The Cult of True Womanhood

22
The cult of true womanhood Relatrice Eva Brozzetti Docente Bruna Bianchi Matricola 850882 Corso di Laurea in Storia dal medioevo all’età contemporanea [email protected] 1

Transcript of The Cult of True Womanhood

The cult of true womanhood

Relatrice Eva Brozzetti

Docente Bruna Bianchi

Matricola 850882

Corso di Laurea in Storia dal medioevo all’età contemporanea

[email protected]

1

PREMESSA

Il cuore dell’approfondimento che è l’oggetto della presente relazione, ruota intorno

alle vite di quelle donne che nell’America dei decenni che precedettero la guerra civile,

attraverso il loro variegato contributo alla causa abolizionista, contribuirono a minare la

saldezza della visione, allora dominante, del ruolo della donna nella società. In un arco

di tempo relativamente breve, che va dagli anni Trenta dell’Ottocento allo scoppio

della guerra civile, vennero gettate le basi non solo della futura emancipazione del

popolo afroamericano ma anche della strumentazione pratica e concettuale di tutti i

successivi movimenti di disobbedienza civile. Concetti e pratiche quali non violenza,

resistenza passiva, consumo critico, boicottaggio videro in quella fase una elaborazione

precoce. Anche, ove non soprattutto, in ambiti e contesti di donne.

Quel culto che le voleva relegate nel ruolo di angeli del focolare domestico e prevedeva

la separazione delle sfere d’azione tra i due universi di genere era diffuso

trasversalmente, anche all’interno dei circoli abolizionisti, e fu proprio la controversia

sul ruolo delle donne nel movimento a sancire, nel 1840, la scissione dell’ American

Anti-Slavery Society. Sostenute dal fervore religioso e dalla fede nella giustizia della

causa per la liberazione dalle catene della schiavitù, molte di queste attiviste trovarono

la forza di battersi contro i tabù, i giudizi sociali, le idealizzazioni che vietavano loro, ad

esempio, di prendere parola in pubblico.

Il nodo che mi interessa sviluppare è quello delle connessioni, nel pensiero politico

delle protagoniste di questa vicenda, tra le due lotte: quella del femminismo in nuce e

quella, trainante, per la liberazione di un popolo oppresso. A partire da che punto i due

percorsi si sovrappongono, dove, invece, confliggono; in quale grado emerge, negli

scritti e nelle testimonianze prese in considerazione, la consapevolezza che l’ingiustizia

che afflige il popolo di schiavi è la stessa che nega l’uguaglianza tra i generi; la

consapevolezza dell’essere «bound with them in chains1». In che misura questa

comunanza d’orizzonti abbia reso più o meno intenso l’apporto delle donne alla causa

abolizionista resta da valutare caso per caso: difficile ridurre ad un’unica interpretazione

1� Prendo qui in prestito il titolo di una monografia sulla storia del movimento abolizionista edita nel 1972,

di Jane H. Pease e William H.Pease citata in Ellen Ginzburg Migliorino, Donne contro la schiavitù. Le abolizioniste americane prima della Guerra Civile, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2002, p.50.

2

la complessa stratificazione di sensibilità e approcci che ognuna delle partecipanti ha

sperimentato. Diversissime per grado di istruzione, ceto sociale di appartenenza e,

fattore ancor più discriminante, per colore della pelle, le donne, le cui storie andiamo ad

indagare, alla luce di uno sguardo retrospettivo, possono dirsi accomunate dall’aver

ampliato e rivoluzionato, con il loro esempio, il significato della locuzione «true

womanhood2».

Per lo spazio concessomi in questa sede ho ritenuto opportuno dopo una veloce

disamina dell’apporto femminile alla causa su vasta scala 3 concentrarmi sull’analisi dei

nessi sopracitati all’interno di due opere in particolare. Mi riferisco ad «Appeal to the

Christian Women of the South» di Angelina Emily Grimké ed alle «Letters on the

Equality of the Sexes» di Sarah Moore Grimké. Il percorso di vita nonché del pensiero

delle due sorelle della South Carolina mi è apparso particolarmente significativo

nell’ambito del quadro generale e delle connessioni fra abolizionismo e nascente

identità di genere.

L’occasione di questo approfondimento mi è stata fornita da un primo incontro,

maturato nel periodo delle lezioni, con il saggio introduttivo al pensiero della non-

violenza4 della professoressa Bianchi, presentato nell’arco delle stesse. La questione di

come il tema dell’emancipazione femminile sia emerso, già alla fine degli anni Trenta,

rappresenta uno degli aspetti trattati, teso a sottolineare la rilevanza dell’apporto delle

donne all’interno delle fila del movimento fondato da William Lyoyd Garrison che,

seppur non ottenne l’abolizione della schiavitù, di certo segnò un inizio molto

2� Il titolo del presente lavoro fa riferimento ad una monografia di Barbara Welter, The Cult of TrueWomanhood 1820- 1860 vedi Barbara Welter, American Quarterly, Vol. 18, No. 2, Part 1 (Summer, 1966),pp. 151-174,The Johns Hopkins University Press, http://www.jstor.org/stable/2711179. Il culto delle «donnevere», per come è presentato dall’autrice, le vuole ancorate a quattro virtù cardinali: devozione, purezza,docilità e attaccamento alla vita familiare. L’autrice argomenta che alla metà del diciannovesimo secolo,nello stravolgimento esistenziale prodotto dalla rivoluzione industriale e dalle sue conseguenze sulla vitasociale, il culto della donna come madre, relegata all’ambiente domestico, svolgeva il ruolo di punto fermoin una società, per altri aspetti, in continuo mutamento.

3� Il riferimento d’obbligo è ai percorsi tracciati da Ellen Ginzburg Migliorino in Donne contro la schiavitù,

cit.

