A. G. DIBISCEGLIA, «Si tira sempre a colpire». Presentazione per la Giornata della Memoria 2014...

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«Si tira sempre a colpire» Presentazione del volume di Luca Cicolella, …E la morte venne dal cielo, Foggia, Edizioni Il Castello, 2013 Foggia - Liceo “C. Poerio” - 7 febbraio 2014 1. Non sono poche le difficoltà che ostacolano la corretta e obiettiva conoscenza degli avvenimenti che, nella loro articolazione, suggeriscono eventuali piste da seguire per un adeguato approfondimento di quanto verificatosi in Italia nel 1943. E ciò non soltanto - nello specifico - a causa del recente superamento dei “canonici” settant’anni previsti dalla normativa che, per la tutela della privacy, regola la consultazione dei documenti d’archivio, quanto per la riguardosa emotività che anima i ricordi di quanti - di quegli stessi avvenimenti - sono stati inconsapevoli protagonisti e involontari testimoni. Un coinvolgimento - una insufficiente distanza - che non è soltanto sinonimo di assenza di obiettività, quanto - soprattutto - rischio di non riuscire a trasmettere, attraverso il racconto, lo spessore di quello che fu il vissuto della propria quotidianità. In ambito storiografico, il rapporto tra il ricordo, inteso come comprensione di un’esperienza passata, e il racconto - orale o scritto - sinonimo della capacità di esprimere nel presente quella stessa conoscenza nella sua complessità e nella sua completezza, è un tema molto antico. Già Agostino, nel X libro de Le Confessioni, riflettendo sull’abilità umana del fare memoria, individuava nel rievocare il metodo più idoneo per soddisfare la più alta aspirazione dell’uomo - la vera felicità - che l’Ipponate identificò con la ricerca di Dio: «Trovarti fuori della mia memoria - scrisse - significa averti scordato. Ma neppure potrei trovarti, se non avessi ricordo di te«». 1 Di recente l’argomento è stato affrontato anche da Michel de Certeau, gesuita, nel volume La scrittura della storia: per lo storico francese non sempre è facile procedere dal disordine degli eventi verificatisi nel passato all’ordine che, nel presente, cerca di ottenere il racconto storico, in quanto non è semplice «dire quello che l’altro significa». 2 Come raccontare il 1943? Che cosa dire del 1943? Perché quell’anno non fu soltanto l’anno della caduta - il 25 luglio - del fascismo di Benito Mussolini e, quindi, della fine del regime; non fu soltanto l’anno della proclamazione, l’8 settembre successivo, dell’armistizio - o della resa a Eisenhower? - firmato dal maresciallo Pietro Badoglio a Cassibile, nei pressi di Siracusa, cinque giorni prima. Il 1943 fu anche - e soprattutto - l’anno che confermò il protagonismo storico delle popolazioni che, affogato nell’anonimato dal fascismo, emerse nella sua rilevanza dall’impatto provocato da uno scontro bellico senza precedenti. Pur nella sua tragicità, fu la guerra - il secondo conflitto mondiale - a riconoscere un’evidente - seppure triste - visibilità ai civili. Come raccontare, quindi, quel protagonismo? Come esprimere - settant’anni dopo - l’incisività di quel conflitto nella quotidianità delle popolazioni? Come riordinare - alla scuola di de Certeau - la storia vissuta a Foggia nell’estate del 1943? Due riflessioni - una di ordine morale, l’altra di carattere metodologico - esigono il superamento di ogni perplessità. La prima riguarda il dovere della “memoria”, l’obbligo non soltanto di studiare gli eventi descrivendo gli avvenimenti, quanto soprattutto di riflettere sul valore di quella esigenza che, a 1 AGOSTINO DI IPPONA, Le Confessioni, Roma, Città Nuova, 1986, Libro X: VIII,2 - XXVI,37. 2 Cfr. M. DE CERTEAU, La scrittura della storia, Milano, Jaka Book, 2006, pp. 62-120.

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«Si tira sempre a colpire» Presentazione del volume di Luca Cicolella, …E la morte venne dal cielo,

Foggia, Edizioni Il Castello, 2013 Foggia - Liceo “C. Poerio” - 7 febbraio 2014

1. Non sono poche le difficoltà che ostacolano la corretta e obiettiva

conoscenza degli avvenimenti che, nella loro articolazione, suggeriscono eventuali piste da seguire per un adeguato approfondimento di quanto verificatosi in Italia nel 1943. E ciò non soltanto - nello specifico - a causa del recente superamento dei “canonici” settant’anni previsti dalla normativa che, per la tutela della privacy, regola la consultazione dei documenti d’archivio, quanto per la riguardosa emotività che anima i ricordi di quanti - di quegli stessi avvenimenti - sono stati inconsapevoli protagonisti e involontari testimoni. Un coinvolgimento - una insufficiente distanza - che non è soltanto sinonimo di assenza di obiettività, quanto - soprattutto - rischio di non riuscire a trasmettere, attraverso il racconto, lo spessore di quello che fu il vissuto della propria quotidianità.

