi di nuovo
all’inizio di quest’anno, ma a causa di improvvise
violazioni del cessate il fuoco nella zona di
conflitto e le conseguenti recriminazioni da parte
dei belligeranti, l’incontro è stato rimandato a
tempo indeterminato.
Nel frattempo la crisi ucraina, la fuga del
Presidente Yanukovich, il referendum sulla
Crimea e la sua conseguente annessione da parte
della Russia, non hanno mancato di contribuire a
rendere più incerta la soluzione del conflitto nel
Nagorno Karabakh.
Tanto è vero che, da parte armena, è stato
evidenziato che, a seguito dell’annessione della
Crimea, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, con le
imposizioni di sanzioni
contro la Russia e di
misure punitive nei
confronti di Mosca,
hanno anche messo
in discussione il lavoro
del “Gruppo di Minsk”
per la soluzione del
conflitto nel Nagorno
Karabakh. “I tempi
della Guerra Fredda stanno tornando e sarà
più difficile per loro mediare una soluzione”,
ha commentato Hakobian, Senior Analyst per
la Fondazione Civilitas, che ha scritto molto sul
conflitto nel Karabakh.
Inoltre, la rivista armena, “ePress”, ha riportato
che il Presidente armeno Serzh Sargsyan ha
telefonato al presidente russo Vladimir Putin il
19 Marzo per discutere dell’adesione armena
all’Unione Doganale. Durante il colloquio,
Sargsyan avrebbe affermato che la secessione
della Crimea costituisce “un altro caso di esercizio
del diritto all’autodeterminazione dei popoli
attraverso la libera espressione della volontà”.
Infine, in un intervista del 12 Marzo con 1News.az,
Nel frattempo la crisi ucraina, la fuga del Presidente Yanukovich, il referen-
dum sulla Crimea e la sua conseguente annessione da parte della Russia, non hanno mancato di contribuire a rende-re più incerta la soluzione del conflitto
nel Nagorno Karabakh
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201430
Ucraina: il grande gelo
il parlamentare indipendente Rasim Musabekov,
analista politico, le cui opinioni spesso coincidono
con quelle del governo azero, ha sostenuto che
la battaglia dell’Occidente contro la Russia sulla
Crimea, porterà a far diminuire, a breve termine,
l’interesse degli Stati Uniti e dell’Europa sul
conflitto del Karabakh. “Non mi aspetto che, a
seguito dell’evento Crimea, le potenze occidentali
insistano sull’integrità territoriale dell’Azerbaijan
più di prima”, ha detto Musabekov, “infatti, tale
azione non si è verificata neanche dopo la guerra
della Georgia con la Russia per l'Ossezia del Sud
nel 2008”.
Tuttavia, la crisi Ucraina potrebbe accrescere il
ruolo di Baku in alternativa alla Russia, sia per
le forniture energetiche verso l'Unione Europea
sia come canale per la NATO verso l’Afghanistan.
Diversamente, l’analista Vafa Guluzade, ex
braccio destro di politica estera dell’ultimo
presidente azero Heydar Aliyev, ritiene che, nel
complesso, la situazione di stallo potrebbe avere
un effetto positivo sia sulla regione del Caucaso
meridionale che nel processo di pace nel Nagorno
Karabakh. "Prima di tutto, non vi è alcun rischio
di guerra nel Karabakh a breve termine”, ha detto
Guluzade. Inoltre, ha previsto, che gli Stati Uniti
e la Francia intensificheranno i loro sforzi per
risolvere il conflitto in modo da ridurre il ruolo
della Russia e la sua influenza nella regione.
Tra gli azeri, però, l'insistenza dell’Armenia sulla
tenuta di un referendum nel Nagorno Karabakh
è visto come un grande problema a meno che, le
migliaia di azeri, costretti a fuggire dal Karabakh
durante il periodo 1988-1994 non vengano messi
in condizione di tornare a casa e prendervi parte.
Attualmente, nonostante l’incontro di Mosca del
4 aprile 2014, dove i co-presidenti del “Gruppo
di Minsk” hanno ribadito ai Ministri degli Esteri
dell’Armenia e dell’Azerbaijan il loro impegno
a lavorare per una soluzione giusta e pacifica
del conflitto del Nagorno Karabakh, allo stato
dei fatti, con il crescente raffreddamento dei
rapporti tra Russia e Occidente, sembra davvero
improbabile che il “Gruppo di Minsk” sia in grado
di portare avanti il negoziato in modo efficace.
Pertanto, allo stato attuale, lavorare per
impedire un’escalation di un conflitto sarebbe
già considerato un buon risultato, anche in
considerazione del fatto che un ipotetico scenario
di guerra, coinvolgente altri paesi, potrebbe
davvero apparire ben peggiore rispetto a quello
passato.
Elvio RotondoCountry Analyst
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 31
Ucraina: il grande gelo
li avvenimenti di questi ultimi giorni
di aprile, evidenziano che la mano-
vra di Putin, dopo la Crimea, è ora
diretta a cercare di inglobare nella Federazione
Russa anche le regioni orientali e i territori del
sud dell’Ucraina. Sembra un ulteriore passo nella
strategia del Cremlino, volta allo smembramento
dell’Ucraina, come denunciato negli ultimi giorni
dal premier di Kiev Arseny Yatsenyuk.
Nella città di Donetsk centinaia di persone hanno
occupato con l’uso della forza diversi edifici pub-
blici, tentando di impadronirsi anche della sede
della televisione di stato. Un fantomatico Consi-
glio popolare ha inoltre proclamato la nascita di
una Repubblica popolare di Donetsk, indicendo
un referendum di annessione alla Russia entro
l’11 maggio.
La Crimea è stata la prima pedina mossa da Pu-
tin nel suo progetto di creare una Grande Rus-
sia. Il sogno di riunire sotto un’unica bandiera i
territori dove vive una popolazione in prevalenza
di Antonciro Cozzi
Cosa succedein Ucraina?
G
La Russia sta cercando di recuperare uno status di grande potenza, e in quest’ottica una positiva risoluzione della questione ucraina, risulterebbe importante per lo stesso Putin
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201432
Ucraina: il grande gelo
russofona. Sono ormai diventati familiari i nomi
di Transnitria, territorio secessionista della Mol-
dova, ove vivono circa 200.00 russi, l’Ossezia del
sud, regione separatista della Georgia che vuole
riunificarsi con quella del nord e l’Abkhazia, altra
area della Georgia con velleità separatiste, que-
ste ultime due riconosciute da Mosca come en-
tità indipendenti dopo il conflitto del 2008. Ma il
vento della ribellione potrebbe estendersi anche
alla Bielorussia, alla Lettonia e la Lituania, ove è
presente una consistente minoranza russa.
La Russia sta cercando di recuperare uno status
di grande potenza, e in quest’ottica una positiva
risoluzione della questione Ucraina, risulterebbe
importante per lo stesso Putin, accrescendo il
suo prestigio dinanzi alle difficoltà economiche
e i problemi di gestione politica interna che af-
fliggono da tempo la Federazione Russa. L’an-
nessione della Crimea, probabilmente, non è il
Foto di: Frontierenews.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 33
Ucraina: il grande gelo
principale obiettivo strategico, poiché la Russia
disponeva in quel territorio, da anni, della base
navale di Sebastopoli. La regione è più importan-
te dal punto di vista turistico che economico, ma
è un simbolo primario per il nazionalismo russo.
Ben più eclatante, per l’economia, il ruolo delle
regioni orientali e meridionali dell’Ucraina, sedi
di imponenti infrastrutture industriali, verso le
quali si stanno ora rivolgendo gli interessi di Mo-
sca. Forse il vero fine potrebbe essere coinvolgere
l’Ucraina nel progetto Euroasiatico, affiancandola
alla Bielorussia e al Kazakhistan. Una risposta al
tentativo di allargamento a est dell’Unione Eu-
ropea, con l’Accordo
di Associazione pro-
posto ma non firmato
il 29 novembre 2013.
Ma anche la voglia
di riscatto della Rus-
sia, per controbattere i successi degli ultimi anni
conseguiti da Usa e NATO: i progetti antimissile,
il coinvolgimento nel Patto Atlantico di numerosi
Stati ex-sovietici, l’indipendenza del Kosovo e il
sostegno assicurato alla Georgia.
Tre sono le fasi salienti della crisi ucraina; la pro-
testa di Euromaidan, la politica di Putin e la posi-
zione degli Usa e dell’Unione Europea.
Risalgono al novembre 2013 le prime fasi delle
manifestazioni di Euromaidan, nate come prote-
sta al rifiuto della proposta di accordo con l’UE
da parte di Yanukovich, e progressivamente tra-
sformatesi in contestazione del governo in cari-
ca, autoritario e filorusso. La violenta repressione
della polizia ha radicalizzato il vento di protesta,
conducendo agli scontri del 18-20 febbraio con
numerose vittime, soprattutto tra i dimostranti,
e alla fuga dello stesso Yanukovich, abbandonato
da gran parte dei parlamentari inizialmente filo-
governativi, e sostituito da un governo provviso-
rio. Le accuse di fascismo, nazionalismo, razzismo
e antisemitismo, rivolte ai manifestanti e alle or-
ganizzazioni scese al loro fianco, sono state un
fine strumento propagandistico dei gruppi filo-
russi, per screditarne lo spirito dei loro obiettivi,
mentre le istituzioni dell’UE, e la stessa ONU, han-
no mostrato il loro cronico immobilismo nell’af-
frontare questioni di rilevanza internazionale.
Mosca ha sfruttato le divisioni e gli errori del go-
verno provvisorio, appoggiando i gruppi filo-russi
nel conquistare il potere in Crimea, indicendo un
referendum di annes-
sione alla Federazione
Russa, non ricono-
scendo, nel frattempo,
le nuove autorità di
Kiev, ritenendole non
elette democraticamente. Ha inoltre sostenuto le
proposte di riforma federale dell’Ucraina, avan-
zate sin dal dicembre precedente dal governo
Yanukovich, con lo scopo di evitare il pericolo di
divisione del paese e ridurre il potere di Kiev.
La posizione dei paesi occidentali è limitata a
mantenere lo status quo dell’Ucraina: uno stato
indipendente dove si intreccino gli interessi della
Russia (in prevalenza) e di Europa e Usa, senza
sbilanciamenti a favore di una delle due parti.
Restano però da analizzare le ambizioni imperia-
listiche che Mosca vuole continuare a preservare
in questa estrema propaggine dell’Europa.
Molti tra i russi della vecchia generazione hanno
vissuto con forte rammarico la caduta del vecchio
regime comunista ma, allo stesso tempo, sono per-
fettamente consapevoli che la riproposizione dello
stesso sistema ideologico e politico, ormai crollato,
Kiev é la vera madre Russiaessendo lo stato russo nato
dal leggendario Russ di Kiev
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201434
Ucraina: il grande gelo
è improponibile: per motivi geopolitici, ma soprat-
tutto per la debole struttura economica legata alla
cronica arretratezza delle ex repubbliche sovieti-
che, in particolar modo quelle centro-asiatiche.
All’Ucraina è riservato nell’immaginario russo un
posto particolare, totalmente diverso da tutte
le altre repubbliche. Kiev infatti, è la vera prima
“madre” Russia, essendo lo stato russo nato pro-
prio da questa città, capitale del leggendario RUS
di Kiev. I risvolti nazionalistici risultano quindi
fondamentali soprattutto nella strategia di Putin
fortemente radicata sulla supremazia e superiori-
tà russa. E’ infatti questa la leva che il presiden-
te russo sfrutta per la stabilità della sua politica
interna che deve fare fronte alla crisi economica
galoppante che attanaglia il paese. Inoltre metà
della popolazione ucraina è russofona si ritiene
infatti che appartengano entrambi allo stesso
ceppo linguistico.
La Russia è stata tra i primi stati a riconoscere
l’indipendenza di Kiev ed è interessata a mante-
nere con questa un rapporto stretto. L’influenza
sempre maggiore e il coinvolgimento in organiz-
zazioni filo-occidentali è visto, infatti, come una
ingerenza eccessiva e indesiderata da parte di
Mosca, impaurita da un allentamento dei legami
e un possibile affievolimento della sua influen-
za sul paese. Il timore di un indebolimento della
egemonia geopolitica della Federazione Russa
in questa strategica area potrebbe significare lo
schieramento dei missili Nato al confine delle
regioni di Kaluga, Belgorod e Rostov. Il compor-
tamento spesso non convenzionale dei paesi oc-
cidentali, e degli americani in particolare, in poli-
tica estera, non rassicura i russi, che considerano
l’Ucraina come il loro Rubicone.
Che il presidente Yanukovich fosse filo russo è più
un mito che una certezza: basti pensare che le
intere campagne elettorali del 2004 e del 2010
sono state organizzate da un gruppo di esperti
americani guidati da Paul Manafort direttamente
dall’ambasciata americana di Kiev.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 35
Ucraina: il grande gelo
Il suo ripensamento sull’accordo di associazione
all’UE è stato indotto da pressioni dello stesso Pu-
tin, con un ricatto in pieno clima da guerra fred-
da, sotto forma di prestiti e di sconti sul prezzo
del gas. Questo ipotetico accordo tra i due pre-
sidenti sarebbe stato raggiunto perché lo stesso
presidente ucraino avrebbe illustrato le difficoltà
economiche cui sarebbe incorso il suo paese dopo
la firma di adesione all’UE, come la chiusura delle
frontiere con la Russia, con la conseguente crisi e
il fallimento di tantissime aziende locali incapaci
di reggere la concorrenza delle imprese europee.
Per capire i veri obiettivi della Russia nella vicen-
da ucraina, bisogna necessariamente inquadrare
il problema della Crimea. La chiave di volta è il ri-
conoscimento del referendum di annessione della
regione alla Federazione Russa. Le posizioni dei
russi e degli occidentali sono ovviamente total-
mente divergenti. I primi continuano a non rico-
noscere l’indipendenza del Kosovo, una situazione
politica che però hanno abilmente sfruttato per
ratificare sia quella dell’Ossezia che dell’Abkhazia.
Lo stesso riconoscimento russo dell’ annessione
della Crimea non è stato avallato da tutti gli sta-
ti, comprese anche le repubbliche ex sovietiche.
Ma in risposta alle proteste per l’annessione della
Crimea, Putin si avvale del precedente creato pro-
prio dagli occidentali nel Kosovo, accusandoli di
usare due pesi e due misure.
La questione Ucraina si inserisce in uno scenario
che spazia dal futuro dell’UE e dei suoi rappor-
ti con la Russia, sino alla strategia americana e
la creazione di una nuova “Cortina di ferro”, un
anello che congiungerebbe l’Ucraina alla Polonia
e alle Repubbliche baltiche.
La politica statunitense si è ormai da tempo fo-
calizzata sul sistematico indebolimento sulla sce-
na internazionale dell’UE su vari piani, da quello
economico a quello politico. Il dislocamento di
componenti missilistici utili alla creazione dello
scudo di difesa e l’espansione dell’UE ad est che
ha inglobato paesi ed aree politicamente molto
Foto di: dailystorm.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201436
Ucraina: il grande gelo
depresse fanno ampiamente parte di questa po-
litica. Si può certamente dire che nella situazione
ucraina il diritto internazionale sia stato forte-
mente piegato e modellato secondo quelle che
erano le esigenze delle parti e si sia spesso sfociati
nell’utilizzo della forza in palese contraddizione
con suoi principi base. Questo allentamento delle
norme basilari rappresenta un precedente perico-
loso che può scatenare un conflitto difficilmente
controllabile.
La recente affermazione del Presidente america-
no Obama, secondo cui “la Russia è isolata dal
mondo”, e quella del Ministro degli Esteri france-
se Fabius, che ha anticipato l’esclusione di Mosca
dal G8, dimostrano che sono molti gli interessi
in gioco.
La scelta di Vilnius, come sede ove firmare l’Ac-
cordo di Associazione con l’UE, non realizzata,
rivestiva un grande valore simbolico: in passato
l’Ucraina faceva parte del Granducato di Lituania
ed in seguito della Confederazione polacco litua-
na. Una realtà che molti vorrebbero restaurare
per confinare definitivamente la Russia.
La nuova fase di allargamento, a nord ed est,
dell’Unione Europea, ha incontrato nell’Ucrai-
na un ostacolo capace di destabilizzare l’Europa
stessa, ormai divenuta un’entità complessa e di-
somogenea. La politica di rigore volta alla stabi-
lizzazione e alla riduzione dei debiti pubblici, ha
creato nel sud del continente un complesso di Pa-
esi indeboliti ed in profonda crisi sia politica che
economica. Ad est invece si è delineato un fronte
di Stati che temono l’espansionismo russo, in par-
ticolare la Polonia, che ritiene, ancora una volta,
di ritrovarsi terra di mezzo tra Russia e Germania.
Infatti l’espansione economica della Germania è
legata al consolidamento di rapporti economici
sempre più stretti con la Russia. L’ostacolo Ucrai-
na, con il pericolo di una frattura tra UE e Mosca,
costituirebbe un risvolto estremamente negativo
per la Cancelliera Merkel. Peraltro la stessa Fran-
cia non ha interesse ad agevolare l’espansione
dell’economia tedesca in Russia.
Nel frattempo, pur proclamando, il leader di
Mosca, il suo sostegno al diritto dell’Ucraina a
mantenere la sua unità nazionale, i recenti atti
di forza dei gruppi filo-russi a Donetsk e Kharkiv,
dovrebbero indurre gli Stati occidentali a con-
centrare i propri sforzi nel prevenire ulteriori ed
irreversibili smembramenti del territorio ucraino.
Lo scetticismo con cui sono state accolte le parole
di Putin, è stata l’occasione per proporre di invia-
re osservatori internazionali nelle città dell’Ucrai-
na orientale e meridionale. Dinanzi alla impossi-
bilità ad agire del Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
bloccato dal veto russo, e all’immobilismo delle
diplomazie europea e americana, è stata l’OSCE a
raggiungere l’accordo per inviare una missione di
osservatori in Ucraina, con il compito di cercare di
ristabilire condizioni di stabilità e sicurezza. Il 21
marzo i primi osservatori sono giunti nel Paese,
nello spirito di una formula accettabile per l’U-
craina: “access throughout Ukraine”.
Tra la fine di marzo e la prima metà di aprile, si
susseguono una serie di avvenimenti che, se da
una parte sono espressione di una crescente ten-
sione tra le due fazioni, dall’altra rappresentano
il tentativo di trovare una pacifica via di uscita
dalla crisi.
Il 27 marzo l’Assemblea generale dell’ONU appro-
va una risoluzione che definisce illegale l’adesio-
ne della Crimea alla Federazione Russa. Nei giorni
successivi, il 1° aprile, la Nato sospende la coope-
razione militare e civile con la Russia.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 37
Ucraina: il grande gelo
Dopo le manifestazioni dei gruppi filo-russi, che
hanno occupato sedi governative a Lugansk,
Kharkhiv e soprattutto Donetsk, roccaforte in-
dustriale del paese, il primo ministro ucraino
Yatsenyuk, ha proposto alle regioni orientali
un’ampia autonomia amministrativa. Un gesto
forse tardivo, con cui il primo ministro ha cer-
cato di dimostrare che il governo centrale non è
rappresentativo delle sole regioni dell’ovest, ove
si è formato il pensiero nazionalista guida della
rivoluzione e da dove proviene la maggior parte
degli attivisti che hanno partecipato alla rivolta
contro Yanukovich.
In risposta al rifiuto di sospendere l’occupazio-
ne dei governatorati, il 15 aprile Kiev ha lanciato
un’offensiva antiterrorismo nelle regioni dell’est,
inviando mezzi militari e soldati. Scontri armati si
sono verificati con diverse vittime tra i filo-russi,
generando l’impressione che sia Kiev sia Mosca
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201438
Ucraina: il grande gelo
hanno alzato la posta in gioco proprio alla vigilia
dei negoziati di Ginevra.
Giovedì 17 aprile, a Ginevra, è stato raggiunto
un accordo tra Russia, Usa, Unione Europea e
Ucraina. Il ministro degli Esteri russo Lavrov, ha
confermato che l’intesa prevede “lo scioglimento
dei gruppi armati illegali in tutte le regioni ucrai-
ne, la riconsegna degli edifici governativi occu-
pati, lo sgombero di strade e piazze presidiate e
un’amnistia per tutti i manifestanti, tranne che
per coloro che hanno commesso gravi reati. Inol-
tre, dovrà essere avviato un dialogo nazionale nel
quale siano coinvolti tutti i gruppi e tutte le aree
del paese, e spetterà ai partiti ucraini attivarsi per
superare l’attuale crisi. Un ruolo guida di media-
zione andrà assegnato all’OSCE”.
Le speranze di un calo della tensione dopo l’ac-
cordo, sono state però vanificate dall’annuncio
che le milizie filo-russe lasceranno gli edifici oc-
cupati solo qualora il governo ad interim di Kiev
si dimetta. Per contro, gli Stati Uniti sostengono
che dietro i militanti filorussi in tenuta mimetica
apparsi negli ultimi giorni in molte città dell’U-
craina orientale, ci sarebbero forze militari e spie
russe. Le stesse dichiarazioni dei leader dei due
Paesi dimostrano che nonostante gli accordi, il
clima della crisi è ancora estremamente turbo-
lento. Il presidente Putin ha dichiarato “di sperare
tanto di non dover usare il diritto, concessogli dal
Parlamento, di impiegare la forza in Ucraina, e
che la situazione possa essere risolta con mez-
zi politico-diplomatici. La Russia deve fare ogni
cosa per aiutare la popolazione di lingua russa a
difendere i propri diritti in Ucraina, in particolare
quelli della gente che vive nella parte est del Pae-
se”. Il presidente ucraino Turcinov, a sua volta, ha
attaccato violentemente Putin affermando che
“ci teme molto perché l’Ucraina è un esempio per
molti Stati post-sovietici e insegna che la gente
può decidere quali autorità vuole e quali no”.
Il governo ucraino ha inoltre definito “un’ulterio-
re provocazione”, la nuova legge (promulgata il
Foto di: Il Giornale
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 39
Ucraina: il grande gelo
21 aprile) voluta dal leader del Cremlino per ren-
dere più agevole l’acquisizione della cittadinanza
russa per i madrelingua russofoni. Un provvedi-
mento nato per accelerare le domande si citta-
dinanza degli abitanti della Crimea dopo l’annes-
sione, ma che potrebbe avere un effetto a cascata
su tutti gli ex Paesi satelliti di Mosca.
Lo scontro armato avvenuto il giorno di Pasqua
nelle vicinanze di Sloviansk, con la morte di 4
persone, tra cui 3 militanti filo-russi, è stato de-
finito dal ministro degli Esteri russo “un episodio
oltre ogni limite, dimostrativo dell’incapacità e
della riluttanza delle autorità di Kiev a controllare
gli estremisti”. Il Ministro ha attaccato diretta-
mente anche il governo americano, accusandolo
di non capire le responsabilità di coloro “che ha
portato al potere”.
Gli avvenimenti degli ultimi giorni di aprile sono
lo specchio di una situazione, che nell’est del Pa-
ese, sta pericolosamente degenerando. Nella città
di Sloviansk, i militanti separatisti hanno seque-
strato 12 rappresentanti dell’Osce, richiedendo
in cambio la liberazione dei filo-russi arrestati
nelle settimane precedenti. Un elicottero milita-
re è stato distrutto da un razzo dei separatisti. A
Donetsk, la marcia pacifica di alcune centinaia di
manifestanti in favore dell’unità del Paese, è stata
bloccata dall’assalto di gruppi filo-russi armati di
mazze di baseball.
Il premier ucraino Yatsenyuk, intervistato dal
magazine tedesco “Die Zeit”, ha ribadito che
“Mosca vuole riottenere il controllo sugli ex Stati
dell’Urss. Il piano di Putin è costruire un nuovo
ordine mondiale con la Russia nella posizione di
una grande potenza, copia dell’Unione Sovietica.
Gli atteggiamenti aggressivi dei militari russi sul
territorio ucraino, porteranno ad un conflitto sul
suolo europeo, con il pericolo di una terza guerra
mondiale”.
I leader di Gran Bretagna, Usa, Francia Germania
e Italia, hanno minacciato la possibilità di adot-
tare ulteriori sanzioni contro Mosca, ma nello
stesso tempo, hanno convenuto che la soluzione
della crisi non può essere raggiunta che con me-
todi pacifici. Una soluzione condivisa dallo stesso
Putin.
Questi episodi sono purtroppo la spia di un par-
ziale fallimento degli accordi di Ginevra e che la
strada per la risoluzione della questione Ucraina è
ancora irta di ostacoli, che solo una sincera e fer-
ma volontà degli attori nazionali e internazionali
potrà definitivamente rimuovere.
Antonciro CozziLaureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201440
Ucraina: il grande gelo
11 marzo 2014 il Consiglio Supremo
della Repubblica Autonoma di Crimea
e il Consiglio della Città di Sebasto-
poli votano una Dichiarazione di Indipendenza
dall’Ucraina in cui si fa appello alla Carta delle
Nazioni Unite e alla conferma dello status del Ko-
sovo fatto dalla Corte Internazionale di Giustizia
il 22 luglio 2010, “che dice come la dichiarazione
unilaterale di indipendenza da parte di un Paese
non viola nessuna norma internazionale”. La Re-
pubblica di Crimea così proclamata, “Stato demo-
cratico, laico e multinazionale, con un obbligo di
mantenere la pace e il consenso internazionale
e interconfessionale nel suo territorio”, annuncia
però un referendum per entrare a far parte del-
la Federazione Russa. Il 16 marzo si tiene il re-
ferendum: 81,36% di partecipanti; 96,77% di sì
all’unione alla Russia. Il 18 marzo viene firmato il
trattato di accessione alla Russia. La Crimea indi-
pendente è dunque esistita per esattamente sette
giorni. Il risultato del referendum è stato ricono-
di Maurizio Stefanini
Gli Stati non riconosciutiQuella sporca dozzina...
L’
La Repubblica di crimea così proclamata, “Stato democratico, laico e multinazionale, con un obbligo di mantenere la pace e il consenso internazionale e interconfessionale nel suo territorio”, annuncia però un referendum per entrare a far parte della federazione Russa
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 41
Ucraina: il grande gelo
sciuto il 17 da Russia, Venezuela, Ossezia del Sud
e Abkhazia. Il 18 dal Kazakistan. Il 19 dall’Armenia
e dal Nagorno-Karabakh. Il 20 dal Kirghizistan. Il
21 dall’Uganda. Il 22 da Corea del Nord, Afghani-
stan e Siria. Il 23 dalla Bielorussia. Il 27 da Cuba,
Bolivia, Nicaragua, Sudan e Zimbabwe.
Ossezia del Sud, Abkhazia e Nagorno-Karabakh
non sono riconosciuti dall’Onu. Degli altri 15 Pa-
esi, 11 il 27 marzo 2014 votano no alla risoluzio-
ne68/262 dell’Assemblea Generale dell’Onu, che
con 100 sì condanna la violazione dell’integrità
territoriale ucraina. Non vincolante, per via del
veto russo in Consiglio di Sicurezza. La “sporca
dozzina”, come la definiscono in Occidente, com-
prende, con la stessa Russia, quattro Paesi latino-
americani con governi di sinistra radicale inqua-
drati nell’alleanza dell’Alba, e con buoni rapporti
con la Russia in chiave di bilanciamento del peso
degli Stati Uniti nelle Americhe: Venezuela, Bo-
livia, Nicaragua e Cuba. Due sono repubbliche
ex-sovietiche strettamente legate a Mosca: l’Ar-
menia, che appoggia la separazione del Nagorno-
Karabakh dall’Azerbaigian e che sente il bisogno
dell’alleanza russa per controbilanciare quelle
che percepisce come minacce di Turchia e Azer-
baigian; e la Bielorussia di Alexander Lukashenko.
Quest’ultimo è un leader autoritario che si sen-
te sotto pressione da parte dell’Occidente, ed è
perciò accomunabile al caso della Siria di Bashar
Assad, della Corea del Nord di Kim Jong-un, del
Sudan di Omar al-Bashir e dello Zimbabwe di
Robert Mugabe. Afghanistan, Kazakistan e Ugan-
da stanno invece in una lista di 58 astenuti. Tra
essi, innanzitutto i quattro partner della Russia
nei Brics: Brasile, India, Cina e Sudafrica. Ma vi
è anche una seconda repubblica ex-sovietica:
l’Uzbekistan. Tre Paesi del Medio Oriente: Algeria,
Egitto, Iraq. Ben altri 24 dell’Africa sub-sahariana:
Angola, Botswana, Burkina Faso, Burundi, Como-
re, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Gabon, Gambia, Kenya,
Lesotho, Mali, Mauritania, Mozambico, Namibia,
Ruanda, São Tomé and Príncipe, Senegal, Sud Su-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201442
Ucraina: il grande gelo
dan, Swaziland, Tanzania, Uganda, Zambia. Altri
13 delle Americhe: Antigua e Barbuda, Argen-
tina, Dominica, Ecuador, El Salvador, Giamaica,
Guyana, Paraguay Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia,
Saint Vincent e Grenadines, Suriname. Uruguay.
Altri 9 dell’Asia: Bangladesh, Brunei, Cambogia,
Mongolia Myanmar, Nepal, Pakistan, Sri Lanka,,
Vietnam, Due dell’Oceania: Figi, Nauru.
Il Kighizistan sta invece in una lista di altri 24 Pa-
esi che non hanno proprio preso parte al voto. Tra
di essi, due altre repubbliche ex-sovietiche: Tagi-
kistan e Turkmenistan. Sette Paesi medio-orien-
tali: Israele, Iran, Libano, Marocco, Oman, Emirati
Arabi Uniti e Yemen.
Quattro dell’Africa
sub-sahariana: Congo,
Costa d’Avorio, Gui-
nea Equatoriale, Gha-
na e Guinea-Bissau.
Due delle Americhe:
Belize e Grenada. Due
dell’Asia: Laos e Timor
Est. Tre dell’Oceania:
Tonga, Tuvalu, Vanua-
tu. Ma anche Serbia e Bosnia-Erzegovina. Per la
maggior parte si è trattato di una semplice non
voglia di compromettersi in una questione giu-
dicata lontana dai propri interessi. Ma l’Argen-
tina, ad esempio, ha fatto un raffronto tra l’in-
tervento occidentale sulla Crimea e la latitanza
sulle Falkland-Malvinas che ha presumibilmente
influenzato molti latino-americani. La Serbia e la
Bosnia-Erzegovina per la sua componente serba
hanno pensato al Kosovo. L’Afghanistan all’irre-
dentismo sulla Frontiera di Nord-Ovest pakista-
na. Il Pakistan al Kashmir. Il Marocco al Sahara
Occidentale. Timor Est e Sud Sudan alla propria
indipendenza. È peraltro curioso che non abbiano
condannato l’annessione russa della Crimea Pa-
esi governi che all’intervento occidentale devo-
no l’indipendenza o l’esistenza, o che comunque
all’aiuto occidentale sono fortemente esposti:
dalla Bosnia-Erzegovina all’Iraq passando per
Afghanistan, Israele, Timor Est, Sud Sudan o Gre-
nada. Per non parlare del Kirghizistan, che ha vis-
suto una “rivoluzione colorata” analoga a quelle
di Ucraina e Georgia. Singolare è anche che si
siano trovati schierati sulla stessa scelta Paesi in
teoria nemicissimi come Israele e Iran, o India e
Pakistan.
Comunque, l’annes-
sione della Crimea,
non riconosciuta
dall’Onu, crea un pre-
cedente importante
nel campo delle Re-
lazioni Internazionali.
Dalla fine della Secon-
da Guerra Mondiale,
infatti, è in pratica la
prima volta che un
territorio metropolitano di uno Stato passa a un
altro Stato. Lo stesso precedente invocato del Ko-
sovo riguarda un processo di separazione simile a
quelli della decolonizzazione. O alle dissoluzioni di
Unione Sovietica, Cecoslovacchia o del resto della
ex-Jugoslavia. O all’indipendenza del Bangladesh
dal Pakistan, dell’Eritrea dall’Etiopia o del Sud Su-
dan dal Sudan. Non c’è stato però un passaggio
del Kosovo dalla Serbia all’Albania: la grande rot-
tura in quel caso è stata che mentre il processo di
disintegrazione della Jugoslavia aveva rispettato
i confini delle ex-repubbliche federate qui ha ri-
guardato anche una provincia autonoma. Ingran-
Comunque, l’annessione della Crimea, non riconosciuta dall’Onu, crea un pre-cedente importante nel campo delle Re-lazioni Internazionali. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, è in pratica la prima volta che un territorio metropolitano di uno Stato passa a un
altro Stato
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 43
Ucraina: il grande gelo
dimenti statuali ci sono stati invece col passaggio
della Germania Est con la Germania Ovest, del
Vietnam del Sud con il Vietnam del Nord e dello
Yemen del Sud con lo Yemen del Nord: tre pro-
cessi di riunificazione in cui però gli Stati che si
sono fusi sono spariti integralmente. Così come
è avvenuto nel 1954 con il Territorio Libero di
Trieste, spartito tra Italia e Jugoslavia. Ci sono
stati invece i processi di annessione degli stabi-
limenti portoghesi di Goa, Daman e Diu all’India,
della Nuova Guinea olandese all’Indonesia e del
Sahara spagnolo prima a Marocco e Mauritania
e poi tutto al Marocco, per non parlare di quello
di Timor portoghese all’Indonesia, poi annullato
dall’indipendenza dello stesso Timor Est. Ma si
tratta di territori coloniali, separati dalla madre-
patria da migliaia di chilometri. Peraltro, anche
questi mutamenti di frontiere dopo il 1954 erano
avvenuti fuori dall’Europa, dove la guerra fredda
aveva sancito l’immutabilità della carta geografi-
ca. Solo nel 1989-92 il crollo del comunismo ha
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201444
Ucraina: il grande gelo
fatto saltare questo tabù, ma appunto nella dire-
zione della separazione di regioni amministrative
organiche, oltre che nella riunificazione tedesca.
Un precedente in cui un’eventuale indipendenza
scozzese o catalana potrebbe inquadrarsi. Il Koso-
vo ha rappresentato il già citato ulteriore salto di
qualità della separazione di una “sotto-regione”,
e la Crimea è ora una novità ulteriore. In questo
caso, sarebbe il precedente per una possibile riu-
nificazione tra Albania e Kosovo, o tra Moldavia
e Romania, o magari tra Repubblica Serba di Bo-
snia e Serbia.
Va però ricordato il caso dei Territori Occupati
di Israele, il cui status è ancora indeterminato,
salvo quell’annessione di Gerusalemme Est e
del Golan che né l’Onu, né nessun Paese hanno
riconosciuto. Ma è evidente che qui è un caso
molto particolare, legato al problema del rico-
noscimento dello Stato d’Israele da parte dei
Paesi arabi. E non solo, visto che non lo ricono-
scono ben 32 membri dell’Onu. Peraltro, non è il
solo membro dell’Onu non riconosciuto da altri
membri dell’Onu. La Cina ad esempio, non ha re-
lazioni diplomatiche con 21 Paesi e neanche con
la Santa Sede, che invece riconoscono la Repub-
blica di Cina in Taiwan, non riconosciuta dall’O-
nu. Peraltro la Repubblica di Cina in Taiwan non
esigerebbe più l’esclusività delle relazioni, ma
l’aut aut è imposto da Pechino. C’è poi l’Arme-
nia, che curiosamente si trova non riconosciuta
non da Turchia o Azerbaigian, ma dal Pakistan.
Cipro, non riconosciuta dalla Turchia. La Corea
del Nord, non riconosciuta da Corea del Sud e
Giappone. E la Corea del Sud, non riconosciuta
dalla Corea del Nord.
Abbiamo però all’inizio fatto un cenno a Abkha-
zia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh: tre
Dall’alto verso il basso, le bandiere di Armenia, Corea del Sud e Taiwan
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 45
Ucraina: il grande gelo
Stati di fatto esistenti e riconosciuti da membri
dell’Onu, ma non dall’Onu, che li considera legal-
mente parte di altri Stati membri. È la situazione
in cui si è trovata la Repubblica di Crimea nella
sua settimana di esistenza, ma attualmente sono
in tutto dieci le entità statuali che si trovano in
una situazione simile”, con “attualmente dopo
l’autoproclamazione il 7 aprile 2014 della Repub-
blica Popolare del Donetsk e il 27 aprile 2014 del-
la Repubblica Popolare di Luhansk, sono in tutto
dodici le entità statuali che si trovano in una si-
tuazione simile.
Il caso più antico è quello della Repubblica di
Cina in Tiwan, che però va considerato a parte,
nel senso che non solo è stato membro dell’O-
nu, ma addirittura tra
i suoi fondatori. Si
tratta infatti dell’e-
rede di quel governo
nazionalista di Chiang
Kai-shek che all’epoca
della nascita dell’O-
nu era considerato il
legittimo rappresen-
tante della Cina, ma
che nel 1949 in seguito alla sconfitta nella guerra
civile con i comunisti di Mao fu costretto a la-
sciare il Continente, rifugiandosi a Taiwan. Con
la risoluzione 2758 del 25 ottobre 1971 l’Onu
passò il riconoscimento alla Repubblica Popolare
Cinese, ma pur formalmente in un limbo di fatto
Taiwan partecipa alla comunità internazionale.
La maggior parte dei Paesi del mondo e la stessa
Cina hanno infatti relazioni diplomatiche con il
governo di Taipei, con il semplice escamotage di
non chiamare le ambasciate con quel nome. La
stessa Cina partecipa a aree di integrazione eco-
nomica con Taiwan, pure lì con l’escamotage di
definirle “tra economie” e non “tra stati”, e l’uso di
una bandiera e inno olimpico permette agli atleti
taiwanesi di partecipare anche alle grandi com-
petizioni sportive internazionali.
Dal punto di vista cronologico, il secondo esem-
pio è quello della Repubblica Turca di Cipro del
Nord, che dichiarò la propria indipendenza il 15
novembre 1983, anche se di fatto la parte nord
dell’isola era stata separata dal sud dopo l’inva-
sione turca del 20 luglio 1974: a sua volta venuta
cinque giorni dopo il colpo di Stato con cui un
gruppo di nazionalisti greco-ciprioti vicini al re-
gime militare al potere in quel momento a Atene
aveva deposto il presidente arcivescovo Makarios,
proclamando l’an-
nessione alla Grecia
e facendo partire una
sanguinosa pulizia
etnica, cui peraltro si
rispose con altre vio-
lenze. Riconosciuta
solo dalla Turchia an-
che se ha uno status
di osservatore presso
l’Organizzazione della Conferenza Islamica, con-
dannata sia dall’Onu che da un’Unione Europea
il cui territorio finisce per menomare, in realtà
la Repubblica Turca di Cipro del Nord non rifiu-
ta formalmente l’ipotesi di una riunificazione
col Sud, specie appunto da quando Cipro dal
primo maggio 2004 è entrata nell’Unione Euro-
pea. Anzi, il piano di pace per la riunificazione
elaborato nel 2002 dall’allora segretario dell’Onu
Kofi Annan il 24 aprile 2004 è stato approvato
per referendum dal 64,91% dell’elettorato di Ci-
pro del Nord. Ma sono stati i greco-ciprioti invece
Dal punto di vista cronologico, il secon-do esempio è quello della Repubblica Turca di Cipro del Nord, che dichiarò
la propria indipendenza il 15 novembre 1983, anche se di fatto la parte nord dell’isola era stata separata dal sud
dopo l’invasione turca del 20 luglio 1974
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201446
Ucraina: il grande gelo
a dire no, al 75,83%. Il nodo è stato che se i turco-
ciprioti per quel piano accettavano di smantel-
lare la loro repubblica autonoma avrebbero però
avuto il diritto di restare nell’isola gli immigrati
arrivati dalla Turchia continentale dopo il 1974,
e anzi loro stessi avevano potuto votare. Senza
contare la possibilità di un’ulteriore possibilità di
immigrazione dalla Turchia in futuro.
La Repubblica Araba Saharaui Democratica fu in-
vece proclamata il 27 febbraio 1976 dal Fronte
Polisario (=Fronte di Liberazione Popolare di Sa-
guia el Hamra e del Río de Oro), movimento che
aveva condotto la guerra d’indipendenza contro
la Spagna, dopo che dal 31 ottobre 1975 l’eser-
cito marocchino aveva iniziato l’invasione del
territorio che il caudillo Franco aveva deciso di
sgomberare, e il 14 novembre 1975 con gli Accor-
di di Madrid la Spagna aveva acconsentito a una
spartizione del territorio tra Marocco e Maurita-
nia. Il 5 agosto 1979 la Mauritania ha poi rinun-
ciato alla sua parte, riconoscendo la Repubblica
Araba Saharaui Democratica. Ma a quel punto
anche quell’area è stata occupata dal Marocco.
In effetti la gran parte dei seguaci del Polisario
non sta nel territorio del Sahara Occidentale ma
in campi profughi in Algeria, e tuttavia viene
stimato che per le meno il 25% del territorio sia
effettivamente sotto il controllo della Repubblica.
La stessa Repubblica Araba Saharaui Democrati-
ca è stata riconosciuta da 84 membri dell’Onu e
dall’Unione Africana, ma Lega Araba e Organiz-
zazione della Conferenza Islamica riconoscono
invece il territorio come parte del Marocco, e 39
Stati hanno poi ritirato il riconoscimento. L’O-
nu non riconosce La Repubblica Araba Saharaui
Democratica ma considera il territorio ancora de
decolonizzare ed il 6 settembre 1991 è riuscita
a raggiungere un cessate il fuoco sulla base del
principio di un referendum su cui però da allo-
ra non si è ancora raggiunto un accordo. Anche
qui, alla chiave del dissenso è stabilire chi ha il
diritto di votare, con veti marocchini sui profughi
Unione Africana Bandiera del Commonwealth
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 47
Ucraina: il grande gelo
in Algeria e Mauritania e veti del Polisario sugli
immigrati marocchini post-1975. Dal 2007 il Ma-
rocco propone un piano di autonomia alternativo
all’indipendenza; dal 2010 il Polisario ha interrot-
to i rapporti con la Missione Onu incaricata del
referendum (Minurso).
Il 15 novembre del 1988 l’Organizzazione per la
Liberazione della Palestina (Olp) proclamò ad Al-
geri lo stato di Palestina. All’epoca un governo in
esilio, che non controllava nessuna porzione del
territorio reclamato, ma esercitava solo autorità
su campi profughi. Al contrario di altri governi
con controllo effettivo sul territorio ma senza
riconoscimenti, lo Stato di Palestina ne ha avu-
ti in quantità: ben 134 membri dell’Onu, più la
Repubblica Araba Saharaui Democratica, la Lega
Araba e l’Organizzazione della Conferenza Islami-
ca. Tuttavia un’effettività di controllo su certi ter-
ritori l’ha avuta solo dal 17 maggio 1994 grazie al
riconoscimento di Israele in seguito agli Accordi
di Oslo. L’Autorità Nazionale Palestinese (Anp)
così riconosciuta è ridiventata Stato di Palestina
il 3 gennaio 2013 dopo che il 29 novembre 2012
con 138 voti contro 9, 41 astensioni e 5 assenze
l’Anp era stata riconosciuta dall’Onu come Sta-
to osservatore non membro, allo stesso modo di
Svizzera e Santa Sede. In seguito alla guerra civile
combattuta tra 10 e 15 giugno 2007 tra Al Fatah
e Hamas quest’ultima si è però impadronita della
Striscia di Gaza. Di fatto, quindi, ci sono oggi due
Stati palestinesi: quello di Al-Fatah in Cisgiorda-
nia e quello di Hamas a Gaza. Tuttavia entrambi
reclamano di essere il legittimo governo dell’Anp,
per cui il loro rapporto è simile a quello tra i due
governi di Pechino e Taipei rispetto alla Cina.
Sebbene a Hamas siano arrivati appoggi e visite
da governi come quelli di Qatar, Egitto, Siria, Iran
e Turchia, peraltro in parte rientrati, i riconosci-
menti ufficiali restano quelli all’Anp.
Il 23 aprile Fatah e Hamas hanno raggiunto un
accordo di riconciliazione per arrivare a un go-
verno di unità nazionale e nuove elezioni, ma altri
simili accordi tra le due organizzazioni nei passati
sette anni sono rimasti lettera morta.
Anche in Somalia con la guerra civile del 1991 il
Paese si è diviso in vari frammenti occupato da
fazioni l’una contro l’altra armate. Formalmente,
però, il Governo Federale di Somalia stabilito il 20
agosto 2012 ha ricondotto tutte sotto un qua-
dro teorico di autonomie federali. L’unica entità
che non ha voluto rientrare è la Repubblica del
Somaliland, auto-proclamata il 18 maggio 1991
nell’area che prima del 1960 era stata sotto il
dominio coloniale britannico. Formalmente non
la riconosce nessuno, ma una missione dell’nio-
ne Africana ha pubblicato un rapporto in cui
non esclude la possibilità di un riconoscimento,
e anche dall’Etiopia in una dichiarazione è venu-
to un riconoscimento de facto all’esistenza di un
Primo ministro del Somaliland. Rapporti di fatto
esistono comunque con Gibuti, Belgio, Francia,
Ghana, Kenya, Sudafrica, Svezia, Regno Unito e
Stati Uniti. Inoltre il governo del Somaliland è
stato invitato a un vertice del Commonwealth e
a un’inaugurazione dell’Assemblea Nazionale del
Galles, e una richiesta di ammissione al Common-
wealth è in sospeso.
Anche prima del caso della Crimea, una gran
parte degli Stati non riconosciuti oggi esistenti
è stata originata dal processo di disintegrazio-
ne dell’Unione Sovietica, proprio per il fatto che
l’indipendenza è stata riconosciuta alle repubbli-
che sovietiche e non alle entità amministrative
minori. Il 2 settembre 1990, in particolare, prima
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201448
Ucraina: il grande gelo
ancora che il 27 agosto 1991 la Moldavia potes-
se dichiarare la propria indipendenza dall’Unione
Sovietica, dichiarò la propria indipendenza dalla
Moldavia la Repubblica Moldava di Transnistria,
in un’area dove in realtà in censimenti indicano
che i russofoni sono meno dei moldavi di etnia
romena, ma ucraini e russi assieme di più, e co-
munque è ubicata la 14esima armata dell’esercito
russo, con il più importante arsenale e deposito
di munizioni d’Europa. D’altra parte nell’agosto
del 1990 anche la Gagauzia, popolata di turchi
cristiani, aveva proclamato la propria indipen-
denza dalla Moldavia. La secessione gagauza si
risolse con la legge sull’autonomia votata dal
parlamento moldavo il 23 dicembre 1994, anche
se il 2 febbraio 2014
un referendum ha de-
ciso che la Gaugauzia
chiederebbe l’indipen-
denza se la Moldavia
entrasse nell’Ue. Tra
Transnistria appog-
giata dalla Russia e
Moldavia appoggiata dalla Romania scoppiò
invece il primo marzo 1992 una vera e propria
guerra, che fece a seconda delle stime tra i 316
e i 637 morti, e fu conclusa con la tregua che
il 21 luglio 1992 congelò lo status quo tuttora
esistente. Riconosciuta il 17 novembre 2006 da
Abkhazia e Ossezia del Sud, con cui ha costituito
la Comunità per la democrazia e i diritti dei po-
poli, nel 2010 la Transinistria ha ripreso negoziati
con la Moldavia, ma il 18 marzo 2014 ha chiesto
a sua volta un’annessione alla Russia sul modello
della Crimea.
Anche l’Ossezia del Sud nel 1990 aveva dichiara-
to la propria separazione dalla Georgia, in risposta
all’attitudine separatista della Georgia dall’Urss. Dal
5 gennaio 1991 al 24 giugno 1992 scoppiò anche
qui una guerra, che provocò un migliaio di morti,
e si concluse con un cessate il fuoco mediato alla
Russia e sorvegliato da truppe russe. La proclama-
zione di indipendenza della Repubblica dell’Ossezia
del Sud, del 28 novembre 1991, all’inizio non ebbe
alcun riconoscimento. Il 12 ottobre 1994 venne
però un Trattato di Amicizia e Cooperazione con la
Transnistria, il 17 novembre 2006 il mutuo ricono-
scimento con il Nagorno-Karabakh e il 26 settembre
2007 il mutuo riconoscimento con l’altra repubblica
secessionista dalla Georgia dell’Abkhazia. Tra il 7 e
il 16 agosto 2008 un tentativo georgiano di ricon-
quista portò a un intervento russo e a una pesante
sconfitta militare geor-
giana, con un bilancio
tra i 400 e i 600 morti.
Il 26 agosto la Rus-
sia riconobbe dunque
l’Ossezia del Sud come
Stato sovrano, seguita
il 5 settembre 2008 dal
Nicaragua, il 10 settembre 2009 dal Venezuela, il 16
dicembre 2009 da Nauru, e il 19 settembre 2011 da
Tuvalu.
Nel Nagorno-Karabakh, provincia collocata
nell’Unione Sovietica nell’Azerbaigian per ri-
guardo alle sue connessioni economiche piut-
tosto che all’etnia amena della maggioranza
dei suoi abitanti, la guerra tra armeni e aze-
ri iniziò il 20 febbraio 1988 e durò fino al 12
maggio 1994. Dopo tra i 2000 e i 3000 morti, il
Protocollo di Bishkek grazie a una mediazione
russa arrivò a un cessate il fuoco che congelò
la situazione. Intanto il 2 settembre 1991 era
stata proclamata la Repubblica del Nagorno-
Anche prima del caso della Crimea, una gran parte degli Stati
non riconosciuti oggi esistenti è stata originata dal processo di
disintegrazione dell’Unione Sovietica
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 49
Ucraina: il grande gelo
Karabakh, e dal 1993 Turchia e Azerbaigian
sottopongono l’Armenia a un blocco delle
frontiere che obbliga gli armeni a appoggiarsi
su Russia e Iran. Il Nagorno-Karabakh è ricono-
sciuto da Transnistria, Abkhazia e Ossezia del
Sud, ma non dalla Russia e neanche dell’Arme-
nia. Come nel caso di Taiwan, vi sono però rap-
presentanze non ufficiali in Armenia, Australia,
Francia, Germania, Russia, Stati Uniti, Libano e
India. Richieste di riconoscimento sono venute
dagli Stati Usa di Rhode Island, Massachusetts,
Maine e Louisiana e dalla Provincia australiana
del Nuovo Galles del Sud.
La secessione dell’Abkhazia dalla Georgia è pa-
rallela a quella dell’Ossezia del Sud, ma con un
processo un po’ più lento. La guerra tra abkhazi,
appoggiati da volontari russi, georgiani, cosacchi
e caucasici, e Georgia si combatte infatti tra 14
agosto 1992 e 27 settembre 1993, provocando
secondo alcune stime fino a 40.000 morti, specie
per una feroce pulizia etnica di georgiani. Anche
qui è la mediazione russa a raggiungere il ces-
sate il fuoco, seguito dall’accordo di Mosca del
14 maggio 1994 sulla separazione delle forze.
Ma una guerra tra miliziani georgiani e abkhazi
scoppia di nuovo dal 20 al 26 maggio 1998, un
nuovo conflitto c’è tra 22 e 28 luglio 2006, e il
10 agosto 2008 la guerra tra Georgia e Ossezia
del Sud si allarga all’Abkhazia. L’indipendenza
della Repubblica di Abkhazia è stata dichiarata
formalmente il 23 luglio del 1992, e ribadita il 12
ottobre 1999. Abkhazia e Transinistria firmano un
Trattato di Amicizia e Cooperazione già il 22 giu-
gno 1993, il 17 novembre 2006 arriva il ricono-
scimento di Nagorno-Karabakh e il 26 settembre
2007 dell’Ossezia del Sud. Vengono poi la Russia il
26 agosto 2008, il Nicaragua il 5 settembre 2008,
il Venezuela il 10 settembre 2009, Nauru il 15 di-
cembre 2009, Vanuato il 23 maggio 2011 e Tivalu
il 18 settembre 2011.
C’è, ancora, la Repubblica del Kosovo. Che rappre-
senta una situazione piuttosto singolare, perché
dopo la guerra del Kosovo combattuta tra albane-
si e serbi dal 28 febbraio 1998 all’11 giugno 1999,
e dal 24 marzo 1999 anche con l’intervento della
Nato, il Kosovo era passato sotto un’Amministra-
zione a Interim Onu. Ma quando il 17 febbraio del
2008 è stata proclamata l’indipendenza, creando
il precedente poi citato per la Crimea, questa non
è stata riconosciuta da 107 membri dell’Onu oltre
che dalla Repubblica di Cina in Taiwan ma non
dall’Onu stessa, anche se fa parte di Fondo Mone-
tario Internazionale e Banca Mondiale.
Infine, le già citate Repubblica Popolare del Do-
nestk e Repubblica Popolare di Luhansk, che
separatesi a loro volta dall’Ucraina sul modello
della Crimea hanno sanzionato la propria indi-
pendenza con i referendum dell’11 maggio 2014.
Il loro è uno status in teoria transitorio, visto che
al momento di scrivere queste note nessun rico-
noscimento è ancora arrivato, e che peraltro il
loro obiettivo teorico è quello di essere annesse a
loro volta nella Federazione Russa. Ma proprio la
vicenda di questi Stati non riconosciuti dimostra
l’assioma per cui spesso non c’è nulla di più dura-
turo del provvisorio.
Maurizio StefaniniGiornalista, profesionista e saggista. Freelance, colabora con il Foglio, Libero, Limes, Longitude, Agi Energia
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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Asia Centrale è, storicamente, il teatro
privilegiato del Grande Gioco, come,
con espressione straordinariamente
evocativa, volle chiamarlo Kipling, vecchio ami-
co e sodale di Halford McKinder, il padre nobi-
le della moderna geopolitica. Lo scenario dove,
per alcuni secoli, sino agli albori della I Guerra
Mondiale, l’Impero degli Zar ed il Raj Britannico
si contesero, in una esasperante partita a scacchi,
il controllo di una vastissima regione che, esten-
dendosi dalle steppe gelide del Nord, ai confini
con la tundra siberiana, giunge, a Sud, sino ai
mari caldi, all’Oceano Indiano e al Golfo Persico,
o Arabico che dir si voglia, e che, chiusa ad Orien-
te dalle altissime catene montuose che segnano
il limes dell’Impero Cinese, ad Occidente sconfina
verso la Russia, il Caucaso ed il Mar Nero, dove
la steppa, appunto, incontra il bosco europeo e,
più a mezzogiorno, il primi segni della macchia
mediterranea. Regione che proprio McKinder
per primo identificò con chiarezza come “Cuore
SpecialeKazakhstan
di Andrea Marcigliano
La terra dei cavalieri e gli equilibri del mondo. Geopolitica del moderno Kazakhstan
L’Asia centrale è, oggi, il luogo dove inevitabilmente convergono e cozzano tutte le tensioni che attraversano il globo. una sorta di camera di decantazione – o di esplosione – di crisi e apparentemente remote, da quella del Mondo Arabo, a quella ucraina, sino a quella che vede confrontarsi in estremo oriente cina e Giappone...
L’
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
51
Il Kazakhstan è oggi il vero e proprio perno degli equilibri centro-asiatici, o, per usare un termine classico della scienza geopolitica, il “pivot d’area” (da inserire in Asimmetrie e tensioni..)In pratica tra Kazakhstan e Kirghizistan si sta realizzando l’embrione di una nuova zona di cooperazione, che se estesa, potrebbe portare all’alba di una nuova stagione di prosperità per tutta la regione centro-asiatica
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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del Mondo”, il cui controllo è necessario a colui
che volesse dominare l’Isola del Mondo, ovvero
il complesso macro-continentale Eurasia+Africa.
Identificazione che il politico e studioso britan-
nico fondò tanto sulla osservazione spregiudi-
cata della realtà geografica, quanto sull’attenta
rilettura dei portati storici. Che mostrano chia-
ramente come la regione centro-asiatica abbia
sempre rappresentato la cinghia di trasmissione
e comunicazione privilegiata del nostro mon-
do. Un intrico di “vie”, fra le quali quella detta
“della Seta” è solo la più famosa, che collegano
il quattro punti cardinali, ed hanno permesso, e
visto, nei secoli, un continuo passaggio di uomini
e merci, di armate e pellegrini, favorendo e con-
dizionando non solo gli equilibri geopolitici del
Mondo intero, ma anche quella particolarissima
sintesi di culture ed idee che è all’origine della
Civiltà moderna. Un flusso continuo nelle quattro
direzioni, anzi seguendo tutti i percorsi della Rosa
dei Venti, reso possibile anche, forse soprattut-
to, da una sostanziale assenza di confini, o per
lo meno dallo loro porosa aleatorietà. La steppa,
le immense pianure sono come il Mare, l’Oceano
nel quale terminano verso meridione... difficili da
controllare, quasi impossibili da marcare con pie-
tre miliari... Questo, almeno, sino a pochi decenni
or sono, sino ad un secolo fa circa, quando i due
conflitti mondiali portarono, come conseguen-
za, ad un terzo mai davvero combattuto a viso
aperto, più una partita a domino che una guerra
guerreggiata... un conflitto freddo, una Guerra
Fredda, che ebbe come principale conseguenza di
chiudere, entro confini apparentemente d’acciaio
il Mondo intero, tagliando l’Asia Centrale in due,
con una sorta di vallo invisibile ed insormontabi-
le al tempo stesso. Il confronto fra i Blocchi, tra
le due Superpotenze sembrò, allora spegnere il
Grande Gioco, e vanificare, rendere arcaiche tutte
le tesi della geopolitica classica. In realtà, si trat-
tava solo di una pausa, di uno stallo momenta-
neo per restare alla metafora scacchistica. E durò
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
53
poco; un’ottantina d’anni: molto se misurati alla
vita di un singolo uomo, nulla se confrontati con
la storia. In sostanza il Secolo breve, come lo ha
definito Hobsbawn. Chiusosi il quale, con il crol-
lo del Muro di Berlino, abbiamo visto riaffiorare
sempre più prepotentemente quelle dinamiche
che avevano a suo tempo ispirato le tesi dei gran-
di padri della geo-politica, da Kjéllen a McKinder,
da Mahan ad Haushofer.
Così anche l’Asia Centrale è tornata, rapidamen-
te, al suo ruolo classico; a rivestire un’impor-
tanza centrale nel rinnovato Grande Gioco della
geopolitica – e parimenti, in modo inestricabile,
della geo-economia – contemporanea. . E non
deve stupire il fatto che, un paio d’anni fa, nel
pieno delle cosiddette “Primavere Arabe” – quan-
do tutto il Maghreb ed il limitrofo Medio Orien-
te venivano contagiati da un vero e proprio in-
cendio – un alto funzionario di Foggy Bottom,
la Segreteria di Stato americana, interrogato
sulle preoccupazioni di Washington, rispondes-
se, sibillinamente: “Nord Africa? Medio Oriente?
Quello che ci preoccupa ed interessa davvero è
l’Asia Centrale.” Una ulteriore conferma di quale
sia veramente il teatro chiave della partita – in
essere e in fieri – fra le potenze contemporanee.
Fra Stati Uniti e Federazione Russa in primo luo-
go, di nuovo competitori globali che, dopo quasi
due decenni di sonno del vecchio Orso Moscovi-
ta, sembrano ora, dopo la crisi di Kiev, vocati ad
incrociare nuovamente le lame. Riproponendo in
nuova forma la tradizionale antitesi del Grande
Gioco di kiplinghiana memoria: la sfida tra Mosca
e Washington che ha preso il posto di quella tra
San Pietroburgo e Londra del tempo di “Kim”… Ma
anche competizione con la Cina, la cui politica,
certo, si fonda sul principio di evitare ingerenze
esterne e, al contempo, di non farsi coinvolgere in
conflitti oltre i propri confini; e tuttavia le élite di
Pechino appaiono ben coscienti dell’importanza
vitale che la regione centro-asiatica riveste per la
sicurezza ed il futuro economico dell’antico Im-
pero di Mezzo, nonché per l’assetto complessivo
degli equilibri globali. E poi, da Pechino, si vede
chiaramente come sulle distese del Centro Asia
convergano, oggi, le mire e le ambizioni di tan-
ti altri “giocatori”, potenze economico-politiche
emergenti come l’India che da lì trae le materie
prime necessarie al proprio convulso e disomoge-
neo sviluppo e potentati mediatici/economici ca-
paci di esercitare profonde suggestioni culturali,
come le petro-monarchie del Golfo guidate dalla
Casa di Saud – con il piccolo ma aggressivo Qa-
tar che spesso gioca in proprio – che esercitano
un’influenza sempre più pervasiva su tutto l’orbe
islamico sunnita, facendo di questa leadership re-
ligiosa e ideologica strumento per una politica di
potenza che va ben al di là dell’apparente peso di
questi paesi. Strategia in netta antitesi con quella
degli iraniani, a capo saldamente dell’Umma sci-
ita, che convergono anch’essi, per evidenza geo-
grafica e concreti interessi, verso l’Asia Centrale...
Insomma, un intreccio di partite e giocatori che
fa impallidire il ricordo del vecchio Grande Gioco
e che, non a caso, ha spinto due geopolitici cinesi,
Quiao Liang e Wang Xiangsui1, a parlare di “geo-
politica e conflitti a geometrie variabili”. Per farla
breve, l’Asia Centrale è, oggi, il luogo dove ine-
1. Il saggio “Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione” dei due militari cinesi è del 1999, e riveste, pertanto, quasi un ruolo profetico, vista la lungimiranza con cui guardavano agli scenari che si aprivano dopo il crollo del Muro di Berlino.
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Speciale Kazakhstan
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vitabilmente convergono e cozzano un po’ tutte
le tensioni che attraversano il globo. Una sorta
di camera di decantazione – o di esplosione – di
crisi e tensioni apparentemente remote, da quella
del Mondo Arabo maghrebino e mediorientale, a
quella ucraina, sino a quella che vede confrontar-
si in estremo Oriente Cina e Giappone...
Asimmetrie e tensioni nel Cuore del Mondo
Dunque l’Asia Centrale come luogo dove con-
vergono, prima o dopo, tutte le tensioni, tutti gli
intrecci geopolitici globali; e dove queste tensioni
rischiano di raggiungere il calor bianco o, all’op-
posto, possono decantarsi. Di qui la necessità di
tenere sotto stretta osservazione, anzi di monito-
rare con la lente d’ingrandimento questo scena-
rio. Partendo da un’attenta disamina degli equili-
bri locali, degli attori regionali. Ed è una disamina
che, a tutta prima, presenta prospettive alquanto
inquiete e, soprattutto, inquietanti. Perché gran
parte dei paesi che ne compongono il mosaico
versano in una condizione di sostanziale insta-
bilità, inevitabile portato di una storia, o meglio
di una pluralità di storie complesse, nonché, da
ultimo, degli effetti, non ancora assorbiti, dell’im-
plosione dell’URSS, dalla quale la maggior parte
di queste nuove Repubbliche sono sorte. Diciamo
la “maggior parte” perché il Centro Asia com-
prende, dal punto di vista della Geografia storica,
anche l’Afghanistan e la Mongolia, che dell’an-
tico dominio russo-sovietico mai hanno fatto
formalmente parte. E tuttavia entrambi questi
paesi sono stati a lungo nell’orbita di Mosca, in
modo più drammatico il primo, più tranquilla-
mente – nonostante la lunga contesa di confine
con la Cina – la terra d’origine di Gengis Khan. Il
cuore della regione, però, è rappresentato dall’in-
sieme delle cinque repubbliche ex-sovietiche,
Kazakhstan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan
e Turkmenistan. Repubbliche, tutte, che hanno
conseguito l’indipendenza con un certo ritardo
rispetto alle membra occidentali dell’URSS, e,
per lo più, vivendola dapprima come un portato
ineluttabile, quasi come una costrizione piutto-
sto che come la realizzazione di un’aspirazione,
come, invece, è avvenuto per i Paesi Baltici, al-
fieri della secessione da Mosca, e, in parte e non
senza controversie, anche per l’Ucraina. Ritardo
dovuto alla pressoché totale assenza nella storia
di quelle terre di tradizioni statuali, ovvero di pre-
cedenti esperienze di Stato o Stati indipendenti
ed organizzati, tanto lungo era stato il dominio
degli Zar prima, dei Soviet poi. Per altro, anche
volendo spingersi più indietro nel tempo, è im-
possibile trovare altra forma politica organizza-
ta che non fosse quella dei Khanati, sorti dalla
frammentazione delle Orde: forme troppo arcai-
che per essere atte a fondare moderne identità
politiche e ad affrontare la realtà odierna. Di
fatto l’Asia Centrale non ha conosciuto, prima
di una ventina d’anni fa, altro tipo di Stato che
non fosse il dominio imperiale russo nelle sue di-
verse declinazioni; problema cui si aggiungeva la
questione tormentata e ancora per lo più irrisolta
del mosaico etnico e religioso che compone ogni
repubblica. Mosaico che non costituiva un pro-
blema critico fino a che tutto faceva parte della
Russia, ed era comunque Mosca a dettare regole
e leggi, ma che è divenuto potenziale elemento
di tensioni e conflitti intestini dopo la forzosa
indipendenza. Tant’è che l’ultimo ventennio ha
conosciuto un susseguirsi di crisi tanto interne
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
55
alle varie Repubbliche, quanto fra queste, gene-
rando una sostanziale e perdurante situazione
di instabilità. Il Kirghizistan ha visto più volte
avvicinarsi, e addirittura concretarsi, lo spettro
della guerra civile fra etnie e conosciuto un sus-
seguirsi di rivoluzioni e/o colpi di stato sovente,
se non sempre, ispirati ed anche eterodiretti da
Potenze esterne, divenendo più volte palestra del
confronto/scontro di interessi che esorbitano da
quelli nazionali. Ed anche l’Uzbekistan ha vissuto,
e ancora vive situazioni consimili, accentuate e
rinfocolate dalla prossimità del confine afghano
e dall’inevitabile coinvolgimento, anche per affi-
nità etnica e culturale, nel ventennale conflitto
civile che tormenta il paese dei talebani. Dove,
non va dimenticato, forte è la presenza di uzbeki,
divisi, per altro, al loro interno fra il dominio di
diversi Signori della Guerra e seguaci dell’ideolo-
gia jihadista, che hanno finito con l’ispirare l’IMU
(Movimento Islamico dell’Uzbekistan) il più for-
te e minaccioso movimento armato fondamen-
talista dell’Asia Centrale. Un movimento che, in
sinergia con i Talebani afghani, opera sistema-
ticamente ovunque vi siano minoranze uzbeke
e, ovviamente, in particolare nella terra che fu
patria di Tamerlano, con l’obiettivo dichiarato di
dare vita ad un Califfato centro-asiatico. Il Tagiki-
stan - per quanto etnicamente meno composito
e sicuramente più tranquillo e meno conflittuale
dei suoi vicini – paga, però, anch’esso la vicinanza
ed i legami con il teatro afgano. Non va infat-
ti dimenticato che l’etnia tagika è presente con
una forte minoranza nel nord dell’Afghanistan, e
coinvolta appieno nell’endemico conflitto regio-
nale: tagiki, in prevalenza, erano e sono i compo-
nenti dell’Alleanza del Nord in aperto contrasto
con i talebani, a maggioranza pashtun; e tagiko,
fra l’altro, era il leggendario Comandante Mas-
sud, il Leone del Panshir, che emissari jihadisti as-
sassinarono poco prima degli attentati suicidi di
New York e Washington. Inoltre il Tagikistan non
gode di particolari risorse naturali – se si eccet-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201456
tuano quelle idriche, che però rischiano di coin-
volgerlo nelle “guerre per l’acqua” che minaccia-
no l’Asia Centrale – e tale penuria ne rallenta lo
sviluppo economico e sociale. Più ricco, certo, il
Turkmenistan, che dall’indipendenza ad oggi ha
per altro goduto di una notevole stabilità interna,
ottenuta, però, con una rigida chiusura del paese
ad ogni influenza esterna. Chiusura, cui solo oggi
sembra orientato a rinunciare gradualmente, che
ha reso la terra dei turkmeni assente sul piano
della politica estera e sostanzialmente ininfluente
sulla scena geopolitica regionale.
