2018. A True Story of Schizophrenia

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Mental Health Literature - True Stories Series

2018. A True Story of Schizophrenia

MAX NEODIMIO

Riparini M Editions [ROMA 2018]

© Riparini M Editions [Roma 2018]. NOTA EDITORIALE: Il testo è stato sottoposto ai divieti e alle regole di edizione di M. Riparini M. Tutti i diritti (di utilizzazione economica o morali) sono riservati alla Riparini M Editions, casa editrice di cui l’Autore di questo libro è Presidente co-fondatore. IN COPERTINA: Edmund Spenser [Anonymous, 1590c.] IN QUARTA DI COPERTINA: Étant donnés : 1° La chute d'eau ; 2° Le gaz d'éclairage - Outside [M. Duchamp, 1946-1968]

INDICE 1 PRESENTAZIONE (di Massimo Riparini) 9 AVVERTENZA

PARTE PRIMA

(IGITUR, OU LA FOLIE D’ELBEHNON)

11 Dulcinea del Toboso I (Don Chisciotte de La Mancha)

17 Dulcinea del Toboso II (L'Azur ! l'Azur ! l'Azur ! l'Azur !)

25 Dulcinea del Toboso III (Una Sola Moltitudine)

35 Dulcinea del Toboso IV (Faust II : Den Müttern !)

41 Dulcinea del Toboso V (Magnes sive De Arte Magnetica)

PARTE SECONDA

(MARCEL, INVISIBLE, RE-MONTE UN ESCALIER)

51 Dulcinea del Toboso VI (The Faerie Queene)

63 Dulcinea del Toboso VII (The Creative Act : Marcel Duchamp)

71 Dulcinea del Toboso VIII (Ulysses : An Incredible Bloomsday)

91 Dulcinea del Toboso IX (Dissolution)

101 Dulcinea del Toboso X (Epilogue)

PRESENTAZIONE DI MASSIMO RIPARINI

Of all tales ‘tis the saddest - and more sad, Because he makes us smile

(Lord Byron, Don Juan, cant. XIII, st. 9)

Gentili lettori, vi dico sin d’ora che la storia che ho intenzione e il grandissimo onore di presentarvi - opera di un autore sconosciuto (Max Neodimio) delle cui origini, malgrado l’enorme sforzo, ancora non so proprio cosa dirvi - sebbene denoti una narrazione all’apparenza di matrice realista, se ne allontana notevolmente, sia nei modi che nei fini che si propone. In effetti, in testa al front l’indicazione ‘Mental Health Literature. True Stories Series’ già svela l’inusuale disposizione narrativa di que-sto autore perché, redatta in forma anonima, è la storia di un bibliofilo ‘malato di mente’ (forse uno schizophrenico) che, in balìa di certi suoi inattesi e incontrollabili impulsi, sembra si trovi ora impegnato in una improbabile ricomposizione di sé attraverso i libri da lui letti, sottoli-neati e alacremente postillati e, nell’epilogo finale, attentamente ri-scritti (qui il riferimento è all’ultimo capitolo del Chisciotte). Ecco, dunque, che ci troviamo di fronte ad un libro scritto coi libri e sin dalle prime pagine il lettore si porrà necessariamente il costante interrogativo: «Ma si può rendere omaggio alla grande letteratura e all’arte attraverso il plagio, la riscrittura e da una visuale ‘malata’?». D’altronde, ciò che si narra è essenzialmente un’avventura mentale, cioè una narrazione costruita tutta su fatti e contesti che trovano spie-gazione soltanto in una esuberante mania bibliofilo-bibliografica che rende il racconto un continuo riflettersi delle opere letterarie lette, sot-tolineate e maniacalmente postillate dal protagonista, uno schizoph-renico di nome M che, forse per amore, dopo singolari immersioni in meticolose ricerche bibliografiche per darsi una spiegazione della sua ormai consapevole malattia, ora sembra voglia soltanto annullarsi e distruggersi. Di qui la decisione dell’ospedale psichiatrico dove M è in cura di far fuoco di tutti i suoi libri, considerati la ragione prima della follia in cui il protagonista è sprofondato. Dico subito, però, che non c’è quasi nulla di particolarmente tetro nella sfumata biografia psico-letteraria di M, anche se molte ripetute indi-cazioni bibliografiche (soprattutto nella prima parte) possono sugge-rire un quadro fosco del tipo di letture con cui il soggetto s’è insufflato la mente e che, a volte, possono anche rendere la lettura ‘asfissiante’ - e forse, per alcuni, anche ‘faticosa’, se non addirittura ‘nauseante’.

In effetti, quel che si legge nella prima parte è sempre riferito a fatti e situazioni tratte da opere letterarie ormai quasi sconosciute e cadute in disuso, di cui M è invece assiduo e attento lettore (e qui il riferi-mento è soprattutto al Book of Courtesy, il Sesto Libro del The Faerie Queene di Edmund Spenser). Il fine, ovviamente, almeno per quanto riguarda la prima parte, è quello di introdurre e trasportare chi legge nel contesto lecto-psico-patologico del protagonista seguendo un percorso di tipo esclusiva-mente psico-letterario - se così posso dire - che costringe il lettore a farsi un’immagine solo e prettamente letteraria di M, da cui è tuttavia possibile desumere la degenerazione mentale che questo schizophre-nico innamorato ha raggiunto. Il libro, dunque, è diviso in due parti - di cinque capitoli ciascuna - completamente agli antipodi tra loro. La prima parte, come accennato, è costruita su varie ‘oscurità’ e va-gheggiamenti pseudo-letterari, in cui l’indeterminatezza e l’inconsi-stenza del personaggio predominano1. Alcuni lumi, però, appaiono at-traverso le indicazioni bibliografiche delle opere lette, sottolineate e ‘alacremente’ postillate dal protagonista, che denotano, tra l’altro, il grado di prostrazione mentale che egli ha raggiunto e che, pertanto, potrebbero ben giustificare la decisione dell’ospedale psichiatrico in cui è in cura di far scomparire tutti i suoi libri. Nella seconda parte, invece - tutta all’insegna della ‘luminosità’ - M (Em) prende finalmente forma e ‘corpo’ e agisce-re-agisce a suo modo alla sua non più ‘incomprensibile’ malattia. A una ‘Discesa agl’inferi’ succede così una ‘Ascesa al cielo’ e le due parti sono intitolate Igitur, ou la folie d’Elbehnon - titolo di un’opera di Mal-larmé che tratta appunto di una discesa agl’inferi - e Marcel (invisible) re-monte un escalier, titolo, a sua volta, di un quadro ‘non finito’ di M che fa espresso riferimento - invertendone il senso del titolo - a un’opera di Marcel Duchamp, ovvero al Nu descendant un escalier, a sua volta - miroiriquement - ispirato all’Igitur di Mallarmé. Ogni capitolo del romanzo è intitolato-dedicato a Dulcinea del Toboso - superba creazione mentale del Don Chisciotte a cui M profonda-mente si ispira - che però, come diversi piccoli tasselli, indicano l’idea di bellezza che il protagonista è andato man mano sviluppando per spiegarsi e dare una soluzione alla sua ‘enigmatica’ affezione.

1 Nell’AVVERTENZA che l’anonimo autore antepone al romanzo, è citata la Loi de le ha-sard di Marcel Duchamp, cioè la ‘regola’ che l’artista francese applica alle sue Note al Grand Verre - raccolte e pubblicate nel 1934 ne La Boîte verte - ossia brevi annotazioni su novantatré ‘pezzi di carta’ variamente sagomati e scritti, articolate secondo un ‘non sense’ molto particolare: sono jeux de mots in cui, come nello sfumato leonardesco, è chi guarda o legge che determina il significato di quanto rappresentato o scritto. « D’ail-leurs, ce sont les regardeurs qui font le tableaux » (cit. M. Duchamp).

Infatti, ciascuno di questi capitoli è sottotitolato con un chiaro riferi-mento a un’opera famosa e spesso importante della letteratura mon-diale (Faust, The Faerie Queene, Ulysses etc.), quasi a dimostrazione di come l’‘antica idea’ donchisciottesca di M si sia andata evolvendo attraverso un continuo processo di associazione e trasformazione ‘chi-mica’ delle opere che egli si propone di mettere a confronto - svilup-pandone così nuovo significati - e, dunque, come un’ulteriore traccia su cui si è andata sviluppando non solo l’idea di bellezza che M si è costruito, ma anche il livello di faticosa ricerca di una soluzione al suo malessere, denotando, nel contempo, sia la snervante condizione psi-chica e mentale raggiunta ma anche la forza di cui ora dispone per su-perarla. La prima parte (o Discesa agli inferi) è, pertanto, una vera e propria immersione nei libri letti, sottolineati e maniacalmente postillati dal protagonista, che in essi sembra sia alla ricerca di ‘paralleli’ - nel libro concordances - o comunque un ‘qualcosa’ da cui possa trarre una spie-gazione e una risoluzione al suo sempre più insopportabile stato di prostrazione. Difatti, tutto ciò che Fabrizio - un medico pediatra amico fraterno di M, suo malgrado incaricato dall’ospedale di incenerire tutti i suoi libri - legge, consulta e annota riguardo i libri da lui dati alle fiamme, è sem-pre in relazione con quanto negli ultimi tempi M andava cercando in quelli che leggeva e maniacalmente sottolineava (ovviamente, classici della letteratura, come i già citati Faust, Don Chisciotte, Ulysses e The Faerie Queene). Dunque, è come se tutta La letteratura del mondo - per citare il titolo di un vecchio libro trovato dal medico pediatra sul comodino di M - piombasse qui tutta insieme solo per dare una spiegazione all’affli-zione del protagonista, perché i rilievi bibliografici e le note fatte da M e lette dal medico pediatra sono tutte incentrate sulla ricerca delle ra-gioni per cui la sua strana malattia ha avuto luogo, e dunque un tenta-tivo di trovare il modo con cui riabilitarsi e uscirne. Tantissimi, d’altronde, sono i libri di M che vengono destinati all’ince-nerimento perché ormai considerati da tutti - come già diagnosticato dall’ospedale psichiatrico in cui il protagonista, dopo l’arresto per furto di libri (nel testo stealing books), è stato recluso - la causa prima dello suo stato di alienazione e straniamento. Un’opera, tra queste, apre infine un varco alla comprensione dello stato mentale in cui versa il ‘paziente’. Si tratta del più volte citato Igi-tur, ou la folie d’Elbehnon - una pièce teatrale pressoché sconosciuta e incompiuta di Stéphane Mallarmé - che ricorre e si ripercuote in modo alquanto ridondante e ossessivo in quasi tutte le note e i post-it all’interno dei libri letti e postillati da M e attentamente consultati dal medico pediatra.

Questo testo teatrale, pertanto, in cui il protagonista è intento a pre-pararsi a una discesa agl’inferi per cercare la ‘morte’ (cioè il suo an-nientamento interiore) per poi forse rinascere, è la traccia e il percorso mentale che M sembra stia seguendo alla lettera. Un racconto di M, inoltre, vi si ispira. In quel che scrive, infatti, M emula Igitur, sprofon-dando in se stesso e nella sua interiorità, provocando però uno ‘squar-cio’ - un vulnus - nell’economia del racconto (cfr. Dulcinea del Toboso IV - Faust II: Den Muttern !). Un’altra opera, tuttavia, appare illuminante e esplicativa della ‘strana’ sindrome di cui M è vittima, ed è precisamente il Don Chisciotte, con quella ‘assurda’ creazione mentale con cui il grande hidalgo ha dato vita alla meravigliosa Dulcinea del Toboso. D’altro canto, come già detto, ogni capitolo ne porta il nome; e quando l’idea di bellezza dell’ingegnoso cavaliere errante (Don Chisciotte) entra in relazione con altre immagini di bellezza suscitate da altre importanti opere let-terarie (Faust, The Faerie Queene libro sesto, Don Giovanni etc.), l’idea prima, reagendo con quest’ultime ‘chimicamente’, sviluppa si-tuazioni oltremodo inconsuete, come d’altronde prevede la lois de le hasard di Marcel Duchamp citata nell’Avvertenza. La storia, dunque, narra di un bibliofilo schizophrenico che, per cause incerte (forse un amore non corrisposto, di cui non si saprà mai nulla di specifico), cercando e trovando nei suoi libri la soluzione alle sue angosce, decide di annientarsi e distruggersi fin quasi a scomparire. Dico, infine, che la narrazione è sia in terza persona (l’anonimo narra-tore che altri non è che il protagonista in veste di proprio censore) sia in prima persona, quando cioè M (Em) narra le sue avventure biblio-file (i suoi stealing books) e erotiche. Il fatto è che protagonista e nar-ratore alla fine si ricollegano fino a ricongiungersi e coincidere, ossia la dimostrazione di una possibile recuperata integrità mentale del per-sonaggio che la ‘strana’ malattia che l’aveva colpito aveva in prece-denza disunito e scisso.

AVVERTENZA: La storia qui narrata è un’avventura mentale. È disposta su più piani, ognuno dei quali può essere indagato e percorso anche grazie alle indicazioni bibliografiche e alle note a piè pagina. Ovviamente in ciascuno di questi piani2 vi si incrociano e intrecciano anche parti degli altri3; il ché vuol dire che l’interpretazione spesso rimane aperta a qualsiasi signifi-cato; il ché dipende dall’osservatore-lettore: c'est la loi de le hasard, quella mirabilmente espressa da Marcel Duchamp. Rimane dunque un testo ‘non finito’ affinché possa dar luogo alle interpreta-zioni le più disparate.

2 Reale, mentale, artistico, fisico, erotico, psichiatrico, letterario, scientifico, filosofico etc. 3 Si pensi, ad esempio, ad alcune opere grafiche di M.C. Escher, dove più piani prospet-tici intersecantesi tra loro rendono la comprensione spaziale univoca praticamente im-possibile, perché soggetta e continuamente contraddetta dalle diverse prospettive e punti di vista sovrapposti.

a DDT..

PARTE PRIMA

(IGITUR, OU LA FOLIE D’ELBEHNON)

DULCINEA DEL TOBOSO I (DON CHISCIOTTE DE LA MANCHA)

E così cominciarono a far fuoco di tutti i suoi libri, ormai considerati, tra le persone che lo conoscevano, quale unica fonte e ragione della sua straordinaria follia. Dopo un breve sopralluogo nei posti ove maggior-mente si trovavano quelli d’uso quotidiano (in cucina, sulla scrivania dello studio, sul comodino nella stanza da letto e, un po’ dappertutto, anche in bagno), Fabrizio, d’accordo con la moglie di M, decise che quei libri sarebbero stati tra i primi ad essere inceneriti. Così, raccolti alla rinfusa tutti quelli che si trovavano in quel momento nella stanza da letto, il primo libro a essere immolato fu l’Anti-Edipo che, abbondantemente sottolineato, conteneva ancora tra le pagine al-cuni post-it pieni di appunti. Quel che Fabrizio provò a leggere in quel libro, senza però capirvi nulla, riguardava alcune note sul concetto di ‘macchina desiderante’, con moltissimi rimandi al Grand Verre di Marcel Duchamp e, anche se in misura minore, al Faust (il secondo Faust, come specificato), a un’opera - credo sconosciuta perché in-compiuta - intitolata Igitur, ou la folie d’Elbehnon di Stéphane Mal-larmé e, strano a dirsi, al Don Giovanni di Mozart. Il titolo del libro, però, insieme al sottotitolo (Capitalismo e schizoph-renia) e a quelle insistenti e maniacali sottolineature sotto la frase ‘macchina desiderante’, già bastavano a Fabrizio per considerarlo un libro degno del fuoco, perché anch’esso doveva certamente aver con-tribuito alla strana follia del suo stimato amico. Fabrizio, d’altronde, un medico pediatra da tanti anni amico di M, con cui gli piaceva andare in giro per Roma per mostre e convegni d’arte, voleva solo onorare al meglio l’incombente incarico che in quel mo-mento la moglie di M gli aveva pregato di prendersi, ossia quello di fare una prima cernita dei libri da incenerire secondo quanto richiesto dall’ospedale psichiatrico dove M era in cura. La moglie di M, in effetti, aveva da poco ricevuto un promemoria dall’ospedale Villa Divino Amore (l’ex San Valentino, sulla Cassia giustinianense), che riguardava sia le modalità che la durata del rico-vero del marito. Difatti, subito sotto le indicazioni sull’igiene e sulle necessità materiali del paziente, una marcata cancellatura a penna, so-vrastata da una nota scritta a mano a caratteri cubitali, aveva destato stupore e vivo sconcerto tra i suoi familiari perché se ad altri pazienti era consentito l’uso di libri, riviste e tutto l’occorrente per scrivere, per M erano tassativamente vietate non solo la lettura e la scrittura, ma

12 PARTE PRIMA anche l’ascolto di musica. Sempre a penna, inoltre, v’era stato aggiunto l’inquietante appunto:

«L’opportunità del caso richiederebbe anche la distruzione, o la scomparsa, di tutti i libri del paziente prima del suo rientro in fami-glia».

Nel leggere questa brutale nota i figli piansero, pensando che il padre fosse realmente in un grave stato di salute psichica. La moglie di M, su questo, per il momento non volle commentare, per non aggravare lo sconforto dei ragazzi; ma come riuscì a star sola e a chiamare l’ospe-dale, piangendo sommessamente, volle informarsi con l’operatore di turno riguardo le note scritte a penna sul promemoria nosocomiale ri-cevuto e sugli insoliti divieti disposti per il marito. Dall’altra parte del telefono, intanto, l’addetto alla reception, che avrebbe voluto metterla in contatto con il dottor Mentòre, il medico psichiatra che teneva in cura M, non riusciva a spiegarle che, forse, qualcosa era possibile concedere o derogare al marito. Ma tante le la-crime e i singhiozzi che in quel momento la signora non riusciva a te-nere a freno, non permisero a quello di finire la frase, perché, ormai in preda ad un pianto irrefrenabile, la povera donna subito dopo chiu-deva la telefonata. Ma questo poco interessa quest’incredibile storia: l’importante, tutta-via, è che nella narrazione non ci si allontani minimamente dal vero. Fu così che dopo l’Anti-Edipo ad ardere nel fuoco fu il Don Chisciotte - ma solo il primo tomo - in una vecchia ma discreta edizione della collana Grandi Libri Garzanti. Anch’esso, infatti, era abbondante-mente sottolineato e postillato, soprattutto nei punti che riguardavano i modi di dire un po’ antiquati cervantini (che spesso ritroveremo in seguito anche negli scritti di M, come, ad esempio, la frase ‘almeno così sembra che sia’) e nelle stupefacenti circonlocuzioni riferite alla meravigliosa Dulcinea del Toboso, superlativa creazione mentale dello strambo e immaginifico cavaliere errante, il cui nome però si ritrova spesso accompagnato dall’incomprensibile sequenza di lettere maiu-scole, scritta tra parentesi e a matita, con tratto leggero e quasi invisi-bile: ‘DDT’. La scelta di Fabrizio di dare alle fiamme anche il Chisciotte, all’appa-renza un libro innocuo per la salute mentale di chiunque - e quindi probabilmente anche di M - fu determinata dal fatto che questo libro, come molti altri, era ‘troppo sottolineato’, e come tale in qualche modo ‘studiato’ e dunque forse anch’esso all’origine dello stato mentale in cui si trovava il suo amico. Il criterio di scelta che il medico pediatra s’era dato era pertanto, se-guendo alla lettera le indicazioni dell’ospedale, quello di far sparire tutti quei libri che potevano aver causato la strana follia dello strano

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paziente ivi ricoverato e, con incredibile e superficiale sillogismo, an-che il Chisciotte era - per il ‘medico pediatra’ Fabrizio - all’origine dell’inspiegabile spersonalizzazione che ora affliggeva M. Il camino, intanto, si andava riempiendo di altri libri. Tra quelli più a portata di mano e subito pronti per essere inceneriti, ve n’erano alcuni ancora nuovi e appena sfogliati, come Un Karma pe-sante della Bignardi, forse un regalo, segnato da una breve diagonale a penna nera sul frontespizio, un Meridiani, praticamente intonso, con tutte le opere di Hemingway, e una nuova edizione Adelphi del Siddharta, con alcune pagine costellate solo di punti interrogativi e due brevi diagonali sul titolo nel frontespizio. Altri libri, invece, assai lisi dall’uso frequente e riccamente annotati ai margini, sembravano testimoniare l’ossessione maniacale con cui erano stati letti. Tra questi ultimi v’erano anche alcuni vecchissimi manuali di liceo, come la Sto-ria moderna del Villari e il terzo volume dell’Adorno Gregory Verra, probabilmente usati recentemente da M solo per consultarne alcune pagine. Su quest’ultimo, d’altronde, v’era un post-it quasi nuovo incol-lato tra le pagine su Heidegger che riportava ancora una volta alcuni passi del Faust (o meglio, della Notte di Valpurga dell’Ur-Faust) e specificamente la frase scritta in rosso e sottolineata due volte:

Mirala bene! Ell’è Lilith.. (v. 4119) accompagnata, subito sotto, da quest’altra nota:

Sta in guardia dai suoi bei capelli, Da quello splendore che solo la veste.. Fai che abbia avvinto un giovane con quelli, E ce ne vuole prima che lo lasci..

A mo’ d’epigrafe, la frase, anch’essa in rosso: ‘La grandezza dell'uomo si misura in base a quel che cerca e all'insistenza con cui egli resta alla ricerca (M. Heidegger)’, chiudeva il post-it. Fu così che tra i libri che sembravano esser d’uso quotidiano, e quindi pronti ora per essere immolati nel fuoco, uno in particolare destò l’at-tenzione di Fabrizio, sia per l’importanza del libro che per l’abbon-danza di post-it e di annotazioni e postille all’interno. In quel preciso istante, in effetti, sarebbe dovuta essere la volta del se-condo Faust, che il medico pediatra, avendolo in quel momento tra le mani, andava ghiottamente sfogliando soffermandosi sulle numerose postille a margine - tutte scritte in minuto stampatello - contenenti ri-mandi alla musica di Mozart (al Don Giovanni soprattutto), all’Igitur di Mallarmé, al De rerum natura e, strano a dirsi, al Grande Vetro di Marcel Duchamp, ma a tal punto che, sfogliando il libro, Fabrizio non riusciva più a smettere di leggere.

14 PARTE PRIMA Un passo particolarmente annotato e ricco di glosse sulla musica di Mozart, era quello riguardante l’episodio della nascita di Euforione, il cosiddetto Arcadia (o Bosco ombroso), dove Faust, in mistiche nozze con l’Elena paridéa, nome accompagnato spesso dalla sigla ‘DDT’, nel breve giro di trecento versi vede nascere, volare e morire questo suo figlio: ‘UN’IDEA’, era riportato a margine. Un rimando bibliografico a un certo Magnani, Goethe, Beethoven e il demonico, era accompagnato dalla nota, con sottolineatura doppia: ‘CFR. DEN MÜTTERN ! (FAUST II, V. 6265) E IGITUR’. In basso a destra, infine, la nota ‘CFR. BATAILLE, L’INFORME’ chiudeva il post-it. Senza farsi accorgere dalla moglie di M, Fabrizio, in un evidente ‘rap-tus di follia’, volle così nascondere il libro nella sua borsa da medico, e dunque risparmiare il volume goethiano (così alacremente postillato) dal potere distruttivo e violento delle fiamme. Fu poi la volta di Fernando Pessoa, del grandissimo Fernando Pessoa, o meglio, dei grandi eteronimi di Fernando Pessoa [letto con passione l’ho conosciuto e amato anch’io; NDR]. Una sola moltitudine, un Adel-phi in due volumi, prese ben presto fuoco insieme ai numerosi post-it all’interno. Probabilmente questi due libri potevano effettivamente ri-condurre all’origine della strana follia di M, perché, dopo aver letto, barrata con tre verticali ai margini laterali, la frase:

Sono un istero-nevrastenico, ma fortunatamente la mia nevropsi-cosi è molto debole. La mia isteria è solo interiore, è solo mia; nella mia vita con me stesso ho quell’instabilità di sentimenti e di sensa-zioni, quell’oscillazione di emotività e di volontà che caratterizzano la nevrosi proteiforme.

alla pagina centodiciassette del primo volume dove inizia la Lettera a due psichiatri francesi, il medico pediatra, in un irreprensibile e per lui consono scatto d’ira, letteralmente li scaraventa nel camino, com-piacendosi anche per la sua integerrima fedeltà alle istruzioni impar-tite dal dottor Mentòre, direttore e insieme guida morale dell’ospe-dale psichiatrico in cui M è ricoverato: far fuoco di tutti i libri di M, indubitabilmente all’origine della sua stranissima malattia. Così, nel prosieguo, dalla mano del medico pediatra canettianamente presero fuoco nell’ordine: La commedia della vanità, un grosso Pen-guin dal titolo The Faerie Queene, un À Rebours, il Dizionario filoso-fico di Voltaire, l’Apologia della storia (un vecchissimo Pbe tutto sot-tolineato e postillato), Sexual Personae, molto appuntato soprattutto laddove tratta del Don Juan di lord Byron, Eclisse della ragione, Dia-lettica dell’Illuminismo, Eros e civiltà, di cui Fabrizio lesse di quest’ul-timo solo l’etichetta nel retro (‘MARALDI ROMA - lire ottomila’), L’uomo senza qualità in due volumi, leggiucchiati un po’ dal medico ma, lette

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alcune postille all’interno, subito gettati nel fuoco, quattro Pbe di Ro-land Barthes (La grana della voce, L’ovvio e l’ottuso, Il grado zero della scrittura, I frammenti di un discorso amoroso) completamente passati inosservati, un Tutti i racconti di Lovecraft (il quarto volume in Oscar Mondadori con ricche sottolineature all’interno), i due vo-lumi dell’Ulisse e il Finnegans wake joyciani, immediatamente immo-lati nel fuoco perché il primo era pieno di postille e di vecchi post-it gialli tra le pagine usurate, motivo già di per sé sufficiente per essere distrutto, mentre il secondo - e questa fu l’osservazione che fece Fabri-zio ricordandosi di come il libro inizi in minuscolo e finisca senza punto, cioè un ‘fluidofiume’, come già gli aveva fatto notare M indican-dogli la natura vichiana dello scritto - perché, per lui, facendolo borio-samente notare anche alla moglie di M, il Finnegans era un libro ‘as-surdo’, cioè una insignificante e contorta trascrizione onomatopeica della realtà; un libro, dunque, fatto solo di ‘rumori’, come già gli aveva fatto notare M, e dunque ‘folle’ per Fabrizio, come ad M, d’altronde, appariva, ma solo un po’, l’ultimo Joyce, quello dei Finnegans, ap-punto, superficialmente definito sui generis su Wikipedia, l’utile enci-clopedia telematica a volte soggetta ai giudizi incompleti di alcuni cri-tici improvvisati. Una nota a matita sulla seconda di copertina incuriosisce infine Fabri-zio, che rapidamente legge: ‘LE VEGLIE DI FINNEGAN OVVERO L’UOMO COME STORIA DI TANTE E DIVERSE IDENTITÀ; CFR. ANCHE ANTI-EDIPO, CAP. II’. Ma, letta sempre in seconda di copertina un’altra vecchia nota a matita anch’essa agganciata all’Ulisse: ‘INELUTTABILE MODALITÀ DEL VISIBILE: ALMENO QUESTO SE NON ALTRO, IL PENSIERO ATTRAVERSO I MIEI OCCHI (ULISSE III)’, anche il ‘sui generis’ Finnegans wake va.

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DULCINEA DEL TOBOSO II (L’AZUR ! L’AZUR ! L’AZUR ! L’AZUR !)

Le fiamme del camino, intanto, cominciano a divampare e rapida-mente a prender forma mentre Fabrizio, in attesa che quei primi Ven-tinove sacrificati all’insaziabilità distruttiva del fuoco brucino comple-tamente, con un leggero ghigno tra il sadico e il sarcastico disegnato sulle labbra e una cert’aria da sottile intenditore - corroborata anche dalla sua integerrima decisione di volersi attenere alle istruzioni che il dottor Mentòre ha dato e quindi di ‘aver dovuto’ proprio lui, un me-dico, dar fuoco a quei libri - dopo essersi guardato un po’ intorno con fare circospetto e un po’ ambiguo, riprende a sbirciare tra i libri che ancora lo circondano. Esperto di cultura bellica e storia militare, amante di racconti sulle grandi battaglie del passato e autentico entusiasta e ammiratore del dettagliato Storia della guerra 1870-71 scritto dal geniale feldmare-sciallo prussiano Helmuth von Moltke, sapeva perfettamente che non avrebbe mai trovato tra i libri di M qualcosa che potesse soddisfare a pieno i suoi gusti. Però, appassionato anche di letteratura, aveva una certa sensibilità d’animo e non disdegnava di interessarsi a ciò che M amava leggere né, tantomeno, di cercare di capire perché il suo stimato amico si fosse ridotto in quello stato di prostrazione fisica e che cosa, di preciso, potesse essere all’origine di quella sua stranissima malattia. Tra i libri ancora superstiti, dunque, già pronti e accatastati dai figli di M su cinque pile da trenta e in attesa d’essere sacrificati alle fiamme - alcuni molto ordinari, o all’apparenza di poca rilevanza riguardo la malattia dell’amico - Fabrizio va ora in cerca della prova madre, ossia la causa prima del delirio fantastico e folle in cui M sembra essere sprofondato. Sulla prima pila, l’ex seconda pila ora la più vicina al camino e pros-sima a prender fuoco, tra i libri più in alto e più a portata di mano, guardando attentamente Fabrizio scorge e distingue subito un volu-minoso e graficamente brutto Le grandi opere liriche di Mozart, un’orrenda edizione dell’ottantacinque dei Fratelli Palumbo (con quelle loro melense copertine plastificate color rosso fuoco) che diffi-cilmente avrebbe potuto attrarre anche minimamente un vero amante di libri. In tal guisa, d’altronde, andava ora reputandosi il probo me-dico pediatra. Tra le sue mani, però, Fabrizio s’accorge subito che il libro consta di un’introduzione (molto annotata e sottolineata da M) del sottile e raf-finato Goffredo Petrassi e che molti post-it, sottolineature e rimandi

18 PARTE PRIMA bibliografici si trovano laddove nel libro si tratta del Don Giovanni. Difatti, l’ouverture e i terzetti di basso in re minore - vera prodigiosa ‘invenzione’ vocale mozartiana; così in una nota a matita - riportano ai margini tantissimi cfr. al solito Igitur di Mallarmé, al secondo Faust goethiano e al Nu descendant un escalier di Marcel Duchamp. Sempre qui, tuttavia, e precisamente tra le pagine della scena XVII del cupo e sinistro Finale, in un grande post-it quasi nuovo Fabrizio è quasi costretto a leggere questa sconcertante postilla:

«Don Giovanni, a cenar teco / m’invitasti, e son venuto». Dio, che magnifico annuncio! Che splendida affermazione di sé riesce a declamare l’incomparabile e incantevole Commendatore, con quelle evoluzioni vocali e quegli strabilianti salti d’ottava che annun-ciano e segnano l’ingresso dell’inaspettato, dell’invisibile, del-l’inco-noscibile che se al tremebondo Leporello fan calar le braghe all’empio libertino ora si pongono come interessante ed emozionante dilemma! Ma quel demonico mondo espresso in re minore, dicevo dunque, quel magico re minore che mirabilmente s’oppone al luminoso e chiaro maggiore, non potrebbe essere la tonalità che meglio può ac-compagnare il gran bel sogno del mio Igitur per l’assoluto qual’egli è? D’altronde, anch’io ora miro a sprofondare.. e probabilmente mo-rire.. forse rinascere.