In ambito storiografico, il rapporto tra il ricordo, inteso come comprensione di un’esperienza passata, e il racconto - orale o scritto - sinonimo della capacità di esprimere nel presente quella stessa conoscenza nella sua complessità e nella sua completezza, è un tema molto antico. Già Agostino, nel X libro de Le Confessioni, riflettendo sull’abilità umana del “fare memoria”, individuava nel rievocare il metodo più idoneo per soddisfare la più alta aspirazione dell’uomo - la vera felicità - che l’Ipponate identificò con la ricerca di Dio: «Trovarti fuori della mia memoria - scrisse - significa averti scordato. Ma neppure potrei trovarti, se non avessi ricordo di te«».1 Di recente l’argomento è stato affrontato anche da Michel de Certeau, gesuita, nel volume La scrittura della storia: per lo storico francese non sempre è facile procedere dal disordine degli eventi verificatisi nel passato all’ordine che, nel presente, cerca di ottenere il racconto storico, in quanto non è semplice «dire quello che l’altro significa».2

Come raccontare il 1943? Che cosa dire del 1943? Perché quell’anno non fu soltanto l’anno della caduta - il 25 luglio - del fascismo di Benito Mussolini e, quindi, della fine del regime; non fu soltanto l’anno della proclamazione, l’8 settembre successivo, dell’armistizio - o della resa a Eisenhower? - firmato dal maresciallo Pietro Badoglio a Cassibile, nei pressi di Siracusa, cinque giorni prima. Il 1943 fu anche - e soprattutto - l’anno che confermò il protagonismo storico delle popolazioni che, affogato nell’anonimato dal fascismo, emerse nella sua rilevanza dall’impatto provocato da uno scontro bellico senza precedenti. Pur nella sua tragicità, fu la guerra - il secondo conflitto mondiale - a riconoscere un’evidente - seppure triste - visibilità ai civili. Come raccontare, quindi, quel protagonismo? Come esprimere - settant’anni dopo - l’incisività di quel conflitto nella quotidianità delle popolazioni? Come riordinare - alla scuola di de Certeau - la storia vissuta a Foggia nell’estate del 1943?

Due riflessioni - una di ordine morale, l’altra di carattere metodologico - esigono il superamento di ogni perplessità. La prima riguarda il dovere della “memoria”, l’obbligo non soltanto di studiare gli eventi descrivendo gli avvenimenti, quanto soprattutto di riflettere sul valore di quella esigenza che, a

1 AGOSTINO DI IPPONA, Le Confessioni, Roma, Città Nuova, 1986, Libro X: VIII,2 - XXVI,37. 2 Cfr. M. DE CERTEAU, La scrittura della storia, Milano, Jaka Book, 2006, pp. 62-120.

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partire dal 1943, mirò - attraverso il sacrificio di vite umane - a restituire a ogni individuo il giusto riconoscimento della sua dignità e della sua libertà. La seconda scaturisce dalla molteplicità della documentazione a disposizione dello storico per la ricostruzione di quella difficile quotidianità, che comprende non soltanto le fonti ufficiali - come possono considerarsi i rapporti periodici redatti dai prefetti e le relazioni ad limina stilate dai vescovi - ma anche quei documenti - lettere, diari, manoscritti - che, seppure considerati secondari, si rivelano preziosi scrigni di altrettante importanti memorie per approfondire quel protagonismo “popolare” - uso il termine nella sua accezione più positiva - che non fu soltanto destinatario inerme delle conseguenze della distruzione, quanto interprete attivo di una storia forse non ancora adeguatamente approfondita e, quindi, da scoprire, da studiare e da diffondere.

2. Appartiene a quest’ultima tipologia il volume …E la morte venne dal cielo,

giunto alla sua quarta ristampa, di Luca Cicolella (1924-1986),3 poliedrica figura di giornalista alla guida di diverse testate locali, pubblicista, collaboratore di quotidiani nazionali, corrispondente de La Gazzetta del Mezzogiorno, funzionario del Museo Civico, direttore dell’Ufficio Stampa e della Sezione Cultura del Comune di Foggia nonché autore di opere come Il giorno del girasole, trasposizione teatrale dei drammatici giorni vissuti a Foggia durante l’estate del 1943 tra un pre e un post bombardamenti intrisi soprattutto di umanità.4 Pur non essendo un libro di storia nella sua accezione più autentica - perché Cicolella incarna l’arte del racconto mentre la storia esige l’analisi del passato - …E la morte venne dal cielo è un testo che aiuta a “fare la storia”, accostando la microstoria - gli eventi che colpirono la città di Foggia nel 1943 - alla macrostoria raccontata nei manuali scolastici.

È diffusa la tendenza a slegare la macrostoria dalla microstoria, considerando la prima cadenzata da tripudi e da sventure, e la seconda destinata all’oblio perché espressione del vissuto di interpreti sconosciuti. All’interno di tale prospettiva, la storia locale non sempre ha goduto di giudizi positivi, in quanto considerata “accessoria” rispetto alla storia manualistica, “limitata” perché legata a territori ristretti, “significativa” solo per determinati luoghi: una storia coltivata da appassionati con impianti e prospettive molto limitate.