Resta fuori da questa disamina – forzatamente
breve e sommaria – il solo Kazakhstan oggi il
vero e proprio perno degli equilibri centro-asia-
tici, o, per usare un termine classico della scien-
za geopolitica, il “pivot d’area”. È sicuramente il
paese più ricco – ancorché non il più popoloso
della regione; il più industrializzato, capace di
Guarda il video della webtv del cNR sulla presentazione del volume ‘Da baikonur alle stelle – il grande gioco spaziale’Attiva il tuo lettore di Qr Code su smartphone
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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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differenziare la produzione sfruttando, certo, le
potenzialità naturali – petrolio, gas, uranio, ter-
re rare... – ma non vincolandosi esclusivamente
all’industria estrattiva. Tanto che, oggi, oltre ad
un sistema industriale altamente differenziato
– che punta sempre più anche sullo sviluppo di
industrie piccole e medie, con un modello che
ricorda quello delle regioni del Nord-est italiano
– possiede anche un’agricoltura ricca ed avanza-
ta, ed ha visto formarsi, nel ventennio successivo
all’indipendenza, un ceto medio diffuso che co-
stituisce il vero asse portante dello sviluppo del
paese, nonché il nerbo di una nuova classe diri-
gente. Classe dirigente prettamente “kazakistana”
ovvero non espressio-
ne di un’unica etnia,
ma trasversale, com-
posta sulla base della
nuova identità nazio-
nale del Kazakhstan,
dove, sotto la guida
del Presidente Nazarbayev, vige da vent’anni una
Costituzione che garantisce pari diritti e pieno ri-
conoscimento a tutti i gruppi etnici – più di 130
– nonché alle diverse religioni – circa 37 – che co-
stituiscono il variegato multicolore mosaico della
Repubblica. Costituzione che costituisce la pietra
di fondazione del processo di moderno State Bu-
ilding – e parimenti di Nation Building – avviatosi
nel paese dopo l’indipendenza e che, in appena
due decenni, è giunto a fase molto avanzata, tan-
to da permettere al Kazakhstan anche di avviare
una serie di riforme che ne stanno facendo uno
degli Stati più moderni e democratici dell’intera
Asia. E questo senza mai mettere in discussione la
stabilità e l’armonia interna; condizione che lo ha
reso non solo tranquillo e prospero – nonostan-
te alcuni tentativi di destabilizzarlo da parte di
occhiuti potentati economici che facevano leva
su locali aspiranti “oligarchi”, nonché su tenta-
tivi di penetrazione d movimenti jihadisti legati
all’IMU del limitrofo Uzbekistan - ma anche il Pa-
ese naturalmente vocato alla guida di tutta l’Asia
Centrale.
Ruolo guida esercitato, però, senza alcuna ambi-
zione imperiale, senza mai cadere nello sciovini-
smo tribale o in un nazionalismo ottuso. Piuttosto
sempre più, in questi anni, Astana si è proposta
come mediatrice nei conflitti che travagliano la
regione; come una sorta di “polo” che tende a
decantarne le tensioni. Lo si è visto in occasione
della crisi attraversata
dal Kirghizistan nel
2010, quando il Go-
verno del Presidente
Bakiyev venne rove-
sciato da una sangui-
nosa rivolta di piazza,
dietro alla quale molti osservatori cedettero, non
senza ragione, di intravvedere un nuovo episodio
del Grande Gioco oggi in atto tra Washington e
Mosca per il controllo dell’Asia Centrale. Comun-
que la defenestrazione di Bakiyev – che trovò ri-
fugio in Bielorussia – non si tradusse dopo una
prima fase cruenta in un, più o meno tranquillo,
Regime Change; infatti, il nuovo Governo prov-
visorio guidato da Rosa Otumbayeva – già Am-
basciatore a Washington e Londra – si dimostrò
incapace di riportare l’ordine nel paese, e, soprat-
tutto, di porre fine agli scontri etnici cui il crollo
del precedente regime aveva dato la stura. Scon-
tri etnici particolarmente cruenti nel sud, tra le
province di Osh e Jalalabad, dove la minoranza
uzbeka si era rivoltata ed aveva cominciato una
Di fatto l’Asia Centrale non ha conosciuto, prima di una ventina
d’anni fa, altro tipo di Stato che non fosse il dominio imperiale russo nelle
sue diverse declinazioni
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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guerra civile con la maggioranza kirghisa , con un
bilancio di oltre duemila morti in pochi giorni. E
soprattutto con decine di migliaia di uzbeki che
fuggivano dalle loro terre sotto la pressione kir-
ghisa, premendo sui confini della vicina Repub-
blica dell’Uzbekistan, dando luogo ad una vera
e propria emergenza umanitaria. E, soprattutto,
lasciando chiaramente intravvedere il concreto
rischio di un vero e proprio conflitto regionale tra
Uzbekistan e Kirghizistan, capace di incendiare
tutto il centro Asia. Una situazione di emergen-
za che dimostrò come il “global player”, ovvero
le Grandi Potenze i cui interessi convergono sulla
regione – USA e Russia, naturalmente, ma anche
la Cina, interessata sia per il passaggio di impor-
tanti pipeline, sia per la prossimità della zona con
la provincia dello Xijn Jang, il turbolento Turke-
stan cinese – non fossero preparate né disposte
ad un intervento diretto – che necessitava anche
di un accordo preventivo, vista la compresenza
in territorio kirghiso di basi militai sia americane
che russe – volto a porre fine alla guerra civile e
a sedare il conflitto. Questa indisponibilità, o me-
glio impossibilità di Washington e Mosca ad un
intervento risolutivo apriva, dunque, la strada al
rischio tanto del dissolvimento dello Stato kirghi-
so, quanto di una guerra regionale, con pesanti
ricadute generali, vista anche la prossimità con
l’Afghanistan. E fu solo per l’intervento del Ka-
zakhstan che la situazione trovò una soluzione e
la crisi venne acquietata. Infatti, il Presidente Na-
zarbayev, forte tanto degli stretti rapporti amicali
con il Cremlino, quanto della collaborazione con
la Casa Bianca e la NATO nel frenare la diffusione
la diffusione della guerriglia jihadista in Asia Cen-
trale, si propose nel ruolo di mediatore tra uzbeki
e kyrghisi. E, dosando abilmente la spada – ovve-
ro la minaccia di un diretto intervento militare
– con la feluca – una sottile azione diplomatica a
360° – riuscì ad evitare il dilagare della guerra, ad
impedire l’implosione del Kirghizistan e a ridurre
progressivamente l’emergenza umanitaria degli
uzbeki in fuga. Un ruolo che Astana aveva, per
altro, già dovuto necessariamente addossarsi an-
che nel 2005, durante le crisi attraversata dall’Uz-
bekistan in occasione delle rivolte che fecero per
un momento vacillare il Governo di Karimov. E
soprattutto riproposto con maggiore nettezza e
decisione di fronte al rischio dell’esplodere delle
cosiddette “guerre per l’acqua”.
La minaccia delle guerre per l’acqua
La sicurezza dell’intera Asia Centrale, come ab-
biano visto già precaria, potrebbe ulteriormente
venire messa a rischio da una “guerra per l’acqua”
che incombe su questo quadrante critico del-
la geo-politica e della geo-economia mondiale.
Dove, appunto, le tensioni per il controllo e la ge-
stione delle risorse idriche sono andate crescendo
esponenzialmente, anno dopo anno, sin dall’im-
plosione dell’Impero Sovietico. Quadrante critico,
non solo per molte ben note ragioni - in primo
luogo perché area di importante produzione di
gas naturale e petrolio, destinata, secondo tutti
gli analisti internazionali, a divenire sempre più
importante nei prossimi decenni, visto che i gia-
cimenti dell’Asia Centrale e del Caspio rappresen-
tano la più grande riserva mondiale di idrocarburi
ancora in gran parte da sfruttare. E importante
anche perché per quella regione passano e si di-
ramano le pipeline – gasdotti ed oleodotti – che
vanno ad alimentare i sistemi industriali dell’Oc-
cidente da un lato e dall’altro quelli, sempre più
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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“assetati” dei Colossi orientali, in primo luogo la
Cina, poi l’India, il Giappone e tutti gli altri “pa-
esi emergenti” dell’area pan-pacifica. Basterebbe
questo a far comprendere il grado di pericolosi-
tà che potrebbe assumere per tutto il mondo un
conflitto che scoppiasse in questa regione per il
controllo delle risorse idriche. Il “Cuore del Mon-
do” è infatti, da tempo, inquietato da una tensio-
ne per il controllo e la gestione delle risorse idri-
che. L’implosione del sistema sovietico ha portato,
fra le altre conseguenze, alla frantumazione di un
sistema di cooperazione e redistribuzione delle
risorse che innervava tutta la regione. Si è, così,
venuta a creare una situazione per molti versi pa-
radossale: alcuni paesi, in particolare Kirghizistan
e Tagikistan, detengono nei loro territori le “fon-
ti” – o, più esattamente, il corso superiore - dei
due grandi fiumi che alimentano i sistemi irrigui e
quelli idroelettrici di tutta la regione, il Syr Darya
e l’Amu Darya. Per sovramercato, poi, questi stessi
due paesi sono quelli più “poveri” di altre risor-
se naturali, in particolare sostanzialmente privi
di riserve consistenti di idrocarburi. Inevitabile,
quindi, che abbiano cercato sin dai primi anni
della loro indipendenza, e continuino a cercare
ancor oggi di sfruttare al massimo quelle risorse
idriche che ritengono “loro proprietà” e ricchezza
privilegiata, ma dalle quali dipendono i sistemi
agricoli, e gli stessi eco-sistemi, di tutta la regio-
ne centro-asiatica. Così il crescente sfruttamento
delle acque, con la costruzione di grandi centrali
energetiche in Kirghizistan e Tagikistan, rischia di
minacciare gli interessi di Kazakhstan, Uzbekistan
e Turkmenistan, provocando una penuria d’acqua
nel periodo caldo che provoca siccità, con conse-
guenti, pesanti, ricadute sull’agricoltura locale; e,
all’opposto, minacciando gli stessi paesi di piene
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
60
e inondazioni devastanti nella stagione piovosa.
Di qui uno stato di tensione che sta via via preoc-
cupando tutte le Cancellerie del mondo, in parti-
colare Mosca che teme l’esplodere di conflitti in
paesi con lei confinanti, ed a lei profondamente
legati per storia e cultura. Una preoccupazione
che è stata, di recente, espressa chiaramente dal
Comandante delle Forze militari terrestri rus-
se, Vladimir Chirkin, che ha parlato rischio per
la sicurezza degli equilibri globali rappresentato
dall’esplodere di un conflitto di questo tipo, so-
prattutto in concomitanza con il prossimo ritiro
della NATO dall’Afghanistan. Un timore condiviso
anche da Washington, almeno secondo la fonte,
solitamente ben informata, del sito “EurasiaNet”,
specializzato nell’analisi dei problemi e degli sce-
nari dell’Asia Centrale.
Due i focolai centro-asiatici di un “rischio con-
flitto” per l’acqua. Quello fra Kirghizistan e Ka-
zakhstan per il corso dello Syr Darya, che un tem-
po era noto ai greci di Alessandro come Iaxartes,
e quello fra Tagikistan ed Uzbekistan per il con-
trollo delle acque dell’Amu Darya, l’antico Oxus.
Le cause di un conflitto per il Syr Darya sono
state, però, progressivamente depotenziate in
questi due decenni post-sovietici dalla politica e
dall’azione diplomatica di Astana. Dove il Presi-
dente Nursultan Nazarbayev ha, pazientemente,
tessuto una serie di accordi con il Kirghizistan, in
sostanza cercando di portare avanti il progetto di
una cooperazione inter-regionale che venisse a
colmare il pericoloso vuoto lasciato dall’implosio-
ne dell’URSS. Una tessitura resa non certo facile
dalla passata instabilità politica del Kirghizistan,
ma che ha portato nel 2011 – dopo appunto la
mediazione kazaka che ha sedato i rischi di un
conflitto civile nella vicina Repubblica - ad un
accordo fra Astana e Bishkek per lo scambio reci-
proco di risorse. Da un lato il Kazakhstan – come
si è visto il paese economicamente e socialmente
più avanzato della regione, nonché il più stabile,
e ponte naturale fra Europa ed Asia – con le sue
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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immense ricchezze di idrocarburi ed altre materie
prime, dall’altro il Kirghizistan, che per puntare
allo sviluppo avrebbe dovuto sfruttare pesante-
mente le risorse idroelettriche, a detrimento degli
interessi del vicino. Con gli accordi promossi da
Nazarbayev, dunque, si potrà realizzare un equi-
librio nello sfruttamento a fini idroelettrici delle
acque del Syr Darya, che permetterà al Kirghi-
zistan uno sviluppo industriale – in forza delle
forniture privilegiate di idrocarburi kazaki – senza
danneggiare l’agricoltura del paese vicino e senza
sconvolgere l’ecosistema della regione. In pratica
tra Kazakhstan e Kirghizistan si sta realizzando
l’embrione di una nuova zona di cooperazione,
che, se estesa, potrebbe portare all’alba di una
nuova stagione di prosperità per tutta la regio-
ne centro-asiatica. E, come effetto collaterale,
mettendo in sicurezza tutto quel delicato “per-
no” degli equilibri globali. Tant’è vero che l’Onu
ha indicato proprio nella strategia politica e di-
plomatica del Kazakhstan, e nell’accordo recente
con il Kirghizistan, un “modello” da seguire. Da
seguire, innanzi tutto, nella regione, dove, invece,
la tensione fra il Tagikistan – che, puntando tutto
sullo sfruttamento idroelettrico sta costruendo a
Rogun una gigantesca centrale che dovrebbe en-
trare in funzione nel prossimo 2015 – e l’Uzbeki-
stan sta giungendo al calor bianco. Con Rogun a
pieno regime infatti l’agricoltura di intere regioni
dell’Uzbekistan si troverebbe a dover affrontare
una continua alternanza fra siccità e inondazioni
devastanti, con conseguenti, gravissime ricadute
sulla vita della popolazione e inevitabili contrac-
colpi sulla stabilità politica. Urgente, dunque, se-
guire l’esempio dell’accordo tra Kazakhstan e Kir-
ghizistan. Come ha detto l’on. Riccardo Migliori,
Presidente emerito dell’Assemblea Parlamentare
dell’OSCE: “La posizione del Kazakhstan per di-
rimere le frizioni in quest’area sulla questione
legata alle risorse idriche è metodologicamente
perfetta.” E rappresenta, appunto, il primo em-
brione di un possibile tessuto di cooperazione
d’area cui, da tempo, punta la politica di Asta-
na. Dove Nazarbayev cerca di realizzare, a fianco
della nascente Unione Economica Eurasiatica – di
cui il Kazakhstan rappresenta un pilastro accanto
alla Russia – una sorta di nuovo, per molti versi
inedito, sistema di sinergie che, innervando tutta
l’Asia Centrale, porti a depotenziare le cause di
tensione e ad avvicinare paesi storicamente e po-
liticamente affini.
La nuova Via della Seta
In questa direzione - ovvero quella di una strate-
gia politica volta ad integrare la regione centro-
asiatica nel contesto di nuovi equilibri mondiali,
depotenziando così le cause di conflitto – va let-
to anche il fondamentale e strategico progetto
di una grande rete ferroviaria eurasiatica varato
dalla SCO, in un summit tenutosi a Bishkek, la
capitale del Kirghizistan, nel 2013. Un progetto
del quale Astana è stata ed è, con Pechino, uno
dei principali promotori. Una lunghissima strada
ferrata che dalla Cina dovrebbe giungere in Euro-
pa, passando attraverso Kazakhstan, Uzbekistan e
Turkmenistan; un nuovo corridoio internaziona-
le che – ripristinando i fasti dell’antica Via del-
la Seta – collegherebbe l’Oceano Pacifico con il
Mar Baltico e, a sud, con il nostro Mediterraneo,
abbattendo barriere doganali e riducendo tempi
e costi per l’interscambio delle merci. Un inter-
scambio già oggi di dimensioni ciclopiche, e de-
stinato a crescere visto che persino le stime più
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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prudenti ipotizzano entro il 2020 un traffico di
circa 240 milioni di tonnellate di merci, per un
importo complessivo pari ad 1,8 miliardi di dol-
lari di fatturato. E questa nuova infrastruttura
permetterebbe di ridurre drasticamente i tempi
di percorrenza e quindi i costi: solo 10 giorni a
fronte dei 45 necessari al trasporto marittimo ed
alle due settimane necessarie utilizzando l’ormai
vecchia Transiberiana. Inoltre, questa nuova rete
di trasporto favorirebbe, lungo tutto il suo per-
corso, il sorgere di nuovi distretti industriali, con
notevoli ricadute soprattutto per le repubbliche
centro-asiatiche, e, di conseguenza generereb-
be condizioni favorevoli ad una progressiva in-
tegrazione della regione. Ovvio, a questo punto,
pensare che la recente Unione doganale Russia-
Kazakhstan-Bielorussia e la prospettiva di una
vera e propria Unione Economica Eurasiatica non
potrebbero che trarre vantaggi da tale opera in-
frastrutturale. Che, come dicevamo, vede appun-
to Astana fra i principali promotori ed investitori.
L’Unione Economica Eurasiatica. L’ottica di Astana e quella di Mosca
E veniamo alla, nascente, Unione Economica Eura-
siatica, della quale il Kazakhstan è, come si diceva,
uno dei pilastri portanti insieme alla Russia. Si trat-
ta, per ora, di un’unione doganale che unisce Rus-
sia, Kazakhstan e Bielorussia, ma che ha vaste pro-
spettive di allargamento, visto che già l’Armenia
ha chiesto di entrarvi e molte Repubbliche dell’A-
sia Centrale vi guardano con interesse. Un’Unione
che, per altro, potrebbe assumere un forte potere
di attrazione ben al di là dei confini dell’ex URSS,
visto che la crisi in cui versa attualmente l’Unione
Europea potrebbe spingere n questa direzione pa-
esi sino ad ora tenuti ai margini dai salotti buoni
di Bruxelles, come la Serbia, potenza economica
emergente dell’area ex-jugoslava e, soprattutto, la
Turchia. Tuttavia, in questo caso, usare il condizio-
nale è d’obbligo, in quanto tutto dipende dall’im-
postazione politica che verrà data a questa Unione
Eurasiatica. La cui prima idea albeggiò proprio ad
Astana ancora negli anni caotici di Eltsin, in cui la
Russia versava in situazioni di grave difficoltà; fu
allora che il Presidente del Kazakhstan Nursultan
Nazarbayev, cominciò a propugnare la necessità
di far sorgere sulle macerie dell’URSS una nuova
forma di Unione, che definì “Eurasiatica” in forza
tanto dell’evidenza geopolitica, quanto della sto-
ria e dei legami culturali. Unione, però, fra “liberi”,
che favorisse lo viluppo di una nuova, vasta area
di pace e prosperità creando le sinergie necessarie
fra le nuove repubbliche, tutte, in certo qual modo,
in difficoltà a causa della frantumazione delle
strutture portanti dell’impero sovietico. L’idea di
Nazarbayev, poi, ha preso concretezza quando al
Cremlino è entrato Vladimir Putin.
Tuttavia fra Mosca ed Astana intercorrono, al di là
della stretta collaborazione, alcune notevoli diffe-
renze. La visione kazaka è, infatti, rigorosamente
eurasista, e proiettata necessariamente al dialogo
con i paesi dell’area turcofona del centro Asia, del
Caucaso e con la stessa Turchia. Inoltre ad Astana
non si vuole interpretare la nuova Unione in anta-
gonismo né con la UE, né tantomeno con Washing-
ton e la NATO, realtà con le quali il Kazakhstan in-
trattiene ottimi rapporti di collaborazione a tutti i
livelli, da quello economico a quello della sicurezza
internazionale, tanto da essere arrivato a rivestire
nel 2010 il ruolo di Presidenza dell’OSCE, primo, ed
oggi unico, paese ex-sovietico. Su un altro fron-
te, poi, il Kazakhstan è anche membro attivo della
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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SCO, la Shangai Cooperation Organization, della
quale, certo, fa parte anche Mosca, ma che, con
tutta evidenza, è uno degli strumenti privilegiati
della politica estera di Pechino. Di qui una visione
dell’Unione Economica Eurasiatica come ponte fra
Oriente ed Occidente, non causa di antagonismi e
frizioni, bensì soggetto attivo nel cooperare alla
costruzione di un nuovo, stabile, sistema di equi-
libri internazionali. Un ruolo che il Kazakhstan ha
cercato, in questi anni, di declinare ed interpretare
con la sua politica estera. E con alcune iniziativa
internazionali particolarmente notevoli. Tali da
aver portato il paese centro-asiatico a giocare più
di una volta un ruolo non secondario sulla scena
geopolitica generale. A cominciare dalla collabo-
razione fra le Forze Armate kazakistane e la NATO
nel contrastare i tentativi di infiltrazione dei gruppi
jihadisti in tutta la regione – tentativi organizzati
dalla già citata IMU in sinergia con i Talebani af-
gani, e volti alla creazione di un Califfato in Asia
Centrale – sino all’importanza che Astana assume-
rà presto a fronte del progressivo ritiro delle forze
della NATO dall’Afghanistan, che, appunto, avverrà
in buona parte, attraverso il territorio e le basi del
Kazakhstan. Ruolo importante, e reso ancora più
rilevante dal fatto che Astana ha sempre cercato,
in questi anni di violenti conflitti, di promuovere
in territorio afgano politiche civili e sociali atte a
depotenziare le tensioni e tali da favorire una paci-
ficazione interna. Poi vi è stata l’iniziativa, assunta
in prima persona dallo stesso Nazarbayev, di offrire
una via d’uscita a Teheran e Washington nel mo-
mento in cui, sotto la presidenza di Ahmadinejad,
sembrava che le relazioni (se tali è lecito definirle)
tra i due paesi fossero sul punto di degenerare in
uno scontro militare diretto. Punto dolente, com’è
noto, la questione del “nucleare iraniano”, che gli
States ed Israele temevano – e in parte ancora te-
mono, nonostante il volto più rassicurante della
presidenza Rohani – volto a costruire un minac-
cioso arsenale strategico. Una questione contro-
versa, ché ai veti della Casa Bianca, l’Iran contrap-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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poneva il suo diritto, indiscutibile, allo sviluppo del
nucleare per usi civili ed industriali. A quel punto,
di fronte ad uno stallo sempre più minaccioso, Na-
zarbayev avanzò la proposta della creazione di una
sorta di “banca dell’uranio arricchito”, ovvero un
luogo, sotto il controllo degli emissari dell’ONU,
ove fosse possibile ad un paese ottenere dell’ura-
nio arricchito a bassa intensità, atto quindi ad usi
civili, ma non a quelli militari. Proposta – che per
altro trovò un’approvazione di massima da parte di
tutte le principali potenze al G20 di Seul – che si
fonda sull’esperienza in materia di nucleare del Ka-
zakhstan, in possesso, dopo il crollo dell’URSS, del
terzo arsenale atomico mondiale. Al quale, però,
ha rinunciato motu proprio – caso praticamente
unico sulla scena internazionale – trasformando il
vecchio poligono atomico sovietico di Semipala-
tinsk da base militare in centro per la dismissione
degli armamenti nucleari, e sviluppando, di con-
seguenza, un’esperienza tecnica che metteva a
disposizione della comunità internazionale. Pro-
posta, quella kazaka, al momento accantonata, in
conseguenza dell’allentarsi della tensione fra Iran
e States, ma che continua a restare valida a fronte
dei rischi sempre incombenti di conflitti nucleari in
varie parti del globo.
Bajkonur. Da simbolo della Guerra Fredda a luogo di cooperazione internazionale
D’altro canto, il simbolo della politica internazio-
nale del Kazakhstan è perfettamente rappresen-
tato da Bajkonur. L’antico cosmodromo dell’era
sovietica, quello da cui partì Yuri Gagarin, è
infatti ancor oggi la più grande, ed attiva, base
per lanci spaiali, ma ha di fatto cambiato il suo
volto simbolico. Da simbolo della Guerra Fredda
e della competizione tra Super-potenze – in anti-
tesi all’ormai dismesso Cape Canaveral – a luogo
emblematico del dialogo e della cooperazione
internazionale nella corsa allo spazio. Infatti, il
governo del Kazakhstan, che con l’indipendenza
si è trovato in eredità Bajkonur, dopo un primo
momento di difficoltà –nel quale, per assenza di
mezzi, dovette di fatto affittare il cosmodromo
a Mosca – non ha, in questi vent’anni, soltanto
sviluppato un progetto ed una propria industria
aereospaziale, ma ha proceduto ad una sorta di
“internazionalizzazione” della base. Dalla quale
oggi partono missioni tanto russe che americane;
dalla quale lanciano nello spazio i loro satelliti per
le telecomunicazioni gli europei e alcuni paesi
arabi, e la stessa Israele... simbolo, appunto, della
possibilità di dare impulso ad una cooperazione
internazionale e di definire nuove regole comuni
condivise nella Geopolitica dello Spazio, evitando
quell’anarchia, quella sorta di futuristica “guerra
di corsa” nelle distese degli oceani stellari che po-
trebbe diventare il nuovo, minaccioso teatro del
Grande Gioco2.
Da tutti questi elementi è possibile evincere con
chiarezza come la strategia internazionale di
Astana non sia dettata da una navigazione a vi-
sta, ma stia prendendo piuttosto, la forma di un
progetto di ampio respiro. Progetto, che lo stesso
Presidente Nazarbayev ha esplicitamente formu-
lato in un suo recente saggio programmatico: “Il
Kazakhstan è parte integrante di questo mondo,
e partecipa pienamente, in questo momento dif-
2. Sul tema si veda “Da Baikonur alle stelle. Il Grande Gioco spaziale” Vox Populi, Pergine Valsugana (Trento) 2013.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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ficile, del processo iniziale di globalizzazione. Fin
dai primi giorni di Indipendenza, compresi bene
che la pace, l’armonia e la sicurezza nel nostro
nuovo Paese multietnico, sotto molti aspetti,
potevano essere saldamente garantiti solo nel
contesto di soluzioni regionali e globali. Pertanto,
sviluppando e ben organizzando il nostro natio
Kazakhstan, abbiamo risolto non solo i complessi
problemi interni relativi alla formazione di una
nuova economia nazionale, una nuova società,
un nuovo Stato. Abbiamo anche confrontato
i nostri piani con le linee di tendenza dello svi-
luppo globale e regionale, studiando attentamente
tutto ciò che sta acca-
dendo intorno a noi nel
nostro quadrante geo-
politico e nel mondo.
Per avere successo nel-
la realizzazione della
nostra strategia a lun-
go termine di sviluppo
– che abbiamo voluto
chiamare “Kazakhstan
- 2030” - abbiamo preso accuratamente in consi-
derazione la totalità dei fattori globali e regiona-
li, esordendo felicemente sul piano della politica
estera... La ricerca della migliore formula per an-
dare verso un ordine mondiale più equo è sempre
stata una delle questioni centrali che hanno oc-
cupato pensatori e scienziati, leader politici ap-
partenenti a varie epoche e nazioni. Divenendo,
infine, l’esigenza fondamentale di questa moder-
na della globalizzazione, quando si è reso eviden-
te che sono necessari enormi sforzi collettivi per
garantire lo sviluppo sostenibile dell’economia
mondiale e delle relazioni internazionali.
Il 24 maggio 2012, ho incontrato un gruppo di
studiosi autorevoli ed economisti di fama mon-
diale, giunti al V Forum Economico di Astana. Tra
i partecipanti al meeting vi erano i premi Nobel
Robert Mundell, Edward Prescott, John Nash, Eric
Maskin, Robert Aumann, Finn Kydland, Christo-
pher Pissarides, Murray Gell-Mann, Ada Tsonat,
Richard John Roberts e Carrie Banks Mullis.
Durante la conversazione si affrontò l’argomento
dello stato dell’economia mondiale, che nel 2009
si trovava in una situazione assai difficile a causa
della crisi globale.
Alla vigilia del mio
discorso alla sessione
plenaria del Forum
economico di Astana,
ho dato una valuta-
zione dettagliata del-
le ragioni dello stato
di crisi dei mercati
globali e ho espresso
l’idea secondo cui sia
necessario affrontare i problemi globali in una
nuova, più vasta ed ariosa prospettiva. I miei in-
terlocutori hanno evidenziato che nel mondo di
oggi si nota un chiaro deficit di concezioni posi-
tive e di tolleranza nell’ordine mondiale. Nel suo
vorticoso sviluppo tecnologico il nostro pianeta è
andato avanti, ma molti dei principi e dei metodi
di gestione inerenti all’economia mondiale, alle
relazioni internazionali sono sostanzialmente
rimasti indietro, gravati dal fardello dell’eredi-
tà, certo non positiva, dell’epoca precedente. La
mancanza di fiducia tra gli Stati continua ad
3. Dall’introduzione al saggio del Presidente Nazarbayev sul progetto G-Global, in corso di pubblicazione per i tipi di Vox Populi.
La crisi di Kiev ha visto il Kazakhstan al centro dell’attenzione della
diplomazia internazionale. E lo stesso Nazarbayev, in forza proprio di quella
politica di equilibrio di cui abbiamo parlato, è stato di fatto considerato
l’unico mediatore credibile tra le potenze occidentali e la Russia
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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ostacolare l’adozione di soluzioni adeguate al
superamento della crisi economica globale. Gli
studiosi hanno assecondato la mia idea circa
l’ordine mondiale del XXI secolo, che ho suggerito
di chiamare G-GLOBAL. Questa iniziativa è stata
approvata dall’élite scientifica e politica di vari
Paesi del mondo, riuniti al V Forum economico
di Astana.”3
È evidente che un progetto di tale respiro determi-
na anche una specifica visione del ruolo che dovrà
assumere, nel tempo, la nascente Unione Econo-
mica Eurasiatica. Tuttavia proprio su questo punto
nodale potrebbero insorgere, secondo alcune fonti
ed osservatori, notevoli problemi fra Astana e Mo-
sca. Dove alcune componenti del nuovo establi-
shment politico tendono ad interpretare la CEEu
come una proiezione della rinnovata ambizione
del Cremlino; come strumento per ritornare a tutti
gli effetti Super-potenza globale e, di conseguen-
za, in aperta competizione con Washington e, più
velatamente, con Pechino. Naturalmente stiamo
parlando solo di una tendenza, che non è affat-
to detto sia prevalente nelle “segrete stanze” del
potere moscovita, dove, all’ombra di Putin, si con-
frontano e scontrano diversi gruppi, fautori di con-
cezioni sovente diversissime del futuro della Russia
e dei fini dell’Unione Eurasiatica. D’altro canto lo
stesso Putin si è sempre dimostrato ben coscien-
te dell’improponibilità di una nuova versione del
vecchio imperialismo russo-sovietico, nonché della
necessità di non confliggere con il fondamentale
partner kazako.
In questo quadro è però venuta a cadere come
una vera e propria bomba la crisi ucraina. Non è
qui il luogo per entrare nel merito delle cause, ap-
parenti ed occulte, di questa crisi che, oltre a sca-
tenare un vero conflitto civile nel cuore dell’Eu-
ropa, sta rimettendo in discussione gli equilibri
internazionali e facendo soffiare venti gelidi sui
delicatissimi rapporti fra Oriente ed Occidente. Ci
preme, invece, mettere in rilievo come questa cri-
si rischi di influenzare la politica futura di Mosca,
sino al punto di incidere negativamente nei rap-
porti con i suoi attuali partner eurasiatici e con
lo stesso Kazakhstan. Infatti, per reazione ai fatti
accaduti in Crimea e, soprattutto, alla vera e pro-
pria guerra civile nel Dombas – russo per popo-
lazione e storia, ma assegnato all’Ucraina, all’atto
della creazione dell’URSS negli anni ’20, per vo-
lontà dello stesso Lenin – in tutta la Federazione
Russa si è diffuso un crescente nazionalismo che
esplicitamente mira a riunificare sotto Mosca
tutte le terre e le province popolate da russi o
russofoni restate separate dopo la fine dell’era
sovietica. Violento sciovinismo che il Cremlino
sembra intenzionato a cavalcare, probabilmente
perché vi vede l’unica arma di propaganda da po-
ter contrapporre efficacemente all’indicibile Soft
Power messo in campo da Washington e dai suoi
alleati4. Tuttavia quest’arma rischia di sfuggire di
mano al Cremlino e suscita forti preoccupazioni
in tutti suoi vicini ed alleati, che temono di di-
venire prossimo teatro di rivolte delle minoranze
russe interne. Timore che, diffondendosi, potreb-
be avvallare le tesi degli avversari dell’Unione
Economica Eurasiatica, di coloro che la vedono
4. Un’autentica tempesta mediatica che, di fatto, ha imposto a livello globale la vulgata che vuole la Rivolta di Piazza Maidan come un moto autenticamente democratico, il nuovo governo, alito al potere non con il potere, ma con un golpe, come legittimo, mentre presenta come un sopruso imperialistico le rivendicazioni dei russofoni di Crimea e Dombas. Mettendo a tacere tutte le voci discordanti, e passan-do in secondo piano autentici massacri, perpetrati dalle nuove forze di sicurezza ucraine, come quello del rogo di Odessa. Dimostrazione, ancora una volta, del gap di comunicazione che separa Mosca dal suo competitor statunitense.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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solo come il ritorno delle ambizioni imperiali del
Cremlino. Di qui una situazione delicatissima, che
proprio in occasione della crisi di Kiev ha visto il
Kazakhstan al centro dell’attenzione della diplo-
mazia internazionale. E questo perché lo stesso
Nazarbayev, in forza proprio di quella politica di
equilibrio di cui abbiamo parlato, è stato di fat-
to considerato l’unico mediatore credibile tra le
potenze occidentali e la Russia. Tanto che il te-
lefono del Palazzo Presidenziale di Astana deve
essere diventato addirittura rovente con Obama,
Cameron e le Merkel che telefonavano “all’amico
Nazarbayev” per chiedergli di farsi mediatore di
un accordo di pace, o almeno di una tregua si-
cura, con Putin. Troppo presto, e troppo poche le
informazioni, in questo momento estremamente
critico, per poter anche solo avanzare una qual-
che ipotesi sulla possibilità che tale mediazione
del Presidente del Kazakhstan riesca a sortire ef-
fetti e a decantare l’attuale stato di tensione. È
però inevitabile constatare come tali richieste di
Il cosmodromo di Bajkonur
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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intervento costituiscano di per se stesse un im-
portante riconoscimento del ruolo assunto dal
Paese in questi ultimi anni. Ruolo non soltanto,
come si diceva, di “pivot geopolitico regionale”,
ma proiettato sugli scenari globali, in forza non
solo della sempre più rilevante economia interna,
ma anche, e forse soprattutto, della complessa
tessitura di una rete di relazioni internazionali,
portata avanti con acribia, equilibrio e pazienza.
Ruolo cui, per altro, il Kazakhstan è in certo qual
modo vocato per la sua stessa posizione geogra-
fica. È infatti la terra dove, secondo le vecchie
carte geografiche, passa il confine tra Europa ed
Asia; confine più immaginario che altro, tanto
che il Kazakhstan finisce, con le sue vaste distese,
con il costituire un ponte naturale, una via pri-
vilegiata di comunicazione fra i due mondi per
troppo tempo considerati remoti ed oggi, invece,
sempre più vicini.
Il Kazakhstan e l’ONU
In quest’ottica va letta la candidatura, recentemen-
te avanzata da Astana, ad un seggio come membro
non permanente del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite, che potrebbe venirle assegnato in
base ai principi vigenti di rotazione geografica e
ai criteri di equa e adeguata rappresentanza nel
Consiglio di tutti i paesi membri. Richiesta che il
Kazakhstan ha presentato ricordando il proprio
impegno ventennale per la pace e i diritti umani,
l’azione svolta, in sinergia con l’ONU e altri Paesi
contro le minacce transnazionali – quindi la lotta
al terrorismo – la politica sempre improntata ad
una visione multilaterale degli equilibri mondiali e
contraria ai rigidi antagonismi fra Blocchi; e senza
dimenticare l’importante ruolo cui ha assolto, e cui
continua ad assolvere per il disarmo nucleare. E ha
ricordato che:
•Il paese stabile, in crescita e pacifico con un
medio livello di reddito e con l’economia con la
più rapida crescita nel mondo ha raggiunto gli
obiettivi millenari nell’ambito dello sviluppo e de-
gli standard internazionali;
•Il leader riconosciuto nel campo della sicurezza
nucleare e di non proliferazione;
•Conferisce un contributo significativo nella si-
curezza alimentare ed energetica;
•Con la sua posizione attiva nella mediazione e
nel rafforzamento della fiducia riveste un ruolo
chiave nell’ambito della sicurezza della comunità
euroatlantica ed euroasiatica;
•Un mediatore onesto, noto con la sua impar-
zialità, con un approccio equilibrato, efficace e
neutrale in diplomazia multilaterale;
•Rappresenta l’Asia Centrale ed è pronto a rap-
presentare i problemi regionali nell’ambito del
Consiglio della Sicurezza;
•Mira a cooperare con altre organizzazioni inter-
nazionali e regionali nelle diverse parti del mon-
do al fine di risolvere i problemi comuni vitali di
sicurezza;
•Il Kazakhstan, paese in grande sviluppo, come
tutte le altre nazioni senza sbocco sul mare, si
rende pienamente consapevole della situazione
geografica svantaggiata, a cui si aggiungono i
paesi con grande linea costiera o i piccoli paesi
insulari in via di sviluppo, minacciati dall’aumen-
to del livello del mare.
•Sta diventando sempre più visibile sul panora-
ma mondiale con i suoi impegni nel sostenere la
diplomazia multilaterale con una vasta esperien-
za nella risoluzione delle questioni della sicurez-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
69
za, indirizzate al Consiglio della Sicurezza delle
Nazioni Unite dove ha decisamente introdotto le
nuove prospettive.5
Di fatto una sintesi, di per sé già esaustiva, della
sua storia recente, nonché delle strategie diplo-
matiche e geopolitiche poste in essere dall’indi-
pendenza ad oggi.
Ed è significativo che tale candidatura sia stata
presentata per il biennio 2017/2018. Perché pro-
prio nel 2017 la capitale del Kazakhstan, Astana,
ospiterà l’Expo della durata di tre mesi. Una ve-
trina importantissima non solo per la fiorente
economia del Paese, ma anche, e soprattutto,
per l’immagine di una giovane Repubblica che ha
saputo interpretare con intelligenza il ruolo sulla
scena internazionale che la storia e la geografia
le hanno assegnato.
Andrea MarciglianoSenior fellow “Il Nodo di Gordio”
5. Citazione dal documento ufficiale con cui il Kazakhstan ha avanzato la propria candidatura al Consiglio di Sicurezza per il 2017/2018.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
70
l lago Zajsan è uno dei luoghi dove le
relazioni sino-russe hanno iniziato, nel
bene e nel male, a instaurarsi a cavallo tra
il XVII e il XVIII secolo. Questo luogo incontaminato si
trova oggi in Kazakhstan, una Repubblica che negli
ultimi dieci anni ha svolto un incontestabile ruolo di
perno1 nel mondo delle relazioni mondiali e regionali.
Nello specifico, la Repubblica del Kazakhstan è riusci-
ta a essere il raccordo tra Federazione Russa e Repub-
blica Popolare Cinese, e, in modo più generale, tra Est
e Ovest, Nord e Sud, utilizzando (anche) uno dei più
importanti strumenti di politica internazionale attivi
oggi nel mare magnum delle organizzazioni interna-
zionali: la Cooperazione di Shanghai (SCO)2.
di Marcello Ciola
Il Kazakhstan nella Cooperazione di Shanghai. Una potenza regionale al centro della politica mondiale
La Repubblica del Kazakhstan è riuscita a essere il raccordo tra federazione Russa e Repubblica Popolare cinese, e, in modo più generale, tra Est e ovest, Nord e Sud
I
1. Definire il ruolo del Kazakhstan “ruolo di ponte” sarebbe estrema-mente riduttivo, in quanto quest’ultima definizione potrebbe lasciare intendere un ruolo più passivo che attivo all’interno delle relazioni internazionali. Il ruolo di perno, invece, è tanto attivo quanto fonda-mentale per il corretto funzionamento delle relazioni internazionali. 2. La Cooperazione di Shanghai o Shanghai Cooperation Organisation è un’organizzazione regionale antiterrorismo fondata nel 2001 di cui fanno parte Russia, Cina, Repubbliche centroasiatiche (escluso il Tur-kmenistan) e altri membri osservatori e partner di dialogo. Per ulteriori informazioni, consultare il sito ufficiale http://www.sectsco.org/.
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Speciale Kazakhstan
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Già membro dello Shanghai Five3, il Kazakhstan
è uno degli Stati fondatori della Cooperazione di
Shanghai ed è attualmente uno degli attori più
attivi al suo interno oltre che il terzo in ordine
di importanza militare, economica e politica.
La politica interna del Kazakhstan rappresenta
un’eccellente strategia al servizio della pacifica
e prospera coesistenza tra popoli con religioni
e tradizioni diverse tra loro; alla stessa maniera,
la SCO è una casa dove degli Stati con diverse
culture e tradizioni, ma simili obiettivi di politi-
ca estera4, riescono a convivere e cooperare in
maniera pacifica ed efficace. In questo senso, il
Kazakhstan riesce benissimo a sfruttare la sua
efficace politica interna in questo scenario mul-
tilaterale, rappresentando non solo una potenza
regionale, ma anche un importante attore globa-
le in grado di garantire equilibrio e distensione a
livello internazionale. Non è un caso che il kazako
Bolat Kabdylkhamitovich Nurgaliyev, già amba-
sciatore negli Stati Uniti, Sud Corea e Giappone,
fu prima eletto Segretario della SCO dal 2007 al
2010 (anno di presidenza kazaca) e in seguito im-
pegnato presso l’OSCE durante il periodo di Presi-
denza kazaca: la continuità e la trasversalità della
diplomazia multilaterale kazaca ha trovato soste-
gno da tutta la comunità internazionale e i risul-
tati ottenuti sono stati altrettanto apprezzati da
un eterogeneo numero di Stati e organizzazioni
internazionali. Dei successi diplomatici della SCO,
molti si sono avuti durante il periodo di presiden-
za kazaca e l’attività del Paese centroasiatico si è
contraddistinta sia per quanto concerne l’utiliz-
zo del soft power, sia per quanto riguarda il lato
della cooperazione militare e anche (e soprattut-
to) sul lato economico, essendo il Kazakhstan un
3. Organizzazione nata nel 1996 per risolvere le dispute di confine tra Cina e Stati nati dalla disgregazione dell’Unione Sovietica. 4. Tali obiettivi sono perseguiti tramite lo Shanghai Spirit, un approccio diplomatico basato su reciproca fiducia, mutui benefici, eguaglianza, consultazioni, rispetto per le diversità delle culture e aspirazione verso uno sviluppo comune che incarna l’aspirazione comune della comunità internazionale per l’attuazione della Democrazia nelle relazioni internazionali.
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punto di transito, produzione e smistamento di
risorse, energetiche e non, fondamentale per l’in-
tera Eurasia.
Soft power e attività diplomatica kazaka nel quadro SCO
Il processo d’integrazione promosso dal Ka-
zakhstan in ambito SCO parte innanzitutto con
un ottimo utilizzo del soft power e, quindi, della
cooperazione a livello culturale, di comunicazio-
ne e d’istituzioni politiche. Soprattutto durante
il periodo di segretariato di Nurgaliyev questa
peculiare capacità kazaka è emersa in maniera
evidente attraverso i diversi incontri interni ed
esterni al framework SCO promossi dal segretario
kazako. Per citare degli esempi, si potrebbe ricor-
dare la scrittura del piano d’azione sulla coopera-
zione sanitaria e ospedaliera5, volto a coordinare i
dipartimenti della salute dei diversi Stati membri
SCO per favorire non solo una ricerca integrata e
una condivisione di know-how in ambito sanita-
rio tra gli Stati, ma anche un più efficiente siste-
ma medico che in alcune zone dell’Asia Centrale
scarseggia in termini di infrastrutture, materiali e
personale preparato. Anche nel campo dell’edu-
cazione Nurgaliyev è stato in grado di mediare tra
le delegazioni degli Stati membri in modo che si
raggiungesse un accordo circa la condivisione di
piani di studio all’interno delle scuole e un rico-
noscimento tra i Paesi dei titoli di studio rilasciati
dai ministeri competenti6. La segreteria kazaka
della SCO è stata anche un’ottima occasione per
dare inizio a un processo di apertura verso nuovi
Stati membri e verso le relazioni con attori esterni.
Questo processo inciderà in maniera fondamen-
tale nella crescita politica dell’intera Cooperazio-
ne di Shanghai, Stati fondatori compresi. Nel giu-
gno 2007, in occasione del sesto anniversario dal-
la fondazione della SCO, ad Almaty, il Kazakhstan
International Institute of Modern Politics (KIIMP)
organizzò un incontro dove studiosi, esperti po-
litici e diplomatici provenienti da diversi istituti e
istituzioni, hanno discusso i temi dell’espansione
dell’organizzazione, i criteri di adesione, quelli per
diventare membri osservatori e partner di dialo-
go, quelli per la cooperazione con le altre orga-
nizzazioni internazionali e per la cooperazione tra
le diverse istituzioni della SCO quali il Business
Council, l’Interbank Consortium e l’Energy Club;
il KIIMP dovette poi raccogliere tutte le idee e
sintetizzarle in una lunga mozione da presentare
al seguente incontro di Bishkek7. Nello stesso pe-
riodo, la SCO a guida kazaka è stata protagonista
di numerosi incontri a livello internazionale come
quello nel giugno 2007 con il Sottosegretario ita-
liano agli Affari Esteri, Gianni Vernetti, in cui si
discusse dei rapporti tra l’area economica SCO e
l’Unione Europea e l’Italia in particolare, o quelli
con Cipro e poi Israele nel settembre successivo,
in cui si discusse dei rapporti politici in Medio
Oriente e delle relazioni economiche. Importante
è stata l’azione di mediazione tra Afghanistan e
SCO svolta da Nurgaliyev nell’autunno 2007, che
ha rappresentato la fase embrionale di quello che
diventerà lo SCO-Afghanistan Contact Group8.
5. Il primo incontro per discutere del piano d’azione si è tenuto tra il 5 e il 6 giugno del 2007. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2007, 31 dicembre 2007. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=97 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 6. Ibidem. 7. Ibidem. 8. Ibidem.
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Anche a livello di relazioni con altre organizza-
zioni internazionali, la SCO ha ricevuto un grosso
contributo da parte della gestione kazaka: i pro-
ficui incontri con i rappresentanti dell’Unione Eu-
ropea per l’Asia Centrale, Pierre Morel, e per l’Af-
ghanistan, Francesc Vendrell, rispettivamente nel
febbraio e nel marzo del 2008, ne sono solo un
esempio9. Un cenno va fatto anche all’attività di-
plomatica svolta congiuntamente all’Uzbekistan
in campo della non proliferazione di armi e test
nucleari: l’idea di creare un’Asia Centrale libera
da armamenti e test nucleari, nacque nel 2002 e
dopo 4 anni, l’8 settembre del 2006, presso il sito
per test nucleari di Semipalantisk in Kazakhstan
si raggiunse la firma del Trattato sulla denucle-
arizzazione dell’Asia Centrale (The Central Asian
Nuclear-Weapon Free-Zone, CANWFZ)10. È nel
settore delle emergenze umanitarie e ambientali
che il Kazakhstan, nel quadro della SCO, ha dato
un decisivo contributo; già dal 2002 la SCO tie-
ne incontri regolari a livello ministeriale sul tema
delle emergenze11, nel 2007 il governo kazako ha
deliberato un proprio piano di azione per gli aiuti
umanitari in Afghanistan da coordinare con gli
altri Stati membri SCO12, ma è in seguito al terre-
moto del 24 maggio 2008 in Sichuan, quando il
9. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=66 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 10. Entrato in vigore il 21 marzo del 2009, Secondo il trattato, ogni firmatario non poteva ricercare, sviluppare, fabbricare, accumulare, acqui-stare o possedere qualsiasi tipo di arma nucleare o dispositivo esplosivo nucleare; nessuno Stato contraente poteva poi prestare assistenza in una di queste azioni a terzi, né incoraggiare un’azione in questo senso. Gli Stati membri dovevano aderire all’Agenzia Internazionale sull’E-nergia Atomica e a tutti i suoi protocolli addizionali entro 18 mesi dall’entrata in vigore. James Martin Center for Non Proliferation Studies, The Central Asian Nuclear-Weapon Free-Zone, CANWFZ, 28 gennaio 2013. http://cns.miis.edu/inventory/pdfs/canwz.pdf [sito consultato il 18 aprile 2014]. 11. InfoSCO, Meeting of the SCO Ministers of Emergency Situations, 5 giugno 2009. http://infoshos.ru/en/?idn=4347 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 12. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2007, 31 dicembre 2007. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=97 [sito consultato il 18 aprile 2014].
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Kazakhstan inviò immediatamente 3,6 milioni di
dollari in aiuti umanitari13, che i rappresentanti
kazaki presso la SCO iniziarono a proporre la crea-
zione di un unico centro per le emergenze situato
ad Astana14. Il centro non è stato ancora ufficial-
mente istituito ma continua ad essere uno dei
principali temi di discussione durante le riunioni
dei ministri incaricati15. Sempre per quanto con-
cerne le emergenze umanitarie, in occasione dei
disordini di Osh del giugno 2010, il Kazakhstan fu
il Paese che accolse il maggior numero di profu-
ghi minorenni tra tutti quelli dell’area SCO16.
Antiterrorismo ed esercitazioni militari: indipendenza, coerenza e multivettorialità
La SCO, nonostante la sua estrema duttilità in
ambito di politica internazionale, rimane nella
sostanza un’organizzazione regionale antiterro-
rismo; questa non solo ha al proprio interno gli
strumenti necessari per svolgere autonomamen-
te un’efficace azione contro gruppi fondamenta-
listi e separatisti, ma attraverso la sua peculiare
capacità di fare rete con altre organizzazioni in-
ternazionali riesce a coordinare la propria azione
con quella di altri attori in modo da aumentare
l’efficacia della propria strategia antiterrorismo.
Il Kazakhstan, rispetto ai suoi vicini, è stato uno
dei Paesi che meno ha sofferto la presenza di
fondamentalisti sul proprio territorio. Nonostan-
te questo, il Paese è sempre stato in prima linea
per la lotta al terrorismo, dimostrando di essere
preparato politicamente e strategicamente ad af-
frontare emergenze del genere, e di essere anche
un utile e leale alleato per i Paesi vicini. Tale lealtà
è stata evidente fin dai primi periodi d’indipen-
denza, quando, per esempio, la Cina poco prima
di iniziare l’operazione Strike Hard contro il sepa-
ratismo uiguro di matrice terroristica, aveva chie-
sto ai propri vicini (nonché partner nello Shang-
hai Five) di riconoscere l’illegalità dei partiti e dei
movimenti che sostenessero la costituzione di un
Turkestan indipendente attraverso l’uso del ter-
rorismo. In quest’occasione, il Kazakhstan fu uno
dei primi Paesi a rendere illegali tre movimenti
separatisti: il Fronte Unito Nazionale e Rivolu-
zionario del Turkestan dell’Est, l’Organizzazione
per la Liberazione dell’Uiguristan e l’Unione dei
Popoli Uiguri17. L’amicizia e la cooperazione con i
popoli e gli Stati vicini dello Shanghai Five prima
e della Cooperazione di Shanghai dopo, sono sta-
te caratteristiche sempre presenti all’interno del-
la politica estera kazaka, a queste si aggiunge la
coerenza di voler sradicare il terrorismo dall’Asia
Centrale e di voler contribuire a questa causa a
prescindere dall’interlocutore con cui cooperare.
Non sono mancate, infatti, le occasioni in cui il
Kazakhstan ha dialogato con attori internaziona-
li, a livello bilaterale e multilaterale, sia nel qua-
13. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=66 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 14. InfoSCO, Meeting of the SCO Ministers of Emergency Situations, 5 giugno 2009. http://infoshos.ru/en/?idn=4347 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 15. SCO summit 2013, The 13th Summit of the SCO Member States to be held on September 13, 2013 in Bishkek. http://www.scosummit2013.org/en/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 16. Ne accolse in tutto 100; il secondo Paese fu la Cina con 50 bambini accolti. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2010, 31 dicembre 2010. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=255 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 17. R. CASTETS, The Uyghurs in Xinjiang. The Malaise Grows, in “China Perspectives” [versione Online], n. 49, settembre-ottobre 2003. http://chinaperspectives.revues.org/648 [sito consultato il 17 dicembre 2013].
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dro SCO che al di fuori di esso, per combattere
il terrorismo. La politica estera multivettoriale di
Astana è comunque ben accetta all’interno del
quadro SCO poiché permette, nella buona fede
delle élite politiche kazake, di fungere da ponte
tra la politica russo-cinese e quella occidentale.
Si potrebbe citare l’esempio più noto di collabo-
razione militare multilaterale in chiave antiterro-
rismo a cui ha preso parte il Kazakhstan e alcuni
altri Stati sia asiatici che non asiatici (come, per
esempio, gli Stati Uniti): si sta parlando del Cen-
trAsBat (Central Asian Battalion) costituitosi nel
199518 tra Kazakhstan, Kyrgyzstan e Uzbekistan
con il coinvolgimento principale degli Stati Uniti
ma che nel corso degli anni ha coinvolto anche
altre nazioni e che dal 2000 in poi ha continuato
la sua esperienza all’interno del programma Re-
gional Cooperation19 (di cui l’ultima esercitazione
risale al 2012, RC-1220). Per riportare un paio di
esempi di cooperazione militare bilaterale, che
possano mostrare come anche dal punto di vista
militare il Kazakhstan non abbia mai avuto pro-
blemi a porsi come perno tra area SCO e Occi-
dente, si potrebbero citare la serie di esercitazioni
Zhardem, congiuntamente con gli Stati Uniti21,
o la serie Aldaspan, insieme alla Russia22. All’in-
terno del framework SCO, il Kazakhstan è il terzo
Paese, dopo Russia e Cina, in termini di partecipa-
zione alla cooperazione militare e antiterrorismo.
L’aspetto militare è scisso da quello dell’antiter-
rorismo dopo la costituzione del Regional Anti-
Terrorism Structure (RATS) avvenuta nel 2004.
L’esperienza kazaca in materia di antiterrorismo
ha portato innovazione all’interno della SCO e dei
singoli Paesi membri. Quando il 17 maggio 2011
ad Aktobe un uomo si fece esplodere all’interno
del quartier generale del servizio di sicurezza
dell’oblast kazaco uccidendo sé stesso e feren-
do altre due persone23, iniziò un’escalation senza
precedenti nella storia del Paese che in poco più
di un anno contò una decina attentati dinamitar-
di, numerose altre azioni terroristiche e poco più
di una trentina di morti e numerosi altri feriti24. Il
governo kazaco agì sia attraverso la riforma della
legge in materia di antiterrorismo25, sia attraverso
un incremento della sicurezza e del lavoro d’intel-
ligence sui gruppi terroristi attivi sul territorio26,
ma anche attraverso il coinvolgimento diretto
18. Attraverso un Partnership for Peace Program, accordo ad hoc che la NATO sigla con il Paese o i Paesi con cui vuole stringere una collabo-razione militare. 19. M. STEIN, Compendium of Central Asia Military and Security Activity, Foreign Military Studies Office (FMSO), Fort Levenworth 3 ottobre 2012, pp. 3, 17. 20. B. CLASHMAN, Multinational forces participate in Regional Cooperation 12 Exercise, U.S. Air Force Central Command, 28 giugno 2012. http://www.afcent.af.mil/news/story.asp?id=123307374 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 21. Anche la serie Steppe Eagle ha una certa importanza nelle relazioni tra Stati Uniti e Kazakhstan ma questa coinvolge anche il Regno Unito e non può essere quindi considerata bilaterale tout court. M. STEIN, Compendium of Central Asia Military and Security Activity, Foreign Military Studies Office (FMSO), Fort Levenworth 3 ottobre 2012, pp. 19, 20, 22. 22. M. STEIN, Compendium of Central Asia Military and Security Activity, Foreign Military Studies Office (FMSO), Fort Levenworth 3 ottobre 2012, pp. 6 – 7. 23. Eurasianet, Kazakhstan Official Blames Mafia for Suicide Bombing, 17 maggio 2011. http://www.eurasianet.org/node/63499 [sito consul-tato l’18 aprile 2014]. 24. Il presidente Nazarbayev dichiarò che tra il 2011 e il 2012 circa cento crimini erano di matrice terroristica. J. NICHOL, Central Asia: Regional Developments and Implications for U.S. Interests, Congressional Research Service, Report for Congress, 20 novembre 2013, p. 20. http://www.fas.org/sgp/crs/row/RL33458.pdf [sito consultato il 18 aprile 2014]. 25. Nel 2013 la legge avrebbe scongiurato, secondo il Comitato di Sicurezza Nazionale, 35 azioni di terrorismo e aveva consentito di neutraliz-zare 42 gruppi estremisti nel Paese; però non era riuscita a bloccare 18 azioni terroristiche, tra cui sette esplosioni. Ibidem. 26. Attraverso l’adozione del Programma Statale per Contrastare il Terrorismo e l’Estremismo Religioso per il periodo 2013-17. Eurasianet, Kazakhstan: Astana Mulls Expansion of Anti-Terror Controls, 19 giugno 2013. http://www.eurasianet.org/node/67146 [sito consultato il 18 aprile 2014].
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del Consiglio Spirituale dei Musulmani del Ka-
zakhstan che, per andare in contro alle esigenze
del governo, creò sei gruppi regionali di imam col
compito di monitorare le espressioni religiose e
di incoraggiare gruppi salafiti e fondamentalisti
a tornare nell’alveo dell’Islam Tradizionale del
Consiglio Spirituale27. Quest’ultimo aspetto ha
rappresentato un’importante novità in campo
di politiche antiterrorismo che la SCO ha saputo
sfruttare nella politica interna degli Stati membri
e in altri scenari, come quello afghano, a caratte-
re multilaterale28. È sotto la segreteria kazaka che
la SCO è riuscita anche a siglare numerosi Me-
morandum of Understanding con altrettanto nu-
merose organizzazioni internazionali o regionali
in tema di antiterrorismo, uno su tutti la CSTO29.
27. J. NICHOL, op. cit., p. 21. 28. Rispetto alle strategie occidentali che vertono sull’utilizzo della forza e dello strumento militare o, più in generale, dell’hard power, quella kazaka, traslata all’interno del quadro SCO, diviene una scelta strategica più efficace, oltre che più tollerata dalle popolazioni locali. 29. SCO Website, The development of SCO’s links with international organisations in 2007-2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=120 [sito consultato il 18 aprile 2014].
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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Altro simbolo di avanguardia della strategia ka-
zaka e di centralità di questo Paese nella lotta al
terrorismo è la costituzione del Central Asia Re-
gional Information and Coordination Center (CA-
RECC) ad Almaty, nato nel 2009 sotto iniziativa
dell’UNODC (United Nation Office on Drugs and
Crime), che coinvolge le cinque Repubbliche cen-
troasiatiche più Russia e Azerbaijan30.
Il Kazakhstan come via di transito e centro di relazioni commerciali ed energetiche: lo SCO Energy club e le Nuove vie della Seta
Geograficamente, il Kazakhstan si trova al cen-
tro di una serie di rotte di comunicazioni, eco-
nomiche ed energetiche che non possono non
rendere questo Paese un attore trascurabile per
l’economia asiatica e, quindi, mondiale. Il Paese
è il punto di partenza, di arrivo e di transito di
enormi quantità di denaro, merci e materie pri-
me. Infatti, Astana fa parte di una serie notevole
di organizzazioni economiche regionali e interna-
zionali oltre la SCO; giusto per citarne alcune, si
potrebbero ricordare il TRACECA31, il CAREC32, lo
SPECA33, l’INOGATE34 e, ovviamente, il CIS e l’Eu-
rAsEC. All’interno del quadro SCO, la Repubblica
del Kazakhstan rappresenta la terza economia
come volume di affari, ma come profondità stra-
tegica e come ruolo economico essa non ha nulla
da invidiare ai due giganti vicini, Russia e Cina.
Infatti, oltre la sua strutturata e funzionale New
Silk Road Strategy, il Kazakhstan è stato protago-
nista di numerose iniziative economico-energe-
tiche che hanno consentito ai Paesi consumatori
di energia SCO (Cina, Kyrgyzistan e Tajikistan) di
differenziare il loro approvvigionamento di mate-
rie prime35 tradizionalmente russo; questo tipo di
“concorrenza leale” kazaka non mette in discus-
sione le fraterne relazioni con la vicina Russia
con cui continua a cooperare tranquillamente
sia a livello energetico che economico36. Anche
dalla Cina sono arrivati numerosi miliardi di dol-
lari d’investimenti soprattutto per l’estrazione di
materie prime e la costruzione di vie di trasporto.
Questa spiccata capacità del governo kazako di
attrarre investimenti esteri e di tessere proficue
relazioni economiche con imprenditori privati e
diversi governi, permette al Kazakhstan di gioca-
re un ruolo centrale per la crescita del progetto
di Nuova Via della Seta che, come ha ricorda-
to durante la sua ultima visita a Washington il
consigliere politico del presidente Nazarbayev,
Ermuhamet Ertysbaev, non è una semplice rie-
vocazione storica ma è la rappresentazione della
30. CARICC – about us. http://caricc.org/index.php/en/about-caricc [sito consultato il 6 gennaio 2014]. All’organizzazione partecipano come membri osservatori: Austria, Canada, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Pakistan, Stati Uniti e Interpol. 31. Il Transport Corridor Europe-Caucasus-Asia di cui fanno parte Armenia, Azerbaijan, Bulgaria, Georgia, Iran, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Moldo-va, Romania, Tajikistan, Turchia, Ucraina e Uzbekistan. http://www.traceca-org.org/en/home/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 32. Il Central Asia Regional Economy Cooperation di cui fanno parte Afghanistan, Azerbaijan, Cina, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, Pakistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. http://carecprogram.org/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 33. Programma delle Nazioni Unite -Special Programme for the Economies of Central Asia- a cui hanno aderito Afghanistan, Azerbaijan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. http://www.unece.org/speca/welcome.html [sito consultato il 18 aprile 2014]. 34. Progetto dell’Unione Europea -Interstate Oil and Gas Transportation to Europe-, concentrato soprattutto sul settore energetico di cui fanno parte Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Kazakhstan, Kyrgyzistan, Moldavia, Tajikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan più la Federazione Russa come membro osservatore; parallelamente questo progetto e al TRACECA si è sviluppata la cosiddetta Baku Initiative, un progetto del 2004 che mette in dialogo UE, TRACECA e INOGATE per la cooperazione energetica. http://www.inogate.org/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 35. Tra le materie prime il Kazakhstan può annoverare non solo petrolio e gas ma anche uranio, oro, tungsteno, rame, zinco ecc… 36. È utile ricordare a tal proposito il progetto di Unione Doganale Euroasiatica tra Russia, Kazakhstan e Bielorussia.
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Speciale Kazakhstan
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volontà di voler creare una nuova ed enorme via
di trasporto che aiuti il Kazakhstan e tutti i Paesi
dell’Asia Centrale a rafforzare la propria sovra-
nità37. Insieme a Russia, Cina e Unione Europea,
il Kazakhstan ha creato un’altra importante
iniziativa dal nome Western Europe – Western
China: si tratta della costruzione di un corrido-
io supertecnologico con video sorveglianza su
tutto il tragitto e rete internet iperveloce che
connetterà attraverso un sistema di autostrade
e ferrovie San Pietroburgo e Shanghai38. Il per-
corso39 sarà pronto per il 2015 e si prevede che
aumenterà del 250% i traffici lungo questa via
riducendo drasticamente i tempi di collegamen-
to che oggi per via marittima (Canale di Suez)
risultano di 45 giorni, tramite la ferrovia trans-
siberiana di 14 giorni, mentre con questo pro-
getto saranno di soli 10 giorni40. Due sono state
le iniziative in cui il Paese ha inciso di più attra-
verso lo strumento della SCO: il Memorandum
of Understanding con United Nations Economic
and Social Commission for Asia and the Pacific
(UNESCAP) del 21 gennaio 2008 e la promozio-
ne, insieme al Presidente russo Putin, dello SCO
Energy Club. La proposta russa fu sostenuta da
tutti gli Stati membri, tra cui il Kazakhstan che
tramite il suo primo ministro Danial Akhmetov
dichiarò chiaramente che il settore della sicu-
rezza energetica rappresentava il futuro per l’or-
ganizzazione e per la cooperazione regionale41.
Il tema toccò anche il summit dell’anno dopo
a Bishkek in cui si propose di creare un merca-
to unico dell’energia per favorire uno sviluppo
regionale che fosse proficuo per tutti gli Sta-
ti e si valutò l’ipotesi della costituzione di un
esperimento preliminare di “club dell’energia”42.