La strana glossa, in effetti - e questo è ciò che appare anche nelle più caute riflessioni di Fabrizio - denota e manifesta quel turpe desiderio di morte cui ora sembra aneli anche M, un desiderio di annienta-mento, per giunta, vissuto come inconcepibile realizzazione di sé. Fa-brizio, infatti, in quel momento, sbottando, sconcertato esclama: «In-credibile. Un uomo di stile.. e di finissima intelligenza che vuol la-sciarsi morire. È impazzito.. M è completamente impazzito», conclude mestamente fra sé il poco intrepido medico pediatra amico fraterno di M. Così, selezionato e vagliato con un po’ d’acredine e secondo i suoi im-maginifici criteri il Mozart, e dunque rendendolo primo della nuova pila da incenerire, due vecchi Saggi Adelphi di James Hillman e un Saggi Boringhieri di Carl Gustav Jung - e precisamente, nell’ordine, Il suicidio e l’anima e Il sogno e il mondo infero del primo e Realtà dell’anima del secondo, afferrati insieme e senza far caso solo perché vicini e prossimi al Mozart già selezionato - sono ora nelle mani del medico pediatra. Leggendo questi titoli, ovviamente, Fabrizio comprende immediata-mente del loro plausibile legame col Mozart già sfogliato e consultato. Ma, ancora impressionato dalla postilla letta sul Don Giovanni, prefe-risce soprassedere, cercando di distendersi mentalmente per meglio acuire lo sguardo verso gli altri libri e poter decidere quali, tra quelli,

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siano da destinare per primi al dàimon violento e distruttivo delle fiamme. Tuttavia, anche se sfoglia il primo con poco interesse e legge vaga-mente la quarta di copertina del secondo, si ferma a contemplare il terzo, che lo incuriosisce per l’importanza che, nel libro, M dà al capi-tolo sette (intitolato ‘Monologo’) dedicato all’Ulysses. In tutto il resto del libro, infatti, non v’è traccia di altre impronte mnemoniche ivi in-cise da M. Aperto il libro, Fabrizio s’accorge subito delle consistenti sottolineature e postille che appaiono sin dalle prime pagine del sag-gio, dove, alla centoventiduesima, dopo aver notato una marcata sot-tolineatura sulle parole ‘pensiero viscerale’ e ‘larga soppressione dell’attività del cervello, limitata soltanto alla percezione’, M vi aveva aggiunto a matita questa strana nota in stampatello: ‘COME UN VERME, DICE JUNG, CHE PERÒ CIÒ CHE VEDE, ODE, ASSAPORA, ODORA E TOCCA È ORA OLTRE OGNI MISURA’. Inoltre, dopo un’ampia postilla a matita, che tralascio (vi appare più volte il termine ‘sensus carnis’), segue una consistente nota in cui M si dilunga sulla schizophrenia, sindrome cui pare non solo la figlia, ma in parte Joyce stesso - secondo le sibilline parole di Jung - avrebbe sofferto. Qui, tuttavia, si comprende facilmente perché M, dopo molte sottolineature e note a margine, e dopo aver assecondato quanto affer-mato da Jung, a fine saggio chiuda irragionevolmente con una frase riferita a Joyce e in relazione alla figlia che appare però come una vera e propria apologia di questa, per lui, ‘singolarissima’ malattia: «Lucia è la mia anima». Memore ancora delle indicazioni del dt. Mentòre, Fabrizio, chiudendo il libro e ponendolo lentamente sulla pila iniziata col Mozart, ha già deciso d’altronde quale sarà la sorte anche degli altri due Saggi Adel-phi, e, in un attimo, anche i due Hillman, insieme allo Jung, seguono il Mozart. Così, sovrapposti i tre Saggi sull’anima al Mozart - «roba comunque da incenerire», fu il suo superficiale commento finale - a seguire, e con sempre maggior noncuranza, il medico pediatra afferra un altro blocco di libri, dei vecchissimi Newton Compton, ossia quattro volumi di que-gli stravaganti Paperbacks freudiani che, molto in voga negli anni Set-tanta tra i giovani più squattrinati, appena acquistati facevano ben ri-dere quando ci si accorgeva che aprendoli venivano subito sfaldandosi in modo ridicolo tra le mani. Non molto usati o letti da M, per la verità, e quasi certamente in uso al figlio maggiore ma pur sempre libri che potevano destare un certo pre-vedibile sospetto nel medico pediatra - con quei titoli così improbabili che mai il profetico ebreo austriaco avrebbe dato ai suoi scritti, come, ad esempio, Personalità, libertà e amore o Sulla Cocaina - senza

20 PARTE PRIMA grandi riflessioni vanno a sovrapporsi ai tre Saggi sull’anima e al Mo-zart e così prossimi anch’essi all’incenerimento. Ma ecco che improvvisamente un bellissimo Guida al Novecento - e dalla familiare copertina grigia Fabrizio riconosce subito, con vivo stu-pore, che si tratta di un Guglielmino (in terza edizione ampliata del settantuno, su cui vi aveva studiato anche lui più di quarant’anni prima) - è tra le mani del medico pediatra: anch’esso è pieno zeppo di minuscole note a margine e vecchi post-it all’interno, con molte pagine ricche di meticolose sottolineature e note di rimando. Aperto così il ‘suo’ Guglielmino, e pensando tra sé che questo libro - che con sua somma gioia lo sta trascinando lentamente verso le sue reminiscenze giovanili di imberbe liceale mamianense - mai e poi mai avrebbe potuto essere tra quelli che potevano aver dato origine alla malattia di M, Fabrizio, con accorta lentezza e genuina curiosità, co-mincia delicatamente a sfogliarlo. Alle pagine trentasette-trentanove della Sintesi, però, dove in sole tre pagine son trattate la vita e le opere di Stéphane Mallarmé, poco sotto la nota bibliografica finale del testo un post-it quasi nuovo, incollato al centro della pagina e con una scritta in maiuscolo accompagnata da un marcato punto esclamativo: ‘DOV’È IGITUR!’, lo allarma e incuriosi-sce. Sul margine in alto, intanto, anche la postilla a matita: ‘JE SUIS HANTÉ. L'AZUR ! L'AZUR ! L'AZUR ! L'AZUR !’ - versi di una nota poesia mallar-méana di cui M cita solo il finale ma assente anch’essa dal Guglielmino - fa porre al medico pediatra alcuni importanti interrogativi, perché sembra che M aveva recentemente dedicato alcuni suoi ultimi quadri proprio a queste due opere di Mallarmé completamente ignorate dal Guglielmino. ‘Igitur, ou la folie d’Elbehnon’ e ‘Je suis hanté. L'Azur! L'Azur! L'Azur! I'Azur!’ erano infatti i titoli che M aveva dato a due dei suoi ultimi dipinti3. Tutto questo, inoltre, conoscendo perfettamente i quadri in questione ancora nello studio di M, induce Fabrizio a prenderne nota sulla sua agenda, su cui accuratamente e diligentemente scrive: ‘Salvatore Gu-glielmino, Guida al Novecento: le opere di Mallarmé riferite ai quadri Igitur e Je suis hanté, sono assenti dal libro’. Così, riavvicinandosi di nuovo ai libri per sbirciarne i titoli - e forse con una tenue speranza di trovare qualche prova più congrua a giustifica-zione della malattia di M - a circa metà della seconda pila Fabrizio rie-sce casualmente a scorgere l’altro ‘mitico’ Guglielmino, ossia l’inegua-gliabile Civiltà letterarie straniere Zanichelli del settantasei, incredi-bilmente mai più riedito o ristampato dall’importante casa editrice.

3 Le due opere sono qui riprodotte a fine capitolo, e datano rispettivamente 27 ottobre e 16 giugno di quest’anno [NDR].

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Utilissimo per preparare il suo esame di maturità classica, e ora in preda alle rievocazioni del suo brillante percorso scolastico, con ac-corta delicatezza e ossequio reverenziale Fabrizio lo sfila lentamente dalla pila e, messosi comodo sulla petite bergère lì vicina, dopo averne sfogliato alcune pagine sull’età romantica, alla numero cento ottanta-due s’accorge di un altro post-it, anch’esso abbastanza recente, con la già letta nota, di nuovo in maiuscolo e con due punti esclamativi, ‘DOV’È IGITUR!!’. Ma qui, alla nota già letta nel primo Guglielmino, seguono ora il com-mento ‘MERDRE’, scritto a matita con tratto veloce, e un appunto, anch’esso in maiuscolo ma più marcato, ‘SOLO DE NARDIS’, con una doppia sottolineatura sotto il nome del francesista italiano. «Ma cos’è Igitur?», si chiede allora, finalmente, anche se ancora con un pizzico d’ingenuità, il probo medico pediatra, che capisce infine che M è a caccia di indicazioni bibliografiche su quell’opera pressoché sco-nosciuta di Stéphane Mallarmé. «E vorrà pur dir qualcosa quell’avverbio che M ripete continuamente in tutte le sue note; e poi.. con quel commento così idiota e volgare.. nel Guglielmino, per giunta». In preda alla voglia di capire, Fabrizio riprende allora a sbirciare con più attenzione tutti i dorsi dei libri così brutalmente e confusamente accatastati davanti a lui e al camino. Intanto, d’impulso, comincia a ripensare ai libri già dati alle fiamme. Prova a ripercorrerne i titoli, cercando di ricordare quelli che, d’istinto, ha gettato nel camino senza pensarci troppo perché in quel momento ritenuti subito come indubi-tabile causa dell’invalidante stato mentale dell’amico. Un po’ stanco ma concentrato su ciò che ora ha intenzione di fare, riav-vicinandosi al tavolo dove ha appoggiato la sua borsa da medico e le sue cose, Fabrizio, sfilandosi con fare riflessivo una piccola montblanc dalla giacca e estraendo un foglio bianco di carta a lui intestata dalla borsa, rimessosi comodo sulla petite bergère lì accanto, tranquilla-mente comincia a scrivere:

James Joyce, Ulisse; James Joyce, Wake..

Immediatamente, però, puntandosi la penna sulle labbra e sui denti, il medico pediatra si ferma e, sforzandosi di ricordare, ad alta voce si fa: «Ma quale altro libro di Joyce ho dato alle fiamme? Eppure, l’ho avuto in mano fino a cinque minuti fa.. e M me ne ha parlato un sacco di volte.. », commenta fra sé, infastidito per la sua debole memoria e alzando un po’ più la voce per farsi forza e concentrarsi meglio. Di scatto, allora, il probo medico pediatra si dirige verso il camino alla ricerca forse di qualche indizio che possa aiutarlo a ricordare. Ma le

22 PARTE PRIMA fiamme, ancora molto alte perché ben alimentate, lo costringono ben presto a indietreggiare. «Merdra! Non si leggono più neanche i titoli! Eppure.. », tentenna an-cora un po’ il medico pediatra, ora con la fronte leggermente imperlata di sudore. «Finnegans!», esclama all’improvviso Fabrizio, teneramente entusia-sta e ora leggermente rincuorato per la sua ancora non troppo flebile memoria. «Sì.. Finnegans!; la veglia di Finnegan! O, meglio: la veglia dei Finne-gan, diceva M», si dice e si ripete felice il medico pediatra. «Ma andiamo per ordine», prende infine a dirsi Fabrizio alzando an-cor più la voce per ascoltarsi meglio e rimettendosi a sedere per ripren-dere a scrivere sul suo promemoria. «Ma quanti ne ho buttati là dentro?», si chiede ancora ad alta voce il medico pediatra. «Una ventina, credo: i due Musil, un Voltaire, un Me-ridiani di Hemingway, Marcuse e Horkheimer, così almeno credo si scriva, un Villari, i due Joyce.. e quattro di quel linguista.. un certo Barth.. forse Bartleby? No, no.. Ronald Barthes, mi sembra». Pensoso e un po’ inquieto, dopo aver scritto e riletto i primi titoli gros-solanamente trascritti, Fabrizio decide così di riavvicinarsi al camino, con la speranza di poter carpire al volo alcuni di quei pochi titoli che ora fa fatica a ricordare. Sul dorso di un grosso mille pagine Einaudi, intanto, Fabrizio riesce a leggerne alcune lettere dell’autore e del titolo. ‘Paglia Sex’, trascrive così sul suo promemoria, cui aggiunge il numero quattrocento cin-quantasette posto sotto il logo della collana Gli Struzzi, unici caratteri rimasti leggibili di quel libro a cui però, pensa Fabrizio prendendone nota, si può risalire. Così, con fare più deciso e animo fermo da esperto medico pediatra, Fabrizio s’avvicina ancor più ai libri da lui barbaramente inceneriti e, affilando lo sguardo, sulla copertina di un Biblioteca Adelphi riesce a leggere integralmente: ‘Una sola moltitudine. Volume primo’, con parte del nome del curatore ridotto alle sole lettere ‘Antonio Tab’. «Un gran visionario», gli aveva detto M anni prima riferendosi al Tabucchi del Requiem ch’egli aveva appena letto. Incoraggiato da tali insperati e piacevoli progressi, e dopo aver letto sulla copertina di un grosso Paperback Einaudi ‘Capitalismo e schiz’ a cui però non sa dare troppa importanza, sbirciando meglio su un Grandi Libri Garzanti serie gialla gli appare improvvisamente, seb-bene mutilata, l’allarmante scritta: ‘de La Mancha’, da cui deduce su-bito, impressionandosi non poco, che si tratta del Chisciotte. «Ma perché ho dato fuoco al Chisciotte?», con ansia si chiede allora Fabrizio che, sconcertato, non sa darsi una spiegazione plausibile dell’orribile scempio da lui appena compiuto.

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«Mentòre?», si chiede mestamente per darsi una giustificazione ma senza riuscire a darsi pace. «Si, è vero.. era tutto sottolineato.. ma il Chisciotte.. il don Chisciotte! Il Cavaliere dalla Triste Figura! Non credo possa esser stato causa dell’impazzimento di M, che poi, in fondo, un po’ scriteriato lo è sem-pre stato». Assorto in questi tristi e ragguardevoli pensieri, all’improvviso, e con fare rabbioso, Fabrizio ad alta voce si fa: «Il portoghese.. quel cazzo di portoghese.. con quella farneticante lettera ai due psichiatri». Frattanto il fuoco, fedele al compito distruttivo assegnatogli dal me-dico, ha finalmente cominciato a scemare. Alcune fiammelle, ancora accese qua e là, permettono tuttavia di avvicinarsi più da presso al ca-mino. Alcuni libri, infatti, benché tutti smembrati e inceneriti, lasciano ancora intravedere qualche piccola traccia che consente però di risa-lire almeno al titolo dell’opera integrale di cui facevano parte. Ma ecco che inaspettatamente una breve fiammata striata d’azzurro scuote l’attenzione del medico pediatra. Fuoriesce da un libro enorme, ormai tutto bruciacchiato e mezzo incenerito. Però, poco sotto il ri-tratto (reso baconiano dalle fiamme) della regina Elisabetta, Fabrizio riesce a leggere perfettamente sulla copertina: The Faerie Queene. Pensa, infine, e non si sa bene in base a quale sua immaginifica ‘illu-minazione’, che forse un fiore ancora all’interno di quel libro può esser stato causa e origine di quella bellissima fiammella4.

4 Pare che i petali di rosa rossi se messi sul fuoco producano fiammelle azzurrine, mentre i petali bianchi fiammelle più tendenti al verde [NDR].

24 PARTE PRIMA

Igitur, ou la folie d’Elbehnon (SM, 1869) [50 x 70 cm; Roma, 27 ottobre 2017]

Je suis hanté. L'Azur ! L'Azur ! L'Azur ! I'Azur ! Reflets sur la mer d'après-midi (SM, 1864) [80 x 100 cm; Roma, 16 giugno 2017]

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DULCINEA DEL TOBOSO III (UNA SOLA MOLTITUDINE)

Ora, l'essere tuo deve tendere al suo scopo, mirare a sprofondarsi.

Discendi battendo i piedi, e poi battendo i piedi rimonta.

(J.W. GOETHE, Faust II) «Ci sarà certo un significato, se lì dentro c’ha messo un fiore». Così, con mesto candore, ragionò il medico pediatra che, provetto Ma-billon ancora memore dei suoi studi di eziologia e patogenesi alla Sa-pienza - nonché convinto estimatore de Lo studio dei sintomi storici di Rudolf Steiner (il fondatore, tra l’altro, dell’ars medica antroposo-fica cui lui in parte credeva) - in preda ad una sua immaginifica com-petenza critico-letteraria, scrisse dettagliatamente sul suo promemo-ria: ‘Edmund Spenser, The Faerie Queene, Penguin Editions 1978’, forse con l’intenzione, se necessario, di ricomprarlo. In quel preciso istante però Fabrizio intuisce che per capire, e dunque voler ricercare le cause dello strano morbo che poteva aver colpito il suo amico bisognava seguire un percorso di tipo ‘letterario’, se così posso dire, cioè risalire a quello che probabilmente M aveva letto ulti-mamente e, dunque, capire meglio quanto recentemente aveva scritto, o fatto nota, a margine di quei libri che l’amico medico ora andava leg-gendo e esaminando. Ovvio che, finora, il medico pediatra non aveva letto quasi nulla di quanto scritto da M se non le note e le postille scritte a margine di quei libri che egli stesso fino a quel momento aveva consultato - e attenta-mente esaminato - prima di darli alle fiamme. Ma all’improv-viso, an-che se piuttosto turbato ma come si fosse di nuovo ‘illuminato’, Fabri-zio ad alta voce ancora una volta si fa: «Il portoghese.. quel cazzo di portoghese.. con quella stupida lettera da psicopatico!». Un po’ agitato, il nostro Mabillon torna così ad avvicinarsi al camino ormai spento - anche se ancora leggermente fumante - e, con suo grande stupore e meraviglia, smossa un po’ di cenere in superficie rie-sce a estrarre, quasi per intero, uno dei due libri di quel ‘cazzo di por-toghese’. ‘Una sola moltitudine I’ - così era scritto sul dorso del volume, all’ap-parenza in gran parte risparmiato alle fiamme e, fortunatamente, forse ancora leggibile - è ora nelle mani del medico pediatra. È ancora ben caldo, ma il rischio di lesionarlo ulteriormente convince Fabrizio ad aspettare ad aprirlo. Appoggiato così il Pessoa primo sul fregio del davanzale in marmo e guardando di nuovo all’interno del

26 PARTE PRIMA camino per trovare qualcos’altro da annotare, con fare frettoloso giunge inaspettatamente la moglie di M che, chiedendogli come pro-cede l’abbrugio, gli ha portato il caffè. «Ma tu sai dove tiene i suoi scritti? Ci sono sue carte da qualche parte?», chiede d’istinto Fabrizio alla signora sua amica. «Ce ne son molte in quel baule, ma questo è quello che M teneva ulti-mamente nella sua borsa», fa allora la donna avvicinandosi a una vec-chia borsa in tela verde e estraendone una cartellina bianca con su scritto soltanto, in alto a destra e a matita, ‘DULCINEA-DDT’. «Te lo appoggio qui sul tavolo. Dentro c’è anche un ‘fantasmino’ con alcune stampe di M e il referto medico che il dottor Mentòre ha scritto dopo averle lette. Vedi se possono servirti, altrimenti.. dagli fuoco», conclude cinicamente la donna, forse rassegnata all’idea che il marito, andato fuori di senno, sia ormai inguaribile e forse definitivamente ir-recuperabile. «E c’è anche la lista dei libri che M ha rubato - aggiunge; è allegata al verbale dei Carabinieri. Io non son riuscita ancora a ricon-segnarli. Guarda, son tutti lì dentro.. dentro quell’armadio. Chiamami se ti serve qualcosa. E serviti del cognac, se ti và». Allungatosi il caffè con della pregevole grappa seminascosta e custo-dita nella credenzina un po’ demodé lì vicina al camino, sedendosi di nuovo sulla confortevole petite bergère e riprendendo in mano il Pes-soa primo ormai freddo, Fabrizio s’accorge subito che il libro è prati-camente illeggibile: le pagine si sfaldano e si sbriciolano con sfrigolii quasi gementi sotto i suoi polpastrelli. Ma, come d’incanto, all’improvviso dal corpo del libro rapido scivola via un foglio a-quattro ripiegato, ancora non del tutto incenerito e non si sa come salvatosi miracolosamente alle fiamme. In procinto forse di volarsene via o più banalmente cadere a terra, Fabrizio, d’impeto, rie-sce comunque a trattenerlo e, liberandosi nuovamente dell’ormai in-servibile Pessoa, con cautela e un’anomala e incontenibile voglia di leggerlo, si accinge con delicatezza ad aprirlo. Ovviamente sono note di M - scritte al computer in garamond dieci - che sembra riguardino una certa Opheline, probabilmente la donna di cui era innamorato Pessoa, il ‘Gran Portoghese’, come si deduce e si legge più volte nel testo. Prova a leggerne quelle poche righe rimaste leggibili che però, in parte, soprattutto nella parte iniziale, sembrano anche indirizzate ad una donna.. forse conosciuta da M. Ed ecco quanto in quel momento il medico pediatra legge:

Incredibile. Anche il geniale Fernando Pessoa sembra (come me) un demente quando scrive e parla d’amore alla sua donna! Di un ridicolo (poveri, miseri amanti) che fa impressione: infatti, leggendo quel che scrive, a volte non si sa se ridere o piangere. L’amore dunque rende ridicoli; me ne sono accorto ormai, e soprattutto quando non è corri-sposto.

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C’è una certa Ophelina (stesso nome della donna amata da Pessoa) che in un blog scrive come Gea e racconta delle stesse cose che recen-temente hai fatto tu, amore mio: credere di cambiare tingendosi i ca-pelli.. ridere, scherzare e andare al mare.. dormire, morire o fare altri sogni. Questo, d’altronde, è quanto tu mi hai voluto scrivere spac-ciandoti per Gea. Sembro un matto per quel che scrivo, vero amore mio? Forse sono matto. Da quando sei apparsa nella mia vita.. io sono diventato matto; completamente matto.

DAL BLOG DI OPHELINA: Siamo i libri che leggiamo, la musica che ascoltiamo e che parla alla nostra anima, le storie che scriviamo e quelle che penosamente vi-viamo. Siamo i nostri sogni, quelli notturni e quelli diurni, con la testa tra le nuvole, popolati da personaggi immaginari e persone del nostro pas-sato, pieni di speranza e tensione verso quello che potrebbe essere quel che desideriamo profondamente e selvaggiamente con tutti noi stessi. D’altronde, si dice spesso che The moment of change is the only poem, il momento del cambiamento è l'unica poesia. Mi rendo conto, infatti, che tutti intorno a me cambiano: c’è chi arriva e c’è chi parte; c’è chi se ne va per non tornare più; c’è chi scrive un romanzo e c’è chi accoglie una nuova vita; c’è chi si mette in gioco o che invece si ritira a riflettere per qualche tempo per dare un nuovo corso alla pro-pria vita. La gente evolve, cresce, migliora, peggiora ma rivoluziona la sua vita: si trasferisce in una nuova città, in un nuovo paese, in un nuovo con-tinente; taglia i capelli e ne cambia il colore come se niente fosse; s’in-namora e smette di amare; cambia casa o cambia partner, fa e disfa, cade e si rialza. Ma io sto ferma, io credo solo nell’amore, forza mas-sima capace di smuovere e di rivoluzionare il mondo. D’altronde, Is there no way out of the mind, non c’è via d’uscita dalla mente. E allora, continuando a vivere, far finta che vada tutto bene.. sorri-dere sempre, truccarsi per nascondere il pallore, sforzarsi di essere brillanti e divertenti, perché a nessuno piacciono le persone crepu-scolari.

Per ora rimando il suicidio e faccio un gruppo di studio: le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani.. Far finta di essere sani..

Far finta di essere normali pur sentendosi profondamente diversi. E lasciarsi guidare, a lungo, nella notte, guardando fuori, come se la vita fosse un affare che in fondo non ci riguardasse. Come se si po-tesse solo andare, andare, andare.. e continuare a sognare.. e rifu-giarsi nelle parole, nei versi, nella poesia, nelle storie..

28 PARTE PRIMA

Ed esercitarsi a indurire la propria sensibilità e la propria infelice emotività. Nessuno, d’altronde, insegna che l’amore non è un’equazione, non conosce logica, non è un sillogismo perfetto: spesso è sbagliato, spesso fa male, spesso è impossibile, spesso è irraggiungibile. È una sorta di malattia, del corpo e dell’anima; una febbre che lacera e con-suma. Ma nella mia visione masochistica, romantico-bovaristica e contor-sionistica, non solo l'amore è l'unica mia fonte di vita e di ispirazione, ma l’amore infelice lo è ancora di più, perché un amore infelice - per-ché non corrisposto, perché contrastato, perché reso difficile dalle di-stanze, dai tempi, dalle tempistiche, dalle aspettative diverse, dall’in-comprensione - fa rifugiare nella scrittura. E le parole fanno innamorare.. le parole fanno ammalare.. e le parole fanno guarire: non mi stancherò mai di sostenerlo. Le parole sono causa e rimedio dello stesso male. (8 dicembre 2016). Quel che scrive questa donna, anche farneticando un po’, è quello che da anni provo anch’io. Però lei riesce almeno a dare un significato tangibile a questa straziante sofferenza; il mio scrivere, al confronto, è solo semplice balbettio.

Seduto in poltrona davanti al fuoco, ma con in mano ancora il foglio con le dolenti note di Opheline, Fabrizio ora fantastica e si sta convin-cendo di poter davvero ripercorrere l’itinerario mentale e letterario fatto da M. Intanto, dalla cartellina bianca è scivolato fuori, quasi da sé, l’enigma-tico ‘fantasmino’5 pieno di stampe riconsegnato dal dt. Mentòre. Fa-brizio ne estrae alcune (le prime due) e ne legge quasi distrattamente i titoli: Marcel Duchamp. Il Grande Vetro ovvero Viaggio nel paese della quarta dimensione e Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di Marcel Duchamp. Sfila altre tre stampe, due titolate For Gea (part one) e For Gea (part two), accompagnate dalla scritta a matita in alto a destra ‘SPENSER’, e una dall’improbabile e immaginifico titolo Athanasius Kircher ovvero il Magnes sive De Arte Magnetica. Improvvisamente, un rumore sordo alle sue spalle, spaventandolo un po’, lo costringe a voltarsi. In un bizzarro e strampalato mucchio di libri, o meglio un ammasso librario formatosi a seguito della caduta, l’una sull’altra, di quelle che erano la terza e quarta pila proprio dietro di lui, ecco che Fabrizio intravede subito, sorpreso e quasi incantato, la copertina arancione di un libro ‘esuberante’, se così posso dire, con,

5 Così la moglie di M aveva definito una busta portadocumenti trasparente piena di fogli e fascicoli spillati in formato a-quattro e stampati fronte-retro [NDR].

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all’interno, un gran numero di recenti post-it rettangolari accurata-mente scritti in chiaro stampatello. Così, lasciate le stampe del fantasmino sul tavolo, un vecchio Saggi Ei-naudi, un libro all’apparenza innocuo intitolato Goethe, Beethoven e il demonico del settantasei, è ora tra le mani del medico pediatra che, forse attratto anche dal titolo, comincia con cura e premura a sfo-gliarlo. Fabrizio, d’altronde, sa bene dell’amore che M ha sempre avuto per la musica e, quindi, pone molta attenzione a ché nessun post-it e nessun foglio d’appunti all’interno possa sfilarsi e per malaccorta non-curanza perdersi. Ma di tutto il libro, di un certo Magnani e dedicato a Beethoven e ai suoi rapporti con Goethe, Fabrizio s’accorge subito che soltanto il terzo e ultimo capitolo - una ventina di pagine in tutto - intitolato Goethe e Mozart, sembra essergli stato di grande interesse vista la gran mole di sottolineature, rimandi bibliografici6, cavillose postille e i numerosi post-it che lo corredano. Un nome femminile, all’inizio del capitolo, appare sottolineato due volte: è il nome della sorella di Wolfgang, citata qui quale fida accom-pagnatrice clavicembalista e violoncellista del geniale fratello durante la loro seconda trionfale tournée nelle corti di Germania e d’Europa e, il 19 agosto 1763, alla loro ultima esibizione a Francoforte, alla corte dell’illuminato Federico il Grande. Il fatto è che al concerto vi assisté anche il quattordicenne Goethe (l’altro giovane amabile Wolfgang), che già allora - come molti altri, d’altronde - s’avvide subito, e ne ri-mase sbalordito, del prodigioso e miracoloso vitalismo che quello ‘stranissimo’ bambino manifestava. Qualche pagina dopo, però, altre sottolineature, leggermente più mar-cate e probabilmente legate fra loro, destano subito una particolare at-tenzione indagatrice in Fabrizio. Ad esempio, frasi come:

per l’intima vitalità e freschezza della sua musica

oppure quella:

nel Don Giovanni, infatti, Goethe aveva avvertito la presenza di un elemento misterioso la cui natura trascendeva il puro fatto artistico e teatrale

e quella, alcune pagine più avanti, che recita:

6 Di cui molti al Giovanni Macchia, Vita, avventure e morte di don Giovanni e tanti altri al Massimo Mila, Il don Giovanni di Mozart, soprattutto riguardo il significato delle tonalità in Mozart (del re minore, soprattutto) che nel Mozart dell’Abert, come si legge in una nota, s’era ‘candidamente’ tentato di ridurne l’importanza [NDR].