Il testo di Cicolella - invece - costituisce un esempio tipico di “come” e di “quanto” sia possibile ribaltare la concezione che considera la storia locale quasi l’ancilla della storia manualistica, dimostrando come macrostoria e microstoria - integrandosi, rinviandosi, richiamandosi - associno fenomeni di ordine generale alla verifica locale, confrontando il lontano con il vicino, l’ignoto con il familiare, l’astratto con il concreto. È il titolo del volume a suggerire il metodo “osmotico” - nell’avvicinare la microstoria alla macrostoria - utilizzato da Cicolella nel fare, da giornalista, la cronaca - perché il suo è un diario - di quanto avvenne a Foggia nell’estate del 1943. Affermare che la morte venne dal cielo significa esprimere l’inedita modalità del “combattere la guerra” che caratterizzò le diverse fasi del secondo conflitto mondiale.

Rispetto a quanto verificatosi durante la Grande Guerra del 1914-1918, appena vent’anni dopo, lo scontro pose le popolazioni civili dinanzi a un diverso concetto di morte e - di riflesso - di vita. Se la Prima Guerra Mondiale fu un conflitto

3 L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, Foggia, Edizioni Il Castello, 2013. 4 Cfr. L. CICOLELLA, Il giorno del girasole, Foggia, Edizioni Il Castello, 2013.

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combattuto tra eserciti in divisa, tra militari impegnati in trincea, una guerra vissuta in una logorante attesa, in uno scontro che aveva esonerato i civili perché combattuto extra moenia - l’ultima grande battaglia - il massiccio utilizzo di nuove forme di tecnologia, durante la Seconda Guerra Mondiale, coinvolse - improvvisamente - anche i civili. Quasi per tradizione, la morte dell’individuo in divisa rientrava nell’abituale codice della guerra, sperimentato fino al primo conflitto mondiale, ultimo esempio di una guerra combattuta secondo i metodi “antichi”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, invece, i bombardamenti coinvolsero i centri abitati e, quindi, le popolazioni civili. E da quel momento la morte venne dal cielo.

3. Anche la Capitanata non fu esente dal tragico impatto con tale inedita regola.

Ricorda Cicolella che fino al 28 maggio 1943, su Foggia, gli aerei nemici «non hanno mai sganciato una sola bomba»5 e il rumore degli scontri riecheggiava quotidianamente solo nei resoconti radiofonici: «Tutti i giorni - ormai è un’abitudine - la gente si affolla nei bar alle tredici per ascoltare alla radio i bollettini di guerra».6

Vi è un particolare che evidenzia l’improvvisa confusione innescata in quell’«abitudine» dall’arrivo dei bombardieri - le tristemente famose “fortezze volanti” - dell’esercito anglo-americano. Fino a quel momento, Foggia - come molte delle città e dei paesi del Mezzogiorno - era stata una città che aveva vissuto la guerra “a distanza”, organizzando un suo ordine nel disordine e nuove consuetudini nella precarietà del momento storico. Pur se non mancavano mercato nero e contrabbando, Foggia - però - era una città «in fila». È Cicolella a scrivere che

Al mattino di primissima ora, le donne fanno la fila dinanzi ai negozi di generi alimentari per ritirare con la tessera la razione di pane e pasta per ogni componente la famiglia. […] Due volte la settimana, al martedì ed al venerdì, anche gli uomini si mettono ordinatamente in fila dinanzi alle rivendite di tabacchi. […] A sera si fa la fila anche per andare al cinema.7

In quel contesto, la presenza militare risultò essere poco invadente. In un abitato compreso tra «il quartiere delle Croci, il palazzo degli Studi, la stazione ed il campo sportivo su Via Ascoli»,8 a fronte di una popolazione di «79.127 abitanti», a Foggia, racconta Cicolella, «vi sono non più di duemila soldati: un distaccamento di artiglieria alla caserma “Miale da Troia”, la 148a Legione della Milizia ed alcuni battaglioni di tedeschi».9

Finché la guerra - e, con essa, la morte - non arrivò dal cielo, i civili vissero un’ordinaria e ordinata quotidianità caratterizzata - nonostante i disagi imposti dal regime - da organizzazione. Anche le incursioni effettuate dall’aviazione angloamericana su San Severo - il 13 febbraio 1943 - e su Celenza Valfortore - il 13 marzo successivo - non innescarono grandi preoccupazioni. Ma il 28 maggio 1943, «Dal Sud piombano su Foggia venti superpotenze volanti alleate» e, si legge nel

5 L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, cit., p. 21. 6 Ivi, p. 16. 7 Ibid. 8 Ivi, p. 18. 9 Ibid.

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volume di Cicolella, «Sganciano le prime bombe sulla stazione. Salgono poi in diagonale per Via Monfalcone e verso i palazzi I.N.C.I.S: qui sganciano una sola bomba e proseguono verso nord senza farvi ritorno».10