Anche nel 2008, nel 2009 e nel 2010 diverse di-
chiarazioni sono venute soprattutto da Russia
e Kazakhstan per costituire un forum o un club
che riunisse i rappresentanti permanenti degli
Stati del quadro SCO43. Pur non essendo anco-
ra oggi ben definita la struttura di questo “club
di Stati” legati alla produzione, al consumo e al
transito di energia, si è capito che essa dovrebbe
trasferire a livello multilaterale (all’interno delle
riunioni SCO) ciò che fino ad oggi si è fatto a
livello bi o trilaterale: una piattaforma stabile,
con incontri periodici, all’interno della quale di-
scutere non solo di produzione e trasporto ma
anche di prezzi. Secondo Asset Magauov, diret-
tore generale di KazEnergy, la prima riunione del
club dell’energia SCO sarà organizzata entro il
37. Omega.kz, Новый Шелковый путь [Nuova Via della Seta], 19 luglio 2012. http://omega.kz/node/4011 [sito consultato il 18 aprile 2014]. 38. Passando per Mosca, Nizhny Novgorod, Kazan, Orenburg, Aktobe, Kyzylorda, Shymkent, Taraz, Korday e Almaty. 39. Western Europe – Western China coinvolge 21 investitori principali e 66 investitori secondari (tra cui l’italiana Salini) e 35.000 operai, sarà lungo 8.445 chilometri. 40. Astana Times, Major Transport Corridor to Connect Kazakhstan, Russia, China by 2015, 20 febbraio 2013. http://www.astanatimes.com/2013/02/major-transport-corridor-to-connect-kazakhstan-russia-china-by-2015-2/ [sito consultato il 18 aprile 2014]. 41. Ria Novosti, Energy outcome of SCO meeting in Dushanbe, 20 settembre 2006. http://en.ria.ru/analysis/20060920/54104304.html [sito consultato il 18 aprile 2014]. 42. A. NARAIN ROY, Shanghai Cooperation Organization - Towards New Dynamism, in “Mainstream Weakly”, vol. XLV, n. 39, 15 settembre 2007. http://www.mainstreamweekly.net/article313.html [sito consultato il 18 febbraio 2014]. 43. Nel 2008, il primo ministro del Kazakhstan, Karim Masimov, disse che “l’attuale sistema di pipelines sullo spazio SCO che collega la Russia, gli Stati dell’Asia Centrale e la Cina è una base seria per la creazione di uno spazio unificato SCO dell’energia”. InfoSCO, SCO energy club: what it should be?, 13 marzo 2012. http://infoshos.ru/en/?idn=9616. Nel 2009 Putin richiamò la sua proposta di anni prima e disse che la questione energetica era diventata ormai la questione chiave dell’agenda politica globale e la SCO non poteva perdere questa occasione di cooperazione regionale. CIIS - China Institute of International Studies, SCO in the Past 10 Years: Achivements and Challenges, 11 agosto 2011. http://www.ciis.org.cn/english/2011-08/11/content_4400582.htm [siti consultati il 18 aprile 2014].
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
79
XXI Congresso Mondiale del Petrolio che si terrà
tra il 14 e il 20 giugno 2014 a Mosca44.
Un nuovo modello per la cooperazione regionale
Quanto visto finora, pone due tipi di considera-
zioni circa il rapporto che intercorre tra la SCO
e il Kazakhstan: una prima considerazione è che
entrambi gli attori sono fondamentali l’uno per
l’altro. La Cooperazione di Shanghai perderebbe
il suo senso di “cartello diplomatico” compatto
se una potenza regionale e attore internaziona-
le come il Kazakhstan cessasse di collaborarvi. Il
ruolo di questo Paese per la crescita della SCO è
stato fondamentale in quanto l’unico, tra gli Stati
membri, in grado di mediare tra le posizioni rus-
44. AGC Comunication, SCO Energy Club meeting, 2 febbraio 2014. http://www.agccommunication.eu/inostriservizi-it/informazione-e-formazione/osservatorio-est/russia-e-asia-centrale/6396-sco-petrolio-kazakhstan [sito consultato il 18 aprile 2014].
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201480
se e quelle cinesi e di fungere da collante. Per le
relazioni estere, la Repubblica kazaka è riuscita
(e riesce) meglio rispetto agli altri Stati mem-
bri a svolgere un ruolo di raccordo tra Oriente e
Occidente e, attraverso una politica estera ami-
chevole e pragmatica, è in grado di mantenere
gli equilibri tra questi due poli. Viceversa, la SCO
garantisce al Kazakhstan una dimora politica si-
cura e affidabile oltre che un punto di partenza
e una cassa di risonanza per la propria politica
estera regionale e internazionale in campo tanto
diplomatico quanto economico ed energetico. La
seconda considerazione è che entrambi, SCO e
Kazakhstan, sono la prova che si è entrati in una
nuova fase di politica globale in cui la logica dei
“blocchi” non è più valida e non può più esse-
re valida; il loro metodo di condurre le relazioni
diplomatiche esterne (che è identico, solo che si
svolge su due livelli diversi) dimostra che l’inte-
grazione regionale non è più di natura “esclusiva”
ma è di natura “inclusiva”: gli interessi nazionali
(o regionali) si possono difendere senza necessa-
riamente ledere gli interessi altrui e senza porre
un muro fra “sé e l’altro”. Secondo questo nuovo
metodo, difendere gli interessi economici, politici
e anche le identità culturali diviene un esercizio
che rende partecipe il prossimo, per quanto pos-
sa essere mutualmente benefico, ed è questo il
senso di quanto contenuto nello Shanghai Spirit,
essenza del funzionamento della SCO. Per que-
sti motivi, come disse l’ex portavoce del Senato
kazako, Kassym-Jomart Tokayev, al connazionale,
ex segretario della SCO, Nurgaliyev: “La Coopera-
zione di Shanghai rappresenta un nuovo modello
per la cooperazione regionale45” e il Kazakhstan
ne è un attore decisivo.
Marcello CiolaStudioso di relazioni internazionali e geopolitica
45. SCO website, Chronicle of main events at SCO in 2008, 31 dicembre 2008. http://www.sectsco.org/EN123/show.asp?id=66 [sito consultato il 18 aprile 2014].
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
81
ell’era di internet, del web, dei social
forum le manifestazioni fieristiche, le
esposizioni, le mostre sembravano un
retaggio inutile di un passato ormai dimenticato.
E invece per l’Expo di Milano del prossimo anno
sono attesi tutti i principali Paesi del mondo con
milioni di visitatori.
Il problema, però, non è esserci. Ma avere qualcosa
da dire, da mostrare. Qualcosa di più e di meglio di
ciò che si può trovare su Google. E il Kazakhstan ce
l’ha. Non soltanto perché rappresenta lo snodo tra
Europa ed Asia, o perché ha un ruolo fondamen-
tale lungo l’antica Via della seta in fase di grande
rilancio sullo scacchiere internazionale.
Astana sarà protagonista dell’Expo milanese in-
nanzi tutto perché, sullo sviluppo sostenibile ha
puntato molto. Sia sul fronte dell’alimentazione,
che è il tema dell’appuntamento milanese, sia su
quello delle energie, che sarà l’argomento di con-
fronto dell’Expo 2017 proprio nella capitale del
Kazakhstan.
di Alessandro Grandi
Da Milano ad Astana, il ponte verde della sostenibilità all’Expo
Alimentazione ed energie rinnovabili, aspetti collegati e fondamentali per uno sviluppo che non dimentichi i popoli
N
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 201482
Una grande sfida, per il Paese dell’Asia Centrale.
Ma anche un percorso obbligato. Perché sono i
Paesi come il Kazakhstan che possono e devono
trasformarsi nei poli di riferimento per nuovi mo-
delli di sviluppo. Immensi territori, popolazione
ridotta, grandi risorse economiche da investire.
E, a differenza di quanto troppo spesso avviene
nella Vecchia Europa, voglia di investire queste
risorse per la ricerca, per l’innovazione, per avere
un ruolo da protagonisti.
La sostenibilità ambientale può significare qual-
siasi cosa. Dipende dalla volontà e dagli obiettivi
di chi utilizza un termine spesso abusato. Astana
sta dimostrando di credere veramente nella so-
stenibilità. Coniugando tradizione ed innovazio-
ne, senza assurdi salti di tempo e di spazio, senza
rinnegare alcunché della propria cultura.
D’altronde la storia stessa del Paese ha evidenzia-
to le grandi capacità di sintesi tra aspetti estre-
mamente differenti. Sotto l’aspetto etnico, reli-
gioso, culturale. Ma anche per quanto concerne
Alcuni rendering sulle strutture che ospiteranno l’Expo di Milano 2015 (sopra) e Astana 2017 (nella pagina a fianco), con i rispettivi loghi
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
83
il territorio ed il suo utilizzo. Così un Paese che,
da sempre, è un grande consumatore di carne, è
anche uno dei maggiori produttori mondiali di
grano. E proprio l’Italia ha visto le importazione
di grano duro dal Kazakhstan crescere negli ultimi
anni con incrementi a due cifre. Non è solo l’Italia
a beneficiare della produzione kazaka. Sono oltre
70 i Paesi che importano grano duro da Astana
che, con 8 milioni di vendite all’estero medie di
farina e grano, è entrata tra i primi 10 esportatori
mondiali del settore.
Tra l’altro a favorire le esportazioni contribuisce
anche l’accordo doganale con Russia e Bielorus-
sia. Ma non va sottovalutata la scelta strategi-
ca del governo di Astana di non aumentare le
vendite se non in presenta di incrementi della
produzione totale. Non si riduce, dunque, l’ap-
provvigionamento di grano destinato al mercato
interno. E questo sempre in un’ottica di sosteni-
bilità che deve riguardare, in primo luogo, la po-
polazione stessa del Paese.
Una dimostrazione di attenzione agli aspetti
umani che caratterizza anche il ruolo del Ka-
zakhstan sulla scena internazionale. Un ruolo
che diventa anche di esempio, considerando che
Astana ha raggiunto l’Obiettivo di Sviluppo del
Millennio 1 ed il Kazakhstan continua ad esse-
re impegnato nella lotta contro la povertà e per
la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento
d’acqua. Temi che caratterizzeranno la candida-
tura di Astana per l’elezione a membro del Consi-
glio di sicurezza dell’Onu.
Astana da tempo ha sottolineato l’importan-
za della cooperazione Sud-Sud anche in questo
ambito. Un ribaltamento delle strategie abituali
ma che offre grandi opportunità per affrontare e
risolvere i problemi della povertà e della mancan-
za di cibo in varie parti del Globo, a partire dalle
regioni meno favorite dell’Africa.
Ma l’attenzione nei confronti del Terzo Mondo
non mette in discussione i rapporti con tutti gli
altri Paesi. Basti pensare che, per quanto riguar-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
84
da il grano, solo un’effettiva collaborazione tra i
principali Paesi esportatori, ma anche con gli im-
portatori, può consentire di calmierare il prezzo.
Evitando le speculazioni internazionali che hanno
fatto lievitare artificiosamente i prezzi, creando
problemi di alimentazione e di sopravvivenza tra
le popolazioni più povere e determinando una ri-
duzione di altri consumi nei Paesi più ricchi. Dove
l’incremento dei prezzi dei prodotti ottenuti con
la farina determina il calo di acquisti di altri ge-
neri alimentari e non alimentari. Provocando la
contrazione del mercato interno che si ripercuote
sull’andamento delle industrie locali e sull’occu-
pazione.
Il Kazakhstan, tuttavia, non parteciperà all’Expo
solo per mostrare al mondo i suoi successi legati
alla produzione di grano. Astana, infatti, è riusci-
ta a sviluppare l’agricoltura anche in un territorio
estremamente diversificato e non sempre ideale
per la coltivazione. Ma in questo si dimostra l’ef-
ficacia delle iniziative di ricerca e di collaborazio-
ne con tecnici internazionali, italiani compresi.
Far crescere la vigna in condizioni non ottima-
li diventa un esempio per il mondo intero, così
come portare colture in zone semidesertiche. Fa-
cendo coesistere allevamenti di bestiame – dalle
vacche ai cammelli, dai cavalli alle pecore – con
la produzione di frutta, ortaggi, canapa, riso, co-
tone, tabacco.
Nel rispetto dell’ambiente che parte dall’alimen-
tazione e si estende sino all’utilizzo dell’energia.
Un programma di “Ponte verde” che coinvolge
ogni aspetto del Paese. E che rappresenta dav-
vero un ponte di sostenibilità in grado di colle-
gare l’Expo di Milano con l’Expo di Astana. Perché
tutelare la Terra con un’agricoltura sostenibile è
solo il primo passo verso una tutela del Globo che
comprenda anche l’utilizzo di energie rinnovabili,
non inquinanti, in grado di favorire lo sviluppo
delle persone e non soltanto quello di alcune
multinazionali.
Alessandro GrandiStorico, Collaboratore de “Il Nodo di Gordio”, fotografo di viaggio
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
85
opo Milano-2015, sarà il turno di
Astana. La capitale della Repubblica
del Kazakhstan, infatti, si sta pre-
parando ad ospitare l’Expo-2017, evento inter-
nazionale dedicato all’“Energia del futuro”, una
vetrina mondiale di alto livello e una preziosa
occasione per rilanciare l’immagine del Paese
centrasiatico. “Il Nodo di Gordio” ha intervista-
to Talgat Emergiyaev, Presidente del board della
Compagnia nazionale “EXPO-2017” sull’organiz-
zazione dell’esposizione e sulle ricadute in ter-
mini commerciali e turistici per la sua nazione.
Uomo di lunga esperienza, Emergiyaev ha rico-
perto ruoli di primo piano in settori chiave dell’e-
conomia kazaka e, più recentemente, l’incarico di
Viceministro dello Sport e Turismo.
Perché il Kazakhstan ha deciso di organizzare EXPO-2017?
Lo svolgimento dell’esposizione EXPO nel cuo-
re del continente Eurasiatico è una nuova fase
a cura della Redazione
Ermegiyayev: L’energia del futuro all’Expo 2017 di Astana
Il tema “Energia del futuro” è la continuazione logica delle iniziative globali del Presidente della Repubblica del Kazakhstan sulla conservazione del pianeta
D
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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nella vita economica non solo di Astana, del Ka-
zakhstan, ma anche dell’intero spazio della CSI
nel suo complesso, e il tema “Energia del Futuro”
è un passo verso la preservazione del nostro pia-
neta per le future generazioni.
Secondo le nostre aspettative, l’esposizione di
Astana riunirà più di 100 paesi-partecipanti, tra
cui circa 6 principali organizzazioni internaziona-
li. In tre mesi i padiglioni saranno visitati da 2-3
milioni di persone.
Il Kazakhstan mira ad assicurare che l’EXPO-2017
diventa una delle esposizioni più avanzate e in-
teressanti. Astana presenterà una sorta di “Città
del futuro”.
Lo svolgimento di EXPO-2017 con il tema “Ener-
gia del futuro” è la continuazione logica delle ini-
ziative globali del Presidente della Repubblica del
Kazakhstan sulla conservazione del pianeta. Pro-
ponendo il tema “Energia del futuro”, il governo
ha preso tutte le misure necessarie per muovere
il paese in una direzione pratica per lo sviluppo
dell’economia “verde”.
Il tema “Energia del futuro” si inserisce anche nella
strategia di sviluppo economico ed energetico del Ka-
zakhstan. E per questo lo svolgimento dell’esposizio-
ne ad Astana è giustificata non solo dalle opportunità
politiche ed economiche del Kazakhstan, ma anche
dall’orientamento dello Stato verso lo sviluppo di un
‘energia efficace’.
In Kazakhstan vengono sviluppati e si stanno realiz-
zando le numerose iniziative che devono cambiare
radicalmente la struttura dell’economia naziona-
le. Così il 30 maggio del 2013, il Presidente ha firmato
un decreto per l’adozione del concetto sul passaggio
della Repubblica del Kazakhstan all’“economia ver-
de”. Questo è uno degli strumenti più importanti per
garantire lo sviluppo sostenibile del Paese.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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Il Kazakhstan si trova alla soglia dei cambia-
menti. Nei prossimi anni, c’è da risolvere ancora
molte questioni, bisognerà dimostrare in pratica
che “l’economia verde” non è solo un vantaggio
per i cittadini del Kazakhstan, ma anche il con-
tributo molto proficuo e a lungo termine per lo
Stato. Così nel corso dello svolgimento dell’espo-
sizione internazionale EXPO-2017 il Kazakhstan
sarà in grado di condividere un’esperienza unica
con il mondo – come diventare un paese con una
economia sana, un ambiente sano e persone sane.
Qual è il tema dell’evento, e qual è il budget?
L’utilizzo di energia ha sempre determinato e de-
terminerà l’evoluzione del genere umano. La mis-
sione dell’esposizione EXPO sul tema “Energia del
futuro” è richiamare l’attenzione della comunità
internazionale sul problema della conservazione
dell’energia, sulla disponibilità e sul costo dell’e-
nergia, sull’impatto del loro utilizzo sull’ambiente,
sulla sicurezza energetica e sull’accesso a un ap-
provvigionamento energetico affidabile per tutti.
Il progetto “Energia del futuro” si basa sull’ideolo-
gia dello sviluppo sostenibile, che si intende come
un processo volto a soddisfare le esigenze econo-
miche e sociali, mantenendo la diversità culturale
e la purezza ambientale.
Lo sviluppo delle energie alternative, indissolubil-
mente legato sia allo sviluppo delle industrie con-
nesse – l’estrazione e la profonda trasformazione
di terre rare e di metalli rari, la costruzione mecca-
nica di precisione e la strumentazione, l’ingegne-
ria energetica, l’industria elettronica, l’industria
chimica, le biotecnologie, le fonti non tradizionali
della costruzione automobilistica, sia alla scienza
fondamentale e applicata, e all’istruzione.
Non c’è dubbio che dopo lo svolgimento dell’e-
sposizione queste imprese di compartecipazione
diventeranno un nucleo scientifico e continue-
ranno ad esistere e svilupparsi. Tutte le conqui-
ste saranno utilizzate nella costruzione e nella
progettazione di quartieri in tutte le città del
Kazakhstan.
Per quanto riguarda il budget, dopo il completa-
mento dei progetti relativi al complesso dell’espo-
sizione, allo studio di fattibilità e alla documen-
tazione progettuale (compreso il valore stimato),
verrà svolta la valutazione dell’impatto economi-
co complessivo dell’Expo. Saranno eseguiti anche
i calcoli del costo dell’intera esposizione.
Quali impianti saranno costruiti per ospitare i milioni di visitatori che verranno?
Nell’autunno dell’anno 2013 è stato approvato il
disegno architettonico del complesso espositivo
EXPO-2017. Il vincitore del concorso è lo studio
di architettura AdrianSmith + GordonGillArchi-
tecture.
Ricordiamo che l’area complessiva della struttura
proposta è di 173,4 ettari di cui 25 ettari corri-
spondono al centro espositivo, e sul territorio di
148 ettari, saranno collocati i progetti di edilizia
abitativa, strutture sociali e culturali, dell’istru-
zione e della sanità, centri commerciali, parchi
e viali. La superficie approssimativa dei padi-
glioni è 118.620 metri quadri, delle aree di ser-
vizio 95.400 metri quadri, nonché abitazioni per
586.465 metri quadri. La costruzione della città
di EXPO è prevista nella zona Yesil, nel quadrato
delle vie e dei viali Kabanbai Batyr, Khussein ben
Talal, Orynbor, e Ryskulov.
Ora la documentazione preprogettuale e pro-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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gettuale è in fase di completamento. Il 24 aprile
il Capo dello Stato Nursultan Nazarbayev ha pre-
so visione del piano di lavoro per la costruzione
del complesso espositivo “Astana EXPO-2017”, e
ha posto anche la capsula, dando l’inizio ai lavori
di costruzione.
Nel complesso è prevista la costruzione di 4000
appartamenti, un albergo nuovo, il Palazzo dei
Congressi, così come la “città coperta”, con la
lunghezza di 500 metri. Nell’area coperta verrà
collocato il complesso dei punti vendita e dei di-
vertimenti. Il padiglione principale sarà realizzato
in forma di una sfera con diametro di 80 metri e
un ‘altezza di 100 metri, dove saranno situati i pa-
diglioni internazionali. Inoltre, verrà fatto un viale
con tutti gli oggetti necessari. In generale, nella
costruzione del complesso sarà occupato un nu-
mero di costruttori molto elevato, piccole e medie
imprese potranno creare un numero significativo
di posti di lavoro. Però l’obiettivo principale è di
attirare alla costruzione gli imprenditori kazaki.
I principali lavori di costruzione sono previsti per
il periodo dal maggio 2014 al dicembre 2016.
Nell’area espositiva verrà collocato il Padiglione
Nazionale del Kazakhstan, i padiglioni interna-
zionali, aziendali e tematici, punti vendita e di
divertimento. Nella zona fuori dall’esposizione è
prevista la costruzione di un centro congressi, di
un centro stampa, della città coperta, di edilizia
abitativa e degli alberghi.
Il progetto AdrianSmith + GordonGillArchitectu-
re è più accettabile sia dal punto di vista dello
sviluppo sostenibile, dell’aspetto architettonico e
artistico, sia dal punto di vista del suo ulterio-
re utilizzo, dopo lo svolgimento dell’esposizione
EXPO-2017.
Il vantaggio del progetto è che tutti gli ogget-
ti, dopo la mostra, potranno essere trasformati,
smontati o convertiti, cioè non sarà necessaria
la demolizione degli edifici. In generale, il piano
complessivo e gli edifici sono stati progettati uti-
lizzando il design che segua principi ambientali,
economici e socialmente sostenibili. Il volto ar-
chitettonico espressivo di oggetti EXPO-2017 è
unico e porta enormi vantaggi per il Kazakhstan,
ma soprattutto il progetto costituisce un’eredità
per il nostro Paese e per tutto il mondo.
La maggior parte dell’energia che sarà consumata
dai visitatori dell’Expo, secondo quanto progetta-
to dagli architetti, deriverà da fonti rinnovabili. E
tutti gli edifici sono centrali elettriche che utiliz-
zano l’energia solare ed eolica.
Quasi tutte le strutture realizzate per la Mostra
specializzata EXPO-2017 ad Astana, rimarranno
dopo la Mostra. Tutti i padiglioni, lo sviluppo cul-
turale e residenziale, e gli edifici associati saranno
edificati considerandone il riutilizzo nel periodo
dopo la Mostra.
EXPO-2017 ad Astana è un progetto di importan-
za nazionale che resterà come patrimonio anche
dopo la Mostra.
Dopo il 2017 l’area espositiva diventerà un mo-
dello per un nuovo stile di vita ad Astana: una
zona dinamica in cui la vita continua anche di
notte, dove ci saranno complessi di appartamenti,
centri di ricerca, infrastrutture commerciali, non-
ché strutture culturali.
Dopo il risultato dello svolgimento della Mostra
e la strategia di successo dell’uso del complesso
nel periodo successivo, nonché grazie alle atti-
vità propositive per rafforzare l’immagine della
capitale, Astana sarà certamente considerata una
moderna metropoli in rapida crescita. Il comples-
so, dopo la Mostra, ospiterà i centri della ricerca e
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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istruzione, i centri di cultura e arte, gli edifici per
uffici, le abitazioni, le necessarie infrastrutture di
accompagnamento ed aree pubbliche.
Si prevede che il complesso, dopo la Mostra, ab-
bia un impatto positivo sull’economia di Astana
e dell’intero Paese, grazie all’attrazione esercitata
sui turisti in termini di investimenti stranieri e lo-
cali da parte di grandi aziende e multinazionali.
Che tipo di sviluppo si aspetta in futuro, in termini di turismo, accordi commerciali e so-cietà miste industriali?
Il Kazakhstan conta che fino all’85 per cento dei
visitatori della Mostra ad Astana, sarà costituito
da kazaki. Così oggi prende piena velocità piena
il lavoro sulla promozione del marchio “EXPO”
nel nostro Paese. L’obiettivo principale è quello
di portare il riconoscimento del brand “EXPO” al
livello della Coppa del Mondo FIFA e delle Olim-
piadi.
Perché proprio l’85 per cento della popolazione
locale visita la mostra? Questa cifra non è casua-
le. Per la preparazione del fascicolo di registra-
zione sono state condotte le indagini ad Almaty,
Astana, Karaganda, Pavlodar e in altre città. Nei
questionari i cittadini hanno risposto a domande
su ciò che sanno riguardo alla Mostra, se hanno
intenzione di visitarla, come pensano di arrivarci:
in auto, in treno o in aereo. Tale indagine det-
tagliata ci ha permesso di garantire pienamente
che per il popolo del Kazakhstan sarà interessante
vivere l’atmosfera di una Mostra così unica. Allo
stesso tempo, si tengono in considerazione i dati
statistici relativi a mostre precedenti nei diversi
Paesi. In base di questa statistica si evidenzia il
fatto che fino al 97 per cento dei visitatori era
costituito solo dai residenti dei Paesi ospitanti la
Mostra mondiale EXPO. Guardando alla storia, si
scopre che i turisti stranieri rappresentano solo il
3-8 per cento dei visitatori. Grazie alla politica del
Presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbayev,
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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il nostro Paese ha ottenuto ampio riconoscimen-
to internazionale, ed è per questo che abbiamo
fissato la staffa, fino ad ipotizzare il 15 per cento
di partecipanti stranieri.
Lo svolgimento dell’EXPO-2017, darà, senza dub-
bio, un nuovo impulso allo sviluppo delle piccole
e medie imprese di Astana. Cominciamo con il
fatto che oggi la città, grazie anche agli sforzi di
piccole e medie imprese, si sta sviluppando come
un centro polifunzionale, comodo per i residenti,
attraente per le imprese e divertente per gli ospi-
ti. L’EXPO-2017 trasformerà Astana in un centro
d ‘importanza mondiale, com’è successo con la
maggior parte delle città, in cui si sono svolte le
Mostre EXPO.
Ad Astana si svilupperà il settore dei servizi. Grazie
alla mostra si svilupperà anche il settore dei servizi:
taxi, hotel, negozi, ristoranti, servizi, guide, inter-
preti; l’industria pubblicitaria, per non parlare poi
del settore delle costruzioni. E, naturalmente, per
lo sviluppo delle PMI avrà un grande contributo il
tema della mostra e l’economia “verde”.
Il fatto che la mostra EXPO-2017 si svolgerà ad
Astana indubbiamente porta persone da tutto
il mondo a desiderare di visitare questa città. Il
lavoro per attrarre i turisti stranieri e gli ospiti
inizierà a metà 2014, quando l’Agenzia Interna-
zionale delle Mostre avrà approvato il dossier di
registrazione del Kazakhstan, così il Paese riceve-
rà il riconoscimento presso le fiere di livello inter-
nazionale. Da quel momento in poi potremo pro-
cedere ad una campagna di informazione attiva
all’estero, così come ad invitare i Paesi a parteci-
pare alla Mostra. L’impulso a questo lavoro deve
venire da tutte le agenzie statali che realizzano
sul piano pratico questo progetto nazionale. Così,
in collaborazione con il Comitato del Turismo del
Ministero dell’industria e delle nuove tecnologie
della Repubblica del Kazakhstan, sono in elabo-
razione i pacchetti turistici, come per i turisti
stranieri, così pure per quelli del Kazakhstan, che
siano soprattutto in linea con la revisione delle
procedure per i visti degli altri Paesi.
In Kazakhstan sono stati delineati cinque cluster
turistici. La Mostra Expo è inclusa nel cluster di
Astana, che comprende anche la zona di Boro-
voye, la città Astana, Korgalzhyn, Karkaralinsk.
Qui abbiamo qualcosa per sorprendere gli ospiti:
prima di tutto, ci sono le risorse naturali, uniche,
del Kazakhstan. Oggi per gli organizzatori della
mostra, ci sono due problemi da risolvere: in pri-
mo luogo c’è il livello di servizi che è necessario
aumentare, in secondo luogo c’è la consistenza,
che permetterà agli ospiti, oltre che di visitare la
Mostra, anche di conoscere meglio il Kazakhstan.
Sono in fase di elaborazione diversi tipi di pac-
chetti turistici. Tutto questo è necessario a ga-
rantire lo sviluppo dell’industria del turismo nel
Paese, che l’economia riceva una nuova fonte di
reddito, e che gli ospiti desiderino tornare ancora
in Kazakhstan.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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olte volte il patrimonio artistico diventa
argomento per cercare radici comuni,
un modo per riconoscere e unire nella
diversità. Succede al Kazakhstan del Terzo Millen-
nio, una grande regione, multietnica, giovane e
ricca di risorse, che ha trovato un suo equilibrio,
sostanzialmente condiviso, dopo lo sbandamento
dovuto alla caduta del blocco sovietico.
Le esperienze nelle arti, soprattutto in quelle rap-
presentative (da distinguere fra architettura e le
altre manifestazioni figurative), sono il prodotto
di una ricerca coraggiosa, propositiva e in crescita
costante.
Da Baikonur di ieri, Astana di domani
The 20th Century, la scultura di Erkin Mergenov
che occupa lo spazio centrale dell’atrio del Ka-
steev Museum di Almaty e che viene presentata
al pubblico italiano nel volume Da Baikonur alle
Stelle: il Grande Gioco spaziale, descrive allego-
di Paolo Zammatteo
Arte rigenerata. Luci dirette sul panorama kazako
In Kazakhstan le esperienze nelle arti sono il prodotto di una ricerca coraggiosa, propositiva e in crescita costante
MD. Nassyrova, Woman, 2012
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
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ricamente l’epilogo di una lunga parentesi nella
storia kazaka contrassegnata dalla competizione
per la conquista dello Spazio. Mergenov evocava
un passato recente, un misto di Neorealismo e di
Belle Epoque regionale, di cultura accademica e
drammaturgica di alto spessore, che successiva-
mente sono passate a far parte del patrimonio
artistico più attuale nel panorama pittorico e pla-
stico del Kazakhstan, con esiti apprezzati a scala
internazionale. A venticinque anni dall’epilogo di
quelle vicende, il loro insegnamento ha però un
esito straordinario e inatteso: la nuova capitale
del Kazakhstan, Astana. Città modernissima, em-
blema del Rinascimento kazako, le cui intenzioni
sono quelle di corrispondere adeguatamente alla
rappresentazione di sé di una società giovane e
multietnica, raccolta idealmente tutta sotto il suo
tetto, e di essere davvero la capitale di uno stato
che si prefigge di entrare nella cerchia delle tren-
ta economie più potenti del Pianeta entro il 2050.
Risorta dall’immaginazione dell’epopea spaziale
di stampo sovietico come una Fenice tecnologica,
Astana è una iperbole, frutto della visione del pre-
sidente Nazarbayev. Una visione tanto marcata,
che è diventata il soggetto del film “Il cielo della
mia infanzia”. Dove c’è un’ammissione di eterna
adolescenza, che è poi l’essenza del sogno. E un
sogno ha bisogno di simboli, soprattutto quando
si chiede di fermarsi, stavolta volontariamente, a
una popolazione dalle tradizioni nomadi come
quella delle Steppe. In mancanza di Storia la nuo-
va capitale si affida al mito, attingendo tanto dal
repertorio classico che da quello più recente, la
conquista dello Spazio. E qui entrano in gioco le
geometrie implicite, un Grande Gioco fatto di ci-
tazioni, non banali, e stimoli percettivi legati alla
memoria, tanto fiabesca quanto recente.
Astana si ispira alla rivoluzione neolitica, il cui og-
getto di riferimento è il sole: in Asia centrale ven-
ne portato da Samruk. È l’uovo d’oro sull’albero
che Norman Foster ha usato come emblema della
fondazione della città. Anche la piramide con i
L’accesso al Palazzo Presidenziale Il masterplan dell’Expo 2017
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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tre stadi della conoscenza (il teatro del mondo, il
tavolo, la cuspide) allude all’avvento della cultura
stanziale e al desiderio di comprendere. La società
neolitica si ferma per permettere alla Terra, che
diventa definitivamente sacra, di generare. Smet-
te di predare e si dedica a favorire la nascita e la
rinascita delle messi. È una rinascita che diventa
anche quella dell’uomo: se si ferma, ha più tem-
po, può riflettere, pensare e rigenerarsi spiritual-
mente.
Nazarbayev ha semplicemente riaffermato per
Astana ciò che Victor Hugo fece per Parigi e che
ormai è diventato patrimonio culturale condivi-
so: una verità epica su una capitale che la rende
più attraente. Non ha voluto che Astana fosse
apolide, una Las Vegas, ma ne ha cercato il valore
etico attingendo alle radici culturali mesopota-
miche e mediterranee, unendo simboli e citazioni.
Nel film, le pietre con cui il piccolo Sultan gioca
alle costruzioni sono la metafora di quei simboli:
il risultato è già la città ideale.
La simbologia del sole è l’immagine dello Spa-
zio Celeste, la stessa dei templi di Amon, del
Pantheon, dell’Anastasis, il Santo Sepolcro
costantiniano del IV secolo. L’orientamento
di Astana è quello delle colonie greche, delle
città etrusche o dei municipia romani. L’albero
di Samruk è lo stesso della fede coranica, dei
frattali di Mandelbrot, e può diventare la co-
lonna di fondazione di Costantinopoli. Le torri
dorate sono ancora quelle templari dei sume-
ri, le “montagne di dio”. Tende gigantesche e
piramidi di vetro rievocano i monumenti irre-
alizzabili di étienne-Louis Boullée, che nel di-
segno del Cenotafio di Newton ha consegnato
l’immagine più nitida della cultura illuminista,
la scoperta di un nuovo ordine. Un grande mo-
dello universale, che è stato ripreso, non a caso,
nel masterplan per l’Expo 2017. Che a sua volta
è denso di riferimenti alle nuove frontiere della
ricerca: dal passato al futuro, dal microcosmo
all’Infinito.
Lo Sport Palace L’Albero di Samruk al centro di Astana
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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Il Kazakhstan: in arte è donna
Più complesso e profondo è il rapporto del Ka-
zakhstan con le arti figurative (pittura, scultura,
grafica, ecc.). Per comprenderne l’attualità in
Kazakhstan è necessario consultare una pubbli-
cazione, Eurasianism througth the prism of the
Fine Art of Kazakhstan (2010) di Gulmira Shala-
baeva, docente di Scienze filosofiche, che rievoca
l’identità nomadica centroasiatica. La pubblica-
zione sancisce il compimento di una evoluzione
artistica di cui si possono distinguere le tendenze
e le fasi negli ultimi trent’anni, cioè da quando la
produzione artistica ha recuperato un carattere
nazionale:
1. La Pre-Perestroika (1980-1985). Nell’inerzia
dominante del realismo sociale ci sono alcuni ar-
tisti le cui opere non rientrano nel conformismo
dell’arte ufficiale.
2. La Perestroika (1985-1990). In quegli anni ven-
gono stabiliti Centri delle Arti e i primi gruppi che
realizzano mostre e simposi internazionali. La di-
namica della vita culturale permette di rimarcare
questo periodo come l’età d’oro dell’arte nella
periferia sovietica.
3. La fase dell’indipendenza post-coloniale
(1990-2000). Negli anni Novanta l’arte attra-
versa una fase di smarrimento, riconoscibile nel
conservatorismo del sistema dell’istruzione e in
stereotipi obsoleti che pesano sulla percezione
delle nuove espressioni artistiche. Ci si concen-
tra principalmente sull’organizzazione di simposi
internazionali.
4. La fase di stabilizzazione e ripresa (dal 2000 a
oggi). Si assiste all’avvio della riforma scolastica
nella formazione artistica e alla comparsa di una
nuova generazione di artisti che si adoperano
Donatello, David, bronzo, 1440
J. Currin, Laughin Nude, olio su tela, 1998
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Speciale Kazakhstan
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nelle forme più attuali dell’arte e organizzano la
partecipazione a grandi eventi artistici per il dia-
logo culturale tra Oriente e Occidente.
Il risultato più evidente è la diffusione della ri-
cerca sulla cultura etno-nomadica. L’idea forte è
la proiezione identitaria su un piano non ideo-
logico e il ruolo centrale è delle donne. Akzhan
Abdalieva elabora la rappresentazione della don-
na in forma di icone che grazie all’uso raffinato
degli sfondi sono ponderate tra Bisanzio e i Fau-
ves; Dilka Nassyrova interiorizza l’allegoria della
malinconia calata dentro un mondo fantastico;
Almagul Menlibayeva spazia verso la Visual Art
e il linguaggio filmico per evocare la ritualità
gestuale e simbolica che appartiene alle donne
centroasiatiche.
Nata all’interno del blocco sovietico negli anni
Trenta del Novecento, l’arte contemporanea ha
sviluppato una vena indipendente, proponendo
riferimenti alla Russia zarista, all’Europa occi-
dentale del secolo XVI-XIX, all’arte islamica. Oggi,
dopo l’ultimo e definitivo collasso della memoria
del Novecento (1989) gli artisti kazaki restano fi-
gurativi e sono alla ricerca di contenuti interiori
e autobiografici. L’intenzione non è mai élitaria,
descrittiva, storicistica o ideologica: si radica
nell’antropologia delle Steppe, nell’equilibrio del
nomadismo.
Riflessi d’Occidente
È da notare come l’Italia venga ancora osservata
come il fulcro della cultura latina, bella e rassicu-
rante anche oltre i suoi stessi confini.
La più grande struttura per esposizioni è il mu-
seo di Almaty intitolato a Abylkhan Kasteev, nato
nel 1976 dalla collezione della galleria di Stato
Shevchenco, che a sua volta risale al 1935, e da
altri contributi, non ultimo quello dell’Ermitage di
San Pietroburgo. L’edificio attinge dal Neoplasti-
cismo socialdemocratico di De Stijl e di Theo van
Doesburg, di Walter Gropius, dell’epopea brande-
burghese del Bauhaus. Lo spazio interno è sud-
diviso per piani netti. Il concetto di superficie si
estende anche ai soffitti, trattati con tassellature
elementari su cui talvolta emergono geometrie
pitagoriche, come cerchi o triangoli. Il rimando
immediato è alla ponderazione greca e alla sezio-
ne aurea, quello più profondo alle simmetrie della
lezione decorativa islamica.
All’ingresso il lucernario a piramide isoscele allude
al Cielo, quasi fosse una cupola pagana innalzata
dal Modernismo. All’interno ricorda la Cappella di
Mark Rothko a Houston. Con Houston attraverso
il cosmodromo di Baikonur il Kazakhstan condivi-
de la corsa allo Spazio, ma è il senso di spiritualità
quello che pervade il luogo e tutta la produzione
artistica kazaka degli ultimi trent’anni almeno.
The 20th Century di E. Mergenov allude con iro-
nia alle spedizioni nello spazio: l’opera, in allumi-
nio, sta al Novecento come il David di Donatello
al Quattrocento italiano, realistica e dissacrante
al contempo. Poco più in là The Horseman di N.
Dalbayev ritrova il gusto descrittivo del fram-
mento che fu di un altro illustre italiano, Andrea
Mantegna, ma riprende anche certi elementi
della scultura arcaica ellenica, come il Cavaliere
Rampin, la nota figura equestre ateniese risalente
al VI secolo a. C..
Abylkhan Kasteev, il primo grande pittore kazako
di formazione accademica studiò a Mosca: i suoi
paesaggi ricuperano la pittura italiana del XV se-
colo, luminosa e determinata nella scoperta della
prospettiva albertiana. Le connessioni ideali alla
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produzione masaccesca, belliniana, mantegnesca
- ovvero puramente descrittiva - sono facili. Ne
deriva una evoluzione indipendente rispetto al
blocco sovietico tra gli anni ‘30 del Novecento e il
1980, che si concentra su un positivismo descrit-
tivo. All’epoca dell’indipendenza c’è un tenore
diverso rispetto alla crisi che anima il resto degli
Stati di ambito ex URRS.
Essere culturalmente nomadi significa letteral-
mente essere naturali. Non c’è alcun legame al
bene materiale, al caos della società post-indu-
striale. Gli artisti kazaki che operano all’estero
assegnano molto spazio al mito delle radici. Qui
si segna nuovamente il più totale trionfo della vi-
sione sciamanica al femminile. E mentre Akhzan
Abdalieva rievoca l’arte della Russia zarista ela-
borando il soggetto della Vergine di Fedorov in
chiave moderna, compaiono le prime esperienze
al di fuori dei crismi accademici, ad esempio nella
Visual Art e nell’impiego di installazioni museali
minimaliste.
Sopra: V. Rakhmanov, Khojaly, bronzo, 1989A destra: E. Mergenov, The 20th Century, alluminio, 1985-’88
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Al Kasteev Museum lo sguardo rivolto all’Italia
non si limita al Rinascimento. Tra le opere del
museo Kasteev ce n’è una di Arturo Ricci, pittore
fiorentino vissuto a cavallo fra Otto e Novecento,
Giocare a scacchi, ambientazione barocca in cui
spicca un sontuoso tappeto ottomano. Il rimando
è al mondo di relazioni esistite nel Mediterraneo
fin dall’affermazione di Venezia. Sono simmetrie
politiche e simmetrie geometriche, intrecciate
come i tappeti esposti nella sezione dedicata alle
arti applicate.
Spiritualità e Neoumanesimo prorompono dall’o-
pera Khojaly di V. Rakhmanov, dove la figura
androgina in bronzo è dematerializzata nel ri-
cordo della tragedia del primo villaggio distrut-
to dall’intolleranza civile nel Nagorno Karabakh:
la possiamo accostare idealmente a Guernica di
Picasso o a Costruzione molle con fave bollite:
presagio di guerra civile di Salvador Dalì.
L’arte attuale
Il Novecento è stato molto breve. Dal canto suo
il Kazakhstan lo ha vissuto dentro un flusso inin-
terrotto di cambiamenti sociali. All’avvento bol-
scevico ha fatto seguito la scalata di Stalin e con
Stalin sono arrivati artisti giudicati pericolosi e
messi al confino. Senza saperlo, la macchina so-
vietica ha portato i semi dell’arte occidentale. Ne
è scaturito un panorama artistico rinnovato ed
ampiamente condiviso, eminentemente figurati-
vo e che può essere considerato un remake regio-
nale della Belle époque.
Rappresentative di quel mondo sono state Gul-
fairus Ismailova e Aisha Galimbayeva, entrambe
attrici, la prima nel teatro musicale, la seconda
cinematografica, e pittrici. Molti sono i tratti co-
muni alle due donne, non solo la loro versatilità.
Oltre ad essere le prime pittrici del panorama ka-
zako, ne hanno incarnato lo spirito diventando-
ne riferimenti indiscussi fin dagli anni Settanta.
Le loro visioni hanno il carattere della sacralità
che a Occidente era stata a fondamento di Arts
& Crafts oltre un secolo prima. I loro paesaggi
rivelano la bellezza inspiegabile della natura e
una grande fiducia nella legge suprema dell’U-
niverso: entrambe cercano di catturare il prin-
cipio della conoscenza infinita e dichiarano la
supremazia dello spirito umano sul mondo. Con
il trittico Peace del 1975 Aisha Galimbayeva asse-
gna decisamente il primato alla sfera femminile.
Tra le opere di Gulfarius Ismailova ricordiamo La
danza kazaka. Ritratto di Shari Zhandarbekova
nella parte di Aktokty, Ritratto di Kulyash Bai-
seitova nella parte di Kyz-Zhibek, le scenografie
per il film Kyz-Zhibek. La sintesi delle arti nelle
opere destinate al teatro della Ismailova è den-
sa di emozioni sublimi. Mantenendo richiami ai
maestri della pittura russa, la sua cifra non è più
solo accompagnare visivamente l’azione ma an-
che aiutare a esprimere la musica, i suoi temi e
le sue figure, coniugando le tecniche pittoriche
con quelle plastiche proprie dei tableaux vivants
(Ванслов В., Изобразительное искусство и музыка. Л., 1983).
In piena Perestroika è stato Erkin Mergenov a
descrivere l’epilogo di quell’epoca. Tecnicamente
è iperrealista, ammicca all’eredità di Duane Han-
son e dei suoi celebri turisti americani; ma allude
all’Art Decò con l’impiego della stibnite a pig-
mentare le porzioni scoperte del corpo e duetta
corrosivamente con l’ambiguità. L’atteggiamento
del suo eroe, che si stira su una sedia, è uno sfor-
zo immane degno del Laocoonte, di un Prigione
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michelangiolesco, del titanismo spirituale del-
la Maddalena, oppure un gesto annoiato? È un
chiasmo, tanto ponderato come nella scultura at-
tica del V secolo a. C. (vedi il Poseidone di Atene),
quanto leggero come una poesia postmoderna.
Il Kazakhstan è distante dallo straniamento che
avvolge l’Occidente, dalla ricerca affannosa di un
senso per l’arte attraverso nuovi alfabeti e incro-
ci con le discipline scientifiche. Va giustamente
messa in risalto la prospettiva attuale, molto
più aderente alla “verità in pittura” che non al-
tre visioni. Tornando al tema della donna forte,
basta confrontare Laughin Nude di John Currin
del 1998, Cold Woman di Marlene Dumas, A Big
Family di Zhang Xiaoyan del 1995 e le anime tra-
scendenti di Natalia Viktorova (Berik Barisbekov,
Kazakhstan Contemporary Art, Central Asia Pro-
duction, Almaty 2011, p. 18).
Va ricordato che le civiltà individualiste sono tutte
stanziali, al punto che esse lottano strenuamente
contro il nomadismo: basta citare i miti di Caino e
Abele o di Romolo e Remo. Lo stanziale vive nella
paura, pur essendo un benestante rispetto al no-
made, che invece vuole sentirsi libero di agire e di
muoversi dove e come vuole. L’attività lavorativa
che svolge deve dargli soddisfazione, il gusto della
vita. Il nomadismo, per millenni, è stato la rego-
la principale del vivere civile. Le ricerche dell’arte
kazaka attuale sono perciò particolarmente sti-
molanti. Idealmente si rivolgono ad un desiderio
di adolescenza perenne, che per gli artisti è certa-
mente la condizione antropologica migliore.
Accanto compaiono le prerogative della civiltà
neonomade.
«Il nomade, estremamente mobile nello spazio
poiché si sposta senza sosta, avrà per rifugio una
tenda circolare perpetuamente smontata e ri-
In ordine dall’alto:A. Kasteev, Turksib, olio su tela, 1929G. Bellini, Orazione nell’Orto, olio su tavola, 1465-70G. Ismailova, Bozzetti per il film Kyz-Zhibek, tecnica mista, 1956
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montata. Poiché vive così, lontano dal Suolo, e
dunque più vicino al Cielo, le sue arti saranno
composte di elementi che si succedono nel tem-
po: danza, poesia, eccetera e, poiché durante la
notte deve vegliare il suo gregge, osserva il cie-
lo notturno e scopre la luna, le costellazioni e lo
zodiaco: il suo calendario non sarà solare come
quello del sedentario, ma lunare. Per le stesse ra-
gioni, avrà tendenza al politeismo, distinguendo
tanti dèi quante stelle vede nel cielo. Per lui che si
sposta, l’indice principale sarà il punto fisso della
stella Polare, il nord, contrariamente a quanto fa
il sedentario che individua il sole a mezzogior-
no, nel sud, per regolare il suo gnomone. L’uomo
pensa, e cerca sempre di registrare i propri pen-
sieri allo scopo di conservarli e di trasmetterli; da
questo sorge l’invenzione della scrittura. Orbene,
esistono due modi di scrivere, e ciascuno appar-
tiene, è evidente, allo stile sedentario o nomade.
Il sedentario includerà nella sua scrittura tutti gli
elementi allo stesso tempo (coesistenza), creando
così il pittogramma, l’ideogramma, il geroglifico;
mentre il nomade scriverà in successione, inven-
tando gli alfabeti» (Jacques Lavier, Medicina ci-
nese, Garzanti).
Le radici nomadi spiegano, ad esempio, le opere di
Mulat Mekebaev, che attingono all’eredità del ma-
estro kazako dell’Avanguardia Erbolat Tolepbaev: i
Trittici (“Mezzogiorno, notte, giorno”, 2001 – “Mat-
tino, notte, giorno”, 2006) e “L’amore della luna e
della notte”, 2007 (Bulat Mezebaev. Schnittstellen/
Interface. Bilder/Painting 2000-2009, s.n., s.l., s.e.).
Risulta perciò perfettamente condivisibile l’analisi
di Gulmira Shalabaeva, quando nel 2009 introduce
un catalogo dell’artista.
«Come le Grandi Steppe, l’Europa è aperta da
sempre alle altre culture, alle nuove tenden-
ze, agli influssi intellettuali e al dialogo. Al suo
interno le culture nazionali hanno espresso la
capacità di assorbire e assimilare vari elementi
dalle altre. Storicamente quella kazaka è stata
costituita dalla coesistenza e dalla capacità di
sintesi. Segnata dalla saggezza della Steppa, ha
assorbito caratteri persiani, arabi, nomadi, turchi
e slavi, e ha conseguito una maturità che si ca-
ratterizza nella Weltanschaung di un profondo
internazionalismo. La saggezza della steppa sta-
bilisce che non ci si può rinchiudere nell’indivi-
dualismo: l’uomo appartiene all’Universo e come
tale ha uno spirito trascendente” (G. Shalabaeva,
Der Neonomade Bulat Mekebaev, in Bulat Meke-
baev. Schnittstellen/Interface. Bilder/Painting
2000-2009, s.n., s.l., s.e., p. 11).
La Donna delle Steppe, la sua natura e la modernità dell’arte
L’oggetto d’arte può essere valutato dalla somma
fra l’abilità artigianale applicata e la capacità di
trovare corrispondenza con un bisogno simboli-
co. In passato il rapporto era totalmente rivolto
all’esecuzione, la rappresentazione del bisogno
simbolico veniva delegata alla capacità delle bot-
teghe di inventare e sviluppare modelli, e questo
valeva tanto per dare forma a caratteri collettivi
che nel caso di poteri personali. Quell’equilibrio
è cambiato negli ultimi duecento anni. Molto è
dipeso dalla destrutturazione delle società tradi-
zionali quando si presentarono i mutamenti della
rivoluzione industriale.
I popoli stanziali si trovarono impreparati. Ciò
fece nascere l’esigenza di un bagaglio d’immagini,
puntualmente ripartito tra futurismi, paranoie e
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
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100
correnti neoclassiche, che supplisse alla percezio-
ne dello sradicamento, del caos, del relativismo.
Ma qualcuno non è stato travolto. Sono i popoli
delle steppe. Forti di una formazione accademica
di prim’ordine, le loro comunità artistiche hanno
ora una propositività formidabile.
In questa prospettiva le donne sono oggi un’a-
vanguardia di genere, permettendo una intrigan-
te lettura sulla, mobilissima, visione femminile
dell’arte.
Ogni lettura della sfera artistica femminile è
complessa. La produzione stessa delle donne non
è priva di contraddizioni. Sono i casi in cui, anche
quando si recupera il carattere autentico della
phoemina come espressione di forza vitalistica
e generatrice autore-
ferenziale, essa non è
protagonista ma sem-
plice metafora, la sua
immagine viene usata
in modo est-etico per
alludere ad altro. In
questo caso è, peraltro legittimamente, la proie-
zione dell’intelligenza umana nell’altro da sé.
Anche così però il gesto assume carattere rituale,
di sacralità, e si riflette dentro la natura. Con que-
sto antefatto tanto i mondi di fiaba che le figu-
re grottesche scaturite dalle creatività femminili
fanno un effetto del tutto naturale, ma allo stes-
so tempo rendono tutto ciò che è realistico asso-
lutamente innaturale. Perché il linguaggio della
natura non è artefatto, punta all’immediatezza,
crea estraniamento, anche l’astrazione risponde
a regole rare e precise. Le donne possiedono la
freschezza della natura: è una capacità che non
risponde a categorie maschili, ma che è fatta di
equilibrio compositivo, ricchezze cromatiche e/o
atmosfere intense. Che è ciclica e immutabile,
come il tempo della natura. Soprattutto, la loro
è una visione forte che non è mai aggressiva. Chi
riceve un dono, la vita, e lo elabora sapendo di
poterla dare “in sé” a sua volta, è consapevole
di non appartenere solo a se stesso. Una donna
sa di essere parte dei disegni dell’Universo e nel
percorso creativo propone la stessa situazione,
divenendone protagonista.
Nel percorso artistico “al femminile” gli incon-
tri sono vitali; incontri con persone, situazioni,
drammi, flash di felicità o di dolore: dietro si cela-
no sensazioni, che ne sono frutto e danno il sen-
so stesso all’identità femminile, all’appartenenza
alla metà del genere umano.
La forza sta nel saper
essere vere anche nel-
le piccole cose. È un
valore riconosciuto,
tanto che tale dime-
stichezza si vede sia
nella scrittura che
nella narrazione di saggiste, scrittrici, poetesse e
attrici.
Allo stesso modo, pur con mezzi diversi, le arti
figurative interpretate dalle donne recano im-
presso uno stile che è sempre introspezione. Dove
della cultura, affidata tanto a Occidente che
dall’Impero Sovietico alle categorie della ragione,
viene snudata la fragilità in nome del vero: un
vero che emerge dalla concatenazione di relazio-
ni e input di “varia umanità”. Rispetto ad essi la
donna interprete si pone come nodo congiuntu-
rale, network, e li rielabora assumendo quasi un
carattere sacro, sacerdotale.
È un aspetto motivazionale che si va a proporre
con forza proprio là dove ogni forma di religio-
La sfera artistica femminile è complessa,
perché le donne possiedono la freschezza della natura
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
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sità e di legame nazionale è stata custodita nel
silenzio fino al dissolvimento dell’Unione Sovieti-
ca, che per tutt’altro verso aveva incoraggiato la
partecipazione femminile ai movimenti artistici.
Una volontà di questo genere, schiettamente an-
tropologica e che ritiene gli elementi fondamen-
tali del proprio immaginario, non riesce a dare
forma compiuta al cambiamento, se la tradizione
che la sostiene non è fortissima. Uno dei suoi mo-
tivi caratterizzanti non è la trasparenza all’inter-
no, che è ideologica, ma l’interiorizzazione dell’e-
sterno, che è sempre in divenire. La categoria del
simbolico è svuotata di ogni senso e sostituita
dal caleidoscopico: ciò che viene rappresentato
diventa il verosimile, fatto di spazi, colori e sug-
gestioni (spesso frammentarie o calligrafiche, con
scritture vere o d’invenzione) ma sempre sospeso
nel tempo.
Si può parlare di una essenza fantastica femmi-
nile. Come fantasia essa conduce le forme della
metamorfosi. Non ne distrugge i caratteri, ma
ne dissolve i contorni: e questo con l’arte lo si
può ottenere alleggerendo ogni forma della sua
gravità. Anche questa immagine del mondo è sol-
tanto una immagine; dissolverne la fissità equi-
vale a percepirne infinite altre sullo sfondo.
L’azione creativa è metafora del genius Artis che
ricalca il senso con cui è stato reso ideale dal
mondo greco. La creazione dell’uomo artificia-
le e la modifica delle capacità fisiche dell’uomo
naturale sono temi affrontati nella mitologia,
nelle scienze prima di Galileo, nella letteratura e
recentemente anche nella filmografia in relazione
ai desideri e alle speranze, soggettive e collettive,
dell’umanità.
In Kazakhstan la donna riveste un ruolo centra-
le e sciamanico. Spesso anche nella letteratura e
nelle espressioni figurative più recenti la trovia-
mo rappresentata davanti alla nascita.
Nella dimensione simbolica tradizionale la don-
na dà vita mentre l’uomo si limita a guardare il
mistero della procreazione rivestendo la donna di
Z. Xiaoyan, A Big Family, olio su tela, 1995B. Mekebaev, Silenzio notturno, olio su tela, 2003
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sacralità. La procreazione è un mistero, ma anche
lo specchio psichico della dualità: come il rappor-
to padre-figlio, dominante-dominato, maestro-
allievo. Neanche la modernità, verticistica e fallo-
cratica, può incidere su questa condizione.
Rispetto al mutamento il problema si complica.
Nel Novecento il mito è ancora l’uomo-macchina
e si assiste al nuovo orizzonte del trans-umano e
del post-umano.
Ma sono vari i riferimenti antichi in cui sia l’uomo
che la donna cercano più o meno inconsciamente
una perfezione divina immaginata, forse sperata,
che entrambi non hanno.
È un universo rappresentativo in cui si perpetua
un moto ciclico, circolare, dei riferimenti. Parte
dalla femmina sacra per tornarvi in forma ine-
dita, più profonda e suggestiva. Vi si ritrova la
figura classica di Pigmalione, lo scultore che rap-
presentò in effige la sua donna ideale, Galatea,
alla quale gli dei diedero poi vita (Ovidio, Meta-
morfosi X, 243-297). Ma se la cultura classica (e
classicista) si rifugia nel figurativo come sinoni-
mo di simulacro, la modernità rivela subito una
dimensione estetica diversa. Mentre la ricerca
scientifica si occupa di forme di vita artificiale, o
almeno di intelligenza, di rigenerazione e sostitu-
zione di parti del corpo umano, al fondo rimane
la supremazia femminile nella Creazione.
Il femminino nell’arte kazaka è figurativo sì, ma
ideale, candidato, purificato secondo i crismi che
furono comuni anche a più antiche civiltà eura-
siatiche. Per gli Egizi Bastet era la Dea della gioia
e del calore del Sole. Ma il soggetto, che emerge
alle sue spalle, è la Donna domina, la Dea Madre
tanto tellurica come la Terra (Gea) quanto iperu-
ranica come Freya: nella sintesi delle due visioni
diventa olimpica e distante come Hera, moglie e
sorella maggiore di Zeus, figlia di Rea, che a sua
volta era sorella e moglie di Crono (il Tempo) e
figlia di Gea.
È una deità imperturbabile, che si confronta es-
senzialmente con il tema della rappresentazione
G. Ismailova, La danza kazaka. Ritratto di Shari Zhandarbekova nella parte di Aktokty olio su tela, 1958
B. Mekebaev, La ragazza nella notte, olio su tela, 2008
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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antropometrica della Creazione come si trova ad
esempio nelle figure antitotemiche delle origini,
le cosiddette veneri preistoriche, la cui caratte-
ristica spesso è quella di presentare una effigie
isterica, un’ Origen du Monde ante litteram.
Richard de Clare nel 1169 riportava dall’Irlanda,
che era rimasta isolata da oltre un millennio, la
figura di Sheela na Gig, colei che si genera ed è
generatrice. Della divinità irlandese esistono varie
rappresentazioni ad ornamento di monumenti
religiosi. È la deità della Madonna nera del mondo
argotico, la Notre-Dame cui sono intitolate tutte
le cattedrali in quello stile; che è la mutazione
dalla categoria dell’umano al post-umano, la
traduzione concettuale della Creazione in chiave
estetica.
La Donna delle Steppe, l’universalismo di un modello regionale
La donna come soggetto dell’arte kazaka si collo-
ca a metà fra immagine (naturalistica) e simbolo
(antinaturalistico) ovvero fra una raffigurazione
individuale e una collettiva. Operando, libera-
mente, per categorie concettuali, si passa da un
pensiero fondato sull’analogia (l’immagine) ad
uno fondato sulla logica (la parola).
Rispetto all’approccio tecnico, l’atteggiamento
si diversifica per una maggiore immediatezza di
esecuzione e comunicazione, cosa che legittima
ad esempio l’uso della fotografia digitale o di una
prevalenza del disegno sul colore e sulla verosi-
miglianza dei soggetti pittorici.
Sarebbe interessante, quando possibile, cercare un
phylos costitutivo con le divinità degli agricoltori
neolitici, che divennero femminili perché l’agri-
coltura si fonda non sulla forza ma sulla fertilità:
ovvero, il cacciatore si procurava il cibo attraverso
la morte, l’agricoltore attraverso la nascita.
Elementi coessenziali ad una ricerca di questo
genere riguardano l’analisi più ampia dei cambia-
menti intervenuti nelle società centroasiatiche:
gli insediamenti stabili;
il concetto di nazione, come connubio di etnia e
di territorio di appartenenza;
la differenziazione delle classi sociali.
Come si è già espresso precedentemente, si modi-
fica anche la religione.
L’arte è femmina, in quanto attributo inaliena-
bile del dio artefice. Quella nomade delle Steppe
centroasiatiche è stata tradotta nelle forme più
attuali della mondializzazione.
Paolo Zammatteo Architetto e critico d’arte
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
104
alvolta il patrimonio artistico diven-ta patrimonio per cercare le radici comuni, un modo per riconoscere
ed unire nelle diversità. Lei è un critico attento: queste fonti hanno una valenza storica o pos-sono essere solo strumentali e tautologiche?
Né strumentali né tautologiche: il fondamento è
dimostrato nella lunga articolazione della storia
dell’arte, soprattutto nella sua organizzazione
storiografica novecentesca che accentua la com-
ponente geografica, territoriale, locale e quindi
presuppone una storia ed una geografia dell’arte,
non soltanto una storia dell’arte.
La storia dell’arte – per come l’abbiamo imparata e
per come è stata codificata – è esattamente come
la lingua italiana, per la quale fu stabilito, nel ‘500,
che dovesse essere una lingua sana e colta: dun-
que, la lingua di Petrarca e Boccaccio – che sono
diventate la lingua scritta, tant’è vero che Manzoni
deve “risciacquare i panni in Arno”, perché scrive
a cura di Roberta di Casimirro e Paolo Zammatteo
Sgarbi: Astana, capitale del Rinascimento asiatico
T
Ascolta il podcast con l’intervista a Vittoro SgarbiAttiva il tuo lettore di Qr Code su smartphone
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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
105
una lingua che presenta dei solecismi lombardi, ma
che però – in realtà – sono una specificità. E così la
pittura italiana è stata per molto tempo identifica-
ta con la pittura dell’avanguardia Toscana e quindi
con quella di Cimabue, Giotto, Lorenzetti, Masac-
cio, Simone Martini, Piero della Francesca, Miche-
langelo: tutto il filone dei grandi artisti che noi
abbiamo consacrato è toscano. In seguito, verso la
metà del ‘900, il pittore più gettonato e più ammi-
rato diventa Caravaggio, il quale è nato a Milano:
si contravviene, quindi, alla linea toscana e anche
in arte contemporanea il pittore più riconosciuto è
un bolognese: Morandi. Bologna e Milano, ovvero
due città padane, hanno lo spazio più ampio del
‘900 rispetto alla storiografia precedente.
Si comprende quindi che la storiografia ha rico-
minciato a considerare la storia dell’arte per aree
geografiche: quella padana, ferrarese, parmigia-
na, piemontese e via dicendo con una caratte-
rizzazione che è sempre più puntuale e distinta
rispetto ad una lingua universale che sarebbe
quella toscana. Quindi quella toscana è una lin-
gua convenzionale ma i caratteri distintivi sono
tutti locali ed hanno i loro artisti legati ai territori
con caratteristiche che sono specifiche e distinte.
Quindi anche il paesaggio influenza l’arte?
Certamente.
Ritiene che i popoli di tradizione nomade – come per lungo tempo gli euroasiatici delle steppe – usino l’arte figurativa come stru-mento per essere riconosciuti nella storia?
Non lo so, ma direi di no. Altrimenti ne avremo
memoria.
Oggi la capitale Astana è l’emblema del nuo-vo Kazakhstan: la nuova capitale ha qualche affinità ideale con le città del Risorgimento italiano?
No, non del Risorgimento, ma del Rinascimento
italiano: il Risorgimento è un fatto regionale, di
definizione statuale-politica sul piano simbolico-
rappresentativo. Ma l’Italia c’era già prima del
Risorgimento, basti pensare ad un Leonardo o ad
un Michelangelo: l’arte aveva identificato un’i-
dentità italiana ben prima del Risorgimento.
Quindi, una città nuova che sorge con una grande
ambizione, con architetture di architetti che hanno
desideri e ambizioni molto riconoscibili si può, al
di là delle singole risultanze, mettere in relazione
con il nostro Rinascimento cioè con Brunelleschi,
Leon Battisti Alberti, Bramante, Palladio, quindi
con i grandi artisti che hanno improntato l’arte
moderna. Infatti, i modelli italiani sono talmente
importanti ed esemplari che, ad esempio, la Casa
Bianca è ispirata a modelli di Palladio e Bramante:
evidentemente c’è un carattere universale di alcuni
fenomeni dell’architettura italiana e questo con-
sente un accostamento all’architettura nuova di
una città altrettanto nuova, come Astana.
L’arte e la cultura materiale sono davvero in grado di unire tradizione e modernità?
Direi di sì: la Tradizione è una visione del mon-
do, è una mentalità, è uno spirito; tecnologia e
modernità sono strumenti; quindi uno è uno spi-
rito l’altro è uno strumento. Uno strumento può
essere utile allo spirito, infatti, un nomade può
andare a cavallo oppure in jet, dal momento che
la natura nomadica non è legata ad un mezzo di
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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trasporto: la tecnica è al servizio della Tradizione
e della visione.
Secondo lei quali sono le frontiere dell’archi-tettura?
L’architettura è l’arte più difficile e anche quella
più pericolosa, perché cambia la forma del mondo
e quindi stabilisce una diversità rispetto a quel-
lo che noi abbiamo davanti agli occhi: una città
nuova – infatti – è un nuovo mondo, mentre una
foresta o il mare sono sempre gli stessi.
La presenza dell’uomo e della sua visione si spec-
chiano nell’architettura con dei rischi: se la visione
è povera e speculativa, vediamo gli orrori fatti in
Italia negli ultimi 50 anni; se, invece, la visione è
più alta, vediamo quello che è stato fatto durante
il fascismo, con la costruzione di città nuove in cui
ci sia una forte volontà di rappresentare il potere.
Dopo l’intervento a sostegno del patrimonio culturale a L’Aquila, il Kazakhstan cosa può insegnare a chi si occupa di beni culturali?
Essendo un paese ricco, dovrebbe legare questa
ricchezza a qualcosa di così utile sul piano della
scienza e della conoscenza, in modo da diventa-
re un paese di riferimento. Se, per esempio, delle
specialità mediche o di ricerca scientifica vengono
potenziate e sviluppate in Kazakhstan, allora si do-
vrà andare lì per trovare quella che si chiama “ec-
cellenza”. Cioè qualcosa che lì trova una maggiore
rappresentazione ed esaltazione che non altrove.
Si è ipotizzato di portare un Caravaggio in mostra ad Astana. Quale valenza potrebbe avere nell’interscambio culturale ed artistico
tra Italia e Kazakhstan?
La richiesta mi è sembrata intelligente e preve-
dibile. Caravaggio, infatti, è cresciuto in modo
esponenziale rispetto ad altri artisti italiani: pro-
babilmente oggi è più amato e conosciuto persi-
no di Michelangelo.
È una conoscenza dinamica ed una bellezza che
è agganciata al nostro tempo, e quindi la scelta
di quella probabilmente è un automatismo ma è
comunque interessante che venga richiesto un
Caravaggio e non un Michelangelo.
Quindi, l’idea che ci sia in lui una straordinaria
modernità di visione, e che questo sia percepito
anche da chi non lo conosce, è una prova in più
per la grandezza di Caravaggio ed anche per il
nesso che si può stabilire con una civiltà nuova:
Ma qual è il messaggio di Caravaggio che potrebbe essere più accattivante per il Ka-zakhstan?
Caravaggio non ha un messaggio. Caravaggio in-
venta la fotografia. Fa le rappresentazioni più mo-
derne che si fossero mai fatte prima, e anche insu-
perate. Dopo quel punto di vista c’è solo il cinema,
ma la rappresentazione statica non può andare
oltre Caravaggio neanche con la fotografia.
Quindi vuol dire che nel 1600 era andato già
molto avanti. Questo lo rende particolarmente
consentaneo a chi intende il progresso come una
necessità e un avanzamento. Lui da questo punto
di vista è più avanti di qualunque fotografo.