30 PARTE PRIMA

in cui il particolare come l’insieme apparivano compenetrati da un potente soffio di una vita estranea allo stesso sentire e volere di Mo-zart, dominato dallo spirito demonico del suo Genio

sembrano legate tra loro da una sottile convergenza, o meglio da un ‘SIGN OF CONCORDANCE - CFR. DUCHAMP’, com’era scritto in maiuscolo in una evidentissima nota a penna nera sul margine superiore alla pa-gina novantanove; frasi su cui il medico, però, notandone la ‘distonica consonanza’, non tarderà a esprimere presto il suo ingeneroso e super-ficiale giudizio. Con tatto, tuttavia, e con un’intonazione tra il professorale e il poetico e sgranando leggermente gli occhi dandosi un’aria interrogativa, Fa-brizio si rivolge di nuovo a se stesso dicendosi buffamente e con tono leggermente amletico (più alla Polonio, per la verità): «Tutto ciò che s’inoltra verso la follia lo attrae. Sembra sedotto dall’inconosci-bile; da ciò che non si può misurare.. ». «Ma senti qui.. », si dice ancora il medico cominciando a leggere tra sé una lunga glossa riportata su un post-it rettangolare e riferita al Viag-gio alle Madri del Faust che nel testo del Magnani è citato in una nota a piè pagina solo come fonte. In testa al post-it, infatti, appare a penna e in maiuscolo la scritta: ‘CFR. UNA GALLERIA OSCURA’, accompagnata da un’altra, tra parentesi, ma leggermente più grande: ‘CFR. IGITUR, DISCESA AGL’INFERI’. Subito sotto, però, ecco riportata un’altra enigmatica frase:

Non importa! Io ho ferma speranza di trovar nel tuo nulla il tutto che Fabrizio ora quasi scherzosamente declama, seguita da quella:

Il mondo, è vero, fa pagar cara all'uomo la virtù del sentire; ma gli è quando si è commossi che si arriva a comprendere l'infinito

frasi accompagnate tutte dalla sigla ‘CFR. FAUST VV.’ seguita dal numero dei versi goethiani corrispondenti. «E senti quest’altra!», prosegue stupito il medico pediatra leggendo ancora il post-it e declamando ora ad alta voce:

Discendi dunque.. o sali giacché il dirti l'una cosa o l'altra torna lo stesso7. Sfuggi al reale, slanciati nei vuoti spazii dell'ideale,

7 Tra parentesi, accanto alla nota: ‘NU DESCENDANT UN ESCALIER (OU LA FOLIE D’ELBEH-NON) / MARCEL (INVISIBLE) RE-MONTE UN ESCALIER, appare l’incomprensibile commento: ‘SCENDERE O SALIRE: TANTO PER ME FA LO STESSO’ [NDR].

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per godere lo spettacolo di ciò che non esiste più da lungo tempo Seguitando a leggere, subito dopo la scritta in maiuscolo ‘ALLE MADRI’, Fabrizio riprende stupidamente a declamare:

Esse ti circonderanno, ma non ti vedranno, poiché non veggono che le idee.. Ora, l'essere tuo deve tendere al suo scopo, mirare a sprofondarsi. Discendi battendo i piedi, e poi battendo i piedi rimonta.

In chiusura di questi ultimi due stranissimi versi si legge infine la po-stilla a penna nera e in maiuscolo: ‘IGITUR, OVVERO IL NU DESCENDANT UN ESCALIER, E MARCEL (INVISIBLE) RE-MONTE UN ESCALIER HANNO LO STESSO SIGNIFICATO’, nota del tutto incomprensibile al medico pedia-tra8 che conclude dicendosi, ancora una volta sgranando buffonesca-mente gli occhi: «È pura follia; M è sprofondato nella follia più totale». Continuando a leggere per suo conto, Fabrizio, tra sé e sé, prova ora a recitarsi una marcata sottolineatura nel testo del Magnani:

La bellezza gli appare dapprima nella sua emanazione sensibile, in Gretchen, ma dinanzi alla visione di Elena egli avrà la rivelazione della fonte stessa del Bello nella sua purezza; risalirà all’Idea. Un mondo nuovo e più vasto si schiude al suo animo.

e sopra il nome di Elena è riportata di nuovo la sequenza di lettere maiuscole ‘DDT’, scritta a matita leggera e tra parentesi. Incuriosito però dalle tante citazioni del Faust su quel libro di musica Fabrizio, provetto Mabillon, si accinge ora a verificare, nel testo origi-nale che sta estraendo dalla sua borsa, quanto letto nel saggio einau-diano.

Ecco cosa vuol dir prendersi pensiero d'un pazzo! Vi trovereste in guai, quand'anche foste il diavolo!

La sottolineata chiusa mefistofelica del primo atto del secondo Faust vien letta, senza volerlo, dal medico pediatra amico di M che, in quel momento, aprendo a caso una pagina e vedendo quei due versi vigo-rosamente sottolineati, senza pensarci ad alta voce li legge. In realtà Fabrizio voleva solo verificare se nell’unico libro che finora gli era riuscito di salvare alle fiamme ci fosse stata un’effettiva corri-spondenza tra i versi riportati da M sul Magnani sotto la sigla ‘CFR. FAUST VV.’ e i versi del testo originale goethiano, ora comodamente tra le sue mani. 8 Marcel (invisible) re-monte un escalier è il titolo dell’ultimo quadro non-finito di M [opera qui riprodotta a fine capitolo; NDR].

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Marcel (invisible) re-monte un escalier (M) [100 x 120 cm; Roma, iniziato il 2 novembre 2016 - non finito]

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DULCINEA DEL TOBOSO IV (FAUST II : DEN MÜTTERN !)

DOPO I PRIMI VENTINOVE.. DISCESA AGL’INFERI

C’era perfetta corrispondenza; come d’altronde il medico pediatra aveva già sensatamente previsto. Ma il libro che però lo sbalordì in maggior grado fu senza dubbio quello dal titolo Stéphane Mallarmé. Tutte le poesie e prose scelte, un vecchio testo del sessantasei egregiamente curato e tradotto dal fran-cesista Luigi de Nardis per quei tipi Guanda che all’epoca lasciavano ampi spazi ai margini delle pagine, e quindi un libro ideale per le pos-sibili riflessioni e annotazioni di un eventuale lettore particolarmente interessato a quel testo. Raccolto anch’esso, come il Magnani, tra quei libri che s’erano venuti confusamente accatastando in seguito all’inspiegabile e rovinosa ca-duta della quarta e quinta pila - e probabilmente con quello unito o collegato dagli interessi che M in quel periodo andava maturando - Fabrizio s’accorge subito che, come l’altro, anche questo libro è pieno zeppo di appunti, ricche note e recenti post-it incollati al suo interno, ma con un foglio a-quattro, accuratamente ripiegato e inserito nel ri-svolto della terza di copertina, con l’allarmante e inquietante avver-tenza, scritta in grande, a matita e in maiuscolo: ‘ATTENZIONE: VELENO’. Rimessosi in poltrona, e osservando ora l’originale brossura rigida in tela turchina molto lisa e tutta sfilacciata ai bordi, sfogliando il libro Fabrizio constata, ancora una volta, che la maggior parte delle glosse scritte a margine e le postille dei post-it all’interno sono concentrate soprattutto sull’incomprensibile Igitur, ou la folie d’Elbehnon, un’o-pera incompiuta di Stéphane Mallarmé già incontrata a profusione nelle note trascritte sul Magnani e su tutti gli altri libri consultati e da lui dati grossolanamente alle fiamme. Sembra tuttavia che M, ispiran-dosi a quest’eccentrico testo pseudo-teatrale, ne abbia realizzato anche un quadro [ancora nel suo studio e citato nel capitolo precedente; NdR] dedicandolo, sembra, a Marcel Duchamp, il più visceralmente amato e studiato e il suo ideale d’artista tra quelli da lui conosciuti. Ma ecco che, schiudendo quello strano foglio a-quattro ripiegato - con quell’inquietante avvertenza e stampato fronte-retro e anch’esso in ga-ramond dieci - Fabrizio scorge e comincia a leggere questa lunga e in-credibile postilla che ora son costretto a trascrivere integralmente tanto è il grado di introiezione e il livello di inusitata eccentricità che ne emerge.

34 PARTE PRIMA La postilla, che riportava in alto sul margine destro le tre note a sca-letta scritte a mano:

IGITUR, OU LA FOLIE D’ELBEHNON (MIA TRADUZIONE, CFR. DE NARDIS); AMPLESSO E RICONCILIAZIONE CON LA MADRE; RICERCA DI LILITH..

suonava dunque così:

DISCENDENDO SEMPRE PIÙ IN FONDO LE SCALE VERSO GL’INFERI

Étant donnés : 1° Igitur, ou la folie d’Elbehnon ; 2° Den Müttern ! Trovare la relazione geometrica tra i miei ultimi quadri9 e il Nu de-scendant un escalier, ultimo quadro di Marcel Duchamp. Musique en ré mineur : Mother, by Balanescu Quartet (solo per l’ul-tima scena, quando la lettura dovrà avanzare sincronizzandosi su ses-santa bpm di metronomo).

Avvicinatevi ancora, ondeggianti figure apparse in gioventù al mio sguardo offuscato.

Riuscirò questa volta a non farvi svanire? Ho ancora il mio cuore incline a quegli errori?

Voi m'incalzate ! E sia.. vi lascerò salire accanto a me dal velo di nebbia e di vapori.

(J.W. GOETHE, Faust, vv. 1-6).

Ce Conte s’adresse à l’Intelligence du lecteur qui met les choses en scène, elle-même.

Marcel-Igitur, sprofondando ora in sé e toccando il margine estremo di se stesso e della sua interiorità, appare, come d’incanto, ad alcune per lui ancora confuse e indefinibili figure che però, riconoscendolo, venendogli incontro e gradualmente prendendo forma tra le vaporo-sità di una fievole bruma, sembra vogliano prontamente manifestarsi e farsi riconoscere. Intravede e riconosce dapprima la madre che, in preda a forte eccita-zione emotiva e con le lacrime agli occhi, ha rapidamente preso forma e consistenza. Avvicinandosi a lui, vorrebbe subito parlargli. Non an-cora in grado di proferir parola, riesce tuttavia ad accarezzargli il braccio e a sfiorargli delicatamente il viso. Come impaurita, però, le-sta si allontana da lui, nascondendo gli occhi e il viso tra i suoi mor-bidi e fluenti capelli.

9 Igitur, ou la folie d’Elbehnon e Den Müttern ! sono i titoli di due degli ultimi quadri realizzati da M e datati rispettivamente 27 ottobre e 2 novembre 2017 [Autorizzato dalla moglie, ne riproduco copia a fine capitolo; NDR].

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Ma ecco che lì da presso M improvvisamente riesce a distinguere an-che la Lilith [quella del Faust] che, a breve distanza e prendendo sem-pre più chiaramente forma, con risoluta vivacità gli sorride e, come a suggerirgli la possibilità di un’intesa profonda con lui, sgrana i suoi irresistibili occhi guardandolo intensamente. S’accorge, infine, intuisce e riconosce una superba e compiaciuta ma-dame Morte che, interposta ora a pari distanza tra le due donne che l’hanno preceduta e prendendo molto lentamente forma, lo saluta con un cenno assai breve, ma dall’espressione molto eloquente. La madre, intanto, che sin da subito ha preso forma e consistenza, esprime e denota ora l’incantevole aspetto di una seducente donna di sessant’anni che, tra le evanescenze di una lieve bruma lunare e avan-zando lentamente verso di lui, gli appare man mano sempre più bella, con forme fisiche sempre più sublimi e di una carnalità travolgente. Capelli corvini lunghi e lisci, la donna ha inoltre dei luminosissimi occhi verdi che, nel contempo, la rendono ai suoi occhi eroticamente superlativa. La più giovane Lilith, invece, ha capelli ad ampie volute di un biondo grigio-chiaro, occhi azzurrissimi e intensi e labbra leggermente pro-nunciate ma di una sensualità che subito lo agita e inquieta. Ha co-munque un corpo agile e snello, anche se il suo seno erompe alla vista per enorme e straordinaria bellezza. Madame Morte, che finalmente, sebbene a fatica, è riuscita a prender forma, appare ora con dei lunghissimi capelli bianchi che, oltre ad avvolgerle i seni, arrivano a ricoprirle finanche il sesso. Anch’essa a braccia scoperte, mostra comunque una carnagione nivea e più che gradevole. Fa spesso sfoggio della sua mobilissima lingua e, giocando con la saliva tra le labbra facendone delicate bollicine, esprime una sensualità cruda e dirompente. Anche madame Morte, come la madre e Lilith, mostra ora un florido e allettante seno e, nonostante abbia il viso leggermente segnato dal Tempo, appare anch’essa d’un’incontenibile bellezza. Il suo sorriso, però, è beffardo e sprezzante, reso ancor più sinistro dallo sguardo quasi assente che traspare dai suoi occhi, di un celestino chiaro con al centro, nella più scura pupilla, un puntino rosso. La prima donna in grado di rivolgergli la parola è però la più giovane Lilith, la cui voce cristallina e lieve è spesso contrastata e offuscata dal brusio di quella mormorante e sempre più incalzante di Morte. Le parole di Lilith, infatti, sono ormai incomprensibili, tanto forte è ora il meccanico clangore che, con voce a bassissime frequenze, stri-dente e più che baritonale, madame Morte emette. Dalla sua flebile voce M riesce comunque a percepire le parole: « _----, - --- --------- ---, ------ ---- ------ ---- -- -------. - ------ ---- -- -- ----------, -- -- ----------- -, -- ----- - ------, -- ---- --------- - ------- ---- --- --------- -- ------ ------ -------, ----------, CLEARING» [Omissis.. NDR]. L’accresciuta bellezza di Lilith è però tale che le parole da lei pronun-ciate impressionano M a tal punto che ora sembra voglia avvicinarsi a lei come per volerla sfiorare e accarezzare. Ma, contrariata e visibil-mente infastidita, Lilith (DDT) si allontana immediatamente da lui,

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dissolvendosi e scomparendo tosto alla sua vista. Spaventato e scon-volto, M all’istante sviene. Risvegliandosi e riprendendosi a stento, ora M sembra che pianga. Sì, in effetti, M ora piange. Ma, come attratta o richiamata da quel sordo lamento, ecco la madre riprendere rapidamente forma e, sebbene ora d’aspetto più impo-nente e con forme fisiche ancor più morbide e calde, con passi lievi, riavvicinandosi a lui sorridendogli, lo invita e accoglie subito a sé of-frendogli con generosità il seno. Accarezzandogli dolcemente i capelli e il viso e baciandolo delicata-mente sulle labbra, la donna, riuscendo ora a parlare, quasi sibilando a bassa voce gli dice: «_-- --------.. --- --------.. --- -------- ---, ----- ---» [Omissis.. NDR], piangendo a sua volta. «_---------- --- ------ - -------- ----- --- RADURA, --- ----- -----»[Omissis.. NDR], aggiunge conti-nuando dolcemente ad accarezzarlo mentre M, baciandola dapprima smodatamente in bocca e ora preda di più cruda passione comincia a baciarle e a succhiarle con voluttà il seno. L’eventualità di una qualche forma di tenerezza che questa scena po-trebbe suscitare viene però improvvisamente e violentemente resa vana e annullata da un fragoroso e feroce sghignazzo di Morte; e an-che la madre di M immediatamente svanisce. Seminuda e col seno che a tratti traspare dai suoi capelli e dalle sue candide vesti, lentamente madame Morte avanza ora verso di lui e, col chiaro intento di ghermirlo e attrarlo a sé, con voce suadente sus-surrando gli dice: «_- ------ --- ---.. - ------ --- ------ - --------.. _- ------ --- -- ----- --------- -’-----.. - --- ------------- ----- -- ------ --- -- ------- - --. _’--------, -- --- --’-- ---- ----- ----- ---- --- ------, ---- ? _----, ------.. _----.. ----- ------ -- --.. - -- -------- ------ -- ---- ----- -’------- --- --- ------ ------- - --------, ------ CLAIRIÈRE -- --- ------- -- ---- ------ -------- -- -- --- ----- --- ---- --- -----, ----- -- --- ---- --- ------- -’------» [Omissis.. NDR]. Ma mentre gli dice queste cose, madame Morte lascia che la sue vesti si sciolgano e lentamente scivolino via, producendo un fruscio di stu-pefacente leggerezza e d’indicibile piacere sonoro. Terribilmente nuda e di una sensualità travolgente che lascia attonito M, madame Morte si adagia e si distende ora con sinuosità sulle sue vesti e, afferrandolo dapprima dolcemente per le mani e accompa-gnandolo con le braccia e le gambe a sé, lo incalza e invita a unirsi a lei. La sua lingua, intanto..

Omissis..

Non credo di far bene a trascrivere il resto di queste note, e dunque mi riservo di non riportare quanto letto ulteriormente dal medico pedia-tra, perché la natura obiettivamente folle di quanto scritto da M va ben oltre i limiti della decenza, cioè è frutto indubitabilmente di una mente malata, come d’altronde provano le condizioni in cui egli attualmente versa. Infatti, in questo scritto si parla di amplessi, spesso anche crudi,

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non solo con la madre ma nientemeno che con la morte, la ‘sua’ morte, com’è specificato nel testo. Posso soltanto dire che, alla fine del rac-conto, M chiude irragionevolmente con la frase:

«Riconciliatosi in tal modo con la madre (ne aveva sofferto profon-damente l’assenza), che però ora gli dà forza, benessere e determina-zione, M va in cerca di Lilith.. ».

Igitur, ou la folie d’Elbehnon (SM, 1869) [50 x 70 cm; Roma, 27 ottobre 2017]

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Den Müttern ! (Faust II, v. 6265) (70 x 100 cm; Roma, 2 novembre 2017)

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DULCINEA DEL TOBOSO V (MAGNES SIVE DE ARTE MAGNETICA)

Lo stesso tremito Bouvard lo sentì nel palmo della mano della signora Bordin

(G. FLAUBERT, Bouvard et Pécuchet) Anche se ora ho maturato ben più d’una riserva nei confronti di M e sulla sua stranissima malattia, mi preme comunque raccontare qui - dopo aver registrato e trascritto con molte perplessità quanto letto dal medico pediatra - ciò che avvenne subito dopo perché spiega molto bene gli incredibili sviluppi di questa vicenda, che del resto si con-clude, manco a dirlo, con la scomparsa di M. Ovviamente, riguardo quel che mancherà in questa mia trascrizione, confermo che ‘vi man-cherà ciò che deve mancare e che son io a volere che manchi’ [però, che bel giro cervantino!]. Chi vorrà, poi, ammesso che la moglie accon-senti esponendo così il marito al ridicolo, se non al ludibrio, pubbli-cherà quel che io oggi mi rifiuto categoricamente anche solo di trascri-vere [NDR]. A fine lettura dell’oscena postilla, una furia libricida - e anche icono-clastica per quel che quei libri potevano significare per M, cioè quanto di più bello dell’immagine che dei suoi libri M s’era fatto - non ebbe più freno. Così, con metodiche annotazioni sul suo promemoria, ai primi Ventinove ‘d’uso quotidiano’ Fabrizio fece seguire nel camino quasi spento una nuova serie di libri. Il Magnani, ovviamente, che nel foglio di Fabrizio veniva diligente-mente riportato e trascritto sotto la voce ‘Goethe e Mozart’, accompa-gnata però dalla qui poco congrua nota tra parentesi ‘(discesa agli in-feri)’, fu il primo di questa seconda serie a prender fuoco - e con esso tutti i post-it e i fogli a-quattro ripiegati al suo interno, insieme, forse, a qualche petalo di rosa; cosa però piuttosto improbabile, considerato l’uso che di tale libro M ne aveva fatto: e questo fu ciò che venne in mente in quel momento all’intraprendente Mabillon medico pediatra, anche se le fiamme erano stranamente divampate sprigionando scin-tille in una ampia gradazione di sfumature azzurrine. L’ormai illeggibile Pessoa primo, compresi i numerosi post-it al suo interno - come quello letto con piacere da Fabrizio su Opheline, di cui riporta il nome nel suo promemoria affiancandolo a quello di Pessoa - seguì immediatamente il Magnani: quella lettera ai due psichiatri, d’altronde, s’era già dimostrata sufficiente per determinarne la sorte.

40 PARTE PRIMA Fu poi la volta di tutto un blocco della collana Grandi Libri Garzanti - con copertina rossa, dunque per lo più di letteratura francese - che, estratti quasi tutti dalla seconda pila, probabilmente M andava ulti-mamente consultando perché tra le pagine di un Mademoiselle de Maupin, ad esempio, la marcata sottolineatura alla pagina duecento trentuno in cui si legge:

È uno strano paese la mia anima: fiorente e splendido in apparenza, ma più saturo di miasmi putridi e deleteri che il minimo raggio di sole [DDT] sul suo fango vi fa schiudere rettili e pullulare zanzare

è accompagnata da una data scritta a matita (12 novembre 2017) e può benissimo essere in relazione con quanto M veniva contestualmente elaborando nei suoi deliranti e incomprensibili ultimi scritti. Difatti, anche in Studio di donna e altri racconti di Balzac le frequenti e mar-cate sottolineature nelle pagine della superba introduzione del Benni, testimoniano assai bene degli astrusi interessi che in quel periodo po-tevano occupare la mente di M. Su quest’ultimo libro, infatti, alla pa-gina tredici di tale introduzione, una breve sottolineatura rimarca dap-prima gli interessi di Balzac verso l’occultismo, per poi distendersi, su-bito sotto, sulla frase che il curatore riprende da Falthurne - racconto giovanile balzachiano non presente in questa raccolta - che la dice lunga sugli interessi ‘mentali’ di M:

È una maga [DDT], e con i suoi poteri compie prodigi inspiegabili. È la portavoce di un’altra realtà, più profonda e reale di quella appa-rente, e assolve alla sua missione di educare gli uomini ad una ‘se-conda vista’. Esistono nella natura delle forze sconosciute, e rap-porti tra le sostanze in movimento che pochi uomini hanno saputo vedere. Contemporaneamente, nell’uomo esistono delle facoltà, dei fenomeni, dei godimenti che rimarranno a lungo ignorati. Dall’ul-timo degli insetti, invisibile a quelli che noi non vediamo, fino alla forza immensa che fa muovere il mondo, esiste una catena di rap-porti necessari che è possibile agire conoscendola.

Due note a matita, tra parentesi e in maiuscolo, ‘(CFR. ATHANASIUS KIR-CHER, DE MAGNETICA ARTE e CFR. M. DUCHAMP QUARTA DIM - DDT)’, ac-compagnava a margine la frase sottolineata. Ma di Kircher, ripensan-doci, nella cartellina bianca consegnatagli dalla moglie di M Fabrizio aveva già scorto e consultato una stampa a costui riferita. Carte, dunque, che riguardano gli ultimi interessi ‘mentali’ di M, se così posso dire, e che, riprese in mano e ricontrollate dal medico, sono le pagine del Magnes sive De Arte Magnetica, ma solo quelle relative al capitolo De magnetismo amoris, come trascritto nel sottotitolo del fascicolo stesso che, in prima pagina, riproduceva il frontespizio della

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prima edizione dell’opera kircheriana, ossia la catena aurea che unisce magneticamente i medaglioni delle arti e delle scienze con i loro corri-spondenti emblemi: una sorta di cosmo magnetico, dunque. Nel testo kircheriano, tuttavia, le sottolineature riguardavano solo lad-dove viene a trattarsi:

del modo di manifestarsi del magnetismo elementale, principio uni-versale che lega intimamente tutte le cose create preservando così l’armonia del mondo

prima sottolineatura seguita, a breve, da quest’altra:

vi sono, infatti, le forme del magnetismo vegetale, animale, medici-nale, musicale e dell’amore

con le due ultime modalità accompagnate da una sottolineatura dop-pia e dall’incomprensibile e inafferrabile commento a matita: ‘tra Amore e Musica c’è un sign of concordance: Kircher, ------- - ------ -----, -’--- -’----- -----’10. Ai due primi francesi, dunque, un Gautier e un Balzac, subito incon-sultamente piroettati e gettati nel fuoco che intanto, ancor più felice-mente alimentato, cominciava a mostrare strane configurazioni lumi-nose - d’altronde, alla mirabile Madeleine de Maupin e alla fresca Ro-sette, insieme al concupiscente d’Albert e alle già ‘ben cotte’ Mme de Listomère e Mme de Beauséant, s’erano appena uniti il giovane mera-vigliosissimo Mozart11 e sua sorella, il grande Assiano quattordicenne e la dolce Opheline con il Gran Portoghese - seguirono presto gli altri, francesi anch’essi. Il fuoco, come detto, andava ora riprendendo vigore ma a tal punto che le fiamme, che in così poco tempo erano gagliardamente divampate, sembrava volessero inoltrarsi al di là del camino, col grave rischio che si potesse generare un insignificante incendio nella bellissima casa di M. ‘Gautier’ e ‘Balzac’ furono pertanto i nomi riportati nel promemoria fabriciano, banalmente accompagnati rispettivamente dalle note: ‘Pu-tridume’ e ‘Magnetismo Kircher’, da cui non si sa quale significato avrebbe poi potuto dedurre l’ingenuo ma amabile medico pediatra.

10 Come nel capitolo precedente (IV: Den Mutter !), anche qui la moglie di M mi ha ca-tegoricamente vietato di trascrivere e riportare alcune sconcertanti affermazioni del ma-rito [NDR]. 11 In margine a una pagina del Magnani, d’altronde, M aveva scritto: «Pare che, in età poco più matura - mentre suonava il piano con gli occhi bendati e sostenuto da giovani donne con le gambe in aria - davanti a conti e seducenti marchese scoreggiasse a ritmo, efficacemente e sonoramente» [Abbi pietà di me, mio paziente e improbabile lettore, ma proprio non son stato in grado di trattenermi e non trascriverlo e riportarlo; NDR].

42 PARTE PRIMA Estratto anch’esso dalla seconda pila, un’Educazione flaubertiana si trova ora tra le mani del maldestro ma bonario medico pediatra, di nuovo seduto comodo in poltrona e vicino al camino. Soltanto una pa-gina, però, e precisamente la duecento trentasei, ha una sottolineatura e un’orecchia ripiegata in alto a destra a mo’ di segnalibro. Riguarda la frase che il non più giovane protagonista rivolge finalmente a Mme Arnoux, quando cioè, praticamente alla fine del libro, il ‘BANALE FEDE-RICO’ (così in una nota a margine a matita) riesce faticosamente a di-chiararle eterno amore. Certo, ovviamente nessun sospetto, da parte di Fabrizio, per il più clas-sico ma anche il più bello tra i romans d'apprentissage d’Otto-cento, che tuttavia si ritrova ben presto nel camino, ma insieme a chi? in-sieme a quell’esilarante e inatteso Bouvard et Pécuchet, quel postumo incompiuto con cui il quasi sessantenne Flaubert si dilettava nei suoi ultimi cinque anni di vita soprattutto quando narrava a se stesso dell’imbarazzo, ma anche dell’incosciente intraprendenza, del sene-scente Bouvard davanti alla magnificenza carnale e all’ancor rigogliosa bellezza fisica della meravigliosa e stupefacente madame Bordin. Ma per quale incomprensibile motivo anche il ‘divertente’ Bouvard et Pécuchet vien dato alle fiamme e reso anch’esso vittima sacrificale di quest’orribile scempio? Qualche sottolineatura, o qualche scandalosa glossa a piè pagina può aver turbato il medico pediatra a tal punto da indurlo a destinare immediatamente alle fiamme anche questo inno-centissimo libro? Non appaiono indizi in merito, se non quello d’essere anch’esso alacremente sottolineato e postillato. Possiamo dire per-tanto che se Fabrizio procede nell’abbrugio senza più tener conto a cosa stia dando fuoco, significa che il morale e la strategia ermeneu-tico-preventiva del nostro amabile Mabillon stanno ormai cedendo su tutta la linea. Il de Nardis, intanto, cioè l’allarmante Mallarmé con quella lunga e inimmaginabile scandalosissima postilla - forse il racconto di un so-gno o una folle fantasia elaborata da M - è rimasto appoggiato sul da-vanzale del camino perché, probabilmente, sembra essere la ‘prova madre’ che Fabrizio crede di aver trovato per ‘spiegarsi’ l’incredibile stato mentale in cui il suo amico versa e dunque darsi anche una seria giustificazione per questo suo ‘terapeutico’ burning books che qualcun altro (il dottor Mentòre), e dunque agendo lui per interposta persona, ha prescritto. Tuttavia, pensando a quest’ultimo ‘dannatissimo’ francese che ha de-ciso di non incenerire, per logica e naturale conseguenza tutto ciò che ora suona in quell’incantevole lingua vien dato rapidamente alle fiamme; e questo, forse, spiega anche l’incomprensibile burning book del ‘divertente’ Bouvard et Pécuchet.