La comparsa delle fortezze volanti su Foggia - «i gangsters dell’aria» come denunciò La Gazzetta del Mezzogiorno11 - provocò nella popolazione la prima reale angoscia del conflitto e trasformò le quotidiane sicurezze nelle incertezze dell’immediato presente. Da quel giorno a Foggia non vi furono più file e all’ordine si sostituì il disordine. Padre Odorico Tempesta - il francescano testimone di quegli eventi - descrisse la “novità” riscontrata fra la popolazione il 29 maggio 1943, nel giorno successivo al primo bombardamento, affermando che «Le persone che incontro per via, indistintamente sono avvolte da un velo di profonda tristezza per gli avvenimenti vissuti nella giornata di ieri, e se anche direttamente non hanno subito danni, i loro volti traspirano timori, preoccupazioni, paura!».12

Fra le pagine di Cicolella che descrivono il passaggio dall’ordine al disordine - anche se in forma velata - esiste una lettura sinottica tra gli eventi bellici che coinvolsero la popolazione a Foggia nell’estate 1943 e gli ultimi giorni del regime fascista, sanciti dal voto di sfiducia del Gran Consiglio pronunciato nei confronti di Mussolini il 25 luglio di quello stesso anno. Come la popolazione di Foggia, anche il regime in quell’estate passò dalle certezze costruite nel Ventennio appena trascorso alle insicurezze prospettate dal presente, in uno sviluppo che Cicolella amalgama in un interessante incontro tra microstoria e macrostoria. Se a Foggia, il 31 maggio 1943, sedici fortezze volanti sganciarono bombe «sulla stazione» e sul «campo “Gino Lisa”» con «danni […] enormi»,13 in quegli stessi giorni, a Roma - è sempre Cicolella a ricordarlo - «si intuisce che anche al vertice ormai si hanno ben poche speranze che la guerra possa registrare per l’Italia e la Germania un capovolgimento della triste situazione».14 Un presentimento che si trasforma in convinzione il 10 giugno 1943, nel terzo anniversario dell’ingresso dell’Italia in guerra, quando a Foggia, secondo il racconto di Cicolella, «Non è stata indetta alcuna manifestazione».15

La guerra, con il suo preannunciato esito, diventava una realtà sempre più evidente nella quotidianità della popolazione. Domenica 14 giugno «le donne, rientrando dalla Chiesa, si sono fermate a far la fila dinanzi alla macelleria»,16 ma tre aerei sorvolarono Foggia e sciolsero quella fila perché - racconta Cicolella - «si fugge da ogni parte».17 Nei giorni successivi nuovi bombardamenti provocarono nuove distruzioni e numerosi morti.18 Fra il 9 e il 10 luglio, lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia sugellò l’inizio della fine del fascismo, mentre a Foggia i bollettini di guerra italiani continuavano a inneggiare al regime. Nuovi attacchi - «il bombardamento diventa sempre più intenso»19 sottolinea Cicolella - colpirono la città di Foggia, costringendo a trasferire molti degli uffici cittadini in località

10 L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, cit., p. 21. 11 «Gli assassini dell’aria sulla Capitanata», in La Gazzetta del Mezzogiorno, 30 maggio 1943. 12 O. TEMPESTA, Foggia nelle ore della sua tragedia, Foggia, Edizioni del Rosone, 1995 (29

maggio 1943). 13 L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, cit., p. 26. 14 Ivi, p. 17. 15 Ivi, p. 29. 16 Ivi, p. 31. 17 Ibid. 18 Cfr. Ivi, pp. 33-34. 19 Ivi, p. 36.

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limitrofe: «Qualche ufficio si è trasferito in provincia: il Comune a Troia, la Banca d’Italia ad Orsara di Puglia, il Banco di Napoli ad Ascoli Satriano, l’INPS a Lucera, il Distretto Militare a San Severo».20

L’intensità degli attacchi raggiunse l’apice il 22 luglio. Gli effetti di quel bombardamento permettono a Cicolella di descrivere la topografia cittadina del dolore, della disperazione e dell’angoscia.21 «Quaranta fortezze volanti ed oltre cinquanta aerei da mitragliamento piombano su Foggia», colpendo - ricorda l’autore - «tutta la città».22 Anche in quel caso, di fronte alla morte, l’immagine della fila divenne la metafora della vita: mentre «I tedeschi fuggono su camions verso Via Bari»,23 gli scampati «vanno in lunga, desolante fila verso la campagna, in cerca di salvezza».24

Dopo quei bombardamenti, l’allora prefetto Paternò descrisse, impotente, la situazione vissuta in città:

La massa degli operai e degli artigiani al completo ha abbandonato i lavori e non s’è più presentata. Sono venute a mancare le braccia necessarie per il ripristino dei servizi pubblici più indispensabili. Spazzini, panificatori, maestranze ferroviarie, quelle del poligrafico, affossatori, autisti si sono dileguati. Gli autoveicoli e veicoli privati hanno immediatamente preso la fuga e non si sono più visti. La popolazione è stata presa dal terrore […]. La città offre un aspetto di abbandono ed è infestata dalle esalazioni dei cadaveri in putrefazione non ancora recuperati. Telegrafi e telefoni interrotti, i servizi postali completamente sospesi.25