Paolo ZammatteoArchitetto e critico d’arte Roberta Di CasimirroRegista di Radio RAI 1
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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quasi una ventitreenne la Repubblica
del Kazakhstan. Giovane e piena di
voglia di vivere. Di esserci, e di dire la
propria nel mondo. Con quell’energia di chi vuole
conquistarlo perché la gioventù, per chi ancora
l’attraversa, sembra immortalità; bellezza eterna;
energie mentali e fisiche infinite. E lei di bellezza
ne ha da “vendere”. Il suo corpo naturale, che si
estende su circa 2,7 milioni di chilometri quadrati
tra Russia, Mar Caspio e Cina, è tra i più ricchi e
affascinanti del pianeta. Selvaggio nei suoi spet-
tacolari boschi del nord; o come le montagne del
sud come il settemila “signore degli spiriti” Khan-
Tengri e “la montagna sanguinosa” color tramon-
to del Kantau. Spettacolare anche nelle immen-
se steppe che la vestono, o nei gioielli di cui si
adorna fatti di tulipani e mele che, da qui, si sono
diffusi in tutto il mondo. Ed è anche seducente
questa giovane Repubblica. E lo sa bene. Anche
che il Vecchio continente la guarda con occhi di-
versi. Di desiderio che si posa su quel “ventre” che
di Renato Sartini
Con il vessillo della scienza.Così il Kazakhstan va incontro al futuro
è
Intervista all’Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica del Kazakhstan nella Repubblica Italiana, Andrian Yelemessov
“I venerabili scienziati kazakistani sono in gran parte giovani: nel campo della ricerca la quota di 35enni è del 38%, mentre quelli al di sotto dei 45 anni costituiscono la maggioranza, cioè il 56%”
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
108
nasconde molti piaceri materiali, chiamati risorse
minerarie. Tra le quali più di ottanta sono ele-
menti della tavola periodica di Mendeleev come
l’uranio – di cui è leader mondiale –, lo zinco, il
tungsteno, il bario, l’argento, il piombo, il cromo, il
rame; e fluoriti, molibdeno e oro. Alcuni rientrano
anche nella classificazione delle terre rare, impor-
tanti per l’elevato valore che hanno per i settori
ad alto contenuto scientifico quali l’elettronica,
la tecnologia laser, gli impianti di comunicazione
e le attrezzature medicali. Ma dal sottosuolo di
questa terra si estrae
anche tantissimo pe-
trolio e gas. Kashagan
è un gigantesco giaci-
mento di greggio nel
Mar Caspio, ed è tra
i più grandi ritrovati
al mondo negli ultimi
decenni. E immenso è anche quello di gas di Ka-
rachaganak alla cui produzione partecipa anche
l’italiana Eni che, fin dal 1992, ad appena un anno
dalla conquista dell’indipendenza dall’ex URSS
della Repubblica presieduta da Nursultan Nazar-
bayev, è stata una delle prime aziende straniere a
lavorare nel Paese asiatico.
Ma in questo immenso territorio (è il nono Pa-
ese al mondo per estensione), anche la “tavola
mendeleeviana degli elementi umani” è ben rap-
presentata dai circa 130 gruppi etnici e dalle 40
confessioni presenti all’interno di una popolazio-
ne di circa 16 milioni di abitanti; lanciata verso
l’obiettivo ambizioso di diventare una comunità
a preponderanza di classe media dal reddito pro
capite di 60.000 dollari (entro il 2050). Un tra-
guardo non impossibile se si pensa all’importante
“dote” ricevuta dal Paese da madre natura, che
già oggi assicura un reddito pro capite pari a più
di 14.000 dollari. A conferma di questo potenziale
c’è anche l’evidenza di un tasso di crescita medio
tra i più alti al mondo, pari a quasi l’8% (secondo
soltanto a Cina e Qatar). Nel 2011, per esempio, il
PIL era al 7% mentre, dopo la flessione del 2012,
è risalito verso il 6% nel 2013 con previsioni per
il 2014 del 7% e oltre. Con questi numeri si può
aspirare a tutto. Soprattutto quando a questi dati
si affianca la volontà del Governo di andare in-
contro al futuro investendo fino ad almeno il 3%
del PIL in istruzione e
ricerca scientifica, che
rappresentano la vera
moneta di scambio sul
mercato della concor-
renza mondiale. Ma
per entrare a pieno
titolo e rispetto nella
Comunità scientifica internazionale tutti que-
sti investimenti rappresentano una condizione
necessaria ma non sufficiente. Perché a ventitré
anni la Repubblica kazaka, ormai nell’età del-
la “laurea”, non verrà giudicata soltanto sulla
struttura dell’impianto economico, ma anche su
quello della democrazia (reale). Che, in una Paese
che vuole svilupparsi secondo l’economia della
conoscenza, non può che essere fondato sull’u-
guaglianza dei diritti.
In attesa del raggiungimento di un’identità de-
mocratica meglio definita, le iniziative a favore
della ricerca scientifica in un Paese così giovane
rappresentano una ghiotta occasione per seguire
e misurare gli effetti della scienza sullo svilup-
po di un territorio. Questa intervista nasce pro-
prio tenendo conto di questa prospettiva. La sua
genesi, però, sta tutta nell’incontro tenutosi il
“la politica ‘scientifica’ kazaka diven-ta materia di studio, e il territorio un
possibile ‘laboratorio’ in cui osservare e misurare la correlazione tra investi-mento in ricerca scientifica e sviluppo
economico e sociale”
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
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109
dieci aprile scorso a Roma dal titolo “C’è spazio
per il futuro - Geopolitica dello spazio e nuove
frontiere”, nel corso del quale è stato presentato
il libro “Da Baikonur alle stelle - Il grande gioco
spaziale”. Pubblicato dal think tank di geopolitica
“Il Nodo di Gordio” in collaborazione col “Centro
Studi Vox Populi”, con il patrocinio dell’Agenzia
Spaziale Italiana e del Consiglio Nazionale delle
Ricerche, la monografia promuove la conoscenza
sul tema dell’esplorazione del cielo raccontan-
do del Cosmodromo della città kazaka; luogo di
scienza sconosciuto ai più, ma che ha segnato
la storia della conquista dello spazio non meno
della più nota base di lancio statunitense Cape
Canaveral. E già questa narrazione mi aveva di
per sé affascinato, visto che è dalle steppe di
questa terra che l’Uomo ha iniziato la sua avven-
tura di conquista dello spazio con “il lancio dello
Sputnik dal Cosmodromo di Baikonur nell’odier-
no Kazakistan;” - come si legge tra le pagine -
“e anche a spedire e sacrificare nello spazio un
essere vivente, la cagnetta Laika: a inviarvi un
cosmonauta, il ventisettenne Yuri Gagarin, che il
12 aprile del 1961 girò per due volte intorno alla
Terra a bordo della navicella Vostok; a manda-
re nello spazio una donna, Valentina Tereskova,
nel 1963”. Ma il vero spunto per l’intervista non
è stato soltanto il libro, ma un piccolo opusco-
lo informativo pubblicato a gennaio dall’Amba-
sciata della Repubblica del Kazakhstan in Italia,
i cui contenuti sono risultati molto interessanti
per chi come me si occupa di scienza: “La Via del
Kazakhstan-2050: un obiettivo comune, interessi
comuni, un comune futuro – Messaggio al popo-
lo del Kazakhstan del Presidente della Repubbli-
ca-Leader della Nazione Nursultan Nazarbayev”.
Nelle pagine si legge che è proprio la scienza una
delle basi su cui costruire il futuro del Paese; e
che lo sviluppo del Kazahkstan sarà basato sul
triangolo scienza-educazione-innovazione. Ma si
legge anche che, affinché ciò avvenga, la “crea-
zione di nuovi settori ad alta tecnologia dell’eco-
L’Ambasciatore del Kazakhstan Yelemessov in una visita in Italia nel 2013
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
110
nomia richiede la crescita del finanziamento alla
ricerca fino ad un livello non inferiore al 3% del
PIL. […] Creare un’economia ad alto contenuto
scientifico significa in primo luogo incrementare
il potenziale della scienza kazakhstana. In questa
direzione è opportuno perfezionare la legislazio-
ne dei capital venture, la tutela della proprietà
intellettuale, il sostegno alla ricerca e all’innova-
zione, ma anche alla commercializzazione delle
scoperte scientifiche. […] È indispensabile un
piano di incremento graduale del finanziamento
della scienza per concreti lavori e scoperte utili al
Paese al fine di elevarlo al livello degli indici dei
Paesi più sviluppati”. Ciò che traspare dall’inchio-
stro impresso sulle trentuno pagine del messag-
gio al suo popolo del Presidente è che il futuro si
deve giocare su un’economia ad alto contenuto
scientifico. Per questo la politica “scientifica” ka-
zaka diventa materia di studio, e il territorio un
possibile “laboratorio” in cui osservare e misurare
la correlazione tra investimento in ricerca scien-
tifica e sviluppo economico e sociale.
In “La Via del Kazakhstan - 2050” il Presi-dente Nursultan Nazarbayev individua nella ricerca scientifica la stella polare da seguire per ottenere una rapida crescita intellettuale e materiale del Paese. Quali sono le iniziative intraprese a favore dello sviluppo scientifico?
In linea con la visione del nostro Presidente, in
questi ultimi anni, con l’obiettivo di ottenere
prodotti competitivi, garantire la sicurezza eco-
nomica nazionale e, quindi, la crescita del po-
tenziale industriale e scientifico del Kazakhstan,
abbiamo puntato allo sviluppo di tutto ciò che
è high tech, sia in campo produttivo che nel
settore dell’Information and Communications
Technology (ICT).
La scienza è diventata un riferimento primario
per noi tanto che negli ultimi 10 anni il Paese
ha raggiunto grandi risultati grazie agli investi-
menti in ricerca. In ambito agricolo, per esem-
pio, le tecnologie satellitari di telerilevamento
e osservazione terrestre ci aiutano a fare pre-
visioni sul rendimento delle colture di grano; e
ci consentono di realizzare e aggiornare modelli
cartografici digitali territoriali per una gestio-
ne razionale dei pascoli. Riuscendo, con questi
strumenti innovativi, a fare una valutazione
scientifica della fertilità del suolo. Abbiamo,
inoltre, studiato e testato sul campo 193 varietà
di colture agricole, e selezionate 14 nuove razze
di animali d’allevamento.
In ambito strettamente industriale cosa ave-te realizzato? In “La Via” si legge che state puntando alla valorizzazione della proprietà intellettuale e all’innovazione come strumen-ti di competitività.
A oggi ci sono stati riconosciuti e registrati 877
brevetti, tra cui la tecnologia per la produzione
di acido nicotinico necessario sia in campo me-
dico che per l’agricoltura. In ambito industriale,
inoltre, è stata predisposta la documentazione
tecnica, progettuale e di ingegneria per la realiz-
zazione di 36 industrie ad alta tecnologia in di-
versi settori dell’economia. Gli studi comprendo-
no anche l’ammodernamento e l’espansione delle
industrie chimiche e petrolchimiche, e soluzioni
che favoriscono la nascita di piccole e medie im-
prese specializzate nella lavorazione di petrolio,
gas e carbone. Dei combustibili fossili abbiamo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
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realizzato anche una serie di mappe geologiche e
documentazioni economiche previsionali che ri-
velano ottime prospettive di sviluppo produttivo.
Dal punto di vista delle politiche a favore del-la scienza che cosa avete realizzato? In ambi-to formativo, qual è la vision e quali sono i progetti principali?
L’infrastruttura di ricerca scientifica del Ka-
zakhstan è stata modernizzata attraverso una
serie di azioni tra cui l’approvazione della legge
sulla scienza e la costituzione di un comitato per
la scienza all’interno del ministero che si occupa
della pubblica istru-
zione. Da un punto di
vista strettamente fi-
nanziario è stato cre-
ato anche un fondo
speciale per la scienza,
e un modello che lega
il rapporto tra scienza e business, che aggiornia-
mo spesso. Dal punto di vista delle strutture, è
stato realizzato un centro nazionale per l’informa-
zione scientifica e tecnica, un centro nazionale per
le biotecnologie e quello per l’astrofisica. Un’at-
tenzione particolare è stata posta alla formazione
dei professionisti di domani: dal 1993 è attivo il
programma Bolashak, che significa Futuro, con il
quale, a spese dello Stato, si sono laureati nelle mi-
gliori università del mondo più di 7500 studenti
kazakistani che, rientrati, lavorano oggi per il bene
del nostro Paese.
Quante sono le Università e scuole di spe-cializzazione e perfezionamento? Quanti gli iscritti?
Attualmente in Kazakhstan ci sono 139 Istituti
di grado superiore paragonabili a quelli che per
voi sono, per esempio, i licei o gli istituti tecnici.
Hanno 599.000 iscritti pari a 377 studenti ogni
diecimila abitanti. Un numero elevato se si pensa
che in Giappone sono 222 e in Germania 258. Le
figure professionali più ricercate e in linea con le
priorità della politica generale del nostro Paese
sono quelle legate allo sviluppo delle tecnologie
innovative del settore industriale e dell’econo-
mia. Come quella dell’ingegnere, specializzato nei
settori dell’ICT, delle nano e biotecnologie, o del
personale formato per lavorare nel settore del-
la medicina, dell’ecologia, dell’industria chimica,
dei trasporti e della
logistica. Attualmente
in Kazakhstan il 57%
delle Università sono
attive nell’ambito del-
la ricerca impegnando
circa 18.000 giovani.
Solo negli ultimi 2 anni e mezzo i ragazzi che
hanno iniziato a lavorare per la scienza sono circa
3.000.
Un eccellente esempio di università impegnata
nella ricerca scientifica in Kazakhstan è la Nazar-
bayev University. È un’università di livello mon-
diale, creata su iniziativa del Presidente con l’o-
biettivo di integrare istruzione, scienza e produ-
zione creando un ambiente accademico efficace
e in grado di entrare a far parte della Comunità
scientifica mondiale. Le lezioni vengono tenute
da professori provenienti dalle principali Uni-
versità del mondo. Presso questo ateneo è stato
creato un centro sulle scienze della vita, per gli
studi energetici, la scuola di business e di politi-
ca dello Stato. Stiamo lavorando anche all’avvio
“Oggi la leadership non la possiedono i paesi che hanno più idrocarburi, ma
coloro che possiedono le tecnologie innovative”
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
112
della scuola di medicina e di estrazione mineraria.
Nell’ambito della ricerca, nella Nazarbayev sono
in corso più di 100 progetti scientifici, e sono stati
registrati diversi brevetti. Nel prossimo futuro è
in programma la realizzazione di una piattaforma
industriale ad alta tecnologia in cui far coesiste-
re centri di ricerca e di produzione nell’ambito
dell’energia solare e delle tecnologie spaziali.
Che ruolo ha per il Kazakhstan la coopera-zione scientifica internazionale? Ci sono an-che progetti di ricerca scientifica che portate avanti congiuntamente con l’Italia?
Per quanto riguarda la cooperazione, partecipiamo
attivamente a progetti di ricerca internazionali su
larga scala. Nel 2010 il Kazakhstan è diventato il
47esimo paese membro del “Processo di Bologna”,
un programma di riforma dell’istruzione superio-
re a carattere internazionale. Grazie anche a esso
i nostri giovani possono studiare in 35 paesi del
mondo. La loro formazione all’estero viene svolta
attraverso scambi didattici, borse di studio mes-
se a disposizione dai governi dei paesi stranieri
e dalle organizzazioni internazionali, da privati o
attraverso la borsa Bolashak. In Kazakhstan ci sono
anche molte Università internazionali congiunte:
l’Università tecnica Kazako-Britannica; l’Università
Kazako-Turca di Yassawi; l’Università kazako-tede-
sca; l’Università libera Kazako-Americana; l’Univer-
sità Kazako-Russa.
Molto efficace si è rivelata la cooperazione nel
quadro del programma transfrontaliero TACIS e in
quello Tempus dell’Unione Europea, diretti a sta-
bilire legami accademici tra le università del Ka-
zakhstan e dei Paesi europei. Per esempio, nel qua-
dro del programma Tempus una serie di università
kazake collaborano con quelle italiane: la KIMEP
University con l’Università di Ferrara nel campo
del diritto tributario; la Al-Farabi Kazakh National
University in più ambiti con le Università di Firen-
ze, Pisa e Bologna. Altro importante accordo con
l’Italia è stato firmato tra l’Università di Bologna
e la Kazakh Economic Univesity in tema di busi-
ness internazionale. Nell’ambito dei programmi di
formazione congiunti in materia “di creazione e di
sviluppo delle tecnologie innovative nelle piccole e
medie imprese nei paesi con le economie in tran-
sizione” è previsto anche il rilascio di un diploma
di master riconosciuto sia dalla Repubblica del Ka-
zakhstan che da quella italiana.
Tra gli altri importanti accordi c’è anche quello
tra l’Università di Trieste e l’Istituto Politecnico
della Karaganda State University che prevede lo
scambio di studenti e docenti tra i due atenei,
nonché lo svolgimento di progetti comuni in ma-
teria di risparmio energetico e nuove tecnologie.
Attualmente sono in corso di valutazione nuovi
accordi di collaborazione con l’Università di Peru-
gia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università
di Teramo e l’Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”.
Risulta chiaro dal vostro programma politico e dalle sue parole che il Paese ha scelto di affrontare il futuro investendo nella società della conoscenza.
Nella strategia di “La Via del Kazakhstan – 2050”
grande attenzione viene prestata alle questio-
ni della formazione e all’economia intellettuale.
Come dimostrano le tendenze mondiali, al fine
di garantire la crescita dei settori economici ad
alta competitività è necessario prestare partico-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
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113
lare attenzione alla formazione di personale al-
tamente qualificato, alla disponibilità di capitale
di rischio e all’attivazione di iniziative volte allo
sviluppo di una cultura dell’innovazione. Tutto
questo consentirà al Kazakhstan entro il 2050
di diventare un Paese a preponderanza di classe
media, con un indice del PIL pro capite che, in
previsione, potrà passare dai circa 14.000 dollari
US attuali a circa 60.000. Ben oltre, quindi, il tas-
so dei paesi più sviluppati.
Per raggiungere il vostro obiettivo di Paese costruito sull’economia della conoscenza, vi siete posti come primo step il raggiungimen-to del 2% di PIL di investimento in ricerca scientifica. Con l’obiettivo dichiarato di rag-giungere al più presto il 3%, considerato dal vostro Presidente il minimo necessario per essere al passo con i Paesi più sviluppati. At-tualmente, quali sono i fondi che avete mes-so a disposizione della scienza?
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
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In termini di numeri assoluti i finanziamenti per
la ricerca aumentano di anno in anno. Se nel
biennio 2010-2011 dai fondi pubblici venivano
assegnati per lo sviluppo della scienza circa 20
miliardi di tenge, pari a circa 100 milioni di euro,
nell’anno 2012 questa cifra è salita a 50 miliardi
di tenge, pari a 250 milioni di euro. È stata, cioè,
più che raddoppiata. Nell’anno 2013, invece, sono
stati stanziati circa 52 miliardi di tenge. Queste
risorse vengono distribuite sulla base di un nuovo
modello di gestione della scienza e nuovi mecca-
nismi di tipo competitivo gestiti dal Centro na-
zionale di valutazione scientifica e tecnica, e da
cinque commissioni scientifiche. Grazie a questo
sistema, nella Repubblica attualmente possono
operare ben 345 organizzazioni scientifiche. Ma
la cosa più importante è che i “venerabili scien-
ziati” kazakistani sono in gran parte giovani: nel
campo della ricerca la quota di 35enni è del 38%,
mentre quelli al di sotto dei 45 anni costituiscono
la maggioranza, cioè il 56%.
Parte della vostra storia scientifica è legata all’ex URSS. Soprattutto per ciò che riguarda la ricerca spaziale. Che ruolo ha lo Spazio, e quindi il Cosmodromo di Baikonur, nello svi-luppo del Paese?
Oggi Baikonur è considerata una delle più impor-
tanti basi di lancio del mondo. Il suo potenziale
economico e scientifico è per noi molto impor-
tante, tanto che il Governo ha stanziato 48 mi-
liardi di tenge per la realizzazione del programma
spaziale 2013-2015. Il “cammino” del Kazakhstan
verso lo spazio è motivato anche dalla potenzia-
lità delle ricadute dell’innovazione tecnologica
sulla crescita socio-economica. Come ha detto
il Presidente Nursultan Nazarbayev, “Oggi la lea-
dership non la possiedono i paesi che hanno più
idrocarburi, ma coloro che possiedono le tecno-
logie innovative”. Proprio per questo la cosmo-
nautica del Kazakhstan si è posta due obiettivi
fondamentali. Il primo è quello di servire alla co-
munità, contribuendo all’aumento del benessere
del popolo. Questo, in particolare, attraverso la
creazione di un sistema di telecomunicazioni sa-
tellitari kazakhstane e di un sistema completo di
TV satellitare e radio. Ma anche realizzando un
sistema di telerilevamento, di navigazione satelli-
tare e posizionamento capaci di soddisfare le esi-
genze di sviluppo regionale. Il secondo obiettivo è
quello di stimolare la scienza e la tecnologia così
da sostenere lo sviluppo economico. Ciò significa
utilizzare il progresso scientifico e tecnologico
nel settore delle attività spaziali come una forza
trainante per promuovere le innovazioni inclusi-
ve nei settori riguardanti la tecnologia dell’infor-
mazione, promuovendo anche la formazione e lo
sviluppo di nuovi settori industriali innovativi.
Il 28 aprile è stato lanciato un satellite ka-zako costruito da Finmeccanica. Con quali obiettivi? Quali sono i progetti di collabora-zione in ambito spaziale con l’Italia?
Lo scorso mese dal Cosmodromo è stato lanciato
il terzo satellite geostazionario per la comuni-
cazione e radiodiffusione nazionale KazSat-3.
Questo satellite è destinato a soddisfare le
esigenze del mercato della radiodiffusione te-
levisiva, della comunicazione fissa, di Internet
e del sistema di trasmissione dei dati. L’Italia è
nostro partner in questo programma attraver-
so la società Thales Alenia Space, società del
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
115
gruppo Finmeccanica. Per noi si sono occupati
di eseguire i lavori di completamento delle par-
ti tecnologicamente più importanti, il “cuore”
del satellite. La parte kazaka è soddisfatta della
qualità del lavoro svolto dalla società italiana
che si è confermata essere un partner serio e
affidabile. Siamo speranzosi che nel futuro ci si-
ano ulteriori e proficue collaborazioni con l’Ita-
lia. Anche perché con il vostro Paese gli scambi
sono ottimi: il commercio bilaterale nel 2013
ammontava a circa 16,2 miliardi di dollari (ex-
port: 15,2 miliardi di dollari; import: 993 milioni
di dollari). Nel mese di gennaio 2014 questa ci-
fra ha già superato i 2 miliardi di dollari (export:
2 miliardi; import: 69 milioni). L’Italia si colloca
al terzo posto dopo Cina e Russia tra i Paesi che
sono nostri partner commerciali.
Il progetto “Via della Seta”, ricerca scientifica congiunta Cina-Italia che vede impegnati gli istituti IMAA-Cnr, IBAM-Cnr e l’asiatica CAS nello studio dell’antica Via attraverso l’uso dei satelliti, ha come scopo quello di includere il “tratto” nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO. In Kazakhstan le carovane commerciali pas-savano tra le steppe e nei pressi dell’odierna Kyzylorda, non molto distante da Baikonur: riterrebbe utile per il Kazakistan partecipare a questo importante progetto culturale, visti anche i possibili risvolti nell’ambito del turi-smo archeologico? Il Governo ha approvato un programma per il potenziamento del cor-ridoio di trasporto terrestre tra Cina ed Eu-ropa denominato “Kazakistan - La Nuova Via della Seta”: non ritiene che questo progetto potrebbe essere affiancato a quello di ricerca archeologica così da fare economie di scala?
La “Grande Via della Seta”, che ha più di 2000
anni di storia, non solo ha consolidato le rela-
zioni commerciali nel continente eurasiatico, ma
ha anche svolto un ruolo prezioso per l’integra-
zione delle culture di molti Paesi. L’anno scorso
il presidente della Repubblica popolare cinese Xi
Jinping ha pronunciato un discorso alla Nazar-
bayev University proponendo di costruire insieme
una zona economica della Via della Seta, basata
su un modello innovativo d’interazione pensato
per rafforzare ulteriormente i legami economici
tra i Paesi dell’Eurasia. È un progetto grandioso e
ambizioso: basti pensare che “La Nuova Via della
Seta” passa da Est a Ovest attraversando 18 Paesi
dell’Eurasia, la cui popolazione è di circa 3 mi-
liardi di persone, cioè circa la metà della popo-
lazione mondiale. La parte orientale della nuova
rotta include la comunità economica dell’area
Asia-Pacifico, e sul lato Ovest si collega con la
Comunità Economica Europea. Questo percorso è
considerato come il corridoio economico più lun-
go e potenzialmente più significativo nel mondo.
Di questa “Nuova Via”, quasi 3000 chilometri at-
traversano il Kazakhstan, e presentano centinaia
di testimonianze e monumenti storici di diverse
epoche. Questo rappresenta un’opportunità uni-
ca per il turismo archeologico che, insieme con
lo sviluppo dell’eco-turismo, rientra tra le priorità
del Kazakhstan. Per questo lo Stato assegna fondi
per la ricerca archeologica. In quest’ambito, ab-
biamo già un’esperienza positiva di cooperazione
con l’Italia attraverso la missione archeologica
iniziata nel 2001 e che continua tutt’oggi.
Tra il 21 e il 23 maggio prossimo si terrà il “VII Forum Economico di Astana”. Saranno presenti 7000 delegati di 150 Paesi, e ol-
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Speciale Kazakhstan
116
tre 50 capi di organizzazioni che operano nell’ambito della ricerca scientifica. Qual è l’importanza di questo appuntamento?
L’Astana Economic Forum (AEF) è una piattaforma
annuale di dialogo che ha come obiettivo quello
di discutere e risolvere problemi globali. Per la sua
importanza e portata non ha precedenti in tutta
l’Eurasia. Il principale organizzatore dell’AEF è la
Eurasian Economic Club of Scientists, un’associa-
zione creata nel 2008 su iniziativa del Presidente
Nazarbayev con lo scopo di raccogliere intorno
a un stesso tavolo i rappresentanti internazionali
della società civile, delle istituzioni e della ricerca.
I temi principali del Forum di quest’anno saran-
no: investimenti, innovazione, infrastrutture; gli
aspetti sociali e culturali della crescita economi-
ca; la globalizzazione ed i processi di integrazio-
ne; le grandi prospettive del complesso energeti-
co e molti altri ancora. La ricerca scientifica sarà
uno dei principali protagonisti degli incontri.
La NATO ha un programma di finanziamen-ti della ricerca scientifica e tecnologica. Ol-tre ai 28 Paesi aderenti, coinvolge anche 22 cosiddetti “Partner Countries”, tra cui il Ka-zakhstan: in quali progetti siete impegnati?
Il Kazakhstan e la NATO collaborano attivamen-
te nel settore della difesa e della sicurezza, della
protezione civile, della scienza e dell’ambiente. In
quest’ultimo ambito ha ricevuto sovvenzioni per
una ventina di progetti di cooperazione scienti-
fica in campo ecologico attraverso il programma
“Scienza per la pace e la sicurezza”. I progetti
includono lo studio dei rischi da radioattività in
Asia centrale, la gestione integrata delle risorse
idriche e lo sviluppo di nuove tecnologie per la
costruzione di edifici antisismici. Il contributo
della NATO alla soluzione dei problemi della re-
gione di Semipalatinsk, ad esempio, è pari a 400
mila dollari, e sono in gran parte impegnati per
il progetto “Indagine sulle condizioni di radioat-
tività nel sito del poligono nucleare di Semipa-
latinsk”.
Il Kazakhstan è coinvolto, inoltre, nel progetto “La
Via della Seta Virtuale”, che è indirizzato a mi-
gliorare l’accesso a Internet attraverso l’uso della
rete satellitare dei dipendenti di istituti di istruzio-
ne superiore e ricercatori dei Paesi del Caucaso e
dell’Asia centrale. Attualmente, un gran numero di
istituzioni presenti nella città di Almaty utilizzano
questa rete, ma sono in corso i lavori per espandere
la connettività nelle città di tutto il Paese.
Negli ultimi anni il Kazakhstan è salito alla ribalta internazionale grazie anche alle in-genti risorse di combustibile fossile scoperte nel suo sottosuolo. Come nel resto del mon-do, anche nel vostro Paese dovrete affrontare il problema del Global Warming. Quali misure state già adottando?
Il problema del riscaldamento globale sta diven-
tando sempre più rilevante a livello mondiale.
Fino ad ora le opinioni degli esperti si limita-
vano al fatto che le minacce per il Kazakhstan
consistevano soprattutto nella desertificazione
del territorio e nella crescente siccità. A questo
proposito, il Kazakhstan ha adottato una serie
d’iniziative e programmi per combattere il Clima-
te Change promuovendo il risparmio energetico,
un uso più parsimonioso delle risorse idriche e
l’adozione delle energie rinnovabili, compresa
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
117
l’energia eolica. Il nostro Paese, inoltre, con ini-
ziativa volontaria, si è già impegnato per ridurre
le emissioni di gas serra del 15% entro il 2020 e
del 25% entro il 2050. Stiamo anche sviluppando
e implementando tecnologie a basse emissioni di
carbonio: rappresentano un enorme potenziale
per il business in Kazakhstan, e attireranno molti
investimenti nel Paese.
Nell’ambito della protezione della natura vorrei
sottolineare l’importanza dell’iniziativa della città
di Astana chiamata “Il Ponte Verde”. Obiettivo del
progetto è quello di creare un centro internazio-
nale e una rete regionale di studio e trasferimen-
to di tecnologie green. Tutte le idee e nuove ap-
plicazioni che verranno prodotte saranno presen-
tante durante l’evento mondiale “ASTANA EXPO
– 2017”. Non a caso l’incontro avrà come slogan
“L’Energia del Futuro”: è stato pensato proprio
per attirare l’attenzione del pubblico sulle nuove
soluzioni e metodi per una gestione energetica
sostenibile. L’Expo potrà sicuramente svolgere un
ruolo importante nella lotta contro il riscalda-
mento globale.
In “La Via del Kazakhstan - 2050” Nazarbayev, in
conclusione, scrive: “Ho sentito spesso le persone
discutere sulla questione ‘Quale dovrebbe essere
l’idea nazionale del popolo del Kazakhstan?’. C’è
un’idea che ci indica la direzione per il futuro, che
consolida la nazione e porta alla realizzazione di
grandi ambizioni. È l’idea di “Manghilik Yel” – la
Terra Immortale”. Ma per consegnare all’immor-
talità il Paese non basterà soltanto nutrire l’“in-
telletto collettivo” di conoscenza. Per non incor-
rere nello stesso errore di quei Paesi della “vecchia
generazione” che ai propri figli hanno trasmesso
ambienti sfruttati per sempre e inquinati, la gio-
vane Repubblica dovrà porre molta attenzione
anche alla cura del proprio “corpo”. Fatto di step-
pe, montagne, e luoghi dalla natura magica e an-
cora incontaminata.
Renato SartiniScientific Journalistwww.renatosartini.itPresidente di Divulgo, Associazione per la Disseminazione di Scienze, Natura e Tecnologie
Guarda il servizio del TG sulla TV di stato del Kazakhstan in occasione della tavola rotonda “La Via del Kazakhstan 2050”Attiva il tuo lettore di Qr Code su smartphone
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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
118
or more than two decades Ka-
zakhstan’s elite has been dreaming
about the greater say in the inter-
national arena and voicing out its own vision
of the future of the Eurasian region. This vi-
sion covered a wide range of issues, from sta-
bilization of Afghanistan to the regional Free
Trade Arrangements (FTAs), from own position
on economic policies to a different approach
in dealing with the global financial crisis
(2008-2012). After trying different options to
enhance its soft-power, Kazakhstan’s policy
makers in Astana finally discovered the poten-
tials of e-power – the significance of modern
Information and Communication Technologies
(ICTs) and they have begun building their own
global communication platform – called G-
Global. But does this G-Global platform able
to deliver intended outcomes in the modern
very complex world?
di Rafis Abazov
The Geo-politics of Soft Power and E-power:The Case of Kazakhstan’s G-Global Platform
F
Per più di due decen-ni, l’élite kazaka ha sognato di possedere la principale voce in ambito internazio-nale per esprimere una propria visio-ne sul futuro della regione eurasiatica. La massima recente espessione è la piatta-forma G-Golbal. un network mediatico atto a produrre soft power
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G-Global: Building Soft Power
Kazakhstan introduced the G-Global as an “in-
tellectual network” in the format of “commu-
nication Internet platform“ in 2012. A leading
Kazakhstan’s think tank – the Eurasian Economic
Club of Scientists (EECS) envisioned it as a per-
manent platform of its annual Astana Economic
Forum (AEF) in order to express the views of Ka-
zakhstan and improve the “equality of the dia-
logue of the people of the world.”1 At the same
time it is a quite clear quest for the increasing
Kazakhstan’s soft power defined by Joseph Nye
of Harvard University (USA) as ability to attract
and co-opt rather than use force.2 It means to
use “diplomacy”, “strategic communication” and
other opportunities to attract support from and
influence the global public opinion.
G-Global has gradually become an important
international communication platform and op-
portunity to increase its international recognition
for the country of 16 million people and GDP of
about US$220 billion (2012, est. or slightly larger
of the budget of the city of Rome) – rich in re-
sources, but new in the regional and global af-
fairs. Since independence in 1991 Kazakhstan’s
leadership has been eager to establish itself as an
independent player in the regional and global poli-
tics. However, very quickly it discovered that be-
ing a mid-income developing country establishes
significant limits on hard power. Therefore, Astana
has been very keen to develop its soft power. This
also proved to be not an easy task as the estab-
lished global information and communication
infrastructure has its own structures, established
players and it is very tough to break through. In
1. For details see: www.group-global.org2. Nye, Joseph. Soft Power: the Means to Success in World Politics. Boston: Public Affairs, 2004.
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Speciale Kazakhstan
120
the end, it has become quite natural that Kazakh-
stan’s young and ambitious policy-makers and
diplomats turned to the merging power of ICT and
decided to explore the e-power. The G-Global has
been established to rely on two pillars.
One is a conceptualization of non-Alliance idea
to assert its independence and independent for-
eign policy, as Astana has shown persistency and
quite systematic non-Alliance approach in pro-
moting what President Nursultan Nazarbayev of
Kazakhstan called “Multi Vector Foreign Policy” –
the ability to maintain good relations with East
and West, the USA and the Russian Federation,
etc. 3 The country’s elite has been not alone in its
desire to develop an independent stage, as there
are many countries in the former Soviet Union
and in the Middle East and East Asia who don’t
want to be allied with the two emerging global
political blocks – east and west. Like many de-
cades ago, these leaders and intellectuals around
them would like to be independent – a kind of
reincarnation of the non-Alliance Movement,
which was an important part of the global bal-
ance of powers in the 1970s and 1980s. In ad-
dition, they want their voices to be heard at the
global level.
The second one is institutional – the G-Global
is intellectually supported and internationally
promoted by the Eurasian Economic Club of Sci-
entists (EECS).4 In turn the EECS also organizes
its regular flagship event – the Astana Economic
Forum (AEF), which is a gathering of leading re-
gional and international experts, intellectuals
and policy practitioners. It is dubbed as a Eurasian
mini-Davos for addressing global issues and try-
ing to offer possible solutions and policy recom-
mendations and expressing the views not only of
Kazakhstan, but also of its allies and like-minded
partners in the region.
For Kazakhstan the establishment of G-Global
Internet platform as a international communica-
tion tool for like-minded representatives of world
community is a tall order, as Kazakhstan still has
to strengthen its network of its think tanks to
provide intellectual support to the project and to
win the international recognition.
Latest Development: Building Regional Economic and Security Infrastructure
Kazakhstan’s policy-makers have been known in
the region for having quite innovative approach-
es in their diplomatic initiatives (from chair-
ing OSCE in 2010 to chairing OIC in 2011) and
building regional institutional infrastructure for
security and economic cooperation. The G-Global
has become one of the tools in development that
infrastructure based on the modern ICTs.5 The
G-Global platform (www.group-global.org) has
been organized as an open internet portal with
focus on addressing global and national issues.
Ina way it s quite similar to the web portal of the
World Economic Forum (http://www.weforum.
org/) as it is subdivided into sections,6 including
3. http://www.astanatimes.com/2013/09/22-years-of-balanced-foreign-policy-yield-success-lay-ground-for-future/4. For details see: http://eecsa.kz/ 5. For Kazakhstan’s government efforts in developing e-governance and e-dialogue see: Abazov, Rafis and Elmira Alim. ‘Observing the Global Financial Crisis from the Developing World: the Case of Kazakhstan.’ Asian Politics and Policy. Vol. 4, April 2012. Pp. 276-278.6. For skeptics of globalization and global dialogue platforms see: Bremmer, Ian. Every Nation for Itself: Winners and Losers in a G-Zero World. New York: Portfolio, 2012.
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Speciale Kazakhstan
121
news, reports on various issues and materials
prepared by experts (including international ex-
perts). The portal is open to all, but requires a reg-
istration in order to contribute or participate in
the discussions. Also it offers a huge opportunity
for blogging, which can be done both by invita-
tion and through contributions by all interested
parties. Most popular bloggers attract more than
2,000-3,000 followers. The G-Global portal itself
attracts several thousand visitors per day with
pick coming during the Astana Economic Forum
every year in late May.
Systematic approach in organizing the AEF and
promoting the G-Global platform at the interna-
tional arena gradually gave important fruit. First,
it provided a unique opportunity to Kazakhstan’s
integration into the global intellectual and policy
community around the world who are indeed
would like to search for a solution of global prob-
lems outside the box and outside the existing
clichés in world politics and. to gradually reform
existing world’s geopolitical structures. Second
the establishment of G-Global helped indeed
to achieve one of the objectives of the project
and Astana’s goal – to increase its voice in the
international affairs and to play a greater role
in solving regional and supra-regional conflicts
and problems. Third, it created a communicative
quite-neutral platform which can be also used by
great powers if there is a need for global dialogue
for discussions of new approaches and solutions
to old and new problems.
The biggest beneficiaries of this project are
young policy-makers and experts not only from
Kazakhstan but also from the Central Asian re-
gion, who received an opportunity to test their
ideas and views on the international stage and
who can exchange thoughts with world’s lead-
ing experts, especially in the field of economics,
global finance and public policy. In addition they
can communicate in person with world’s leaders
who frequently visit Astana on various occasions,
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Speciale Kazakhstan
122
including attending its flagship international
public event – the Astana Economic Forum.
Conclusion
Recent media studies suggest that the borders
between traditional and new media are diminish-
ing.7 This provides a huge opportunity for young
generation of policy makers and to all smaller
players in the international arena to voice out
their ideas and views and to reach out global au-
dience for support and encouragements.8
The G-Global platform continues to attract at-
tention and new followers especially among
young generation of intellectuals and policy
practitioners not only from Kazakhstan, but also
from other close- and far-away countries. At this
stage G-Global here to stay, but it needs a long
way to go in order to achieve a better recognition
and greater say in international affairs.
For example it should considerably revise the
whole idea of the G-Global project by consider-
ing it as a global startup and by using new cre-
ative and innovative approaches to attract young
and dynamic generation of policy activists. It has
also to establish a greater cooperation with vari-
ous think tanks around the world and it should
create an excitement around the platform, espe-
cially among one of its largest target audiences
– young followers.
Rafis AbazovVisiting professor Al Farabi University in Almaty (Kazakhstan) and Earth Institute of Columbia University (New York, US)
Selected Bibliography
Abazov, Rafis and Elmira Alim. ‘Observing the Global Fi-
nancial Crisis from the Developing World: the Case of Ka-
zakhstan.’ Asian Politics and Policy. Vol. 4, April 2012. Pp.
276-278.
Bennete, Peter, Alex Kendal and Julian McDougall. After
the Media: Culture and Identity in the 21st Century. Lon-
don: Routledge, 2011.
Bremmer, Ian. Every Nation for Itself: Winners and Losers
in a G-Zero World. New York: Portfolio, 2012.
Kirinitsianov, U. Menietsia mir, meniemsia mi [The world
Changes, we Change]. Almaty: KISI, 2013.
Nazarbayev, Nursultan. The Chronicle of a Global Dialogue:
Kazakhstan in the Context of Global Trends. Almaty: Rar-
ity, 2013.
Nye, Joseph. Soft Power: the Means to Success in World
Politics. Boston: Public Affairs, 2004.
7. Bennete, Peter, Alex Kendal and Julian McDougall. After the Media: Culture and Identity in the 21st century. London: Routledge, 2011. 8. See for example: Abazov, Rafis. Book Review: iPolitics: Citizens, Elections, and Governing in the New Media Era, by Richard L. Fox and Jennifer M. Ramos. Journalism & Mass Communication Quarterly, December 2013; vol. 90, 4: pp. 820-822.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
123
on questo articolo dedicato alla Com-
pound Warfare (CW) continua l’analisi
sulle teorie militari attualmente in
voga negli Stati Maggiori occidentali relative i
futuri scenari di guerra asimmetrica o comunque
non convenzionale. Teorie che attualmente, so-
prattutto nei think tank anglo-americani, gravi-
tano intorno al concetto di Hybrid Warfare1. Per-
tanto, dopo aver descritto il tramonto del concet-
to di Peacekeeping e il superamento di quello di
Postmodern Conflict affronteremo quello di CW.
Tuttavia, prima di addentrarci in questa analisi, è
doveroso fare alcune considerazioni di carattere
metodologico. Molte delle teorie polemologiche
e dei termini utilizzati in questo “studio a pun-
tate” sulla rivista Il Nodio di Gordio, non fanno
sempre parte di un corpo dottrinario apparte-
Polemos: lo scudodi Achille
di Federico Prizzi
Compound WarfareVecchie minacce nella Guerra Ibrida contemporanea
La “compound Warfare” è un conflitto che prevede l’impiego combinato di forze convenzionali e irregolari sotto la direzione di un unico comandante
C
1. Federico Prizzi, Polemos: le guerre del XXI Secolo, dal tramonto del Peacekeeping all’Hybrid Warfare, Il Nodio di Gordio, Anno III – Num. 4, Gennaio 2014, pp. 110-120.
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014124
Dopo la II G.M. nacque l’esigenza da parte degli eserciti convenzionali di dirigere e coordinare in una visione unitaria l’impiego delle forze irregolari
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
125
nente a una Forza Armata o a una organizzazione
militare specifica. Spesso invece, sono, correnti
di pensiero, approcci storico-filosofici, teorie di
singoli esperti militari che cercano di compren-
dere e spiegare l’evoluzione dei conflitti passati
per comprendere quelli futuri. Ciò comporta che
queste teorie non sono necessariamente accetta-
te da tutti gli studiosi del settore e che vi siano
altre speculazioni ad esse opposte. Questo vale
anche per il Compound Warfare.
Allo stesso tempo, la
necessità dei pole-
mologi contempo-
ranei non è quella di
trovare schemi rigidi
e universali. Bensì di
individuare griglie di
analisi flessibili che permettano ai politici e agli
Stati Maggiori di inquadrare nell’immediato un
conflitto in macrocategorie al fine di trovare so-
luzioni operative allo stesso. Sarà poi compito de-
gli Storici Militari studiare il conflitto e confron-
tarlo con gli esempi passati. Ciò non toglie, però,
che ogni guerra ha delle caratteristiche peculiari
proprie in termini storici, geografici, politici ed
economici, che ne renderanno sempre difficile un
suo incasellamento in strutture precostituite.
Per quanto riguarda poi i conflitti asimmetri-
ci, oggetto della nostra attenzione, è doverosa
un’altra considerazione: nella Storia militare, si-
curamente almeno fino al 1945, dal punto di vi-
sta della dottrina di impiego delle forze, la Guer-
riglia, espressione “militare” di un’Insorgenza,
non godeva di grande considerazione. Neanche
come strumento “fiancheggiatore” dello sforzo
principale condotto dalle forze regolari, tanto
meno come elemento risolutore di un conflitto.
Sarà solo con la resistenza dei partigiani russi e
titini contro l’Asse (unici esempi seri e strutturati
in tutta l’Europa occupata) che le potenzialità del
concorso delle forze irregolari al successo delle
forze regolari venne preso in considerazione an-
che dai militari. Cadde così quella pregiudizia-
le tutta dei “militari in uniforme” nei confronti
degli “irregolari” e che darà vita un significativo
impiego di quest’ultimo gruppo nei conflitti del
Novecento. Per questo motivo, dopo la II G.M.,
nacque l’esigenza da
parte degli eserciti
convenzionali di diri-
gere e coordinare in
una visione unitaria
e strategica, sia per le
operazioni offensive
che per quelle difensive, l’impiego dei due tipi di
forze. Esigenza che ancora oggi perdura.
Compound Warfare
Con il termine Compound Warfare (CW) si inten-
dono tutti quei conflitti che hanno visto l’impie-
go combinato di forze convenzionali e irregolari
in combattimento, in modo simultaneo e sotto
la direzione di un unico Comandante, per fron-
teggiare un nemico invasore. Sostanzialmente
oggigiorno, nella Polemologia contemporanea, le
CW si pongono nell’ambito di quella vasta e arti-
colata tipologia di conflitti che abbiamo definito,
nello scorso articolo, Guerre Ibride.
Questo termine fu coniato per la prima volta nel
1996 da Thomas M. Huber in un articolo intito-
lato Napoleon in Spain e dedicato alla Guerra
di Indipendenza Spagnola (1808-1814). Scritto
per il Combat Studies Institute (CSI), l’articolo
La “Stay Behind” fu il primo caso di pianificazione militare, in Occidente, che progettò
volutamente l’impiego delle forze per una “Compound Warfare”
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014126
era destinato agli ufficiali americani frequenta-
tori del U.S. Army Command and General Staff
College. Sei anni dopo lo stesso istituto decise,
sull’onda del successo avuto in ambito acca-
demico dallo scritto di Huber, di dedicare una
propria pubblicazione alla Compound Warfare2.
Tuttavia, a differenza della sua prima edizione,
Huber volle aggiungere al titolo della nuova
pubblicazione una significativa dicitura: That
Fatal Knot. Ciò al fine di richiamare la celebre
dichiarazione di Napoleone Bonaparte fatta a
Emmanuel de Las Cases durante il suo esilio a
Sant’Elena e raccolta successivamente nel cele-
bre Memoriale di Sant’Elena. Un’opera, questa,
curata dallo stesso de Las Cases, che raccolse le
riflessioni e i ricordi fatti dall’Imperatore ai po-
2. Compound Warfare, That Fatal Knot, U.S. Army Command and General Staff College Press, Fort Leavenworth, Kansas, 2002.
Truppe irregolari franco-africane. Fonte: Life Magazine
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
127
chi seguaci che lo accompagnarono a Longwood
House.
Proprio nel Memoriale Napoleone rivelò, infatti,
come la Guerra di Indipendenza Spagnola fosse
stata non solo il più lungo conflitto delle Guer-
re Napoleoniche, ma anche il suo “nodo fatale”.
Ovvero dichiarò che: “tutte le ragioni delle mie
sconfitte derivano da quel nodo fatale. Esso ha
complicato i miei problemi, diviso le mie forze,
prestato il fianco all’intervento dell’esercito in-
glese, distrutto il mio prestigio in Europa”.
Pertanto, Huber voleva evidenziare come il
combinato impiego di forze regolari con forze
irregolari da parte spagnola fosse stato il moti-
vo principale per il quale Napoleone non riuscì
mai a sottomettere la Spagna3. In particolare, gli
effetti sinergici raggiunti dall’esercito inglese di
Arthur Wellesley, futuro Duca di Wellington, con
i guerrilleros4 spagnoli impegnarono a tal punto
le armate napoleoniche che impedirono al sovra-
no francese di utilizzare quei contingenti durante
tutte le sue successive campagne militari5.
Partendo proprio da questa analisi storica, T. M.
Huber voleva così creare un modello interpretativo
dei conflitti del XXI Secolo che avrebbero potuto
vedere coinvolti gli Stati Uniti in seguito al Crollo
del Muro di Berlino. Naturale fu pertanto, per lo
storico americano, trovare anche dei parallelismi
tra la sconfitta di Napoleone in Spagna e quella
degli USA nella Guerra del Vietnam (1965-1973).
Infatti, proprio il conflitto nel Sud-Est asiatico
rappresenta ancora il modello contemporaneo
per eccellenza di Compound Warfare. Ciò è dato
dal fatto che il Military Assistance Command,
Vietnam (MACV)6, nell’occupazione del territorio
indocinese, dovette affrontare non solo l’insurre-
zione comunista del Vietcong, ma anche le Forze
Armate del Vietnam del Nord.
Un impiego sinergico di forze regolari e irregolari
che, come noto, fu per gli Stati Uniti fatale poiché
contribuì ad alimentare le pressioni dell’opinione
pubblica americana e la conseguente sconfitta
politica degli USA.
Tuttavia, il conflitto vietnamita secondo Huber,
così come quello spagnolo, avevano altri due
elementi peculiari che li rendevano modelli teo-
rici ideali in supporto alla teoria del Compound
Warfare, ovvero: l’impiego combinato di queste
due tipologie diverse di forze nello stesso tempo
sotto un unico comandante (CW Operator) e la
presenza di Safe Haven.
L’unicità di comando, sia delle forze regolari che
di quelle irregolari, rappresenta il presupposto
fondamentale affinché una Compound Warfare
consegua gli effetti desiderati. Tendenzialmente,
infatti, chi sviluppa una CW sono le forze armate
di uno Stato invaso da un esercito nemico mi-
litarmente più forte, in grado di condurre ope-
3. Per comprendere il dramma di quella insorgenza e l’impatto che ebbe la rappresaglia francese sulla popolazione civile, si invita il lettore a guardare i quadri del celebre pittore spagnolo Francisco Goya: 2 maggio 1808 e 3 maggio 1808. 4. Fu proprio in questa guerra che venne coniato, per la prima volta, il termine guerrilla, cioè “piccola guerra”, oggi ampiamente utilizzato per definire quell’attività di lotta armata condotta da truppe irregolari entro il territorio controllato dal nemico usufruendo dell’appoggio della popolazione civile. 5. In realtà, non è vero che le operazioni dei guerriglieri spagnoli fossero così ben coordinate con quelle condotte dalle forze regolari ispanico-inglesi. Ciò è dovuto anche al fatto che i mezzi di comunicazione del tempo non consentivano un comando e controllo di tutte le operazioni in maniera sinergica. Inoltre, l’insorgenza spagnola nacque e si sviluppò non per ordine di Londra, ma per motu proprio. 6. Struttura di comando e controllo costituita nel 1962 dagli Stati Uniti nel Vietnam del Sud per organizzare, coordinare e dirigere tutte le forze militari americane (terrestri, navali, aeree) schierate nel corso degli anni in Indocina per assistere il Governo di Saigon. In seguito agli accordi di pace di Parigi del 1973 e con la fine dell’impegno militare americano nel Vietnam, il MACV venne sciolto.
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014128
razioni su larga scala e di fronteggiare diverse
minacce asimmetriche. Pertanto, la Compound
Warfare è una reazione di difesa a un invasore
che, se ben coordinata, come dimostrato dagli
esempi storici citati, diventa un ambiente opera-
tivo logorante e, a medio-lungo termine, letale
per l’invasore. Anche perché lo scopo della Com-
pound Warfare, attraverso l’impiego delle forze
irregolari, è quello di fiaccare e di disperdere le
forze convenzionali avversarie affinché non si
concentrino contro quelle regolari della propria
fazione. Contemporaneamente, l’azione delle for-
ze regolari del paese invaso ha il fine di ostaco-
lare una completa dispersione delle forze armate
avversarie al fine di impedirgli di sviluppare delle
operazioni di Counterinsurgency.
Si ha, di conseguenza, dal punto di vista ope-
rativo e tattico, un effetto di complementarietà
tra le due forze. Precisamente, le forze irregolari
accrescono lo sforzo di quelle regolari fornendo
loro informazioni, truppe locali, supporto della
popolazione, conoscenza del territorio e pres-
sione psicologica costante sull’avversario. Quelle
regolari, invece, possono fornire agli insorti forni-
ture logistiche di armi ed equipaggiamenti, anche
sofisticati, di personale istruttore, di fondi e di
informazioni strategiche, aumentandone così la
libertà di azione. Proprio come dimostrato dall’a-
zione di comando del Generale Giap nell’impiego
combinato dell’Esercito Popolare Vietnamita e del
Viet Cong sotto il suo unico comando.
La Compound Warfare si dice, inoltre, fortified
(FCW) quando per un esercito invasore è impos-
sibile distruggere completamente le forze armate
avversarie poiché quest’ultime continuano a vi-
vere grazie a dei Safe Haven. Questi “Santuari”
sono tali non solo dal punto di vista geografico e
morfologico, ma soprattutto da fattori intangibili
quali quello politico, diplomatico e tecnologico.
Fattori resi concreti grazie alle protezioni fornite
da un paese terzo che supportano la lotta armata
del paese invaso. Paese terzo che, in termini di
Truppe americane in Viet Nam
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
129
potenza politico-militare, è almeno pari a quella
del paese invasore.
Huber, in particolare, individuò nelle Linee di Tor-
res Vedras volute dal Duca di Wellington e nella
Cambogia e nel Nord Vietnam i due esempi di
Safe Haven per i conflitti da lui studiati.
Il modello fin qui esposto di Compound Warfare
trova, tuttavia, significativi esempi anche nella
storiografia italiana. Infatti, la CW è un conflit-
to a metà strada tra una guerra convenzionale,
ad esempio la Guerra Italo-Turca (1911-1912),
e la Controinsorgenza, come quella sviluppa-
ta dal Fascismo in Cirenaica, Tripolitania e Fez-
zan contro la Confraternita islamica dei Senussi
(1922-1932). Esempi legati alla Storia militare
nazionale che si possono avvicinare, sebbene con
significativi distinguo, alla Compound Warfare
sono: l’annessione del Regno delle Due Sicilie al
Regno Sabaudo (1860-1861) e la Guerra d’Etiopia
(1935-1936).
Nel primo caso, però, la Monarchia Borbonica
non riuscì a realizzare, neanche con l’arrivo del
Generale spagnolo José Borjés, quella completa
unicità di comando tra forze regolari e irrego-
lari necessaria alla CW per conseguire i propri
obiettivi. Nel secondo caso, invece, gli italiani
dimostrarono come anche in presenza di forze
regolari e irregolari, di unicità di comando e di
safe haven, una Compound Warfare sia battibi-
le. Infatti, nel 1935 la Campagna militare italiana
fu incentrata in un primo tempo nella completa
distruzione dell’Esercito regolare di Hailé Selas-
sié. Successivamente, ottenuti i risultati voluti,
l’Esercito italiano venne impiegato nella soppres-
sione delle forme di insorgenza con operazioni di
Counterinsurgency. Un successo più che signifi-
cativo considerato i mezzi del tempo e i rischi che
un impiego di questo tipo, per delle forze armate
occidentali, poteva avere in un territorio così lon-
tano dalla propria madrepatria. Tutto ciò, tenuto
anche conto di quanto accaduto recentemente in
Iraq agli americani nella Seconda Guerra del Gol-
Truppe Coloniali del Regno d’Italia
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014130
fo (2003-2011) quando, dopo aver rapidamente
sconfitto le forze regolari di Saddam Hussein, non
riuscirono però a vincere quelle irregolari.
Altri esempi significativi nostrani che si avvici-
nano al concetto teorico di Compound Warfare
sono la Campagna d’Italia (1943-1945) e l’orga-
nizzazione della NATO Stay Behind, nota nel Bel-
paese con il nome di Gladio.
Il primo esempio, si attaglia meno di tutti di quelli
fin qui citati alla definizione di CW perché mancò
quell’unicità di comando e di coordinamento tra
forze regolari e irregolari indispensabile per il suo
presupposto teorico. Inoltre, rientra pienamente
in quello atteggia-
mento di diffidenza
dei militari di profes-
sione nei confronti
delle unità irregolari,
descritto in premessa,
come dimostrato pubblicamente dal famoso Pro-
clama Alexander7.
Tuttavia, può fornire al lettore degli importanti
spunti di riflessione per meglio comprendere il
concetto di Compound Warfare.
Infatti, sebbene con i limiti evidenziati, la Cam-
pagna d’Italia vide l’impiego dei Gruppi di Com-
battimento al fianco delle unità anglo-americane
sulla direttrice sud-nord e, contemporaneamen-
te, nel centro-nord l’azione del Comitato di Libe-
razione Nazionale (CLN).
Nel secondo esempio, invece, la Gladio sarebbe
stata quella struttura che, in caso di invasio-
ne sovietica dell’Italia e del collasso delle forze
convenzionali, avrebbe dato vita a una duratura
insorgenza con il compito di fiaccare l’occupan-
te comunista. La Stay Behind, inoltre, può essere
considerata come il primo caso di pianificazio-
ne militare, in Occidente, che progettò voluta-
mente l’impiego di forze irregolari. Impiego che,
comunque, rappresentò anche una “risposta”
alla altrettanto pianificata “guerriglia rossa”. Una
guerriglia, strutturata all’interno del blocco At-
lantico a favore dell’Armata Rossa, ben organiz-
zata e finanziata, con depositi clandestini di armi
e munizioni, con forze adeguate composte da
agenti “in sonno” del KGB e indigene di provata
fede comunista.
Oggigiorno, tuttavia,
il modello di interpre-
tazione dei conflitti
ideato da Huber può
ancora essere valido
e trovare una propria
applicazione a tre esempi di Compound Warfare
contemporanea, sebbene due di essi siano attual-
mente allo stadio potenziale.
Il primo esempio interessante di CW è la Guer-
ra civile siriana scoppiata nel 2011. Guerra che
vede da una parte schierate le Forze Armate Si-
riane (forze regolari) affiancate dai guerrilleros di
Hezbollah, dalla Forza Nazionale di Difesa, dagli
Shabiha, dai miliziani di Al-Jaysh al-Sha’bi e dalla
Brigata Al-Abbas. Forze alle quali si contrappon-
gono, e questa è la tipicità di questo conflitto,
non un esercito regolare invasore, bensì un nu-
mero molto alto e significativo di milizie irrego-
lari a gran maggioranza composte da non-siriani
che occupano ampie zone del territorio siriano.
l’Iran e l’Ucraina rappresentano due modelli di “Compound Warfare”
allo stadio potenziale
7. Avvenuto il 13 novembre 1944. Questo proclama si inseriva in quell’impostazione attesista incoraggiata dagli alleati, favorevoli alla colla-borazione di nuclei ristretti di sabotatori e informatori, sul modello della “Rete Nemo” e dell’ “Organizzazione Franchi”, piuttosto che a quel-la di un possibile esercito popolare. Tanto è vero, che gli Alleati sfruttarono l’impiego dei partigiani occasionalmente e solo a livello tattico.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
131
Tra queste, oltre al noto Esercito Siriano Libero, vi
sono i mujaheddin del Fronte al-Nusra, i miliziani
dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e altri.
Significativo, inoltre, che entrambi gli schiera-
menti posseggano dei Safe Haven che rendano la
loro una Fortified Compound Warfare. Infatti, il
ruolo assunto dalla Russia e dall’Iran da una par-
te e quello di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna,
Turchia e paesi del Golfo dall’altra, permettono a
entrambe le parti in lotta di avere quelle carat-
teristiche delle FCW individuate teoricamente da
Huber nel suo studio.
Per quanto riguarda, invece, le due Compound
Warfare allo stadio potenziale esse sono: l’Iran e
l’Ucraina.
La Repubblica Islamica dell’Iran, infatti, da anni
ha adottato un sistema difensivo per fronteggia-
re una eventuale invasione del proprio territorio
nazionale strutturato sul modello delle CW. In
particolare, le Forze Armate iraniane svolgereb-
bero il ruolo di forze regolari, mentre il Corpo
delle Guardie della Rivoluzione, noti anche come
Pasdaran, assumerebbe quello di forze irregola-
ri. L’esperienza di Hezbollah nella “Guerra dei 33
Giorni” contro Israele (2006), nonché il conflitto
siriano, hanno dimostrato la forza e l’efficacia in
combattimento di una organizzazione che rap-
presenta, di fatto, una filiazione diretta dei Pa-
sdaran.
Inoltre, anche la recente crisi Ucraina potrebbe
trasformarsi per la Russia in uno scenario di Com-
pound Warfare, soprattutto se Putin decidesse di
intervenire nelle aree ove la comunità russofona
è in minoranza. Questo scenario vedrebbe, infat-
ti, le forze armate ucraine affiancate da truppe
irregolari composte da miliziani animati da sen-
timenti antirussi. Tuttavia, questa ipotesi sembra
oggettivamente poco concretizzabile.
Molto più probabile, invece, è l’ipotesi che sia
l’attuale governo di Kiev che possa trovarsi ad af-
frontare con le proprie mediocri unità convenzio-
nali una Compound Warfare nell’Ucraina Orien-
tale. In questo caso, in particolare, il Presidente
Oleksander Turchinov rischierebbe di fronteggiare
contemporaneamente le forze regolari russe e i
miliziani ucraini filorussi. Il cui impiego combina-
to sotto un unico CW Operator, Vladimir Putin, e
la presenza di numerosi Safe Haven renderebbero
il conflitto in Ucraina il nuovo case study di Forti-
fied Compound Warfare del XXI Secolo.
Federico Prizzi
Polemologo e Storico Militare
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014132
l primo luglio 2014 si aprirà la quar-
ta presidenza semestrale italiana del
Consiglio dell’Unione Europea. Una
opportunità per l’Italia di ricercare la propria af-
fermazione in ambito multilaterale, rimarcare ed
accrescere il processo di recupero di credibilità
internazionale avviato dagli ultimi due esecutivi
e farsi portavoce attiva di importanti iniziative
politiche e di riforma, tanto a livello europeo,
quanto a livello interregionale.
Spina dorsale di un tale processo di guida e pro-
mozione sarà certamente la politica estera del
Paese, che avvalendosi in primo luogo delle forze
diplomatiche ed amministrative dell’ufficio esteri,
segnerà le direttrici dell’approccio internazionale
della Repubblica Italiana dal primo luglio 2014 al
primo gennaio 2015.
Ad orientare, e allo stesso tempo a limitare, l’am-
bito di manovra dell’impostazione italiana, oltre
che a far emergere le priorità d’azione, si distin-
guono sfide globali caratterizzate da criticità
di Matteo Marsini
La Politica Estera Italiana nelle Sfide Globali
Prerogative e Prospettive all’appuntamento del Semestre Italiano di Presidenza del Consiglio UE
Scenari complessi e direttrici internazionali rispetto ai quali ricondurre l’approccio dell’Italia in ambito estero e far valere l’iniziativa italiana alla guida del consiglio uE
I
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
133
molteplici ed eterogenee. Tali direttrici dello sce-
nario mondiale sono costante oggetto di studio
dei principali think tank e centri internazionali di
ricerca ed analisi quali la NATO Defence College
Foundation, il Centro Militare per gli Studi Stra-
tegici, l’Istituto Affari Internazionali ed Il Nodo di
Gordio.
Sebbene ogni studio portato avanti in tal senso
abbia messo in luce in modo diverso le dinamiche
globali, è possibile, in via di prima approssima-
zione, distinguere cinque aree di interesse, cinque
quadranti dello scenario internazionale: il Qua-
drante Pacifico (Q1); il Quadrante Africano (Q2);
il Quadrante Atlantico (Q3); il Quadrante Euro-
Mediterraneo (Q4); il Quadrante Asia Centrale-
Indiano (Q5).
I cinque quadranti identificabili dagli studi dei
think tank e dei centri di ricerca ed analisi so-
pracitati, evidenziano non solo le crisi in atto e
quelle potenziali, ma anche le situazioni di svi-
luppo delle relazioni internazionali in ambito
difesa e cooperazione economica. Uno scenario
dettagliato a cui ricondurre l’approccio di Roma
in ambito estero e a partire dal quale, con tutta
probabilità, si declinerà l’iniziativa italiana al capo
del Consiglio UE.
Quadrante Pacifico (Q1). Comprendente l’intera
area oceanica, con particolare riferimento alle co-
ste nord-americane e quelle dell’estremo oriente,
quest’area rappresenta uno scenario di crescente
interesse sia dal punto di vista dei flussi commer-
ciali, sia per l’aumento degli ambiti di instabilità
e tensione. Se infatti da un lato i negoziati per
un’espansione dell’accordo commerciale Trans-
Pacific Partnership (tra Stati Uniti, Australia,
Brunei, Cile, Canada, Giappone, Malesia, Messico,
Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam) mira
a rilanciare il Pacifico quale nuova piazza eco-
nomica mondiale, mettendo di fatto in secondo
piano i mercati cinese e del MERCOSUR, dall’altro
Mappa © M.Marsini
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014134
la corsa agli armamenti di Cina e Giappone, ed
il sempre più complesso rapporto di conflitto tra
questi due Stati, non fa che alimentare la crisi re-
gionale. Si delinea in tal modo un quadrante che
non solo include minacce storicamente definite
come quella rappresentata dal regime autoritario
della Corea del Nord, ma si trova a dover fronteg-
giare continue contese tra Pechino e Tokyo (em-
blematica in questo senso la disputa sul piccolo
arcipelago delle isole Diaoyu/Senkaku) oltre alle
instabilità democratiche della Thailandia.
Quadrante Africano (Q2). Relativo all’intero
continente africano, con particolare accento sui
Paesi a Sud del Sahara, questo quadrante identi-
fica tradizionalmente un’area di grande instabili-
tà e di netta eterogeneità di sviluppo. Numerose
sono in questa regione le situazioni di incertezza
e di crisi. A vent’anni dal tremendo genocidio che
ha flagellato il Rwanda, ben poco è cambiato nel
cuore del continente. Lotte intestine e caren-
ze amministrative continuano a caratterizzare i
Paesi da un lato e dall’altro dell’Equatore. Sudan,
Sud-Sudan, Mali, Nigeria sono solo gli esempi più
evidenti dell’instabilità africana che è presente in
maniera trasversale in numerose altre situazioni
del quadrante. Tuttavia, a fare da contro altare
a questa difficile situazione, emergono con cre-
scente rilievo le iniziative di investimento e finan-
ziamento nella regione da parte di attori cinesi e
turchi in un processo di graduale sostituzione dei
tradizionali contribuenti occidentali. È così che la
finanza islamica di matrice turca acquista quo-
te di partecipazione della African Development
Bank, mentre Pechino prosegue con il suo pro-
cesso di investimenti africani che ha visto la Cina
impegnare oltre US$80 miliardi tra il 2000 ed il
2013 in diversi Paesi dell’area, in particolare An-
gola, Sudan, Nigeria e Congo.