4� Bruna Bianchi, Introduzione al pensiero della non violenza (1830-1968) in Agire la nonviolenza.

Pensiero e politiche. Prospettive di liberazione nella globalizzazione , atti del Convegno tenutosi a San Servolo (Venezia) nel febbraio2004, Punto Rosso, Roma 2004, pp. 13-71.

3

promettente nella definizione delle modalità di lotta e nella radicalità della loro

applicazione.

Un contributo esteso all’inquadramento storico nonché alla definizione dei principali

nodi problematici nel lungo percorso di emancipazione degli afroamericani, con

particolare attenzione al periodo anteriore alla guerra civile, è dato dalla studiosa italo-

americana Ellen Ginzburg Migliorino, il cui lavoro, che riporto dettagliatamente in

bibliografia, rappresenta una tappa imprescindibile, nell’orizzonte nazionale, per

chiunque desideri accostarsi all’argomento. Merito della studiosa è, anche, quello di

aver evidenziato come all’interno del movimento abolizionista sia maturata la definitiva

presa di consapevolezza delle donne rispetto alla loro condizione di inferiorità nel

decennio che va dalla prima Antislavery Convention of American Women di New York

del 1837 alla Seneca Falls Convention del 1848, pietra miliare del movimento per i

diritti civili delle donne negli Stati Uniti d’America. Il riferimento a Migliorino è

d’obbligo per la definizione della bibliografia essenziale sul tema5che rimane,

principalmente, in lingua inglese.

In lingua italiana un apporto più recente anche se meno circoscritto è quello della

studiosa Silvia Benussi che dedica alle donne abolizioniste un capitolo della monografia

in cui prende in esame nel medio periodo, l’apporto femminile al movimento per i diritti

civili, arrivando a comprendere gli anni Novanta del secolo scorso6.

L’utilizzo della rete, nell’affrontare un tema i cui documenti 7 sono depositati presso

istituzioni statunitensi si è rivelato indispensabile nonché formativo. Il motore di ricerca

«Internet Archive» mette a disposizione un vastissima mole di documenti digitali, tra

cui patrimonio appartenente alle collezioni delle maggiori biblioteche universitarie

americane e canadesi fornendo facile e libero accesso a manoscritti originali e alla

5� Mi riferisco in particolare a Ellen Ginzburg Migliorino,L’emancipazione degli afroamericani. Il dibattito

negli Stati Uniti prima della guerra civile, Milano, FrancoAngeli, 1989, pp. 174-176. E ID., Donne contro la schiavitù, cit., pp. 141-148.

6� Silvia Benussi, Le donne afroamericane negli Stati Uniti. La lunga lotta per i diritti civili, Milano,

FrancoAngeli, 2007, pp.25-30.

7� Faccio riferimentoalle memorie epistolari intercorse tra i vari protagonisti della vicenda, agli Atti dei

Convegni e agli Appelli che furono redatti dalle sorelle Grimké.

4

digitalizzazione delle stampe relative all’epoca e all’argomento che in questa sede ci

interessa. Per un’approfondimento sullo stato della riflessione accademica in materia,

negli Stati Uniti, mi sono avvalsa della possibiltà di consultare la collezione digitale

«JSTOR» offerta dall’Università Ca’Foscari. Infine, il sito della Biblioteca del

Congresso mette a disposizione una vasta gamma di materiali tra cui ho rinvenuto i

verbali delle sedute della seconda Anti-Slavery Convention of American Women,

tenutasi a Philadelphia nel maggio del 18388. Nel complesso il catalogo online della

Biblioteca del Congresso rappresenta un modello ineguagliato di impegno nella

condivisione del patrimonio storico-culturale di una nazione. L’istituzione fu fondata

nel 1800 da John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti d’America, marito di

quella Abigail Adams che già alla fine del Settecento denunciava l’ingiustizia

dell’esclusione delle donne e degli schiavi dal godimento dei diritti sanciti dalla

Costituzione9.

8� In Library of Congress, Rare Book and Special Collection Division, Votes for Women. Selections from the

National American Woman SuffrageAssociation Collection, 1848-1921, Anti-Slavery Convention of American Women, Philadelphia 1838.

9� Come riporta Ellen Ginzburg Migliorino, Donne contro la schiavitù, cit.,p.16.

5

TERRITORI CONFLITTUALI

Nella definizione del territorio come spazio attraverso il quale questa vicenda si

dispiega ho ritenuto opportuno prendere le mosse dall’immagine che ritrae la situazione

conflittuale degli Stati Uniti all’alba della guerra di secessione. Innanzitutto per chiarire

le dimensioni non solo fisiche ma anche politiche del contendere: gli stati schiavisti

segnano una compatta unità geografica disposti come sono in tutta l’area sud orientale

del paese. Tale conflittualità aveva radici ideologiche e culturali di lungo periodo che si

legavano alla tipologia e all’estrazione dei primi gruppi che colonizzarono la costa

orientale degli Stati Uniti11e che, alla metà del diciannovesimo secolo si era

10� Da Treccani.it, Enciclopedia italiana online

URLhttp://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig//system/galleries/NPT/VOL_9/IMMAGINI/StatiUnitidxAmerica_04.jpg

11� Confronta Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana, Torino, Einaudi, 1966, pp. 20-41.

6

istituzionalizzata in una profonda scissione di natura economica, tra un Nord proiettato

verso l’industrializzazione ed un sud prevalentemente agricolo, dove le grandi

piantagioni di cotone e tabacco dominavano il paesaggio e l’assetto produttivo. E, di

natura politica, tra un Nord tendenzialmente federalista, convinto della necessità di un

forte governo centrale e improntato su un etica calvinista del lavoro e un Sud

autonomista, dove il senso della collettività, anche in virtù dell’abbondanza di spazio e

della tipologia d’insediamento sparso ed isolato, era sacrificato ai valori di un

individualismo spiccato.