4. La condanna della politica mussoliniana, il 25 luglio 1943 - appena tre giorni

dopo l’ennesimo bombardamento a Foggia - rappresentò non solo la fine del regime fascista, quanto il primo atto di una nuova fase della storia italiana. Nuova non soltanto perché proiettata verso la definizione di inediti equilibri politici. Nuova, soprattutto, perché tesa a sanare lo scarto generazionale creatosi, nella popolazione italiana, in appena due decenni. Significativa, a tale proposito, la riflessione di Zì Antonio, maturo protagonista dell’opera Il giorno del girasole di Cicolella, pronunciata nei confronti del giovane Franco, rappresentante di una generazione che, a causa del regime, non aveva ancora assaporato il gusto della democrazia:

noi vi dobbiamo aiutare, perché voi non avete colpa di tutto questo disastro. Voi non avete conosciuto l’altra faccia della medaglia. Voi avete ragione, tanta, tanta ragione: voi siete passati da un giorno all’altro dalle illusioni, dalle allucinazioni alla triste realtà di una sconfitta, siete passati dai fumi della grandezza e della vanagloria allo sfacelo della guerra, della disfatta, della morte, dell’umiliazione, della fame.26

Una lettura del vissuto italiano che ritornò fra le pagine de La Gazzetta del Mezzogiorno del 28 luglio, nei giorni successivi la caduta del fascismo, individuando in quell’avvenimento la nuova pagina della storia del Paese che

20 Ivi, p. 37. 21 Cfr. Ivi, p. 52. 22 Ivi, p. 38. 23 Ivi, p. 41. 24 Ibid. 25 Riportato in R. COLAPIETRA, La Capitanata nel periodo fascista (1926-1943), Foggia,

Amministrazione Provinciale di Capitanata, 1978, p. 514. 26 L. CICOLELLA, Il giorno del girasole, cit., p. 63.

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assegnava a ogni italiano un insperato e inatteso ruolo da protagonista: «L’Italia ha finalmente la sua vera rivoluzione. Un solo dovere: riconquistare a noi stessi la Patria che ci era stata usurpata».27

Ma a Foggia le incursioni aeree - come racconta Cicolella - continuarono anche il 16 agosto, quando «Il bombardamento dura non più di mezz’ora»;28 tra il 19 e il 21 agosto, quando «le superfortezze alleate sono state su Foggia per oltre ventisei ore»;29 il 25 agosto, quando «Alle 10,30 tuonano i cannoni. […] giungono subito altri quaranta aerei»;30 il 31 agosto, quando «Foggia è ancora bombardata […] poco prima delle 11,30»;31 il 6 settembre, quando «La città è assolutamente deserta».32

Anche la successiva data dell’8 settembre inaugurò una fase di profondo mutamento: «Sono le venti dell’8 settembre - scrive Cicolella - quando radio Roma annuncia agli italiani, con la voce di Badoglio, che l’armistizio è stato firmato».33 Occorre tornare a riflettere sul significato dell’accordo firmato a Cassibile il 3 settembre 1943. Nonostante il proclama di Badoglio, la guerra continuava. L’accordo spostò la “collocazione” dell’Italia all’interno degli equilibri di forza nel confronto sul campo di battaglia. Uno spostamento individuabile attraverso la sola lettura dei giornali di quei giorni. Basta scorrere i titoli dei quotidiani - de La Gazzetta del Mezzogiorno - per accorgersi come, con la firma dell’armistizio, coloro che fino a quel momento erano stati gli alleati degli italiani - i tedeschi - improvvisamente diventavano i nemici. Già dal 28 agosto 1943, ricorda Cicolella, «Dal Sud si spostano verso il nord centinaia di carri armati e mezzi blindati tedeschi»,34 innescando una resistenza meridionale non ancora adeguatamente approfondita. Anche al nuovo nemico - l’esercito tedesco - non mancò la percezione dell’improvviso avvicendamento e, come sottolinea Cicolella, «i tedeschi cominciano a cambiare i metodi»:35 «nostri ufficiali - riportò la stampa di quei giorni - sono stati minacciati coi fucili mitragliatori e sono stati adibiti al trasporto a spalla di tutto il materiale che i tedeschi trasportavano. Al minimo indugio o rifiuto i nostri soldati e i nostri ufficiali, venivano passati per le armi».36

Nel frattempo coloro che erano stati considerati avversari - gli anglo-americani - con la stessa rapidità, a partire dall’8 settembre, furono considerati i nuovi alleati. È interessante, fra le pagine dei giornali di quei giorni, esaminare la facile mutevolezza dei termini usati per descrivere il conflitto, nonché l’atteggiamento che, da quel momento, gli italiani ebbero nei confronti della guerra, dei protagonisti delle operazioni belliche, del capovolgimento di fronte. Una data - quella dell’8 settembre 1943 - che, rispetto a quanto verificatosi negli anni e nei mesi immediatamente precedenti, realizzò in Italia un’inedita situazione territoriale: al centro-nord, i tedeschi, i nuovi nemici; al sud, gli anglo-americani, gli alleati liberatori.37