Quadrante Atlantico (Q3). Comprendente le tre
coste America Latina, America Settentrionale e
Mali, E.Feferberg AFP photo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
135
Europa Occidentale, questo quadrante si carat-
terizza per gli scambi commerciali e finanziari
ad alta intensità in tutte e tre le direzioni. Se da
un lato tali movimenti economici, in particolare
sulle sponde settentrionali americana ed euro-
pea, hanno promosso una crescente integrazione
commerciale, dall’altro è proprio a causa di tale
integrazione che la crisi finanziaria statunitense
del 2008 ha raggiunto e contagiato con facilità le
economie europee determinando in tutto il qua-
drante instabilità finanziaria e contrazione delle
produzioni. In questa prospettiva, in parallelo con
il negoziato commerciale del Pacifico, si pone il
negoziato ad iniziativa statunitense Transatlantic
Trade and Investment Partnership, volto a ripri-
stinare un assetto economico-commerciale in
grado di ridare slancio agli interessi di Stati Uniti
e dell’Unione Europea.
Al pari degli altri quadranti anche quello Atlan-
tico presenta elementi di criticità. Oltre a quelle
collegate alla crisi finanziaria globale, che come
detto hanno comportato instabilità economica
e politica in diversi paesi atlantici (si pensi alla
Spagna, al Portogallo o all’Irlanda), emergono le
instabilità che stanno mettendo a dura prova gli
equilibri interni in numerosi Paesi dell’America
Latina, prime fra tutte le crisi democratiche del
Venezuela e del Brasile, o le continue lotte tra
Stato e criminalità organizzata che affliggono il
Messico, la Colombia e l’Honduras.
Quadrante Euro-Mediterraneo (Q4). Racchiu-
so tra la sponda Nord e quella Sud del “Mare No-
strum”, ed esteso ad Est sino ai confini con la Fe-
derazione Russa ed il Mar Nero, il quadrante Eu-
ro-Mediterraneo rappresenta da sempre un’area
tanto cruciale, quanto delicata. Caratterizzata da
un’economia che ancora stenta a superare la crisi
finanziaria del 2008 a Nord, e un’organizzazione
statale carente se non in certi casi inesistente a
Sud, questa regione si presenta minata più che
mai da molteplici questioni irrisolte. Il caos libi-
Thailandia, AP photo
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014136
co, l’infinita rivoluzione egiziana, il rebus siriano
e l’instabilità politica di Paesi Membri UE come la
Grecia e l’Italia, sono solo alcuni tra i più eclatanti
esempi di criticità regionale a cui si devono ag-
giungere i disordini registrati nell’ultimo anno in
Turchia, le tradizionali contese di Cipro ed Israele
e le sanguinose proteste ucraine. Se dallo scorso
11 febbraio sono ripresi i negoziati tra greco-ci-
prioti e turco-ciprioti per la riunificazione dell’i-
sola, non un simile clima distensivo si è potuto
constatare in Ucraina all’indomani delle rivolte
di Kiev. Al confine orientale del quadrante infatti,
si sono rapidamente delineati nuovi e pericolosi
assetti, elementi di tensione nei rapporti con il
vicino russo che rischiano di compromettere se-
riamente - se già non lo hanno fatto - i rapporti
occidentali con Mosca ed il Presidente Putin. Una
situazione delicata che ha già avuto come effetto
quello di mettere in ombra gli altri scenari cri-
tici della regione che ancora non hanno trovato
avvio per una soluzione sicura (si pensi solo alla
drammaticità della situazione in Libia o in Siria,
Stati che dal 2011, e per ragioni differenti, ancora
oggi brancolano incautamente nel buio).
Quadrante Asia Centrale-Indiano (Q5). Relativo
all’area compresa tra il medio-oriente ed il sub-
continente indiano, si estende il quadrante dell’A-
sia Centrale-Indiano. Tale quadrante identifica al
suo interno due epicentri distinti, l’area medio-
rientale e l’area indiana, attorno ai quali gravitano
i rapporti intra-regionali. Tradizionalmente densa
di conflitti, l’area mediorientale rappresenta uno
scenario di continui giochi di supremazia regiona-
le che se un tempo contrapponevano interi Paesi,
oggi portano a scontri sempre più frammentati tra
comunità, tribù, scuole di pensiero e religione. Ne Dall’alto verso il basso: TPP agreement, A.Rahim EPA photo - Gruppi Armati di Al Fatah - Pirati somali, D.News
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
137
deriva che in questo contesto perde necessaria-
mente di significato parlare di rivalità per l’egemo-
nia tra Iran e Arabia Saudita o più genericamente
tra Paesi sunniti e sciiti. Per distinguere con pre-
cisione le fazioni in lotta risulterà indispensabile
affinare la prospettiva. Emergerà dunque lo scon-
tro ideologico tra salafiti ed alawiti, piuttosto che
la contesa tra Hamas, Fatah ed Hezbollah in terra
santa o quella tra Al Qaida e altre frange jihadiste
in tutto il Golfo Persico, sino alla contrapposizione
con il gruppo di Al Shabaab e le diverse bande che
affliggono con la pirateria le acque tra il Golfo di
Oman ed il Golfo di Aden.
Non meno delicata la situazione nell’area sub-re-
gionale con epicentro nella penisola indiana in cui
si inquadrano il Grande Gioco afghano, la contesa
tibetana e l’atteggiamento in passato contraddit-
torio del Pakistan. L’addio ormai prossimo all’Af-
ghanistan da parte delle forze internazionali lascia
ancora troppi dubbi sul futuro di questo Paese che
rischia di unirsi presto alla Somalia nella famiglia
degli Stati Falliti. Storicamente conteso e mai do-
mato, il nuovo Afghanistan indipendente e libero
non smette di allarmare la Comunità Internazio-
nale, che anche per questo aspetta di vedere come
si comporteranno l’Iran di Rohani, fresco di riaper-
tura del dialogo con l’occidente, e l’India che verrà,
figlia delle ultime elezioni che si concluderanno a
maggio 2014.
Scenari complessi, direttrici internazionali che
con differente grado influenzano le politiche
estere nazionali e regionali. Dinamiche a cui l’ap-
proccio italiano non potrà non dare il giusto peso
nell’intreccio multilaterale delle relazioni inter-
nazionali che più la riguardano; indirizzi che in
chiave presidenza italiana del Consiglio UE assu-
mono particolare rilevanza, offrendo la possibilità
a Roma di portare in primo piano gli interessi dei
propri quadranti di riferimento.
Matteo MarsiniEsperto di Relazioni Internazionali e Diritto Internazionale
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014138
t has been thirteen years since the In-
ternational Security Assistance Force
(ISAF) was deployed in Afghanistan.
The UN-mandated and NATO-led mission has
been set up with the purpose to cooperate with
Afghan government in the key tasks of maintain-
ing security in the area and fighting terrorism.
However, by the end of 2014, the ISAF mission
will formally come to an end. The situation in
the region is still dramatic, and that is the reason
why NATO will not abandon Afghanistan, rather
change its mandate. A window of uncertainty is
opening, concerning the future of the country,
but the unanimous aim of the entire internation-
al community is to avoid a second example of no
man’s land, of a so called failed state.
In 2001, UN-mandated ISAF mission was de-
ployed in Afghanistan, to help Kabul government
in maintaining security and promoting a strong
fight against terrorism. In August 2003, NATO
di Francesca Oresta
Afghanistan, to 2014 and beyond
Avoiding a no man’s land
“The country still needs all possible help or it might soon become a no man’s land, the next failed State. Afghanistan is surely a country which needs to be su-stained, nonetheless it is at the same time a State which can-not tolerate foreign occupation from time immemorial. Enou-ght-Afghanistan: It is crystal clear that the Afghan affair is not closed at all”
I
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
139
took command of the Force, and the field of mis-
sion was enlarged, from delimited Kabul area to
the whole country. As of June 2013, 49 nations
are contributing troops to the mission, includ-
ing 21 non-NATO members, cooperating with 28
NATO Allies.
Nonetheless, these are not the only targets of
ISAF mission. It is meant in order to train and de-
velop the Afghan National Security Forces (ANSF),
which is expected to be able to guarantee full se-
curity for their people and country within 2014.
The development of a national security force is
a fundamental step to give back to Afghanistan
the complete control of its own territory. ISAF has
always been carried out in this perspective, and
its purpose is about to be reached.
In fact, by the end of 2014, ISAF mission will end.
The troops will be redeployed and the mission will
change its umbrella. In any way, a training pro-
cess should go on in the Afghan country. This is
supposed to mark an important turning point not
only for States in charge of the mission itself, but
basically for the whole international community.
Among the international initiatives concern-
ing the future of Afghanistan, it stands out the
BSA, Bilateral Security Agreement. Such treaty is
intended to set conditions for US forces in Af-
ghanistan after 2014 as a part of “train, advise
and assist” mission, and is aimed at building a
security framework.
The BSA is included in the US-Afghanistan Stra-
tegic Partnership Agreement, officially titled
Enduring Strategic Partnership Agreement. Nev-
ertheless, until now, it is not well known who is
going to put a signature on the Afghani spot of
BSA. President Hamid Karzai, who is at the end of
his mandate, claimed that this would be a more
appropriate task for his successor. So, the entire
international community is waiting for the elec-
toral results, which will be announced on April,
24th.
Whether it will be Mr. Abdullah Abdullah, former
Illustrazione © M.Marsini
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014140
Foreign Minister, or Mr. Ashraf Ghani, former
Economics Minister, the new Head of State, by
this signature, he will pave the path for a secure
and solid future cooperation.
Under this point of view, the Governor of Herat
District, Mr. Sayeed Fazullah Wahidi reassures:
“Eventually, the agreement will be signed, but not
until some fundamental aspects will not be clari-
fied, especially with regard of civilian protection,
and of the reorganization of the security system.
In other words, peace first, because Afghanistan
is surely a country to be sustained but, at the
same time, it is a State which cannot tolerate
foreign occupation from time immemorial.”
It is well known that Afghan affair is not yet
closed. The country still needs all possible help in
political, economic, and social matters, and that
is why wider cooperation between NATO and Af-
ghanistan will continue beyond 2014, within the
framework of the NATO-Afghanistan Enduring
Partnership signed at NATO’s Lisbon Summit in
2010. Moreover, the new NATO Resolute Support
Mission has been disposed in order to keep on
assisting Afghani secure forces, without combat
purpose.
To deeply understand why it is so vital not to leave
Afghanistan alone, we have to keep in mind what
has been said in the framework of the Conference
organized by the NATO Defense College Founda-
tion in Rome, on February 13th and 14th, entitled
“Security in a no one’s world? Game Changers”.
Mr. Ivan Safranciuk, Russian publisher of “Great
Game: politics, business, security in Central Asia”,
articulating his remarks, said: “In the last 20 years
Illustrazione © M.Marsini
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
141
Central Asia, Afghanistan in particular, could be-
come: somebody’s land, integrated to some big-
ger economic system, Russia, China or EU, for
instance; no man’s land but successful; no man’s
land and failed.”
The last is not an option for the international
community at all, and UN and NATO are cooper-
ating just to erase this chance. There are a num-
ber of aspects which do not allow Afghanistan to
become a failed State.
The international law defines as failed State an
authority which once was a State, but nowadays
it has lost its international subjectivity. Such loss
can be due to several reasons. Insurrections, riots,
civil wars, or external military intervention could
cause the collapse of the government and, con-
sequently, of the State itself.
The world has already seen the dramatic con-
sequences when this possibility becomes reality.
From 1991, Somalia gives traditional example
of failed State. Years of civil wars have brought
the country on the edge of the abyss, throwing
people in terror and chaos, and not permitting to
any government to remain permanent, in order
to bring the situation under control. Having lost
his effectiveness, the failed State can no longer
be considered as a member of international com-
munity.
Despite this considerations, the international
practise appears more variable and magmatic.
Continuity of international subjectivity of failed
State must be maintained in any case, that is
what emerges from international scenario.
On one hand, this is justified by political rea-
sons. International law wants to avoid dangerous
regulatory vacuum which damage global system
efficiency, and threaten international security. It
must be clear and ensured that a State and, most
of all, a body of law is present even in the worst
situations.
On the other hand, keeping international sub-
jectivity for failed State has legal reasons. The
extinction of a State authority for lack of effec-
tiveness could create a no man’s land, susceptible
of occupation by other States. We will basically
assist to a way back to colonial empires, which
will therefore break the principle of people self-
determination.
Eventually, there are historical reasons stand-
ing for continuity. Today’s failed States are yes-
terday’s colonial properties, which, at that time,
have been recognized as States by international
community, even though they did not have all
requisites yet. This process has been called a le-
galized subjectivity by United Nations.
It is crystal clear why we cannot afford Afghani-
stan to become the second Somalia. International
community will have to continue in cooperating
with Afghanistan, both through NATO and UN, to
reach a democratic upswing for the country, and
to avoid that someone throws Afghanistan in the
failed State’s basket.
Francesca OrestaEsperta di Diritto Internazionale
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014142
a comunità internazionale ha fatto
uno sforzo lungo 13 anni per rendere
il paese sicuro, democratico ed in gra-
do di reggersi autonomamente, cercando inoltre
di migliorare le condizioni di vita ed economiche
delle popolazioni, talchè l’Afghanistan non po-
tesse essere più considerato un faible state, facile
a rivolgimenti interni capaci di renderlo un san-
tuario per lo sviluppo di attività terroristiche in
un quadro generale di guerra asimmetrica1.
Pochi numeri possono dare una idea di questo
sforzo: basta dire che 50 diversi paesi2 hanno in-
viato propri contingenti militari per garantire la
di Giuseppe Caforio
Afghanistan 2015 - Anno O?
come sarà il panorama Afgano dopo il disimpegno delle forze della coalizione ISAf? Previsioni e prospettive
L
1. Sulla guerra asimmetrica vedi G.Caforio 2013.2. ISAF comprende 101.152 militari appartenenti a contingenti di 50 Paesi. Il contributo maggiore è fornito dagli Stati Uniti (68.000 unità), seguiti dal Regno Unito (9.500), dalla Germania (4.318), dall’ Italia (3.100), dalla Polonia (1.770 unità), dalla Spagna (1.606), dalla Georgia (1.561), dalla Romania (1.549 unità), dall’Australia (1.094) e dalla Turchia (998) (Fonte NATO – 6 gennaio 2012).. Comandante della missione dal 10 febbraio 2013 è il generale USA Joseph Dunford. Alla stabilità del Paese contribuiscono inoltre circa 185.000 soldati dell’Esercito nazionale afgano nonchè le forze di polizia locali.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
143
sicurezza interna dell’Afghanistan ed addestrare
le forze locali: contingenti che hanno perduto
nella lotta contro gli insurgents ben 3.274 soldati
(dati della fine 2012); fondi rilevanti sono stati
stanziati e spesi per garantire una ricostruzione
ed un ammodernamento del paese; magistrati,
poliziotti, tecnici sono stati inviati da ogni parte
del mondo per concorrere a creare il know out
utile a questa ricostruzione ed ammodernamen-
to; ONG di tutto il mondo si sono alternate per
dare sollievo e supporto alle popolazioni più di-
sagiate.
Il 1 gennaio 2015, archiviata la missione ISAF,
avrà inizio la Resolute Support Mission della
Nato. La missione dunque cambia denomina-
zione, dimensioni e, verosimilmente, mandato.
Ma non cambiano i principi regolatori di una
presenza a lungo termine da tempo annunciata.
E non poteva essere diversamente: troppo eleva-
to il rischio di vedere collassare lo Stato afghano,
incapace di sopravvivere con le proprie sole for-
ze, ancora impreparate ad assicurare il controllo
del territorio. Come riporta lo statunitense Go-
vernment Accountability Office, solamente il 7%
(15 su 219) dei battaglioni dell’esercito e il 9%
(39 su 435) delle unità di polizia sono in grado di
operare in maniera indipendente ma con l’assi-
stenza dei consiglieri occidentali.
Ora alla vigilia comunque di una sostanziale ri-
duzione dell’impegno internazionale di cui sopra,
soprattutto nella sua componente di sicurezza,
riduzione pianificata per la fine del 2014 , come
si presenta la situazione in Afghanistan, quali le
prospettive?
Questo articolo si propone di cercare risposte a
tale interrogativo, attingendo soprattutto a noti-
zie e dati di fonte locale e/o internazionale.
Contrariamente a quanto è d’uso, ho evitato di
tradurre dall’inglese le notizie e le fonti di cui
sopra. Questo per una duplice considerazione: in
primis poiché l’uso della lingua inglese è ormai
talmente diffuso, specie tra gli addetti ai lavo-
Le forze afghane assumono la leadership della sicurezza nella provincia di Herat e gli Alpini passano la base di Bakwa all’esercito di Kabul.
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014144
ri, che una traduzione non appare più necessa-
ria. Secondariamente perché nelle traduzioni c’è
sempre un briciolo di arbitrarietà ed è invece bene
che i brani presentati siano apprezzati e letti nella
loro vivacità , genuinità e, talvolta, drammaticità.
La situazione odierna
Sotto il profilo economico ci troviamo di fronte
ad un paese che trae ancora buona parte del suo
sostentamento dalla produzione e commercio di
oppio e non vi è accenno, malgrado tutte le risor-
se investite, ad un progressivo passaggio a forme
diverse di economia: anzi, a dispetto degli inve-
stimenti fatti dai donor states, della distribuzione
gratuita di migliaia di bulbi di zafferano come
coltura alternativa, ad esempio, ed altre inizia-
tive di sviluppo agricolo, la produzione di oppio
sembra crescere anno dopo anno, come afferma
William Dalrymple (2013).
Opium production in Afghanistan grew in 2012
for the third year in a row, according to a United
Nations report released on Monday, and Afghan-
istan accounted for 75 percent of the world’s
heroin supply, increasing concerns among inter-
national law enforcement officials that opium
cultivation could be the country’s main economic
driver after the NATO combat mission ends in De-
cember 2014.
Una situazione confermata anche dal Foreign
Policy Magazine3 (FPM November 13, 2013) che
riporta; Illicit opium poppy cultivation in Af-
ghanistan has hit a record high this year, the U.N.
Office on Drugs and Crime (UNODC) reported on
Wednesday. In its annual report on drugs in Af-
ghanistan, the office said that the 2013 poppy
harvest resulted in approximately 5,500 metric
tons of opium - a 49 percent increase over last
year and more than the combined output of the
rest of the world. The report added that the in-
crease comes from the fact that the area where
the crop is being cultivated in Afghanistan grew
by 36 percent, and Jean-Luc Lemahieu, the out-
going UNODC Afghanistan director, noted that:
“This is the third consecutive year of increasing
cultivation” .
Ma il principale problema che impedisce una
rinascita economica del paese malgrado le risorse
investite è la piaga della corruzione, largamente
diffusa a tutti i livelli della amministrazione,
pubblica e privata. Documenta in merito Wikipedia
alla voce “Afghanistan”: Corruption in Afghani-
stan is a widespread and growing problem in Af-
ghan society. Afghanistan ranks 174 from 176
in Transparency International’s 2012 Corruption
Perceptions Index. (North Korea and Somalia were
ranked the same corrupt.) One of the recent major
corrupt cases was the 2010 Kabul Bank financial
scandal in which Sherkhan Farnood, Khalilullah
Fruzi, Mohammed Fahim, and other insiders were
spending the bank’s $1 billion for their own per-
sonal lavish style living as well as lending money
under the table to family and friends. As of Oc-
tober 2012, the government only recovered $180
million of the $980 million fraudulent loans.
3. Il “Foreign Policy Magazine” fu fondato 40 anni fa da Samuel Huntington con lo scopo di creare una “voce alternativa” sulla politica estera americana. Il magazine si presenta così: One of the most credible names in international politics and global affairs, Foreign Policy delivers highly influential corporate, policymaker, and professional audiences in print and online. Foreign Policy and ForeignPolicy.com provide the best available analysis of pressing global challenges by the world’s leading experts
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
145
According to the High Office of Oversight and
Anti-Corruption (HOOAC), corruption is rampant
in the north of the country, particularly Balkh
Province which borders neighboring Uzbekistan,
a country with similar corruption problems as
Afghanistan.
Dello stesso tenore le dichiarazioni di alcuni
studiosi del fenomeno, quali Andrei Akulov: The
popularity of the Taliban is growing because of the
huge rate of unemployment, drugs, poverty and
corruption. There was an embarrassing revelation
made earlier this month that British intelligence
agency MI6 regularly provided Karzai’s govern-
ment with ‘ghost money’ estimated to run in the
tens of millions of dollars in order to buy influence
through bribes. Karzai’s government is widely seen
as corrupt as it is unpopular with many Afghans.
There was significant overlap between the corrupt
Afghan political establishment and the coun-
try’s illegal heroin trade, including the president’s
brother Ahmed Wali Karzai, who was assassinated
in 2011. A UN report released last month showed
that Afghan poppy production was rapidly ex-
panding, and that the country was expected to
produce 90 percent of the world’s opium this year.
(Andrei Akulov, in ISAF Afghan Pull Out and Se-
curity Concerns 20.05.2013 Strategic Culture
Foundation - on-line journal. ISAF).
D’altra parte il fenomeno ed il livello della corru-
zione in Afganistan è ampiamente noto in sede
internazionale, specialmente da parte delle donor
states, come testimoniato da notizie quali la se-
guente: Senior Afghan officials and representa-
tives from more than 55 countries met in Kabul
on Wednesday to evaluate the progress made
regarding the aid pledges, benchmarks, and mu-
tual accountability framework laid out at last
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014146
year’s Tokyo conference . Afghanistan pledged
to tackle endemic corruption in exchange for
international aid, but European officials say
that only 3 of the 17 benchmarks have been
achieved, calling about $4 billion of continued
aid into question. One of the goals concerned
the Afghanistan Independent Human Rights
Commission, which is almost entirely funded
by international donors. President Hamid Kar-
zai’s recent appointment of five new commis-
sioners has been widely criticized by Afghans
and human rights activists who doubt the
news commissioners’ ability to be impartial.
(Foreign Policy Ma-
gazine (FPM Tuesday,
July 9, 2013).
Alla corruzione e alla
monocultura dell’oppio
si aggiungono altri
problemi, magari minori ma che comunque hanno
il loro impatto sugli investimenti nel paese. Tra essi
significativo è il frequente rapimento di persone a
scopo di estorsione, fenomeno in crescita negli ultimi
anni, testimoniato localmente da documenti come il
seguente: In the once peaceful and safe western city
of Herat, kidnappings for ransom are skyrocketing,
with almost 500 people arrested last year on kidnap-
ping charges compared to about a dozen five years
ago. The perpetrators target the relatives of Herat’s
wealthier businessmen and politicians, demanding
tens of thousands of dollars for their release. The
rising trend has locals concerned that a security
vacuum left by the drawdown of NATO troops will
allow not only the Taliban but also criminal gangs to
flourish. (FPM; Thursday, April 25, 2013).
Alla corruzione ed alla criminalità si accompagna
anche un generale deterioramento dei costumi,
come si può evincere da testimonianze quali: The
northern Afghan city of Mazar-i-Sharif has seen
a much-needed business boom in recent years,
but that economic uplift has been accompa-
nied by a troubling expansion of the city’s sex
trade. Mazar-i-Sharif is less conservative than
other parts of Afghanistan, and brothels once
flourished openly there. Now, the prostitutes,
most of whom have been forced into the trade
by poverty, divorce, or the death of their spouse,
operate through a secretive network and often
host clients in nondescript apartments around
the city, or even their
own homes. (FPM:
Wednesday, April 17,
2013).
Neppure la situazione
del paese per quanto
riguarda la sicurezza in generale sembra essere
migliorata in questi ultimi anni, salvo che in
alcune aree.
I dati disponibili ci dicono infatti che gli attacchi
dei talebani sono aumentati del 47% nel primo
trimestre del 2013, rispetto al medesimo periodo
dell’anno precedente, secondo lo Afghanistan
NGO Safety Office. Anche se il Comando Militare
alleato ed il Ministro della Difesa Afgano hanno
sinora evitato di diffondere le loro statistiche in
merito, il forte aumento degli attacchi talebani
è stato ampiamente documentato dai media. Lo
stesso Afghanistan NGO Safety Office esprime la
preoccupazione che i talebani stiano testando
la capacità delle forze di sicurezza Afgane di
assumere in proprio il compito di mantenere la
sicurezza nel paese.
Alla corruzione e allamonocultura dell’oppio
si aggiungono altri problemi che hanno un impatto negativo
sugli investimenti nel paese
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
147
E’ la cronaca quotidiana che ci fornisce chiare te-
stimonianze del peggiorare della situazione. Ba-
sta prendere come esempio una giornata qualsi-
asi, cosi’ come descritta dal ben documentato Fo-
reign Policy Magazine per rendersene conto come
segue: At least 24 people were killed in five sepa-
rate attacks across Afghanistan on Wednesday,
including seven women and children who died
when their bus hit a roadside bomb in Herat Pro-
vince. In the eastern province of Ghazni, another
roadside bomb killed five men who worked for
a local government security force. In the ea-
stern province of Laghman insurgents attacked
a checkpoint, killing four local policemen. In the
northern province of Jawzjan insurgents opened
fire on a group of village elders, killing two health
workers who were caught in the crossfire. And six
Afghan soldiers were killed (slit the throats) by
the Taliban after being kidnapped while travel-
ling home for vacation in Jawzjan.
At least 17 high school girls lost consciousness
and were hospitalized after a suspected poison
gas attack on their school in the northern pro-
vince of Takhar on Thursday.( FPM Thursday, April
18, 2013).
E ancora dal numero di Monday, May 20, 2013
...wave of violence swept Afghanistan this week-
end, killing dozens of police officers and civilians.
The attacks continued on Monday when a suicide
bomber wearing a police uniform struck the pro-
vincial council building in the capital of Baghlan
province, killing 14 and wounding 9. The attack
specifically targeted Rasoul Mohseni, the head
of Baghlan’s provincial council, who was killed
in the blast. Widely regarded as the most pow-
erful man in Baghlan, Mohseni was a veteran
commander who had led northerners in a revolt
against the Taliban
Effettuando attacchi persino alla parte più forti-
ficata della capitale Kabul.
Four suicide bombers and three security guards
Guerriglieri Talebani - Fonte: www.patrickandrade.com
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014148
were killed Tuesday during a brazen attack on the
heavily fortified presidential palace in Kabul . The
attackers used land cruisers similar to those used
by coalition forces, ISAF uniforms, fake badges,
and vehicle passes to access the compound, and
they were able to bluff their way past two se-
curity checkpoints before they were halted by
security officers. The Afghan Taliban released a
statement taking responsibility for the attack
and claimed the targets were the presidential
compound, the defense ministry, and the Ariana
Hotel, which they said is the CIA base in Kabul.
(FPM, Tuesday, June 25, 2013).
Sotto il profilo militare, le notizie circa la ca-
pacità delle ANSF di gestire la sicurezza e con-
trastare efficacemente gli insurgents non sono
incoraggianti. Come sopra riportato, secondo il
Government Accountability Office nel report “Af-
ghanistan Security: Long-standing Challenges
May Affect Progress and Sustainment of Afghan
National Security Forces”, solamente il 7% delle
unità dell’esercito ed il 9% di quelle della polizia
sarebbero idonee ad operare sul terreno autono-
mamente, seppure con l’assistenza dei consiglieri
occidentali.
A proposito dei quali non bisogna poi trascura-
re gli effetti psicologici dei cosiddetti attacchi
green-on-blue4; gli oltre sessanta episodi del
2012 hanno creato una fatale breccia tra i soldati
della NATO e le ANSF (si veda Crisis of trust, and
cultural incompatibility, ISAF report, 2012). Essi
continuano a verificarsi anche nel 2013, come
testimoniato da reports giornalistici: One Slova-
kian soldier was killed and three U.S. troops were
wounded on Tuesday when an Afghan National
Army member opened fire from a guard tower
at Kandahar Airfield . The shooter has been ar-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
149
rested and is currently being investigated. The
Slovak soldier is the ninth NATO service member
to die in a so-called “green-on-blue” attack this
year (FPM, Friday, July 19, 2013).
Due aspetti sono inoltre generalmente condi-
visi dagli osservatori: la incapacità degli afgani
di gestire la evacuazione medica dal campo di
battaglia (la cosiddetta MEDEVAC), e il forte e
crescente rateo di diserzioni tra le file delle forze
di sicurezza afgane. Riporta in merito il Defense
News e-Newsletter (Jul. 30, 2013): The Decem-
ber 2012 report said that in the previous two
years, 2,000 to 4,000 soldiers a month were
walking away from the force after the NATO
coalition had already spent money to recruit,
train, equip and deploy them. Those numbers
actually got worse from October 2012 to May,
with 4,000 to more than 7,000 soldiers simply
deserting their posts each month — a dropout
rate of 2.5 percent to 4.1 percent of the entire
force in any given month.
Non vi e’ infine accordo sulla condotta politico-
militare della campagna contro gli insurgents tra
i due principali attori operanti sul territorio, gli
Stati Uniti e il governo afgano, il cui presidente
Karzai spesso si lamenta per il comportamento
delle forze militari ISAF e NATO, ponendo talvol-
ta sullo stesso piano Stati Uniti e insurgents ta-
lebani: Afghan President Hamid Karzai said on
Saturday that both the United States and the
Taliban are to blame for a NATO airstrike that
killed 17 civilians during a fierce gunfight in Ku-
nar Province on April 6 . Members of the Afghan
intelligence service called in the airstrike after
they came under attack by militants while at-
tempting to detain two insurgent commanders
in the Shigal district of Kunar. Earlier this year,
Karzai banned the Afghan Army from request-
ing U.S. airstrikes after several civilians were
killed in a strike. (FPM April, 13, 2013).
Atteggiamento comune al governo del vicino
Pakistan, particolarmente ostile, ad esempio,
all’uso dei droni sul proprio territorio5. Ma
sbaglierebbe chi pensasse che, di fronte ad una
situazione obiettivamente difficile i due governi,
Afgano e Pakistano, si trovino a collaborare.
Ad esempio, in una intervista con il programma
della BBC denominato “Hardtalk”, il generale
Sher Mohammad Karimi, comandante in capo
dell’esercito afgano, presentò numerose accuse
contro il Pakistan, quali una complicità con gli
USA negli attacchi con i droni, la prassi di offrire
rifugio ai capi talebani ecc., dichiarando infine che
il conflitto interno afgano potrebbe essere risolto
in poche settimane se il Pakistan imponesse ai
gruppi di insurgents di fermarsi.
4. Si tratta degli attacchi a tradimento fatti da militari o poliziotti afgani in divisa contro soldati delle forze ISAF.5. L’uso dei droni per attacchi mirati in Pakistan è particolarmente motivato da un ulteriore e grosso problema che il governo afgano non riesce a risolvere da solo, cioè quello dei santuari di insurgents esistenti in Pakistan, nonche’ della permeabilita’ di quel confine, attraverso il quale passano in continuazione armi, esplosivi, rifornimenti di ogni genere, nonché bande addestrate di insurgents. Frequenti sono le inascoltate doglianze del governo afgano in proposito, a cui si sommano dispute sulla linea di confine tra i due paesi. Citando ad esempio la fonte Foreign Policy Magazine possiamo leggere: President Karzai on Sunday also continued his complaints about Pakistan, ordering his security forces to immediately dissemble a new Pakistani border gate that he said was erected without coordination with Afghanistan . Pakistani officials maintain that the new border gate is located fully inside of Mohmand Agency, which borders the Afghan province of Nangarhar, but Afghanistan has long disputed the Durand line drawn by the British in the 1893 to divide Afghanistan from the Raj. (April, 13, 2013)
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014150
Naturalmente il Ministero degli Esteri Pakistano si
è affrettato a smentire tali accuse.
E questo mi porta ad esaminare la situazione del
maggiore paese confinante, appunto il Pakistan,
situazione che presenta non minori aspetti di
complessità.
La situazione in Pakistan
E’ evidente infatti che sussiste una forte intera-
zione tra I due paesi e che la situazione dell’uno
non puo’ essere migliorata se non si opera anche
sulla situazione dell’altro.
Problematica del resto chiaramente percepita dai
vertici politico militari internazionali, come risul-
ta da diverse dichiarazioni pubbliche. Per esem-
pio, parlando in un meeting dei ministri della di-
fesa NATO a Bruxelles (giugno 2013), il segretario
generale dell’alleanza, Anders Fogh Rasmussen,
ha affermato che il Pakistan deve giocare un ruo-
lo positivo nel portare pace durevole e stabilità in
Afganistan ed ha stimolato le autorità pakistane
a prendere misure concrete contro i talebani che
effettuano puntate offensive in Afganistan dal
territorio pakistano.
La comunanza della situazione, in particolare per
quanto riguarda la sicurezza dei cittadini, risul-
ta anche da diversi dati di ricerca internazionali,
quali ad esempio il Global Peace Index, che, su
162 paesi considerati, vede per il 2013 l’Afgha-
nistan all’ultimo posto (162°) ed il Pakistan poco
prima (al 157°) con un chiaro trend negativo di
entrambi negli ultimi anni.
Graduatoria dei paesi secondo il livello di sicurezza Fonte: Global Peace Index 2013 (The Guardian)
Iceland 1.16 1 1.11 1
Denmark 1.21 2 1.24 2
New Zealand 1.24 3 1.24 2
Canada 1.31 8 1.32 4
Japan 1.29 6 1.33 5
Austria 1.25 4 1.33 6
Ireland 1.37 12 1.33 6
Slovenia 1.37 13 1.33 8
Finland 1.30 7 1.35 9
Switzerland 1.27 5 1.35 10
Belgium 1.34 10 1.38 11
Qatar 1.48 19 1.40 12
Czech Republic 1.40 14 1.40 13
Sweden 1.32 9 1.42 14
Germany 1.43 15 1.42 15
Portugal 1.47 18 1.47 16
Hungary 1.52 23 1.48 17
Norway 1.36 11 1.48 18
Bhutan 1.49 20 1.48 19
Malaysia 1.57 29 1.48 20
Mauritius 1.50 21 1.49 21
Australia 1.44 16 1.49 22
Singapore 1.44 16 1.52 23
Poland 1.53 25 1.52 24
Spain 1.56 27 1.55 25
Slovakia 1.62 33 1.59 26
Taiwan 1.54 26 1.60 27
Netherlands 1.51 22 1.61 28
2013GPIScore
Country 2013Rank
2012GPIScore
2012GPIRank
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
151
United Kingdom 1.79 44 1.61 29
Chile 1.59 31 1.62 30
Botswana 1.60 32 1.62 31
Romania 1.58 30 1.63 32
Uruguay 1.53 24 1.63 33
Vietnam 1.77 41 1.64 34
Croatia 1.57 28 1.65 35
Costa Rica 1.76 40 1.66 36
Laos 1.72 39 1.66 37
Italy 1.66 34 1.69 38
Bulgaria 1.66 34 1.70 39
France 1.86 53 1.71 40
Estonia 1.71 38 1.72 41
Korea, South 1.82 47 1.73 42
Lithuania 1.78 43 1.74 43
Argentina 1.91 60 1.76 44
Latvia 1.77 41 1.77 45
United Arab Emirates 1.68 36 1.78 46
Kuwait 1.70 37 1.79 47
Mozambique 1.91 61 1.80 48
Namibia 1.81 46 1.80 49
Ghana 1.90 58 1.81 50
Zambia 1.83 48 1.83 51
Sierra Leone 1.90 59 1.86 52
Lesotho 1.84 49 1.86 53
Morocco 1.90 57 1.87 54
Tanzania 1.89 55 1.87 55
Burkina Faso 2.06 87 1.88 56
Djibouti 1.92 63 1.88 56
Mongolia 1.92 64 1.88 58
Oman 1.81 45 1.89 59
Malawi 1.98 74 1.89 60
Panama 1.89 56 1.90 61
Jordan 1.86 52 1.90 62
Indonesia 1.88 54 1.91 63
Serbia 1.91 62 1.92 64
Bosnia and Her-zegovina 1.97 71 1.92 65
Albania 1.96 69 1.93 66
Moldova 1.98 74 1.93 66
Macedonia 2.04 79 1.94 68
Guyana 1.96 70 1.94 69
Cuba 1.92 65 1.95 70
Ukraine 2.24 111 1.95 71
Tunisia 2.00 77 1.96 72
Cyprus 1.84 49 .96 73
Gambia 2.09 93 1.96 74
Gabon 2.00 76 1.97 75
Paraguay 2.06 84 1.97 76
Greece 1.96 68 1.98 77
Senegal 2.06 85 1.99 78
Peru 2.26 113 2.00 79
Nepal 2.06 82 2.00 80
Montenegro 1.98 73 2.01 81
Nicaragua 1.93 66 2.01 81
Brazil 2.05 81 2.02 83
Bolivia 2.06 86 2.02 84
Ecuador 2.06 83 2.03 85
Swaziland 2.07 88 2.03 85
Equatorial Guinea 2.07 89 2.04 87
United States 2.13 99 2.06 88
China 2.14 101 2.06 89
Dominican Republic 2.10 94 2.07 90
Bangladesh 2.16 105 2.07 91
Guinea 2.27 116 2.07 92
Papua New Guinea 2.13 99 2.08 93
Trinidad and Tobago 2.07 90 2.08 94
Angola 2.15 102 2.10 95
Guinea-Bissau 2.43 132 2.10 95
Cameroon 2.19 108 2.11 97
Uganda 2.18 106 2.12 98
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014152
Tajikistan 2.28 118 2.12 99
Madagascar 2.07 90 2.12 99
Liberia 2.05 80 2.13 101
Mali 2.35 125 2.13 102
Sri Lanka 2.23 110 2.14 103
Congo 2.18 107 2.15 104
Kazakhstan 2.03 78 2.15 105
Saudi Arabia 2.12 97 2.18 106
Haiti 2.08 92 2.18 107
Cambodia 2.26 115 2.21 108
Belarus 2.12 96 2.21 109
Uzbekistan 2.33 124 2.22 110
Egypt 2.26 113 2.22 111
El Salvador 2.24 112 2.22 111
Jamaica 2.27 117 2.22 113
Benin 2.16 104 2.23 114
Armenia 2.12 98 2.24 115
Niger 2.36 127 2.24 116
Turkmenistan 2.15 103 2.24 117
Bahrain 2.11 95 2.25 118
Rwanda 2.44 135 2.25 119
Kenya 2.47 136 2.25 120
Algeria 2.28 119 2.26 121
Eritrea 2.29 120 2.26 122
Venezuela 2.37 128 2.28 123
Guatemala 2.22 109 2.29 124
Mauritania 2.33 122 2.30 125
Thailand 2.38 130 2.30 126
South Africa 2.29 121 2.32 127
Iran 2.47 137 2.32 128
Honduras 2.33 123 2.34 129
Turkey 2.44 134 2.34 130
Kyrgyzstan 2.39 131 2.36 131
Azerbaijan 2.35 126 2.36 132
Philippines 2.37 129 2.42 133
Cote d’ Ivoire 2.73 151 2.42 134
Mexico 2.43 133 2.44 135
Lebanon 2.58 142 2.46 136
Ethiopia 2.63 146 2.50 137
Burundi 2.59 144 2.52 138
Myanmar 2.53 140 2.52 139
Zimbabwe 2.70 149 2.54 140
Georgia 2.51 139 2.54 141
India 2.57 141 2.55 142
Yemen 2.75 152 2.60 143
Colombia 2.63 147 2.62 144
Chad 2.49 138 2.67 145
Nigeria 2.69 148 2.80 146
Libya 2.60 145 2.83 147
Syria 3.39 160 2.83 147
Pakistan 3.11 157 2.83 149
Israel 2.73 150 2.84 150
Central African Republic 3.03 153 2.87 151
Korea, North 3.04 154 2.93 152
Russia 3.06 155 2.94 153
Congo, Democra-tic Republic of 3.08 156 3.07 154
Iraq 3.24 159 3.19 155
Sudan 3.24 158 3.19 156
Afghanistan 3.44 162 3.25 157
Somalia 3.39 161 3.39 158
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
153
Converrà quindi fare qualche cenno anche sulla
situazione del Pakistan, che viene così descritta
da uno studioso locale: I would like to highlight
this issue of democracy and political parties in
Pakistan. Almost every single political party in
Pakistan is dishonest and naïve to the core prin-
ciples of democracy, and their only objective is to
loot and plunder. ...omississ..., the most turbulent
areas in Pakistan are the tribal areas, neither the
police nor the army can enter their tribal areas.
A couple days ago, Imran Khan staged a rally, a
peace march, and he
wanted to go through
North Waziristan. But
when he arrived, just
before the entrance of
North Waziristan, the
Pakistan Army advised him not to enter the area.
They said, ‘The people you are going there with
are spread, they are stretched out to at least 12
km. If you enter now, there is no electricity and
it is going to be completely dark; and we cannot
protect you in the dark. That is the most turbu-
lent part in the area. If you want to do so you do
it on your own risk.’ So Imran Khan pulled back
all his people. The military doesn’t have access,
the police don’t have access. So this is the area
where all the killers and smugglers go and find
sanctuary. Secondly, the Taliban in Afghanistan
is their interior matter; you can’t do anything
about it. But what you can do is get a hold of
their brand, Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP).
What you must do now is disown these tribal
areas and seek help from America and other We-
stern countries to take care of Tehreek-e-Taliban
Pakistan. Those individuals who support Taliban
call themselves Tehreek-e-Taliban Pakistan and
whenever they target somebody, they kill some-
body, after one hour some of their spokesmen
come on the television and rave about how bra-
ve they are. The innocent public will continue to
suffer and we have seen thousands of death at
once. Pakistan should take care of Tehreek-e-
Taliban and get rid of these tribal areas if they
want to restore peace in Pakistan. (Moham Ikhlaq
“Conflict transformation, peacebuilding and se-
curity”, Workshop on Transforming Humiliation
and Violent Conflict, December 8-9, 2011, Colum-
bia University).
Disown these tribal
areas, ipotesi assai
grave ma opinione
condivisa anche da
alcune sfere governa-
tive pakistane visto che l’allora candidato Primo
Ministro Imran Khan in occasione di un tour elet-
torale in Dera ha detto a migliaia di sostenitori,
che avrebbe ordinato il ritiro delle truppe pakista-
ne dal Nord Waziristan e che, “The money that is
spent on the war in the tribal areas will be spent
on the welfare of the people”.
Anche per il Pakistan troviamo una buona esem-
plificazione sulla mancanza della sicurezza inter-
na sfogliando le pagine del Foreign Policy Maga-
zine- Leggiamo, ad esempio sulle uscite dell’aprile
2013: The Pakistani Taliban continue to target
secular politicians in the country’s northwest,
launching a bomb attack on Sunday that killed
Awami National Party (ANP) candidate Mukar-
ram Shah as he drove through Swat, while a se-
parate attack wounded ANP candidate Masoom
Shah as he drove through Peshawar from a cam-
paign rally. The provincial president of the ANP in
il Pakistan deve giocare un ruolopositivo nel portare pace durevole
e stabilità in Afghanistan
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014154
Khyber Pakhtunkhwa, Afrasyab Khattak, accused
the government and the election commission of
failing to take attacks on secular candidates se-
riously; negligence he said amounted to the deli-
berate sabotage of his party’s success in the upco-
ming elections. Meanwhile, at least eight people
were killed on Saturday when a bomb exploded on
board a bus in Peshawar (April 12, 2013).
At least 16 people died in Peshawar on Tuesday in a
suicide attack at a rally attended by senior Awami
National Party (ANP) leader Ghulam Ahmed Bilour,
who was the railways minister in the outgoing
Pakistan People’s Party (PPP) government . Bilour
escaped with cuts and bruises, and the Taliban
apologized for injuring him, saying the attack was
meant to target his nephew Haroon, whose father
Bashir Balour was assassinated last year. The at-
tack brought the death toll from election-related
bombings on Tuesday to 20, with four killed in an
attack on another politician in Balochistan earlier
in the day. ( April 17, 2013).
Al di là dei singoli, pur significativi, esempi gli
analisti documentano un crescendo della violen-
za interna del paese nel tempo: An Islamabad-
based think tank, the Pakistan Institute for Peace
Studies, released its “Pakistan Security Report
2013” on Sunday, revealed that sectarian violen-
ce is continuously increasing across the country
and that the number of suicide attacks increa-
sed by 39 percent . According to the report, there
were 208 incidents of sectarian-related terrorist
attacks across Pakistan in 2013, which left 658
people dead and 1,195 injured. It also noted that
suicide attacks in the country rose from 33 in
2012 to 46 in 2013. Based on the report’s num-
bers, Sindh is the most dangerous province, with
132 attacks, followed by Balochistan (33), Khyber
Pakhtunkwha and the Federally Administered Tri-
bal Areas (26), and Punjab (17). (FTP, Monday,
January 6, 2014).
Carenza di sicurezza che incide pesantemente
anche sul regolare svolgimento del confronto
politico nel paese, in particolare in quelle aree del
nord ovest ove il controllo statale appare preca-
rio. Riferisce in merito un autore locale: In Pa-
kistan’s northwest, the secular Awami National
Party is coming under sustained fire from the
Taliban, with deadly attacks and threats forcing
ANP candidates to stage small, tense meetings
rather than the large-scale rallies that usually
define Pakistani politics. Even in the southern
port city of Karachi, some 40 ANP activists have
been killed over the past six months, effectively
stifling the party’s campaign there. Asad Munir, a
retired Army brigadier who worked for Pakistan’s
intelligence agency, says, “The most effective
campaign is being run by the Taliban. They are
holding the state of Pakistan hostage, and doing
their activities as they want.”: (Daud Khattak,
“Pakistani Taliban’s deadly game of politics” FPM
19.04.2013).
Più in generale I talebani hanno dichiarato che
il sistema democratico è anti-islamico ed han-
no incoraggiato la gente a non partecipare alle
elezioni. Partecipazione comunque resa difficile
dalle particolari condizioni del paese, dove: Of
180 million Pakistanis, 37 million women and 48
million men are registered to vote, but in Khyber
Pakhtunkhwa Province and the Federally Admi-
nistered Tribal Areas, election officials fear that
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
155
Taliban threats, social taboos, and poorly organi-
zed voting drives will prevent most women from
voting in the upcoming elections. In 2008, not
a single vote was cast at many women’s polling
stations in these areas, in part due to the requi-
rement that the women have official identifica-
tion, but also because village elders forbade them
from voting. ( FPM, Thursday, April 25, 2013).
Si accompagna alla difficoltà dello svolgimento
della normale dialettica democratica una ac-
canita persecuzione verso il mondo della infor-
mazione, che giunge fino all’uccisione dei gior-
nalisti, particolarmente di quelli legati ai media
occidentali. Come riferisce ancora FPM: At least
four unidentified gunmen opened fire on the of-
fice of the Karachi-based Express Media Group,
wounding at least three people and underscoring
the ongoing threats to journalists working in the
country. The media house publishes the English
Express Tribune -- a partner publication of the
International New York Times -- and the Urdu
Daily Express, and owns the Express News televi-
sion network. While the building was previously
targeted (again by unknown assailants) in Au-
gust, the motive of this most recent attack is
still unclear and there were no immediate claims
of responsibility. Journalists demanded that the
Pakistani government arrest those responsible
within the next 72 hours, threatening to hold
countrywide rallies if they were not. According
to the Committee to Protest Journalists, 53 re-
porters have been killed in Pakistan since 1992.
(FPM December 3, 2013).
E l’infiltrazione talebana in Pakistan non si limita
più a certe aree del paese ma sembra avere anche
pienamente coinvolto le principali città e, in par-
ticolare Karachi ove, secondo quanto riferisce Zia
Ir Rehman, si conterebbero ormai 7000 militanti
talebani, che inoltre esercitano una proficua for-
ma di mafia attraverso l’obbligo del pagamento
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014156
del “pizzo” per i lavoratori emigrati dalle aeree
tribali: Far from their traditional home in Paki-
stan’s Federally Administered Tribal Areas (FATA)
and Khyber Pakhtunkhwa Province (KP), TTP mi-
litants have increasingly moved to this bustling
commercial hub to escape Pakistani military ope-
rations and U.S. drone strikes. Although the TTP’s
movement to Karachi has been visible since at
least 2009, the group began to escalate violent
activities in June 2012, threatening to destabili-
ze one of Pakistan’s preeminent cities—home to
the country’s central bank and stock exchange.
Today, evidence suggests that entire Pashtun nei-
ghborhoods in Karachi are under the influence of
TTP militants. In October 2012, a report submitted
to Pakistan’s Supreme Court claimed that 7,000
TTP militants have infiltrated Karachi.
Since June 2012, the TTP factions in Karachi
have become more brazen and violent. Dozens of
truckers in Karachi whose families live in South
Waziristan, Mohmand and Khyber tribal agencies
have paid tens of thousands of dollars during the
last year to free their family members from TTP
militants. As part of these extortion rackets, TTP
militants often threaten a Karachi-based worker,
saying that their fellow militants in FATA will kid-
nap or kill the worker’s family unless “protection”
or ransom money is paid (Zia Ur Rehmanin CTC
Sentinel. May 2013 volume 6 issue 5).
Al deterioramento della sicurezza si accompagna
anche quì, come è ovvio, un declino economico
sostanziale, come confermato dalle stesse sfere
ufficiali del governo: On Monday, as election re-
sults continued to come in with positive results
for the Pakistan Muslim League-Nawaz, Pri-
me Minister-elect Nawaz Sharif moved quickly Guerriglieri Talebani - Fonte: www.tempi.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
157
to form a new government, and named Ishaq
Dar as his finance minister . With the country’s
economy high on the party’s agenda, Dar, who
served in the post twice before, is considered the
most experienced man for the job. An expert in
finance, audits, and accounts, he would be a cri-
tical player in a country suffering a sharp eco-
nomic decline (FPM, Monday, April 22, 2013).
E riportata in sede internazionale: The chief of
the United Nations World Food Program (WFP),
Ertharin Cousin, said Sunday that Pakistan is fa-
cing a food “emergency” due to years of conflict
and natural disasters, but is receiving little aid
as donors focus on emerging and ongoing con-
flicts in other parts of the world. About half of
Pakistan’s population still does not have secure
access to food, and fifteen percent of Pakistani
children are malnourished, according to the U.N.
WFP. (FPM Tuesday, June 25, 2013).
Prospettive per l’anno 0
E’ unanime tra i paesi che costituiscono la coali-
zione ISAF la decisione di ritirare le forze militari
dislocate in Afghanistan entro il 2014. Diversi pa-
esi anzi stanno attuando un ritiro progressivo ed
anticipato.
In questa ottica il passaggio della responsabili-
tà della sicurezza interna del paese tra le forze
della coalizione e l’esercito e la polizia afgani è
in corso già dal 2011. Esso sarebbe anzi già stato
completato6, secondo quanto afferma il Journal
of Strategic Security (JSS 24 .03.2013)7: NATO
forces transferred the control of 95 remaining
districts to Afghan security forces in a ceremony
on Tuesday, completing a transition process that
began in 2011. Afghan President Hamid Karzai
said that beginning Wednesday, for the first time
since 2001, Afghan forces will lead all security
activities across the country. As the New York Ti-
mes points out, Afghan security personnel have
already taken the lead across three-quarters of
the country but after Tuesday, these forces must
operate without American air support, medical
evacuation helicopters, or partnered combat
units. The 100,000 coalition troops remaining in
the country will serve as mentors and trainers to
the growing Afghan forces, providing help in only
the most dire of circumstances.
Si pongono qui due interrogativi importanti:
il primo e se le forze di sicurezza afgane siano
pronte ad assumersi tale funzione. Il secondo è se
e quale supporto militare internazionale rimarrà
in opera dopo il 2014.
Sul primo punto esistono opinioni contrastanti e
dubbi consistenti. Sempre il JSS (24.03.2013) sol-
leva, ad esempio, il problema del soccorso sanita-
rio per le forze dell’ANA in campo: While President
Obama promised to complete the security tran-
sition in Afghanistan in his speech on Thursday,
the focus remained on training the Afghan na-
tional security forces, not providing them with
6. Anche se in modo ancora relativo, visto che l’appoggio aerotattico viene tuttora assicurato dalle forze ISAF; per non parlare di altri settori, ove la transizione è ancora parziale.7. In questo articolo faccio spesso riferimento a dati e notizie pubblicati sul Journal of Strategic Security con la semplice indicazione “JSS” e la data. Secondo quanto afferma la sua redazione The Journal of Strategic Security (JSS) is a peer-reviewed professional journal published quarterly by Henley-Putnam University. The Journal provides a multidisciplinary forum for scholarship and discussion of strategic security issues drawing.
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014158
the life-saving equipment they seem to need
most -- helicopters. According to a recent report
by the Washington Post, the U.S. evacuated 4,700
Afghan soldiers by air while the Afghan air for-
ce managed only 400 such rescues. The U.S. has
spent millions training and equipping the Afghan
air force but with only 60 helicopters in its arse-
nal, many of which are out of commission at any
given time, injured Afghan forces in remote areas
will have to wait for military ambulances and the
number of men who die from minor injuries will
increase.
Opinioni più ottimi-
stiche vengono inve-
ce espresse dai vertici
militari della NATO: As
Afghanistan prepares
for the 2014 presiden-
tial and provincial elections, NATO generals told
Afghan reporters on Wednesday that the Afghan
National Security Forces (ANSF) have the ability
to keep security for about 95% of the country’s
polling centers and combat next year’s annual
fighting season. Lt. Gen. John Lorimer, the British
deputy commander of the International Security
Assistance Force, said there are currently 350,000
ANSF soldiers and policemen and that the NATO-
led force is focused on improving their capabi-
lities. Other NATO officials noted that there are
also 13,000 Special Forces soldiers and 22,000
local police officers in the country. According to
U.S. Lt. Gen. Mark A. Milley, only 12% of Afgha-
nistan is affected by the insurgency, enabling the
Afghan forces to provide the security next year’s
election will need. (JSS, 24.03.2013).
Per converso il National Intelligence Estimate
americano formula previsioni assai più negati-
ve, specie nel caso di una mancata approvazione
del “Bilateral Security Agreement” (BSA, vedi più
oltre). Riporta infatti il FPM (Thursday, January
2, 2014): With no movement by either Kabul or
Washington to sign the Bilateral Security Agree-
ment (BSA) by the Dec. 31 deadline, a new Natio-
nal Intelligence Estimate (NIE) predicted that the
gains made in Afghanistan since 2010 “are likely
to have been significantly eroded by 2017”. First
cited by Ernesto Londoño, Karen DeYoung, and
Greg Miller in the Wa-
shington Post on Dec.
28, the intelligence
assessment predicts
that the Afghan Tali-
ban and other power
players in the region
will become more in-
fluential as the NATO combat mission comes to
an end in December 2014, especially if the BSA
-- which will determine the size and scope of any
post-2014 U.S. troop presence in Afghanistan
-- is not signed. The report, which was rejected
by Kabul as “baseless,” appears to have split the
Obama administration, with some U.S. officials
agreeing with the underlying conclusion that the
security situation in Afghanistan will deteriorate
rapidly without a continued international troop
presence and ongoing financial support, and
others arguing that the NIE doesn’t adequately
reflect the gains the Afghan security forces have
made in recent years. Spokespeople for James
Clapper, the Director of National Intelligence,
whose office coordinates the assessments, and
the CIA have declined to comment on the report
or its findings .
Le forze di sicurezza afgane sonopronte ad assumersi il compito
della sicurezza?Quale supporto militare
internazionale rimarrà in opera dopo il 2014?
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
159
Sul secondo punto manca ancora (gennaio 2014)
un accordo tra il governo afgano e gli US.
Gen. Martin Dempsey, Chairman of the Joint
Chiefs of Staff, told U.S. senators on Thursday
that there would be no American troops in Af-
ghanistan post-2014 without a signed Bilateral
Security Agreement . Speaking to members of the
Senate Armed Services Committee, Dempsey said
that while any U.S. presence in the country after
combat troops withdraw at the end of next year
is dependent on the signing the agreement, he’s
confident it will be formalized in time. Afghan
President Hamid Karzai suspended negotiations
over the agreement after the Taliban opened a
political office in Qatar. (JSS, 24.09.2013).
In particolare, una ipotesi di accordo approvata
dalla Loya Jirga (grand council) afgana, viene
boicottata proprio dal presidente uscente, Hamid
Karzai, che si rifiuta di firmarla ed accentua il suo
distacco (se non vera e propria rottura) verso l’al-
leato americano, come appare ormai di dominio
pubblico: As NATO forces marked the 12th anni-
versary of the Afghan war on Monday, Afghan
President Hamid Karzai gave a blistering inter-
view to the BBC, calling the international effort
“one that has caused Afghanistan a lot of suffe-
ring, a lot of loss of life and no gains, because the
country is not secure”. Karzai’s words come as
representatives for the two countries are trying
to restart negotiations over the stalled Bilateral
Security Agreement (BSA) that would determi-
ne the size and scope of the U.S. mission after
most combat troops withdraw at the end of next
year. In describing the agreement, Karzai said it
“has to suit Afghanistan’s interests and purposes.
If it doesn’t suit us, and if it doesn’t suit them,
then naturally we will go separate ways.” (FPM,
Tuesday, October 8, 2013).
Cercando nel contempo pretesti dilatori centrati
sulla opportunità che a firmare le BSA sia il suo
successore, che scaturirà dalle elezioni dell’aprile
20148:
But despite the personal letter from the U.S. pre-
sident, Karzai told the jirga that the agreement
should be signed after the presidential and pro-
vincial elections that are set to occur next April.
Karzai’s decision to defer signing the agreement
and leaving it to his successor had been seen as a
possibility, though it raises concerns that it could
be a potential deal breaker as the United States
had wanted a finalized and signed security pact
by the end of October. (FPM Thursday, November
21, 2013).
Distacco tra i due governi che appare anche di-
mostrato anche dalla mossa del governo Afghano
di liberare, alla fine del 2013, centinaia di prigio-
nieri talebani ancora in attesa di giudizio ed im-
putati di gravi reati contro l’esercito afgano e le
forze della coalizione, mossa chiaramente osteg-
giata dal governo americano.
8. The other contested issue, the immunity from Afghan law for U.S. troops who commit crimes in Afghanistan, also appeared to have been resolved, with the United States maintaining jurisdiction over their security forces and contractors. According to Article 13 of the draft BSA, “Afghanistan, while retaining its sovereignty, recognises the particular importance of disciplinary control, including judicial and non-judicial measures, by the U.S. forces authorities over members of the force and of the civilian component.” Karzai then returned to the stage and insisted that “America cannot kill anyone in their homes,” ending the assembly session in a rather dramatic fashion. He also demanded that U.S. soldiers immediately cease conducting raids on Afghan homes, an issue that had resulted in an impasse during last week’s negotiations over the pact’s text, but one that had seemingly been resolved. (FPM Monday, November 25, 2013)
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014160
L’atteggiamento tenuto da Karzai sembra avere
intanto una influenza negativa sulla situazione
generale del paese, producendo un clima di incer-
tezza con pesanti conseguenze sugli investimenti,
come lo stesso Karzai sembra riconoscere: As he
spoke to reporters in New Delhi on Saturday, Karzai
said that he understood his defiance of the United
States by not signing the BSA would have “serious
consequences,” noting that the “Afghan people are
short of resources. Our military and police will suf-
fer” . While there are concerns over what a comple-
te withdrawal of U.S. troops -- a “zero option” thre-
atened by Washington if the BSA is not signed soon
-- will mean for Afghanistan’s security forces, Khalil
Sediq, the chairman of the Afghanistan Banks As-
sociation, noted on Monday that Karzai’s stance on
the BSA has also caused a flight of capital from the
country . Speaking at a meeting in Kabul, Sediq said
uncertainty about the country’s future has led to
declining investments and a hesitation to expand
businesses. (FPM,Monday, December 16, 2013).
In assenza di tale accordo si fa strada negli US
anche una cosiddetta “zero option”, cioè un ritiro
integrale delle forze americane dopo il 2014. Come
riporta infatti il JSS: As the U.S.-Afghan relationship
continues to deteriorate, President Obama is se-
riously considering a “zero option,” speeding up the
withdrawal of U.S. forces from Afghanistan and
bringing home all U.S. troops by the end of 2014,
according to the New York Times. American and
European officials familiar with the situation say
that a recent video teleconference between Obama
and Afghan President Hamid Karzai ended badly,
and that a military exit once seen as a worst-case
scenario is being considered a possible alternative.
There are currently 63,000 U.S. troops in Afghani-
stan, a number that is scheduled to go down to
34,000 by next February. The option now under
consideration would withdraw the bulk of U.S. sol-
diers - if not all - by next summer, after the annual
fighting season winds down. (JSS, 24.09.2013).
Artificieri al lavoro dopo un attentato - Fonte: www.ilgiornale.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
161
Minacciata poi chiaramente dallo stesso amba-
sciatore Americano, secondo quanto riporta FPM
(Monday, November 25, 2013).
James Cunningham, the U.S. ambassador to
Afghanistan, declined to comment on Karzai’s
closing statements, saying only: “I am gratified
that the loya jirga, which represents the Afghan
people, overwhelmingly offered support for the
bilateral security agreement and asked President
Karzai to sign it by the end of next month”. The
United States has said it will pull all of its forces
out of Afghanistan - the so-called “zero option”
- without a signed agreement, a stance that has
been echoed by most of America’s coalition allies.
Tale soluzione viene però dai vertici militari USA ri-
tenuta disastrosa come afferma il Gen. Martin Dem-
psey, Chairman of the Joint Chiefs of Staff: During
the hearing, Dempsey also said that a faster pullout
of U.S. troops or leaving no troops behind - the so-
called “zero option” - would “likely compromise the
sustainability of the ANSF [Afghan National Securi-
ty Force]. It would also impact our ability to retro-
grade all our personnel and equipment”.
Secondo il generale gli Stati Uniti dovrebbe man-
tenere truppe in Kabul e nei “quattro angoli” del
paese, dove gli USA dovrebbero avere centri ad-
destrativi regionali9.
Anche la NATO si sta muovendo per trovare un
accordo sullo stato delle forze NATO dopo il 2014,
ma la trattativa tra Governo afghano ed alleanza
Atlantica rispecchierà, ovviamente le condizioni
del BSA. Scrive infatti Janes: Kabul begins SOFA
talks with NATO, but bilateral deal with US re-
mains crucial. NATO and Kabul have begun nego-
tiations on a status of forces agreement (SOFA)
for the alliance’s post-International Security
Assistance Force (ISAF) presence in Afghanistan
after 2014, NATO said on 21 December. The an-
nouncement comes amid Washington’s continu-
ing pressure on Kabul to first sign a bilateral se-
curity agreement (BSA) for US troops after 2014
(Janes, first posted on 24 December 2013).
Anche se questa situazione apparirà in qualche
modo definita quando uscirà questo articolo,
essa testimonia ulteriormente le difficoltà di re-
lazione tra gli alleati ISAF e il governo afgano.
La preoccupazione di sostenere la ANSF non è
d’altronde solo NATO. Anche la Russia, ad esem-
pio, cerca di dare un contributo a tale sostegno,
secondo quanto riferisce Janes [first posted on 06
May 2013].
Russian and NATO officials have agreed to bol-
ster their support to the nascent Afghan Air Force
(AAF), which flies several aircraft of Russia origin.
Sergey Lavrov, Russia’s foreign minister, and his
NATO counterparts agreed during a NATO-Russia
Council (NRC) meeting in late April to increase
9. Obama e la sua amministrazione debbono anche tener conto della generale ostilità della opinione pubblica del paese verso la guerra in Afghanistan. Secondo FPM, infatti, Two-thirds of Americans say the war in Afghanistan has not been worth fighting, according to a new ABC News/Washington Post poll released on Thursday, “matching peak criticism of the war in Iraq” . The poll, which was conducted from Dec. 12 to Dec. 15, found that the criticism of the war held majorities across all demographic groups, though independents and liberals (71 and 78 percent, respectively) were more critical than conservatives (61 percent). However, despite the criticism and the recent standoff between Washington and Kabul over the Bilateral Security Agreement, 55 percent favored keeping some U.S. troop presence in the country for training and counterinsurgency purposes. (FPM Friday, December 20, 2013)
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014162
their efforts to help maintain the AAF’s growing
helicopter fleet.
Più in generale i paesi NATO partecipanti alla mis-
sione ISAF appaiono tutti d’accordo nel terminare
qualsiasi operazione di combattimento in Afgani-
stan entro il 2014, conservando ruoli logistici ed
addestrativi come riferisce il JSS (August 16, 2013).
“We have just endorsed the detailed concept of
our non-combat mission in Afghanistan” to gui-
de military planners as they prepare NATO’s advi-
ce and training program, alliance head Anders
Fogh Rasmussen said.
Rasmussen said “Re-
solute Support”, will
be based on a “limi-
ted regional appro-
ach”, with operational
centers in Kabul and
around the country to train and advise some
350,000 Afghan government troops.
Asked about staffing levels for the new mission,
Rasmussen said: “We have not decided the exact
number.”
In questo quadro di incertezza politico militare si
inserisce una trattativa diplomatica tra il governo
afgano (unitamente agli USA) e i leader dei princi-
pali movimenti degli insurgents (i talebani), diretta
ad instaurare colloqui di pace con l’obiettivo di ar-
rivare alla formazione di un governo inclusivo delle
principali forze in campo, formazione forse agevo-
lata dall’annuncio dell’attuale presidente Karzai di
volersi ritirare dalla vita politica10. Scrive in merito
Janes (first posted on 19 June 2013): Agha Jan
Muhtasim, a senior Taliban leader, had announced
in an interview that the group was in favour of ne-
gotiations with the Afghan government, and was
not looking for the restoration of an Islamic emi-
rate akin to its previous rule in the country. On 18
June the Taliban also announced that it would take
part in peace talks with US and Afghan officials in
Doha, Qatar, where it will open a political office
Atteggiamento poi confermato dal Mullah Omar,
come riportato dal
JSS (6.08.2013): In a
recorded message re-
leased on Tuesday to
mark the Muslim fe-
stival of Eid al-Fitr, a
three-day celebration
that closes the holy month of Ramadan, Afghan
Taliban leader Mullah Mohammed Omar said
that his fighters will not seek to monopolize po-
wer in Afghanistan after foreign troops withdraw
next year, and that the group will work to create
“an inclusive government based on Islamic prin-
ciples”...omissis...”Omar’s statement was released
the same day as an Associated Press report that
said members of the Afghan Taliban and the Kar-
zai government have been secretly meeting in an
effort to jumpstart the reconciliation process that
has been on hold since the June opening of the
Taliban’s political office in Qatar. The talks, which
were confirmed by Afghan officials, have been oc-
La preoccupazione di sostenere le forze di sicurezza afgane non è
d’altronde solo NATO. Anchela Russia è interessata
10. Afghan President Hamid Karzai made clear on Wednesday that there is “no circumstance that will allow [him] to stay as president,” and he will not make any attempt to run in the April 2014 elections . Karzai gave two reasons: “One is, I’m exhausted. Really, totally exhausted and I would like to be retired. And second, why would I ruin my legacy by staying on and taking an opportunity away from Afghanistan to become an institutionalized democracy?” (JSS, May 22, 2013). Il presidente Karzai viene poi giudicato da alcuni autori come non particolarmente idoneo al difficile compito di pacificare e riorganizzare il paese. Vedi in merito Adriana Zobrist Galàd (2012, op. cit. p.21)
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
163
curring on an individual and informal basis, and
are focused on creating the conditions for formal
negotiations between the Taliban and the Afghan
High Peace Council.