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Della stessa collana Grandi Libri Garzanti - con quell’ormai inconfon-dibile copertina rossa e anch’essi quasi tutti estratti dalla seconda pila - il medico pediatra destina così all’incenerimento: un Magnétisme di Maupassant, praticamente intonso e non letto neanche da M, un La ricerca dell’assoluto e un Sarrazine balzachiani, un primitivo L’amour et l’occident e, a raffica e senza più prender nota sul suo pro-memoria, i già pronti e predisposti al fuoco Le grandi opere liriche di Mozart, i quattro Paperback freudiani e i tre Saggi Einaudi-Borin-ghieri (due Hillman e uno Jung), cioè quei tre volumi sull’ani-ma le-gati al Mozart la cui consultazione non solo l’aveva abbondantemente disgustato ma addirittura impaurito. Il camino, intanto, già colmo e saturo di libri e variamente scoppiet-tante, ha raggiunto un livello di fiamma non indifferente che non con-sente più al medico di procedere con l’incenerimento di altri libri. Così, costretto a concedersi un’altra pausa nell’abbrugio e prendendo distrattamente in mano un voluminoso Sansoni con una bella e raffi-nata brossura bordeaux, Fabrizio torna a sedersi sulla comoda petite bergère lì accanto al camino. Rasserenandosi un po’, rendendosi conto di avere in mano un più che rassicurante Teatro di Racine (in una vecchia ma bellissima edizione della collana Grandi Classici dell’ottantacinque), Fabrizio si accinge ora lentamente a sfogliarlo. D’altro canto, egli sa bene che nulla di ‘ve-nefico’ può esservi contenuto considerato che l’autore, più che il ge-suita Corneille, almeno secondo le sue ancor vive reminiscenze liceali, passò per il grande moralizzatore di quella Francia che solo poco più tardi avrebbe conosciuto i Voltaire, i Diderot, i D’Alembert e tutti quegl’altri ‘illuminati’ che facilmente (quelli sì!) avrebbero potuto es-ser sospettati di fosco e caliginoso libertinismo e dunque, per ovvio sillogismo, una più plausibile causa, secondo il medico pediatra, dello stato mentale in cui versava il suo amico. D’altronde, consultando l’in-dice e scorrendo rapidamente i titoli delle opere raciniane ivi incluse (Ester, Andromaca, Ifigenia e Fedra), è proprio quel che in quel mo-mento pensa davvero il nostro provetto Mabillon medico pediatra. Continuando a sfogliarlo, però, s’accorge che il volume è sottolineato soltanto in Fedra, e solo laddove l’infelice regina rivela la sua incon-fessabile pena alla vecchia e buona nutrice Enone; e ciò non lo preoc-cupa affatto. Ma, continuando a leggere seguendo la meticolosa sotto-lineatura fatta da M, Fabrizio, voltando pagina, s’avvede subito che sotto la confessione dell’esangue regina v’è una strana nota a matita, seguita da un punto interrogativo, che però nulla sembra avere di ‘let-terario’ o in relazione con quanto sottolineato: ‘PUÒ ESSER VERO AMORE MIO? [DDT]’.

44 PARTE PRIMA Allarmato, capisce subito che quella nota non può che essere un incon-trovertibile indizio; un indizio, dunque, che prima di diventar fuoco costringe il medico pediatra a trascrivere nel suo promemoria:

Alle parole della regina: ‘Lo vidi e arrossii, impallidii a vederlo. Nell'a-nima smarrita irruppe lo scompiglio. Non vedevo più niente, non po-tevo parlare. Poi sentii il mio corpo bruciare e raggelarsi’, M ha aggiunto la nota: ‘Può essere vero amore mio?’.

Sfogliando l’introduzione per capir meglio quella chiosa priva di ag-gancio al testo, Fabrizio arguisce, nelle poche righe dedicate al Fedra, che la donna è innamorata nientemeno che del figlio; questo, infatti, così almeno sembra, è quanto il medico pediatra è riuscito a capire12. Senza pensar più di tanto agguanta allora a caso, e senza nemmeno sfogliarli, altri cinque piccoli libri dalla seconda pila, ne scruta rapida-mente i dorsi (Trilogia della città di K., Diario di una scrittrice della Woolf, Un dio coperto di rose di una certa Rossana Ombres, un vec-chissimo L’ordine simbolico della madre e un Luce Irigaray in fran-cese, un decrepito Ce sexe qui n’en est pas un delle Édition de Minuit) e, riflettendo tra sé dicendosi: «Tutte donne», li immola insieme al Fe-dra, dapprima squadernandoli, rendendoli meno compatti e più ar-rendevoli alle brame divoratrici del fuoco, e poi, con suo turpe piacere, meticolosamente appoggiati uno per uno dentro al camino facendo sì che in tal modo vengano immediatamente avvolti e aggrediti dal dàimon violento delle fiamme. Il fuoco, d’altronde, già ricolmo di altri libri, gli risponde subito, quasi come per ringraziarlo, con un’altissima fiammata e un roboante e preoccupante rumore sordo, dovuto forse al fatto che l’accumulo d’in-chiostro possa aver creato una camera asfittica all’interno del camino e che la cruda e impellente necessità d’ossigeno delle inesorabili fiamme può aver fatto esplodere. «Però, con tutte queste donne è il minimo che può succedere a questo bel fuoco maschio dominante!», ragiona rozzamente Fabrizio, che fra sé ripete ad alta voce una frase letta per caso sulla quarta di copertina del libro della Muraro che, sebbene nervosamente, lo fa ridere di gusto nell’auto-compiacersi del suo crudo humor e delle conseguenti e stu-pide sue riflessioni filologiche. Ancora non soddisfatto, però, ecco che quattro vecchi Shakespeare, appena sfogliati - i famosi ‘shakespeare’ dell’antica collana einaudiana Scrittori tradotti da scrittori: un Come vi piace, in cui il medico pedia-tra legge un rimando al Mlle de Maupin, un Antonio e Cleopatra, in

12 In realtà è innamorata del figliastro [NDR].

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cui trova sottolineate alcune parole lascive che Antonio rivolge alla re-gina, un Amleto, con molti rimandi al solito Igitur di Mallarmé, e, con un petalo di rosa rossa all’interno, la Tempesta, col nome della prota-gonista più volte evidenziato e accompagnato ripetutamente dalla si-gla a matita ‘DDT’ - sono anch’essi subito nel fuoco. I Sonetti, però, incomprensibilmente vengono risparmiati; non si sa e non si capisce bene il perché. Non ci sono commenti in merito; si ar-guisce solo che raggiungono rapidi un posto sicuro vicino al secondo Faust già custodito nella borsa del medico. Credo, tuttavia, di poter azzardare un’ipotesi: forse possono aver alimentato alcune remini-scenze amorose nell’imperturbabile medico pediatra? Ma mi sembra inutile indagare ora su un fatto più che marginale, anche se potrebbe ben spiegare lo stato d’animo in cui versava in quel momento Fabrizio, il medico pediatra amico fraterno di M incaricato a far fuoco di tutti quei libri che ne hanno causato la strana malattia. Infine, dunque, per completare la seconda serie da incenerire, un ul-timo francese - ultimo anche della seconda pila, un Racconti fantastici di Théophile Gautier della stessa collana Grandi Libri Garzanti - vien dato rudemente alle fiamme. Di tutto il libro, soltanto la frase finale de La morta innamorata:

«Disgraziato! Disgraziato! Che cosa hai fatto? Perché hai dato ascolto a quello stupido prete? Non eri felice? E che ti avevo fatto io, perché tu violassi la mia povera tomba e mettessi a nudo le miserie del mio nulla? Ogni comunicazione tra le nostre anime e i nostri corpi è ormai interrotta. Addio. Mi rimpiangerai!». Si dissolse nell'aria come fumo e non la rividi più.

risulta sottolineata. Ma a seguire una marcata nota a matita: ‘INVISIBILITÀ - CFR. FREUD, SO-GNO E TELEPATIA’ - letta e trascritta subito integralmente dal medico pediatra sul suo promemoria - lo induce presto a ulteriori lugubri pen-sieri. Stanco e leggermente disgustato, forse anche a causa dei contesti mentali a dir poco inusitati e a lui non molto congeniali, Fabrizio cerca comunque di riflettere e provare a capire perché, per sua malaugurata sorte, deve dar fuoco a tutti questi libri e quale possa esserne poi l’ef-fetto salvifico, o ‘curativo-benefico’, su M. «Dentro c’è anche l’elenco dei libri rubati da M13. Sono tutti in quell’ar-madio; io non sono ancora riuscita a restituirli». Così gli aveva detto

13 Sembra che M per ogni furto commesso ne abbia fatto un racconto. Ci sono alcune stampe nel ‘fantasmino’ che dal titolo, ad esempio, Come e perché rubai l’Arturo, fanno pensare ad una strategia non solo pratico-logistica per una perfetta e lineare esecuzione del furto, ma anche di carattere filologico-letterario, se così posso dire, perché ogni stea-

46 PARTE PRIMA la moglie di M prima di andar via consegnandogli la cartellina bianca con il ‘fantasmino’ pieno di stampe e contenente il verbale dei Carabi-nieri completo di elenco dei furti compiuti; e a questo va pensando Fa-brizio, ora seduto in poltrona mentre distrattamente fissa il grande ar-madio in stile provenzale lì di fronte a lui. Preso l’elenco, redatto su carta intestata del Comando di san Lorenzo in Lucina, Fabrizio comincia a leggerlo e, a voce alta, rapidamente a contare: «Ventisei.. ventisette.. ventotto.. Ventinove.. quasi trenta». Sotto ogni titolo, una data (probabilmente quella del furto) diligente-mente riportata. In un angolo dell’armadio, dunque, cioè dove la moglie aveva radunato tutti i libri rubati da M - rubati tra l’altro con l’evidente intenzione di farsi riprendere dalle videocamere delle librerie; episodi poi raccontati da M anche in un breve resoconto richiesto dai medici - il bellissimo La regina delle fate salta subito agli occhi del nostro sempre meno im-probabile Mabillon medico pediatra. In una sobria e ruvida brossura in verdino chiaro (privo cioè della so-vra coperta plastificata), e con numerosi piccoli note-pads arancioni interposti tra le pagine, è evidente che in questo libro c’è qualcosa che può averlo preso a tal punto da fargli perdere il senno. I canti sette e otto del Sesto Libro - quello dedicato a sir Calidore, il Book of Courtesy - sono in effetti tra i più sottolineati: su carta così leggera, M v’aveva impresso in egual modo il suo marchio ‘sottolineatore’. È evidente, però, che M sottolineasse solo per sé e forse solo per imprimer meglio in mente, e magari proprio attraverso il piacere di sottolineare, quel che voleva ricordare. Ma quel che anche qui sottolineava, denotava ul-teriormente, secondo il medico pediatra, quel che egli ormai sospet-tava di cosa M soffrisse: «La pura follia». «Certo, un libro del genere - ‘TRADOTTO IN ITALIANO DOPO SOLI QUATTRO SECOLI’, come recita una nota a matita letta in seconda di copertina dal medico pediatra - non poteva mancare nella libreria di quel matto di M». E proprio così s’espresse tra sé, ma bonariamente, il medico pe-diatra pensando all’amico ormai infermo di mente che rubava libri del peso di più due chili e di oltre duemila e trecento pagine. Aprendo il libro al note-pad più sporgente e riportante la scritta ‘BOOK VI CANT. VIII’, guardando attentamente sulla pagina del testo a fronte all’inizio proprio del canto otto, Fabrizio ripensa subito alle due

ling books commesso da M sembra esser stato fatto ‘su commissione’ per un fantoma-tico dt. Spenser - sedicente scrittore e storico d’arte conosciuto da M nel-l’invisibilità del web - in procinto, pare, di completare il suo grimoire. Alcuni di questi racconti, d’al-tronde, saranno trascritti a breve nei capitoli seguenti perché, oltre a dar visibilità delle strane velleità letterarie di M, testimoniano soprattutto del grado di follia ch’egli ha rag-giunto e come già dal dottor Mentòre diagnosticato [NDR].

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stampe in inglese già lette e contenute nel fantasmino: anche lì, d’al-tronde, vi aveva letto le diciture ‘BOOK VI CANT. VII’ e ‘BOOK VI CANT. VIII’, precedute dai titoli in grassetto FOR GEA (PART ONE) e FOR GEA (PART TWO). Anch’esse in aulico inglese, e ora di nuovo nelle sue mani e con-frontate con le due versioni del libro, l’intraprendente Mabillon me-dico pediatra ne riconosce facilmente l’origine ‘letteraria’, anche se non il motivo della loro trascrizione né, tanto meno, del loro essere nel fantasmino. Che poi la storia - che nei due canti tratta delle vicende di una certa Mirabella, il cui nome è spesso accompagnato dalla nota a matita ‘DDT’ - sia il ritratto di una donna altezzosa e sprezzante che sta pagando le sue pene (in sella a un asino e costantemente afflitta e percossa da due enormi ominidi, Sdegno e Dileggio; così nel testo) perché condannata dal tribunale di Amore proprio a causa del suo tracotante disprezzo, sembra che nulla abbia a che vedere con la malattia di M e che, trat-tandosi, appunto, di un’altra storia, non può e non deve assolutamente interferire con quella assai più perniciosa e strana che qui è necessario narrare. Del testo, tuttavia, sia in inglese che in italiano, Fabrizio legge quanto nelle due versioni era delicatamente ma attentamente sottolineato, del canto sette, alla stanza Ventinove14:

Unworthy she to be belou'd so dere, That could not weigh of worthinesse aright. Indegna era lei d’esser tanto caramente amata, Se non riusciva a dare il giusto peso al valore.

14 È l’unica pagina che riporta un note-pad verde [NDR].

© Riparini M Editions [Roma 2018]. NOTA EDITORIALE: Il testo è stato sottoposto ai divieti e alle regole di edizione di M. Riparini M. Tutti i diritti (di utilizzazione economica o morali) sono riservati alla Riparini M Editions, ca-sa editrice di cui l’Autore di questo libro è Presidente co-fondatore. IN COPERTINA: Don Chisciotte [Anonymous, 1615c.] IN QUARTA DI COPERTINA: Étant donnés : 1° La chute d'eau ; 2° Le gaz d'éclairage - Inside [M. Duchamp, 1946-1968]

PARTE SECONDA

(MARCEL, INVISIBLE, RE-MONTE UN ESCALIER)

DULCINEA DEL TOBOSO VI

(THE FAERIE QUEENE)

IN GALERA.. VOLEVA ANDARE IN GALERA..

(Fabrizio, 2 Dicembre, 2017) Così aveva cominciato a rubar libri, fin quando lo scoprirono, lo de-nunciarono e, continuando lui a rubarne, infine ad arrestarlo (il due novembre scorso), per esser poi mandato, qualche giorno dopo gli arresti domiciliari e a seguito di una visita medico-legale richiesta dal Tribunale, in una clinica psichiatrica16. Tra i libri rubati (Ventinove)17, sulla prima pila da dieci, da cui Fabri-zio aveva già tratto il gigantesco La Regina delle Fate - «Prezzo qua-ranta euro», era stato il suo sintetico commento finale su quel libro - v’era un Duchamp, un mille pagine in inglese (un Abrams Editions di pregio del 1970) curato da un certo Arturo Schwarz. «Euro millesettecento ventitré.. virgola settanta!», legge allora ad al-ta voce, candidamente sbalordito, il medico pediatra, impressionan-dosi anche nel veder riprodotto, capovolgendo il volume dopo averne letto il prezzo, un corpo nudo di donna sdraiato su fascine, col viso rovesciato verso il basso, il sesso slabbrato e un bec Auer in mano proteso verso l’alto. Etant donnés : 1° La chute d'eau ; 2° Le gaz d’éclairage era il titolo dell’opera, letto quasi controvoglia nel margi-ne basso in seconda di copertina. All’interno del libro la stampa-brogliaccio di un racconto di M intito-lato Come e perché rubai l’Arturo - datato 10 ma riferito al 1° giugno duemila diciassette, ossia il racconto dello stealing books per M con-

16 Da dove scomparirà il due di dicembre [NDR]. 17 Dei Ventinove racconti fatti in seguito da M dopo ogni furto il medico pediatra ne leggerà alcuni, due dei quali - quelli che qui di seguito saranno trascritti e datati 16 novembre 2017 (ma riferito al 27 ottobre 2016 il primo, intitolato: Una grande impre-sa: come ho fatto a rubare La regina delle fate) e 10 giugno 2017 (ma riferito al 1° giugno il secondo, dal titolo: Come e perché rubai l’Arturo) - son quelli relativi al pri-mo furto e a quello considerato da M il più esaltante; che sono poi tra i documenti più letti anche dal dt. Mentòre, come deduce Fabrizio dalle insistenti sottolineature a pen-na rossa fatte dal collega medico psichiatra. All’inizio del secondo racconto appare pe-rò una strana e ambigua nota, che quivi per necessità filologica e dovere intellettuale riporto: «Il cranio umano è composto da Ventinove ossa. Nella Smorfia il numero Ven-tinove è il padre dei bambini (il pene). È il numero atomico del rame (Cu). La Ventino-vesima Proposizione di Euclide è la prima a usare il postulato delle parallele. È un nu-mero primoriale, divisibile solo per uno e per se stesso. È il terzo primo primoriale, dopo cinque e sette e prima di trentuno e duecentoundici. È il decimo numero primo, dopo due, tre, cinque, sette, undici, tredici, diciassette, diciannove e ventitré e prima di trentuno e trentasette (cfr. Sequence A000040, in On-Line Encyclopedia of Integer Sequences, The OEIS Foundation, May 2017)» [NDR].

52 PARTE SECONDA siderato il più esaltante e che, trattato ampiamente nel prossimo ca-pitolo, narra appunto dell’ennesimo furto compiuto alla libreria Cro-ce proprio in quel giorno – al momento lascia stranamente indiffe-rente il medico pediatra. Così, deposto con gentile accortezza l’esuberante Duchamp sopra il maestoso La Regina delle Fate, sempre dalla prima pila un terzo li-bro dal titolo Unlocking Mallarmé - che per improvviso istinto anti-francese Fabrizio crede di poter dare immediatamente alle fiamme per avvedersi subito dopo che è nella lista dei libri da riconsegnare - vien diligentemente messo da parte dal probo medico pediatra16. A seguire, un Music and Writing Literature, from Sand Via Debussy to Derrida di un certo Dayan, edizioni Ashgate duemila diciassette, le cui sottolineature e glosse alla pagina ottantuno non lasciano scampo e spazio a eventuali diverse tematiche che non siano di sesso o di morte, sconcerta di nuovo Fabrizio. D’altronde in questa nota vi si tratta e spiega, secondo la teoria del sogno classica, il significato del salvataggio da annegamento da parte di un uomo nei confronti di una donna e, da come sembra abbia capi-to il medico, il salvataggio della donna da parte dell’uomo significa renderla madre. Difatti, seguendo subito dopo il riferimento della nota a matita ‘CFR. FREUD, PSICOLOGIA DELLA VITA AMOROSA, VOL. IX P. 419’, nel nono volume Boringhieri, estratto dalla piccola libreria all’ingresso della bellissima casa di M e ora tra le sue mani, in quella pagina indicata da M il medico pediatra legge barrato ai lati e vigoro-samente sottolineato:

‘Quando un uomo in sogno salva una donna dall’acqua, ciò significa: egli la rende madre, il che equivale a: la rende sua madre. Quando una donna salva dall’acqua un’altra persona (un bambino), essa si riconosce nella madre di lui’.

D’altronde, c’è anche un racconto di M, all’interno di questo Borin-ghieri, che riguarda proprio il salvataggio dall’acqua di una donna. Una certa ‘MARIA II’, infatti - così è scritto all’inizio del racconto - dopo una breve passeggiata lungo il greto del fiume, s’è gettata tra le acque fangose del Tevere. M, che è lì con lei, la trae in salvo, ri-schiando di annegare anche lui [Non si capisce se sia una storia vera o solo inventata da M, che qui accenna anche a un misterioso mano-scritto; NDR].

16 Molto probabilmente perché da egli riconosciuto anche come prova dell’ultimo stea-ling books operato da M alla libreria Croce il 27 ottobre 2017, come trascritto nel ver-bale dei Carabinieri e in seguito al quale la notte del due novembre M sarà arrestato [NDR].

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Liberatosi così del Boringhieri e riprendendo a far uscir libri rubati dall’armadio, della ‘linea francese’, come ora Fabrizio identifica tutti quelli che denotano un certo interesse di M verso quella cultura e quell’educazione culturale, ancora un Mallarmé. La Grammaire et Le Grimoire, dove l’attenzione di M si concentra soprattutto sul capi-tolo dedicato all’Igitur (alle pagine ottantuno-centododici) e sulla pa-rola grimoire, in italiano grimonio, ossia: ‘LIBRO MAGICO’ (così in una nota a matita alla pagina trentatré). Seguono un libro sulle implicazioni e l’uso etico di biotecnologie anti-amore e un nuovo Ulisse einaudiano - ancora con residui di cello-phan all’interno - curato e tradotto da Gianni Celati17. Ma tutti libri che all’apparenza sembrano ora inconsistenti se messi in relazione con la malattia di M. «Ma che diavolo di libri ruba, ‘sto cretino?», si chiede infatti Fabrizio che nella sua ingenua perplessità prova ora anche a riderne e farne scherno ma bonariamente [un po’ alla Sancho, se così posso dire spigolando qua e là nel mio don Chi-sciotte, che anch’io ho amato ed è sempre stato parte della mia men-talità vagamente ‘letteraria’]. Dal fantasmino, intanto, Fabrizio ha estratto il referto medico-letterario del dt. Mentòre a cui è allegato il racconto fatto da M il primo giorno del ricovero e scritto su espressa richiesta dei medici, che volevano sapere e indagare sul motivo psichiatrico del suo ‘rubar libri’, da cui poi, ovviamente, la decisione di non farlo più leggere e scrivere e la conseguente distruzione di tutti i suoi libri. Di questo racconto - riferito al suo primo furto del 27 ottobre 2016 ma datato 16 novembre 2017 e scritto a mano e in distinto stampatel-lo su carta intestata dell’ospedale San Valentino - l’egregio Mabillon, ora anche un po’ Panza, legge:

UNA GRANDE IMPRESA: COME HO FATTO A RUBARE LA REGINA DELLE FATE

ROMA, 16 NOVEMBRE 2017 Simulare un reato (cioè rubar libri e fare stealing books come fosse una malattia) per farmi arrestare senza mettere troppo a repenta-glio la mia vita, era il piano che volevo attuare: volevo farmi arresta-re per concentrarmi meglio su ciò che m’era successo; e magari scri-verne fino a morirne. Il caso ha voluto, che ora son rinchiuso in un’asettica camera d’ospedale: anch’essa, dunque, un posto ideale per scrivere, come d’altronde i medici di qui ora mi invitano carinamente a fare.

17 Rubato il 16 giugno scorso, M ne fece un racconto tutto incentrato sulla frase: Ineluc-table modality of the visible: at least that if no more, thought through my eyes, incipit del terzo capitolo dell’Ulysses di cui qui si tratterà ampiamente nell’VIII capitolo [NDR].

54 PARTE SECONDA

Il 27 ottobre 2016 riuscii a mettere in atto i miei propositi: avevo deciso, infatti, di rubare tutti i libri che a me sembravano i più belli, i più interessanti, intriganti, affascinanti; prima o poi, pensavo, m’avrebbero arrestato. Sapevo dell’esistenza di gente specializzata in rubar libri ma il far finta solo di sbirciare per poi infilare, proprio sotto le videocamere, un libro nei pantaloni, mi diede una felicità immensa, pressoché to-tale. D’altronde anch’io, come un illuso don Chisciotte, credevo che per onorare confacentemente i miei libri più belli dovevo anche ar-rischiare la mia vita. Ne rubavo uno per volta: erano tutti grandi, e ogni qualvolta riusci-vo a tornare a casa senza essere colto in fragranza di reato, la mia felicità raddoppiava. E poi, mi piaceva l’idea di poter rubare presso-ché indisturbato; ero fiero di me e, anche se nel mio piano desidera-vo di essere arrestato, decisi di protrarre l’evento il più in là possibi-le. Quel ventisette ottobre, dunque, fu per me una data fatidica e ci vol-lero quasi dodici mesi e mezzo prima che finalmente riuscissero ad arrestarmi. Credo che inizialmente le librerie in cui andavo a rubare tollerassero quei miei furti e facessero finta di non vedere: le vendite, d’altronde, ormai scarse in tutte le librerie, ne avrebbero ben presto imposto la chiusura, come recentemente è stato per la quasi centenaria e ro-manticissima libreria Croce. Il giorno in cui decisi di attuare il mio piano andai a piazza Venezia, linea urbana Settanta. Conoscevo bene la libreria Rinascita: perso-nale educato e pragmatico, dimensione asfittica ma di grande con-centrazione; il contrario cioè delle più confusionarie e accoglienti Feltrinelli Repubblica o Mondadori di via Piave, dove pensavo ov-viamente di andare nei giorni seguenti, e comunque presto: dovevo arrivare a Ventinove. Ero dunque ‘a caccia di libri’. Il fatto è che in quel momento tutto questo, meravigliandomi, mi procurava un piacere immenso. Ore cinque del pomeriggio: sono in libreria. Pochissima gente. Len-tamente discendo una scala, e m’accorgo subito e percepisco con tremore che Marcel (invisible) è qui con me. A parte il bassissimo sottofondo musicale - un casuale e asfittico The Dance of Knights che però scorre veloce e mi inebria - nella libreria regna un silenzio tombale: «Cos’altro di meglio - pensai come un folle - che possa dar solennità e magia a questo straordinario evento». Sulla prima corsia di destra, codice ottocento ventuno punto tre (poesia elisabettiana), sull’ultimo scaffale in alto trovai subito quel che volevo portar via con me: il meraviglioso La Regina delle Fate. Certo, le novità editoriali non son mai mancate a Rinascita e sapevo che il The Faerie Queene era stato da poco tradotto in prosa per Bompiani. Curato da un giovane anglista emiliano - un certo Luca Manini, un erudito dabbene - mi ritrovo così tra le mani la prima traduzione italiana dell’epopea più umana e vitale scritta da uno stranissimo cavaliere inglese esclusivamente per alimentarsi e for-

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giarsi lo spirito e non certo solo per ingraziarsi i favori della regina, che tra l’altro di ciò che lui scrisse su di lei non lesse mai nemmeno una riga. Il The Faerie Queene tradotto in italiano solo dopo quattrocento anni fu però per me una rivelazione sorprendente. Ho a casa l’ultima edizione Penguin - quella curata dal Roche nel settantotto - e non fu difficile arrivare ai canti sette e otto del sesto libro, che lessi lì su due piedi mentre una distinta sessantenne mi scrutava deliziata nel vedermi così ‘preso’ e interessato. Non diedi importanza alla donna. Volevo per prima cosa verificare le parole ‘Unworthy she to be belou'd so dere, That could not weigh of worthinesse aright’, stanza Ventinove canto Sette. Leggo così nel Manini: ‘Indegna era lei d'esser tanto caramente amata, se non riusciva a dare il giusto peso al valore’. «Come immaginavo. Forse non è mai stata in grado di capire chi sono», penso in quel momento, come un fesso, subito dopo aver ri-letto mentalmente la mia traduzione: ‘Indegna era lei d’esser così [tanto amata] che non era in grado di dar giusto peso al merito’. Guardo di nuovo la donna che, a pochi passi da me, ancora, con di-screzione, mi osserva. Le sorrido con fare cordiale e amichevole. Mi risponde sorridendomi dolcemente, ma facendomi capire d’essere attratta da me. M’avvicino a lei e, tremando un po’, le sfioro delica-tamente una mano. Subito lei mi risponde e m’accarezza a sua volta. Il caso vuole che, guardandomi negli occhi e sfilandosi via una par-rucca bianca taglio corto ‘nature’, ella m’appare ora completamente calva e di una bellezza sconcertante. Con stupore e un po’ di vergo-gna la guardo ancora, la osservo in viso e nei particolari del corpo e, più i miei occhi bevono della sua bellezza, più mi accorgo che mi sto innamorando di lei. Ci guardiamo ancora negli occhi; con intensità, con serenità. «Le piace Spenser?», mi chiede allora, con voce suadente e armoni-camente bellissima, sfiorandomi di nuovo e più teneramente la ma-no appoggiata quasi inerte sul libro. «Sì, il creatore dei luoghi mentali ideali per cui vale la pena vivere», rispondo rapido fissandola affascinato negli occhi. Il suo aspetto, i suoi modi e la sua amabile espressione esaltano il mio piacere di parlare con lei. Ne è pienamente consapevole, e con un sorriso serio e intelligente mi fa: «Venga a trovarmi al Goethe.. voglio parlarle. Mi chiamo Helene Kreutzer, sono dell’Institut, e son proprio curiosa di sapere cosa induce a leggere con così tanto inte-resse l’antiquato Spenser. Non si faccia attendere troppo, mon-sieur». Detto questo, sorridendomi ancora, la donna si volta lentamente, lentamente depone la parrucca nella borsa e, allontanandosi e vol-tandosi di nuovo verso di me, mi guarda seria negli occhi e se ne va, lasciando nell’aria il profumo di sé e l’adorabile immanenza della sua presenza. Rimango sorpreso, affascinato e leggermente inebetito da tanta bel-lezza.

56 PARTE SECONDA

«Per oggi tre chili e quasi tremila pagine possono bastare», mi dico dopo un po’ come un cretino consapevole delle difficoltà cui andrò incontro per fare asporto del libro: sì, è vero, volevo farmi arrestare, ma andare a casa e cominciare a leggere lo Spenser in italiano era per me la cosa più importante in quel momento. Volevo verificare se, di quanto letto nel Roche, la prima traduzione italiana di quei versi fosse più plausibile di quella che avevo fatto io. Certo, l’inglese antico non è mai stato il mio forte, ma quel che mi premeva sapere era soprattutto la conclusione ‘etica’ - se così posso dire - che Spen-ser voleva dare narrando della bella Mirabella.

