" NEURODIDATTICA, INSEGNARE AL CERVELLO CHE APPRENDE "

39
NEURODIDATTICA, INSEGNARE AL CERVELLO CHE APPRENDE “ Pier Cesare Rivoltella 1° capitolo: “NEUROMITOLOGIE” Il primo capitolo di Rivoltella è dedicato alla discussione di alcune mitologie con lo scopo di prendere le distanze dall’uso superficiale delle neuroscienze. Il capitolo prende in considerazione la neuro mitologia più diffusa ovvero quella che ritiene che le giovani generazioni, a causa dell’assidua frequentazione dei media digitali, presenterebbero i sintomi di una trasformazione cerebrale tale da avviarli a essere esempi di un nuovo tipo di intelligenza, la cosiddetta intelligenza digitale. John G. Geake, studioso australiano, afferma che noi usiamo solo il 10% del nostro cervello per svolgere la nostra attività cognitiva, spiega la distinzione tra persone “cerebredestre” (creative) e “cerebrosinistre” (metodiche), ed è della convinzione che esistano stili di apprendimento (ad oggi circa 170) che determinerebbero il modo assolutamente personale di ogni singolo individuo di accostarsi ai contenuti per appropriarsene e fissarli in memoria. Il ricercatore Geake dà a queste idee ingenue il nome di neuromitologie. IL MITO: FUNZIONAMENTO E STRUTTURA. CERVELLO DESTRO E CERVELLO SINISTRO. Roland Barthes ha definito il mito come “un sistema semiologico secondo che rovescia la cultura in natura”. (Ad esempio un soggetto in difficoltà di fronte a compiti razionali viene definito cerebrodestro) Nella prospettiva neuromitologica, quindi, i due emisferi cerebrali sono specializzati: il sinistro per funzioni che hanno a che fare con la razionalità, il destro per funzioni creative. La retorica mitologica intende far credere questo dato culturale come un dato di natura. Questa convinzione determina alcune conseguenze: la giustificazione su base 1

Transcript of " NEURODIDATTICA, INSEGNARE AL CERVELLO CHE APPRENDE "

“NEURODIDATTICA, INSEGNARE AL CERVELLO CHE APPRENDE “Pier Cesare Rivoltella

1° capitolo: “NEUROMITOLOGIE”

Il primo capitolo di Rivoltella è dedicato alla discussione dialcune mitologie con lo scopo di prendere le distanze dall’usosuperficiale delle neuroscienze. Il capitolo prende inconsiderazione la neuro mitologia più diffusa ovvero quella cheritiene che le giovani generazioni, a causa dell’assiduafrequentazione dei media digitali, presenterebbero i sintomi diuna trasformazione cerebrale tale da avviarli a essere esempi diun nuovo tipo di intelligenza, la cosiddetta intelligenzadigitale. John G. Geake, studioso australiano, afferma che noi usiamo soloil 10% del nostro cervello per svolgere la nostra attivitàcognitiva, spiega la distinzione tra persone “cerebredestre”(creative) e “cerebrosinistre” (metodiche), ed è della convinzioneche esistano stili di apprendimento (ad oggi circa 170) chedeterminerebbero il modo assolutamente personale di ogni singoloindividuo di accostarsi ai contenuti per appropriarsene e fissarliin memoria. Il ricercatore Geake dà a queste idee ingenue il nomedi neuromitologie.

IL MITO: FUNZIONAMENTO E STRUTTURA. CERVELLO DESTRO E CERVELLOSINISTRO.

Roland Barthes ha definito il mito come “un sistema semiologicosecondo che rovescia la cultura in natura”. (Ad esempio unsoggetto in difficoltà di fronte a compiti razionali vienedefinito cerebrodestro) Nella prospettiva neuromitologica, quindi,i due emisferi cerebrali sono specializzati: il sinistro perfunzioni che hanno a che fare con la razionalità, il destro perfunzioni creative. La retorica mitologica intende far crederequesto dato culturale come un dato di natura. Questa convinzionedetermina alcune conseguenze: la giustificazione su base

1

neurologica delle eventuali difficoltà di apprendimento di unindividuo in relazione ad alcuni compiti; la giustificazione delleparticolari doti che un soggetto può sviluppare in relazione altipo di “cervello” di cui è fornito. Tutto questo produce sulpiano dell’educazione alcuni stereotipi: «se un ragazzo è “fatto”in un certo modo sarà difficile ottenere da lui certeprestazioni.»

NATIVI DIGITALI: LA COMPARSA DI UNA NUOVA SPECIE?La società post-industriale è una società dell’informazione, inuna società fatta d’informazioni, essere in grado di recuperare leinformazioni quando servono, saperle selezionare e valutare,organizzarle in mappe significative, implica la capacità disviluppare concetti e di modificarli costantemente nel dialogo conquanto l’esperienza percettiva ci suggerisce. Queste divengonocompetenze fondamentali che gli individui si trovano a vivere eoperare. Un esempio di queste competenze viene fornito da Jenkins:gioco // simulazione // performance // appropriazione //multitasking // conoscenza distributiva // intelligenza collettiva// giudizio // intelligenza transmediale // networking //negoziazione.I ragazzi sarebbero: più superficiali, disattenti, incapaci diconcentrazione, iperattivi e discontinui, estranei alle relazionivere…. Per descrivere questa generazione (screen generation,generation i, internet generation, igeneration….) usiamo iltermine che sembra quello più giusto: nativi digitali.Un’altra neuromitologia diffusa è quella dei nativi digitali,secondo cui bambini e adolescenti hanno sviluppato maggioredimestichezza con le macchine sociali perché cresciuti nellasocietà dell’informazione. Da qui si è fatta strada l’idea che ilrapporto privilegiato con le tecnologie dell’informazione e dellacomunicazione costituirebbe motivo di differenziazione per i piùgiovani rispetto alle generazioni precedenti. Secondo la tesi diMarc Prensky1 che ha coniato la metafora digital natives, un nativodigitale è qualcuno che, proprio come un madrelingua, fin dalmomento in cui si è affacciato al mondo ha iniziato a interagire