Questo pur confermando “ his belief that next
year’s presidential election (programmate per
l’aprile 2014) is a “waste of time”. Infatti I tale-
bani non hanno smesso di scoraggiare gli afgani
a partecipare alle elezioni e continuano a bollare
i candidati come attivisti del governo di Kabul,
nonché a mettere in opera tutte le possibili azioni
idonee a disturbare il processo elettorale.
Comunque da parte governativa il processo elet-
torale va avanti, come testimoniato anche dalla
edizione del 15 agosto 2013 del JSS che recita.
Afghan President Hamid Karzai recommended
in a meeting last week that Abdul Rab Rassoul
Sayyaf, a powerful ex-jihadi leader, be nominated
as a candidate in next year’s presidential election,
(potentially ending months of speculation about
whom he would support). According to Syed Fazl
Sancharaki, a spokesman for the National Coali-
tion Party, Karzai’s announcement came during a
meeting with political party representatives and
former jihadi leaders. Mohammad Daud Kalkani,
a leader of Sayyaf’s party, confirmed the meeting
had taken place but denied that Sayyaf’s candi-
dacy had been discussed.
Sulla possibilità poi che elezioni si svolgano in una
cornice di sicurezza le opinioni sono contrastanti.
Mentre la ANSF si dice sicura di poter garantire il
regolare svolgimento delle elezioni dell’Aprile 2014,
il Free and Fair Election Foundation of Afghanistan
(FEFA) ha rilasciato un rapporto che prefigura con-
dizioni di insicurezza, possibilità di frodi e riferisce
violazioni delle regole di registrazione già in questa
fase preparatoria delle elezioni stesse.
La sindrome del disimpegno
Similmente a quanto era già accaduto per il Viet
Nam, la sindrome del disimpegno delle forze della co-
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014164
alizione dall’Afghanistan si è già sviluppata nel paese
e costituisce un sintomo abbastanza chiaro di una
valutazione pessimistica del “dopo 2014” da parte di
settori significativi della popolazione afgana.
Ciò si rivela in una serie di testimonianze sulla
tendenza degli afgani che hanno collaborato
con ISAF ad ottenere un “passaporto per l’occi-
dente”. Riporta ad esempio il Journal of Strate-
gic Studies: Afghans who have worked for the
U.S. military wait anxiously for responses to their
applications for American visas as NATO acce-
lerates its transition out of Afghanistan, with
interpreters bearing the brunt of Taliban attacks
on Afghans who have supported Western forces.
But a very small proportion of the applications
have been accepted so far, due in large part to
issues with the program itself. Only 7,500 visas
are available to Afghans, compared to 25,000 for
Iraqis who were involved in the U.S. war effort
there. And for Afghans, only spouses and depen-
dent children are allowed to join the applicant,
excluding parents, siblings, and non-dependent
children. (JSS May 14, 2013).
E non soltanto per gli US: In welcome news, the Bri-
tish government released a proposal Wednesday
that will allow six hundred Afghan interpreters
who have worked with British troops for more
than a year to relocate to Britain on a five-year
visa. Those who do not meet the year-requirement
will be given training and education packages
with the Afghan security forces and wages equal
to their current salaries (JSS,May 21 2013).
As U.S. troops begin to withdraw from Afghani-
stan, many Afghans who have supported the co-
alition forces as translators, mechanics, cleaners,
and drivers are suddenly finding themselves wi-
thout jobs. In addition to losing an income than
was often greater than that of typical semiskilled
Afghan jobs, many of these former employees
fear retaliation from the Taliban. Though the U.S.
does offer a Special Immigrant Visa program for
Afghans who provided “faithful and valuable
service to the U.S. government,” such visas are
limited to 1,500 a year. (JSS , July 15, 2013).
Fenomeno che si estende anche ai diplomatici in
missione all’estero: the New York Times reported on
Friday that more than 60 percent of Afghan diplo-
mats do not return home after their assignments
end. The Times report follows one from the German
paper Der Spiegel, which said that of the 105 diplo-
mats who were supposed to report for duty in June,
only 5 appeared in Kabul. (JSS, August 13, 2013).
E tutta quest’ansia appare giustificata dalle minacce
ripetutamente rivolte dai talebani agli afgani che
collaborano con le forze della coalizione, come, ad
esempio, riporta il JSS (Friday, May 17, 2013).
Hezb-i-Islami, the militant group responsible for
yesterday’s suicide bombing, said Thursday’s at-
tack marked the start of a stepped-up campaign
against foreign troops in Afghanistan and promi-
sed more such assaults. While HaroonZarghoun,
a group spokesman, said U.S. military advisors
were the specific targets in this attack, another
spokesman, Zubair Sediqqi, stated they would
also target Afghans working with foreigners. Mi-
nacce che hanno già avuto concrete applicazioni
locali come riferisce Pajhwok (Agosto 2013) Tali-
ban militants cut off hands and feet of two men
they accused of helping escort NATO convoys.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
165
Uno degli aspetti significativi del processo di de-
mocratizzazione dell’Afghanistan riguarda gli sfor-
zi compiuti (ed i risultati ottenuti) dalle forze della
coalizione per migliorare la posizione della donna
nella società afgana. Accesso alla istruzione, at-
tribuzione di elettorato attivo e passivo, addolci-
mento delle misure penali repressive, sono alcuni
dei settori in cui l’intervento internazionale si è
cimentato e che rappresentano un aspetto fonda-
mentale del processo di democratizzazione della
società civile di quel paese. Come afferma infatti
Simone Baschiera (Baschiera, 2013 pag. 213): toc-
cherà alle donne muovere il paese verso il XXI se-
colo, sollevando l’Afghanistan dal buco nero della
arretratezza tribale e dalla società di clan.
Ma tutte le misure prese ed i risultati ottenuti ri-
schiano di essere vanificati11 con il disimpegno an-
corchè parziale delle forze della coalizione, come
viene già paventato da chi si è occupato attiva-
mente del processo di affrancamento della donna
in Afghanistan: In an op-ed for the Washington
Post that was published on Thursday, former first
lady Laura Bush warned that the hard-won achie-
vements of women and girls in Afghanistan over
the last 12 years are at risk of being reversed. She
noted that, just as the civilian death toll has ri-
sen dramatically over the past year, the death
rate for Afghan women and children rose by 38
percent during the same time period. While Bush
highlighted the efforts of female members in Af-
ghanistan’s parliament, the American University
11. Scrive ancora Baschiera ( Baschiera 2013 pag 195): Il problema in ambito islamico della educazione scolastica delle donne, accomuna Afghanistan e Pakistan. In ambedue i paesi, i talebani Pashtun vogliono con determinazione e decisione, talvolta crudele, eliminare le scuole per le ragazze islamiche…..omisssis….le donne afghane di tutte le età, stanno tentando di affrancarsi dalla costrizione in cui il credo islamico le ha rinserrate come in un cilicio, trasportato dal medioevo ai tempi moderni… Fonte: rickrozoff
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014166
of Afghanistan, non-governmental organizations,
and U.S. companies to increase opportunities for
women, she worried that “the message we are
sending to Afghan men, women and children is
that their lives are not worth our time or atten-
tion.” She implored readers to let Afghans know
that the United States will stand with them as
they continue their fight for freedom. (FPM Friday,
November 15, 2013).
Ed il problema si presenta sotto diversi aspetti e
con diverse sfaccettature, come la seguente testi-
monianza mostra: Reports of the deaths emerged
as women’s rights advocates began expressing
concern over the fates of Afghan female prisoners
once foreign troops withdraw from the country.
One report cites the case of Farina, who like most
Afghans goes by one name. Farina is serving a 20-
year sentence in Herat province for stabbing her
husband to death after he sold their three-year-
old daughter to support his drug habit. While the
first four years of her incarceration have been
relatively comfortable -- foreign aid donors have
ensured regular meals, heating, and healthcare
-- as the Italian Provincial Reconstruction Team,
which is the prison’s main benefactor, winds down
its operations, that could change. Advocates are
concerned about what will happen to these priso-
ners, as many Afghan attitudes towards women
have not changed, and the government’s limited
resources will likely go towards fighting the Tali-
ban instead. (FPM Friday, December 20, 2013).
Da alcune fonti poi si sostiene che la posizione
della donna nella società afgana sia già peggio-
rata nel 2013. Scrive FPM (Monday, January 6,
2014).
Violent crimes against women in Afghanistan
topped previously reported numbers to hit record
levels in 2013 and became increasingly brutal,
according to the Afghanistan Independent Hu-
man Rights Commission (Reuters). Sima Samar,
the chair of the commission, told Reuters that:
“The brutality of the cases is really bad. Cutting
the nose, lips, and ears. Committing public rape.
Mass rape... It’s against dignity, against humani-
ty.” Samar attributes the increase in crimes to a
culture of impunity and the impending departure
of international troops and aid workers, which
she believes will leave Afghan women more ex-
posed to attacks.
Conclusioni
Come ha scritto recentemente Adriana Zobrist
Galàl , (Zobrist 2012, p. 6): Despite the lessons
of history, the international community became
involved in a conflict from which an exit would
be hard to envisage and in which success would
be difficult to define, let alone to achieve. One of
the key elements contributing to this status is the
problematic nature of the goal of building a We-
stern-style state structure in the context of a tribal
society wracked by ongoing conflict.
Appare chiaro che nessun annuncio di vittoria o
di “missione compiuta”, alla Bush junior per inten-
derci12, potrà essere dato dagli USA e dai loro alle-
ati in Afganistan. Potrà forse qui essere applicato
il concetto di “vittoria sufficiente” di Yaakov Ami-
dror13, il cui significato potrebbe essere quello di
avere tolto ad Al Queda un sicuro santuario come
quello afgano da cui far partire i suoi attacchi
all’Occidente e di avere avviato una lenta moder-
nizzazione e parziale democratizzazione del paese.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
167
Gli analisti che si sono occupati del tema preve-
dono scenari futuri come:
1. Un precario equilibrio dinamico tra gli insur-
gents e le forze di sicurezza afgane, appoggiate
comunque dalla NATO, ove il potere centrale può
esplicare capacità di governance soltanto in alcu-
ne aree centrali, lasciando buona parte del paese
a forme di potere locale e periferico (non sempre
eversivo). (Claudio Bertolotti in Osservatorio Stra-
tegico del CEMiSS. Prospettive 2013).
2. Un paese che rimane povero, instabile, con
una persistenza con-
flittuale sia politica
che militare: tuttavia
è una situazione che
non dovrebbe portare
ad un collasso dello
Stato Afgano, becau-
se the centre of government in Kabul has been
reconstituted to the extent that it will manage
to hold together, place limits on the ability of the
insurgents to operate within the country and on
exterior actors who seek to exacerbate internal
instability. (Nicholas Redman (Editor), Toby Dod-
ge (2012) “Afghanistan to 2015 and Beyond” (The
Adelphi books) [Kindle Edition].
In ambedue i casi si tratta di previsioni sostanzial-
mente ottimistiche circa il raggiungimento quan-
tomeno di quella “vittoria sufficiente” di cui ho
parlato più sopra. Ed in effetti Redman e Dodge
concludono essi stessi Overall, the book argues
for a cautious but highly constrained optimism.
Tuttavia queste analisi sembrano non tenere suf-
ficientemente conto della stretta complementa-
rità dei due paesi esaminati in questo articolo,
Afganistan e Pakistan. Non è infatti senza rilievo
quanto affermato dal generale afgano Sher Mo-
hammad Karimi, e cioè che il conflitto interno af-
gano potrebbe essere risolto in poche settimane
se il Pakistan non offrisse nel suo territorio sicuri
santuari agli insurgents (vedi sopra). Ma il vero
problema è che, ammesso che esista nella lea-
dership pakistana una
ferma volontà di at-
tuare questo disegno,
sembra che il governo
pakistano non abbia
proprio la capacità
politico militare di
controllare i suoi territori confinanti con l’Afga-
nistan, quali il Nord Waziristan.
Appare quindi possibile che si consolidi in tali
territori e nelle adiacenti aree afgane un sorta
di ampia zona franca, priva di qualsiasi control-
lo governativo, nazionale o internazionale, zona
idonea a costituire un sicuro santuario alle nu-
merose sigle eversive operanti oggi nel mondo,
con particolare riguardo ovviamente a quelle di
matrice islamica.
Si tratta di una prospettiva che potrebbe mettere
in discussione quel principio di vittoria sufficien-
te sopra evocato, malgrado gli enormi sacrifici,
Appare chiaro che nessun annunciodi vittoria o di “missione compiuta”,
alla Bush junior per intenderci,potrà essere dato dagli USA e dai
loro alleati in Afghanistan
12. Il 1º maggio 2003 il presidente Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln (che aveva partecipato alle operazioni in Iraq e stava rientrando alla base) e vi tenne un discorso avendo alle spalle uno striscione che diceva Mission Accomplished. Nel suo discorso Bush proclamò la conclusione delle operazioni militari su larga scala in Iraq.13. Lo studioso israeliano Y. Amidror osserva che ‘The approach of the Western alliance toward limited counterinsurgency wars has been, on the whole, very negative. ... This monograph demonstrates that, contrary to popular belief, military forces can indeed defeat terrorism by adopting an alternative concept of victory, called “sufficient victory”.’ (Amidror, 2008: 3), dove “vittoria sufficiente” indica una situazione nella quale la parte debole del confronto asimmetrico, anche se non è stata completamente sconfitta, tuttavia è stata posta in condizioni di non raggiungere i propri obiettivi.
Polemos: lo scudo di Achille
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014168
umani ed economici, sostenuti dai paesi della
coalizione dall’inizio del conflitto afgano ad oggi.
Ecco perché mi sento di concludere questo saggio
con le parole di Adriana Zobrist Galàl con le quali
ho iniziato questo paragrafo: Despite the lessons
of history, the international community became
involved in a conflict from which an exit would
be hard to envisage and in which success would
be difficult to define, let alone to achieve.
Giuseppe CaforioVicepresidente del “Centro Interuniversitario di studi storici militari”
Bibliographical References
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Wars: The Israeli Experience.” JCPA Strategic Perspecti-
ves, June, 23.
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oria e realta’”, in American Legacy, edited by “Società
Italiana di Storia Militare”, Quaderno 2012- 2013: pp
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for Afghanistan,” Thursday, April 25, 2013, Women’s Na-
tional Democratic Club, VNDC Event Thursday, April 25,
2013Moham Ikhlaq
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2011 Workshop on Transforming Humiliation and Vio-
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of structures in the reconstruction of Afghanistan”, in
Connections Vol. XI, No. 2, Spring 2012, pp5- 36
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
169
l recente scandalo che coinvolge
membri del governo turco a seguito di
intercettazioni illegali effettuate nien-
te meno che ai danni del ministro degli Affari
Esteri Davutoglu ci riporta indietro di almeno un
secolo. Non che di scandali ne siano mai mancati,
e si fanno oramai cose turche un po’ dovunque.
Ma è l’oggetto della conversazione intercettata
ad interessarci, e tralasceremo qui un’opinione
politica del fattaccio, e fingeremo di non averne
una che invece è maturata da tempo.
Si diceva dell’oggetto del contendere: la Turchia
considererà un attacco al suolo turco, e dunque
ad un paese NATO, ogni violazione della sovranità
turca sul luogo di sepoltura di Suleyman Shah.
Sin qui nulla da eccepire, salvo che Suleyman
Shah, che poi fu il nonno di Osman I, fondato-
re dell’Impero Ottomano, morì nel lontano 1236,
annegando sulle rive del fiume Eufrate. Sì, l’Eu-
frate della Bibbia e della Mezzaluna Fertile; desti-
no che nell’epoca precedente la grande Cementi-
di Giulio Prigioni e Luca Zanni
“E di cani e d’augelli orrido pasto lor salme abbandonò”
Omero, I’Iliade
Un’exclave turca in pieno territorio siriano: la tomba di Suleyman Shah
La Turchia considererà un attacco al suolo turco, e dunque ad un paese NATo, ogni violazione della sovranità turca sul luogo di sepoltura di Suleyman Shah
I
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ficazione e le teorie keynesiane sulla costruzione
di dighe e ponti capitò, per dire, anche a Federico
Il Barbarossa (quello della Lega Lombarda), che
morì, sempre annegato in un fiume, sempre in
Turchia, nel 1190.
Solo che la tomba di Suleyman Shah non si trova
più in Turchia, ma in Siria. Con il crollo della di-
nastia ottomana e il successivo trattato di Angora
(cioè di Ankara come divenne nota dopo Atatürk)
del 20 ottobre 1921, il Ministro Franklin-Bouillon
per la Francia (la Siria era sotto influenza francese)
e Youssuf Kemal Bey per la neonata “Turchia” si
accordarono proprio su questo punto: Articolo 9
“Le tombeau de Suleiman Chah, le grand-père du
Sultan Osman, fondateur de la dynastie ottomane
(tombeau connu sous le nom de Turc Mézari), situé
à Djaber-Kalessi restera, avec ses dépendances, la
propriété de la Turquie, qui pourra y maintenir des
gardiens et y hisser le drapeau turc”.
Parole sante verrebbe da dire, e così è a tutt’oggi; la
tomba, che fra le altre cose è anche stata spostata
agli inizi degli anni ’70 a causa di una diga (la stessa
tecnica di Abu Simbel… si ricordi cosa fa dire Lewis
Carroll ad Alice nel Paese delle Meraviglie… «I ricordi
non stanno mai fermi»...), è oggi una exclave turca in
pieno territorio siriano, occupa una superficie di cir-
ca ottomila metri quadri, ospita qualche soldato con
funzioni più che altro scenografiche, e vi sventola
la bandiera turca. Nè si deve pensare che sia l’unica
exclave simile esistente. La stessa Turchia ebbe per
un certo numero di anni una famosa exclave da-
nubiana, l’isola di Ada Kaleh, che divenne il rifugio
di contrabbandieri e pirati fino a che fu sommersa
(altra diga altro regalo) negli anni ’60.
E vi sono enclaves ed exclaves ovunque, dalla no-
stra Campione d’Italia (apparteneva alla diocesi di
Milano), Baarle Nassau tra Belgio e Olanda, Llivia
che è spagnola ma circondata interamente dalla
Francia, Ceuta e Melilla con le Plazas de Sovera-
nia (si riveda l’articolo del Centro Cipolla dal Cir-
colo Militare di Melilla), lo furono Tangeri e Ifni,
lo sono Busingen in Svizzera et cetera. Lo furono
Tranquebar (enclave danese in India, che nessuno
ricorda mai mentre si ricordano sempre in India
Pondichèry, Goa, Daman e Diu).
Vi sono poi exclaves de facto, il cui stato non è
realmente regolato, come il Sacrario Militare
Italiano ad El Alamein in Egitto, o la tomba di
Gustavo Adolfo di Svezia a Luetzen, nell’attuale
Sassonia (vi morì nel 1632, alla fine della guerra
dei Trent’Anni).
E chi potrebbe negare che, come il sito di Tiwinza,
di proprietà dell’Ecuador ma in territorio peru-
viano (vi perirono soldati ecuadoriani durante la
cosiddetta guerra del Cenepa e costituisce un im-
portante riferimento nazionale in Ecuador, tanto
da essere esplicitamente inserita nel trattato di
pace di Itamaraty del 1995, in cui l’Ecuador ri-
nunciò a considerarsi paese amazonico, pretesa
a cui aveva diritto proprio grazie a un piccolo ri-
gagnolo che si immetteva nell’idrografia del Rio
delle Amazzoni, il Cenepa appunto), così non ap-
partenga un po’ agli Stati Uniti anche Iwo Jima, o
Adua e l’Amba Alagi un po’ all’Italia, e Fashoda e
Dien Bien Phu un po’ alla Francia?
I morti si appropriano sempre del terreno in cui
sono sepolti:
If I should die, think only this of me:
That there’s some corner of a foreign field
That is for ever England. There shall be
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Polemos: lo scudo di Achille
171
In that rich earth a richer dust concealed;
A dust whom England bore, shaped, made aware
(Rupert Brooke)
Anzac Cove, nell’attuale Turchia, appartiene in
fondo all’Australia e alla Nuova Zelanda come la
tomba di Napoleone (che il Centro Cipolla ha avu-
to il privilegio di visitare sull’Isola di Sant’Elena)
appartiene alla Francia.
Applicare concetti del XIX secolo all’era di Inter-
net in fondo non ha più molto senso, e la pietà
verso i caduti e l’attaccamento a simboli nazionali
sarà sempre più forte di qualunque Cancelleria. La
Turchia fa bene a difendere la tomba di Suleyman
Shah, è in gioco il suo passato, e come Alice, non
deve scordare che il passato e la storia mutano
sempre, come mutiamo noi che ricordiamo.
Fu l’Eufrate a sommergere l’originaria tomba di
Suleyman Shah, ma fu la mano dell’uomo a de-
cretarne la fine. Si diede elettricità alla Siria e si
creò un lago artificiale, che esiste fino ai nostri
giorni indisturbato e tranquillo: il lago Assad.
Giulio PrigioniGià Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario d’Italia in Bielorussia e Lituania, Presidente Istituto “C.M. Cipolla” Luca ZanniCentro Studi “C.M. Cipolla”
172 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
he recent intervention, or rather a
disguised invasion, by Russia in the
former Ukrainian region of Crimea has
warned the EU Member States and led them to
reflect on whether they can carry on with cut-
ting their military capabilities without fearing the
consequences. In response to the global econom-
ic crisis, the European defence budget has fallen
from $200 billions in 2008 to $170 billions today.
Compared to the current occurrences which are
threatening Europe’s security, such financial cut
to the European defence budget appears at least
controversial and brought international analysts,
as well as some governments, to wonder whether
this defence-spending review is or not the best
way to save money and ensure security.
Under a rational point of view, the right response
to a reduced defence budget should be to deepen
the cooperation and responsibility among the
EU governments rather than keeping to protect
each national operational control and defence
Scenari &Prospettive
di Matteo Marsini
Who Needs the European Army?European military capabilities between international threats and national protection
Europe itself needs a common defence while the majority of its members do not. Since security cannot be anything but a subject of national exclusive jurisdiction, Great britain will not accept any Eu additional commitment
T
Scenari & Prospettive
173Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
industry. Europe can no longer afford to be ab-
sent and miss the chance to run a pivot role con-
cerning the international crisis which affects the
EU security or its interests and no less requires
a military involvement. Such logical approach
would eventually concentrate available funds on
a common defence project, avoiding both useless
duplications of effort and the development of
weaken separate national forces, while improving
the role of the European Union as a geopolitical
power in terms of credibility and concreteness.
As a result, this regional scenario, compared to
international changes such as the conflicts in
Syria, Mali and Ukraine, is persuading some Eu-
ropean governments to engage in a more serious
consideration of security as an issue in common.
The civil war which is afflicting Syria since the
first riots bursted in 2011, clearly showed the
inefficacy and unsuitability of the European
Union’s foreign policy. Together with the inter-
national inaction the EU weakness marked also
the failure outcome of the diplomatic peace talks
held in Geneva last January 22nd 2014.
On the other hand the crisis in Mali, tackled
thanks to the French unilateral military initia-
tive in January 2013 (Operation Serval), outlined
the need for Europe to improve its defence ar-
chitecture in terms of cooperation and strategy.
Such need, acknowledged in particular by France,
led to the defence summit of the EU Council
where President François Hollande called for an
operational permanent fund aimed to finance
the military commitment of European national
forces. The Council, held in Brussels on the 19th
and the 20th December 2013, first of all met the
scepticism of several Member States to cede their
operational control in conflicts to a European
command. The Council therefore did not reach
any significant step and responded feebly to any
particular request.
Illustrazione © M.Marsini
174 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
Among the most sceptic countries Great Britain
played a leading role, criticizing that «France has
decided for good reason to engage in Mali uni-
laterally», a British spokesman asserts, «nonethe-
less they now expect Europe to pay. It is not that
simple».
Moreover, during that same Council, the British
Prime Minister David Cameron confirmed that
«since security cannot be anything but a subject
of national exclusive jurisdiction, Great Britain will
not accept any EU additional commitment neither
to help any European national force engaged in a
mission of European interest, nor to promote the
development of any common defence because»
continues Mr. Cameron «a shared defence system
already exists and it is called NATO».
The United Kingdom, which is together with
France one of the two big military powers in Eu-
rope, has nonetheless cut its defence budget by
8% since 2010 and foresees to cut even more by
the end of 2015. In order to counterbalance such
financial loss, the government of London signed
on the 2nd November 2010 a bilateral agreement
with Paris which sets out a 50-year military co-
operation. The so called Lancaster House Treaties
between Britain and France, ensure defence and
security cooperation as well as an exchange of
operational matters and a collaboration on the
technology associated with nuclear energy in
support of both countries’ independent nuclear
deterrent capabilities.
It has to be stressed that despite the Lancaster
House Treaties are bilateral agreements between
two EU Member States, in line with the British
perspective of security as a national exclusive ju-
risdiction, they neither have any formal link with
the European Union’s Common Security and De-
Illustrazione © M.Marsini
175Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
fence Policy, nor they do use the separate Lisbon
Treaty’s Permanent Structured Cooperation facil-
ity or do involve the European Defence Agency.
The UK-France cooperation, out of any European
framework, does not help the EU to develop its
defence architecture, rather it marks the distance
between the single national military care and
the European unsuitability to do the same. Since
EU States invest little in military research and
development, cooperation among EU Members
becomes even more essential. Nonetheless such
collaboration must be placed into a real com-
mon frame or, like the Lancaster House Treaties
eventually do, it will end to protect the national
industries leaving Europe with a redundant and
overpriced production of equipment and a pre-
dictable loss of competitiveness both on regional
and international markets.
It is therefore not just a matter of cooperation,
the European Union needs a defence strategy to
share too. Here comes the problem: it appears at
least meaningless to talk about a common de-
fence without a shared strategy and at the same
time it looks useless to believe that there can be
a real European foreign policy without a com-
mon defence. The EU Member States’ lack of will
and capability to set aside their own priorities in
favour of a general involvement in the field of
defence marks a clear conflict of interests which
stands out in terms of inaction while Europe
tries to face the growing instability on the EU’s
doorstep. That is what it is happening once more
with the Ukrainian issue these weeks where, after
more than a month of pointless sanctions against
Russia, the EU finds itself again powerless and
sadly gets prepared to witness to another failure
of a peace talk. That eventually might be the case
of the Geneva agreement aimed to calm Ukraine
tensions signed last 17th April 2014 by EU, US,
Russia and Ukraine.
Who does really need the European army? Given
such scenario, a unified EU security policy seems
as far as it always has, relegating the European
Union main contribution to global security and
stability only in terms of training and general
support. It therefore appears that Europe itself
needs a common defence while the majority of
its members do not. As a result there will be no
European army as long as the main EU powers do
not engage in. Britain will definitely not.
Matteo Marsini London, UKEsperto di Relazioni Internazionali e Diritto Internazionale
176 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
risultati definitivi ancora non ci sono,
in alcuni distretti – a causa di irrego-
larità riscontrate – si dovrà votare di
nuovo a giugno: ma le elezioni amministrative del
30 maggio in Turchia hanno un chiaro vincitore,
il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) –
guidato dal premier Recep Tayyip Erdogan– che
ha conquistato il 45% circa dei consensi e qua-
si metà dei comuni (a Istanbul la vittoria è stata
nettissima, ad Ankara di misura e contestata con
accuse di brogli); gli avversari: il Chp kemalista
si è fermato al 28%, il Mhp nazionalista è salito
al 16%, il Bdp/Hdp filo curdo ha ottenuto il 6%.
L’affluenza è stata poi molto elevata anche per gli
standard turchi, pari all’87% degli aventi diritto.
L’Akp ed Erdogan hanno vinto, ma i danni subiti
durante la campagna elettorale dalle istituzioni
sono micidiali e vanno riparati in fretta: lo scan-
dalo corruzione del 17 dicembre, con le dimissioni
di 4 ministri; la guerra aperta con la confraterni-
di Giuseppe Mancini
Elezioni in Turchia: chi ha vinto tra politica ed economia
Le elezioni amministrative del 30 maggio in Turchia hanno un chiaro vincitore, il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) guidato dal premier RecepTayyip Erdoğan che ha conquistato il 45% circa dei consensi e quasi metà dei comuni
I
177Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
ta islamica di Fehtullah Gülen, ex alleati politi-
ci accusati di aver creato uno “stato parallelo”;
una minacciosa strategia di delegittimazione,
attraverso la diffusione online di registrazioni
compromettenti, di cui sarebbero responsabili
proprio i “paralelçi” (guarda caso, dopo le ele-
zioni il flusso si è autonomamente bloccato); la
risposta durissima – riforma della magistratura
e dei servizi segreti, legge restrittiva su Internet,
blocco temporaneo di Twitter e di Youtube – che
ha fatto gridare alla regressione democratica le
opposizioni e gli osservatori occidentali.
La strategia del maggior partito di opposizione, il
Chp kemalista, era quella di conquistare Istanbul
e Ankara con un blitz – anche grazie a candidati
esterni, ma popolari – e provocare l’implosione
dell’Akp: ma si è rivelata fallimentare; i motivi
sono essenzialmente due: una campagna elettora-
le tutta negativa, condotta attaccando incessan-
temente Erdogan; la mancanza di progettualità
alternative in città – come Istanbul, soprattutto –
governate nel complesso con buoni risultati. Molti
slogan, pochi rendering: un’arte, quella della vi-
deo-animazione per presentare arditi progetti in-
frastrutturali e urbanistici, su cui l’Akp ha costruito
in parte le sue fortune, oltre che sulla competenza
manageriale (e non è un caso se tra i candidati del
partito di maggioranza il gruppo più cospicuo è
costituito proprio da ingegneri). Ma c’è un altro
dato che deve far riflettere: la quasi totale assenza
del Chp nell’est e nel sud-est a maggioranza cur-
da, in cui raccoglie a malapena l’1-2%; e invece, è
proprio lo storico negoziato di pace con Abdullah
Öcalan e il Pkk che sembra aver dato un bonus di
voti all’Akp: che non è riuscito a strappare al Bdp
filo-curdo le principali città, ma che ha ottenuto
percentuali dappertutto molto elevate. Insomma,
il partito al potere dal 2002 è l’unico autentica-
mente nazionale.
Nel suo discorso vittorioso “dal balcone” a mez-
zanotte – dal balcone della sede del partito, ad
TUrChIA AL VOTO
178 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
Ankara – il premier è apparso raggiante e sol-
levato: comunque provato da oltre un mese in-
tensissimo fatto di più comizi quotidiani, tanto
da perdere completamente la voce negli ultimi
giorni prima del voto; rinvigorito, ha promesso
ancora una volta rappresaglie contro “i nemici” –
i gülenisti, cioè – pronti a mettere a repentaglio
la sicurezza nazionale pur di provocarne la sua
fine politica. Nella sua interpretazione, è la “nuo-
va Turchia” quella che ha trionfato nelle urne: e a
uscire sconfitte sono le élites politiche, sociali ed
economiche che hanno guidato il paese fino al
2002 e che con colpi bassi e senza scrupoli hanno
tentato di recuperare il potere. Le elezioni del 30
marzo sono però solo il primo passo di un trit-
tico ravvicinato: si tornerà a votare il 10 agosto
per eleggere a suffragio universale il presidente
della Repubblica, poi nel 2015 per le politiche.
Cos’accadrà? Ne abbiamo parlato con due illustri
commentatori, entrambi editorialisti del quoti-
diano Today’s Zaman (vicino al movimento güle-
nista, ma aperto a una pluralità di voci): Seyfet-
tin Gürsel, economista e direttore del Centro per
le ricerche economiche e sociali dell’università
Bahçesehir (Betam); Etyen Mahçupyan, giornali-
sta e già direttore del settimanale turco-armeno
Agos dopo l’assassinio di Hrant Dink.
Per il professor Gürsel le ragioni del successo net-
to dell’Akp vanno ricercate essenzialmente nel
buon andamento dell’economia (+ 4% anche nel
2013): “nell’ultimo decennio c’è stato ad esempio
un grande miglioramento nelle condizioni delle
fasce più deboli della popolazione sia in termini
di reddito pro capite – che dal 2002 è triplicato
– sia di servizi pubblici”. Sul piano strettamente
politico, Erdogan ha saputo fondere il centro de-
stra e i conservatori d’ispirazione moderata in un
progetto comune: attingendo a piene mani da
un serbatoio che ammonta a 2/3 dell’elettorato.
La principale opposizione kemalista, inoltre, si è
dimostrata debole soprattutto perché divisa: “il
Il Premier turco Erdogan
179Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
Chp è un partito schizofrenico con una doppia
identità, al quale la convivenza forzata tra ultra-
laici e social-democratici impedisce ad esempio
di essere chiaro sui temi che riguardano le liber-
tà individuali o i rapporti con le minoranze reli-
giose ed etniche”; se non avviene una scissione,
secondo Gürsel, è solo perché i due partiti che
ne risulterebbero sarebbero ancor più penalizzati
dall’attuale legge elettorale.
L’analisi di Mahçupyan è sostanzialmente simile,
è anch’essa basata su elementi economici e po-
litici (di breve come di lungo periodo): “l’Akp ha
vinto le elezioni del 30 maggio perché governa
bene, perché l’economia continua a crescere,
perché l’opposizione si è dimostrata ancora una
volta incapace di proporre una visione alterna-
tiva, perché ha saputo interpretare al meglio la
radicale trasformazione sociologica iniziata negli
anni ‘90”. Il merito principale di Erdogan in campo
economico è quello di “non aver mai preso deci-
sioni populiste e di fidarsi di un gruppo di tecnici
guidato dal vice-premier Ali Babacan”: perché “sa
bene che decisioni populiste avrebbero effetti de-
leteri sul budget provocando l’innalzamento dei
tassi d’interesse, mentre è stata l’invidiabile disci-
plina fiscale (debito pubblico portato al 36%) che
ha consentito di ridurre la spesa per interesse e
di destinare cospicui fondi ai programmi sociali”.
Da un punto di vista politico, l’Akp può invece
trarre beneficio da un duplice effetto della glo-
balizzazione che ha ampliato significativamente
il proprio potenziale bacino elettorale “modera-
to”: in primo luogo, la nascita di una classe media
conservatrice d’ispirazione islamica – il tessuto di
piccole e medie imprese chiamate “tigri anatoli-
che – che ha rigettato la posizione subordinata
imposta dalle élites kemaliste; inoltre, la risco-
perta della religiosità da parte di settori consi-
derati secolari (“la religione, in Turchia, sta ten-
denzialmente diventando un fenomeno sempre
più individuale”). Inoltre, Erdogan non smette di
infondere “sangue fresco” nel partito: si rivolge ai
giovani, li coinvolge in prima persona con candi-
dature e posti di responsabilità (è di grande aiuto
in questo senso il limite di 3 mandati consecutivi
per i parlamentari, deciso autonomamente dal
partito).
Nonostante l’affermazione chiarissima, il partito
del premier ha però perso il 5% rispetto alle po-
litiche del 2011: il prezzo pagato per lo scanda-
lo corruzione. Secondo Seyfettin Gürsel, questo
calo ha fatto saltare la strategia dell’Akp per le
prossime due tornate elettorali: “Erdogan nuovo
presidente, elezioni politiche anticipate, ampia
maggioranza di seggi per approvare la riforma in
senso presidenziale osteggiata in questa legisla-
zione dalle opposizioni”. L’attuale primo ministro
rimane comunque il grandissimo favorito: “è da
escludere che l’attuale presidente Abdullah Gül
possa proporsi come rivale, candidati delle oppo-
sizioni di uguale carisma non ce ne sono, in un
eventuale secondo turno Erdogan potrà benefi-
ciare della desistenza di almeno parte dell’elet-
torato curdo e nazionalista”. Servirà in ogni caso
un passaggio ulteriore per realizzare i piani: la
riforma della legge elettorale, uninominale all’in-
glese o collegi ristretti a cinque deputati così dare
all’Akp ( basterebbero rispettivamente il 41/42% o
il 45% dei voti) la maggioranza qualificata in seg-
gi richiesta per approvare da soli una nuova co-
stituzione, in sostituzione di quella autoritaria del
1982; ma stranamente, negli ultimi giorni sembra
180 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
prevalere un orientamento diverso: quello di la-
sciare invariata la legge elettorale (proporzionale
di collegio, sbarramento nazionale al 10%). Gli
scenari rimangono invece aperti su chi sostituirà
Erdogan come primo ministro e come presidente
del partito: verranno comunque scelte personali-
tà in grado di lavorare con lui in armonia così da
preservare la stabilità, si fanno aanche i nomi del
vice-premier Babacan o del ministro degli esteri
Ahmet Davutoglu; superata questa fase delicata,
con quattro anni senza elezioni dopo quelle del
2015 l’esecutivo si dedicherà con ogni probabilità
a realizzare nuove riforme strutturali: sia in cam-
po economico, sia in campo istituzionale.
Per Mahçupyan, è poi fondamentale avere ben
presente il contesto in cui si trova la Turchia:
quello di “una transizione da un sistema anti-de-
mocratico e autoritario a una democrazia poten-
ziale”. Ritiene infatti ingenerose e fattualmente
sbagliate le critiche rivolte a Erdogan, conside-
rato un autocrate e un dittatore; in realtà, “nella
storia della Repubblica turca la democrazia e lo
stato di diritto non sono mai esistiti, le poche fasi
di apertura democratica sono state soffocate da
colpi di stato – nel 1960, 1971, 1980, 1997 – e
dall’imposizione di un regime questo sì autori-
tario”; ancora nel 2007, le forze armate hanno
preso esplicitamente posizione contro l’elezione
di Gül, attraverso un memorandum diffuso su In-
ternet. Quella dell’Akp è invece “una rivoluzione
estesa nel tempo, l’istituzione di una nuova Re-
pubblica – sicuramente più democratica di quella
esistente, come provano le aperture verso i curdi
e gli armeni – lasciando intatte le strutture stata-
li”. In questa fase, però, l’Akp è sotto attacco: e per
questo motivo “ha cercato i voti soprattutto della
sua base elettorale, prendendo delle contromisu-
re comunque temporanee” (e continueranno le
azioni contro i gülenisti con posizioni di respon-
sabilità all’interno della burocrazia); ma già prima
delle elezioni presidenziale verranno annunciati
nuovi “pacchetti di democratizzazione”, per ri-
prendere il percorso riformista che aveva fatto
della Turchia di Erdogan – candidata a entrare
nell’Unione europea – un esempio da seguire per
tutto la regione: crescita economica, progresso,
democrazia, libertà.
Giuseppe ManciniCorrispondente da Istanbulhttp://istanbulavrupa.wordpress.com/
181Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
l Brasile rallenta. Non bastano i Cam-
pionati mondiale di calcio o le Olimpiadi
per garantire la crescita di un’economia
che aveva fatto sperare investitori ed imprenditori
di tutto il mondo. Troppe promesse mancate, troppi
errori strategici, troppo pressapochismo nella rea-
lizzazione dei progetti. E troppi ritardi. L’immagine,
nell’economia del XXI secolo, conta molto, quasi
quanto la sostanza. A volte persino di più.
E l’immagine di inefficienza non è l’ideale per far
ripartire un’economia che - come altre dei Paesi
Bric o Brics - si è trovata ad affrontare rallenta-
menti imprevisti. Se il Pil del 2010 era cresciuto
del 7,5%, già l’anno seguente la crescita era stata
del 2,79%. Per scendere allo 0,9% nel 2012 e risa-
lire all’1,9% lo scorso anno. Trainata anche dalla
costruzione delle infrastrutture per il doppio ap-
puntamento sportivo sulla scena mondiale.
Dunque una crescita in parte “drogata” da even-
ti non ripetibili. Si pensava che, comunque, i
massicci investimenti per il calcio e le Olimpiadi
di Alessandro Grandi
Il Brasile riparte dal Nord Est
Mondiali e olimpiadi non trainano la crescita del Paese. Ma nello Stato di fortaleza il Pil cresce e si insediano nuove aziende. Arrivano i coreani, si attendono gli italiani
I
182 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
avrebbero rappresentato un traino formidabi-
le per l’economia. Non è stato così. Polemiche,
scontri, incidenti sul lavoro, slittamenti dei tempi.
L’occupazione non ha avuto il sussulto sperato.
Ma non tutto il grande Paese sudamericano mar-
cia alla stessa velocità. Il Nord Est, ad esempio,
cresce molto di più. Lo Stato di Cearà, che ha
Fortaleza come capitale, ha visto il proprio Pil
aumentare del 7,9% nel 2010, del 6,1% nel 2011,
del 3,65% l’anno seguente e del 3,6% nel 2013.
Dunque un incremento costantemente superiore
a quello medio del Brasile.
Legato indubbiamente al turismo, che ha trai-
nato anche in questo caso un’economia delle
costruzioni per far fronte ad una forte richie-
sta di abitazioni e di strutture di divertimento,
commerciali, per l’accoglienza, per la cultura.
Ma, parallelamente, si è rafforzato il settore in-
dustriale. E continuerà a rafforzarsi, cercando di
conciliare il turismo con la produzione manifat-
turiera ed il commercio internazionale.
Per questo, ad esempio, si è deciso di trasforma-
re il porto commerciale di Fortaleza in uno sca-
lo turistico, spostando il porto per le merci a 35
km, a Pecém. Lo scorso anno lo scalo ha accolto
6 milioni di tonnellate di merci, ma la crescita è
nell’ordine del 25-30% all’anno e Pecém dovreb-
be diventare il terzo o forse il secondo scalo ma-
rittimo dell’intero Brasile (attualmente è in setti-
ma posizione).
Anche perché, alle spalle del porto, si sta svilup-
pando la Zpe, la zona franca destinata ad acco-
gliere grandi e medie industrie. I coreani sono
già arrivati, insediando un impianto siderurgico
grande il doppio rispetto all’Ilva di Taranto. A re-
gime occuperà 25mila operai brasiliani e 5mila
tecnici coreani. Per questo gli investitori coreani
stanno anche predisponendo abitazioni e scuo-
le per accogliere non solo il personale in arrivo
dall’Asia, ma anche le famiglie.
Sempre nella Zpe verrà realizzata la raffineria di
Petrobras, destinata a diventare la maggiore del
Brasile. Ma la Zpe ha un vincolo: almeno l’80%
del fatturato deve essere legato all’export (an-
Le proteste scoppiate a Rio e nel resto del Brasile, contro l’aumento dei prezzi per pagare le infrastrutture per il mondiale FIFA 2014.
183Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Scenari & Prospettive
che se si discute se limitarlo al 60%). Un limite
che appare in contrasto proprio con la situazione
economica e sociale dello Stato e del Nord Est in
generale.
Qui, infatti, si sta sviluppando una classe media
sempre più numerosa e sempre più alla ricerca di
prodotti di maggior qualità che soddisfino le nuo-
ve esigenze e rispondano anche al desiderio di evi-
denziare il nuovo status. Al momento, però, la gran
parte delle merci destinate al ceto medio arrivano
dal sud del Paese o, direttamente, dall’estero.
Per questo il gruppo italiano Edilmedia ha in-
vestito su un’area adiacente alla Zpe ma non
soggetta ai vincoli di quota di export. Dunque
si potrà andare a produrre, nel nuovo distretto
industriale di Croatà, anche e soprattutto per il
mercato interno.
Ma il distretto sarà solo in piccola parte destinato
alle industrie. A fianco, infatti, sorgeranno aree
verdi, edifici amministrativi ed aree residenziali
di diverso tipo. Da un lato, infatti, ci saranno gli
alloggi di maggior pregio (e costo), destinati alla
fascia più alta dei lavoratori, dai manager ai tec-
nici qualificati, in arrivo dal Brasile o dall’estero.
Con rispettive famiglie.
Altre abitazioni saranno destinate a lavoratori
con salari inferiori - gli operai non qualificati,
nella zona, costano all’azienda 500-550 euro lor-
di al mese - ed una terza area ospiterà le case
del progetto “Minha casa, minha vida”, con mille
appartamenti di edilizia sociale. In Brasile, infatti,
è stato stimato un deficit di 10 milioni di abita-
zioni ed è stato avviato un programma per favo-
rire l’insediamento di famiglie con agevolazione
al credito (mutui intorno al 4% rispetto al tasso
normale del 10-11%) per chi ha salari “decorosi”
mentre chi guadagna di meno potrà ottenere un
intervento a fondo perduto sino all’80% del valo-
re dell’abitazione.
Alessandro GrandiStorico, Collaboratore de “Il Nodo di Gordio”, fotografo di viaggio
Una vista di Fortaleza, capitale dello Stato di Cearà.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014184
Voci di carta: le interviste di Gordio
inizio della crisi finanziaria è datato al
2007. L’anno successivo, 2008, si ma-
nifestò il dato sommerso della vera e
propria crisi economica globale. Il malessere non
riguarda solo la finanza, ma l’economia in quan-
to tale: il lavoro, i consumi, le reti di protezione
sociale. Le maggiori economie (G7) entrano pro-
gressivamente in recessione. Uno stato patologi-
co che ha coinvolto, non solo ma in modo parti-
colare l’Occidente, il suo pensiero e il suo ethos.
Trascorsi sei anni, la crisi perdura e non consente
ancora di individuare quale sarà il nuovo pun-
to d’equilibrio dell’economia globale. Tuttavia è
all’interno di questo scenario che vanno collocate
le sempre più violente tensioni sul fronte geopo-
litico.
Qui è possibile trovare le radici delle turbolenze
esplose nel mondo arabo e islamico, la guer-
ra civile in Siria e, più recentemente, quella che
investe l’Ucraina. Anche i conflitti seguiti all’11
settembre possono essere considerati un’antici-
Voci di carta:le interviste di Gordio
di Gian Guido Folloni
Tra conflitti regionali e crisi globale
Trascorsi sei anni, la crisi perdura e non consente ancora di individuare quale sarà il nuovo punto d’equilibrio dell’economia globale. Tuttavia è all’interno di questo scenario che vanno collocate le sempre più violente tensioni sul fronte geopolitico
L’
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 185
Voci di carta: le interviste di Gordio
Metà della popolazione del pianeta vive in Asia e fa perno su due macro nazioni, la Cina e l’India, che da sole ne rappresentano il 40%. A questo si aggiunge che proprio lì si concentra ormai gran parte della produzione dei beni commerciati a livello mondiale
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014186
Voci di carta: le interviste di Gordio
pazione di ciò che avrebbe poi seguito il mani-
festarsi della vera e propria crisi internazionale.
Le situazioni sono diverse da luogo a luogo per
varietà di situazioni culturali, sociali, religiose e
politiche. Ma uscendo dalle contingenze è possi-
bile gettare uno sguardo complessivo sull’inten-
sificarsi, per numero e gravità, delle situazioni di
conflitto. Collocare quelli che da vicino possono
essere definiti come scontri regionali in un più
generale stato di tensione globale: una causa
profonda che ha radice non nei singoli luoghi ma
nel disequilibrio globale. Senza superare la quale
scontri, tensioni e conflitti sono destinati a ripro-
dursi e a intensificarsi.
Possiamo indicare con il termine pressione asia-
tica il fattore principale che deve assolutamente
essere considerato. Vale a dire la forte crescita,
tanto assoluta quanto in termini relativi rispetto
al resto del mondo, di questo vastissimo conti-
nente: cioè il suo straordinario sviluppo.
Tutti gli indicatori rilevano il cambiamento in
atto, e la conseguente tensione che esso porta
con sé. In primo luogo c’è il dato demografico.
Metà della popolazione del pianeta vive in Asia e
fa perno su due macro nazioni, la Cina e l’India,
che da sole ne rappresentano il 40%. A questo si
aggiunge che proprio lì si concentra ormai gran
parte della produzione dei beni commerciati a
livello mondiale. Proprio perché Cina, in primis,
e India sono divenute le “fabbriche del mondo”,
esse attraggono a se quantità crescenti di risorse,
sia energetiche sia di materie prime. La disloca-
zione della produzione dai paesi ad alto sviluppo
e costo del lavoro alle regioni asiatiche ha come
conseguenza lo spostamento del baricentro della
produzione di ricchezza reale, ma anche dell’a-
rea dei consumi: se quello pro capite è ancora
più basso (nordamericani ed europei sono larga-
mente in testa), il mercato cinese cresce vertigi-
nosamente. Sia perché cresce il tenore medio di
vita (soprattutto sulla costa del Pacifico) sia per il
numero degli abitanti.
Vista sulla stazione centrale di Pechino
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 187
Voci di carta: le interviste di Gordio
Tutto questo rende evidente che la fotografia del
mondo è cambiata. Non prendere atto dei muta-
ti pesi economici, demografici, sociali e pertanto
politici e immaginare una nuova e coerente “go-
vernance” economico-finanziaria e dei problemi
globali (energia, risorse, ambiente, sicurezza) si-
gnifica lasciare campo a nuovi stati di tensione.
Oppure operare per la restaurazione il ritorno a
vecchie logiche di contrapposizione che dopo il
1989 parevano accantonate.
I conflitti, le inquietudini, la stessa crisi globale
portano a una sorta
di bivio. Da una par-
te l’accettazione e la
costruzione del nuovo
equilibrio e della sua
governance, dall’altra
il ritorno a una stagio-
ne simile a quella nota come guerra fredda.
La prima via esige che le vecchie potenze rico-
noscano spazio e ruolo a quelle cosiddette emer-
genti, in realtà già avanzate a protagoniste di
prima grandezza. La presa d’atto passa inevita-
bilmente da un bilanciamento dei tenori di vita:
meno abbondanza a Occidente e più benessere
a popolazioni un tempo sottosviluppate. E’ una
dinamica che la crisi ha già messo in movimento,
ma accettarla non è semplice.
La seconda sembra poter prolungare nel tempo
i vantaggi accumulati a Occidente nel XX seco-
lo, tuttavia non più compatibili con la realtà del
secolo nuovo. In questa prospettiva maturano i
conflitti. Non a caso essi si collocano, come av-
veniva prima della caduta del muro di Berlino, in
un asse che vede le Nazioni europee da una parte
e Mosca e l’Asia tutta dall’altra. Questa linea di
faglia lungo l’asse Est – Ovest, scende al Medi-
terraneo, abbraccia il Medio Oriente, la regione
del Golfo persico e isola, a Sud l’intero Continente
africano.
Tra l’altro, questa fascia abbraccia la più impor-
tante zona petrolifera del mondo: vero e proprio
bacino di rifornimento delle maggiori economie
industriali.
O questa linea diventa lo spazio per costruire il
nuovo equilibrio e la nuova governance, o il vec-
chio muro risorgerà, solo di poco spostato più a
Est, per meglio cingere le tigri asiatiche e il risve-
glio della Russia.
Dopo la seconda
guerra del Golfo, inu-
tile e inconcludente
per la pacificazione
della regione, dopo
quella dell’Afghani-
stan, infinita e altrettanto senza sbocco, nell’arco
dei due lustri abbiamo assistito alla catena di ri-
volte frettolosamente ed erroneamente definite
“primavere arabe”. Tutte sono state caratterizzate,
pur con differenti motivazioni d’origine, da ini-
ziali tumulti di piazza; hanno avuto il supporto
di potenze straniere, un forte sostegno mediati-
co e di armamenti. Queste rivolte hanno portato
al cambio dei governi, ma solo in Tunisia e solo
dopo anni s’intravvede uno sbocco verso una pur
precaria stabilità. Ma né in Egitto e tantomeno
in Libia nessuno parla più di primavera e di de-
mocrazia.
Interessante è osservare che le rivolte hanno in-
vestito tutte e solo le repubbliche sorte al tempo
del panarabismo socialista. Sotto la spinta delle
cosiddette Primavere quelle nazioni sono passate
dalla stabilità garantita da forme repubblicane
autoritarie all’instabilità segnata dall’emergere
I vantaggi accumulati a Occidente nel XX secolo non sono più compatibili con
la realtà del secolo nuovo. In questa prospettiva maturano i conflitti
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014188
Voci di carta: le interviste di Gordio
del fondamentalismo islamico e da estremismi di
matrice sunnita. Si è invertita la dinamica tesa
a separare religione e politica. I vettori di riferi-
mento un tempo volti verso l’area del socialismo
e alla laicità occidentale si sono riorientati verso
le monarchie della penisola arabica.
In ogni caso la costante pare essere l’instabilità.
Anche il pilastro saudita pare oggi meno collo-
cato nella stabilità di stato e d’alleanze che l’ha
caratterizzato per molti decenni. Probabilmente
anche per effetto della politica d’affrancamento
dalla dipendenza in campo energetico lanciata
dal presidente Obama.
Gli Stati Uniti hanno compiuto, al riguardo, scelte
radicali. Oggi l’estrazione degli idrocarburi dagli
scisti bituminosi consente loro di fare a meno del
grande alleato arabo, sul quale gravano, in ogni
caso, anche le diffidenze sorte a seguito dell’11
settembre. Così emiri, sceicchi e regnanti sulla
sponda occidentale del Golfo cercano altrove
clienti e relazioni.
In questo contesto, la mai sanata, e forse insa-
nabile ferita che divide arabi e persiani, sunniti
e sciiti, trova ulteriore alimento nella decisione
degli USA di indirizzare in senso più positivo le
relazioni con l’Iran, dopo il cambio di presidenza
a Teheran. Il fatto è in sé apprezzabile. Riporte-
rà i siti nucleari sotto le verifiche degli ispettori
dell’AIEA. Ridà all’Iran il ruolo di potenza regio-
nale, ma rende più inquieto il mondo sunnita che
vive sull’altra sponda del Golfo.
Finisce la stagione politica dell’Asse del male e del
Grande Satana. Cambiano le complesse geome-
trie di Golfo e Medio Oriente. Ma anche in questo
caso l’instabilità non si riduce ma aumenta.
In Siria la guerra civile si è accesa sull’onda delle
primavere arabe. Il regime di Damasco è, infat-
ti, l’ultimo residuo del panarabismo, del quale il
padre dell’attuale presidente era cofondatore. Tra
i rivoltosi che combattono il giovane Assad e la
parte siriana a lui fedele ci sono anche fonda-
mentalisti e miliziani arrivati da Tripoli e dal Cai-
La guerra in Siria - Fonte: www.openworldblog.com
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 189
Voci di carta: le interviste di Gordio
ro. Il flusso di kalashnikov, di esplosivi e d’armi in
genere che alimentò gli insorti di Bengasi e Misu-
rata ha preso a scorrere verso Aleppo e Damasco,
nelle zone controllate dai ribelli. La guerra siriana,
i milioni di profughi che ingolfano i campi in ter-
ritorio curdo, in Iraq, Turchia e Iran sono elementi
che ribollono nel vaso di Pandora apertosi a est
del Mediterraneo.
Tutta questa instabilità – che muove da Nord a
Sud, dalle Repubbliche dell’Asia centrale fino al
Golfo, sfiora e contamina la regione del Caucaso,
le nazioni del Caspio e del Mar Nero, si estende al
nord dell’Africa con propaggini che s’irradiano a
ovest anche a sud del Sahara – ritarda o addirit-
tura finisce per vanificare i tentativi di creare un
asse di equilibrio euroasiatico. Invece di una nuo-
va Via della Seta pare essere in tessitura il ritorno
alla guerra fredda.
Uno dei punti chiave è quale soluzione dare alla
sempre più evidente insostenibilità dei vecchi ac-
cordi di Breton Wood. Altre economie, altre va-
lute, altri equilibri geo-economici e geo-politici
esigerebbero un concorde ridisegno di quelle re-
gole. Ma finora nessuno pare disposto ad aprire
questo tavolo: il primo e forse il più importante
per la transizione non conflittuale verso i nuovi
equilibri. Da una parte il dollaro resiste all’idea
di cedere la sua signoria assoluta a un “paniere”
di valute tra loro bilanciate. Dall’altra le nazioni
emergenti, BRICS in testa, si stanno organizzando
per muoversi fuori dal suo dominio.
L’Europa non avendo completato il suo percorso
politico resta un vasto e ricco mercato ma non è
diventato un player nel mondo in cambiamen-
to. Ha la moneta, ma non ha un governo. Non
ha un esercito e non è potenza. Le gelosie na-
zionali, ombra inquietante di vecchi nazionalismi,
resistono. Dopo Breton Wood l’Europa è un altro
punto chiave. Senza l’Europa, come si è visto nella
crisi dell’Ucraina, è difficile sottrarsi alle logiche
della guerra fredda. Chi non amò quella stagione
dovrebbe lavorare a costruirla davvero. Anche se
il tempo si è fatto breve.
Gian Guido FolloniPresidente di ISIAMED (Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo), già Ministro per i Rapporti con il Parlamento
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014190
Voci di carta: le interviste di Gordio
l professore, il presidente della Com-
missione Europea, il due volte presi-
dente del Consiglio dei ministri dell’I-
talia e, oggi, il delegato delle Nazioni Unite per
l’Africa: Romano Prodi è statista a 360 gradi. Uno
dei pochi italiani, forse il solo, che può essere
considerato tale. Ma il provincialismo della politi-
ca italiana non riesce a mettere a valore la stima,
il prestigio, l’autorevolezza e la competenza che il
mondo gli riconosce.
Trovarlo al telefono è stato semplice, perché è
persona che non alza barriere a chi vuole rag-
giungerlo. Fissare il momento dell’intervista è
stato, al contrario, una difficile partita. L’Africa, la
Cina, la Russia, le Repubbliche dell’Asia centrale e
ovviamente, oltre Atlantico, le Americhe: il pro-
fessore è globe trotter. Bisogna pazientare, ma la
cordialità dell’accoglienza ripaga.
Non parleremo d’Italia. Non di Europa. Mettendo
il registratore sul tavolo sappiamo che l’incarico
dell’ONU di cui oggi è titolare è tra i più gravosi.
Gian Guido Folloni incontra Romano Prodi*
Prodi: il male oscuro dell’Africa si può battere
Le “primavere” fallite. Il fondamen-talismo. La pressione dei cinesi. La fragile politica dell’Europa e la quasi assenza dell’I-talia. Il Sahel, la fame, le guerre intestine. una proposta: offrire cooperazione inter-nazionale costruendo infrastrutture e ospe-dali su priorità fissate dall’oNu e realizzate sotto controllo della banca Africana
I
* “Il Nodo di Gordio” ringrazia la rivista “Contromano” e il suo Direttore responsabile Gian Guido Folloni per aver concesso la pubblicazione di questa intervista a Romano Prodi.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 191
Voci di carta: le interviste di Gordio
Nel mondo che cambia, l’Africa è turbolenta e in-
quieta. È anche un enigma: ricca di ogni risorsa, è
però rimasta la regione meno sviluppata.
Partiamo da un dato: nel passaggio dal G7 al G20 tutti i continenti sono ampiamente rappresentati nel nuovo Club dei potenti del mondo. Ma l’Africa vi partecipa con una sola nazione: il Sudafrica. Quale male oscuro av-volge questo immenso e ricco territorio?
Questo rispecchia il peso specifico del mondo di
oggi. Devo però specificare che non ritengo che i
G20 abbiano alcun ruolo nel futuro del mondo. È
una struttura in cui è importante per il confron-
to delle idee, ma dal punto di vista decisionale
non lo è. Se invece lo fosse, forse l’Africa sarebbe
ugualmente trattata male. Mi consola che non è
questo il punto.
Detto questo, il male oscuro esiste. In primis per
un motivo storico e oggettivo: il livello di povertà.
L’Africa rappresenta solo il 3-4 per cento del pro-
dotto mondiale. Qualsiasi conto si faccia non su-
pera comunque il cinque. Però l’Africa non è solo
il suo livello di povertà. Non è solo la sua eredità
coloniale. Il problema è la sua frammentazione:
sono i cinquantaquattro paesi. Il lavoro della Fon-
dazione che io presiedo, ha un solo tema: cin-
quantaquattro paesi ma un’unica realtà. Finché
l’Africa non ha forza di rappresentazione, rimarrà
sempre emarginata nella storia del mondo.
Nonostante tutto io penso che l’Africa abbia
aperto un nuovo capitolo. Da qualche anno si è
svegliata. È ancora a un livello di povertà estre-
ma, ma è cominciata la fermentazione. Da sei-
sette anni lo sviluppo africano è molto superiore
a quello della media mondiale. Le sue città da
orizzontali diventano verticali. C’è una nuova
gioventù africana che ha come orizzonte il mon-
do e adotta le nuove tecnologie. La diffusione de
telefonini è a livello di centinaia di milioni: una
piccola cosa, segno tuttavia di un movimento.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014192
Voci di carta: le interviste di Gordio
Oggi l’Africa è ancora il buco nero del mondo, ma
perlomeno a me offre la speranza.
Il Nord Africa e le fallite primavere. C’è una domanda di democrazia che non ha avuto ri-sposta?
Difficile a dirsi. La domanda di democrazia c’è sta-
ta, ma molto fragile: senza le istituzioni partiti-
che, senza tradizioni, senza consapevolezza della
popolazione, senza esperienze precedenti diffuse.
Nello stesso tempo, in Paesi profondamente divisi
al loro interno da fattori religiosi, etnici e storici.
Chiamandole primavere ci aspettavamo l’a-dozione del modello occidentale. L’esporta-zione democratica pare non funzionare nem-meno in questo caso. Perché?
Non è che me lo aspettassi – sapevo le difficoltà –
ma ci speravo. Speravo che le elezioni, con i tanti
partecipanti, dopo una vera campagna, avrebbe-
ro prodotto i cambiamenti. Parlo dell’Egitto che
ritengo la chiave di questa rivoluzione mancata.
Non solo è il Paese più numeroso del Nord Africa,
ma è il centro intellettuale di tutto l’islamismo
moderno. Dalle università egiziane partono le
idee, le condensazioni intellettuali, quelle che poi
fanno breccia nel resto del continente africano,
soprattutto nel Sub Sahara.
È un fallimento, ma attenzione a non genera-
lizzare. In ogni nazione il fallimento della cosid-
detta primavera democratica ha una sua ragio-
ne specifica. In Egitto la tradizione e il costume
hanno sempre avuto quale punto di riferimento
e di comando del Paese il blocco tra l’esercito e
l’economia.
Si. La forza è sempre stata l’esercito, ma alleato
con duemila grandi famiglie economiche e che
in se stesso possiede quasi un terzo dell’econo-
mia egiziana. Se uno va in un albergo a Sharm-
el-Sheik gestito da qualche compagnia interna-
zionale, scopre probabilmente che la proprietà è
dell’esercito, gestita magari da qualche generale
in pensione. L’establishment egiziano è sempre
stato estremamente forte intorno all’esercito.
Le elezioni sono state una grande rivoluzione. Sa-
rebbe andata avanti se il governo avesse risposto
alle attese e alle richieste del Paese. Di fronte ad
una risposta governativa ritenuta insufficiente, la
controrivoluzione è diventata inevitabile. In Libia
non si è trattato di rivoluzione democratica.
In Tunisia ho ancora speranza che la struttura de-
mocratica persista e si rafforzi.
In Marocco c’è l’unica lezione positiva. Sentiti gli
echi di questa scossa democratica, il re – identità
molto forte della nazione – ha capito di dover pre-
cedere con le riforme ogni possibilità di rivoluzione.
L’Algeria non si è mossa a causa della terribile
traccia del recente passato.
L’Italia che vive nel mezzo del Mediterraneo si pone la domanda: dove vanno le nazioni arabe africane, punto di riferimento per una nazione europea così proiettata a Sud?No. L’Italia non si pone questi problemi, purtroppo.
Dovrebbe …
Se li dovrebbe porre! Perché poi ci vogliono bene.
Non è retorica. Mi sono sempre sentito dire: ma
l’Italia dov’è? Non mi hanno mai detto: vergogna-
tevi! La chiave di questo è la guerra libica. Abbia-
mo seguito decisioni altrui, senza pensare ai nostri
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 193
Voci di carta: le interviste di Gordio
interessi. Si potrebbe dire: siamo stati grandiosi,
democratici e generosi. Ma non abbiamo nemme-
no pensato a quello che sarebbe avvenuto dopo.
Chiunque conoscesse la Libia sapeva che costituiva
l’equilibrio di tutto il Sud Sahara. Quando Gheddafi
ha smesso di creare turbolenze, e ha voluto essere
il padre protettore dell’Africa, per mantenere un
suo esercito versava una quantità grande di risorse
a sud del deserto. Lo sapevano tutti. Distrutta la
struttura libica, quello che è poi successo era fata-
le. Gheddafi era un dittatore. All’interno del paese
era di una durezza estrema. All’esterno aveva ca-
pito che sarebbe stato schiacciato se continuava a
portare problemi in Ciad, eccetera.
Questo è il motivo per cui lo invitai a Bruxelles,
acquistandomi pima l’attenzione degli americani
e degli inglesi e poi la loro gratitudine. Era venuto
a mancare un elemento di turbamento.
Dopo quella visita fu ammesso in tutte le sedi internazionali…
Non c’era conferenza africana in cui non ci fosse
la coda dei leader occidentali per essere ricevuti
da Gheddafi. Mi ricordo: una volta dovetti aspet-
tare perché c’era il primo ministro irlandese che
doveva vendere la carne, bovina naturalmente; il
primo ministro inglese aveva dei contratti petro-
liferi, e così via.
Rotto quell’equilibrio, il Sud Sahara è andato in
mano all’economia illegale: la droga, i rapimenti;
è crollato il turismo e di conseguenza l’artigiana-
to. È diventata una zona drammatica.
La regione sub sahariana e le nazioni centro africane, il Sahel, il corno d’Africa. A distanza di molti lustri, l’indipendenza post coloniale non ha stabilizzato queste nazioni.
La divisione dei Paesi era completamente artifi-
ciale. Per questo quando Ban Ki Moon ha detto
“cerchiamo di fare una politica che consideri final-
mente questi Paesi in rapporto fra loro”, ha avuto
Arrivo di un barcone di clandestini a Lampedusa - Fonte: www.tempi.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014194
Voci di carta: le interviste di Gordio
un’idea giusta. Tutti parlano francese, hanno cose
in comune, ma non si sono mai trovati assieme.
Non ci sono comunicazioni. Innovando, ho voluto
che i progetti di sviluppo partissero dalle univer-
sità locali e ho trovato che quei professori non si
conoscevano assolutamente. Tutti avevano stu-
diato a Parigi, ma nessuno conosceva l’altro. Ban
ki Moon ha avuto una grossa intuizione, e spero
vada avanti anche dopo la fine del mio manda-
to. A fine gennaio consegnerò il mio rapporto. Gli
“inviati speciali” per essere tali devono stare poco
tempo: fare le cose che devono e poi lasciare che
le strutture dell’ONU le portino avanti.