L’esperimento democratico americano12 arriva, con l’elezione di Lincoln a presidente

dell’Unione, a confrontarsi con la sua prima grande sfida a meno di cento anni dalla

rivoluzione indipendentista che ne aveva decretato l’inizio. Non è questa la sede per

affrontare nel dettaglio la complessità delle ragioni e degli esiti di questo scontro

interno a quella che, in ogni caso, nell’epoca in cui si svolsero i fatti, rimaneva una

società ad alto tasso di democrazia, almeno in germe13. Senz’altro il tema della schiavitù

e della sua abolizione costituisce uno dei fattori esacerbanti del conflitto, se non quello

portante. La condanna di quest’istituto tanto iniquo quanto antico nelle società umane,

era iniziata a maturare già da lungo tempo all’interno delle coscienze di uomini e donne

che vissero quella stagione: i più illuminati pensatori che condannarono la schiavitù,

appartenevano a quel Sud che dalla schiavitù era dipendente; entrambi virginiani, erano

essi stessi grandi proprietari oltre ad essere due dei Founding Fathers della nazione. Sia

Washington che Jefferson si erano pubblicamente pronunciati contro la schiavitù 14, pur

prevendone un’abolizione graduale.

La genesi e lo sviluppo del movimento abolizionista corre anch’essa il rischio di esser

meglio compresa, qualora costantemente riferita ai territori che ne furono lo scenario.

Occorre innanzitutto precisare che è negli stati del Nord del paese, dove la schiavitù era

già stata abolita, per fattori contingenti, non di certo per una questione di moralità, che

12� Così definito in Arthur M.Schlesinger Jr, I cicli della Storia americana, trad. it. di [Isabella Casabianca],

Pordenone, Studio Tesi, 1991.

13� Alexis De Toqueville, De la démocratie en Amérique, douzième édition, Paris 1848, 4 volumi; vol. I,

p.35.

14� Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana,cit., pp.70-71.

7

nasce l’abolizionismo militante intorno alla figura di William Lloyd Garrison,

intellettuale new-englander, figlio di un capitano di mare, che nel 1831 dà alle stampe il

primo numero di «The Liberator» a Boston, nel Massachussets 15. Verso il miraggio di

un Nord portatore di libertà si dispiegano quelle ferrovie, «sotterranee» e non, lungo cui

corsero gli schiavi fuggiaschi ma anche gli oratori e le oratrici itineranti, che fecero

della moral suasion forse l’arma più affilata nella loro crociata per il risveglio delle

coscienze e il rifiuto dell’obbedienza a leggi considerate moralmente ingiuste. La

cornice spirituale e di revivalismo religioso fu l’alveo all’interno del quale le donne

mossero i primi passi verso la presa di coscienza del loro ruolo nella società.

Appartenenti alla setta quacchera della Society of Friends erano tutte le donne che

parteciparono il 4 dicembre del 1833 alla fondazione dell’ American Anti-Slavery

Society a Philadelphia16. Ma le chiese furono , in seguito all’irrigidimento dei Ministri

di culto il luogo dove le donne si scontrarono contro il pregiudizio che le voleva

inadatte a prender parola in pubblico17.

È proprio questo uno dei temi ricorrenti, in diverse forme e gradi, in tutta questa

vicenda: come all’interno di una comunità ispirata formalmente ai principi

dell’uguaglianza, della democrazia, della libertà e dei diritti inalienabili, si annidassero

nella realtà concreta dei fatti i germi di quella contraddizione che questi stessi diritti

negava a intere categorie di esseri umani. Fu proprio nello scontro con questa «realtà

dei fatti» che il pensiero abolizionista maturò la sua radicalità: nel rifiuto dei piani di

«deportazione» dei neri liberi per un ritorno in Africa18; nella rivendicazione per

un’emancipazione «immediata» lontana da qualsiasi forma compromissoria che ne

ritardasse l’attuazione in un incerto futuro; nella comprensione da parte di alcune delle

donne ( e degli uomini) del movimento che la tendenza ad escluderle dalla sfera della

15� Ivi, pp.73-77.

16� Ellen Ginzburg Migliorino, Donne contro la schiavitù, cit.,p.22-23.

17� Vedi la Pastoral Letter della General Association of Congretional Ministers of Massachussets del luglio

1837 che riporto in appendice.

18� Questo il piano dell’American Colonization Society fondata nel 1817 che prevedeva di insediare una

colonia di neri americani liberi in Africa in alternativa all’emancipazione negli Stati Uniti. Nel 1822 la Society fondò sulla costa occidentale africana la colonia che nel 1847 divenne la nazione indipendente della Liberia. Dal sito della Biblioteca del Congresso, sezione Mostre, Il Mosaico Afro-Americano, Colonizzazione http://www.loc.gov/exhibits/african/afam002.html

8

partecipazione politica attiva andava combattuta con altrettanta tenacia che quella di

considerare gli esseri umani dal diverso colore della pelle al pari di oggetti.