Così finisce e s’interrompe il breve resoconto di M su quel suo primo furto del ventisette ottobre dell’anno scorso, scritto a mano su carta intestata dell’ospedale e ritrovato nel fantasmino e, dunque, anch’es-so tra le carte lette dal dt. Mentòre. Tra queste carte, inoltre, c’è anche un racconto di M sul suo incontro con la signora Helene del Goethe Institut intitolato L’Incantatrice Calva (così M, d’altro canto, chiama la donna per ghermirla a sé), os-sia la breve cronaca di un incontro galante fatto di ‘sguardi profondi’, ‘lievi toccate’ e ‘lente penetrazioni’ - così nel testo - che però non sto qui a riportare, perché prolisso e pieno di quella viscerale passione che a me sembra la parte più stupida dell’uomo che sto descrivendo. S’erano incontrati per caso, alle cinque del pomeriggio, alla sala Bal-dini, in piazza Campitelli, praticamente alla Guillaume Apollinaire, la biblioteca italo-francese lì vicina e da lei frequentata. Davano musica da camera. S’erano intravisti nell’androne del palazzo, ma nel tram-busto di gente non erano certi d’essersi riconosciuti. Per M la donna in quel momento somigliava molto, forse anche per averne lo stesso nome, all’Helen Mirren di The Cook, The Thief, His Wife & Her Lo-ver, ossia l’incantevole Mirren che aveva intravisto alcuni anni prima al Roma Fiction Festival insieme a Peter Greenaway, come sembra desumersi da un inciso all’inizio del racconto. Alla fine del primo quartetto, dopo un buon finale fugato del Sunrise haydniano eseguito da un’anziana ma energica violoncellista amica di M e da un bravo attempato primo violino inglese - così dice lo scritto - con sguardo più attento si sono cercati e, sorpresi e incantati l’uno dell’altra, immediatamente riconosciuti. Dopo essersi guardati da lontano fissamente negli occhi, si sono alzati e subito venuti incontro. Uscendo, e baciandosi nervosamente come due giovani amanti nell’androne del palazzo, senza quasi parlare - così nel testo - sono letteralmente fuggiti. Il resto, ovviamente, lo lascio alle fantasie di chi legge; io di quel che ho letto, rimanendo letteralmente di sasso, non ne trascriverò nemmeno una riga. Dico solo che la frase trascritta da M: «È l’ora più stregata della notte, quando sbadigliano i cimiteri e esala l’inferno il suo contagio sul mondo. Potrei bere caldo sangue,

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ora, e compiere azioni così turpi che a vederle si scrollerebbe il mon-do» è più che sufficiente per capire da quale humus mentale quelle parole provengano. Inoltre, perché raccontarlo, perché scriverlo? «Misteri dell’arte», si disse infine Fabrizio ricordandosi di un quadro di M ancora nel suo studio18. Dal fantasmino, intanto, Fabrizio ha ora sfilato un fascicoletto di tre fogli a-quattro stampati fronte-retro. È intitolato Igitur, ou la folie d’Elbhenon, con la versione originale di Mallarmé, ovviamente, come si deduce anche da una nota a piè pagina, e una traduzione fatta da M ma confrontata con quella del de Nardis, come suggerisce una no-ta in alto a matita ‘CFR. TRADUZIONE DE NARDIS’. Il testo poetico è di per sé incomprensibile, sia nell’originale, che nel-le due traduzioni; almeno questo è quel che pensa subito il medico pediatra. In effetti, la lettura è tortuosa e difficile, c’è un utilizzo enorme di connecteurs e, probabilmente, pare che M l’abbia tradotto solo per se. Quel che però salta subito all’occhio dell’accorto medico pediatra so-no alcuni piccoli cerchietti rossi, con un punto al centro, apposti lad-dove, nel testo, il protagonista ‘decide’ (sì, letteralmente: ‘QUANDO DECIDE, DIVIENE AZIONE, O METTE IN MOTO L’AZIONE, IL MOVIMENTO’ - com’è scritto e specificato in più note a piè pagina). Infatti, accanto a ogni cerchietto rosso appaiono frasi in cui effettivamente il protago-nista ‘agisce’, come ad esempio in quella in francese:

Minuit sonne - le Minuit où doivent être jetés les dés. Igitur des-cend les escaliers, de l’esprit humain, va au fond des choses : en ab-solu qu’il est

e nella traduzione in italiano:

Mezzanotte suona - la Mezzanotte, quando devono essere gettati i dadi. Igitur discende le scale, dello spirito umano, va al fondo delle cose: da assoluto qual’egli è

fatta da M.

18 Un piccolo quadro, un cinquanta per ottanta datato 27 ottobre 2015 - un monocro-mo realizzato esattamente un anno prima del primo furto e, pare, solo in una notte - ritrae, a mezzo busto, una donna calva d’estrema bellezza. I tratti del viso sono molto sfumati, ma presentano dei lineamenti sorprendentemente ‘armonici’ (in realtà, sem-bra si muovano e che anaglificamente acquistino profondità) e seducenti. Non credo sia solo un caso che porti il titolo di Helene e che, per completezza, riproduco a fine capitolo, se non altro perché, anche se solo in parte, possono spiegare certi comporta-menti di M e su cui il dt. Mentòre, e forse anche il fratello gemello di M, potranno trar-re alcune importanti conclusioni [NDR].

58 PARTE SECONDA Inoltre, alcune sottolineature sono spesso accompagnate dalla dicitu-ra scritta in rosso e tra parentesi quadre ‘[GRIMOIRE]’, come a voler evidenziare quelle corrispondenze foniche presenti nel testo mallar-méano che per M nella traduzione de Nardis mancano. ‘DIVERSA SENSIBILITÀ FONICA O SONORA’: così M giustifica, con note a margine, ogni sua correzione o rettifica fatta al de Nardis. «Hai preso il caffè?», chiede ora la moglie di M al medico pediatra entrando affrettatamente in soggiorno. «Resti a pranzo con noi?», chiede ancora la signora. «No», risponde subito Fabrizio. «Guardo queste carte e vado via. Continuo a far fuoco domani, se a voi non dispiace», dice con lieve noncuranza il medico pediatra, facendo però capire chiaramente alla donna che l’incombenza che gli ha appioppato è assai gravosa e enormemente impegnativa. «A proposito, hai dato un’occhiata a quella cartellina bianca? E di quel fantasmino pieno di carte di M hai letto qualcosa? Me lo ha ri-consegnato Mentòre avantieri e mi sono accorta che alcuni scritti di M son pieni di sue marcate sottolineature. C’è anche una sua nota, lì dentro. Credo sia la sua ‘giustifica’ per la distruzione dei libri di M. Un vero orrore.. un abominio.. non so più che pensare.. non ci sto capendo più niente. Ma M è davvero diventato matto?». Così, con questa futile e assurda domanda, chiudeva il suo discorso la moglie di M, ormai indaffarata in ben altre questioni che non i libri del mari-to. «Quando vai via, passa un momento da me: devo dirti alcune cose che non sono ancora riuscita a dire a nessuno.. tantomeno a quel-l’idiota di Mentòre»; così, d’altronde, concludeva la donna conge-dandosi [pare, infatti, che una distinta signora di una certa età sia venuta a farle visita; NDR]. Ripresa la cartellina bianca in mano e rimessosi comodo sulla petite bergère, Fabrizio riesuma così la breve nota a firma del medico psi-chiatra. Data lo stesso giorno del ricovero di M - come, del resto, è datato il suo racconto sul rubar libri richiesto dal medico e spillato insieme a detta nota - su cui ora Fabrizio attentamente legge:

«Non sono un critico d’arte né di letteratura, ma quanto letto in queste pagine prova della serietà psichiatrica del soggetto in esame. Come già riscontrato alla prima visita dai medici dell’ospedale giu-diziario che lo hanno visitato, il paziente è affetto da distonia multi-forme, ovvero il risultato di un evidente caso di bipolarismo, ma an-che di doppia personalità, che comporta un tale stato di prostrazio-ne fisica e mentale che quasi lo paralizza e lo annulla. Il caso richie-de che la fonte primaria di questo disturbo venga eliminata. Dagli scritti di M traspare, infatti, una psico-deformante visione pseudo-letteraria che lo ha portato a vivere, almeno così sembra che sia,

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una sua seconda vita, forse parallela, ma assai distante da quella che noi tutti viviamo. Quanto sopra descritto, e come risulta dalle analisi cliniche effettua-te sul paziente, per competenza trasmetto. Prof. Claudio Mentòre, Responsabile UOC di Neuropsichiatra, Clinica San Valentino, Roma 16 novembre 2017».

«Quest’uomo già parla come mio marito», era stato il commento un po’ astioso della moglie di M quando in ospedale aveva letto la nota consegnatale alla reception. D’altra parte, in quell’occasione s’accorse anche che il marito non era più lui: rideva spesso e sembrava contento; ma era sotto l’effetto di psicofarmaci, che lui non aveva mai preso. Le sue posture, in effetti, erano quelle tipiche di quei soggetti che vengono aggrediti da dosi massicce di farmaci di questo tipo: i suoi movimenti erano comple-tamente fuori controllo e un lieve blefarospasmo gli deturpava l’espressione del viso. Sia il fratello gemello che un amico neuropsi-chiatra di M, chiesero allora al dt. Mentòre quali farmaci fossero già stati somministrati e quali venivano ora ‘dati a bere’ al paziente. La risposta del medico psichiatra rimase ovviamente molto vaga. «È molto probabile che stiano continuando il lavoro già avviato al P. e che in questa clinica siano interessati a tenere occupato un posto let-to», fu il commento finale del fratello gemello di M. D’altronde, pare che inizialmente M dovesse esser ricoverato presso un ospedale giu-diziario; ma Madame Fortuna volle che non ci fossero posti in nessu-no dei sei oppiggi nazionali. Tra le carte riconsegnate dal dt. Mentòre, in effetti, c’erano anche al-cuni scritti riguardanti l’opera di Marcel Duchamp, i cui astrusi titoli potevano già suggerire un qualche indizio sulla malattia di M, perché il medico psichiatra vi aveva aggiunto la breve e perentoria annota-zione: «L’eccessiva vastità d’argomentazione e il modo contorto e confuso con cui alcuni temi vengono trattati, con un uso spropositato di connettivi e con ripetute e affastellate digressioni nel testo, attende e richiede un analisi di tipo neuropsichiatrico». Per completezza aggiungo che in questi testi, letti ora anche da Fabri-zio, si parla soprattutto e distesamente di ‘visione poetica’ e di ‘quarta dimensione’, motivo già di per sé sufficiente del perché il dt. Men-tòre, secondo il medico pediatra, s’era deciso per la distruzione di tutti i libri di M. D’altronde, in una stampa del fantasmino scritta a commento del suo ultimo quadro ancora in esecuzione e praticamente non finito19, M, in una nota a piè pagina, aveva tenuto a specificare:

19 Marcel (invisible) re-monte un escalier, che riporta, nel retro, la data d’inizio del quadro: 2 novembre 2016 [la sera del 2 novembre 2017 M veniva arrestato; NDR].

60 PARTE SECONDA

«È spesso nell’invisibilità che avvengono cose ancora inconcepibili, stupefacenti, irrazionali, forse inenarrabili».

e lo stupore del medico pediatra, che in quel momento leggeva atten-tamente la nota, arrivò immediatamente alle stelle.

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Helene (M) (50 x 70 cm; Roma, 27 ottobre 2015)

62 PARTE SECONDA

Marcel (invisible) re-monte un escalier (M) (100 x 120 cm; Roma, iniziato il 2 novembre 2016 - non finito)

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DULCINEA DEL TOBOSO VII (THE CREATIVE ACT : MARCEL DUCHAMP)

To all appearances, the artist acts like a mediumistic being who,

from the labyrinth beyond time and space, seeks his way out to a clearing.

(M. DUCHAMP, The Creative Act) Trascrivo qui un altro racconto di M occasionato dal furto ch’egli fece del ‘Grand Livre’ (com’egli lo chiama), un libro costosissimo dedicato all’opera completa di Marcel Duchamp e curato da un italiano - un certo Arturo Schwarz per le edizioni Abrams Books nel 1970 - il cui furto però ben testimonia del grado di incoscienza cui già in giugno M era giunto, perché continuare a rubar libri senza valutare i notevoli rischi e le compromissioni personali che con quell’azione M avrebbe dovuto affrontare per sé e la sua famiglia, significa non aver più quel-le capacità di discernimento che obbligano le persone di buon senso a porsi dei limiti e praticare quella virtù che ormai M in quel momento sembrava aver completamente perso: la prudenza. Nel trascrivere quanto letto, ovviamente, ho tagliato e tralasciato le parti meno interessanti o, per lo meno, quelle che non hanno alcuna attinenza con la malattia di M. Tuttavia, non ho trascurato di segna-lare quanto nella scrittura e nel comportamento di M ci sia di morbo-so e di clinicamente patologico che, oltre a dare visibilità alla sua ma-lattia, avvalora ancora una volta la decisione presa dal dt. Mentòre di far fuoco di tutti i suoi libri.

COME E PERCHÉ RUBAI L’ARTURO

ROMA, 10 GIUGNO 2017 Quando rubai l’Arturo (dieci giorni fa, il primo giugno), ero eufori-co, quasi fuori di me: volevo festeggiare e consacrare con un memo-rabile gesto (fare stealing books rubando appunto Le Grand Livre), il mio magico incontro con Erre Emme. Le avevo da poco regalato un Duchamp, un bel Pierre Cabanne del duemila quattro (Marcel Duchamp. Artista culto del Novecento), ricco di belle immagini e con un testo abbastanza scorrevole, ma con una dedica un po’ banale: «Almeno ogni tanto penserai a me. M». Così avevo scritto stupidamente sul frontespizio. Ma quando contenta e grata venne a ringraziarmi, ero sotto un albero e come un folle scriteriato le dissi improvvisamente che mi sarebbe piaciuto fa-re l’amore con lei.

64 PARTE SECONDA

Sbalordita, ma non preoccupata, Erre Emme sorrise e, attendendo forse una mia replica, non disse nulla. In preda al panico, cominciai allora a farfugliare frasi tipo: «È un’attrazione più mentale che fisica.. Mi sono spinto troppo in là.. Scusami.. Non volevo essere così osé.. Scusami ancora, micetta»; e altre scemenze che ora non ricordo più. Il fatto è che subito dopo cominciai a scriverle lettere d’amore, e più gliene scrivevo più mi sembrava di non riuscire a farle capire quanto da lei fossi attratto, quanto, ormai avvinto dalla sua bellezza, ero preda del desiderio più profondo di lei, nel senso di volerla sentir mia, poterla amare e immergermi completamente in lei, mental-mente e fisicamente, nonostante quanto relativamente poco ho sempre creduto di valere. Via e-mail, come un bambino, le raccontavo anche di alcune mie fantasie erotiche mattutine, del tipo «Stamattina, facendo la doccia.. » etc.; continuamente le dichiaravo folle amore, per la sua bellezza e, soprattutto, per il suo inconfondibile e inebriante magico odore; mi preoccupavo di lei quando ultimamente m’accorsi come non stesse bene per niente: l’amor mio era arrivata a pesare quarantasei chili su cento settantaquattro centimetri d’altezza. Ebbene, il primo giugno duemila diciassette Erre Emme mi diede un bacio. Non racconto tutti i particolari di quel che avvenne dopo, ma certamente quelli furono i giorni più entusiasmanti e più belli della mia vita e ne farò tesoro per sempre, almeno fino a quando morrò. E come riuscimmo a baciarci? Non ci credo ancora, perché imbra-nato come sono, non m’aspettavo assolutamente che una donna meravigliosa come lei potesse gradire che le mie labbra si poggias-sero sulle sue e, infine, mi facesse godere di lei aspirando a pieni polmoni l’odore del suo alito, succhiando e godendo fin dentro l’ani-ma del sapore della sua lingua e della sua saliva. Omissis..

Finché sarò io a trascrivere, taglierò dove giusto a me sembra che sia [NDR].

Eravamo andati a fare un giro per Roma. C’eravamo dati appunta-mento in modo semplice (così, quasi senza pensarci) e solo per ve-derci e ridere un po’ facendoci una passeggiata in centro. Amante della bellezza e dell’arte, non ebbe esitazioni; le piaceva, poi, discor-rere con me: le ero simpatico, ecco tutto. Mi venne incontro in san-dali.. era bella e profumata di sé come non mai. Arrivati in via Veneto, parcheggiammo la macchina e raggiungem-mo subito la cripta dei cappuccini, l’ossario del Seicento che fa ride-re chiunque v’entri. Piena di scheletri e di composizioni ossee in va-rie e strane forme, fatte solo con le ossa dei frati, dei gentili e dei famigli legati a quella chiesa barberiniana, entrando Erre Emme s’era coperta le spalle. Aveva una pelle di seta l’amor mio e, veden-

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dola coprirsi, ebbi un breve tuffo al cuore: quanto avrei voluto ba-ciarle una spalla mentre, contenta, rideva di ciò che in quel momen-to le dicevo! Inoltre, devo dire, m’accorsi semplicemente ch’era feli-ce di stare con me, e me ne accorsi perché la sua bellezza, per questa sua felicità, aumentava oltre ogni misura, e quel che avevo in mente di fare, cioè di baciarla su una spalla, probabilmente le avrebbe po-tuto far piacere. E poi, Erre Emme aveva un sorriso sconvolgente; ogni tanto, mentre rideva, s’emozionava, diventava tutta rossa e mi guardava fissamen-te e quasi incantata negli occhi. S’aspettava, e ne sono consapevole solo ora, che da un momento all’altro la baciassi. Non capivo; come un bambino stupido e capriccioso, non capivo. Incredibile. Anche a santa Maria della Vittoria, davanti alla Teresa in estasi, ci divertimmo da matti. Lei guardava la santa; io le indicavo di guar-dare chi, con marmorea testa, la guardava dai palchetti (la famiglia Cornaro al completo) dicendole: «La donna in preda all’estasi non è certo una santa, ma una donna in carne ed ossa e il marmoreo sguardo degli spettatori che vedi, anche del più ingenuo di loro, te lo fa capire ampiamente. Infatti, è uno sguardo distratto e, dunque, di tipo fisico. D’altronde, se guardi bene, vedi come la santa freme col seno? Vedi come s’offre a chi la fa godere divaricando leggermente le gambe? Vedi come l’angelo sia in procinto di spogliarla? E a cosa credi pensasse il cavalier Bernini quando la scolpì? Guarda dove l’angelo punta la sua freccia; e guarda la posizione del braccio destro della santa: non ti sembra prossima a prendere in mano il sesso del bellissimo angelo?». Mentre le dicevo tutte queste cose, mi venne d’incanto d’accarez-zarla lievemente: dapprima le mani, poi delicatamente le braccia e le spalle, per sfiorarle, infine, inavvertitamente il seno. Rossa come non mai, mi sorrideva un po’ malinconica: c’era qualcosa, d’altron-de, che tra noi non andava. Infatti, mi ostinavo a non capire che s’aspettava un bacio da me. Alle undici e mezzo, infine, davanti alla lanterna borrominiana di sant’Ivo alla Sapienza, due stupidi gelati in mano (mangiati con gu-sto per giunta) non mi davano modo d’avvicinarmi al suo viso. La divina pietà volle però che alla fine, e forse impietosendosi anche lei giudicando ridicoli tutti quei miei stupidi sforzi, togliendomi dalle mani il gelato letteralmente mi si offrì, parandosi improvvisamente col viso di fronte a me. Guardandomi fissa negli occhi e con un ma-linconico mezzo sorriso sulle labbra, sembrava volesse sfacciata-mente dirmi: «Voglio vedere ora cosa fai». Cominciai, allora, ad accarezzarle delicatamente i capelli e ad inon-darla di baci. Due anziani, intanto, passeggiando sotto i portici mi-chelangioleschi dell’Archivio di Stato, ci guardavano stupefatti per l’ardire, ma anche un poco estasiati, mentre io, completamente sot-to shock, non credevo si potesse vivere e gioire così tanto. Pensavo infatti che, da un momento all’altro, potesse scoppiarmi il cuore o esplodere il mondo.

66 PARTE SECONDA

Senza più parlare, se non guardandoci negl’occhi, raggiunta casa sua ci siamo amati. È stato il giorno più bello della mia vita e spero solo che per lei sia stato almeno un bel giorno da ricordare. Alla fi-ne, contenti, sazi e grati l’uno dell’altra, a lungo e con reciproca tre-pidazione ci siamo salutati come due teneri amanti. Sulla soglia che dà sulle scale, riempiendole il viso di baci e strin-gendole ancora una volta i piccoli capezzoli tra le labbra, Erre Em-me ha un suo ultimo splendido sorriso per me. Mentre lentamente scendo le scale, infreddolita e seminuda, mi guarda ancora dal bal-latoio del suo piano sporgendosi un po’ alla ringhiera. Le faccio cenno di non sporgersi troppo; ho paura che l’emozione possa gio-carci un brutto scherzo. Ma da sotto, tra gli svolazzi della vestaglia intravedo ancora una volta il suo sesso meraviglioso di cui ho godu-to fino ad un attimo prima tra le lenzuola. Le sorrido, le mando di nuovo un bacio e un ti amo con un flebile filo di voce, che lei riesce comunque a percepire perché, portandosi dapprima le mani alle guance per poi sorridermi seriamente e arrossire contenta, sottovo-ce m’esprime la sua felicità con un suo breve wow!, mandandomi un bacio. Vacillando un po’ - avevo ancora in mente la mia bocca e il mio viso tra i meandri del suo corpo e del suo sesso - e con la sensa-zione di sprofondare di nuovo, scendo un’altra scala, attraverso il buio corridoio e l’androne e, anche se un po’ frastornato e fuori di me, mi ritrovo in strada. La prima cosa che mi venne in mente in quel momento, esaltando-mi non poco, fu di andare alla Croce: vi avevo visto il Duchamp in versione ‘pregiata’. «Quale impresa più grande!», mi dissi sconside-ratamente. «Credo che questa volta mi freghino», pensai anche. Ma non fu così. L’ultima volta che avevo rubato alla Croce (il mio ultimo Mallarmé), in effetti, m’ero accorto - e consapevolmente perché m’ero mostrato alle videocamere - che l’uomo all’uscita volesse farmi capire che aveva subodorato l’idea ch’io avessi fatto asporto di libri. Ma andai lo stesso: «D’altronde - pensai - è l’unica libreria a Roma che ha l’Arturo»; e m’accorsi in un istante che ero pronto a sfidare le ha-sard giocandoci a dadi. Dal Portico d’Ottavia alla Croce fu un attimo. Le cinque del pomeriggio. Entro in libreria. So dov’è il Duchamp e certo il pensiero di portarmelo a casa non solo mi esalta perché sa-rebbe lo stealing books e l’impresa bibliofago-libresca più grande della mia vita, ma perché l’idea di sfidare con arte la sorte mi diede una forza mentale e un coraggio enormi. Ma devo agire con discrezione e astuzia. «D’altronde è sempre un Duchamp - pensai, improvvisando un po’ - in cui l’inframince agi-sce putting art in the service of the mind, but also putting the mind in the service of Duchamp’s art»20, battuta felice con cui Jay Russell

20 «Mettendo l’arte al servizio della mente, ma anche la mente al servizio della Du-champ’s art» [mia traduzione; NDR].

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aveva chiuso il suo simpatico e formidabile articolo su Duchamp e l’inframince che avevo letto alcuni giorni prima. Faccio il mio giro: letteratura inglese, linguistica, semiologia. Do un’occhiata se c’è l’ultimo di Chomsky: ancora Power and terror. Ma in quel mentre, all’improvviso ripenso a Emme Erre, al magico odore del suo corpo e al sapore inebriante e sconvolgente del suo sesso. L’impressione, la ‘sensazione’, è ancora troppo forte e non riesco a togliermela dalla mente. Vorrei tornare indietro. Sorrido di me per l’infra-sottile emozione provata e, un po’ più convinto, no-vello Igitur decido di dar corso agli eventi. Proseguo così verso il Marcel. «Settecento.. settecento quaranta.. », mi dico leggendo tra me i co-dici sugli scaffali. M’avvicino con fare distratto ai volumi in quel momento lì di fronte a me: un nuovo Borromini, un Ashgate duemi-la diciassette, Borromini’s Space a cura di una giovanissima storica d’arte inglese. È pieno zeppo di riproduzioni a carboncino degli em-blemi decorativi di palazzo Falconieri in via Giulia (e Lungotevere dei Tebaldi) ma anche di calcoli cripto-matematici che, riferendosi ampiamente al kircheriano Magnes sive De Magnetica Arte, Bor-romini andava elaborando paventando l’idea geometrica (e menta-le) di una possibile quarta dimensione. Certo, il suo rivale, il cava-lier Bernini, a suo modo v’era riuscito, ma creandone solo l’illusione. Nel suo Estasi di Teresa, infatti, due fenomeni distinti sono uniti e amalgamati insieme: l’estasi spirituale della santa; l’estasi fisica di una donna. Ma tra le due dimensioni il legame è so-lo e banalmente analogico: vedi l’una, ma non vedi né senti l’altra. Il più poetico Borromini, d’altronde, conoscitore dell’arte magica di Athanasius Kircher suo amico, aveva altre idee. Il Duchamp, intanto, trepidava nell’attesa di vedermi: lo ‘sentivo’. Infatti, e strano a dirsi, come m’avvicinai a lui inspiegabilmente, come trasalisse, con un sobbalzo si spostò. Prima di toccarlo, prefe-rii solo sfiorarlo, mentre con un po’ di sprezzatura agguantavo l’altro libro a lui vicino. Sfogliando quest’ultimo, pensando all’Arturo, per caso m’accorgo di alcune sottolineature: «Ma come? Un libro nuovo già sottolineato? Che strana circostanza!», mi dico stupefatto. Chiudo il libro e rapi-damente leggo il titolo sulla copertina: Carla Brilli, Prolegomeni al-lo studio della frattura epistemologica e linguistica nell’arte di Marcel Duchamp, Laterza duemila diciassette. Riapro il libro. Riprendo a sfogliarlo. Ma improvvisamente entusia-sta a piè pagina leggo sottolineati, e su più pagine, alcuni rimandi (o cfr.) a miei articoli su Duchamp. «Sto impazzendo.. la professoressa Brilli mi cita! Che meraviglia!», penso tra me come un ebete; «e vi-cino al Marcel!», mi infervoro, infine, vedendo quel libro, con all’interno il mio nome, affiancato allo Schwarz. Il mio entusiasmo è alle stelle. Depongo il libro che ho in mano e, mentre penso: «Proverò un’altra volta a portarmelo a casa.. magari da un’altra libreria», delicatamente e con ossequio sollevo dallo scaffale il Duchamp.. Le Grand Livre.

68 PARTE SECONDA

ORA, tra le mie mani, sembra che il libro si sfogli da sé, leggero, come volesse raccontarmi quel che vedo e leggo tra le sue pagine. Le immagini le conosco (quasi tutte), ma son più belle perché meglio riprodotte. Ecco però che alcune postille che accompagnano e gui-dano al Grand Verre, ovvero à La Mariée mise à nu par ses céliba-taires, même, mi emozionano. Leggo, infatti, nel testo:

THE CREATIVE ACT

To all appearances, the artist acts like a mediumistic being who, from the labyrinth beyond time and space, seeks his way out to a clearing..

Omissis..

NDR: L’editore che ha voluto stampare questa mia trascrizione ‘a ver-bale’, ha qui deciso di tagliare a profusione su tutti quegli argomenti che esulano dall’obiettivo di dare una logica spiegazione della malat-tia di M. Il fatto è che l’editor congolese che lesse e corresse per pri-mo queste pagine, codesti argomenti non li aveva proprio capiti, e dunque ritenuti subito dall’editore come non funzionali a spiegare l’incredibile malattia di M. Segue, in effetti, tutta una enorme e artificiosa ‘pippa’ sull’arte e il pensiero di Marcel Duchamp, l’inframince e la quarta dimensione di cui, ahimè, davvero non si comprende praticamente quasi nulla. Questo, d’altronde, fu anche l’ultimo commento di Fabrizio che in quel momento chiudeva il fascicolo e, con sgarbata imperizia, lo ridi-sponeva nel fantasmino. Tra l’altro, in questi appunti c’è anche uno strano modo - quasi ‘mistico’ - di concepire il concetto di ‘apparizio-ne’, inteso cioè contraddittoriamente o come parusìa o come sacred space, ossia di qualcosa che, secondo le incomprensibili parole di M, rimane al di là di ciò che appare. Della dinamica invece di come avvenne il furto non se ne sa nulla, perché M stesso ne tralascia la ricostruzione quando comincia a di-vagare sulla quarta dimensione, su cui, sostenendosi al concetto di inframince, M si produce in alcune sue mirabolanti riflessioni sulla natura ‘fisica’ delle diverse e profonde emozioni che certe parti del corpo della signora Erre Emme gli avevano procurato. Una cosa, tra le altre, che però lascia ulteriormente perplessi, è quando M fa cenno a un certo dt. Kircher (ovviamente uno pseudo-nimo), sulle cui tracce, afferma, sta scrivendo il suo grimoire, ma senza darne ulteriori ragguagli. Ovviamente, non mi dilungo su cosa e come si svolge il seguito di tut-ta questa vaga esposizione di M sulle sue concezioni artistiche e le sue velleità narrative perché, oltre ad essere intrisa di termini desueti

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e percorsi mentali tortuosi, M - così come scrive e lascia intendere - sembra intenzionato a dar forma a uno spazio mentale ch’egli consi-dera come ‘illimitato’, annotando copiosamente nel testo le parole clairière, clearing e radura. Una sorta d’iperspazio, dunque, da lui stesso inventato solo per sé e in cui deporre, con animo ‘feticistico’, com’egli dice, «tutti i suoi pensieri e i suoi ricordi più felici». Così, d’altronde, termina lo scritto di M, lasciando attonito, ancora una volta, il medico pediatra.