Per questo do tanta importanza e giudico ne-
gativa la guerra in Libia. I dittatori sono nemici
della democrazia, ma prima di abbatterli bisogna
pensare al dopo.
La penetrazione fondamentalista. È accertato che elementi dell’islamismo radicale operano da detonatore in molti territori africani. Sono
rinati califfati che si pongono in alternativa ai governi sorti dopo la stagione dell’indipen-denza. Chi governerà l’Africa?
Il terrorismo si sta spargendo senza confini: sono
paesi che hanno frontiere porose ed è finanzia-
to anche dall’esterno. È un gravissimo problema.
Non pensiamo però che la maggioranza degli
africani sia fondamentalista o sia amica di questi
terroristi.
Posso raccontare un episodio. Quando andai a
trovare Morsi, fu l’unico leader da me incontra-
to a dimostrarsi molto contrario all’argine che i
francesi avevano posto all’attacco terrorista dal
nord. Il giorno dell’attacco io ero a Bamako. Non
c’era alcuno che non ritenesse provvidenziale la
reazione francese. Il problema guerra giusta o in-
giusta non si poneva: la si considerava indispen-
sabile, obbligata. L’unico leader internazionale
– in tutto il mondo non c’è stata opposizione
alcuna – che mi ha fatto un attacco su questo è
Guerriglieri libici - Fonte: www.tempi.it
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 195
Voci di carta: le interviste di Gordio
stato l’egiziano Morsi. Però alla fine del colloquio
mi ha chiesto, quasi con angoscia, se il terrorismo
del Sahel avrebbe potuto raggiungere il Sinai.
Ritengo che il problema del terrorismo sia av-
vertito da tutti. È un grave problema, ma ci sono
anche gli antidoti. Il terrorismo è senza regole.
Destabilizza tutto. Anche i governanti – sciiti,
sunniti, destra, sinistra, centro – hanno paura di
questa destabilizzazione. Anzi, la maggioranza
assoluta dei popoli ne ha paura.
D’altra parte, la penetrazione cinese da orien-te potrebbe diventare una nuova e dolce for-ma di colonialismo?
La penetrazione cinese è profondamente diversa
dalle altre. Le altre avevano un forte connotato
politico; quella cinese economico con una carat-
teristica straordinariamente diversa da quanto
accaduto in passato. I cinesi esportano in Africa
beni, capitali, tecnologia e persone: tecnici, ope-
rai. È la prima volta nella storia – salvo il limita-
to caso dell’Algeria – in cui c’è questo modo del
tutto nuovo di penetrare in Africa. E poi c’è una
grave differenza, che può rendere il problema più
serio. I francesi lo fanno con i francofoni; gli an-
glofoni con la costa dell’Ovest e con i paesi “ami-
ci”. Ma i cinesi lo fanno per tutto il continente.
La Cina è ben accolta?
In generale il giudizio è positivo, con momenti
di forte tensione soprattutto in zone minerarie:
come protesta per l’eccessiva presenza di lavora-
tori stranieri o per la concorrenza alle industrie
di basso livello. Tuttavia… Quattro anni fa chiesi
al presidente algerino Buteflika come andava con
i cinesi. Mi disse: abbiamo grandi appalti sia per
le strade sia per le case popolari. I cinesi le fanno
a metà prezzo rispetto a italiani e francesi. Sono
venuti 25 mila cinesi. Consegnano con puntualità
svizzera. Inoltre, ogni anno cinquemila smettono
di fare i muratori. Altri cinesi li sostituiscono. E
quelli sposano ragazze algerine e danno vita alla
piccola imprenditorialità di cui ho bisogno.
La domanda gliel’ho rifatta quest’anno, appena
prima si ammalasse: “Va come le dissi quattro
anni fa; adesso abbiamo trentamila cinesi diven-
tati in sostanza algerini”.
Al momento della guerra in Libia sono stati rim-
patriati 38 mila tecnici e operai cinesi.
La Cina ha aiutato lo sviluppo dell’Africa. Lei sola
ha bisogno dell’Africa per la propria sopravviven-
za: cibo, materie prime ed energia. Le trova in
Africa e in America Latina.
I vecchi colonialisti hanno smesso di sac-cheggiare il continente?
Il saccheggio dipende molto dal governo africa-
no. Servirebbero governi forti e non corrotti. De-
vono vendere le loro risorse, ma a beneficio delle
loro popolazioni. Turba che tante terre venano
comprate dai cinesi, ma sono gli africani che le
vendono. Oggi la concorrenza cinese ha svegliato
l’Occidente.
E l’Unione africana? È una speranza o un’il-lusione?
Una speranza, ne sono convinto. Sono stato il pri-
mo presidente della Commissione Europea che ha
deciso di finanziare le truppe di pace dell’Unione
africana. Non con le armi, ma con la formazione.
Sulla facciata del Palazzo dell’Unione africana –
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014196
Voci di carta: le interviste di Gordio
più bello e più grande che quello ONU – c’è una
piccola placca con scritto: “Dono del popolo cine-
se al popolo africano”. Quando entri, trovi giovani
tecnici cinesi che per due anni insegnano come
gestire il Palazzo.
Di fronte alla nostra lentezza presenterò, appro-
vato dal Consiglio di Sicurezza, un progetto ri-
voluzionario. Dobbiamo organizzare lo sviluppo
del Sahel non solo come progetto in comune ma
rendendo possibile donazioni sia in denaro sia in
generi. Affinché si possano costruire direttamen-
te strade e ospedali sui quali mettere la bandiera:
cinese, tedesca, eccetera. E si possa fare in fretta.
E tra le nazioni ci sia una concorrenza virtuosa:
nelle gerarchie stabilite dall’ONU e sotto il con-
trollo della Banca africana di sviluppo.
Non è stato facile. L’idea è matura. Anche se
adesso – a fronte di problemi come quello siriano
– parlare del Sahel è diventato faticosissimo.
Per l’Africa la concorrenza, prima viziosa deve
diventare virtuosa. Non più sulle armi, ma sulla
crescita.
Dov’è finito il partenariato che l’Europa im-maginò fin dalla Convenzione di Lomé?
L’Europa è ancora il maggior donatore, ma l’idea
politica non c’è. L’Europa non riesce ad avere
un’idea politica per nessuna parte del mondo.
Quando vado in Medio Oriente mi domando:
dov’è l’Europa?
Torniamo al Sahel, alla fame e alla sete, malattie, morti e guerre. Campagne di aiu-to, missioni internazionali, volontariato non hanno abbattuto queste piaghe?
No. Però questi paesi disperati cominciano a cre-
scere. Dicendo crescere mi viene quasi la vergo-
gna. Si parte da livelli così tragici ed elementari…
Dove non ci sono guerre ci si muove. Le guerre
sono terribili. Vent’anni fa un modello era la Costa
d’Avorio. La tragica guerra civile l’ha devastata.
Sono guerre endogene o esogene?
Sono sempre più endogene. E non sono nemme-
no più fra Stati e potenze, ma etniche, religiose,
anche se interessi di singoli e gruppi soffiano su
di esse. Ma fra Stati rimane solo il residuo della
guerra tra Eritrea ed Etiopia. Oggi, sulle guerre
pesa l’artificialità dei confini fissati a Berlino o in
altre Conferenze internazionali.
Che cosa non ha funzionato e cosa di diverso si deve fare?
Primo: il rafforzamento dell’Unione africana e,
in chiave economica, delle varie Unioni regionali.
Nulla avviene tutto in una volta.
Europa e Italia possono o devono fare qual-cosa?
Mentre – come in Siria – l’ONU ha molte diffi-
coltà a risolvere i grandi conflitti, all’interno dei
Paesi le truppe ONU hanno svolto un ruolo di
crescente stabilizzazione. Ci sono molte compli-
cazioni e inefficienze, i mezzi sono scarsi, però
nel mondo e specialmente in Africa sono più di
centomila i soldati con il casco blu. Questo è un
progresso dell’umanità. Nel Mali i francesi si riti-
rano e ovunque vedi l’ONU.
Io auspico la politica estera dell’Europa. In tutti i
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 197
Voci di carta: le interviste di Gordio
casi citati l’Europa è stata sempre divisa. In Libia
la Germania non ha partecipato. In Medio Oriente
l’Europa non ha mai avuto una posizione unita-
ria. Altrimenti noi e non gli americani avremmo
gestito i rapporti. E si sarebbe potuto parlare di
“Colosseo”, invece di “Camp David”.
Pur con tutti i cinesi del mondo, in Africa l’Europa
resta ancora primo investitore e commerciante e
chi rapporti culturali più forti.
In Africa, allora, c’è domanda d’Europa…
Non c’è dubbio. La desiderano. Ma c’è sempre più
delusione.
Alcuni momenti dell’operazione “Mare Nostrum”
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014198
Voci di carta: le interviste di Gordio
iornalista professionista italo-si-
riana, Susan Dabbous ha studiato
relazioni internazionali all’Universi-
tà di Roma “La Sapienza” e alla “Carlos III di
Madrid”. Si laurea nel 2006, anno in cui inizia
ad occuparsi di giornalismo ambientale per
poi dedicarsi a temi sociali e politiche europee
soprattutto da Bruxelles e Parigi. Nel 2008, a
Washington, segue l’ultima fase della campa-
gna elettorale americana e l’insediamento di
Barack Obama alla Casa Bianca. Dal 2011 co-
pre gli accadimenti in Siria viaggiando spesso
in Turchia e in Libano. Collabora con diverse
testate italiane tra cui Avvenire, l’Espresso e
Rainews24.
“Il Nodo di Gordio” l’aveva intervistata nel marzo
2013, un mese prima del suo rapimento in Siria
insieme ad una troupe della Rai per mano del
gruppo jihadista al-Nusra. Un anno dopo, esce
il suo libro “Come vuoi morire?” dedicato alla
drammatica esperienza del sequestro.
di Daniele Lazzeri
Dabbous: In Siria, i fondamentalisti hanno preso il dominio della lotta armata
“Da siriana ho sempre visto le cose da dentro. L’Islam superstizioso che usano gli estremisti per giustificare le loro violenze non ha nulla a che fare con l’Islam tradizionale praticato in Siria dai siriani”
G
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 199
Voci di carta: le interviste di Gordio
Lei ha affrontato le sue vicissitudini perché è stata davvero sul fronte dei combattimenti. Nell’immaginario collettivo prevale la con-vinzione che alcuni dei grandi inviati, il fron-te non lo vedano proprio. Che restino in hotel attendendo i reportage di giornalisti meno famosi che rischiano al posto loro. Quanto c’è
di vero in questa immagine?
Io credo che in coscienza ognuno lavora come
si sente, dopo quel che ci è accaduto capisco
perfettamente chi rimane in albergo in attesa
di ascoltare voci dal fronte che arrivano in certi
posti fresche e di prima mano. Detto ciò ovvia-
mente ci vuole onestà nei confronti dei lettori,
dire sempre dove si è veramente. Nel caso della
Stampa anglosassone ad esempio è obbligato-
rio perché ogni corrispondente è controllato
a vista dalla concorrenza, cosa che nel nostro
caso non accade perché gli inviati sono sempre
di meno.
Nella prefazione al libro, Paul Wood non esclude che sul sequestro di cui è stata vit-tima abbiano pesato anche ragioni econo-miche come la richiesta di un riscatto, oltre che a causa del sospetto nei confronti degli Occidentali presenti in Siria. A distanza di un anno dalla tremenda esperienza del rapimen-to, si è fatta un’idea più precisa delle reali motivazioni?
Sicuramente siamo stati arrestati perché non
volevano diffondessimo le immagini della chie-
sa che avevano profanato. Non credo che siamo
stati liberati senza ottenere nulla in cambio, ma
non credo neanche, alla luce di ciò che sappiamo,
che si sia trattato di un riscatto in senso classico.
I fondamentalisti islamici siriani del Fronte al-Nusra, sono stati fiancheggiatori di al-Qaeda e poi si sono fusi nell’Isis (Stato Isla-mico dell’Iraq e del Levante). Secondo Lei, si
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014200
Voci di carta: le interviste di Gordio
tratta di un’adesione maturata nel tempo o al-Nusra rappresentava già una cellula di al-Qaeda sotto mentite spoglie?
Parte del gruppo al-Nusra è confluito in Isis per
ragioni di dominio del territorio, ideologicamente
si rifanno entrambi ad al-Qaeda ma si è aperta
tra loro una guerra fratricida solo per questioni
legate al potere.
Ad oggi, possiamo ancora credere all’esisten-za di un autentico Esercito siriano libero o l’adesione a gruppi fondamentalisti piuttosto che il dedicarsi ad attività criminali ha preso il sopravvento? In base alla Sua esperienza, c’è il rischio che i fondamentalisti egemoniz-zino la rivolta siriana?
I fondamentalisti hanno già preso il dominio della
lotta armata della rivolta siriana, ma dubito che
abbiano il dominio ideologico o politico. Come
noto, quella siriana è una società composita e
multi confessionale sarebbe impensabile stabilire
un governo di stampo religioso senza tenere conto
di questa realtà. L’esercito siriano libero esiste an-
cora solo grazie ad alcune figure chiave, generali e
ufficiali disertori, che lo tengono formalmente in
vita. Di fatto non ha nessun potere effettivo.
La figura di Sheikh che è a capo del gruppo Jabhat al-Nusra e quella di Miriam, moglie di un jihadista che l’ha tenuta in ostaggio, sono particolarmente presenti nel Suo racconto del periodo di cattività. Per loro scrive di pro-vare sentimenti contrastanti. A tratti sembra quasi essere caduta vittima di una sorta di sindrome di Stoccolma...
Ho avuto una sindrome di Stoccolma fulminan-
te con Sheick, perché sapevo che non avrebbe
permesso a nessuno di toccarmi, la mia integrità
fisica in quel contesto era la cosa prioritaria, con
Miriam perché, oggettivamente, era una ragazza
molto dolce.
Questa drammatica esperienza personale, ha cambiato le sue convinzioni sull’Islam e più in generale sulle cosiddette “Primavere arabe”?
No. Ero molto deideologizzata già da prima, a
gennaio 2013 mi accorsi che la situazione era
cambiata, c’erano gruppi di mercenari provenien-
ti da diversi paesi, amici e volontari mi spiegarono
come la corruzione dilagante aveva arricchito ex
poveri e impoverito ex ricchi. Da siriana ho sem-
pre visto le cose da dentro. L’Islam superstizioso
che usano gli estremisti per giustificare le loro
violenze non ha nulla a che fare con l’Islam tradi-
zionale praticato in Siria dai siriani. Le primavere
arabe sono una fase storica che riguarda un anno
preciso, il 2011. È evidente che oggi ci troviamo
di fronte a qualcosa di molto diverso, qualcosa
che potremmo decifrare molto meglio più in là
perché ora ci siamo ancora dentro.
Si evince dalla pagine del libro che molti aiuti umanitari provenienti dalla Turchia finiscono purtroppo nelle mani di al-Qaeda. Qual è a Suo avviso l’attuale posizione della politica estera turca nel conflitto siriano?
La Turchia è una base logistica e geografica per i
gruppi di combattenti che entrano in Siria, qaidi-
sti e non, mi sembra difficile credere che non sia
a conoscenza di chi atterra nei propri aeroporti…
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 201
Voci di carta: le interviste di Gordio
Un ultimo pensiero al Libano, terra martoria-ta alla quale Lei è molto legata. Continuerà ad essere il “fegato” dove si sfogano molte delle tensioni dell’area mediorientale?
Il Libano contrariamente alla Turchia non ha gli
stessi mezzi militari e istituzionali per proteggersi
dalle minacce esterne e interne del terrorismo. È
l’anello debole del Medioriente, il punto di sfogo
delle conflittualità regionali.
COME VUOI MORIRE?Rapita nella Siria in guerradi SUSAN DABBOUS
Castelvecchi Editore, pp. 186 - Euro 18,50
È un libro che può vantare numerosi meriti quello
di Susan Dabbous. “Come vuoi morire?” non è in-
fatti solamente il diario della cattività alla quale
è stata costretta l’autrice negli undici giorni del
sequestro in terra siriana. Non è nemmeno una
mera raccolta di ricordi fatti di angosce e di pau-
re che una giornalista – ma prima ancora una
donna – ha dovuto affrontare durante e dopo il
rapimento da parte di un gruppo jihadista fian-
cheggiatore di al-Qaida.
Quella di Susan Dabbous è un’attenta descri-
zione di uno spaccato della drammatica guerra
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014202
Voci di carta: le interviste di Gordio
civile che si sta combattendo in Siria. Ma anche
un autentico reportage che trasuda l’esperienza
diretta personale – a tratti intima – di cosa signi-
fichi svolgere il difficile lavoro di inviato di guerra.
Di quanto più complessa sia la situazione reale
rispetto a ciò che si legge nelle pagine degli este-
ri dei giornali o nelle cronache dei Tg. Di come
cambi profondamente la percezione quando ci
si immerge completamente nella cruda realtà
quotidiana di popoli e paesi solo apparentemente
lontani. E la Siria non è poi così lontana. Non lo è
per tutte le civiltà che si affacciano, proprio come
la Siria, sul Mediterraneo. Lo è tanto meno per
Susan Dabbous la cui famiglia paterna è origi-
naria di Aleppo. Ma quella raccontata in “Come
vuoi morire?” è un’altra storia, dove i bei ricordi
dei viaggi giovanili e spensierati in Siria si appan-
nano, lasciando il posto ad una realtà più dura:
quella che oppone il presidente Bashar al-Assad
all’Esercito siriano libero.
Susan Dabbous torna in Siria, ma stavolta pas-
sando clandestinamente attraverso il confine con
la Turchia. È il suo lavoro, quello di giornalista in-
viata in quelle zone a realizzare dei documentari
in compagnia di una troupe della Rai. Sorpresi
mentre riprendevano immagini “scomode” in una
chiesa sconsacrata a Ghassanieh, un villaggio cri-
stiano non distante da Lattakia, da appartenenti
al gruppo di fondamentalisti islamici “al-Nusra”
vengono catturati e fatti prigionieri.
Da qui si innerva la tormentata testimonian-
za della libertà rubata, rapita e annichilita dal
credo ideologico ed integralista dei carcerieri
di al-Nusra. Dalla violenza psicologica e morale
alla quale viene sottoposta Susan Dabbous per
ricondurla sulla retta via tracciata dalla parola
del Profeta. Costretta ad indossare lo “hijab”, il
velo islamico, ed a rispettare i dettami coranici di
sottomissione prescritti per le donne musulmane
dalle esegesi (“tafsir”) più integraliste.
È il 3 aprile del 2013 e da quel momento inizia
un calvario che durerà per undici lunghi giorni
contrassegnati dall’alternarsi di speranza e rasse-
gnazione. Sono i momenti in cui ci si aggrappa
a qualsiasi cosa per sopravvivere ma anche un
periodo emotivamente intenso durante il quale
appaiono in tutta la loro asprezza metodi e di-
storsioni, magistralmente descritti dall’autrice, di
quella che avrebbe dovuto essere la “Primavera
siriana” e, invece, è stata l’ennesima primavera
tradita che ha lasciato il passo all’autunno della
democrazia. I ribelli siriani, presto trascinati alla
deriva dal crescente ruolo svolto dai gruppi jiha-
disti, rendono la soluzione del conflitto siriano
ancora più complessa e destinata a durare a lun-
go. “Una guerra civile a bassa intensità destinata
a durare a lungo” – diceva Susan Dabbous nell’in-
tervista rilasciata al “Nodo di Gordio” un mese
prima del sequestro. Aveva ragione. Purtroppo.
Daniele LazzeriChairman del think tank “Il Nodo di Gordio”
Susan Dabbous: in Siria una guerra civi-le a bassa intensità che durerà per anniAttiva il tuo lettore di Qr Code su smartphone
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Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 203
Voci di carta: le interviste di Gordio
uroparlamentare del PD, membro del-
la Commissione Affari Esteri, della de-
legazione all’Assemblea parlamentare
dell’Unione per il Mediterraneo e Presidente della
delegazione per le relazioni con i Paesi del Magh-
reb, l’On. Antonio Panzeri ha maturato una pre-
ziosa esperienza grazie ai rapporti costanti con
molti Paesi che si affacciano sulla sponda meri-
dionale del Mediterraneo. Alla luce delle moltepli-
ci vicissitudini, succedutesi dopo lo scoppio delle
cosiddette “Primavere arabe”, “Il Nodo di Gordio”
ha approfondito con lui le prospettive e gli sce-
nari che si profilano all’orizzonte nelle relazioni
internazionali dell’Europa in Maghreb, nella Libia
del post-Gheddafi, in Algeria e più in generale nel
vasto e complesso scacchiere nordafricano.
L’Africa del Nord è quasi sparita dalle notizie dei quotidiani. Riappare solo in relazione alla partenza di barconi di migranti. Ma le prima-vere arabe sono davvero finite nel nulla?
a cura della Redazione
Panzeri: Poco lungimirante il sostegno ai ribelli senza una roadmap politica
“occorre che tutti gli Stati africani comprendano che la lotta contro il terrorismo e il sottosviluppo si può vincere soltanto dotandosi di un orizzonte comune. credo che in questo, l’Europa rappresenti un esempio”
E
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014204
È vero, del Maghreb si parla ormai solo in occa-
sione degli sbarchi oppure quando avvengono
episodi di violenza.
Molto più difficile, invece, sentire analisi puntuali
sui diversi processi di democratizzazione, più o
meno evoluti, che stanno avendo luogo nell’area.
La situazione è estremamente variegata e presen-
ta forti contraddizioni.
Il Paese più avanzato è il Marocco, che è appena
stato lambito dal vento di cambiamento e non ha
subito forti contraccolpi. Merito di un regime che
ha iniziato diversi anni fa un processo di apertura
politica, accompagnato da riforme economiche e
sociali importanti.
Il Marocco ha anche intrapreso un dialogo ap-
profondito con l’Unione europea e adesso può
essere considerato un partner importante, an-
che in virtù dell’Accordo di Associazione entrato
in vigore nel 2000 e dello Statuto Avanzato ot-
tenuto nel 2012.
Anche la Tunisia, è avviata sulla strada di impor-
tanti sviluppi politici, e sta completando il pro-
cesso di transizione democratica.
Gli altri Paesi del Maghreb non hanno ancora
raggiunto lo stesso grado di maturità politica, ma
sarebbe comunque giusto che gli organi di infor-
mazione si occupassero degli sviluppi che stanno
avendo luogo nel Mediterraneo.
Servirebbe a capire molte cose e a definire una
politica estera più efficace, tenendo conto del
fatto che in alcuni casi è ancora difficile indivi-
duare quali siano gli interlocutori più affidabili.
La Libia è sempre sull’orlo della scissione, ma poi non succede nulla e si prosegue con il caos. Quali sono le prospettive nel breve periodo?
Lo scenario libico è uno dei più complessi dell’area
nordafricana. L’instabilità politica e la presenza di
forze armate contrapposte rappresentano enormi
ostacoli allo svolgersi di processi politici e decisio-
nali capaci di far svoltare pagina a questo Paese.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 205
Voci di carta: le interviste di Gordio
Nelle scorse settimane, il caos ha preso il soprav-
vento. Il Primo ministro Ali Zeidan è stato sfi-
duciato a marzo e, poco dopo, il suo successore
Abdullah Al Thinni si è dimesso.
La nomina di un nuovo premier, poi, è stata in-
terrotta da un vero e proprio assalto al Congresso
Generale Nazionale. Dalla caduta di Gheddafi, la
Libia non ha avuto pace.
I Paesi occidentali che hanno appoggiato il Con-
siglio Nazionale Libico che si è sollevato contro il
rais non sono privi di responsabilità.
Certo il regime di Gheddafi era odioso, ma la co-
munità internazionale lo ha tollerato per 40 anni.
Anzi, in certe circostanze ha persino fatto como-
do: penso alla cogestione delle politiche migrato-
rie e agli accordi fra Italia e Libia.
Decidere repentinamente di dare sostegno mili-
tare ai ribelli, senza preoccuparsi però di aprire un
tavolo di negoziati e di definire una roadmap per
la transizione politica e per il ripristino di condi-
zioni di sicurezza adeguate, si è dimostrata una
soluzione poco lungimirante.
Ora è difficile prevedere quanto potrà accadere,
con un governo centrale delegittimato, una pre-
senza degli islamisti in crescita e una crisi petroli-
fera in atto nella regione della Cirenaica.
Le forze di sicurezza del governo centrale hanno sem-
pre cercato di mantenere il controllo sulle vendite di
idrocarburi, ma in diverse occasioni i separatisti della
Cirenaica si sono impadroniti degli impianti. Recen-
temente sono riusciti a realizzare vendite illecite di
petrolio, un precedente pericoloso.
Le prospettive, in ogni caso, dipenderanno dalla vo-
glia di confrontarsi delle diverse parti in causa e dalla
capacità, da parte della comunità internazionale, di
non appoggiare soluzioni affrettate che potrebbero
portare a un sollievo temporaneo, ma di breve durata.
L’Algeria vede la riconferma del leader uscen-te. Ma i partecipanti al voto sono crollati e l’economia del Paese non pare avere prospet-tive di crescita. Anche l’Algeria potrebbe di-ventare un terreno di scontri violenti?
Non credo che questa sia una prospettiva vicina.
La storia dell’Algeria è stata profondamente se-
gnata dalla guerra civile degli anni ’90 ed è anche
per questo che l’establishment continua a scom-
mettere sulla conservazione, rappresentata da
un leader debole e facilmente manovrabile come
Bouteflika.
Inoltre, storicamente lo Stato algerino ha sopito
i movimenti di rivolta grazie a un sapiente mix di
assistenzialismo e di repressione.
Certo, non bisogna neppure sottovalutare le
istanze di cambiamento e pensare che si possa
andare avanti così senza ripercussioni future.
L’Algeria basa la propria sopravvivenza economi-
ca sull’esportazione di idrocarburi, ma dovrebbe
iniziare a pensare a come sostenersi in futuro.
Le riserve diminuiscono, mentre aumentano i
consumi interni. In pochi anni, molti giacimenti
diverranno improduttivi.
Senza i proventi dell’export l’Algeria non potrà
più permettersi di soffocare il dissenso con la di-
stribuzione di impieghi e sovvenzioni, com’è av-
venuto fino a questo momento.
Prima che questo momento arrivi, è dunque im-
portante che l’establishment politico, economico
e militare comprenda la necessità di un profondo
rinnovamento dello Stato. La strada intrapresa
dal Marocco potrebbe rappresentare un buon
precedente di transizione guidata e di apertura
graduale.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014206
Voci di carta: le interviste di Gordio
L’Egitto pare pacificato, con il trionfo dei mi-litari. Ma anche in questo caso l’economia non aiuta il consolidamento della nuova fase. Basterà il ricordo del caos precedente per evi-tare nuove tensioni? E quale sarà il ruolo del Cairo nello scenario Mediorientale?
Credo sia presto per parlare di una vera pacifica-
zione: mano a mano che l’appuntamento delle
Presidenziali si avvicina, infatti, aumentano gli epi-
sodi di violenza e gli attentati ai danni dei militari.
L’attuale Presidente Al Sissi sembra il favorito,
ma non è da escludersi una escalation di attac-
chi condotti dalle forze jihadiste per cambiare le
carte in tavola.
La destituzione di Mohamed Morsi, il primo pre-
sidente democraticamente eletto della storia egi-
ziana, ha lasciato forti strascichi. La repressione
indirizzata verso i Fratelli Musulmani è ora il pre-
testo per una vendetta di gruppi radicali islamici
che rappresentano una minaccia concreta al pro-
cesso di transizione.
Questa instabilità non fa che peggiorare dram-
maticamente la situazione economica di un Pa-
ese che storicamente dipende dai flussi turisti-
ci per la propria sopravvivenza. Da diversi anni,
ormai, l’Egitto perde visitatori per i problemi di
sicurezza che il governo non riesce a gestire.
Se davvero i militari desiderano pacificare il Pae-
se, forse dovrebbero tentare il dialogo con tutte le
forze politiche, senza escludere che anche il Par-
tito Libertà e Giustizia possa essere interessato a
trovare una soluzione condivisa per garantire un
futuro al Paese.
La posta in gioco è enorme. Le ripercussioni di
una maggiore instabilità colpirebbero non sol-
tanto la popolazione egiziana, ma potrebbero
rappresentare un pericolo anche per i precari
equilibri del Medio Oriente e del Maghreb. L’Egit-
to è sempre stato un importante ago della bilan-
cia, soprattutto per quanto riguarda la vicenda
Israelo-palestinese. Un Egitto stabile potrebbe
contribuire al processo di pace, riassumendo il
suo ruolo storico. Al contrario, un Egitto debole e
frammentato potrebbe essere risucchiato nel vor-
tice di instabilità mediorientale, che avvantaggia
i movimenti più estremi allontanando sempre più
la prospettiva di sviluppo democratico.
Come muteranno i rapporti tra questo Nord Africa ed i Paesi subsahariani? Il Ciad conti-nuerà a rappresentare un problema con cui confrontarsi?
I rapporti fra i paesi del Nord Africa e quelli dell’a-
rea subsahariana sono mutevoli tanto quanto è
mutevole la situazione dei singoli Stati.
Si possono, tuttavia, osservare alcuni fenomeni.
Il primo è rappresentato dalla porosità dei confini
e dalla facilità, per i gruppi armati, di spostarsi li-
beramente fra Nord Africa e fascia subsahariana.
Al Qaeda e i gruppi terroristici hanno tratto van-
taggio dalla situazione di instabilità presente in
numerosi Paesi del Maghreb per rafforzare la pro-
pria presenza nel deserto e ormai sono in grado
di operare in Mauritania, Mali e Niger. Oltre ad
Al Quaeda nel Maghreb Islamico, gruppi radicali
sono presenti nel Nord della Nigeria (Boko Ha-
ram) e in una parte del Ciad, ma anche in Sudan,
Etiopia e Somalia.
Il secondo fenomeno è rappresentato dall’assenza
di un coordinamento forte di Stati Africani capa-
ce di combattere gli estremismi e favorire la pace.
Nonostante la presenza dell’Unione Africana e di
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 207
Voci di carta: le interviste di Gordio
altri organismi regionali, i Paesi africani faticano
a intervenire su conflitti che si trascinano ormai
da anni, rendendo difficile ogni progresso econo-
mico e sociale.
Dalla Repubblica centroafricana al Sud Sudan,
dal Mali alla Nigeria, il Continente è percorso da
guerre che generano povertà e costringono mi-
gliaia di persone alla fuga.
In Ciad, invece, si sta consumando una vera e
propria catastrofe ecologica: se non ci saranno
interventi rapidi, il deterioramento del lago Ciad
potrebbe privare di sostentamento milioni di
persone, determinando migrazioni imponenti in
un’area già fortemente instabile.
In definitiva, occorre che tutti gli Stati africani
comprendano che la lotta contro il terrorismo e
il sottosviluppo si può vincere soltanto dotandosi
di un orizzonte comune.
Credo che forse, in questo, l’Europa possa rap-
presentare un esempio capace di dare speranza.
Le popolazioni del nostro continente hanno tra-
scorso centinaia di anni a combattersi, ma han-
no compreso che soltanto un’unione più stretta
avrebbe permesso di superare i vecchi conflitti in
nome di un obiettivo di crescita e prosperità.
Quando un grande continente come l’Africa capirà
questo, potrà davvero aprirsi una nuova fase non
solo per i suoi abitanti, ma per il mondo intero.
La zona sub-sahariana Fonte: Vio Cavrini
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014208
Voci di carta: le interviste di Gordio
ambizioso progetto di progressivo
allargamento ad est dell’Unione europea
ha portato all’ingresso della Bulgaria
nella “casa comune” del Vecchio Continente il 1
gennaio 2007. Una Paese che occupa un’area di
cruciale interesse geopolitico e che vanta storici
rapporti e relazioni con l’Italia. Legami politici ma
soprattutto intrecci culturali ed economici che
delineano interessanti sviluppi per il futuro. “Il Nodo
di Gordio” ne ha parlato con l’Ambasciatore d’Italia
in Bulgaria, Marco Conticelli in occasione del festi-
val internazionale dell`arte contemporanea “CON-
TEMPO” di Varna al quale ha partecipato con suc-
cesso anche lo scultore trentino Paolo Vivian con la
mostra personale intitolata “Hortus Memoriae”.
Italia e Bulgaria hanno antichi e profondi legami. Oggi, però, non sarebbe secondo Lei necessario intensificare l’interscambio cultu-rale? E cosa si dovrebbe fare a Suo avviso?
a cura della Redazione
Conticelli: Cultura e Made in Italy al centro dei rapporti tra Italia e Bulgaria
La cultura è già un importante terreno d’intesa tra Italia e bulgaria E lo sarà sempre di più nella prospettiva della candidatura congiunta italo- bulgara per la “capitale della cultura europea 2019”
L’
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 209
Voci di carta: le interviste di Gordio
La cultura è già un importante terreno d’intesa
tra Italia e Bulgaria E lo sarà sempre di più nella
prospettiva della candidatura congiunta italo-
bulgara per la “Capitale della Cultura europea
2019”. L’Ambasciata, anche grazie all’Istituto
Italiano di Cultura di Sofia, intende senz’altro
continuare a investire sulla cultura, valorizzan-
do in particolare quei settori che possono avere
importanti ritorni economici per il nostro Paese:
come l’arte e il cinema, il restauro e l’architettura,
la moda e la musica, l’insegnamento dell’italiano.
Quest’anno, ad esempio, abbiamo previsto una
mostra di disegni di Michelangelo che si svol-
gerà nella prestigiosa Galleria Nazionale d’Arte
di Sofia; un seminario sulle tecniche di restauro
dei mosaici e delle superfici architettoniche stori-
che, in collaborazione di Assorestauri; una mostra
sull’architettura “Made in Italy”; la presentazione
dei lavori dell’architetto italiano Vico Magistretti
alla “Settimana del Disegno” di Plovdiv; la parte-
cipazione al Festival internazionale del cinema di
Stara Zagora, al Festival autunnale del cinema di
Sofia ed al Festival annuale del cinema di monta-
gna di Bansko; l’organizzazione di una “Sanremo
a Sofia” in una Sala da 9.000 persone; una sfilata
di moda in Ambasciata in collaborazione con Ca-
nali; il lancio di corsi di lingua italiana per il busi-
ness, rivolti all’imprenditoria locale, in aggiunta ai
corsi di italiano già svolti a tutti i livelli secondo il
quadro comune europeo.
Bulgaria ed Italia hanno in comune l’inte-resse geopolitico per la sicurezza dei Balcani. Quale collaborazione è necessaria al fine di rendere più stabile questa regione cruciale?
Sono molte le iniziative che ci vedono impegnati
assieme per promuovere la crescita e la stabilità
dell’area, anche nel quadro della comune appar-
tenenza all’UE e alla Nato. Dalla progressiva in-
tegrazione euro-atlantica dei Balcani al rafforza-
mento della spazio Schengen, dal consolidamento
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014210
Voci di carta: le interviste di Gordio
democratico alla lotta alla criminalità organizzata,
fino allo sviluppo dell’interdipendenza energetica e
delle grandi reti di trasporto regionali.
Il nostro Semestre di Presidenza europea, che si
aprirà fra poche settimane, rappresenta un’im-
portante occasione per compiere concreti e ra-
pidi passi in avanti in questa direzione, in parti-
colare facendo avanzare i Paesi della regione nei
rispettivi percorsi di integrazione e rilanciando la
cooperazione regionale con la definitiva appro-
vazione della nuova “Strategia UE per la macro-
regione adriatico-ionica”.
La Bulgaria pare uscita dalla crisi. Con pro-spettive di crescita del Pil nettamente supe-riori rispetto all’Italia. Un fuoco di paglia o una ripresa vera?
La ripresa c’è. L’economia bulgara è già cresciuta,
sia pure moderatamente, nel 2012 e nel 2013 e le
previsioni per i prossimi anni sono favorevoli. Gli
organismi economici internazionali si attendono
infatti un ulteriore consolidamento ed accelera-
zione della crescita, che dovrebbe avvicinarsi già
quest’anno al 2% e registrare una media del 3%
tra il 2015 ed il 2018. L’export bulgaro rappresen-
ta il principale volano della ripresa. Nel 2013 è già
aumentato del 9% verso l’UE.
Certo, questo non significa che sono tutte rose e
fiori… per il momento la domanda interna resta
debole, la disoccupazione alta e gli investimen-
ti esteri in netta flessione. La sostenibilità della
crescita quindi dipenderà anche dalla ripresa
dell’eurozona, dalla fiducia degli investitori sullo
sviluppo del Paese e non ultimo dagli sforzi del
Governo per garantire certezza del diritto, traspa-
renza e regole di mercato.
L’Italia è il secondo importatore (dopo la Ger-mania) dalla Bulgaria ed il terzo esportatore (dopo Russia e Germania). È prevedibile un incremento delle nostre esportazioni? In qua-le settore?
L’interscambio commerciale con l’Italia in questi
ultimi anni è cresciuto notevolmente, nonostante
la crisi, ed ha ormai raggiunto livelli record. Il 2013
si è chiuso con un fatturato di 3,852 milioni di euro,
superiore di 402 milioni di euro rispetto al 2012
(+11,65%) e di 566 milioni di euro circa rispetto
al 2007 (+ 17,21%). Nel 2013 il nostro export è
cresciuto del 14,20% ed ha interessato soprattutto
i settori della meccanica – che rappresenta
tradizionalmente la prima voce delle vendite
italiane verso la Bulgaria – e degli autoveicoli.
Su cosa puntare in futuro? Innanzitutto sui mac-
chinari per l’industria e l’agricoltura, per i quali
continuerà verosimilmente una forte domanda di
tecnologia da parte bulgara. Ma non tralascerei
neppure il settore dei beni di consumo e quindi
del Made in Italy. La sfida risiede nell’intercettare
le nascenti classi medie e proporre loro un pro-
dotto d’alta gamma ad un prezzo accessibile. Par-
liamo chiaramente di moda, arredamento e cibo,
che esercitano già un appeal fortissimo su una
parte rilevante dei consumatori bulgari.
In un recente passato alcuni imprenditori ita-liani avevano scommesso sullo sviluppo del turismo interno bulgaro, sia sul mare sia in montagna. Poi la crisi aveva rallentato il de-collo di questi progetti. Ora pare che anche sul fronte turistico interno la situazione stia migliorando. Il turismo è un business su cui gli italiani possono scommettere?
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 211
Voci di carta: le interviste di Gordio
La Bulgaria dispone di un grande patrimonio na-
turale e storico, i prezzi sono bassi e la gente è
estremamente aperta e cordiale. Le premesse per
il rilancio del turismo ci sono quindi e gli sviluppi
futuri dipenderanno probabilmente dalle attività
di marketing che saranno svolte a livello interna-
zionale per promuovere il Paese come meta turi-
stica. Il Governo bulgaro è impegnato in questa
direzione ed ha varato una strategia nazionale
per lo sviluppo del comparto, con particolare rife-
rimento al turismo naturale e culturale, sportivo,
enogastronomico, termale e balneare.
I dati del resto mostrano un crescente interes-
se per la Bulgaria. Nel 2013 sono arrivati circa
9.200.000 turisti (in aumento del 4% rispetto al
2012), principalmente da Romania, Turchia, Ger-
mania, Serbia, Russia, Ucraina. Ma anche dall’I-
talia, da cui sono arrivati circa 130.000 turisti. A
maggior ragione l’industria italiana può svolgere
un ruolo importante in questo settore, sulla base
della propria esperienza, promuovendo trasferi-
menti di know-how.
Anche in uscita il turismo bulgaro cresce. Ma non premia adeguatamente l’Italia, supera-ta non solo dai Paesi vicini come Turchia e Grecia, ma anche dalla Spagna. Problemi di offerta? Di comunicazione e marketing?
Innanzitutto c’è un problema di capacità di spesa.
La Bulgaria resta comunque il Paese più povero
dell’UE, con un reddito medio di circa 300 euro
al mese. Quindi il turismo in uscita è in linea di
principio un turismo “low cost”.
L’Italia comunque piace e i flussi verso il nostro
Paese hanno ricominciato a crescere dopo la fles-
sione nel 2009, evidentemente registrata a causa
della crisi. Nel 2013 sono stati 38.637 i turisti bul-
gari che hanno visitato l’Italia, rispetto ai 32.800
del 2012 ed ai 26.133 del 2011.
Sono dati incoraggianti che occorre consolidare
anche puntando sulla destagionalizzazione (con
pacchetti di viaggio a costi contenuti) e sul Sud
(completamente ignorato dal pubblico bulgaro
finora, che si dirige piuttosto verso Veneto, Lazio,
Toscana). L’Expo 2015, a cui la Bulgaria parteci-
perà con un proprio Padiglione, rappresenta un
ulteriore motivo per puntare sul turismo in Italia.
I rapporti tra la monarchia bulgara ed i Sa-voia hanno ancora qualche incidenza sulla popolazione locale?
Sono importanti legami storici, che sottolineano
la vicinanza tra i due Paesi anche nel passato. Si-
meone, figlio della Regina Giovanna di Savoia e
dello Zar Boris III, è stato Re della Bulgaria dal
1943 al 1946, anno in cui la Monarchia è stata
abolita con un referendum. Poi, a seguito delle
elezioni politiche del 2001, è stato Primo Ministro
di Bulgaria dal 21 luglio 2001 al 16 agosto 2005.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014212
Voci di carta: le interviste di Gordio
“Hortus Memoriae” è una mostra di
scultura, installazioni site-specific ed
oggetti relative alle ricerche artistiche
dell’artista italiano Paolo Vivian sulla memoria
collettiva e sull’esperienza umana. Lo spazio di
galleria appositamente organizzato e la posizio-
ne codificata delle opere, invitano il visitatore in
un rebus intellettuale ed estetico. L’artista gioca
con i concetti, scambia i posti delle percezioni ed
affascina i visitatori in un percorso personale, uti-
lizzando le tecniche del pensiero associativo già
conosciuto da antichi trattati metafisici e dall’er-
meneutica contemporanea.
“Hortus Memoriae” è una pratica famosa per la
memorizzazione di un’enorme quantità di infor-
mazioni svelateci da Giordano Bruno nel suo stu-
dio “Ars Memoria”. L’antica formula rappresenta
il “cuore” nascosto del progetto di Vivian ed è la
chiave del suo giardino fantasioso.
L’autore rivela la diversità delle forme della co-
di Dora Doncheva-Bulart
Vivian: Uso il passato per progetta-re il futuro vivendo nel mio presente
“contempo 2014”, il festival Internazionale dell’Arte contemporanea a Varna (bulgaria), ha registrato la presenza dell’artista italiano Paolo Vivian con la mostra personale “HoRTuS MEMoRIAE”
L’
La mostra “Hortus memoriae di Paolo Vivian”
racchiude in sé l’idea del genius loci della
Bulgaria.
Varna riunisce radici arcaiche, un’antica oc-
cupazione romana, la cultura degli Unni, un
popolo “barbaro” nuovo sulla scena europea
agli albori del medioevo, varie stratificazioni
successive di storia e civiltà.
Espandendosi dal dettaglio dell’allestimento
fino alla geografia urbana, troviamo i valori
dell’incontro e della condivisione, dove la di-
versità è risorsa, dove i codici comportamen-
tali comuni sono condizioni naturali.
Paolo Zammatteo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 213
Voci di carta: le interviste di Gordio
scienza collettiva nel processo di unificazione
dell’Europa, esplorando le relazioni umane e le
metamorfosi dell’esperienza collettiva nel pre-
sente. Lui mette l’accento sull’uomo e la sua
capacità di distinguere e ricordare. Per compor-
re questo particolare puzzle artistico realizzato
dai suoi simboli e sistemi semiotici, Paolo Vi-
vian trasforma i principi mnemonici dell’“Hortus
Memoriae”. Nella sua “fusione degli orizzonti” la
memoria umana ha una forma laconica ed una
direzione verticale. Tessuti, colori, parole e nume-
ri sono coinvolti nel gioco intellettuale. D’altro
canto i ricordi individuali sono cubi di legno di
diverse dimensioni e colorazione.
L’artista provoca i visitatori ad entrare senza pre-
giudizi, a trovare la password per la mostra espo-
sitiva ed a creare il proprio giardino personale
della memoria. All’inizio del viaggio è stata inse-
rita l’allusione alla grande famiglia europea, alle
relative sovrapposizioni multiculturali ed ai mix
della globalizzazione e della migrazione. La sin-
tesi dell’esperienza collettiva in questo progetto
si riflette nell’interpretazione creativa dell’amore,
della connessione con la natura ed il perfeziona-
mento spirituale.
Gli archetipi culturali, la mutazione del mito e del
tabù nel giardino di Vivian sono dei totem e dei
menhir del ricordo. Il codice a barre della moder-
nità rappresenta il dialogo tra le generazioni ed i
quotidiani contatti umani. Il significato sacro del
numero sette così come il simbolismo dei cinque
elementi dell’antica cosmogonia vengono tra-
sformati nella sua arte e diventano segno di virtù,
di passione o di dolore.
I titoli delle opere sono dei punti di orientamento
nascosti ai visitatori - “Struttura Nera e Memorie
Futuri”, “I Cani Randagi vanno in paradiso”, “Ar-
cheologo della Memoria”, “Proto-Memoria”, “Au-
rora dello Spirito”, “Codici ed Incroci”, “Menhir. I
Anna Amendolagine, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura-Sofia, Dora Doncheva, curatore della mostra, Paolo Vivian, Polina Marinova - Vice Sindaco del Comune di Varna, Petra Dimitrova, Direttore della galleria Graffit
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014214
Voci di carta: le interviste di Gordio
Cinque elementi”, “L`excess. Fons excessorum”,
“Memorie del Ghiacciaio”, “Codice a Barre. Ferro”.
In questo modo l’artista riordina le percezioni del
suo pubblico e lo aiuta a fare una sua personale
ricerca ed un suo viaggio.
La password d’accesso in questo mondo imma-
ginario di segni è la parola “pace”, a cui l’artista
conferisce un ruolo centrale nel tempo presente.
Intrecciando liberamente gli artefatti culturali
accumulati, Paolo Vivian crea le sue sculture e
oggetti di legno, pietra o metallo, come segni dei
tempi in cui viviamo e codifica il futuro modello
della memoria tramite il “cuore” della sua mostra
ponendoci al centro anche il concetto di pace.
Dora DonchevaCuratore del progetto
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 215
Voci di carta: le interviste di Gordio
biografia
Paolo Vivian (1962, Serso di Trento) opera nel campo della
scultura, dell’installazione e della performance. Le sue opere
sono state presentate nel programma di Vilnius - Capita-
le Europea della Cultura 2009, in occasione della celebra-
zione del 100° anniversario dalla fondazione della città di
Differdange, nei progetti “L’angolo degli eroi” – Budapest,
“Natura e Arte” - sotto l’egida della Regina olandese, Off-
On - Amburgo, Exi(s)t- Varna, il Palazzo Ducale - Genova,
l’Abbazia augustiniana - Bolzano, Galleria “Aktus Magnus”
- Vilnius ed altri. Le sue opere monumentali fanno parte di
collezioni pubbliche in Natuurkunst - Drenthe (Paesi Bas-
si); Istituto Italiano di Cultura di Bergen (Norvegia); il Parco
Gerlache - Differdange (Lussemburgo); il Parco Tre Castagni
- Pergine Valsugana (Italia); Forst – Germania; Rabka-Zdroj
– Polonia; Kunstforum - Stubenberg (Austria); la Fondazio-
ne “Camille Claudel” - La Bresse (Francia) ed altri. Ha vinto
premi internazionali per la scultura in Italia e all’estero. Art
direttore e curatore dei progetti internazionali di scultura -
“Memoria della amnesia” (Pergine Valsigana, Trento 2007) e
“6x6” (Baselga di Pine, Trento 2008-2014); fondatore della
rete internazionale artistica sKulturclub . Vive e lavora a
Palù del Fersina, Trento, Italia.
CONTEMPOIl Festival Internazionale d’arte contempora-nea - Varna, Bulgaria, 2014
HORTUS MEMORIAE mostra personale di PAOLO VIVIANsculture, installazioni ed oggetti
Galleria Graffit - Varna, Bulgaria29 aprile - 31 maggio 2014
La mostra è realizzata con il sostegno del Fondo
“Cultura” del Comune di Varna, l’Istituto Italiano
di cultura di Sofia, la Fondazione “Raya Georgie-
va”, la galleria Graffit, la compagnia assicurativa
“Armeec”, la Bulgaria Air, Devnya Cement (Ital-
cementi group), Hotel Plaza, Grand Mobil, hotel
Plaza, Ginger coffee. Il progetto viene a sostene-
re la candidatura di Varna come Capitale Euro-
pea della Cultura nel 2019.
Paolo Vivianwww.paolovivian.it
Dora Donchevawww.contempovarna.org
Petra Dimitrovawww.graffitgallery.com
Istituto Italiano di Cultura - Sofiawww.iicsofia.esteri.it/IIC_Sofia
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014216
Il labirinto del Minotauro
ono molto più numerose le caratteri-
stiche che rendono gli esseri umani si-
mili fra loro se paragonate alle pretese
di originalità individuali, ed in molte occasioni ho
avuto la possibilità di evidenziare quali sono gli
aspetti evolutivi e migliorativi di questa afferma-
zione.
Eppure, specialmente in questo periodo, sembra
che la necessità di apparire diversi, migliori nelle
azioni e nelle intenzioni, rispetto all’andamento
silenzioso e spesso anonimo della vita quotidiana,
sia così importante che solo il sensazionalismo è
ritenuto degno di considerazione effettiva.
In realtà, nessun essere umano, anche quando ha
la possibilità di professare un credo esistenziale
che mette in luce con evidenza le proprie abilità,
può effettivamente affermare di essere nella vita
ciò che ha sempre desiderato diventare.
No, vi è sempre una quota di differenza, di ap-
prossimazione per difetto, che separa la realtà
della nostra vita quotidiana dal desiderio di rea-
Il labirintodel Minotauro
di Alessandro Bertirotti
Il Tempo Artistico
L’arte è l’unico codice comunicativo umano che sappia contenere l’umanità intera sotto lo cielo fermando il tempo quotidiano di tutti
S
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 217
Il labirinto del Minotauro
Proprio perché questa possibilità non ci è data, noi siamo l’unica specie vivente su questo pianeta ad aver inventato una situazione originale, completamente umana ed artefatta, che chiamiamo “esposizione artistica”
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014218
Il labirinto del Minotauro
lizzare in quella stessa vita qualcosa di originale
e totalmente nuovo. Ogni cosa nuova, per essere
tale, ha bisogno di essere riconosciuta dagli altri
come importante, necessaria ed utile, perché di
fronte alle leggi per la sopravvivenza che la Na-
tura impone a tutti noi, non ci si può permettere
il lusso di agire senza uno scopo preciso da rag-
giungere ed importante per tutti. Non possiamo
agire nel mondo senza migliorare noi stessi nel
mondo, mentre tutto ciò che ci circonda, in qual-
che modo e misura, vive assieme con noi, condi-
videndo aspettative e desideri.
Eppure, proprio perché questa possibilità non ci
è data, noi siamo l’unica specie vivente su questo
pianeta ad aver inventato una situazione origi-
nale, completamente umana ed artefatta, che
chiamiamo “esposizione artistica”. E non vi è bi-
sogno di una Galleria d’arte, così come non vi è
bisogno di un teatro per essere e diventare attori,
mentre certamente basta un palcoscenico, ossia
un luogo dove potersi mettere in scena cercando
di raccontarsi come si vorrebbe essere rispetto a
come si è.
Ecco cosa sono le Gallerie d’Arte, i luoghi dove si
espone il desiderio, dove tutto si mette in scena
cercando di rispettare quello che nella vita quo-
tidiana non possiamo esprimere, per una serie di
motivi, nel contempo, seri e futili.
E nel luogo espositivo dove ci rechiamo ad am-
mirare le opere d’arte si ferma il tempo della vita
quotidiana, perché, visitando le opere, con il cor-
po e la mente, durante la passeggiata che spesso
un’esposizione richiede al visitatore, ci costrin-
giamo a riflettere sulle intenzioni creative dell’ar-
tista e sulle proprie, come visitatori.
Per questo sostanziale motivo, ritengo che non
sempre sia utile sostenere, come alcuni famosi
intellettuali pensano, che il Museo e le Gallerie
d’arte debbano uscire dai loro luoghi consueti
e riversarsi nelle strade, sostenendo che solo in
questo modo le opere stesse prendono vita. In
realtà, anche nel tempo immobile di una galle-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 219
Il labirinto del Minotauro
ria d’arte, dove tutte le cose restano al loro posto
fino a quando l’esposizione non viene smontata,
le opere, assieme ai visitatori, vivono, esistono e
ci cambiano.
Entrare in un luogo, che è un preciso territorio,
all’interno del quale compiamo la promenade che
ci porta in un mondo esterno a quello di tutti i
giorni, si annulla il tempo delle cose che si usura-
no, e il passato, il presente e il futuro si trovano
tutti assieme appesi alla stessa parete, oppure fis-
sati in una statua appena scolpita.
Ecco perché, il luogo dove ognuno di noi si rap-
presenta per quello che vorrebbe essere, o diven-
tare, oppure crede di essere stato, senza avere an-
cora pensato al proprio futuro, è il luogo dell’arte,
dell’esposizione artistica dove avviene quel ritua-
le dialogico che mette in relazione l’artista, le sue
opere e il tempo del fruitore. E lì, non vi è fretta
o lentezza, perché l’attenzione alle opere diventa
qualcosa di personale, andando, come accade per
i ricordi secretati nella nostra memoria, a scoprire
quanto intima può essere l’espressione originale
di un’artista. E se siamo persone attente, ci ren-
diamo conto che l’intimità, la dimensione inte-
riore di ognuno di noi, è la cosa più preziosa che
dobbiamo tutelare. L’intimità possiede il tempo
immobile della meditazione, mentre lo spazio di-
venta una sorta di rituale collettivo, la promena-
de, che mette in relazione le intenzioni dell’artista
con quelle del fruitore.
Avvengano dunque le interazioni e si continui a
costruire chiese, luoghi sacri, musei e gallerie, fa-
cendo sì che le mistificazioni imposte alla nostra
attenzione dalla fretta di vivere non oltrepassino
le loro soglie, restino fuori da questi luoghi, nei
quali si realizza la perfezione del tempo artistico:
la meditazione.
Alessandro BertirottiAntropologo della mente
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014220
La Storia & le Storie
a storia dell’Azerbaijan, il più esteso
degli stati del Caucaso, da sempre
terra di incontro e convivenza di cul-
ture e naturale cerniera tra l’Asia e l’Europa, ha
origini antichissime, risalenti fino al Paleolitico, e
nella sua evoluzione millenaria ha inciso in pro-
fondità nel processo di formazione della civiltà
e della cultura della Mesopotamia. Tra le prime
tracce di insediamenti umani (Homo Sapiens
sapiens) diffuse su un ampio territorio (Qazma,
Qobustan, Həsənli, Firuz) dopo la fine dell’ultima
Era Glaciale (10.500 a.C.) vi sono quelle ascritte
alla cosiddetta Cultura del Kura-Araxes (dal ba-
cino fluviale dell’Arasse, ca. 3400 – 2000 a. C.),
che vide inizialmente la diffusione della cultura di
tipo “indo-mesopotamico” (su modello delle città
dell’Indo di Mohenjo-daro e Harappa) e “Cauca-
sico” irradiatesi dalle città e regni mesopotami-
ci e che condividevano una cultura più o meno
coerente (Ittiti, Urriti, Mitanni, Gutei, Assiri). Tra
le prime città-stato definibili da un punto di vi-
La storia& le storie
di Diletta Cherra e Federico De Renzi
Storia dell’Azerbaigian, dagli Achemenidi all’avvento dell’Islam
Tra le prime città-stato definibili da un punto di vista cronologico e l’annessione al Regno dei Medi prima e dunque all’Impero Achemenide intercorsero oltre 1500 anni. La regione fu prima sotto il controllo prima degli urriti, legati al multietnico Regno dei Mitanni
L
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 221
La Storia & le Storie
La presenza massiccia di Popoli delle Steppe (Cimmeri prima, Medi e Sciti poi) fece sì che la regione dell’attuale Transcaucasia (a nord dell’Arasse), venisse considerata da Erodoto come parte della Scizia, e così era vista anche dai sovrani Achemenidi
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014222
La Storia & le Storie
sta cronologico e l’annessione al Regno dei Medi
prima e dunque all’impero Achemenide intercor-
sero oltre 1500 anni. La regione fu prima sotto
il controllo prima degli Urriti (popolazione forse
di lingua kartvelica, o anche caucasica), legati al
multietnico Regno dei Mitanni (dove una élite
indo-aria dominava una popolazione “urrita”, ca.
1500 – 1300 a.C.), poi a partire dal XII sec a.C.,
cadde sotto il Regno di Urartu (forse legato lin-
guisticamente con i primi). Nel periodo IX-VII sec.
a.C. la regione vide dunque tre principali entità
statuali, note come Urartu, Etio (Etiuni, assorbi-
to dagli Urartei) e Mannu (Mannei), più o meno
ostili al rinato impero Neo-assiro (934 – 609 a.C.),
vera potenza regionale. Di qui passarono prima
i Cimmeri (1300 - 700 a. C.), prima popolazione
“indoeuropea” delle Steppe a essere ricordata ne-
gli annali sia dagli Assiri che dai loro nemici). Nel-
la regione giunsero poi i Medi, inizialmente (X –
VII sec. a.C.) come sudditi degli Assiri e poi, alleati
dei Babilonesi di Nabopalassar (r. 625 – 605 a.C.)
e degli Sciti (Saka), come nemici, partecipando
attivamente nella rivolta all’impero e alla stessa
distruzione di Ninive (616 – 605 a.C).
La presenza massiccia di Popoli delle Steppe (Cim-
meri prima, Medi e Sciti poi) fece sì che la regio-
ne dell’attuale Transcaucasia (a nord dell’Arasse),
venisse considerata da Erodoto come parte della
Scizia, e così era vista anche dai sovrani Acheme-
nidi. Nel periodo della dominazione degli Ache-
menidi (550 al 330 a. C.), l’attuale Azerbaigian era
stato parte integrante della satrapia della Media
con il nome di Media Atropatene (anche cono-
sciuta come Media minore), dal nome del satrapo
persiano Atropate cui era stato affidato il gover-
no di questa provincia, ma con la caduta dell’im-
pero degli Achemenidi e la morte di Alessandro il
Macedone per la Media Atropatene si determina
l’occasione per divenire una regno indipendente
sotto una vera e propria dinastia locale che, tra
alterne vicende, durò fino al I secolo a. C.
Atropatene Historyof Iran
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 223
La Storia & le Storie
L’origine del nome Azerbaigian è infatti contro-
versa. Le due interpretazioni prevalenti le attri-
buiscono, da una parte, una derivazione da un
termine della religione dello Zoroastrismo, mol-
to radicata nel territorio e dedita al culto del
sacro fuoco, per cui Azerbaigian equivarrebbe a
“terra del fuoco” o “terra dei fuochi”, per la pre-
senza dei numerosi templi illuminati da fuochi
che ardevano perenni; la seconda interpreta-
zione vedrebbe, invece, nel termine Azerbaigian
la corruzione lessicale, da parte di popolazioni
di lingua iranica in-
sediatisi nel territorio
(genericamente noti
come Medi), del nome
Atropatène, derivante
dal satrapo persiano
Atropate, l’ex gover-
natore della Media occidentale sotto il cui do-
minio il territorio divenne regno indipendente
dopo la morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C.
Proprio la fine del periodo ellenistico rappresen-
ta un momento cruciale per la costituzione ter-
ritoriale e storica del futuro Azerbagjan, perché
è in questo periodo che il suo territorio e la sua
storia iniziano a definirsi in maniera specifica
e autonoma attraverso le vicende parallele e il
processo di autonomia delle due province ache-
menidi della Media Atropatene e dell’Albania
Caucasica.
Nel 323 a.C inizia la spartizione del vasto impero
greco-macedone (spartizione di Babilonia) tra i
generali di Alessandro, i diadochi, ed è in que-
sto processo di parcellizzazione territoriale che
l’ex provincia della Media Atropatene diviene,
con Atropate, una realtà autonoma chiamata
Atropatene, in greco ᾿Ατροπατήνη, in persiano
Aturpatakan e poi Adurbadagan, da cui derive-
rebbe il nome Azerbaigian.
L’area geografica di questo regno indipendente, il
cui nucleo centrale fu sempre l’area montagno-
sa a est del lago Urmia, doveva corrispondere ad
un’area approssimativamente delimitata a nord
dal fiume Araxes (Arasse), che lo separava così da
quella che gli autori classici chiamano Armenia e
dall’Albania Caucasica, a est dalle montagne lun-
go il Mar Caspio, a ovest dal lago Urmia (l’antico
Matiane Limne) e dalle montagne dell’attuale
Kurdistan, a sud, in-
fine, dal fiume Ar-
mados, individuando,
dunque, un territorio
oggi compreso tra
l’Iran, l’attuale Azer-
baigian persiano, la
Repubblica di Armenia e il Nagorno Karabakh.
A nord di Atropatene si estendeva quindi l’Al-bania Caucasica, il cui territorio corrispondeva
quasi interamente a quello che oggi è l’Azerbai-
gian settentrionale. Come la Media Atropatene,
anche l’Albania Caucasica, come già accennato,
fu in età achemenide provincia sotto il dominio
del satrapo Atropate, rientrando dunque nell’or-
bita dell’impero degli Achemenidi prima, e di
quello macedone dopo. Lo storico Arriano, che
con la sua Anabasi costituisce la prima fonte
sull’Albania Caucasica, ricorda infatti gli Albani
accanto ai Medi tra i popoli agli ordini di Atropa-
te nella battaglia di Gaugamela, combattuta tra
Alessandro Magno e il sovrano achemenide Dario
III nel 331 a.C., testimonianza che conferma l’an-
tico nesso tra le due province da cui nascerà, nel
corso dei secoli, la terra d’Azerbaigian.
La dinastia fondata da Atropate regnò su Atropa-
L’origine del nome Azerbaigian è controversa: equivarrebbe a “terra del
fuoco” o “terra dei fuochi”
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014224
tene per alcuni secoli, prima in maniera indipen-
dente, poi sottoposta ai Seleucidi e ai Parti, costi-
tuitisi in regno nel 247 a.C., fino a divenire, nel I
secolo a.C, alleata dei Romani nella loro strategia
di contenimento della potenza partica nel Cauca-
so. A partire dal I secolo a.C. il Caucaso meridio-
nale entrò infatti nella sfera di interesse di Roma,
che vi si mosse con la consueta energia pur senza
mai riuscire a sottometterlo, e la lotta per il con-
trollo del Vicino Oriente tra Parti e Romani coin-
volse profondamente la Transcaucasia, i cui regni
avrebbero conosciuto nei secoli continui passaggi
di mano dalla sovranità romana a quella partica.
Per ottenere il controllo dell’Alta Mesopotamia e
consolidare il confine orientale dell’impero, Roma
diede dunque inizio ad una serie di campagne
militari nella regione, prima con le guerre contro
Mitridate Eupatore (r. 120–63 a.C.), re del Ponto,
poi con le guerre contro la Partia, queste ultime
protrattesi per circa tre secoli fino alla sconfitta
dei Parti ad opera dei Sassanidi.
Con il I secolo a.C., i Romani entrarono quin-
di progressivamente in contatto con gli stati
nati a oriente dell’Eufrate in seguito alla caduta
dell’impero Seleucide, tra cui l’Albania Caucasica
e la Media Atropatene, che vennero inserite nel
dispositivo strategico romano. Nel 69 a.C. con Li-
cinio Lucullo prima, e poi nel 66 a.C. con Pompeo
(nominato dal Senato al posto del primo a causa
dello scarso successo ottenuto nella campagna),
le operazioni in Oriente portarono infatti ad un
isolamento del re Mitridate Eupatore, re del Pon-
to, e dei suoi alleati, tra cui Iberi e Albani così,
dopo aver combattuto e vinto i primi, Pompeo,
all’inseguimento di Mitridate, entrò in Albania
e si scontrò, sconfiggendole, con le forze del re
albano Oroeze. I Romani avanzarono poi in dire-
zione del Caspio e nel 62 a.C. Pompeo, vittorioso,
celebrò a Roma il trionfo anche su Albani e Iberi.
L’obiettivo principale di Pompeo era quello di
annientare il re del Ponto e di dare alle nuove
regioni una condizione di stati-scuscinetto, to-
L’impero Romano al tempo di Augusto nel 30 a.c.
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 225
La Storia & le Storie
gliendo così a Mitridate i sudditi alleati e contro-
bilanciarne la presenza con una potenza fedele
a Roma. Il controllo dei regni caucasici di Iberia
e Albania, e per certi versi dello stesso regno di
Armenia, corrispondeva a questa logica e mira-
va, al contempo, a rafforzare l’immagine di Roma
di fronte al crescente e sempre più minaccioso
regno della Partia. Le guerre mitridatiche e le
campagne di Pompeo avevano infatti spostato
oltre l’Eufrate l’epicentro della politica orientale
romana portando alla ribalta la potenza partica,
ancora non completamente nota nella sua realtà
a Roma, e dando, allo stesso tempo, un nuovo
ruolo strategico alla Transcaucasia. Con l’ulterio-
re spostamento del limes imperiale ad oriente,
per Roma divenne allora necessario consolidarsi
nel Caucaso e contenere il potere e l’espansione
dei Parti, necessità che fu confermata dalla di-
sastrosa campagna di Licinio Crasso del 53 a.C.
(Battaglia di Carre (Carrhae), oggi Harran, in Tur-
chia sud-orientale) e dall’uccisione di questi per
mano del generale partico Surena. La disfatta di
Crasso, dovuta anche al presunto tradimento del
re Armeno Artavasde, confermò la strategia cau-
casica di Roma ponendo le basi per le successive
campagne contro i Parti.
Con Marco Antonio, Roma avvertì la necessità
di prevenire possibili attacchi da parte delle po-
polazioni locali nelle nuove zone-cuscinetto e di
assicurarsi, allo stesso tempo, la loro assistenza
militare e logistica nelle possibili e future opera-
zioni contro la Partia. Nel 37-36 a.C. Antonio fu
costretto ad inviare nella regione P. Canidio Cras-
so per sedare alcune rivolte e in quest’occasione
Roma ottenne una vittoria tattica su Armeni, Ibe-
ri e Albani, arrivando ad invadere e conquistare
l’Albania che divenne, almeno nominalmente, un
protettorato romano, e dando il via ad una con-
dizione di vassallaggio che si protrasse per quasi
tre secoli. Antonio fece dell’Armenia la sua base
per un’invasione della Media Atropatene, ma a
causa di un attacco a sorpresa dei Parti dovette
Regione Caucasica
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014226
La Storia & le Storie
abbandonare l’assedio della capitale Fraata, e tor-
nare in Armenia. Poco dopo la disfatta dei Roma-
ni, tra Artavasde (59 ca.- 20 a.C.) I di Atropatene
e Fraate IV (r. 37-2 a.C.), nuovo sovrano partico,
sorsero delle rivalità circa la divisione dei bottini
e lo status di autonomia del regno di Atropatene,
con il risultato che il re medo giunse ad offrire ad
Antonio un’alleanza, accettata nel 33 a.C. Questa
venne ben accolta da Antonio che sperava ancora
nel sostegno dell’Atropatene contro i Parti e per
rinsaldare i legami con il re medo Antonio fece
fidanzare suo figlio
Alessandro Helios con
la figlia di Artavasde,
Iotape. Quando Anto-
nio fu costretto a ri-
tirare i distaccamenti
romani dalla Media
per condurre la guerra
contro Ottaviano, il re
medo Artavasde non poté resistere a lungo con-
tro i Parti.