27 La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 luglio 1943. 28 L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, cit., p. 62. 29 Ivi, p. 72. 30 Ivi, p. 78. 31 Ivi, p. 82. 32 Ivi, p. 84. 33 Ivi, p. 85. 34 Ivi, p. 81. 35 Ivi, p. 75. 36 «Predoni e assassini», in La Gazzetta del Mezzogiorno, 18 settembre 1943. 37 Cfr. V. ROBLES (a cura di), Il 1943 nel Mezzogiorno d’Italia. Atti delle Giornate di Studio

(Foggia, 28-29 novembre 2003), Foggia, Claudio Grenzi Editore, 2004.

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5. Nella città di Foggia l’annuncio dell’8 settembre evidenziò l’intensa

devozione della popolazione: «Il popolo, da poco uscito dalla chiesa, vi è subito ritornato, per effondere con grida e lacrime il cuore grato alla SS. Vergine. Ma fin dall’indomani la gioia diventa tristezza e dolore».38 In quella fase così delicata per le vicende italiane, non pochi vescovi, sull’esempio di Pio XII, il defensor civitatis - emblematicamente rappresentato dall’immagine che ritrae il pontefice fra le macerie del quartiere bombardato di San Lorenzo a Roma il 19 luglio 1943 - svolsero un’importante azione di difesa e di tutela delle popolazioni.39 Episodi di rappresaglia tedesca nei confronti dei civili non mancarono anche in Capitanata: a Cerignola,40 San Severo e Foggia, dove i tedeschi impiccarono «agli alberi soldati ed ufficiali».41

A Manfredonia l’occupazione nazista, dal 9 al 26 settembre, dovette confrontarsi con il coraggio dell’arcivescovo Andrea Cesarano (1931-1969), il quale «si prodigava e accorreva - riporta un documento - ove fossero in pericolo vite umane sotto i bombardamenti e mitragliamenti aerei; ponendosi anche a braccia aperte davanti ad un nido di mitragliatrici pronto a far fuoco sulla folla, salvava numerose vite umane».42

Ad Ascoli Satriano, fra il 25 e il 26 settembre 1943, mentre i tedeschi effettuavano il trasferimento sulle colline, compirono razzie nel paese. In quella giornata, il lancio di una bomba a mano sul camion dei militari anticipò l’attacco di alcuni civili all’intero reparto. Diversi tedeschi furono colpiti. La risposta all’aggressione degli ascolani non tardò ad arrivare e il comando militare tedesco, «a mezzo di un contadino del posto, inviò un ultimatum in paese che se entro due ore, non avessero, le autorità provveduto a consegnare dieci ostaggi, oltre a sigarette, orologi d’oro, vettovaglie ed altro, sarebbero stati costretti ad aprire il fuoco contro l’abitato cittadino». Allo scadere dell’ultimatum, in assenza di risposte concrete, i tedeschi attaccarono il paese e la rappresaglia fu sospesa solo grazie all’intervento del vescovo Vittorio Consigliere (1931-1946).43

A Foggia, il defensor civitatis fu il vescovo Fortunato Maria Farina (1924-1954). Nella relazione inviata nei primi giorni di settembre a papa Pacelli - riportata nel volume di Cicolella - «sui bombardamenti subiti dalla città di Foggia nell’anno 1943», il presule non mancò di evidenziare che «si sono susseguiti ben otto bombardamenti, con un progressivo crescendo di intensità, che è culminato nella devastazione operata con gli ultimi tre».44 Il vescovo fu molto più esplicito - circa

38 La guerra dal Convento - La tragica estate nelle cronistorie della Parrocchia e del Convento dei

Cappuccini di Sant’Anna di Foggia, San Nicandro, Cenacolo Culturale Contardo Ferrini, 1993, p. 24. 39 Cfr. A. RICCARDI, Le politiche della Chiesa, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1997, p. 60. 40 Cfr. «La Fossa di Cerignola. Ecco il nuovo ordine europeo di Hitler e Mussolini», in La

Gazzetta del Mezzogiorno, 10 ottobre 1943. 41 Cfr. «I tedeschi impiccano agli alberi soldati ed ufficiali», in La Gazzetta del Mezzogiorno, 24

settembre 1943. 42 ARCHIVIO ISTITUTO PAOLO VI - ROMA, Il clero durante la guerra in Italia, pp. 7-8, in Serie V, b. 3:

A.C.I. e Clero durante la guerra (1940-1945). 43 Cfr. A.G. DIBISCEGLIA, Alle radici della vita democratica di Ascoli Satriano (1943-1954), Foggia,

Comune di Ascoli Satriano, 2005, pp. 11-12. 44 Relazione di S. E. Mons. Fortunato Farina al Santo Padre Pio XII sui bombardamenti aerei

subiti dalla città di Foggia nell’anno 1943, in L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, cit., pp. 100-104.