70 PARTE SECONDA

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DULCINEA DEL TOBOSO VIII (ULYSSES: AN INCREDIBLE BLOOMSDAY)

Shut your eyes and see.. (Ulysses, III)

Riproduco qui, e quasi per intero, un altro racconto del giugno scorso scritto da M qualche giorno dopo lo sbalorditivo stealing books ch’egli fece dell’Ulisse perché, oltre a render bene l’humus mentale e il grado di delirio in cui M versava già a quel tempo, può anche ben giustificare la condotta che il dottor Mentòre ebbe nel decidere di dar fuoco a tutti i suoi libri, considerati a tutt’oggi come la più probabile e chiaramente ineludibile ragione della sua singolare affezione e, per logica conseguenza, anche della sua sparizione. Come l’ebbe tra le mani Fabrizio, che l’aveva testé sfilato dal fanta-smino in attesa che i Ventinove in seconda incenerissero in toto nel camino, n’era rimasto subito incuriosito proprio perché v’erano mol-tissimi riferimenti all’Ulisse, il libro che, tra i primi ad essere incene-rito21, era anche tra i più amati da M, che gliene parlava spesso, insi-stentemente e con dovizia di particolari, nonostante non destasse in lui la benché minima curiosità. Fatto assai insolito e curioso, però, è che resta ancora da capire, an-che dopo aver letto queste note, se M scrivesse solo per sé o per far poi leggere a qualcuno altro quei deliri di cui andava scrivendo e che, mi si lasci dire, qualsiasi editore di buon senso, anche fosse sotto tor-tura, non pubblicherebbe mai. D’altronde, M sembra non avesse mai scritto prima d’allora, né, tantomeno, pubblicato nulla. Una donna, tuttavia, sebbene rimasta nell’anonimato ma pare cono-sciuta dal medico pediatra (sembra in effetti ch’egli la incontri ancora nel suo condominio quando va a far visita a una sua amica, anziana anche lei), qualche mese prima aveva rivelato al pediatra stesso, e con vivo e grave disappunto, che il suo amico M le aveva scritto delle lettere [e forse inviato anche delle rose bianche; NDR] e dunque gli si raccomandava affinché, parlando appunto col suo amico, ciò non ac-cadesse più. Non so dire come questa donna conoscesse M; posso però dire che, almeno agli occhi di Fabrizio, per il portamento, il tipo di sguardo e il contegno che dimostrava, essa appariva come una donna ‘altera, candida e d’estrema bellezza’: proprio così s’espresse il medico pedia-

21 Il Ventottesimo, ossia il penultimo del primo abbrugio e poco prima del Finnegans [NDR].

72 PARTE SECONDA tra davanti al gemello di M che gli chiedeva chi fosse e perché M le aveva scritto. Riguardo questa faccenda, inoltre, Fabrizio si ricordò - e non si capisce in base a quale improvvisa illuminazione - delle due stampe in antico inglese intitolate ‘FOR GEA’, quelle che, trascritte da Spenser e narrando di una certa Mirabella, riportavano anche una strana nota in inglese che M aveva aggiunto a piè pagina, a margine e forse a commento dei due scritti. In effetti, nelle due note a piè pagina delle due stampe spenseriane intitolate ‘FOR GEA’, che all’apparenza avrebbero potuto produrre chissà quali fantasiosi pensieri nel medico pediatra, era scritto:

Attention to the lengthy but generally neglected Mirabella episode of Book VI of The Faerie Queene reveals discomfort with any chal-lenge to accepted hierarchies of class and gender. Surrounded in the Book of Courtesy by numerous erring women who are rescued, for-given, and reformed, she alone is not only punished for her particu-lar discourtesy, but is punished in such a way as to leave no hope for redemption. Even so, she refuses Prince Arthur's offer of help for fear of some greater ill than the endless penance imposed on her by Cupid. Of Mirabella’s woes she writes, “the very nature of her pun-ishment prevents its completion”, for it demands the “painful ab-surdity” of constant wandering with the encumbrances of Disdaine and Scorne.

Questione assai più spinosa, tuttavia, che però il circonciso Fabrizio avrebbe voluto far passare sotto silenzio nel timore di non essere cre-duto, perché le pazzie di M arrivarono qui al limite e all’estremo se-gno della follia che di lui s’era impadronita, fu quel che M aveva scrit-to in quelle lettere, perché pare che quel ch’egli scriveva già a quel tempo sono le cose più turpi e indecenti che un uomo sciagurato e meschino come lui avrebbe potuto scrivere a una donna di tal fatta. E su questo credo non può esserci alcun dubbio, considerato anche che, secondo quanto riferito al fratello gemello di M dal medico pe-diatra che le aveva lette e sbirciate tra le bellissime mani di quella donna, M in quel momento sembrava avesse già ben compromesse le sue facoltà mentali; ovviamente quelle che nell’ordinario son previste in un uomo della sua età. In quel periodo, infatti, M aveva anche ricominciato freneticamente a dipingere e, a detta della moglie, fin quasi all’ossessione. Negli ultimi mesi, se non dormiva, spesso si chiudeva nel suo studio, s’accompa-gnava con vino rosso, cioccolato con nocciole, caffè e sigarette e co-minciava a dipingere, in silenzio. La moglie, intanto, si preoccupava per quanto M mangiasse pochissimo e dormisse tantissimo. Dai titoli dei quadri, e dalle sue meticolose descrizioni, poi, si potrebbero evin-cere o dedurre molte cose con cui efficacemente spiegare lo stato

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mentale di M e con esso le ragioni da riconoscere al dt. Mentòre: ad esempio, il titolo Den Müttern ! (con sottotitolo: Grotta di Montesi-nos) dato a un quadro recente e accompagnato dalla nota datata.. Ma di questo daremo più precisi e estesi ragguagli quando sarà il medico pediatra a parlarne nel serrato colloquio col gemello e la mo-glie di M, cosa di cui si tratterà meglio e approfonditamente nel capi-tolo che seguirà. Del resto, quel che emerge nel racconto che a breve, dopo averlo ben vagliato, trascriverò qui sotto, è il modo con cui, senza più attenersi ad un benché minimo principio di coscienziosità o d’onestà morale, M tendesse a piegare e assoggettare alle sue spregevoli voglie la vo-lontà di qualsiasi donna potesse capitargli a tiro: nel caso specifico una ragazza di ventitré anni. «L’età di suo figlio.. », fu infatti il commento stizzito del medico pe-diatra mentre leggeva. Del racconto tralascio ovviamente, com’è ormai mia consuetudine, le scene inenarrabili, e non solo quelle fatte di sesso, le cui descrizioni fanno rabbrividire chiunque abbia un po’ di buon gusto e di senso comune, ma anche quelle costellate d’innumerevoli divagazioni e cu-riosi alambicchi mentali sull’arte e il pensiero di Marcel Duchamp, divenuta ormai pratica corrente di M quando, nei suoi ultimi scritti, sprofonda o scende ai suoi livelli più infimi e pretende di giustificare a suo modo il perché v’approda. In alcune di queste note, d’altronde, M aveva più volte scritto:

Scendere o salire.. tanto per me fa lo stesso. Non so ben dire cosa significhi perché non son stato ancora in grado di stabilire quale ne sia la fonte, anche se riconosco che v’è qualcosa di diabolico in questa ambigua frase. Leggendo questa nota però mi chiedo: se è lui che scrive, sembra sia ormai allo sbando; ma se sono parole scritte da qualcun altro - ed io questo ancora non lo so - signi-fica che M ha fatto tesoro di quel che ha letto e ora lo segue alla lette-ra. Del resto - e sia detto qui per inciso e senza vestire i panni di un Polonio improvvisato - non posso negare che a volte qualcosa di quel che M scrive tocca, assai percettibilmente e sensibilmente, l’anima. Il medico pediatra, nel leggere il breve racconto tutto d’un fiato, ne rise a crepapelle più di una volta, e più di una volta fece tra sé com-menti salaci, indignandosi poi per alcune descrizioni di natura eroti-co-fisiologica che, per la verità, è bene ch’io censuri, perché quanto v’è scritto non credo possa ripeterlo o trascriverlo qui senza poi do-vermene pentire. Ecco, dunque, quel che M scrisse alcuni giorni dopo su quanto gli ac-cadde il sedici giugno scorso.

74 PARTE SECONDA

SULLA SPIAGGIA DI SANDYMOUNT (A Great Wonderful Incredible Super Spectacular Bloomsday)

ROMA, DOMENICA 18 GIUGNO 2017

Incredibile! Pazzesco! Illogico! Fantastico! Stupefacente! Irraziona-le! Irreale! Da quando mi sono innamorato (anche se non corrisposto) me ne succedono di tutti i colori. L’altro ieri, venerdì sedici, finalmente son riuscito a rubare Ulysses. Era almeno due anni che volevo comprarlo ma l’altro ieri, non so perché, m’è venuta improvvisamente voglia di rubarlo. Forse la ricorrenza, o più probabilmente per quel che m’era succes-so nel pomeriggio, la sera, per festeggiare o commemorare quel fan-tastico giorno che si svolse e dispiegò tra l’erotico e il letterario, volli rubare Ulysses nella nuova traduzione einaudiana di Gianni Celati, di cui già all’uscita se ne parlava come di una ‘nuova opera’, comple-tamente diversa da quella storica e datata curata dal De Angelis per i Meridiani oltre cinquant’anni fa. Alla Mondadori di via Piave, la cui misteriosissima direttrice-proprietaria espresse una volta il suo apprezzamento per la scrittura vintage22, son riuscito a trovare Ulysses solo dopo averne chiesto informazioni al nuovo commesso: sullo scaffale non ce n’era nean-che uno perché, pare, ne avessero già rubate tre copie negli ultimi sei mesi. «Così poche in tutto questo tempo?», mi son chiesto sbadatamente a voce alta, portandomi poi le dita alle labbra per lo stupore per quel che avevo detto. Il fatto è che in quel momento mi sentivo anche pronto a farmi arre-stare. Sicuro di me, sfidavo la sorte, le hasard. D’altronde, dopo aver assaporato con profondo piacere del sesso giovane, chiunque si sarebbe sentito pronto ad affrontare l’ignoto come io, novello Igitur, in quel momento avevo deciso di fare. Ma andiamo per ordine, perché di fatti accaduti l’altro ieri, ce ne sono molti. Venerdì scorso, dunque, verso le tre del pomeriggio, dopo aver ac-compagnato mio figlio a Fregene per una festa di compleanno, mi prende una strana e incredibile voglia di fare una passeggiata in riva al mare. Non so spiegarmi il perché: infatti, nonostante l’abbigliamento e la mia abituale repulsione per il sole, è come se sentissi nell’aria che

22 Alla presentazione di un libro alla Sala del Carroccio, in Campidoglio, con discreto entusiasmo così s’espresse: «Amo questa scrittura, questa letteratura così vintage!». Ma la cosa che più mi sorprese, e a lungo mi rimase in mente e mi commosse, fu il mo-do e la tonalità con cui quella bellissima donna aveva usato quel verbo, ormai caduto quasi in disuso e che, almeno a me così sembra che sia, quasi nessuno è più in grado di usare con intelligenza.

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qualcosa di stupefacente si stesse realizzando; e da sé, senza alcuna mia volontà. Preso un caffè nel primo stabilimento che incontro, m’incammino dunque, a passo lento, lungo la spiaggia e, dopo poco, giocando col pensiero e dicendomi distrattamente ‘Thalatta! Thalatta! La nostra grande.. dolce.. Madre’, mi ritrovo pago e compiaciuto sul bagna-sciuga. L’aria è frizzante: ci sono un bel sole e una brezza piacevolis-sima. Certo, con tutti i capelli al vento, in giacca e cravatta e scarpe nere coi lacci, m’accorgo subito che la poca gente presente, incuriosita, mi lancia sguardi stupidi e increduli. Lascio correre; non me ne preoccupo; non me ne importa assoluta-mente nulla. Il mio pensiero, d’altronde, guardando il mare, la spiaggia, i riflessi del sole sull’acqua, è ora interamente assorbito dall’amor mio. Tuttavia, con la sinistra in tasca e strofinando senza pensare il mio fazzoletto rosso, scorgendo per caso sulla battigia alcune conchiglie rotte amalgamate ad altro putridume, inaspettatamente mi vien su-bito in mente il moccichino verdemoccio del giovane bardo gesuita che, di giovedì alle dieci, passeggia inquieto sulla spiaggia di San-dymount, il sedici giugno del millenovecento quattro. Da quel mo-mento il pensiero di Ulysses m’accompagnerà per l’intera giornata. Malgrado ciò, pur pensando intensamente e con grandissimo piace-re al libro, non era affatto nei miei pensieri l’idea che la sera stessa avrei deciso di rubarlo. Dopo un po’, però, e con mia enorme sorpresa, un’esuberante e bel-lissima ragazza bionda - «Che sublime apparizione», pensai d’im-pulso - da lontano e vistosamente sorridendomi, mi viene incontro correndo. Lì per lì non capisco chi sia né cosa possa volere da me una donna così giovane. A trenta metri (non vedo più bene) improvvisamente, attonito e sbigottito, riconosco folgorato la Kles. «Ahojjj!.. Ciaoo!», mi fa entusiasta di vedermi. «Jak se máš?.. Come stai? E che ci fai qui.. così?», mi chiede stupita anche nella sua lin-gua guardandomi incredula e ridendo per il mio strano abbiglia-mento. «Alx! Che sorpresa! Che bella sorpresa.. », rispondo d’istinto ma rimanendo profondamente impressionato e turbato dalla sua enor-me bellezza. Noto, infatti, insieme al suo entusiasmo nel vedermi, che Alx quasi nuda ha una forma fisica da urlo e d’inverosimile bellezza; il che mi fa riflettere un po’ e, quasi impercettibilmente, sento che il suo cor-po e la sua presenza stanno facendo crescere in me un indefinibile stato confusionale: alta poco più di me, un metro e settantacinque circa, natiche di linea morbida e compatta, seni perfetti e gambe ben tornite e svelte, scaldano subito i miei istinti primoriali. «Potrà mai essere la mia piccola Gerty?», penso tra me come un cretino conti-nuando a giocare con Ulysses.

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Omissis.. NDR: Altri pensieri o riflessioni di M sul corpo della ragazza, che de-notano quell’humus mentale cui ho accennato all’inizio, e cioè che l’uomo che narra è ora in preda ai suoi più bassi istinti e non control-la né mitiga assolutamente il suo modo di esprimersi, sono stati da me omessi. D’altronde, in queste sue continue divagazioni di natura anche sessuale, sembra che M sia costantemente in cerca degli angoli più oscuri e nascosti del mondo, per entrare nei più intricati labirinti della sua mente e raggiungere e affrontare ad ogni passo l’impossibile che egli si è proposto, trascrivendo spesso, a giustifica di questa sua inverosimile ricerca, passi estratti dal Sein und Zeit di Martin Hei-degger. Inoltre, sembra ormai essersi abbandonato ai capricci di Ma-dame Fortuna, perché, come con evidenza appare nei suoi scritti, non tiene più conto di nulla che possa distoglierlo da ciò che ora il suo corpo comanda. Tuttavia, e questo devo dirlo perché avrà certo un suo significato - e soprattutto dopo aver letto le analisi fatte dal dottor Mentòre - in questi frangenti ricorre spesso, e in particolar modo più avanti quan-do M si trova vis à vis col sesso della ragazza, la frase: ‘Ineluctable modality of the visible: at least that if no more, thought through my eyes’, ripetuta spesso sottovoce, ma chiarissima allusione al fatto che tale visione sia in qualche modo connessa al suo delirio erotico pseu-do-letterario. E quando, in procinto di immergersi col viso tra le gambe della ra-gazza, M ripete fra sé e scrive più volte la frase ‘Shut your eyes and see’, è ben evidente che ormai sia fuori di sé, cioè che è in preda al suo delirio joyciano e il suo senno fa fatica a rimanere intero. Quel che sorprende è che Fabrizio, proprio qui, leggendo queste ri-ghe, a un certo punto, contento di ricordare, ridendo fra sé esclama: «L’Origine du Monde!». Incredibile, anche il non più giovane medico pediatra, ricordando un quadro di Courbet visto qualche anno prima al Musée d’Orsay - e in base al quale M gli aveva parlato dell’Étant donnés di Marcel Du-champ facendogli notare alcune importanti differenze - è ora in pre-da alle sue faunesche fantasie. L’Aprés midi d’un faune ora suona an-che per lui. Di quel quadro, tuttavia, M gliene parlava dicendogli niente meno che puzzava di naftalina; cosa che gli ripeteva spesso quando anda-vano per mostre d’arte e soprattutto di fronte a quelle opere pittori-che ottocentesche (i macchiaioli toscani, per esempio) che il medico pediatra prediligeva. Della Vagliatrice di grano diceva, invece, ri-dendoci su, ch’era quella ‘fetente di Aldonza’, ossia l’enorme fregatu-ra destinata ad uccidere il Cavaliere dalla Triste Figura. Non so cosa

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intendesse dire, però son certo che l’uomo che qui di seguito scrive, con quel tono ermetico e quasi ‘solenne’, mostrava già da tempo i se-gni della pazzia. Certo, non intendo qui definire i suoi gusti e farmene giudice, ma mettere solo sull’avviso che quanto viene scritto da M sregola com-pletamente dalla normale sintassi mentale. Ad esempio, frasi del tipo: ‘sensus carnis vs. carnalis concupiscen-tiae’, solo pensate e trascritte nei suoi appunti, non denotano alcun senso, anche se qui una nota fa riferimento a uno strano racconto in-titolato Brève conversation avec Théophile Gautier, datato 22 giu-gno 2017, in cui si apprende che M, in ragione della sua voluptas carnalis, parla e chiede consiglio allo scrittore francese come se lo conoscesse. Riattacco perciò il racconto leggermente più avanti, tralasciando e passando sotto silenzio quel che a me sembrano non solo inutili mi-nuzie, quanto soprattutto delle inenarrabili volgarità e delle misera-bili trivialità; il ché fa lo stesso.

«Ho accompagnato mio figlio a una festa qui vicino e, già che c’ero, ho pensato che, dopo tanto tempo, m’avrebbe fatto bene prendere un po’ di sole in riva al mare. Sai, un po’ di vitamina D rinforza le os-sa e tonifica i muscoli, ed io, come vedi, ne ho un gran bisogno», le dico fingendo di claudicare un po’ facendola ridere. «E tu invece?», le chiedo di rimando perché non so più cosa dire. «Io sto qui.. come te [ride] per prendere il sole.. e sto col mio ragaz-zo. Anzi, dai vieni che te lo presento!», mi dice con il suo grazioso accento boemo23 e continuando a ridermi letteralmente addosso per il modo buffo e fuori luogo di come son vestito. Facendomi strada verso il suo ombrellone, mi presenta così al suo amico. «Questo è Mattia.. E lui.. è Em, un mio amico d’università.. Diciamo anche.. una delle persone più colte e bizzarre che conosco», dice la Kles ridendo e con un tono, devo dire, eccessivamente entusiasta e di burla insieme. Un giovanotto, anche lui piuttosto atletico e bello, mi stringe così, con raccapricciante vigore, la mano. «Piacere, Rodolfo Mattia», mi dice con accento vagamente triestino e un tono un po’ stupidamente cameratesco. «Molto piacere, Em», rispondo garbatamente di rimando schernen-domi un po’ per l’eccessivo entusiasmo con cui Alx m’ha presentato. «Romano?», mi chiede infine il giovane con aria un po’ saccente e arrogante ma con l’evidente goffaggine di chi non sa proprio cosa dire.

23 Le vocali sono graziosamente sempre aperte; inoltre, porta sempre un’accentuazione sulle occlusive bilabiali che, se accompagnata dal suo splendido sorriso, metterebbe in moto a chiunque il desiderio di voler fare l’amore o del sesso con lei.

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«Casualmente.. e solo per nascita», rispondo con un po’ d’acredine e falso pudore, che poi è quello che assumo perché tipico di quel Mr Bloom, a cui in quel momento vagamente sto pensando, che nel tar-do pomeriggio di quel giovedì sedici giugno millenovecento quattro, quando s’aggira per le vie di Dublino e incontra gente a lui quasi sconosciuta o variamente antipatica, per togliersi d’impaccio, in questo vago modo s’esprime, lasciando l’interlocutore che ha di fronte più che perplesso e stupefatto.

NDR : Faccio proseguire qui la narrazione fatta da M (tagliando ov-viamente dove serve) soltanto per mettere in rilievo il suo ambiguo comportamento. Difatti, ogni qual volta che M cita l’Ulisse è come se intendesse dar forza, credibilità e valore a quel che scrive; e quindi sfacciatamente giustificarlo. Ciò significa che tutto ciò di cui M ha fatto tesoro delle sue letture, non sempre trova un risvolto di tipo ‘letterario’, quanto piuttosto - e mi si lasci dire - morbosamente ed esclusivamente di tipo erotico, come in seguito l’eventuale e paziente lettore potrà verificare.

Consapevole dell’evidente disagio in cui senza volerlo siamo andati a cacciarci, la Kles mi chiede allora, con fare lievemente nervoso, se voglio bere qualcosa. «Una schweppes all’arancio.. grazie», rispondo rapido per aiutarla ad uscire dall’imbarazzo. «Può portare una schweppes all’arancia, prosím, s’il vous plaît?», chiede la Kles al waiter in quel momento lì di passaggio. Vestito in quel modo, però, accanto a due giovani semi-abbronzati e terribilmente aitanti, faccio fatica a sentirmi a mio agio. Finalmente arriva la schweppes. Porgo, di conseguenza, una banconota al ra-gazzo del bar, ma subito la Kles gli fa cenno di non prendere i miei soldi. Ringrazio garbatamente e, con una banale scusa (il caldo e l’abbigliamento inusuale), dopo aver bevuto rapidamente metà di quell’intruglio arancione, cerco di congedarmi. «Ma già vai vià, Em?», mi chiede allora Alx con l’aria di una che sembra faccia finta d’essere un po’ dispiaciuta. «Ma sai.. il caldo, queste scarpe, e così come son vestito..», rispondo come posso pur di tirarmi fuori da questo impaccio che m’infasti-disce e togliere immediatamente il disturbo. All’improvviso, però, la Kles mi chiede se sono in macchina e se, per caso, sto tornando a Roma. Annuisco, anche se un po’ confusamen-te. «Posso tornare con te Em?», mi chiede allora vagamente frignando ma con un sorriso così dolce e un po’ ambiguo che mi eccita e mi dà da pensare. «Ti dispiace Em? Sai, ma ho un tal mal di testa che ora tornare in moto proprio non me la sento, con tutto quel rumore.. quel vento.. », mi dice frignando ancora un po’ ma guardando seria il suo Mat-tia.

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«Non ti preoccupare.. non vado di fretta.. ti aspetto. Ma avete fatto il bagno?», chiedo infine per cambiare discorso notando il rabbioso rossore sul viso del ragazzo. «Mah.. L’acqua era un po’ fredda.. e anche un po’ sporca», risponde la Kles cercando di sostenermi per uscire dall’imbarazzo di una si-tuazione che si sta facendo piuttosto critica. Provo a ripensare a Ulysses, ma non ci riesco un granché: faccio fa-tica a distrarmi ed estraniarmi da quel che succede. Cerco di sforzarmi. Sono le tre e un quarto: è il momento in cui l’ebreo errante è a pranzo all’Ormond, dove Dedalus padre, stupi-damente pavoneggiandosi, canta divinamente una struggente ro-manza. Ma subito mi viene in mente (e non capisco perché) quando più tardi, verso le sei, Mr Bloom viene aggredito dal Cittadino, il co-glion feniano antisemita che gli si scaglia furiosamente contro. Ma cosa gli aveva detto il ‘magico’ Bloom per far arrabbiare anche Garryowen, quel cesso di cane così ringhioso e insolente? Gli aveva gridato forte e in faccia: «Viva Israele! Viva Israele!! Viva Israe-le!!!»; e per ben tre volte e ben in faccia! Grandissimo, Mr Bloom! Era la prima volta che l’orgoglio e la digni-tà d’uomo emergevano nel circonciso, sebbene il Cittadino avesse avuto ancora l’insolenza di tirargli dietro una scatola di biscotti ma, non per caso, rigorosamente vuota. «E l’asburgico Mattia Rodolfo potrebbe essere un tipo del genere?», mi chiedo provando a convincermi sforzandomi un po’. «Ma no.. », mi rispondo subito. «Sembra buonino e non un banal demente pronto a menar le mani», continuo a dirmi cercando di rassicurar-mi. «Em? ti va allora di tornare a Roma?», mi chiede infine un po’ im-paziente la Kles. «Ma certo. Preparati.. e quando sei comoda andiamo», le rispondo con gentilezza sorridendole. Rapida, allora, Alx si veste, raccoglie le sue poche cose nella borsa e mi fa cenno, con aria leggermente interrogativa e allusiva, d’esser pronta. «Allora ciao, Mattia. E scusami, ma sai.. proprio non me la sento di tornare in moto. Ci vediamo domani, Hallo mein schöner Bub! E poi mi dici quanto hai speso. Ciao, Mat», fa la Kles al giovanotto sempre più imbronciato cercando, guardandomi, di banalizzarne davanti a me l’irritazione. «Io son pronta.. e se ti va possiamo andare.. », mi dice allora con un mezzo sorriso che mi fa capire che non vede l’ora di andarsene e li-berarsi di quel ragazzo. «Allora, Mattia Rodolfo, arrivederci. È stato un piacere averti cono-sciuto», faccio al giovane che ora ha l’aria un po’ più frastornata. Con la Kles in short bianchi, maglietta verde e di una bellezza infini-ta, m’incammino così verso la macchina. Rapidamente penso: «De-dalus morirebbe d’invidia all’istante, se mi vedesse». «Senti un po’ micetta», le dico dopo un po’ mentre andiamo verso la Rover.

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«Ti andrebbe di fare un bagno poco lontano da qui? Sai.. me n’è presa voglia.. a me non dispiacerebbe», concludo sorridendole leg-germente.

NDR : Ecco, dunque, come il concupiscente e lussurioso M mette in atto le sue abiette strategie: con qualche ridicolo vezzeggiativo, e mo-di non particolarmente gentili ma decisamente ambigui, riesce a cir-cuire una giovane donna che, forse inconsapevolmente, si lascia in-cantare e conquidere da lui senza batter ciglio. Il fatto è, e per questo me ne scuso con il paziente e potenziale lettore che s’inoltra a leggere queste righe, che ora son costretto, e a malin-cuore, a far proseguire il racconto di M, giacché da qui si può ben de-durre lo stato mentale, psicologicamente folle e un po’ criminale, in cui il signor M versava già da quel sedici giugno scorso.

«Siiiii.. », mi risponde immediatamente la Kles ridendo e gongolan-do come una bambina contenta di far qualcosa che in quel momen-to, così almeno a me è sembrato, la rende felice e la ecciti un po’. «A proposito Alx.. hai un asciugamano anche per me?», le chiedo un po’ fanciullescamente. «Purtroppo io non ne ho», aggiungo. «Mm.. ho un belissimo asciugamano grando grande che può basta-re a tutti due. Non te preocuppare», mi risponde con voce amorevo-le, guardandomi dolcemente negli occhi e prendendomi ancora un po’ in giro per il mio buffo modo di essere lì con lei. M’accorgo, tut-tavia, anche dai troppi errori fonetico-ortografici, che anche la Kles si sta emozionando. Saliamo in macchina. Madame Fortuna vuole che abbia messo dei boxer azzurro scuro che, molto vagamente e alla lontana, possono anche somigliare a un costume. Al Villaggio dei Pescatori, dunque, fermo la macchina. La Kles, in-tanto, mi sorride deliziosamente, forse per averla fatta in barba al ragazzo o, forse, e più probabilmente, perché ora è contenta di stare con me. Arrivati in spiaggia, però, con non poca fatica comincio a spogliar-mi: giacca, scarpe, calzini (un buchino sul destro!), cravatta, cami-cia, maglia intima, pantaloni. Uff. La Kles, intanto, continua a ridermi letteralmente addosso, accen-tuando in me la tragicomica difficoltà che ho nello svestirmi. Ma quando finalmente mi ritrovo seminudo, la Kles assume uno sguar-do un po’ diverso, o, se così posso dire, leggermente più attento ver-so di me, guardandomi sempre più spesso, e fuggevolmente, negli occhi. «Però.. non ti facevo così ben proporzionato», si lascia sfuggire qua-si stupidamente la Kles. «Ma dai.. che sciocchezza. Davanti a te, poi.. a questa gran meravi-glia che sei.. », azzardo.

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Ad un certo punto, però, m’accorgo che lo sguardo di Alx s’è fatto d’incanto leggermente più cupo e pensieroso. Penso in un lampo che non c’è traccia di scene simili in Ulysses. «Dolcezza dai, buttiamoci in acqua!», provo allora a dirle con fare scherzoso invitandola ad andare verso la riva. Alx, però, inspiegabilmente è rimasta immobile e, come se non ascoltasse più quel che le dico, ora mi guarda seria ma in un modo e con un fare, almeno così a me appariva in quel momento, sempre più curioso e attraente o, se così posso dire, stranamente incantato. Capisco improvvisamente che vuole un bacio da me. Imbranato co-me sono, Madame Fortuna vuole che mi senta in grado di accarez-zarle i capelli e, accompagnandola delicatamente per la nuca, ba-ciarle teneramente le labbra. Ci incamminiamo così verso il bagna-sciuga, sfiorandoci spesso le mani e guardandoci più volte negli oc-chi. «Brrr, che freddo!», fa Alx tutta intirizzita nel mettere un piede in acqua che però la elettrizza. E in quel momento m’accorgo che la sua bellezza ha ormai preso il sopravvento su di me. Piano, allora, mi avvicino a lei. C’è vento; non c’è nessuno; ci guar-diamo rapidi negli occhi; i nostri ventri si sfiorano e teneramente, ma con un po’ più di passione, la bacio di nuovo. Le nostre lingue, però, ora si cercano, si rincorrono e cominciano a giocare tra loro. Un gran sorriso, esaltato dal rossore che le è divampato sulle guan-ce, si stampa ora sul suo bel viso. Come due veri amanti ci prendia-mo allora per mano ed entriamo in acqua. Lasciandola, faccio per buttarmi, ma non ho il coraggio perché il freddo che sento in quel momento m’inchioda. Lei intanto però s’è tuffata, e subito, senza pensarci e non riuscendo a trattenermi, le vado dietro. Come in un dolce liquido amniotico ci incontriamo felici sott’acqua; ora ci sfioriamo le labbra e, accarezzandoci un po’ ovunque per tutto il corpo, ci baciamo. Sento ora i suoi seni sul mio petto; sono ben turgidi e gonfi. Mi sto eccitando; cerco di controllarmi. Alx però se ne accorge; riemergiamo. Alx ride, ma ride e tossisce ora in un modo quasi isterico; sembra dovuto al freddo, anche se il fatto di essermi eccitato davanti a lei sembra la gratifichi. «Ma cos’hai per ridere così tanto», le chiedo ridendo e tremando anch’io. «Mi sono accorta, sai.. Ma non ti preoccupare, dai! Perché la cosa.. se posso dirtelo Em.. non mi dispiace per niente», mi dice prenden-domi piacevolmente ancora un po’ in giro ma guardandomi sottec-chi ridendo. «Anima mia.. è un fatto naturale, non credi? E poi, non ci trovo nul-la di male.. perché davanti a tanta bellezza è difficile non perdere il controllo e dunque, se puoi.. scusami», rispondo un po’ imbarazzato ma divertito. «Ma dai, figurati.. e poi non te preocuppare», mi dice con fare leg-gero continuando a ridere. «Non son mica una scema bigotta», ag-

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giunge, ma accompagnandosi con quel suo incantevole sorriso che per me sta diventando il suo inconfondibile marchio. «What, Me Worry?», penso intanto fra me come un idiota. Improvvisamente, però, divento un po’ più serio. Guardandola in-tensamente negli occhi, con l’acqua che ci ricopre fin quasi all’altez-za delle spalle, la prendo deciso per la vita e l’avvicino a me, mentre il mio sesso si spinge sempre più verso di lei. Anche Alx ora non ride più. M’accorgo che si sta emozionando, e al-lora più deciso la bacio di nuovo e quasi smodatamente in bocca. Mentre le nostre lingue si toccano e si rincorrono, sento ora la sua mano scivolare deliziosamente sul mio sesso, ormai inesorabilmen-te eretto. La guardo negli occhi stupito ed estasiato e, baciandola sugli occhi, le infilo una mano nello slip, accarezzandole dapprima l’orifizio anale e poi, con più diletto e piacere, il clitoride. Alx ha le palpebre socchiuse e, con la mia lingua leggermente insinuata tra le sue labbra, stiamo piacevolmente godendo l’ebbrezza di questi pic-coli preliminari.