PAROLE e IDENTITÀ PUBBLICHE

Sulla retorica di genere, e sul suo utilizzo discrezionale, da parte degli abolizionisti

garrisoniani, Kristin Hoganson ha pubblicato un articolo che aiuta a comprendere come

la categoria di genere, e tutte le sue conseguenze sul piano della legittimazione politica,

siano a tal punto connesse con la questione della schiavitù, da divenire una delle

argomentazioni portanti su cui sia fautori che abolizionisti costruiscono il loro

discorso19. La legittimazione della causa abolizionista passa, in alcuni casi, per la

riaffermazione di quel regime di sfere separate e del culto del vero uomo e della vera

donna, valori fondamentali della società dell’epoca, della stabilità e dell’ordine morale,

contro i quali lo schiavo e la schiava nera e le loro annullate differenze di genere,

rappresentano un attentato molto più grave di quello portato dalle «femmine parlanti»

del movimento abolizionista20. Nell’America di metà Ottocento, culturalmente

impostata su una morale vittoriana e su una rigida separazione dei poteri e dei diritti,

che nella realtà dei fatti vedeva nell’uomo bianco e possidente, l’unico vero possibile

detentore della sovranità politica, le istanze egualitarie, sia per quanto attiene alla razza

che al genere, si affacciano sulla scena pubblica non senza controversie e

contraddizioni, a partire da un dato di fatto politico ed incontrovertibile: donne bianche,

donne nere e uomini neri (soggetti politicamente deboli e delegittimati) presero parola,

per via scritta e per via orale, in pubblico.

19� Kristin Hoganson, Garrisonian Abolitionists and the Rhetoric of Gender, 1850-1860, « American Quarterly», Vol. 45, No. 4 (Dec., 1993), pp. 558-595,The John Hopkins University Press, URL http://www.jstor.org/stable/2713309 .

20� Da segnalare che il dibattito a cui fa riferimento Hoganson ebbe luogo nel decennio 1850-1860, ben oltre

la data del 1840 che segna la spaccatura tra Garrisoniani e non all’interno del movimento abolizionista, sul ruolo ivi assegnato alle donne e che diede vita alla American and Foreign Anti-Slavery Society, con a capo Arthur Tappan e con idee molto più conservatrici sul ruolo da assegnare alle donne e soprattutto sulla rilevanza delle istanze femministe.

9

LA PARTECIPAZIONE FEMMINILE ALLA CAUSA ABOLIZIONISTA

Alla riunione del 4 dicembre 1833 che a Philadelphia vide la nascita dell’American

Anti-Slavery Society e la sottoscrizione di quella Declaration of Sentiments che ne

enunciava gli intenti, parteciparono sette delegati afro-americani e ben quattro donne su

un totale di sessantadue21. Neri e femmine conservavano il ruolo di minoranze anche

all’interno di questo contesto amichevole che li voleva protagonisti attivi. Financo

all’interno dei movimenti abolizionisti la discrimazione nei confronti dei neri e delle

donne rimane la nota di fondo dominante. Senza andare a scomodare teorie

psicanalitiche ingombranti, che in questa sede non ho il tempo di indagare, mi pare

possibile affermare che nella società dell’epoca, il solo fatto di vedere un nero seduto

accanto ad un bianco o una donna fuori dal posto unanimemente assegnatole

dall’immaginario collettivo, era in grado di suscitare reazioni violente sulla scorta di

incubi di promiscuità, di fusione delle razze che attentavano, anche nell’inconscio del

bianco più avveduto, ai valori morali fondanti della società corrente. Quasi che la

schiavitù fosse solo la punta dell’iceberg di un intero sistema di credenze che sia i neri

che le donne, in qualità di minoranze oppresse, dovettero continuare e continuano a

combattere ben oltre i limiti temporali che segnano l’oggetto di questa indagine, in una

ricerca di identità che è il sostrato comune e la meta di questa lunga marcia immobile

che accomuna i due gruppi. La via della separazione che tanto caratterizzerà le battaglie

del secolo successivo è tracciata fin dagli albori e testimoniata dalla creazione di

società, Conventions, società letterarie di soli neri o sole donne22.

In ambito femminile la necessità di questi spazi separati non era fermamente condivisa

da tutte come testimoniano le parole di Lydia Maria Child pubblicate sul Liberator di

Garrison del 6 settembre 1839, «È bene non parlare dei nostri diritti, andare

semplicemente avanti e fare quello che riteniamo sia nostro dovere. Occupandoci della

libertà degli altri, troveremo la nostra »23.

21� Ellen Ginzburg Migliorino, La marcia immobile. Storia dei neri americani dal 1770 al 1970, Milano,

Selene, 1994, p.60.

22� Ivi ,pp. 63-72.

23� Ivi, p.42.

10

La posizione di Child rappresenta l’esito di una riflessione di lungo periodo in merito ai

dubbi sull’utilità di conferenze per sole donne che essa aveva già espresso nel 1833 e

che portarono alla sua rinuncia a partecipare alle Anti-Slavery Convention of American

Women che seguirono quella di New York del maggio 1837, nello specifico a

Philadelphia nel maggio dei due anni successivi. Presa di posizione che non può

senz’altro essere interpretata come sintomo dell’inconsapevolezza di Child rispetto al

problema della condizione femminile, che essa affrontò dettagliatamente nella sua

monografia «History of the Condition of Women, in Various Ages and Nations»24,

quanto piuttosto della consapevole e ponderata scelta di dedicarsi ad altro. Non senza

una vena polemica nei confronti di chi attorno all’esclusione delle donne dal

movimento aveva sostanziato la scissione dell’ Aass, nel maggio 1840, almeno

formalmente a seguito dell’elezione di una donna, Abby Kelley, nella Committee of

Business dell’associazione25.

Della piena utilità degli incontri femminili rimase invece sempre convinta Lucretia

Mott, altra affermata abolizionista, una delle quattro partecipanti al momento fondativo

dell’ associazione di Garrison, che riteneva questi incontri un’occasione per le donne di

acquisire maggiore consapevolezza rispetto al proprio potere. Originaria del

Massachussets, Mott fu una delle delegate americane alla World Anti-Slavery

Convention di Londra nel giugno 1840. Forte dell’esperienza ivi maturata, in occasione

del diniego da parte del comitato organizzativo alla partecipazione delle donne ai lavori,

in quanto «non conforme alle regole e alle usanze della società inglese», Mott, al ritorno

in patria, avendo rafforzato i legami tra donne, nonché uomini intimamente convinti

dell’ingiustizia di questa esclusione, tra i quali Elizabeth Cady Stanton e lo stesso

Garrison, diede una spinta decisiva alla nascità del movimento per i diritti delle donne,

24� Ivi,p.56.