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l’impegno profuso dalla Chiesa locale per fronteggiare gli esiti del conflitto - tra le pagine del suo diario spirituale e scrisse:

Il 28 maggio sono cominciate anche le incursioni su Foggia; si sono susseguite il 30 e il 31. Le prime due hanno avuto di mira il Campo di Aviazione e dintorni, la terza la ferrovia e la stazione ferroviaria. In complesso circa 150 morti e molti feriti […] Sono stato dal 17 al 27 Agosto a S. Marco in Lamis. Ivi la sera del 19 Agosto ho appreso la grave notizia dell’incursione anglo-americana su Foggia, riducendola quasi un cumulo di rovine. Non ho potuto avere qualche mezzo di trasporto per recarmivici subito. Nel pomeriggio del 21 sono calato a Foggia con un autocarro militare che aveva portato a S. Marco una folta comitiva di sfollati. Quale doloroso spettacolo! […] La città di Foggia è deserta […] gli ultimi dei superstiti con autocarri militari si riversano nei vari comuni della Provincia e anche più lontano, varii in Abruzzo e in altre regioni. […] 27 Agosto - Da S. Marco mi reco di nuovo a Foggia con autocarro militare. Fo sosta in città per alcune ore e poi si prosegue per Troia, portando sfollati venuti a Foggia per prendere roba fra cui le Suore della Pia Società di S. Paolo, che mettono in salvo il rimanente del loro deposito di buona stampa. A Troia grande lavoro per l’assistenza e sistemazione dei profughi sfollati e per guidare nuove escursioni a Foggia per prendere e mettere in salvo roba degli sfollati, delle varie Opere Pie, della Curia, dell’Ufficio Diocesano, e dell’Episcopio. 7-17 Settembre - Visita ai comuni di Castelluccio Valmaggiore, Celle S. Vito, Faeto portando ai numerosi sfollati colà rifugiati aiuto e conforto. […] Giungono dopo (tardive) le dolorose notizie e ripercussioni delle tristi vicende, conseguenze dell’armistizio. […] Il 17 Settembre mi è dato fare ritorno a Troia: non vi è altro mezzo di trasporto che un calesse, noleggiato a caro prezzo. I tedeschi hanno fatto e fanno razzia di automezzi, di cavalli e di muli.45

6. Terminati i bombardamenti,46 non fu certamente facile ritornare alla

tranquilla quotidianità. Ma non mancarono i primi e timidi segnali di una decisa volontà di ricominciare. Come attestò il ritorno di certe consuetudini. Ricorda Cicolella che, a Foggia, «per la prima volta, dopo i bombardamenti, è stata distribuita la pasta. Le donne fanno la fila e tornano a casa felici».47

Dopo aver superato la cittadina di Cerignola, l’ingresso degli alleati - «Sono le quindici» del 23 settembre secondo Cicolella (o del 27 settembre?), «quando l’VIIIa Armata americana entra a Foggia. Lunghissime file di carri armati e di mezzi militari si snodano per le vie della città»48 - determinando la fine dell’occupazione tedesca, inaugurò la presenza dei “liberatori” che, nei giorni successivi, raggiunsero anche Troia, Orsara, Lucera, San Severo, Manfredonia, Torremaggiore, Serracapriola e Motta Montecorvino. Secondo quanto riportato da La Gazzetta del Mezzogiorno, il 4 ottobre successivo, la «penisola del Gargano è ormai completamente libera da elementi tedeschi».49 Ma non era ancora la libertà, come ricorda Cicolella dando voce a Zì Antonio che, ne Il giorno del girasole, nei confronti del giovane Franco, afferma: «Che ti aspettavi […] che gli americani e gli inglesi ti portassero in regalo la libertà […] La libertà […] non ha prezzo, non è in vendita

45 ARCHIVIO DIOCESANO - TROIA, Diario spirituale di Fortunato Maria Farina, Quaderno n. 9. 46 Tralascio volutamente il calcolo della consistenza numerica delle vite umane sacrificate a

Foggia dai bombardamenti, già oggetto di numerose pubblicazioni e approfondimenti, il cui valore - inestimabile al di là di ogni calcolo statistico e storico - travalica ogni quantificazione.

47 L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, cit., p. 95. 48 Ivi, p. 96. 49 «Gli Alleati a Benevento», in La Gazzetta del Mezzogiorno, 4 ottobre 1943.