NDR: Interferisco qui, mi si perdoni, per precisare che l’uomo che narra è ora completamente in preda alla sua follia. L’ho lasciato an-dare fin qui per far sì che si veda in ciò che scrive il livello di abiezio-ne cui M era giunto già in giugno. Da quel che s’intende, da ciò che scrive e pensa, il suo pensiero, o il suo modo di ragionare, tende solo a raggiungere e soddisfare il suo senso carnale (o sensus carnis, come lo chiama nel testo) costi quel che costi. D’altronde, pur citando spes-so e con dovizia Joyce, M non riesce a dare significato umano né cre-dibilità artistica a quel che scrive. Frasi tratte dall’Ulisse, certo, ce ne sono molte, e alcune anche simpatiche perché fantasmagoriche, ma cadono sempre nei momenti in cui l’argomento sesso domina e la fa da padrone. Ad esempio, quando più avanti M si troverà immerso nei meandri del corpo di questa giovane donna e esclamerà o sussurrerà al suo orec-chio, come riporta nel racconto, frasi del tipo: Sweet eyes.. Soft soft soft hand.. I am lonely here.. O, touch me soon, now.. I am quiet he-re alone.. Touch, touch me.. 24, si intuisce e si deduce chiaramente il grado d’imprudenza e impudicizia cui M è giunto; ed anche solo pen-sando all’idea che gli è venuta poi di scriverlo.. e in quei termini così dettagliati! Lo lascio dunque proseguire per capire ancor meglio.

Lentamente sprofondiamo in acqua, ma il freddo pungente ci fa su-bito riemergere. «Je mi zima, Em.. Ho freddo», mi dice Alx tremando.

24 Ma a legger bene, non son forse le stesse divagazioni erotiche di quel Mr Bloom che, in un bordello dublinese, in preda alla sua lascivia così s’esprime? [NDR].

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«Usciamo dai, che qui ci prende un accidente», le dico sfiorandole lievemente il braccio sinistro. Ulysses, intanto, sembra scomparso dal mio orizzonte. «Ineluctable modality of the visible: at least that if no more, thought through my eyes», mi esce però rapidamente di dire all’im-provviso e, inavvertitamente, ad alta voce. «Almeno questo, se non altro, il pensiero attraverso i miei occhi»; così mi recito di nuovo il Telemaco pensando al bardo gesuita che, in riva al mare, toccando con mano e con dispregio del posticcio materiale organico marcio e in decomposizione, impazzirebbe se vedesse e toccasse con mano il corpo splendido e vivo di Alx. Di corsa verso le nostre cose, in fretta cerchiamo di asciugarci. Le porgo il suo grande asciugamano. «Asciugati mia piccola Gerty» le dico, balbettando, vedendo le sue labbra diventate ormai viola e farfugliando un po’ pensando ora a quel Mr Bloom che, alle otto di sera, passeggiando ai margini della spiaggia di Sandymount, come d’incanto si trova improvvisamente di fronte alla divina ed eroticis-sima presenza della giovanissima Gerty MacDowell. Tremando ancora, rapida Alx comincia ad asciugarsi, avvolgendosi con grazia nel suo grande asciugamano. «Vien qui scemétto che ti asciugo.. Stai tremando tutto», mi dice sorridendomi e tremando anche lei. Con un po’ d’imbarazzo, dovuto sia all’emozione che al comprensi-bile stupore che provo davanti a tanta bellezza, m’avvicino a lei che, con una dolcezza sorprendente, comincia ora ad asciugarmi carez-zevolmente il viso, le spalle, il petto. Non riesco a trattenermi e la bacio di nuovo. Mi sorride ancora, ma Alx ha ora un sorriso di una bellezza disarmante. D’un tratto, Alx apre il suo asciugamano e abbracciandomi cerca di avvolgermi vicino a sé. Emozionati, ci sediamo allora sulla sabbia e, avvolti nell’asciugama-no, cominciamo a baciarci e a succhiarci le labbra, così come capita. Lentamente ci adagiamo sull’arenile, continuando a baciarci. Le no-stre lingue ora deliziosamente si rincorrono e si cercano sempre più freneticamente. Per fortuna ci sono pochissime persone, e piuttosto distanti; nessun bambino, grazie a Dio. «Un matto.. io un matto come te non l’ho mai conosciuto», mi dice dopo un po’ la Kles, ridendo e restando dolcemente sopra di me e con le sue labbra sulle mie. «Amore.. », provo a risponderle cercando però di non farneticare; «io.. io una delizia come te non l’ho mai conosciuta», riesco a dire senza perder troppo il mio controllo emotivo. «Ma dai.. vuoi prendermi in giro. Lo dici solo perché mi vuoi bene. E poi me lo dici.. perché sei matto», mi dice la Kles quasi senza sen-so e un po’ malinconica. Ma all’improvviso un bacio di una dolcezza senza eguali si stampa tosto sul mio viso, scuotendomi l’anima e fa-cendomi vibrare forte il cuore. «Viene a casa mia», mi dice allora Alx con quel suo accento meravi-glioso che ora mi sconvolge i sensi. «I miei sono a Praga» prosegue

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e, tutta rossa in viso, sussurrandomi aggiunge: «I want to make lo-ve to you; Chci se milovat! Chci mít sex! souložit! Voglio scoppare con te.. », pronunciando ancor più sottovoce, forse tradita dall’emo-zione, quelle due pi che, anche se in genere se ne pronuncia una so-la, solo per il loro particolare suono, ora mi scuotono e sovvertono i sensi. «Ho capito.. vuoi farmi innamorare. Vuoi divertirti a farmi impazzi-re per te. È questo che vuoi.. mio dolce fiore di montagna?», le dico cominciando con evidenza a farneticare. «Ma dai.. Non ti mangio mica.. », mi dice sorridendomi e banaliz-zandomi un po’. Estasiato da tanta bellezza, riprendo così ad accarezzarle i capelli, baciandole delicatamente il naso, le labbra, gli occhi e ancora le lab-bra. Sicura ormai della mia arrendevolezza di fronte alla sua sconcertan-te bellezza, Alx mi dice convinta e con aria decisa: «Dai Em.. Prepa-riamoci, andiamo». In fretta, e ancora un po’ bagnati, ci vestiamo e, anche se piuttosto scoordinati, ci sfioriamo e ci baciamo continuamente. Durante il tragitto verso la macchina, poi, ci fermiamo spesso per riprendere a baciarci e assaporarci ancora. Le nostre lingue, infatti, riprendono freneticamente a cercarsi, col grave rischio di lasciarci andare all’istinto e forse cominciare follemente ad amarci. Ci tratte-niamo, dunque. Ma come entriamo in macchina, un altro forte e incontrollabile ac-cesso di passione ci travolge. Difatti, riprendiamo a toccarci e a ba-ciarci dappertutto. Ci ritroviamo così di nuovo seminudi, perché Alx, già abbastanza discinta (ha i suoi splendidi seni completamente nudi e carezzevolmente sul mio viso), è ora a cavalcioni su di me e cerca, come può, di spogliarmi fremendo. Presto ci accorgiamo dell’impossibilità di un amplesso vero e pieno. Ci sciogliamo. Alx, dunque, rimessasi sul suo sedile, rapida si ricompone, assu-mendo anche lei un’espressione semiseria. Ad un certo punto, però, scoppiamo a ridere a crepapelle come due matti. Ridiamo e insieme ci baciamo; e qui assaporo meglio il pro-fumo del suo alito, il sapore della sua saliva e l’odore sublime del suo sudore, che ora mi esalta e mi eccita come nessun’altra cosa al mondo. «Sai Em?», mi dice Alx con voce più seria e l’aria un po’ stupita. «Forse non ci crederai.. ma poco fa ho avuto un orgasmo. Non ci credi, vero? E allora toccami.. E dai toccami, ti prego.. », mi dice sbalordendomi un po’. Così, allora, m’avvicino a lei e accarezzo il suo sesso, notando effet-tivamente come sia splendidamente piena d’umore. Il fatto è che ora non riesco più a ritrarmi da lei, tanto è il piacere di sentirla go-dere attraverso i miei polpastrelli. Infatti, mentre comincio a gioca-re con lei con le dita, Alx riprende di nuovo a godere, cercando di

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assumere, sollevando il bacino, una posizione più comoda per que-sto piccolo amplesso. In balìa del desiderio, però, m’inchino ora verso di lei e, dirigendo-mi col viso sul suo sesso, mentre stupidamente penso Shut your eyes and see.. Shut your eyes and see.. , finalmente riesco a baciar-la, leccarla e succhiarla con tutto l’amore di cui son capace e riuscire a sentirla sensibilmente mia. ‘Calvo egli era e milionario. Maestro di color che sanno’, ‘son qui per leggere le segnature di tutte le cose’, continuo come uno sciocco a pensare; e m’accorgo con fastidio che Dedalus, o chissà quale altro diavolo, è ora qui con me. E mentre la Kles grida dolcemente: «Můj bože.. můj bože.. what a day.. i love you.. je t‘aime.. » e mugola di piacere accarezzandomi i capelli, penso e mi chiedo: «E se ora cadessi da una roccia che strapiomba sulla sua base.. non m’importerebbe nulla.. mi lascerei cadere. Ma perché sulla spiaggia di Sandymount Stephen cita Amle-to? Cosa c’entra con Stephen l’improvvida decisione del principe di seguire fin nello sprofondo lo spettro del padre? È dunque anch’egli un novello Igitur che come me vuol sprofondare?».

NDR : L’ho lasciato narrare fin qui per far notare al lettore il serrato intrecciarsi tra argomento erotico e argomento letterario, che, a quanto pare, M mischia e combina tra loro solo per giustificare e quindi difendere la sua ormai fin troppo immaginifica concupiscen-za, ora giunta, con tutta evidenza, al suo massimo grado. Non posso dunque non intervenire, perché da qui in poi son stato co-stretto a operare dei tagli, e alcuni dei quali anche molto significativi per capire lo stato psichico dell’uomo e quanto di patologico v’è scrit-to qui, in questo inverosimile racconto. Ciò non toglie, che abbia de-ciso lo stesso di tagliare: è la mia dignità morale che me lo impone. Tra l’altro, tra queste righe, anche se ricorrono spesso rimandi ai per-sonaggi maschili dell’Ulisse, ci si accorge subito che di loro ad M non importa nulla e nulla ha a che vedere con lui la loro storia. Ad esem-pio, quando M fa commenti su Mr Bloom, mediocre impiegato tren-tottenne blandamente ebreo, si percepisce, è vero, che ne prova sim-patia, ma niente di più. Dell’altro, poi, del Dedalus, non dice un gran-ché, considerandolo solo un po’ infantile, e forse anche un po’ stupi-do. Della donna, invece, forse per il suo nome ‘fatuo’ - così M si esprime nel testo - o per la sottile eroticità che trabocca dal suo mo-nologo finale (‘una grandiosa architettura mentale’, fu il suo com-mento critico), M ne parla ampiamente e con una dovizia di partico-lari quasi maniacale. D’altronde, alla libreria Mondadori, nel mo-mento in cui si prepara ed è in procinto di rubare il libro subito dopo aver letto il mellifluo Sì finale dell’Ulisse, scontrandosi fisicamente con la direttrice-proprietaria della libreria che, dopo aver intravisto sui monitor delle videocamere la rapidità dei suoi movimenti gli si

86 PARTE SECONDA stava avvicinando per veder meglio cosa stesse facendo, M le palpa clamorosamente e voluttuosamente il seno, ripetendole svenevol-mente in faccia l’ultima frase che aveva letto: ‘Yes I said Yes I will Yes’. La donna, peraltro, s’era avvicinata a lui solo perché incuriosita dal modo con cui M sfogliava nervosamente e con fare convulso le pagine del libro. Difatti, aveva un non so ché d’elettrico nel modo di muove-re le dita e quando ‘sentì’ (o percepì) che la donna gli si sarebbe avvi-cinata per dirgli qualcosa, improvvisamente le fu subito fisicamente addosso. D’altronde, dicendole quelle frasi sconnesse, aggiungendovi anche quella ancor più incomprensibile ‘and drew him down to me so he could feel my breasts all perfume’, sembrava che M volesse nientemeno che annusarle il seno: così disse la donna, che si ritrovò il naso di M fluttuare tra i suoi capelli e a quattro o cinque centimetri al massimo dal suo collo. Ma la cosa ancor più sorprendente fu che il libro che M aveva avuto fino a quel momento tra le mani, improvvisamente scomparve. Pro-prio così: quel libro letteralmente scomparve. «Ventotto euro.. Pazzo!», fu il commento un po’ banale ma molto ir-ritato e preoccupato del medico pediatra. Scacciato in malo modo dai commessi della libreria e sotto la minac-cia di denuncia per molestie, M si ritrova così a girovagare tra i viali del Parco dei Daini, raggiunto dopo aver rapidamente percorso tutta via Piave, via Isonzo e un tratto di via Po. Il fatto è che al momento del furto, mentre fingeva di voler annusare il seno della donna creando in essa un certa apprensione e un po’ di scompiglio nella libreria, rapido M s’infilava il libro tra la cinta dei pantaloni e la zona lombo-sacrale. D’altronde, «Elle-cinque-esse-uno! Mai sigla osteo-articolare ha avu-to un senso e un significato così magicamente poetico e magnifica-mente letterario!», fu il suo stupido commento quando, seduto alle-gramente su una panchina del Parco, riprendeva a sfogliare l’Ulisse ‘ri-tradotto’ da Celati. Dopo esser stato costretto a tagliare, e spero con attento e sincero di-scernimento - perché un conto è cercare di capire una malattia, un conto è voler morbosamente attaccarsi alla vita degli altri, qualsiasi essa sia - provo pertanto a riagganciare qui la narrazione di M, dove alcuni dettagli, credo, dopo averne letti tanti, non vengono più a tur-bar l’animo umano di chi legge. Lo faccio così riprendere da dove l’avevo lasciato.

Ma lo splendore di assaporare il suo sesso - e il piacere che provo nel sentirla godere - ora è tale che non riesco più a controllare e fre-nare il mio profondo desiderio di immergermi in lei.

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«Shut your eyes and see.. », mi dico ancora sottovoce quasi senza pensare. Riprendo a scandagliare il suo sesso. Lecco e succhio quanto più possibile del suo clitoride e di tutto il suo intorno meraviglioso e, fi-nalmente sazio e pieno di lei, un po’ sudato e tutto rosso in viso, provo a rimettermi al mio posto, anche se ora completamente scon-nesso e fuori di me. Con il meraviglioso sapore del suo sesso in bocca, il suo sorriso da-vanti agli occhi, i suoi baci e i suoi capelli carezzevoli sul mio viso.. provo così a ricompormi. Lentamente riprendo a pensare. Omissis..

NDR : Taglio, ovviamente, le parti un po’ più spigolose, che sono poi quelle in cui il medico pediatra o soleva ridere a crepapelle o arriccia-va il naso, a seconda di quel che in quel momento gli veniva in testa leggendo. D’altronde, quel che pensa M in quel momento, quando cioè descrive ‘naturalisticamente’ le sensazioni provate, esula dal tema del nostro discorso principale, che non è quello d’indagare l’animo umano per dar poi una nostra spiegazione - magari anche sbagliata - dell’errare degli altri ma di capire quale straordinario e ancora incomprensibile accadimento possa esser stato all’origine della sua stranissima malat-tia. D’altro canto, l’intento che qui ci guida è sempre stato quello di capire e riportare M alla serenità: niente di più; niente di meno. E se pure ciò che M scrive può sembrar pura follia, è pur sempre possibile dire ch’egli ha scritto sempre e soltanto per sé. Riavvio pertanto la narrazione di M, tralasciando ovviamente le sce-merìe che seguono dopo il primo amplesso.

Colmi di piacere per aver riso tanto e baciandoci sempre, ci scio-gliamo di nuovo. «Em.. Andiamo a casa mmia.. I want to make love to you». Così mi dice Alx all’improvviso con aria più seria e quasi impaziente. «Sì.. Yes!», le rispondo avviando il motore della macchina. «Il mio primo Yes!», penso. Arrivati a Roma, in un grazioso palazzetto di via Po saliamo veloci all’ultimo piano. «La sera estiva stava cominciando ad avvolgere la città nel suo misterioso amplesso; così apre il Nausicaa», mi dico stralunato ve-dendo e ammirando dall’alto il Parco dei Daini ora avvolto da un lu-ce un po’ più crepuscolare. «Non far caso al disordine.. Non ho fatto in tempo stamattina a si-stemare», mi dice Alx sorridendomi e baciandomi in punta di piedi aprendo la porta di una mansardina contigua all’appartamento dei suoi - impiegati d’ambasciata, credo - ancora inondata di sole.

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Al centro della stanza, un letto alla francese, con delle lenzuola can-dide e ancora profumate del suo odore, mi accende e mi fa vibrare forte nel corpo. «Ma che profumo che c’è qui!», esclamo d’istinto come un cretino che, ormai confuso e mezzo stordito, non sa più cosa dire. «Dai.. vien qui scemétto.. facciamo una doccia, Mr Em», mi dice sottovoce Alx, sorridendomi e carezzandomi dove le capita, bacian-domi e tirandomi a sé prendendomi per le mani. Mentre ci spogliamo, seri cominciamo a guardarci un po’ più inten-samente nei corpi. Finalmente nudi, ci guardiamo di nuovo; e in un attimo siamo vicini. Mentre le accarezzo i fianchi, i seni e il viso, Alx accende la doccia. Ma un violento getto d’acqua fredda improvvisamente c’investe in pieno, togliendoci il respiro. Un po’ scossi, tremiamo e ridiamo con-vulsamente. «Scusami Em.. Ho premuto acqua fredda!», mi dice Alx ridendo nervosamente come una matta ma tornando subito seria, accorgen-dosi sorpresa e meravigliata della mia subitanea erezione. Immedia-tamente allora m’abbraccia, mi stringe forte a sé e al suo corpo e comincia a baciarmi con ardente trasporto in bocca. E così, umanamente e sensibilmente, iniziamo ad amarci. Omissis..

NDR : Tralascio, da qui, quanto scritto dopo da M, anche se più avanti c’è una dettagliata e divertente descrizione toponomastica del per-corso che da salita Trevi a via Venti Settembre, passando e commen-tando su sant’Andrea, san Carlino, il Quadrivio Sistino e santa Maria della Vittoria, porterà M in via Piave.

«Alle diciannove in punto, a piedi, sono alla Mondadori». Così finisce la prima parte del racconto di M. Della seconda parte, quella riguardante il furto del libro, di cui qual-cosa è già stato narrato - ma che esula dal tema del nostro discorso principale, che non è quello d’indagare su come certi vizi vengano alimentati ma piuttosto capire perché quest’uomo sia giunto a sì gra-ve malattia - non trascriverò nulla, anche se se ne può dedurre facil-mente la conclusione. Al Parco dei Daini, infatti, dopo esser fuggito, o esser stato scacciato a malo modo (il ché fa lo stesso) dalla libreria Piave, attratto dai riflessi del sole al tramonto, «coi suoi raggi rossi più lunghi e orizzontali che tagliano le ombre e ti si ficcano negli oc-chi e nel cuore.. ». Ma mi sembra inutile proseguire qui con il racconto di M, quando ormai s’è giunti alla conclusione dell’enorme indifferenza e irrespon-

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sabilità ch’egli ebbe riguardo i suoi comportamenti e le terribili con-seguenze che ne seguiranno.

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DULCINEA DEL TOBOSO IX (DISSOLUTION)

THE DISSOLUTION OF EM Ed ora non mi resta che raccontare della stranissima e rocambolesca sparizione di M che, se paragonata anche solo alla più irragionevole delle mille stravaganti e surreali traversie del cavalier manchego, renderà ancor più evidente l’assurdità di questa storia. T’avevo lasciato, paziente e attento lettore, al punto in cui avevo deci-so di far parlare M con i suoi scritti (quasi tutto il capitolo preceden-te) affinché si sapesse del contesto psicologico e della condizione mentale in cui già versava prima d’essere rinchiuso in manicomio e, sin dalle prime prescrizioni e previsioni, per un lungo periodo. Certo, riconosco fin d’ora di non esser stato un’abile guida capace di risparmiarti l’esperienza di seguire tratti spesso aridi e tortuosi giri traversi che caratterizzano la scrittura di M25; ma non so se si poteva far meglio, perché effettivamente seguire i percorsi dell’animo uma-no è sempre prova difficile e controversa. Adesso, però, tenterò, al-meno in parte, di riparare alla fatica che t’ho procurata per farmi se-guire fin qui e far sì che queste ultime pagine siano meno disordinate e vaghe quanto piuttosto chiarificatrici di tutta questa allucinante vi-cenda. D’altronde, nessuno sa, se non io, come Em riuscì a eludere i control-li della clinica in cui era ricoverato e dunque a eclissarsi e letteral-mente scomparire. Il dottor Mentòre diceva che qualcuno, probabil-mente, lo aveva aiutato, senza però tener conto che nessuna com-prensibile traccia - almeno secondo quanto scritto a verbale dagli agenti di polizia penitenziaria che avevano effettuato i rilievi - era stata lasciata da M o da chicchessia. Le righe che seguono possono però far luce sul perché M è scomparso e quali preoccupazioni potevano girargli per la testa quando apprese dal fratello che, per almeno sei mesi, sarebbe dovuto star rinchiuso in quella clinica in cui era stato ricoverato senza poter leggere, scrivere o ascoltare musica. Riavvio, perciò, la narrazione da quel che accadde

25 Tra l’altro, M, scrivendo, fa molti errori ortografici e sintattici, contravvenendo e distruggendo spesso anche la consecutio temporum. Ma gli ‘errori’, a volte, riescono ad esprimer meglio lo stato d’animo (per eccesso d’emotività, euforia o eccitazione) con cui M scrive. Tra le note alla sua traduzione dell’Igitur di Mallarmé Fabrizio, d’altronde, aveva letto l’appunto: ‘È L’ESPRESSIONE FONICA, O SONORA, CHE RENDE IL SI-GNIFICATO EMOTIVO DI CHI SCRIVE’ [NDR].

92 PARTE SECONDA subito dopo la sparizione di M affinché tu, paziente lettore, possa de-durre quel che io ancora faccio fatica a comprendere e ad ammettere che quanto accaduto possa essere realmente successo [NDR]. «S’alimentava a vino rosso e cioccolato.. continuamente. E non man-giava altro», commentava dunque Fabrizio davanti al fratello gemello e alla moglie di M che gli raccontavano di come si svolsero i suoi ul-timi giorni agli arresti domiciliari poco prima d’essere ricoverato. «Un mix perfetto per chi vuol morire lentamente.. e, forse.. per me-glio assaporare la sua fine», fu il sarcastico e poco assennato com-mento finale del medico pediatra davanti alla moglie e al fratello di M che lo guardavano, seduti in poltrona, mentre lui, ancora in piedi e molto rosso in viso, parlava e si muoveva con fare convulso e agitato. In realtà, Fabrizio cercava solo di spiegare ai due che quel che lui aveva letto di M non era solo frutto d’una mente malsana. «Logica perfetta, e una qualche geometria», v’era, per lui, in quasi tutti i suoi scritti; checché ne potesse pensare Mentòre. «Quel mentecatto di merdra»26, aggiunse un po’ sottovoce e con tono di dispregio il medi-co pediatra amico di M. «Cosa ancora inspiegabile, infatti, è che, ec-cettuate le scemerìe che tuo fratello può dire e scrivere di sé e della sua strana malattia, se si tratta d’altre cose, ragiona con ottimi e di-stesi argomenti e dimostra in modo assoluto d’avere un’intelligenza chiara e equilibrata. Dunque, purché non lo si guardi nella sua ma-nia, o quando scrive sotto l’effetto e l’urto della sua fissazione, non ci sarà nessuno che non possa giudicarlo uomo di gran buon senso». Questo aggiunse infine, esausto, il circonciso medico pediatra in fac-cia al fratello gemello di M che, attento, lo guardava sconcertato. «Vado in bagno», aveva concluso il medico. «Sembra che reciti.. Pff.. davvero.. questo coglione recita», fu il commento sprezzante e sarcastico del fratello gemello di M che, al-zandosi nervosamente dalla poltrona, aveva cominciato a sbirciare anche lui tra gli ultimi appunti del fratello contenuti e fuoriusciti dal fantasmino e ancora sparsi sul tavolo. «E poi, parla come M.. il vo-stro amico parla come tuo marito. Non te ne sei accorta?», aveva ag-giunto con tono tagliente e subdolamente velenoso. «Gli ha sempre voluto bene.. e questo conta molto», rispondeva la donna leggermente impassibile. «Ma cosa ha combinato? E cosa ha scritto poi di così folle per essere ricoverato? Incredibile.. sempre attento alle virgole.. sempre pieno di sé. Sarebbe dunque impazzito.. così, d’emblée. Incredibile.. M è im-

26 Pare che, quando M gliene parlò, Fabrizio rimase entusiasticamente colpito dalle alterazioni fonico-verbali di tal Alfred Jarry, il cui Ubu Roi, insieme agli Exercices de style tradotti da Eco, erano tra le cose più esilaranti che ultimamente M gli aveva con-sigliato di leggere; e meglio se in lingua originale [NDR].

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pazzito scrivendo. Non posso crederci. E poi.. sarebbe diventato mat-to solo a giudicare da quel che ha scritto? Merde!», fu l’ultimo quasi represso commento del gemello di M, i cui gesti ed espressioni verba-li ricordavano in quel momento alla donna i gesti e le espressioni del marito ma, detto molto en passant, senza l’eleganza dei modi di lui. Ma poco prima della sua scomparsa, M aveva scritto al medico psi-chiatra una missiva - e qui il plagio s’avverte chiaramente, perché sembra che a tratti M riporti intere frasi del Chisciotte27 - che la mat-tina seguente lo stesso Mentòre aveva trasmesso al fratello e alla mo-glie di M insieme alla notizia della sua sparizione. La lettera, in quel momento tra le mani del fratello gemello di M che se l’era sfilata dal-la giacca per confrontarla con le carte sul tavolo estratte dal fanta-smino, suonava dunque così:

ROMA, EL DÌA SÀBADO, EL DOS DE DICIEMBRE AD MMXVII gentile dt. Mentòre, immagino già con quanto stupore possa aver letto le mie mirabolan-ti note che, dietro sua incomprensibile richiesta e senza dirmi nulla, mia moglie o mio fratello le hanno consegnato. Potrei qui discutere del metodo o della deontologia del vostro pro-cedere, ma quel che ora più mi preme farle sapere, e da cui potrebbe trarre e darmi una esauriente spiegazione sulla mia malattia, è che son più di quattro anni che scrivo regolarmente su tutto quel che vi-vo a livello emozionale e che riguarda quel che m’è successo, ma che, mio malgrado, pur sforzandomi, non riesco ancora razional-mente a spiegarmi. Ovviamente, potrà sembrarle stravagante e forse anche un po’ bana-le quel che scrivo; ciò nondimeno le anticipo che tutto quel che ri-guarda la mia strana fissazione trova conferma nella mia scrittura, sia nel modo in cui scrivo che di quel che scrivo. Certo, non credo sia facile, leggendomi, capire l’evoluzione psichica di un soggetto ormai da tempo fuori di sé; però, magari seguendo il DSM-IV, il vo-stro grimoire, la vostra bibbia, lei saprà certamente trovarvi e dar-mene una spiegazione completa e esaustiva28.