Nonostante il fallimento della spedizione di An-
tonio, dovuto alla condotta ambigua del re di
Armenia Artavasde II, le posizione di Roma, pur
indebolitesi, rimasero sostanzialmente inaltera-
te, creando pur tuttavia le condizioni favorevoli
per un distacco di Iberia e Albania dall’Armenia,
la quale, nel frattempo con l’ascesa al trono di
Artaxias II (r. 34-20 a.C), era tornata nella sfera di
influenza partica.
Con Augusto Roma tornò ad esercitare un con-
trollo su Albani, Iberi e la Media Atropatene. I
buoni rapporti con la Media Atropatene, ostile
alla Partia, si concretizzarono con la concessione
del regno della Piccola Armenia al re Artavasde I,
nel 31 a.C. Nel 30 a.C. Artavasde I fu fatto prigio-
niero dai Parti ma, riuscito a fuggire grazie alla
guerra civile scoppiata tra Fraate IV e il rivale al
trono partico Tiridate, si rifugiò presso Ottaviano
e morì a Roma poco prima del 20 a.C. Nel frat-
tempo la morte del re di Armenia, Artaxias, offrì
all’imperatore Augusto l’occasione per riaprire la
contesa sulla successione al trono armeno e, allo
stesso modo, sulla Media Atropatene, nominando
sovrano di entrambe i regni il figlio di Artavasde I,
Ariobarzane II. Con la nomina di questi, dunque,
sia la Media Atropatene che l’Armenia vennero
unificate sotto un solo
sovrano. Con l’incoro-
nazione di Artabane II
(r. 10-38 d.C.), la Par-
tia tentò di riprendere
le posizione perdute
nell’area subcauca-
sica, riaffermando la
sua egemonia sull’Ar-
menia. Il principe partico Vonone, cresciuto a
Roma e romanizzato, cercò l’appoggio di questa
per riaffermare il suo potere in Armenia. Nel 19
o 20 d.C., con l’assassinio del figlio e successore
di Ariobarzane, Ardavsde II, cessò il dominio della
dinastia fondata da Atropate sulla Media. I Parti,
in seguito ai negoziati del trattato di pace del 18-
19 d.C. tra Germanico e Artabane II, consentirono
alla Partia di tornare ad esercitare un controllo
sulla regione della Media facendone un regno
vassallo.
Negli anni seguenti i rapporti di Roma con Iberia
e Albania sembrano tornati buoni tanto che alla
morte del sovrano armeno Artaxias (r. 18-34 d.C),
e al rinnovarsi dello scontro tra Roma e la Partia
per il controllo dell’Armenia, Tiberio (r. 14-37 d.C.)
ottenne l’aiuto dei due regni caucasici, i cui sovrani
Con Augusto, Roma tornò ad esercitare un controllo su Albani, Iberi e la
Media Atropatene. I buoni rapporti si concretizzarono con la concessione del regno della Piccola Armenia al re
Ardavasde I
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 227
La Storia & le Storie
non solo combatterono contro i Parti ma, aperto il
passo di Darial (Porte Caspiche), lasciarono che gli
Alani invadessero l’Armenia. La scelta strategica di
Tiberio di puntare sull’alleanza con l’Iberia e l’Al-
bania in funzione anti-partica si rivelò vincente e
i Romani riuscirono a prevalere ancora una volta
nel controllo della corona di Armenia, che venne
assunta da Mitridate iberico, ma i rapporti di forza
nel Caucaso mutarono nuovamente quando Ca-ligola (r. 37-41 d.C) richiamò e trattenne a Roma
Mitridate lasciando l’Armenia in balia dei Parti.
Con Claudio (r. 41-54 d.C) Mitridate venne libe-
rato e gli venne riconsegnata la corona dell’Ar-
menia. Le tensioni tra Armenia e Partia ricomin-
ciarono e nel 51 d.C. Il sovrano iberico Radamiste
assassinò Mitridate per impadronirsi del trono,
aprendo così l’Armenia alla dominazione di un
ramo cadetto dei Parti arsacidi. Radamiste tut-
tavia non riuscì a consolidare il suo potere in Ar-
menia ottenendo di fatto un aggravamento della
situazione politica interna e la dichiarata ostilità
di Roma. Di questa situazione di debolezza ne
approfittò il re partico Vologese I (r. 51 - 78 d.C.),
che invase il regno armeno mettendo sul trono il
fratello Tiridate I (r.54 ca.-58; 63-100 d.C.)
Con Nerone (r. 54 – 68 d.C) Roma rispose invian-
do in Oriente il generale Domizio Corbulone che
con l’appoggio dello stesso Farasmane costrinse il
nuovo re partico a fuggire dalla sua capitale Ti-
granocerta (oggi presso Diyabakir, Turchia).
Dopo un periodo di tregua Vologese I tornò ad at-
taccare l’Armenia dove, con il sostegno di Roma,
regnava il principe erodiano (bisnipote di Erode il
Grande di Giudea) Tigrane VI (r.58-63 d.C.) (Gaio
Giulio Tigrane) e indusse Roma ad accettare una
resa che avrebbe segnato la consegna dell’Arme-
nia ai Parti. Roma si rifiutò di ratificare gli ac-
cordi e inviò nuovamente Corbulone il quale, nel
63 d.C., giunse ad un’intesa con Tiridate, siglando
un accordo a Rhandeia. Secondo questo accor-
do i Romani accettavano che la corona andasse
ad un membro della famiglia arsacide e questi,
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014228
La Storia & le Storie
a sua volta, acconsentiva a riceverla dalle mani
dell’imperatore romano. Nel 66 d.C. Tiridate rice-
vette dunque da Nerone l’investitura del regno.
La tregua romano-partica influì negativamente
sui rapporti tra Roma e Iberia, dato che questa
si era sempre dimostrata fedele a differenza de-
gli Albani, ostili e generalmente filopartici. Con
il trattato di Rhandeia Farasmane perse definiti-
vamente l’opportunità di insediare sul trono ar-
meno un rappresentante della sua famiglia e di
estendere il suo territorio ai danni dell’Armenia.
Le linee fondamentali del nuovo approccio roma-
no alla Transcaucasia vennero decise nel 67 d.C,
ma l’uccisione di Nerone, l’anno seguente, va-
nificò il potenziamento del controllo sulla costa
pontica e sulla Colchide, oltre che sulle vie che
mettevano in comunicazione la costa con l’inter-
no della Transcaucasia, facendo cadere i disegni
di conquista. La mancata realizzazione della spe-
dizione neroniana e la guerra civile del 68-69 d.C,
seguita alla morte dell’Imperatore, indebolirono
ulteriormente la posizione di Roma nel Caucaso.
Per contro i Parti dominavano sull’Armenia e la
Media Atropatene ma il loro controllo politico,
economico e culturale si spingeva fino all’Alba-
nia. Attorno al 72 d.C. la popolazione sarmatica
degli Alani fece un’incursione ai danni dell’Arme-
nia e della Media Atropatene, probabilmente in
concerto con gli Iberi. Questi ultimi, infatti, sen-
tendosi liberi dal controllo di Roma ma assediati
dai Parti avrebbero tentato di indebolire il potere
di questi ultimi.
La forza distruttrice degli Alani potrebbe aver
confermato all’imperatore Vespasiano (r. 69-79
d.C.) il timore che l’instabilità nel Caucaso potesse
rappresentare un pericolo per i territori dell’Asia
Minore. Tanto Vespasiano quanto i suoi succes-
sori risposero operando per modificare i rapporti
di forza lungo il limes orientale dell’impero, nel
Caucaso e lungo il Caspio. Tra il 70 e il 74 d.C. Ve-
spasiano riorganizzò la frontiera nord-orientale
rimodulandone l’assetto provinciale, incrementò
Impero Persiano
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 229
La Storia & le Storie
la presenza militare nella regione e pose sotto il
controllo romano la rete viaria che univa l’Ana-
tolia all’Armenia e alla Partia. La presenza di un
distaccamento della Legio XII Fulminata ad una
distanza di alcuni chilometri dalla costa caspica
(69 km a sud di Baku) è testimoniata da un’iscri-
zione risalente agli anni tra l’83 e il 93 del regno
di Domiziano.
La situazione politica dei Flavi e la loro condotta
nei rapporti con i regni sub caucasici furono se-
gnate dalla continuazione del processo di pene-
trazione nella regione,
intensificando le rela-
zioni amichevoli con
Iberia e Albania, dove
dislocarono guarnigio-
ni e imposero gradual-
mente il loro controllo.
Tra la fine del principato dei Flavi e l’inizio del-
la campagna partica di Traiano (r. 98-117 d.C)
la scarsezza delle fonti rende problematica l’in-
terpretazione delle relazioni romano-albane. Nel
114 d.C. a causa del riesplodere dei contrasti per
una nuova crisi dinastica armena, seguita alla
morte di Vologese I, Traiano occupò l’Armenia
annettendola all’impero come provincia. Prima di
sferrare l’offensiva che lo avrebbe portato sino a
Ctesifonte. l’imperatore incontrò i sovrani di al-
cuni popoli orientali al fine di rinsaldare i rappor-
ti di fedeltà a Roma in vista della penetrazione
nella Mesopotamia. Durante l’incontro di Satala
Traiano ristrutturò il potere politico degli Albani
annettendolo sotto il diretto controllo di Roma.
Gli Albani furono dunque indotti a rientrare
nell’orbita di Roma dal nuovo prestigio conferi-
to all’impero dalla spedizione partica di Traiano.
Questi mostra infatti, ancora una volta, di consi-
derare strategica l’alleanza con i regni caucasici
in funzione antipartica e anche se la sua politica
di conquista e annessione può apparire un ele-
mento nuovo rispetto al passato, non di meno vi
si può vedere il momento culminante della pa-
rabola che aveva portato Roma ad affermare e
rafforzare le sue posizioni in Oriente e nel Cau-
caso fino al punto di portare le sue armi nel cuore
dell’impero partico.
La rivolta nella Mesopotamia nel 115 d.C. e la
morte di Traiano nel 117 d.C segnarono una pau-
sa nella politica di
espansione romana.
Con Adriano (r. 117-
138 d.C) venne ripri-
stinata sul confine
orientale una situa-
zione analoga a quella
esistente al tempo dei Flavi. Le nuove conquiste
vennero abbandonate e l’Armenia riportata allo
status di regno autonomo sotto il controllo ro-
mano. Durante il suo regno l’Albania venne nuo-
vamente invasa dagli Alani aggravando le tensio-
ni esistenti tra re Farasmane (II o III) (r. 116-132
ca.) e Adriano, causando danni anche alla Media
Atropatene e giungendo fino all’Armenia e alla
Cappadocia.
Con Antonino Pio (r. 138-161 d.C) i rapporti tra
Albania e Roma si normalizzarono e a partire dal
principato di Marco Aurelio fino alla metà del
III secolo l’Albania è assente dalle testimonian-
ze storiche, nonostante l’impegno di Roma sul
fronte partico fosse particolarmente intenso. Con
Settimio Severo (r. 193-211 d.C.), la linea dell’Eu-
frate fu oltrepassata sia dall’offensiva partica
verso la Siria che dalle armate imperiali le quali
misero nuovamente a sacco la capitale Ctesifon-
Gli Albani furono dunque indotti a rientrare nell’orbita di Roma dal nuovo
prestigio conferito all’Impero dalla spedizione partica di Traiano
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014230
La Storia & le Storie
te. L’abbandono della strategia di accerchiamento
di Armenia e Partia e la concentrazione dell’at-
tenzione sulla frontiera dell’Eufrate, dovuta alle
offensive partiche, contribuirono ad allentare la
pressione romana sui territori transcaucasici fa-
vorendo il distacco dell’Albania dal controllo di
Roma.
Si chiude così la fase storica in cui si era andato
delineando il processo di creazione dell’Albania
del Caucaso e definendo la sua funzione stra-
tegica, accanto alla Media Atropatene, per gli
equilibri politici dell’area sub caucasica rispetto
all’impero romano. Nella suo lungo impegno
sul fronte del Caucaso e dell’alta Mesopotamia,
Roma poté esercitare sull’Albania Caucasica solo
un controllo indiretto, facendone uno stato vas-
sallo nella sua politica anti partica, ma non fu mai
in grado di annetterla come provincia all’impero,
come accadde invece con l’Armenia. Conclusa la
parabola dell’espansionismo imperiale romano,
l’Albania Caucasica conobbe un nuovo periodo
di definizione della sua identità storica e statuale
rientrando nell’orbita di influenza persiana e, a
partire dall’inizio del IV secolo d.C, nell’ecumene
cristiano.
L’avvento dei Sassanidi in Persia nel 224 d.C.
contribuì ad aggravare l’instabilità della fron-
tiera orientale dell’impero romano e dell’intera
Transcaucasia. L’ideologia sassanide rifacendosi
all’antica tradizione della potenza achemenide
considerava i tre regni alle pendici del Caucaso,
ovvero Atropatene, Iberia e Albania, come parte
integrante dello stato persiano. L’atteggiamento
imperialistico e il dinamismo militare che carat-
terizzarono la politica sassanide sin dal suo inizio
obbligarono Roma ad assumere una posizione di-
fensiva nella regione e solo alla fine del III secolo,
con la pace di Nisibi, si stabilì un nuovo equilibrio
tra i due imperi. Lo stesso fondatore della dinastia
sassanide, Ardashir I (r. 224-240 d.C), tentò a più
riprese di sfondare il limes romano ad occidente.
Le vicende belliche proseguirono sotto il succes-
Impero Romano alla morte dell’Imperatore Traiano
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 231
La Storia & le Storie
sore Shapur I (r .240-272 d.C), il quale nel 244 d.C.
impose all’imperatore Filippo l’Arabo (r. 244-249)
una pace effimera. Qualche anno dopo i Sassanidi
occuparono l’Armenia, che divenne una provincia
persiana, e riuscirono ad annettere anche l’Ibe-
ria e l’Albania. La controffensiva romana, guidata
dall’imperatore Valeriano (r. 253-260 d.C) si risol-
se in un disastro senza precedenti con la cattura
dello stesso imperatore ad Edessa. Fino a questo
momento Iberi e Albani non erano stati ancora
sottomessi dai Sassanidi, mantenendo anzi una
posizione piuttosto favorevole a Roma, tanto da
poter partecipare ad una possibile controffensi-
va. La rivolta dei re di Palmira, Settimo Odenato (r.
260 ca.-268) e Zenobia (r.268-274), determinando
la ritirata dall’Oriente di Roma, fece sì che la con-
quista sassanide della Transcaucasia si attuasse.
L’Albania appare infatti tra le province Sassani-
di elencate nell’iscrizione trilingue di Shapur I a
Naqš-e Rustam. La riconquista dell’Oriente, da
parte di Roma, avvenne sotto Aureliano (r. 270-
275 d.C.) e l’autorità romana sulla regione, per
quanto non completa, venne ristabilita da Dio-
cleziano (r. 284-305 d.C.). Con questi la Mesopo-
tamia e l’Armenia passavano nuovamente sotto
il dominio romano mentre l’Iberia e l’Albania ri-
manevano sotto il controllo dell’impero persiano.
Nel corso del IV d. C. secolo si assiste al definitivo
affermarsi del Cristianesimo nella Transcauca-
sia. La sua adozione come religione di Stato da
parte dell’Armenia, dell’Albania e dell’Iberia non
è che il completamento di un lungo processo di
penetrazione e diffusione della nuova dottrina
nella regione. Nelle fonti scritte la cristianizzazio-
ne dell’Albania e delle altre regioni del Caucaso
sudorientale è presentata come un fenomeno
complesso fatto di fasi di grande slancio e di
momenti di regressione, che si avvalse di stimoli
provenienti da luoghi e ambienti culturali diver-
si. L’affermarsi del Cristianesimo costituisce un
evento cardinale anche per il contributo che esso
diede alla formazione della coscienza nazionale
Impero Romano nel terzo secolo
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014232
La Storia & le Storie
degli stati caucasici, generalmente considerati
terra di frontiera anche rispetto alla cristianità.
Il loro avvicinamento al Cristianesimo significò
anche un loro avvicinamento all’impero romano,
divenuto a sua volta cristiano alla fine del IV se-
colo, e una notevole riduzione dell’influsso cultu-
rale iranico, divenuto sempre più predominante
con l’affermarsi della potenza sassanide.
Per l’Albania, in particolare, la penetrazione del
Cristianesimo sembrerebbe iniziata già in età apo-
stolica e si può ricondurre la prima fase di diffu-
sione della fede in Al-
bania ad un discepolo
dell’apostolo Taddeo,
Eliseo, che, ricevuto
da San Giacomo l’in-
carico di evangeliz-
zare l’Oriente, iniziò
la sua predicazione a
Cora e fondò la prima
chiesa cristiana a Gis. Organizzata religiosamente
intorno ad un proprio catholicos, discendente da
San Gregorio Illuminatore (ca. 257-ca. 332), fon-
datore della Chiesa apostolica armena, l’Albania
si dotò presto di un alfabeto nazionale anche al
fine di disporre di uno strumento efficace per la
diffusione dei testi sacri nella lingua autoctona.
In questo modo la nuova religione diede indiret-
tamente impulso alla nascita di una letteratura
locale e contribuì a forgiare la cultura nazionale
albana.
Nella Transcaucasia le vie della cristianizzazione
s’imbatterono presto nei precari equilibri politici
tra Romani e Persiani. A partire dal IV secolo l’Al-
bania, come rivelano le fonti, appare sempre più
vicina alla Persia e dalla metà del secolo la sua
partecipazione alle azione dei Sassanidi ai danni
di Roma si fa sempre più frequente. Nel 359 d.C.
I persiani invasero al Mesopotamia e conquista-
rono l’importante fortezza di Amida. Al fianco di
Shapur erano il re dei Chioniti (o Kidariti, popola-
zione forse iranica, proveniente dalla Transoxiana e
nel V secolo scacciata in India dagli Eftaliti, o Unni
Bianchi, anch’essi un insieme di popolazioni irani-
che del Tokharistan e forse “altaiche” che all’inizio
del VI secolo distrussero l’Impero indiano dei Gupta)
e «il rex Albanorum, pari loco atque honore su-
bilimi». L’Albania si schierò dunque apertamente
con la Persia mentre
l’Armenia continuò a
mantenere un atteg-
giamento ambiguo e a
cercare, almeno fino al
363 d.C, un equilibrio
tra la potenza romana
e persiana. Con la pace
del 363 d.C. siglata tra
gli imperatori Gioviano e Shapur II (r. 309-379)
Roma rinunciò però al controllo di tutta Meso-
potamia settentrionale fino alla città di Nisibi e
l’Armenia si trovò abbandonata dall’alleato ro-
mano. Per i Persiani divenne allora fondamentale
rafforzare il confine settentrionale dell’impero
lungo i passi caucasici, li dove si profilava la nuo-
va minaccia delle popolazioni nomadi stanziate a
nord del Caucaso.
Nel 372 d.C. l’Albania, alleata di Shapur II, inva-
se l’Armenia e benché il re albano Urnayr venisse
sconfitto a Bagavan Shapur lo aiutò ad imposses-
sarsi delle province armene di Uti, Šakašen, Kolt,
Gardman che divennero così parte integrante
dell’Albania. Nel 387 Persiani e Bizantini si accor-
darono sulla divisione dell’Armenia che venne sud-
divisa lungo la linea Teodosiopoli (Karin)-Amida.
Nel 372 d.C. l’Albania, alleata di Shapur II, invase l’Armenia e benché il re albano Urnayr venisse sconfitto
a Bagavan, Shapur lo aiutò ad impossessarsi delle province armene di
Uti, Šakašen, Kolt, Gardman
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 233
La Storia & le Storie
Questa ripartizione fu l’occasione per l’Albania
di espandersi ulteriormente erodendo territori
dell’Armenia di parte persiana e di ampliare il suo
territorio a sud del fiume Kura, annettendo l’Owtik
e l’Arc’ax. A fronte di questa espansione ai danni
dell’Armenia, il regno albano si dimostrò invece
incapace di mantenere nella sua orbita i territori
della costa caspica, difficoltà che spinse i Sassa-
nidi ad istituire un marzpān, un governatorato,
nella regione di Cora, con la finalità di controllare
questo passo strategico da eventuali attacchi dalle
popolazione stanziate al nord.
L’alleanza tra l’Albania e la Persia, rafforzatasi nel
corso IV secolo, si incrinò nel secolo successivo per
questioni religiose quando l’imperatore persiano
Yazdegerd II (r. 438-457), con un editto, impose
ai sudditi cristiani di convertirsi al Mazdeismo
con lo scopo di vincolarli ancora di più all’impero.
Gli Albani, insieme ad Armeni e Iberi, si ribellaro-
no nel 450 d.C. e mossero guerra alla Persia che
perse lo strategico marzpān di Cora, sottoposto
da allora al principe albano Vahan. Alla morte di
questi l’Albania rimase per oltre trenta anni sen-
za un sovrano. Fu il sassanide Balas a decidere di
ristabilire la monarchia nominando re Vacagan,
detto il Pio per lo zelo dimostrato nella difesa del
Cristianesimo e nell’avversione contro il mazdei-
smo e le pratiche pagane ancora molto diffuse
in Albania.
Nel VI secolo d.C. salì al trono di Persia Cosroe I
(Khusraw, r. 531-579), uno dei maggiori sovrani
Sassanidi sotto il cui regno l’impero raggiunse
un’estensione pari a quella dell’impero ache-
menide nel momento del suo splendore. Cosroe
riorganizzò tutta la macchina amministrativa e
territoriale del regno e in questo nuovo assetto
Albania, Armenia e Iberia vennero a costituire
un’unica realtà: la «provincia del Caucaso», inclu-
dendo anche l’Atropatene.
Nel VII secolo il Caucaso vide la progressiva af-
fermazione della potenza bizantina. Siglata una
gravosa pace con gli Avari che allentò, dopo lun-
Impero Sessanide
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014234
La Storia & le Storie
go tempo, la pressante minaccia sul fronte balca-
nico, l’impero bizantino potè infatti concentrare
il suo impegno militare contro i Sassanidi e con
l’imperatore Eraclio (r. 610-641) iniziò una serie di
campagne vittoriose nella regione. Dopo la con-
quista dell’Atropatene nel 624, Eraclio volle tra-
scorrere l’inverno in Albania e chiese al sovrano di
accogliere lui e il suo esercito con tutti gli onori
dovuti. Nonostante il periodo trascorso nei regni
dell’Albania e di Iberia l’imperatore bizantino non
riuscì a conquistarsi l’appoggio delle genti cau-
casiche. Gli Albani, in particolare, appoggiando
i Persiani guidati da Cosroe, opposero una stre-
nua resistenza in tutto il territorio dell’Albania,
sia contro i bizantini sia contro i Cazari (Khazar),
genti euroasiatiche, probabilmente turciche, che
Bisanzio aveva reso suoi alleati, e resistettero fino
all’espugnazione delle fortificazioni strategiche di
Cora e di Partaw. La disfatta consentì ad Eraclio di
nominare Varaz-Grigor, uno dei più illustri rappre-
sentanti della nobiltà albana, principe di Albania.
Per la prima volta, dunque, anche in Albania viene
creato, come già lo era stato per l’Iberia al tempo
dell’imperatore bizantino Maurizio, un principato,
ma la sua permanenza nell’orbita di Bisanzio durò
poco perché i territori albani rientrarono ben pre-
sto nella strategia espansionistica dei Cazari. Nel
confronto con la popolazione cazara e con le sue
mire di conquista ebbe un ruolo centrale il il ca-
tholicos della Chiesa monofista albana, il patriarca
Viroy, che, riconosciuto come referente dai Cazari
trattò e siglò la pace con loro, dimostrando come
la Chiesa di Albania stesse progressivamente assu-
mendo anche un importante ruolo politico nelle
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 235
La Storia & le Storie
vicende della popolazione albana. Di questa ac-
cresciuta rilevanza politica ne è ulteriore riprova
la consacrazione, da parte del Patriarca Viroy di un
membro della dinastia Mihrakan, Varaz-Grigor, a
principe dell’Albania.
A partire dalla metà del VII secolo l’impero per-
siano cade a poco a poco sotto i colpi degli Arabi
musulmani che penetrano progressivamente nel-
la Transcaucasia e la sottopongono così al con-
trollo musulmano. Sotto il califfato di ‘Uthman (r.
644-656), secondo successore di Muhammad, gli
Arabi invasero i terri-
tori albani, l’Armenia
e tutto il Caucaso
orientale, spingendosi
oltre il fiume Arasse,
nella valle del Kura,
e occupando Partaw,
Baylakan, Kapalak e
le regioni di Šakašen
e Širvan e il passo di
Darbent. La particola-
re attenzione che gli Arabi mostrarono per l’Al-
bania si deve all’importanza strategica di questo
paese sia da un punto di vista militare, essendo
l’Albania l’unico ponte di accesso per i Cazari, sia
da un punto di vista economico, perché rappre-
sentava il trait-d’union tra l’Asia centrale e l’area
Caspica da una parte e il Caucaso settentriona-
le dall’altra. L’Albania si trovò dunque al centro
delle mire bizantine e arabe allo stesso tempo e
subì dunque attacchi da entrambe le parti anche
a causa di una divisione politica interna che vide
il principe albano Varaz-Grigor arrendersi, insie-
me allo sparapet armeno Teodoros Rstowni, agli
Arabi e suo figlio Jowanser schierarsi invece con
Bisanzio.
Il riconoscimento della sovranità araba da parte
dell’Armenia al tempo di Mu‘awiya I (r. 661-680),
primo califfo della Dinastia Omayyade, isolò di
fatto l’Albania dal suo alleato armeno e la co-
strinse ad accettare anch’essa il protettorato
arabo.
All’inizio dell’VIII secolo, infine, la politica degli
Arabi nel Caucaso subì una svolta radicale e si raf-
forzò ulteriormente tanto che l’Armenia, l’Iberia e
l’Albania, che sino ad allora avevano visto le loro
vicende intrecciarsi, ma pur sempre conservando
una loro autonomia,
vennero riunite in
una sola unità ammi-
nistrativa, la provincia
di al-Arminiya, e da
stati vassalli diven-
nero allora territori
sottoposti alla diretta
amministrazione dei
governatori arabi.
Le tavole dell’impero di Via dei Fori Imperiali
La complessità della storia del Caucaso, dovuta,
come abbiamo visto emergere da questa bre-
ve narrazione delle vicende relative all’Albania
caucasica, dall’intreccio continuo di popolazioni
sempre diverse in un territorio strategico perché
cerniera tra Asia e Europa, ha spesso determinato
confusione e difficoltà nel definire la storia e la
geografia dei singoli paesi della regione caucasica
e, in molti casi, ha sfumato, sotto il grosso tratto
della comune appartenenza ad una stessa area
geografica identità e storie tra loro ben diverse.
Di questa confusione storica ne è prova monu-
All’inizio dell’VIII secolo, la politica degli Arabi nel Caucaso subì una svolta
radicale e si rafforzò ulteriormente tanto che l’Armenia, l’Iberia e
l’Albania, che sino ad allora avevano sempre conservato una loro autonomia,
vennero riunite in una sola unità amministrativa
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014236
La Storia & le Storie
mentale e ben nota la serie delle tavole dell’im-
pero che si trovano a Roma lungo il percorso della
via dei Fori Imperiali e che fanno parte delle opere
di arredo che Antonio Muñoz, direttore della X
Ripartizione, Antichità e Belle Arti del Governa-
torato fascista e responsabile dei lavori urbani-
stici per l’apertura di questo nuovo asse viario nel
cuore di Roma, fece realizzare a partire dal 1931
quali rappresentazioni della progressiva espan-
sione dell’impero romano e della sua ideale con-
tinuazione con la gloria di Roma fascista.
Inaugurate il 21 aprile del 1934, queste cinque
tavole marmoree, di cui la quinta però illustrava
i territori governati dopo l’unità d’Italia (1861), e
come tale venne rimossa alla caduta del Fasci-
smo, rappresentano dunque le fasi di espansione
dell’impero romano dalla nascita di Roma fino
all’impero sotto il principato di Traiano (98-117
d.C.), offrendo così un’illustrazione delle varie
province e dei territori che nel corso dei secoli
rientrarono nel dominio romano. Se si considera
tuttavia la quarta tavola, relativa appunto al II
secolo d.C., si vedrà che per la regione del Cauca-
so, lì dove abbiamo visto affondare e svilupparsi,
accanto al regno di Armenia, le radici e la storia
dell’Albania e della Atropatene, nessun nome in-
dica la presenza di questi stati, ma sola appare
l’Armenia a riassumere, e quasi a semplificare una
storia ben più complessa, quella tracciata nell’a-
spra terra caucasica anche dalla millenaria vita
dell’Azerbaigian.
Le motivazioni di questa scelta, diremmo prag-
matica, in quanto dettata da esigenze di semplifi-
cazione e divulgazione, sono dunque fondamen-
talmente politiche.
L’attenzione infatti di Benito Mussolini e del suo
governo fascista per le idee legate ad un passato
“mitico” e riletto alla luce di una presunta continu-
ità storica di cui il regime si faceva portatore, si è
manifestata anche attraverso una scrupolosa vo-
lontà di costruire la città di Roma, di farla a sua
“immagine e somiglianza”. Non è casuale che la
lunga via dei Fori Imperiali unisca due monumenti
simbolo di un potere: il Colosseo a ricordare l’im-
pero Romano, il Vittoriano a ricordare il potere del
re e dell’Italia monarchica dei Savoia.
La via voluta da Mussolini, così realizzta i modo
tale da consentire di vedere in una ottima visuale i
due monumenti citati, fu una precisa decisione di
mostrare il potere e le ambizioni imperiali fasciste.
In questa opera, diremmo pubblicitaria prima che
propagandistica, le tavole, collocate su un lato dei
resti della Basilica di Massenzio, in un primo mo-
mento sarebbero dovute essere poste sulla grande
parete posta di fronte al Colosseo. Tale soluzione fu
scartata perché non offriva sufficiente spazio alle
tavole, che per essere adeguati strumenti di propa-
ganda dovevano essere realizzate in scala monu-
mentale. L’efficacia propagandistica dell’iniziativa
dunque fu sancita due anni dopo con l’apposizione
dell’ultimo pannello, quello come ricordato relati-
vo all’istituzione dell’impero dell’Italia fascista, in
occasione della conquista dell’Etiopia (1936).
Federico De RenziTurcologo, Studioso dell’Islam Diletta CherraStorica dell’Arte Bizantina
Bibliografia essenziale
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Un percorso affascinante fra tradizioni orali e spazi epici, in un’area del mondo attraversata da sempre dalle civiltà: dove la geografia sposa tanto i contrasti della modernità che i segni della storia.
La vicenda dell’Albania Caucasica, emblematica-mente rappresentata dalle chiese e dalle tracce di
cultura materiale ancora numerose in Caucaso, densa di descrizioni e interpretazioni che vanno ben oltre la Storia, viene affrontata nel rispetto delle fonti e nella prospettiva presente, come ri-sorsa indispensabile ad una rinnovata visione del mondo, dove identità e differenze sono risorse per il futuro. Per tutto questo, il patrimonio cul-turale rappresenta la risorsa più preziosa.
Edizioni Vox Populi - Nodo di Gordio, 2014 pp. 164 – Euro 18,00 - Per ordinazioni: [email protected]
La chiesa del 6. Secolo a Shaki,oggi Museo Nazionale dell’arte popolare
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014240
La Storia & le Storie
anto o ciarlatano? Filosofo o stre-
gone? Su Apollonio di Tiana (vissuto
all’incirca fra il 4 e il 97 d.C.) è stato
scritto molto, a volte anche a sproposito, facendo
di questo pensatore pitagorico contemporaneo
di Gesù uno sciamano dai poteri soprannaturali.
Di certo fu un personaggio che, anche nella sua
veste di consigliere di diversi imperatori romani,
fece da ponte fra Oriente e Occidente. Cresciuto
nell’ambito della cultura greca, fu un instancabi-
le viaggiatore, arrivò fino in India e si addentrò
persino nel deserto egiziano giungendo ai confini
dell’Etiopia. Incontrò i saggi di tutti i luoghi che
visitava, scambiando informazioni e insegna-
menti e tentando di individuare i punti di contat-
to fra le varie tradizioni, da quella araba a quella
indiana fino a quella egiziana. Ora il libro dello
studioso dell’antichità, nonché giornalista di “Li-
bero”, Miska Ruggeri, intitolato “Apollonio di Tia-
na. Il Gesù pagano” (Mursia, pag. 226, euro 13),
frutto di lunghe e certosine ricerche, ha il merito
di Andrea Colombo
Apollonio di Tiana: tra Oriente e Occidente
Il libro dello studioso dell’antichità Miska Ruggeri, intitolato “Apollonio di Tiana. Il Gesù pagano”, ha il merito di gettare nuova luce su questo personaggio leggendario. Nella sua veste di consigliere di diversi imperatori romani fece da ponte fra oriente e occidente
S
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 241
La Storia & le Storie
di gettare nuova luce su questo personaggio
leggendario.
La vita
Rifacendosi alla vita scritta da Lucio Flavio
Filostrato (Lemmo, 172 circa – Atene, 247
circa), Ruggeri ripercorre le varie tappe di
un’esistenza eccezionale ed avventurosa.
Apollonio nasce da un’antica e ricca fa-
miglia a Tiana sulle pendici settentrio-
nali del Tauro (presso l’odierna Kilisse
Hissar - Cappadocia). A 16 anni si
converte al pitagorismo, si la-
scia crescere i capelli, diviene
vegetariano (la sua dieta con-
siste principalmente in pane,
verdura e frutta secca) e aste-
mio (niente vino, neppure
quello di palma), sebbene tol-
lerante con il comportamento
altrui, va in giro scalzo e ve-
stito di lino. Ad Aigai respin-
ge le avances del governatore
della Cilicia, subito giustiziato
dai Romani per una cospirazione
politica, quindi torna in patria, dove
si spoglia della maggior parte dei suoi
beni e riporta sulla retta via il fratello
maggiore. Fa voto di castità, sempre ri-
spettato nonostante le calunnie di alcuni, e
decide di obbedire per cinque lunghi anni, tra-
scorsi tra Panfilia e Cilicia, al voto pitagorico del
silenzio. che del resto aiuta la sua straordinaria
memoria. Ostile alle terme e ai bagni caldi, per
pulirsi utilizza l’acqua fredda. Ma nulla fa pensare
a una “guerra” sistematica contro il corpo e il suo
ascetismo, confrontato con quello coevo cristia-
no, appare assai moderato. Assetato di conoscen-
ze e consapevole del dovere di viaggiare per ap-
prendere, sceglie di andare «dove mi conducono
la sapienza e il mio demone». Visita Ninive e la
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014242
La Storia & le Storie
Mesopotamia. Dagli Arabi apprende il linguaggio
degli animali, soprattutto degli uccelli. Frequenta,
con non troppo entusiasmo, i Magi persiani, poi si
reca in India. Giunge a Tassila dal re indiano Frao-
te, anch’egli vegetariano e amante della sapienza.
Ma il vero obiettivo del viaggio sono i Brahmani
di Iarca. Questi, devoti al sole, con un turbante
bianco e lunghe chiome, a piedi nudi, vestiti di
lana e dotati di un anello e un bastone dai poteri
magici, sono in grado di sollevarsi per aria fino a
due cubiti dal suolo. Si considerano dei in quan-
to «uomini buoni». Con loro Apollonio disserta di
metempsicosi, di giustizia, dei cinque elementi. E
pratica diverse guarigioni (di storpi, ciechi) impo-
nendo le mani e compiendo numerosi esorcismi.
Quelle di Apollonio, per quanto fantasiose, sono
le prime “cronache” di un viaggiatore occidentale
in India. Tornato a Efeso, Apollonio esorta gli abi-
tanti alla filosofia e alla comunanza dei beni. In
tutta la Grecia, esorta le popolazioni a rispettare
le tradizioni religiose e a ripudiare i costumi con-
siderati immorali. A Sparta, ad esempio, si scaglia
contro i mercanti e gli armatori, contro «le mi-
serie del mercato», e convince un giovane con la
passione per la navigazione a vendere le sue navi.
Approda a Roma dove, nonostante l’atteggia-
mento persecutorio di Nerone nei confronti dei
filosofi, considerati dall’imperatore dei ciarlatani
intriganti, grazie alla protezione del console Tele-
sino, è libero di vivere nei templi e di far crescere
con i suoi discorsi la spiritualità. Dopo la paren-
tesi romana, non priva di disavventure giudizia-
rie, Apollonio con i suoi seguaci parte alla volta
dell’estremo Occidente, per ammirare le maree
oceaniche e la città di Gades. Quindi ritorna in
Grecia, passando per la Sicilia. Giunge ad Ales-
sandria: della religione egiziana non approva il
sangue dei tori né i sacrifici degli animali per il
banchetto degli dei, preferendo far bruciare la fi-
gurina di un bue ricavata nell’incenso. Rimprove-
ra anche la passione degli abitanti per i cavalli e le
violenze dei tifosi all’ippodromo. In quel periodo
Vespasiano progettava la conquista dell’impero.
Apollonio, dopo 50 anni di tiranni crudeli, ne è
contento e viene chiamato dall’imperatore, in un
primo momento, a fare da consigliere. Dall’Egitto
Apollonio vuole raggiungere l’Etiopia seguendo il
corso del Nilo dove, tra quelle genti selvagge (i
cosiddetti Ginni, neri di carnagione), elogia l’eco-
nomia premonetaria, un mondo primitivo di pace
e uguaglianza, in cui la ricchezza non è tenuta
in alcun conto e tutta la terra sembra un’unica
patria. Sotto Domiziano Apollonio si troverà a
dover subire il carcere, accusato di stregoneria e
magia. La riconciliazione con le autorità imperiali
avverrà sotto Nerva. Per alcuni autori Apollonio si
spegne a 80 anni, per altri ultranovantenne, per
altri ancora centenario, sempre fresco d’aspetto e
integro nel fisico.
Apollonio e i Cristiani
Fin qui la sua vita così com’è narrata da Filofa-
stro. Ma la novità di questo saggio sta da un lato
nell’interpretazione che si vuole dare del saggio
Apollonio, dall’altro dalla fortuna che questo fi-
losofo pitagorico dell’antichità ha avuto nella
letteratura contemporanea. Ruggeri non può, ov-
viamente, esimersi dal proporre l’accostamento
con il Cristo, e non solo perché i due personaggi
vivono nello stesso periodo storico. Scrive Rugge-
ri: “Le analogie storiche tra Apollonio e Gesù sono
evidenti. Entrambi sono taumaturghi e predica-
tori itineranti, rifiutati inizialmente dai concitta-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 243
La Storia & le Storie
dini; hanno una propria cerchia di devoti disce-
poli; sono considerati dai rispettivi seguaci esseri
dotati di poteri soprannaturali; si attribuiscono
loro profezie, esorcismi, guarigioni, risurrezioni di
defunti; conoscono cosa sta accadendo in luo-
ghi distanti e predicono specifici eventi futuri a
particolari individui; (…) come predicatori, hanno
severissime pretese morali sul proprio uditorio;
disprezzano la ricchezza; si autodefiniscono «pa-
stori», i loro seguaci sono «pecore» e i non iniziati/
malvagi sono «lupi»; usano espressioni epigram-
matiche e uno stile oracolistico; insegnano come
se ne avessero l’autorità ed entrano in conflitto
con il clero istituzionale dei templi che visitano
nel tentativo di riformarli”. Entrambi poi “vengo-
no imputati di magia e sedizione e processati (…);
agli inizi delle rispettive carriere si ritirano nel
deserto, dove incontrano e sconfiggono demoni.
Inutile poi ricordare le analogie tra i loro miraco-
li. Alla fine delle loro esistenze, mentre Apollonio
riesce a sottrarsi miracolosamente alla condanna,
Gesù viene crocifisso, ma risorge miracolosamen-
te dalla morte. In seguito, vivono entrambi per
un certo periodo con i propri discepoli per poi
salire in cielo, e vengono loro attribuite appari-
zioni anche a persone incredule”. Queste evidenti
analogie portano molti fra i primi scrittori cristia-
ni (come Eliodoro, San Gerolamo) a considerare
positivamente la figura di quest’uomo pacifico
e saggio, anche se pagano. Persino autori molto
severi verso ogni forma di magia come Sant’Ago-
stino e San Giovanni Crisostomo ne scrivono con
rispetto. Ruggeri ammette che, dopo tanti secoli
di controversie e diverse interpretazioni, ricostru-
ire chi era il “vero” Apollonio è quasi impossibile.
Tuttavia da molte fonti, quali le lettere, emerge-
Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014244
La Storia & le Storie
rebbe un filosofo vegetariano, casto e “povero”
(secondo la regola pitagorica), che credeva in un
unico Dio, il Sole, nella reincarnazione e nella fra-
tellanza fra tutti gli uomini, pur nelle diversità di
lingua, etnia e religione. Inoltre si rivela pacifista
e nemico di ogni imperialismo. Pur astenendo-
si da ogni attività sessuale, consigliava il matri-
monio, con una moglie austera e innamorata, e
la procreazione, visto che la mancanza di eredi
è una iattura. Ben si vede come questi insegna-
menti si conciliavano alla perfezione con quelli
della Chiesa cattolica.
Apollonio e la letteratura
Ruggeri dedica un intero capitolo a come Apol-
lonio viene riscritto, e in molti casi reinventato,
dagli scrittori della nostra era. Ad esempio, nella
Tentazione di Sant’Antonio di Gustave Flaubert
(1874), viene descritto come uomo “di alta sta-
tura, il viso dolce, il contegno solenne. I capelli
biondi, divisi nel mezzo come quelli di Cristo, gli
scendono sulle spalle” . Nell’Enchanteur pouris-
sant di Guillaume Apollinaire (1909) Apollonio
appare in un girotondo magico di personaggi e di
animali della mitologia classica. Sempre in ambi-
to francese, nel 1934 Antonin Artaud, in epigrafe
all’Eliogabalo, libro profondamente «inattua-
le» e «inutile», paradossale romanzo storico che
si rivolta contro la storia, centrato sulla figura
del giovane imperatore romano, scrive: «Dedico
questo libro ai Mani di Apollonio di Tiana, con-
temporaneo di Cristo, e a quanto può restare
d’Illuminati autentici in questo mondo che se
ne va». Un’ampia riflessione meriterebbe il ruolo
che questo filosofo dell’antichità ebbe nel “para-
diso celeste” del poeta statunitense Ezra Pound
(p.152). Ruggeri si sofferma con particolare at-
tenzione sulla presenza di Apollonio nei Cantos.
L’autore sottolinea che “agli occhi di Pound, Apol-
lonio è riuscito a dare concretezza alla filosofia,
cercando di convincere i sovrani a governare con
saggezza”. Il filosofo pitagorico viene accostato
a Confucio e ai faraoni egiziani illuminati. Nel
canto XCIV ricorda l’opposizione ai sacrifici di
animali: «Apollonio fece pace con le belve/sugli
altari di Venere non fu versato sangue». Il poeta è
particolarmente colpito dal buon rapporto che il
filosofo ha con gli animali, indice di civiltà.
Viaggiatore, filosofo, guaritore, pacifista e vege-
tariano, l’Apollonio descritto da Ruggeri riassume
in sé tutte le qualità di un esponente di rilievo
della grecità, capace di esprimere valori sublimi
anche nel momento della sua decadenza. Non a
caso l’introduzione di Luciano Canfora s’intitola
“Apollonio e la fine del mondo classico”. Dopo di
lui il mondo ellenistico conoscerà varie metamor-
fosi e troverà ancora in Giustiniano e nell’Impero
Bizantino un periodo di inaspettato splendore.
Parte di quell’universo verrà ereditato dall’Orien-
te cristiano sia ortodosso sia greco cattolico ed
è grazie a queste tradizioni che frammenti di
quell’antica saggezza e bellezza (pensiamo alla
perfezione geometrica, in qualche modo pitago-
rica e “divina” appunto, delle icone) sono giunti
fino a noi.
Andrea ColomboScrittore e saggista, Giornalista di “Libero”
246 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Giano Bifronte
il declinodell’impero americanoDi SERGIO ROMANO
Longanesi, 2014 - pp. 126 - Euro14,90
Dalle guerre che hanno tormentato e fatto im-
plodere l’ex-Jugoslavia alle controverse Primave-
re Arabe; dal conflitto libico, che ha portato alla
morte di Gheddafi e aperto la strada all’anarchia
in cui versa oggi il paese maghrebino, alle in-
certezze sulla perdurante guerra civile in Siria;
dalla crisi del sistema finanziario che, dal 2008,
ha portato l’economia mondiale sull’orlo del tra-
collo, al rinnovarsi del braccio di ferro “storico”
con Mosca a causa dell’Ucraina... Sergio Roma-
no, in questo suo agile ed acuto saggio, passa in
rassegna, punto per punto, tutte le ultime tappe
I due volti del Multilateralismo
Giano bifronte
247Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014 247Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
internazionalismo liberale. attori e scenari del mondo globaleDi GUIDO LENZI
Rubettino, 2014 - pp. 94 - Euro12,00
Fine della Diplomazia oltre che fine della Storia?
Parrebbe proprio di no. Se da un lato, infatti, la
teo-ria di Francis Fukuyama è andata a cozzare
contro il “muro del tempo”, rimettendo in di-
scussione la convinzione secondo cui la storia
dell’umanità aveva raggiunto il suo culmine con
le democrazie liberali del XX secolo, dall’altro
lato stiamo assistendo ad un ripensamento del
ruolo cruciale svolto a livello globale dalla di-
plomazia.
Il repentino cambiamento degli scenari geopo-
litici mondiali è al centro di un acceso dibattito
248 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Giano Bifronte
della politica estera di Washington, leggendole
nella luce di un progressivo, lento ma al tem-
po stesso inesorabile, declino di quell’egemonia
mondiale che gli Stati Uniti avevano conquistato
all’indomani del crollo del Muro di Berlino, con
l’implosione dell’URSS e la conseguente fine della
Guerra Fredda. Un’egemonia che, a tutta prima,
appariva tanto solida da far pensare che, come
scrisse Fukuyama, la Storia fosse giunta alle sue
conclusioni; che vi fosse spazio, ormai, per un
unico modello politico, economico e sociale. E
che questo modello non potesse non incentrarsi
sulla Grande Potenza uscita vincitrice dalla lunga,
estenuante partita a scacchi che aveva attraver-
sato tutto il secolo. Romano, però, mostra come
sin dall’inizio l’Impero Americano portasse in sé
i segni di quel, tutto sommato rapido, declino
che in molti, oggi, preconizzano. Sin dagli anni
“spensierati” di Clinton, con quella deregulation
finanziaria che ha preparato il terreno per la crisi
mondiale in cui oggi versiamo. E poi la controver-
sa stagione di George W. Bush, l’interventismo,
anzi “imperialismo democratico” di matrice wil-
soniana dei neoconservatori che determinava-
no le scelte in politica estera della Casa Bianca.
L’Afghanistan e l’Iraq: due non vittorie, che, per
una grande potenza, per un Impero, si traduco-
no automaticamente in due sconfitte. E il mondo
del dopo Guerra Fredda, quello dell’illusoria Pax
Americana, che si rivelava ben più pericoloso di
quello precedente, perché al conflitto fra due gi-
ganti, il Behemot sovietico e il Leviathan statuni-
tense, si è sostituito un proliferare incontrollato
ed incontrollabile di svariati conflitti regionali. In-
fine, Barack Obama, che per Romano – che pure
lo tratta non senza una qualche umana simpatia
– riveste decisamente il non comodo ruolo di Pre-
sidente del Declino. Il ruolo di colui che, con una
politica estera ambigua e contraddittoria, si avvia
a liquidare l’Impero e a condurre gli States verso
una nuova forma di isolazionismo. E a fronte di
questo progressivo ritirarsi di Washington dalla
scena internazionale, l’emergere di nuovi compe-
titori per il Grande Potere Mondiale; contendenti
globali, come la Cina, o potenze che mirano ad
una egemonia regionale, come il Brasile in Sud
America. E il ritorno sulla scena del Giappone, il
nuovo ruolo che cerca di assumere una Turchia
“neo-ottomana”, l’Arabia Saudita che sta sempre
più rinfocolando con l’Iran una nuova versio-
ne della tradizionale Fitna, il conflitto tra sciiti
e sunniti che da sempre divide l’Umma islamica
e che oggi sta assumendo proporzioni mondiali,
determinando anche i movimenti del jihadismo
internazionale. Sullo sfondo resta l’Europa, sem-
pre meno coperta dall’ombrello statunitense ed
incapace di darsi un’unica direzione strategica.
Europa nella quale Sergio Romano mostra, tutta-
via, di riporre ancora speranze non sempre facili
da condividere. Infine affascinante il quesito con
cui il saggio si chiude; il chiedersi come gli States
vivranno questa riduzione di ruolo globale, que-
sto progressivo chiudersi in se stessi. E come li
vivrà, con quali traumi e contraccolpi, il mondo
intero. Un saggio, come dicevamo, che affasci-
na per la lucidità ed il rigore del ragionamento,
anche se, talvolta, può lasciare interdetti per le
conclusioni che l’autore trae.
A.M.
249Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Giano Bifronte
che coinvolge trasversalmente esponenti del
mondo accademico, militare, politico ed econo-
mico.
Un interessante contributo all’analisi delle nuove
dinamiche nelle relazioni internazionali è quello
racchiuso nel volume “Internazionalismo liberale”,
nato dalla penna puntuale e competente di Gui-
do Lenzi. Ambasciatore di lunga esperienza, Lenzi
conosce bene le stanze diplomatiche europee e,
grazie agli incarichi ricoperti negli Stati Uniti, nella
Mosca sovietica e nelle Organizzazioni internazio-
nali, mette a disposizione del lettore un bagaglio
di conoscenze e di riflessioni frutto di una vita tra-
scorsa sotto le insegne del Ministero degli Esteri.
Il caos determinato dalle crescenti frizioni globali,
dall’insorgere di pericolosi e incontrollabili focolai
di guerra, le ripetute forzature del diritto inter-
nazionale piegate – ancor prima che interpretate
– alle necessità del momento e i mutati equilibri
geopolitici planetari inducono ad una più atten-
ta valutazione dei rischi e delle contromisure da
adottare per stabilizzare le diffuse fibrillazioni.
Da qui il percorso tracciato dall’Autore. Un per-
corso fatto di approfondimenti e di utili spunti di
riflessione sul radicale cambiamento dei rapporti
internazionali che “non sono più verticali, ordi-
nati gerarchicamente, sulla base di una delega
di autorità e responsabilità bensì sono diventati
orizzontali, in rete, in una miriade di interconnes-
sioni”. Questa mutazione porta con sé l’incognita
di un pericoloso aumento degli spazi d’azione per
soggetti caratterizzati da comportamenti apoliti-
ci, illegali se non addirittura criminali. Ragiona-
mento che conduce alla revisione del concetto di
sicurezza. “La distinzione fra sicurezza interna e
internazionale – scrive Lenzi – è stata spazzata
via”. Così come il ricorso continuo alla gestione
delle crisi ex post, in uno stato di perenne emer-
genza, deve condurre allo sviluppo di “più accu-
rate e condivise modalità di prevenzione con la
simultanea mobilitazione di strumenti diploma-
tici, politici, economici, istituzionali e culturali”.
In questo senso, per Lenzi, il modello di integra-
zione e collaborazione che sta alla base dell’Unio-
ne europea rappresenta ancora oggi un esempio
carico di importanza.
Così, in attesa che si addivenga alla realizzazio-
ne di un diritto cosmopolitico destinato ad una
cittadinanza universale, ci si interroga sui nuovi
modelli di governance globale e, conseguente-
mente, su un altrettanto nuovo approccio multi-
laterale nella gestione dell’ordine planetario.
Dalla fine della Guerra Fredda molti equilibri sono
saltati. Stiamo assistendo anche ad un profondo
ripensamento dei concetti stessi di Guerra e Pace.
Viviamo nell’era in cui il “Ministero della Guerra”
è diventato “della Difesa”, probabilmente in ordi-
ne a quel moderno approccio “politicamente cor-
retto”, finanche nella sua declinazione lessicale.
Gli schieramenti in campo sono a geometria
variabile e vedono sempre più spesso impiegate
nelle cosiddette “Operazioni di pace” le coalition
of the willings in larga parte occidentali ma prive
di una reale visione comune e, talvolta, anche in
assenza di una convergenza di interessi.
A dispetto di questo scenario, per Lenzi la diplo-
mazia “è tornata a svolgere appieno il ruolo che le
è proprio: quello di tessere le regole di convivenza
tra gli Stati”, e si appella a quell’internazionali-
smo liberale interrotto solo dalla Guerra Fredda.
Una Guerra Fredda che pare riaffacciarsi alle por-
te di Kiev.
D.L.
250 Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Recensioni libri/riviste internazionali
il mosaico del buon sensoDi ALESSANDRO BERTIROTTI
Bonanno Editore, pp. 116 - Euro12,00
È difficile affrontare, in una sola opera, tutto lo
scibile umano, trattando in particolar modo le
emozioni, le attitudini ed i comportamenti socia-
li. Al contrario, “Il mosaico del buon senso” offre
una panoramica ben articolata e strutturata su
argomenti di vario genere, illustrandoli in manie-
ra spesso provocatoria e senza peli sulla lingua.
In questa miscellanea così sapientemente archi-
tettata, veniamo catapultati in un mondo che ci
sembra di conoscere così bene – quello dell’essere
umano – eppure, pagina dopo pagina, quelle po-
che certezze decadono inesorabilmente, di fronte
ad un’analisi elegante e verace.
L’autore, l’illustre professore Alessandro Bertirotti,
con la sua penna pungente, dipinge il quadro di
un’umanità spesso dilaniata tra ciò che è e ciò
che vuole apparire: per natura, noi uomini siamo
La bibliotecadi Gordiowww.nododigordio.org
251Il Nodo di Gordio n.5 - Maggio 2014
Recensioni libri/riviste internazionali
socievoli, portati a costruire legami duraturi e ad
intessere relazioni empatiche con i nostri simili.
Ma la realtà di tutti i giorni, sovente, smenti-
sce tali caratteristiche. Forse perché l’uomo del
III millennio ha edificato il suo essere più sulla
sabbia, che sulla roccia; ha preferito “vendersi” a
dei cliché sociali di basso profilo, invece di aderire
alla sua più profonda moralità.
“Il mosaico del buon senso” ci parla della fatica
di essere uomini e donne veri in contrasto alla
cultura dell’”effimero”, di rispondere alle nostre
più intime necessità, dando la priorità ai fondanti
valori della vita.
Veniamo, così, messi davanti a questioni “spino-
se”, di grandissima attualità: la sessualità, le emo-
zioni, la condotta sociale, la famiglia, la politica…
tutti temi largamente dibattuti e che conosciamo
bene (o almeno così ci sembra!).
Ciò che più colpisce, in questo libro tanto breve
quanto intenso, è quello che lascia dopo averlo
letto: appena si termina un paragrafo, il lettore si
sofferma a riflettere su quelle parole; è come co-
stretto a fare i conti con la sua visione del mondo
e perfino di se stesso, a mettere in gioco le sue
credenze e – perché no – a riformularle alla luce
di quanto appreso. Queste preziose pagine non
lasciano indifferenti. Sicuramente, si potranno
incontrare punti di vista diversi, ma un pubblico
attento e curioso troverà molte chiavi di lettura,
interessanti e profonde.
L’autore non vuole indorare la pillola: ci trasmet-
te quanto siano importanti i legami familiari,
quanto la scuola e le istituzioni debbano colla-
borare affinché si crei una società consapevole
ed una nuova generazione libera, ma responsa-
bile (e noi, oggi, sappiamo quanto sia essenziale
avere dei punti di riferimento forti e stabili). Ci
fa comprendere quanto sia fondamentale non
solo saper godere dei momenti lieti che la vita
ci offre, ma anche e soprattutto saper affrontare
i momenti bui e dolorosi, perché è proprio in
quei frangenti che esce il meglio di una persona,
con tutta la sua forza e capacità di risollevarsi
(“Ci sono sofferenze che scavano nella persona
come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito
ne esce melodiosa” – V. Brancati). Ci proietta in
una dimensione fatta di connessioni cerebrali e
di avvertimenti dati dal nostro cervello, perché le
prime avvisaglie di sentimenti positivi o negativi
provengono proprio dal nostro sistema neurona-
le. Ci sottolinea quanto sia vero il famoso motto
“l’unione fa la forza”: in un mondo che sembra
andare verso l’autodistruzione, la collaborazione
e l’accettazione reciproca sono le chiavi di svolta
per un futuro migliore. Ci mostra come ognuno
di noi sia diverso, nella sua unicità, a partire dalla
dicotomia uomo/donna, ma è da queste macro-
differenze che si può costruire una società sì
variegata, però sempre cooperativa ed integrata
con le esigenze di ciascuno.
Ed insieme a queste realtà “favorevoli”, troviamo
affiancate quelle più oscure e torbide, che spesso
si annidano nell’animo umano: la tendenza di al-
cuni individui alla violenza, allo stupro, allo sfrut-
tamento della prostituzione o alla pedofilia… Ve-
rità scomode e dolorose, che non vorremmo mai
incontrare, ma che, ahinoi, fanno parte di questa
intricata umanità.
In conclusione, dopo aver dato una personale
opinione, che non vuole essere esaustiva, ma solo
offrire piccoli flash, affinché altri si accostino a
questa lettura, mi permetto di affermare che “Il
mosaico del buon senso” è uno dei libri più dif-
ficili che abbia mai letto, non tanto nel registro
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stilistico o nel lessico utilizzati (anzi, da questo
punto di vista, l’ho trovato molto comprensibile
ed alla portata di tutti, anche di chi non ha dime-
stichezza con l’antropologia della mente – mate-
ria per eccellenza del nostro brillante autore): è
difficile perché obbliga ad interrogarsi approfon-
ditamente su importanti tematiche. E, si sa, met-
tersi in gioco non è mai cosa semplice. Perché se
ne può uscire “sconfitti”. Ma credo che, in questo
caso, non si tratti di sconfitta, quanto piuttosto
di “arricchimento”: solo un lettore dalla mente
aperta, con una buona dose di umiltà e voglia di
intraprendere nuovi percorsi intellettuali, può ac-
costarsi con piacere ed interesse all’illuminante “Il
mosaico della mente”.
Chiara Serreli
orientalisti italiani e aspetti dell’orientalismo in italiaAA.VV.
Edizioni Labrys - Canale Editoriale del CUAM, Consorzio Uni-
versitario dell’Africa e del Mediterraneo, pp. 216 - Euro 20,00
Una monografia essenziale, una gemma incasto-
nata nel panorama editoriale italiano, la cui pub-
blicazione rappresenta un inestimabile apporto
atto a testimoniare la rilevanza, lo spessore acca-
demico e scientifico posseduti dall’Orientalismo
italiano, pressoché misconosciuti al di fuori dei
ristretti ambienti specialistici.
Il libro è dedicato alla memoria di Mirella Galletti,
esperta di mondo curdo, recentemente scompar-
sa nella sua casa romana d’adozione, in Via del
Plebiscito.
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Autrice di numerosi saggi e volumi inerenti alla
storia, alla lingua e alla cultura di quest’obliato
tassello del Vicino Oriente.
Un testo che, come glossa Cardini nella sua prefa-
zione, ci indirizza a fare delle riflessioni sull’eterna
alternanza fra luce e tenebra appartenente a quella
dimensione conflittuale, totalizzante di un Oriente,
sovente inteso come mundus imaginalis, definito
dall’orientalista Henry Corbin, alam al-mithâl.
Un’“Isola che non c’è” o un “na-koja-abad”, per
dirla con una locuzione persiana del filosofo e
sufi del XII secolo, Sohravardî, detto Shaikh al-
Ishraq o “Maestro della metafisica della luce”. Let-
teralmente, la città o il luogo (abad) del non-dove
(na-koja). L’esatto equivalente del termine greco
ou-topia. Un riverbero che Cardini riconduce alle
proiezioni ed alle estroversioni di un Occidente,
definito anche “categoria dello spirito” con tutte
le implicazioni e i corollari filosofici contenuti in
questo enunciato. Occidente, come luogo del lo-
gos e Oriente come luogo del mythos aggiunge
Cardini. Un Occidente che però, dall’alto di que-
ste speculazioni, dopo aver prodotto un dualismo
fra quel Dio – secolarizzatosi nell’Io – e la natura,
ritorna ad ammiccare al panteismo primigenio,
avvolgendosi in un amplesso casto ma allo stes-
so tempo prolifico, rigenerativo, seppur talvolta
ineffabile, con la sua controparte geografica, che
oggi diviene anche geopolitica.
Il libro annovera, quindi, tutti i profili di quel-
le personalità che hanno dato luce e splendore
all’orientalismo italiano: dagli arabisti Guidi Igna-
zio e Michelangelo, Virginia Veccia Vaglieri con la
sua storica grammatica, il turcologo Ettore Rossi,
ancora l’arabista Francesco Gabrieli, l’iranista e
tuttologo-poliglotta Alessandro Bausani e tanti
altri.
Un volume curato da Angelo Spina che si avvale
coralmente del contributo di vari autori: Andrei-
na Albanese, Daniela Amaldi, Simona Di Iorio,
Mirella Galletti, Aurélien Girard, Giuseppina Igo-
netti, Claudio Lo Jacono, Luca Mantelli, Salvatore
Orlando, Angelo Michele Piemontese, Maria Glo-
ria Rosselli, Daria Rosetti, Serena Sautto, Angela
Spina e Daniela Testa, con la preziosa e magistrale
prefazione di Franco Cardini.
Un’opera importante, dunque, che non può man-
care sullo scaffale dello specialista ma anche su
quello del giornalista piuttosto che su quello
dell’esperto di relazioni internazionali, visto che il
fulcro geoeconomico del pianeta si è già spostato
nella direzione del sole nascente.
Ermanno Visintainer
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teoria del drone.principi FilosoFici del diritto di uccidereDi GRéGOIRE CHAMAYOU
DeriveApprodi, 2014 - pp. 220 - Euro 17,00
Sempre più spesso si sente parlare dell’utilizzo di
droni nei conflitti “postmoderni”. In realtà, per gli
addetti ai lavori, la corretta definizione di questi
strumenti è “Unmanned Aerial Vehicle” (veico-
lo aereo senza equipaggio) o, nella sua variante
“Combat”, se muniti di armi.
Mezzi già impiegati dagli Stati Uniti in Afghani-
stan, Somalia, Yemen e Pakistan. Una flotta che
supera i 6.000 esemplari, di cui ben 160 del mo-
dello “Predator”, forse i più conosciuti massme-
diaticamente.
Tuttavia, a dispetto dei numerosi trattati tecnici,
pubblicati soprattutto negli Usa, e delle analisi
formulate dai Centri studi strategici e militari,
mancava ancora nel panorama editoriale europeo
un lavoro in grado di cogliere le problematiche fi-
losofiche che stanno a monte dell’utilizzo bellico
dei droni. Per colmare questa lacuna, è uscito per
i tipi di “DeriveApprodi” il volume “Teoria del Dro-
ne. Principi filosofici del diritto di uccidere”. L’au-
tore, Grégoire Chamayou, ricercatore di filosofia
presso il CNRS di Lione, accompagna il lettore in
un viaggio alla scoperta di un mondo, quello della
“guerra tecnologia”, a tratti ancora poco cono-
sciuto e studiato. Quali risvolti, quali effetti sta
portando l’impiego di questi nuovi strumenti?
Fu il filosofo Umberto Galimberti ad illustrare,
tra i primi in Italia, il profondo cambiamento del
concetto stesso di Guerra. Il guerriero tradiziona-
le si approcciava alla guerra sapendo di rischiare
la vita. Oggi, il “soldato postmoderno”, seduto da-
vanti ad un computer ipertecnologico, controlla
a distanza le operazioni militari ma “non fa la
guerra: lavora”. Si assiste, dunque, ad una radi-
cale mutazione non solo dei rapporti di forza in
campo, ma anche delle più elementari leggi che
hanno regolato per millenni gli scontri militari.
Se da un lato, le nuove frontiere tracciate dalla
Guerra asimmetrica prima e della Guerra ibrida
poi – della quale ci stiamo occupando diffusa-
mente sulle pagine de “Il Nodo di Gordio” grazie
alle analisi di Federico Prizzi – hanno modifica-
to la cornice ed il ruolo degli attori in campo,
dall’altro lato l’esponenziale sviluppo tecnologico
ha posto le basi per la progressiva espansione dei
programmi high-tech applicati al settore della
Difesa. Dati, peraltro, confermati dal significativo
incremento degli investimenti militari in questa
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sfera, così come in quella legata all’esplorazione
dello Spazio che, dopo qualche decennio di semi
immobilismo, stanno riprendendo quota.
D’altronde, anche per l’Autore “diventando stra-
tosferico, il potere imperiale modifica il suo rap-
porto con lo spazio. Non è più questione di oc-
cupare un territorio, ma di controllarlo dall’alto
assicurandosi il dominio del cielo”. Siamo giunti
ormai all’“Aereopolitica”, seguendo il filo del-
le analisi di Eyal Weizman che, parlando della
strategia israeliana contemporanea, la definisce
come una politica della verticalità.
Sullo sfondo, c’è anche l’avvio del progetto euro-
peo per lo sviluppo di un sistema aereo avanzato
a pilotaggio remoto denominato “Uas” (European
Unmanned Aerial System) varato dalle tre prin-
cipali aziende del settore aeronautico in Europa:
“Airbus Defence and Space”, “Dassault Aviation” e
“Alenia Aermacchi” (Finmeccanica). Francia, Ger-
mania e Italia si propongono, dunque, di realizza-
re il drone europeo, anche per recuperare il gap
tecnologico con Usa e Israele.
Il libro di Chamayou aiuta il lettore a comprende-
re più a fondo quella che l’Autore definisce “l’ar-
ma umanitaria per eccellenza” utilizzata in una
“guerra senza rischi”. È la guerra asimmetrica che
si radicalizza fino a diventare unilaterale. Perché
“si muore ancora ma da una parte sola”.
D.L.