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sopra una bancarella, non è una pagnotta di pane, la libertà bisogna conquistarsela, bisogna meritarsela».50

Se è pur vero che il Mezzogiorno risultò un territorio libero dalla presenza tedesca, è altrettanto certo che l’esercito anglo-americano restava - comunque - un esercito di occupazione.51 Si apriva una ulteriore nuova fase della storia del Paese, sancita non soltanto dal ripristino, con i liberatori, delle prime forme di attività democratica nella sostituzione dei podestà con i sindaci, ma decretata anche dalla fine del secondo conflitto mondiale, dall’esito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e dalla concomitante elezione dei 556 membri dell’Assemblea Costituente,52 ai quali gli italiani - uomini e donne, per la prima volta nella storia d’Italia - assegnarono il compito di redigere la nuova Carta Costituzionale:

Mi domando con angoscia - continua Zì Antonio - che ne sapremo fare di questa libertà? Ci convinceremo che la mia libertà finisce dove comincia la tua libertà? Che libertà vuol dire rispettare le idee degli altri perché gli altri possano rispettare le tue idee? Che essere liberi significa confrontarsi, discutere sulle cose da farsi e su come si devono fare, che la violenza è la morte della libertà e che più si è onesti con noi stessi e con gli altri, e più si gusta il sapore della libertà?53

7. Anche i bombardamenti su Foggia dell’estate 1943 furono la realizzazione di

una nuova modalità di concepire lo scontro con il nemico, che individuò nel maresciallo capo Travers Harris della RAF54 - la Royal Air Force inglese - il promotore di una strategia bellica messa in atto attraverso il rastrellamento aereo delle città. Una modalità iconograficamente rappresentata dalla perentoria affermazione di Badoglio, pronunciata subito dopo l’esito del 25 luglio: «Si tira sempre a colpire».55 Una “novità” non sfuggita all’acume critico del giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno il quale, già il 1° giugno 1943, denunciò «L’inaudita ferocia dei Liberatori»: «Il nemico aveva obiettivi prestabiliti […] i quartieri di abitazioni che si trovano lontano da qualsiasi obiettivo militare […]. Dappertutto le popolazioni sono colpite, inseguite, crivellate nelle campagne, nelle case coloniche, nei casolari dell’agro, nei comuni sperduti, con forme di autentica cannibalesca caccia all’uomo».56

Gianni Cicolella - figlio di Luca - nel firmare l’introduzione al volume individua la vocazione dell’autore nello «scrivere per vivere» e nello «scrivere per gli altri».57 Sulla scia di tali affermazioni, mi permetto di aggiungere un’ulteriore chiave di lettura - specificamente legata a quanto il Cicolella padre racconta nel volume …E la morte venne dal cielo - agganciandola a una diversa prospettiva: quello di Cicolella è stato anche uno “scrivere per tramandare” e, quindi, uno “scrivere per ricordare”. Per questo, ritengo che il merito di Cicolella - che rievoca le tragiche

50 L. CICOLELLA, Il giorno del girasole, cit., pp. 63-64. 51 Cfr. G. CHIANESE, «Quando uscimmo dai rifugi». Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (1943-

1946), Roma, Carocci Editore, 2004. 52 Cfr. I 556 deputati della Costituente, Roma, La Navicella, 1946. 53 L. CICOLELLA, Il giorno del girasole, cit., pp. 64-65. 54 J. KEEGAN, Uomini e battaglie della Seconda Guerra Mondiale 1939-1945. Le strategie, le

operazioni, le armi, Milano, Rizzoli, 1989, p. 425. 55 Riportata da L. CICOLELLA, Il giorno del girasole, cit., p. 59. 56 G. CASTELLI, «L’inaudita ferocia dei Liberatori», in La Gazzetta del Mezzogiorno, 1° giugno

1943. 57 G. CICOLELLA, «…Mio padre», in L. CICOLELLA, …E la morte venne dal cielo, cit., p. 5.

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vicende dei bombardamenti su Foggia del 1943 in una ottica esclusivamente giornalistica - sia individuabile nella sua capacità di rendere quasi visibile ciò che racconta con le parole.

Accanto ad Agostino d’Ippona e a Michel de Certeau, per concludere, non disdice il richiamo a un altro degli autori che si sono interrogati sull’efficienza della parola - orale o scritta - per esprimere nel presente il vissuto concreto del passato: il filosofo Hans-Georg Gadamer, il quale in Verità e metodo - ormai considerato un classico - evidenzia che «chi vuol comprendere un testo dev’essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Perciò una coscienza ermeneuticamente educata deve essere preliminarmente sensibile all’alterità del testo».58

Per tale ragione, accanto al merito di aver riproposto quanto accaduto a Foggia nell’estate del 1943, credo che Luca Cicolella abbia avuto - seppure tra le righe - anche un altro scopo da “scrivere per tramandare” e “per ricordare”: trasmettere alle generazioni successive un messaggio utile non soltanto per calcolare gli effetti devastanti di un conflitto tecnicamente inedito, quanto per valutare gli esiti di una guerra umanamente devastante e, quindi, meritevole - nel presente - non soltanto di memoria verso il passato ma anche - e soprattutto - di riflessione per il futuro.

Angelo Giuseppe Dibisceglia*

58 H.-G. GADAMER, Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1983 (l’argomento è trattato nelle pp.

312-357). * Docente di Storia della Chiesa moderna e contemporanea nella Facoltà Teologica Pugliese -

Istituto Teologico “Santa Fara” di Bari, e nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Giovanni Paolo II” di Foggia, è membro del Consiglio di Presidenza dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa (Roma).