27 Pare che da anni, e soprattutto al fratello gemello, M parlasse e scrivesse con frasi ripetute a memoria tratte di sana pianta dal Chisciotte [NDR]. 28 C’è da dire che i primi tempi della sua malattia M si dedicò anche all’analisi del Dia-gnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV), da cui trasse alcune in-dicazioni - riportate in una vecchia nota che probabilmente aveva recentemente ripre-so e consultato - che però egli stesso non riteneva sufficienti a spiegare la sua mania. In questa nota, d’altro canto, v’era scritto: «Non soffro certo di disturbo ossessivo-compulsivo, checché ne possano pensare auto-revoli strizzacervelli per cui tutti, chi più chi meno, soffriremmo di questo disturbo. Inoltre, non son mai stato un bipolare e tutto si può dire di me, ma non certo che i miei comportamenti possano sembrare e essere classificati come distonici o, peggio, aber-ranti. Sì, è vero, piango spesso e, forse, posso essere affetto da quella sindrome chia-mata ‘la malattia del fantasma’ che il DSM-IV indica tra le c.d. ‘sindromi culturalmente

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Le faccio dunque una breve cronistoria di come è andata evolvendo-si la mia pratica scribale o, meglio, di come, con le mie circonlocu-zioni verbali da immaginifico e smarrito autobiografo alla ricerca di sé, ho tentato di esprimere me stesso e la mia malattia scrivendo. Dapprima, cominciai a farneticare sulla mia sofferenza, cercando inutilmente di spiegarmene l’origine ma senza riuscire a capirla e trovare il modo di come superarla. Pensai allora al suicidio; ragio-nevole conseguenza, per lei, della follia che mi ha preso e di cui qua-si tutti, e mio fratello in primis, ormai si son convinti. In seguito provai a tergiversare per affrontare l’argomento legger-mente un po’ di lato, se così posso dire, cioè come fosse qualcosa che non mi riguardasse. Inutile dire l’angoscia che provai quando mi accorsi che anche questo mio irragionevole tentativo di risolvere il problema non sortisse alcun risultato e nessun effetto benefico dentro di me. D’altronde, per trovare una soluzione, dopo tre anni di angosciosa e maniacale trascrizione della mia follia, cominciai a rubar libri, ma col solo fine di farmi arrestare e con l’incomprensibile speranza che, forse, con l’isolamento e riprendendo a scrivere, sarei riuscito a su-perare questo stato di prostrazione che ancora mi opprime. D’altro canto, di quel periodo funesto, ebbi anche la tentazione di scriverne un racconto o, peggio, un romanzo, osservandovi però tut-ti quei principi che son previsti per scriver bene libri e così provare a dar forma alle mie terribili angosce. Confesso che, per la verità, di questo racconto ne avevo già scritte quasi cento pagine. E per provare poi se quei principi corrispondes-sero a quelli che pensavo io, le feci leggere a persone che potessero essere attratte da questo tipo di letture, sia a dotti che a semplici, che magari badano solo al piacere di sentir cose stravaganti, e da tutti indistintamente riportai lodi lusinghiere. Ciò nondimeno, non son voluto andare avanti, sia perché mi pareva cosa aliena da me, che matto non lo son mai stato, sia perché vedevo che eran solo gli sciocchi che v’esprimevano un parere, ed io non vo-levo sottostare al giudizio incerto di questi. Ma quel che soprattutto mi tolse il pensiero e il piacere di finirlo, fu infine il ragionamento: da ciò che scrivo, traspare l’animo mio; il che può far ridere o pian-gere, e quindi espormi o alla burla o alla commiserazione, secondo il gusto di chi legge le mie apparentemente ben congegnate assurdità. Decisi, dunque, di distruggere tutto quel che avevo scritto, cercando poi di consolarmi con altri scritti di più ameno e piacevole contenu-to. Il fatto è che dopo questo cambio di registro, più scrivevo di cose amene e banali, più sentivo che lentamente stavo cessando di esiste-

caratterizzate’. Tuttavia, anche se ora le mie preoccupazioni si concentrano tutte su un pensiero, che mi procura svenimenti, vertigini e allucinazioni, non perdo mai coscien-za perché, al contrario, sono di una lucidità che a volte impressiona e sconcerta anche me. Ma ciò significa, e non riesco a rassegnarmene, che non sono ancora in grado di dare un nome alla mia incomprensibile malattia e che, forse, non guarirò più; e questo non mi rasserena per niente» [NDR].

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re. Certo, in quel periodo cominciai anche a ridere di me e della mia malattia, cercando di rendere, nella scrittura, la banalità della vita che ormai conducevo. Alla fine interruppi quell’inutile e insensato intermezzo e ripresi a scrivere del mio dolore che, e solo in quel momento cominciai a rendermene conto, aveva origini molto più profonde di quanto fino ad allora avevo pensato. Scrivendo, cominciai così a prendermela con mia madre, su cui scaricavo crudelmente tutte le colpe e le re-sponsabilità della mia infelicità. Devo dire, però, che la cosa, con mia enorme sorpresa, cominciava a attenuare la mia sofferenza. Così continuai, fino ad arrivare a scri-vere cose di inimmaginabile crudezza. Amavo mia madre, ma in quel momento, in quel che scrivevo, cercavo di renderla vittima e insieme partecipe consenziente dei miei più turpi e crudeli piaceri. E poi, cosa a cui lei saprà dar certo una scientifica spiegazione, gioi-vo profondamente nel sentirla godere di me e soffrire per me. Finalmente smisi di scrivere di mia madre, anche se a volte mi ma-sturbavo ancora pensando intensamente a lei. Riuscivo, in tal modo, e inspiegabilmente, a curare in parte qualcosa della mia incompren-sibile malattia. Ora però, se mi permette, gentile Mentòre, seriamente le chiedo: ma lei, dottore, è in grado di capire quel che dico? È in grado di percepi-re che già da un po’ io non esisto più? Che sono già scomparso? Che anche se lei in questo momento può vedermi e parlarmi, io sono già morto? Nevvero che lei comprende tutto questo? Queste, dunque, sono le ragioni per cui ho voluto scriverle, perché le torneranno certamente utili quando vorrà darsi e darmi una spiega-zione sulla mia terribile malattia e la mia sparizione. Vale.

Allegato alla missiva, come accennato, seguiva, forse a giustificazione o a difesa della sua non molto comoda posizione, un breve appunto di Mentòre indirizzato al gemello e alla moglie di M che qui, per corret-tezza e probità, riporto [NDR]:

gentile dt. M, gentile Signora, nonostante abbia appreso in leggero anticipo - con la lettera che vi allego in copia - delle intenzioni del vostro congiunto, e dopo averne informato il tribunale di sorveglianza e allertato gli infermieri di re-parto, stanotte il signor M, almeno così sembra che sia, è scompar-so. Quel che appare ancora inspiegabile è come possa essere successo perché, resasi necessaria la massima intensificazione dei servizi di controllo a carattere preventivo, s’era pronti ad intervenire e fare in modo che il paziente non mettesse in atto i suoi propositi. D’altra parte, ieri sera, intorno alla mezzanotte, l’avevano visto se-reno e quasi sorridente che guardava fuori dalla finestra.

96 PARTE SECONDA

Confidando nella vostra collaborazione nel ritrovare e curare il si-gnor M, invio i miei più cordiali saluti. Prof. Claudio Mentòre, Re-sponsabile UOC di Neuropsichiatra presso l’Ospedale Divino Amore in Roma. Addì, 3 dicembre 2017.

«Quindi quel Mentòre sapeva già da ieri che M sarebbe scomparso. Misero inetto.. shit.. pezzo di merda», fu il commento acre e freddo del gemello di M. «Ma Fabrizio l’ha letta questa lettera? Ieri sera, guardando M e vedendolo come si muoveva, tutto storto e con l’occhio stralunato, non volevo riportarlo in clinica: mi faceva pena.. ma mi faceva anche paura. Avrei voluto abbracciarlo per rassicurar-lo.. ma non ci riuscivo, tanto ero impressionato e profondamente di-sgustato da lui», concluse infine, teso e preoccupato, il gemello di M. La mattina stessa, tra l’altro, un paziente cronico completamente fuori di sé e forse amico del fratello, incontrandolo alla reception, con gli occhi sbarrati e completamente fuori dalle orbite così gli si era ri-volto: «Dove te ne sei involato ieri sera?!». Inoltre, a detta di un’infermiera, pare che qualche ora prima della sua sparizione, M avesse rimproverato ferocemente al dt. Mentòre la distruzione di tut-ti i suoi libri: d’altronde, glielo aveva comunicato tra le lacrime la moglie quella mattina stessa, per cui M aveva scritto allo psichiatra [la lettera testé menzionata e da me trascritta - NDR]. «Stupido idio-ta», sembra poi gli avesse detto incontrandolo in corridoio; e pare anche dicesse di volerlo uccidere con le sue mani e che fosse in grado di farlo se un’infermiera non si fosse messa a piangere terrorizzata. D’altronde, la forza e la determinazione che in quel momento M spri-gionava ben giustificava il comportamento della donna, che pare fos-se l’amante dell’anzidetto medico psichiatra; e, forse per pena degli amanti, M soprassedette, sorrise alla donna e, per tranquillizzarla, le chiese banalmente una Gauloise, marca di sigarette ch’egli stesso fu-mava. Il fatto è che la sera stessa poco prima della sua scomparsa29, ci fu un rapido e sintetico colloquio tra i due gemelli, e fu M, alquanto infa-stidito dall’inaspettata presenza del fratello a Roma, ad aprire con eccentrico frasario le danze. «E quella splendida inglesina.. quella straordinaria bellezza che t’accompagnava l’anno scorso qui a Roma e che cercavi di non farmi vedere, come sta.. che fine ha fatto?». Così M s’era rivolto al fratello mentre, intento a preparare con cura le sue cose, provava a farlo ride-re un po’ sperando di non uscir troppo male dalla strana e imbaraz-zante situazione in cui egli stesso si era cacciato.

29 Pare intorno alla Mezzanotte, come riferiscono gli infermieri e alcuni pazienti [NDR].

2018. A TRUE STORY OF SCHIZOPHRENIA 97

«Da quando sa che sei mio gemello - rispose il fratello di M vagamen-te ridendo - Helen legge tutto di te, perfino quelle puttanate che pub-blichi su quella orrenda rivista online; quella di letteratura erotica, per intenderci. Poi, la bimba, vuol raccontarmi e, con fare quasi in-cantato, comincia a parlare di te come se fossi chissà quale genio in-compreso improvvisamente caduto dal cielo. Io, ovviamente, non la sto a sentire e le dico solo: ‘Pensa a quel che devi fare30 e non mi scocciare con queste stupidaggini, che da quando quell’idiota l’hanno messo in manicomio, star anche a sentire te che parli della sua shine e della sua brightness, mi sembra ancor più ridicolo quel che mi sta succedendo’. Proprio così: Helen ora parla di te e di quel che scrivi usando spesso termini assurdi e privi di senso. È impazzita. Secondo me è impazzita anche lei, leggendoti; come te, d’altronde, che pare scrivi ormai solo scemenze. Ma la bimba dice anche.. che sei più bello di me. Stupida. E poi, come una cretina, prende a parlare senza rite-gno dei tuoi quadri, quelle immani cagate con cui ultimamente hai riempito e impuzzolito il tuo studio, con quei titoli così scemi che non so proprio come se ne possa tirar fuori uno straccio di interpretazio-ne». M ora ascolta in silenzio, mentre guarda il fratello negli occhi senza ormai ridere più. «Ma poi a tua moglie piacciono i tuoi quadri? Stamattina, guardan-doli, sforzandomi di capire qualcosa di te e di quel che t’è successo, il mio primo impulso è stato quello di andare al cesso. Che consolazio-ne, vero? E volevi anche che t’aiutassi a piazzarli a Londra! Ma vera-mente sei diventato così matto? E cosa significa ‘Den Müttern!’, quel titolo che hai dato a quello sgorbio incomprensibile che hai fatto? E perché ‘Madri’ in tedesco, lingua di cui non conosci un’acca? E quel titolo in francese di quel quadro tutto nero? ‘Igitur, o la follia d’Egmont’.. Ma cosa vuoi dire? cosa vuoi significare? Tu sei diventato tutto matto.. ma matto matto matto! E ora preparati, dai, che ti riac-compagno in clinica. E cerca di rimetterti in ordine, riaddrizzati, merda, perché tu così scemo io davvero non ti ci avrei mai immagina-to». NDR: Sospendo qui il resto della conversazione - che si svolge in ba-gno - perché le lacrime non mi consentono più di continuare. Dico solo che il gemello di M, imprecando e coloritamente bestemmiando in inglese, rimprovera ora al fratello, ancora in quasi sacrale silenzio, quel che da perfetto fedifrago sta facendo vivere alla moglie e ai figli.

30 Il fratello di M è direttore, da circa dieci anni, di un importante hotel di Londra [NDR].

98 PARTE SECONDA Il fatto è che due gemelli, in molte cose affatto simili e affini, sono ora due uomini completamente agli antipodi; così almeno in quel mo-mento apparivano M e suo fratello in bagno: determinato, sicuro di sé e cinico, almeno all’apparenza, il londinese; smunto, depresso e quasi fuori di sé e morente, l’altro. Provo, però, a riprendere e trascrivere la conversazione che si svolse più avanti, perché da lì in poi si capiscono molte cose della contro-versa fissazione che può aver colpito M. «E poi.. sei sempre a caccia di donne? Tua moglie ancora non se ne è accorta che non vedi altro che peli di fica? Pensa davvero che sei lo stesso imbranato che ha conosciuto senza accorgersi che tu, invec-chiando, stai diventando sempre più incontinente? In ciò pare che d’Albert t’abbia insegnato qualcosa. E leggi ancora Gautier? Ti piace ancora Théophile Gautier?», prosegue con supponente ironica supe-riorità il gemello di M. «E Balzac? Flaubert? Racine? Una piccola regressione: alla scoperta del mistero intra-uterino del fanciullino che è in te. Tre anni fa legge-vi solo Bachelard, Gadamer, Chomsky.. e ora.. Gustave Flaubert!», grida piano in falsetto, fingendo anche di piroettare su se stesso al-zando un indice, facendo sorridere leggermente il fratello. «Pare che il tuo amico sia rimasto molto impressionato dalle chiose e dalle sottolineature che hai fatto su tutti i tuoi libri. Forse non lo sai, ma gli è stato anche chiesto, da Mentòre e da tua moglie, di dar fuoco a tutto e, a quanto sembra, pare ch’egli l’abbia fatto egregia-mente. Però, prima d’incenerirli s’è preso cura di farne nota in un suo book of memories: così l’ha chiamato stamattina ridendoci su. T’hanno così bruciato i Joyce, i tuoi Duchamp, i tuoi Pessoa e chissà quant’altra tua roba hanno già dato alle fiamme. Fra un po’ la stessa sorte toccherà ai tuoi quadri.. e forse anche a te, se non ti sbrighi a rimetterti in sesto e a riaddrizzarti. «E poi li rubi. Dal verbale dei Carabinieri sembra che ne hai rubati almeno una trentina.. e sempre credendo di farla franca, anche quando, con tanto di riprese video - e pare che tu ne fossi consapevo-le e te ne divertissi anche tanto31 - avrebbero potuto sin da subito in-chiodarti e ridicolizzarti. Ma perché rubi? Perché rubi libri? Non hai più soldi? E perché volevi farti arrestare? Così almeno m’ha detto quel demente di Mentòre. Ma che t’è preso, scemo!», esclama infine rabbioso il dottor M stringendo forte il fratello per il braccio stratto-nandolo e scuotendolo violentemente.

31 Ripreso in video-sorveglianza alla libreria Rinascita, pare che M salutasse verso la videocamera mentre, al suo primo stealing books, s’imbragava i pantaloni con dentro il The Faerie Queene [NDR].

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«Ho visto poi, che leggi Spenser e che addirittura lo rubi», prosegue con tono sarcastico il gemello di M. «Da noi è ormai da secoli consi-derato una reliquia e tu, qui a Roma, lo esalti e osanni a tal punto da considerare il The Faerie Queene il più gran poema mai scritto; così almeno sembra abbia capito il tuo amico, che ha letto quasi tutte le tue stramberie. Bah! Ma lasciamo perdere.. tanto hai perso la bussola e non capisci più niente.. non ti ritrovi più». Da quel che riferisce il fratello, pare che in quel momento, imprecan-do dapprima contro quel ‘farabutto’ di Mentòre, e in parte anche ver-so l’ingenuità di Fabrizio, M ebbe un breve attacco d’ira. Ma, ricom-ponendosi, quietamente e seraficamente subito dopo ebbe a dire: «Non so se tu e mia moglie vi rendiate conto di quel che mi sta suc-cedendo. A me sembra però che se avete deciso quale sarà la mia sor-te e la mia prossima esistenza, ciò significa che per voi io non sono e non conto più nulla. Da questo momento, dunque, so che tu non mo-verai più alcun passo verso di me; ne sono consapevole, e ciò mi crea un disagio non indifferente. Sappi allora che sono anni che percorro strade che non son strade, ma sentieri senza traccia che non so affat-to dove conducono e che, percorrendo anche vie oblique e traverse, ancora non son riuscito a chiarire una verità, anche se il tempo, che dicono riveli tutte le cose, ancora non me ne ha reso la benché mini-ma ombra. Ciò nondimeno, io non dispero, perché so che prima o poi capirò e mi ritroverò». D’altronde, in una lettera inviata al fratello qualche anno prima e ri-salente al periodo iniziale della sua malattia, M aveva anche cercato di darsi e dare una spiegazione cosciente al suo stato di prostrazione. Difatti, in quella lettera, poco dopo i suoi tradizionali convenevoli di rito, che come ormai suo solito si divertiva a riempire di inutili flori-legi cervantini, M rese e scrisse questa sua importante confessione che provo qui a riportare quasi per intero, tanto è il senso di inade-guatezza e di sfrenata follia che traspare dall’uso di certe parole ivi impiegate.

«Dunque, quel ventisette ottobre32, con questa agitazione m’in-camminai per tutto il resto della notte per le vie deserte del centro, finché all’alba, esausto e senza più orientamento, giunsi in un posto, in certi prati che non so proprio da che parte di questa magica città stiano, e ne rimasi completamente incantato. ‘Forse - pensai candi-damente - ho raggiunto quella clairière che dentro di me andavo cercando, quella clairière di cui parla Marcel Duchamp?’. In quel momento, però, capii d’aver perduto il senno; e sento dentro di me che, da allora, non sempre ce l’ho intero e a volte così meno-

32 La data dell’anno non appare, ma è probabile che la lettera risalga al 2012; presto chiederò conferma al fratello [NDR].

100 PARTE SECONDA

mato e debole che posso far mille pazzie, come ripetere invano il nome dell’amor mio nel cuore della notte, immaginare d’averla ac-canto a me distesa sul mio corpo, immaginare di sentire l’odore del suo alito e il fresco sapore del suo sesso. Ma quando poi mi ritrovo in senno, sono così stanco e pesto che a stento riesco a muovermi e a respirare. Il fatto è che da allora cominciai a non voler più guarire e neanche morire. D’altronde, avevo già letto qualcosa (nel don Chisciotte, mi pare) di quel che significa essere incantati, cioè esser presi dal desiderio più feroce e, con la melanconia più nera, volerne morire. Ma ora leggi ciò che sto provando a scrivere per calmare un po’ que-sta ancor troppo incomprensibile mia malattia».

Così M annunciava al fratello di aver cominciato a scrivere il suo grimoire - com’egli lo chiama - facendogli leggere la breve e strana nota con cui lo avrebbe introdotto, che la dice lunga sul grado di in-stabilità mentale cui M sembrava esser giunto già alcuni anni prima:

«Quel che qui scrivo riguarda me, solo me.. Omissis..

2018. A TRUE STORY OF SCHIZOPHRENIA 101

DULCINEA DEL TOBOSO X (EPILOGUE)

Of all tales ‘tis the saddest - and more sad, Because he makes us smile

(Lord Byron, Don Juan, cant. XIII, st. 9) Quel che segue sono le ultime cose scritte da M subito dopo la sua scomparsa. Ovviamente, caro lettore, prometto che su queste proverò a non in-tromettermi se non il meno possibile, perché qui molte cose ‘spiega-no’ M - e in quale stato mentale scrive - senza ch’io vi aggiunga la benché minima osservazione. Tra l’altro, ciò che v’è scritto, grazie a dio, ora esula completamente da quel suo narrare situazioni che, co-me s’è visto, possono anche raccapricciare il gusto di chi legge e da cui si potrebbe infine esprimere un giudizio d’acrimonia se non di di-spregio verso di lui. Pertanto, trascriverò dapprima una lettera di M al suo gemello scritta la notte stessa della sua sparizione, che all’apparenza può anche sembrar poesia, ma già s’è visto in realtà quanto la scrittura di M sia indenne da qualsiasi scrupolo di tipo artistico. Più oltre, trascriverò invece la lettera (che in questo momento ho tra le mani) indirizzata da M a se stesso, in cui però vi si legge - ed è quasi inutile dirlo - quanto nessuno ragionevolmente s’aspetterebbe33. PS. Confesso, però, caro e ipotetico lettore - e non so razionalmente spiegarmi il perché - che ora, leggendo le sue ultime cose, Em m’è venuto a simpatia; e nonostante quel che qui dice e scrive! Vale quel-lo che ho detto [NDR].

LETTERA DI EM AL FRATELLO SUBITO DOPO LA SUA SCOMPARSA

DESTE LUGAR34, EL DÌA DOMINGO, TRES DE DICIEMBRE, A LAS CUATRO DE LA MAÑANA

Caro M, io tuo e tu mio doppio, specchio deforme della mia già ben deforme realtà. Se sapessi da dove ti parlo.. certi luoghi mentali ancora sconosciuti anche a me ma che ora frequento e mi sforzo di conoscer meglio,

33 Né, tantomeno, gli amici e i componenti della sua famiglia, che s’aspettavano una giustificazione credibile della sua scomparsa e del suo scrivere da chissà dove [NDR]. 34 Ovviamente, non è possibile stabilire il luogo cui M si riferisce [NDR].

102 PARTE SECONDA

anche se a volte, ancora perdo l’equilibrio e insieme l’orientamento. Ma a breve, capirai meglio il perché ti scrivo. Sappi, intanto, che il solo motivo per cui son qui - e che ora riesco perfettamente a capire, e vi son giunto per vie traverse e a me sco-nosciute e che m’han fatto diventare quel che ormai sono - è che sento ancor viva una ferita così sanguinante che mi deturpa l’anima e fa dolere il mio cuore ad ogni istante, incessantemente. Ogni mio pensiero, come anche ogni silenzio, non riesce, infatti, a trattenere e a placare questo mio fuoco, e dalle ceneri del mio cuore, anche se solo leggermente scosse, avvampano spesso immani fiam-mate che mai credo si placheranno, perché quelle fiamme ardono sempre, anche se da me gelosamente custodite e scrupolosamente tenute nascoste35. Eppure, sin da giovane, quel che credevo mio padre - o chissà quale altro diavolo al suo posto - m’aveva avvertito e indotto a dominare con la ragione quelle fiamme striscianti che, conoscendomi, prima o poi, con la loro furia, sarebbero potute divampare oltre ogni misura dentro di me. E così ora invecchio soffrendo, e permanentemente si rinnova la mia sofferenza. Il fatto è che tanto sprezzai come vano il sacro nome di Amore e de-risi così tanto gli amanti quando li sentivo piangere, che il loro dio, infastidito da me, mi scagliò contro così tanti dardi che alla fine m’accese e ne rimasi completamente incendiato. Vinto così da lun-ghi assalti, alla fine come un demente m’innamorai; e ora languo pene infernali. Soffrendo, però, a un certo punto, non potendo più resistere, co-minciai a scrivere. Dapprima cercando di lenire il mio dolore narrandolo: così, come mi veniva; anche se poi, continuando a scrivere e a piangere, pensai di smettere, con l’idea che scrivere m’avrebbe invischiato ancor più in questa storia. Il fatto è che m’accorsi subito che non ci riuscivo. Provai allora a scrivere pensando ad altro, ossia a qualcosa che mi distraesse e che, facendomi ‘divertire’, m’allontanasse dal mio dolore. Ma durò poco, perché così facendo sentivo che stavo cominciando a distruggermi l’anima e lentamente a scomparire. Ed ora, dunque, se scrivo, m’inoltro sempre più per strade contorte e perverse, tutte rotte e abbandonate, alla ricerca di una seppur lie-ve ma plausibile spiegazione di questa mia strana malattia. Ma troverò, prima o poi, la mia radura, la mia clairière, la mia grot-ta di Montesinos. Ci puoi scommettere caro mio M/M. PS. Non ti doler di me. Vale.

35 Sembra che, come se fosse preso da un irrefrenabile slancio poetico (anche se am-metto, può esser solo una mia impressione), in ciò che M scrive ci sia come un’inten-zione a stabilire un parallelo (o una concordance) tra il bruciare dei suoi libri e il bru-ciare del suo cuore [NDR].

2018. A TRUE STORY OF SCHIZOPHRENIA 103

LETTERA A EM

Gentile e (per me) mio strano incauto amico. So già, per esperienza, che far nota delle mie gravi disavventure psi-chiche e mentali non sia compito da poco, considerati gli sviluppi che la mia strana malattia ha avuto e le disgrazie che, malaccorto me, mi son procurato. Certo, non posso negare, leggendola, come lei, in effetti, sia riuscito a dar forma alla mia pur sempre insignificante e ancora ridicola esi-stenza e la ringrazio di non esser ricorso a quei velenosi stratagem-mi linguistici che m’avrebbero reso ancor più ridicolo. Quel che le chiedo però è se ne ha tratto un qualche beneficio o se ritiene in fu-turo di averlo. Le auguro di sì, anche se onestamente ne dubito, per-ché questa storia non credo valga la pena d’esser raccontata se non forse solo a se stessi o, peggio, solo per dare un’incerta spiegazione medico-psichiatrica alla strana follia che mi ha colpito. Ovviamente, se la trascrizione o il racconto delle mie disavventure che lei sta facendo fosse qualcosa di istruttivo per chissà quale im-probabile lettore, io non avrei nulla da rimproverarle. Il fatto è che lei narra di cose e fatti mentali che, anche se probabilmente hanno del patologico, non sono ancora definibili all’interno di una casistica chiara e analizzabile e, dunque, nulla di particolarmente ‘edificante’, se non solo per confermare e ratificare le conclusioni di un’astratta analisi di tipo neuro-psichiatrico su di me. Quel che non tollererei, tuttavia, è che quanto da lei scritto possa apparire come un buon resoconto delle mie angosce solo per ali-mentare la curiosità di quelle persone che, nel vedere come la soffe-renza altrui si manifesta, trovino in essa quell’abietta forma di con-forto che solo i più miseri e sventurati riescono ad apprezzare, e che, detto fra noi, son molti ed enormemente di più della semplice mag-gioranza. Le chiedo, infine, di prender nota e inserire nella sua trascrizione quel che a breve le scriverò, perché forse potrà ben spiegare, a lei e a me stesso, quel che m’è successo. Sappia, allora, che qualche anno fa io quasi non esistevo e mi sem-brava di star così bene e sereno senza amore, che praticamente non m’accorgevo e non mi importava nulla di come la mia vita scorresse nella più sana e inutile sobrietà. Il fatto è che quando improvvisa-mente m’accorsi che l’amore per una donna stava cominciando a ri-baltarmi l’anima e il cervello, cominciai da allora a sragionare e, co-sì, arrivare a imprecare contro il mio dio per ciò che dapprima m’aveva fatto desiderare ma che, disumanamente, volle poi negarmi per costringermi sensibilmente a morire e gradualmente a scompa-rire. D’altronde, per lei sola io nacqui e per lei sola ho voluto prender vi-ta; ed è per questo che voglio che lei sappia, caro Em, perché sono nato e quali sono le mie nobilissime origini.

104 PARTE SECONDA

Ecco dunque il busillis che arrovella e occupa il mio cervello da ma-ne a sera, costantemente, ferocemente, perché l’esser nato senza scopo non significa affatto ch’io ora voglia scomparire. D’altro canto, quando m’accorsi allarmato che stavo scomparendo, ripensai a quel triste e sconsiderato cavalier manchego che nel suo delirio finale, poco prima di lasciarsi morire, era giunto incoscien-temente a dire:

«Benedetto l’Onnipotente, che tanto bene mi ha fatto. Davvero le sue misericordie non hanno limite, né peccati di qualsivoglia na-tura riescono a impedirle».

Il fatto è che forse lo sprovveduto ex grande hidalgo non s’era anco-ra reso conto d’esser già morto; infatti, il non più gran manchego e non più ingegnoso hidalgo così continuava improvvidamente a reci-tare senza capir più nulla di quel che diceva:

«Ormai, ho il giudizio libero e chiaro, senza le ombre caliginose dell’ignoranza in cui m’aveva avvolto l’incresciosa lettura di tutti quei detestabili libri che avevano reso il mio cuore un’inganne-vole landa sanguinante».

Ed era contento! L’idiota cavalier manchego, instupidito dal dolore, ora era contento di morire, perché subito dopo riprese a dire:

«Finalmente questo mio cuore non sanguina più, anche se a volte il desolante deserto che sento in esso mi turba l’anima. Ma col ra-gionamento, e lo sguardo limpido della coscienza, son riuscito, al di là di tutto, a guarirmi. Non son più pazzo, e voglio e desidero che, dopo morto, mi si ricordi come uomo dabbene».

«Che mi si ricordi, dopo morto, come uomo dabbene.. »: proprio così s’espresse l’ex mirabile e triste cavalier manchego. Ma quale uomo, stupido idiota! Egli dimenticava.. voleva dimenticare! L’ex geniale Cavaliere dalla Triste Figura era giunto al punto da voler tutto dimenticare! Che stupida follia! Infatti, subito dopo l’ex ama-bile hidalgo aggiungeva:

«Alimentavo tutto il giorno i miei sogni d’amore con la lettura, cercando nei libri ciò che ne potesse dar forza e verità; e solo ora capisco quanto questo sentimento sia menzogna, quanto sia un sottile sortilegio con cui demonici incantatori circuiscono i cava-lieri più sprovveduti e imprudenti. Ed ora, ormai, son nemico di tutto ciò che ho letto e scritto; e questo mi rasserena, anche per-ché qui dove sono tutto quel che vedo è chiaro; non c’è la benché minima ombra di ambivalenza o ambiguità: o bianco o nero. Certo è, che io aspiro al bianco. Ma, d’altronde, questa è la mia vita ed io ho potuto far ben poco per rendermela piacevole e se-condo i miei gusti».

2018. A TRUE STORY OF SCHIZOPHRENIA 105

Proprio così giunse infine a dire stupidamente l’ex amabile cavalier manchego. Ma io ora aggiungo: «Il puzzo di trementina non obnu-bila più il mio cervello: credo che non dipingerò più». Vale.