25� Mi riferisco alla lettera di Child indirizzata a Garrison (e pubblicata in versione integrale nell’appendice

di Ellen Ginzburg Migliorino, Donne contro la schiavitù, cit.,pp. 127-129) in cui l’autrice segnala l’attegiamento perlomeno contraddittorio di Mr.Tappan ,ora a capo della cellula secessionista del movimento denominata American and Foreign Anti-Slavery Society che solo qualche anno prima la implorava di prender parola in una Convention dove si era ritrovato a corto di oratori efficaci. Arrivando, davanti al rifiuto di Child a prender parola, ad esortare il di lei marito a persuaderla di parlare e sentendosi rispondere che egli preferiva lasciarla agire in piena libertà.

11

con l’organizzazione nel luglio del 1848 della Convention di Seneca Falls nello stato di

New York, e la redazione della relativa Declaration of Sentiments. Questo l’incipit.

Quando, nel corso degli eventi della storia umana, diviene necessario per una porzionedell’umana famiglia di assumere una posizione diversa da quella, fino a quel momento,occupata in mezzo agli altri, ma una posizione alla quale le leggi della natura e la natura diDio la chiamano, la decenza dovuta e il rispetto delle umane opinioni richiedono che dettaporzione dichiari davanti agli altri i motivi che la obbligano a tale risoluzione26.

26� La traduzione di questo breve estratto è mia. Per la consultazione dell’originale in lingua inglese rinvio

al sito della Biblioteca del Congresso, Divisione Libri Rari e Collezioni Speciali, I quaderni del Suffragio diMiller Nawsa,1897-1911, quaderno 6, pp. 68 consultabile presso http://memory.loc.gov/cgi-bin/query/D?rbcmillerbib:4:./temp/~ammem_Z9Oo::

1

LE SORELLE GRIMKÉ

Il contributo affatto particolare che le sorelle Grimké apportarono alla causa fu in primo

luogo sancito dal fatto di essere due donne del Sud; per nascita proprietarie di schiavi.

Sarah and Angelina Grimké were born in Charleston, South Carolina; Sarah, Nov. 26, 1792,Angelina Feb. 20, 1805. They were daughters of the Hon. John Faucherau Grimké, a colonelin the revolutionary war, and judge of the Supreme Court of South Carolina. His ancestorswere German on the father’s side, French on the mother’s; the Fauchereau family having leftFrance in consequence of the revocation of the Edict of Nantes in 168527.

Che le due sorelle avessero ereditato geneticamente le qualità intellettuali e l’istintiva

indipendenza di pensiero dagli avi ugonotti in fuga da una Francia in cui Luigi XIV

aveva restaurato l’intolleranza religiosa, rimane una suggestiva congettura a posteriori.

Resta il fatto che fu proprio davanti alla loro famiglia e alle sue istituzioni che le due si

ribellarono rigettando una condizione di vita agiata in cambio della lotta per una causa

che avrebbe corroso le fondamenta della struttura sociale che le aveva viste nascere. Il

percorso che le accomuna nel prendere le distanze dalla casa paterna, guidato da Sarah,

di dodici anni più grande, e, in seguito, intrapreso da Angelina è segnato da delle tappe

precise: la dipartita da Charleston alla volta di Philadelphia; l’abbandono della chiesa

episcopale, sui banchi della quale erano state allevate, e l’adesione alla quacchera

27� Catherine H.Birney, The Grimké Sisters. Sarah and Angelina Grimké, the first American women

advocates of abolition and woman’s rights, Boston, Lee and Shepard, New York, C.T. Dillingham, 1885 in Internet Archive, Boston Library Consortium, Wellesley College Library, https://archive.org/details/grimksisterssara00birn

2

Society of Friends; infine la dedizione alla causa abolizionista e al movimento fondato

da William Lloyd Garrison. Il resoconto della Birney, peraltro, tramite un accurata

indagine delle esigue memorie epistolari pervenuteci28 e dei diari delle due sorelle

rintraccia nei primi anni di vita la gestazione dello stravolgimento interiore che porterà

le due coscienze a quel «risveglio» morale, etico, religioso che sottende alle rispettive

scelte di vita e che a partire da una posizione di accettazione, intimamente sofferta,

dell’istituto della schiavitù come dato di fatto ne fece due delle più intransigenti

oppositrici. Tra le due non intercorse sempre un’uniformità di vedute: nonostante la

maggiore Sarah avesse aperto la strada, l’indole e la disposizione interiore la portarono,

in un primo momento, a disapprovare l’audacia della più giovane. Nei lunghi anni che

videro maturare le loro convinzioni interiori, sotto l’egida di quella Society of Friends

che divenne per loro una seconda famiglia, soprattutto Sarah visse in maniera

travagliata la situazione di perenne conflitto tra le istanze maturate in un dialogo tutto

interiore con la propria coscienza e una condizione esterna di sostanziale

delegittimazione rispetto a prese di posizione reputate troppo radicali dal contesto di

appartenenza. A prender la parola in pubblico, scatenando la ferma opposizione della

Society e della sorella, fu, per prima Angelina. Peraltro in maniera del tutto involontaria.

L’occasione fu data dalla pubblicazione da parte di Garrison sul «Liberator» di una

lettera inviatagli privatamente da Angelina a sostegno delle sue posizioni 29. Questo

progressivo allontanamento, da parte di Angelina, dagli scopi e dalle posizioni della

Society, fu accompagnato da un interrogativo costante e ricorrente: «What am i to

do?30». Nel 1836, la risposta le arrivò come un ‘illuminazione divina, quando intraprese

la redazione di quel «Appeal to the Christian Women of the South» la cui

pubblicazione, a cura dell’American Anty-Slavery Society, rappresenta assieme alla

serie di lettere pubblicate dalla sorella dal titolo «Letters On The Equality of the Sexes

and the Condition of the Women» la testimonianza dell’incisività e della radicalità delle

argomentazioni portate avanti dalle due sorelle in una lotta per l’emancipazione e la

28� Come risulta dallo studio di Birney fu per volere della stessa Sarah che la maggior parte delle lettere sia

andata distrutta. Ivi, p.34.

29� Ivi, pp. 126-131.

30� «Che cosa posso fare?»

3

libertà che le vide protagoniste e che a tutti gli effetti si concluse nel 1838 con il loro

ritiro dalla scena politica31.

I documenti.

Prima di affrontare nel vivo i due documenti che qui propongo di esaminare mi preme

puntualizzare un’osservazione scaturita dall’analisi delle fonti su cui ci basiamo e a cui

fanno riferimento tutti i successivi studi sulla vita e le opere delle sorelle Grimké,

ovvero la biografia edita dalla Birney nel 1885 e il memoriale redatto da Theodore

Dwight Weld nel 1880 per ricordare la moglie appena deceduta32.Sono entrambe fonti

molto vicine nel tempo e nell'emotività di scrive all'oggetto dei loro resoconti.

Conservano, pertanto, pregi e difetti di tali tipi di fonti, rasentando per certi versi

l'intento agiografico, colmano i vuoti e le lacune di una distanza nel tempo, che

garantisca ampiezza visuale, con l'estrema e dettagliata precisione di chi determinati

eventi, oltre a raccontarli, li ha effettivamente vissuti.

Alla luce dei due secoli trascorsi, quello che appariva come un ritardo di Sarah nei

confronti di Angelina, unmaggior grado di esitazione, un'incertezza quasi al limite della

mancanza di coraggio nei confronti della spregiudicatezza dell'altra, oggi,

miracolosamente ci appare, quasi all'inverso, con la potenza e l'ampiezza di parole che

anticipano i tempi e, proprio per questo, all'interno del loro proprio tempo, faticano

maggiormente durante il travaglio che le mette al mondo. Questo senza voler mettere in

una sterile competizione i due testi ma semplicemente sottolineando come

l'elaborazione di Sarah rispetto alla condizione di comune passività che lega il popolo

dei neri all'universo femminile risulti maggiormente compiuta.

31� Gerda Lerner, The Grimke Sisters and the Struggle Against Race Prejudice, in «The Journal of Negro History», Vol. 48, No. 4 (Oct., 1963), p.289. Vedi anche il resoconto delle motivazioni personali esposto dal marito di Angelina, Theodore Weld, immediatamente dopo la sua morte, nel Memorial Sketch utilizzato sia da Lerner che da Katherine Du Pre Lumpkin come fonte nelle loro ricerche sulle sorelle come riportato in Marshall Foletta, Angelina Grimké: Asceticism, Millenarianism, and Reform,in «The New England Quarterly», Vol. 80, No. 2 (Jun., 2007), pp. 179-217, URL http://www.jstor.org/stable/20474532.

32� Theodore Dwight Weld, In Memory: Angelina Grimké Weld, Boston, George H.Ellis, 1880, consultabile

presso https://archive.org/details/inmemoryangelin00weldgoog

4

L'Appello risale al 1836 mentre la compilazione del corpo di Lettere risale a un periodo

compreso tra luglio ed ottobre del 1837. Ambedue i testi fanno ricorso alla

reinterpretazione delle Sacre Scritture e ai principi enunciati nella Dichiarazione

d'Indipendenza degli Stati Uniti per confutare le tesi dei rispettivi oppositori.

Angelina mantiene il fuoco della propria dissertazione attorno al nodo dell'illegittimità,

davanti a Dio, del dominio dell'uomo sull'uomo, Sarah lo sposta sull'altrettanto

infondata pretesa di dominio dell'uomo sulla donna. Tutta la prima parte

dell'argomentazione di Angelina è volta a smontare la tesi secondo cui la legittimità

della schiavitù in America si fonda sull'esistenza dell'istituto della servitù nell'era

patriarcale e sotto le leggi di Mosè, infatti « Le leggi di Mosè sulla servitù proteggevano

i servi ed i loro diritti di uomini e donne, li tutelavano dall'oppressione e li difendevano

dall'errore33». In seconda istanza, Angelina chiarisce la motivazione del suo riferirsi alle

donne, ammettendo che non sono esse a poter promulgare le leggi ma ribadendo che

esse sono le mogli, le madri, le sorelle e le figlie di coloro che lo fanno. E possono,

pertanto, esercitare il loro potere di persuasione. Possono informarsi e leggere in merito,

possono pregare, possono parlare e possono, infine, agire. Un passaggio rilevante del

testo considera il comportamento da tenere nei

confronti di leggi ritenute ingiuste, « […] certe leggi malvagie non possono

rappresentare un ostacolo34».

Nell'ottica dell'autrice la legge di Dio come si evince dalla Bibbia e come emerge da un

dialogo serrato con la propria coscienza, prevale sempre sulla legge dell'uomo. Esorta

altresì a non preoccuparsi delle conseguenze; compito degli abolizionisti è quello di

togliere la pietra dell'ignoranza che ha seppellito i propri fratelli neri per oltre 400 anni,

così come Marta e Maria scoperchiarono la tomba del fratello Lazzaro prima che Dio ne

operasse la risurrezione. Infine dopo aver difeso il movimento abolizionista dalle accuse

di insurrezionalismo chiude rivendicando la necessità dell'emancipazione immediata

contro le ipotesi gradualiste.

33� Angelina Emily Grimké, Appeal to the Christian Women of the South, NewYork, Aass, 1836, p.11. Consultabile in https://archive.org/details/appealtochristia1836grim

34� Ivi,p.18.

5

Nelle Lettere della maggiore delle sorelle Grimké, in tutto quindici, indirizzate a Mary

Parker, presidentessa della Boston Female Anti-Slavery Society, emerge lo stesso

schema probatorio, dove il riferimento costante ai Sacri Testi è teso a svincolarsi dalla

lettura e dalla traduzione che ne è stata, fino a quel momento, data in chiave prettamente

maschile35. « Sono incline a pensare che quando avremo accesso all'onore dello studio

del greco e dell'ebraico antico, potremo produrre delle interpretazioni della Bibbia

leggermente differenti da quelle che conosciamo36». Il pungente sarcasmo di Sarah

rinvia ad un dato della sua biografia: il rancore mai sopito di fronte alla negazione delle

sue aspirazioni allo studio, considerate unwomanly37.

E, in effetti, gran parte della riflessione di Sarah ruota attorno alla possibilità di

smontare l'interpretazione dei passi della Genesi che condannano la donna come l'unica

usurpatrice del dono concessole dalla grazia divina, fonte della tentazione nei confronti

della sua controparte maschile e simbolo di debolezza ed immoralità.

Nella visione di Sarah, l'uomo conserva altrettante responsabilità della donna nell'atto

che ha determinato la caduta dall'idillica e incolpevole condizione di innocenza

originaria. Al contrario, sarebbe la responsabilità dell'uomo quella di aver recluso,

attraverso secoli di usurpazione di un diritto non concessogli da Dio, la componente

femminile in uno spazio dove femminilità diviene sinonimo di sensualità e la donna

viene privata della possibilità stessa di esercitare quella natura, di essere moralmente ed

intellettualmente elevato, che, per diritto divino, le appartiene, al pari dell'uomo. « […]

egli ha offerto incenso alla di lei vanità, l'ha resa lo strumento delle sue egoistiche

gratificazioni, un giocattolo atto a procurare piacere alla sua vista ed a intrattenerlo nei

suoi momenti di svago38». Sulla scorta di affermazioni di tale natura, Sarah si domanda

35� Sarah Moore Grimké, Letters on the Equality of the Sexes and the Condition of Woman, Boston, Isaac

Knapp, 1838,p.4. Consultabile presso https://archive.org/details/lettersonequalit00grimrich.

36� Ivi, p.16.

37� Catherine H.Birney, The Grimké Sisters,cit., p.18. Vedi https://archive.org/details/grimksisterssara00birn

38� Sarah Moore Grimké, Letters on the Equality of the Sexes, cit.,p.17.

6

su quali basi gli illuminati ministri del culto pretendano di arrogarsi il ruolo di unici

intermediari ed intercessori della parola divina. Bibbia alla mano, Sarah sposta le

rivendicazioni di Lutero di oltre tre secoli e su un piano di genere.

Nella Lettera intitolata «Rapporti sociali tra i sessi», la sua invettiva si dirige contro

quel culto della vera femminilità che legava la figura della madre, della moglie, della

donna ad una presunta delicatezza d'animo che, sempre nella visione maschile, le

impedirebbe di predicare, di prender parola, di ostentare la propria intima essenza

davanti al mondo pena una scomunica irrevocabile. Che le impediva, in sostanza, quel

«confronto» che è la radice di ogni ricerca di identità. È l'identità negata, dunque, il

fulcro della rivendicazione della maggiore delle Grimkè, come più di un secolo dopo lo

sarà nelle parole di quel Malcolm X che nella lettera del suo cognome, porterà

testimonianza del furto d'identità perpetrato dall'uomo bianco a danno e a dannazione

dell'uomo nero.

La disamina etnologica delle condizioni della donna in diverse culture, età e continenti

la porta a constatare che la presunta debolezza fisica della donna non ha impedito che

nella divisione funzionale del lavoro, all'interno di predette società, essa assumesse

compiti gravosi e fisicamente impegnativi. In quanto «schiave» o «bambole», nell'arco

della storia dell'umanità, le donne hanno condiviso con i fratelli neri, e forse in misura

più imponente, l'oltraggio della compravendita. Nessuna «grande cultura» del passato è

risparmiata dallo sferzante giudizio in merito agli usi, le consuetudini ed i costumi del

trattamento della donna. Quando passa ad analizzare la situazione negli Stati Uniti

d'America, il suo giudizio non si fa certo meno dissacrante:

[...] nella maggior parte delle famiglie risulta considerevolmente più grave disturbare unagiovane nelle proprie attività mentre sta preparando una torta o un pudding piuttosto chementre si trova indaffarata nei suoi studi. Tale metodo di educazione, inevitabilmente esalta,nell'ottica delle giovani, la loro natura animale anziché quella spirituale ed intellettuale, edinsegna alle donne a raffigurarsi come una sorta di macchinario progettato per tenere inordine e far funzionare l'economia domestica, ma di scarso valore in quanto compagnadell'uomo, nel pieno delle sue facoltà di intendere e di ragionare39.

39� Ivi, p.48.

7

Paradossalmente il medioevo definito epoca oscura, da un punto di vista illuministico,

risulta come un «filamento d'oro che attraversa le epoche di oscurità40» per quanto

concerne la possibilità per le donne di studiare ed attivare le proprie facoltà morali ed

intellettuali.

La Lettera dodicesima è interamente spesa a sanzionare gle menomazioni dal punto di

vista legislativo e del diritto della categoria, vere e proprie «disabilità legali» delle

donne.

Eccezion fatta per la possibilità di presentare petizioni al corpo legislativo, la donnarappresenta una nullità nella nazione; o, se non propriamente così, essa è, insieme ai suoifratelli schiavi del sud, un numero che contribuisce a ingrossare le fila dei rappresentantieletti per lo Stato a cui essa appartiene; rappresentanti che terrano in scarso conto i suoiinteressi, al momento di promulgare le leggi, a meno che il bene di lei non coincida conquello di loro stessi41

L'ignoranza della propria condizione legale, a cui la donna è costretta, determina, al pari

della stessa

( durante il matrimonio la donna nella maggior parte degli Stati dell'Unione non

possiede personalità giuridica scissa da quella del marito), quella condizione di

inferiorità legalmente sancita,

così ben descritta dalle sue parole:

[…] I nostri premurosi protettori hanno legiferato in merito a quasi tutti i nostri diritti, e inpieno spirito di ingiustizia ed oppessione, ci hanno tenuto all'oscuro di quelle stesse leggi dacui siamo governate. Ci hanno persuaso che non abbiamo il diritto di informarci su tali leggie che, in ogni caso, non le comprenderemmo42.

Gli abusi più evidenti riguardano il regime di separazione dei beni e delle reciproche

obbligazioni all'interno del matrimonio, nettamente favorevoli al marito/padrone.

Il dogma dell'inferiorità della donna di fronte all'uomo viene, quindi smascherato e

confutato seguendo due direttrici: il disvelamento della parzialità delle leggi umane,

40� Ivi, p.63.

41� Ivi, p.74.

42� Ivi, p.75.

8

scritte da uomini, e la reinterpretazione dei passaggi degli scrittori ispirati su cui gli

uomini, erroneamente, hanno costruito il loro dominio e rivela, ancora una volta,

l'irriducibile autonomia intellettuale di Sarah

[…] l'autorità delle opinioni basate sulla cattiva interpretazione di alcuni passi, non detienealcun peso per me: sono opinioni di giudici interessati, e non gli porto nessun tipo diossequioso rispetto, semplicemente perché sono stati venerati di generazione in generazione.Al contrario, esamino qualsiasi posizione, espressa nei secoli dei secoli, con la stessa libertàed accuratezza che dedicherei a un'opinione di ieri. Sono stata educata a pensare per mestessa, e questo è un privilegio il cui esercizio intendo rivendicare43.

Non trovo modo migliore di chiudere questa breve rassegna sul pensiero di Sarah

Moore Grimké, che certo merita se non ossequioso rispetto, perlomeno il

riconoscimento del peso che le sue parole hanno nella coscienza di chi legge, con la

formula da lei stessa adoperata a conclusione di ogni lettera.

Thine in the bonds of womanhood.

Tua nel comune vincolo dell'esser donna.

43� Ivi, p.91.

9

CONCLUSIONI

Per quanto concerne i sentieri che si dischiudono alla ricerca in quest'ambito mi

piacerebbe indagare le continuità, celate dietro apparenti soluzioni e fratture, che si

riallacciano tra questi due secoli così pieni e determinanti della storia americana,della

storia dei neri e della storia delle donne che sono stati il diciannovesimo e il ventesimo.

Prendo spunto da una suggestione ricevuta nella lettura della prefazione di Nicola

Gallerano al testo di Ginzburg Migliorino, La marcia immobile, che affronta la storia

dei neri d'America su un arco temporale che arriva agli anni Settanta del secolo scorso,

egli afferma la specificità americana di questa vicenda. Al tempo stesso, proprio in virtù

di tale specificità, delinea l'universalità di una storia che «[...] parla anche a chi, come

noi, appare o si ritiene estraneo o lontano geograficamente e culturalmente dai conflitti

che in questo volume vengono raccontati44».

Ecco, alla stessa universalità mi sembra appartengano le vicende e i tumulti interiori

delle protagoniste di questa vicenda. Parlano a chi, come noi, vive in una società dove

la stratificazione della complessità incarcera sempre più l'individuo, donna, uomo o

animale che sia, all'interno di logiche ad esso estranee. Esortano a dare ascolto a

quell'intimo grido di libertà che soggiace irrequieto all'oppressione dei nostri tempi. Ci

chiama all'autodeterminazione e alla presa di consapevolezza del potere che abbiamo di

esprimerci in pensieri, parole ed atti. Ci vuole protagonisti del tratto, a noi riservato, in

questa staffetta che è la lunga marcia immobile dell'umanità su questo pianeta.

44� Ellen Ginzburg Migliorino, La marcia immobile, cit., p.8

10

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Monografie• Ellen Ginzburg Migliorino, Donne contro la schiavitù. Le abolizioniste americaneprimadella Guerra Civile, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2002.• Ellen Ginzburg Migliorino,L’emancipazione degli afroamericani. Il dibattito negliStatiUniti prima della guerra civile, Milano, FrancoAngeli, 1989.• Ellen Ginzburg Migliorino, La marcia immobile. Storia dei neri americani dal 1770al1970, Milano, Selene, 1994.• Catherine H.Birney, The Grimké Sisters. Sarah and Angelina Grimké, the firstAmericanwomen advocates of abolition and woman’s rights, Boston, Lee and Shepard, NewYork,C.T. Dillingham, 1885.Articoli• Bruna Bianchi, Introduzione al pensiero della non violenza (1830-1968) in Agire lanonviolenza. Pensiero e politiche. Prospettive di liberazione nella globalizzazione , attidelConvegno tenutosi a San Servolo (Venezia) nel febbraio2004, Punto Rosso, Roma2004.• Kristin Hoganson, Garrisonian Abolitionists and the Rhetoric of Gender, 1850-1860,«American Quarterly», Vol. 45, No. 4 (Dec., 1993).• Gerda Lerner, The Grimke Sisters and the Struggle Against Race Prejudice, in «TheJournalof Negro History», Vol. 48, No. 4 (Oct., 1963).

11