1 Prensky era un sviluppatore di videogiochi2

con i computer: si tratta di una generazione che ha conosciutoquesti dispositivi come parte integrante del proprio contestosociale e ha appreso a utilizzarli in modo naturale. A differenzadegli adulti che con quelle tecnologie non sono cresciuti, sipossono inquadrare nella categoria degli immigrati digitali: genteche arrivando nel paese delle tecnologie può acquisirne lingua eusi, ma mai con la stessa competenza di chi ci è nato. Secondol’ipotesi di Prensky l’uso costante dei nuovi media produrrebbeuna modificazione strutturale e funzionale del cervello deiragazzi, comportando modifiche rilevanti del loro profilocognitivo ed emotivo. Ricerca educativa, sociologia dellaconoscenza e ricerca neuro scientifica hanno fornito il lorocontributo sul dibattito relativo ai nativi digitali. Sul pianodella ricerca educativa una discussione critica della posizione diPrensky è stata fornita da un gruppo di studiosi australiani chehanno criticato i seguenti assunti :1) Che una generazione di nativi digitali esiste 2) Chel’educazione deve cambiare per venire incontro alle loro esigenze3) Che i nativi digitali abbiano una naturale dimestichezza con letecnologie 4) Che in virtù di questo i loro stili diapprendimento sono diversi da quelli delle generazioni precedenti.Secondo questo gruppo di studiosi il dato di bambini e adolescentitutti esperti in materia è una generalizzazione indebita; lericerche infatti dimostrano che, per una buona percentuale, coloroche dovrebbero essere considerati nativi non sono si comportano danativi (molti non amano le tecnologie e mostrano rispetto ad essedegli impacci). Anche per quanto riguarda gli stili diapprendimento non è possibile fare generalizzazioni perché sonodinamici e se ne possono adottare di diversi in base al compito.Infine, introdurre le tecnologie a scuola non sempre dà esitipositivi e motivanti poiché l’uso delle stesse tecnologie imponeun controllo che produce frustrazione tra i discenti. Se sianalizza il costrutto dei nativi dal punto di vista dellasociologia della conoscenza, quel che risalta immediatamente è lacapacità di un’idea non accademica e non sostenuta da evidenze diricerca di imporsi come ipotesi scientifica anche all’interno dicerti ambienti accademici. Bayne e Ross fanno notare che sarebbe

3

più opportuno rappresentarsi genitori e insegnanti non comeimmigrati ( rappresentazione svalutante che aumenta il divariogenerazionale tra nativi e non ) ma come Coloni digitali, cioècome coloro che grazie al loro lavoro hanno permesso ai nativi diusufruire delle teconologie. Sul versante neuroscientifico, GarySmall esclude che il gap generazionale tra nativi e immigrati siada individuare sul piano biologico, le differenze tra utilizzatorie non delle tecnologie si devono a una questione di esperienze edi scelte. Per concludere non c’è nessuna base scientifica cheporta a rivendicare che il cervello dei più giovani abbia subitocambiamenti o che vi siano significative differenze nel cervelloalle diverse età.

HARD SCIENCE, SOFT SCIENCELa genesi e l’espansione delle neuromitologie è stata causatadall’opportunità che le neuroscienze hanno offerto alle scienzeumane di legittimare i loro discorsi. La percezione di debolezzaepistemologica, con il conseguente senso di inferiorità rispetto aquelle discipline che sono invece epistemologicamente robuste,poggia su una rappresentazione della scienza e del suo valoremolto diffusa anche tra i non specialisti. Essa si rappresenta alvertice le scienze hard e in fondo alla classifica quelle soft. Lescienze hard si caratterizzano: per un oggetto di studio definito,per un metodo di studio basato su una misurazione esatta delfenomeno, per un approccio sperimentale che permette alla scienzadi trovare nel laboratorio il proprio spazio naturale di esercizioe tende a ricavare leggi che spiegano il comportamento deifenomeni ogni qual volta che si ricreino le stesse condizioni,validità delle affermazioni universale. Le scienze soft, dal cantoloro, si contraddistinguono: per un oggetto di studioindeterminato, metodo interpretativo, approccio indiziario,contesto reale come setting es. la famiglia, la classe, validitàdelle affermazioni idiografica cioè possono ambire a qualchegeneralizzazione. Il paradigma neuroscientifico offrendo unlinguaggio comune a medici, biologi e scienziati umani avvicina ibordi delle diverse discipline e crea opportunità di integrazionee collaborazione nella ricerca, indispensabili nel contesto

4

odierno in cui la complessità dei fenomeni richiede approccisempre più multidisciplinari e integrati. La via neuro scientificaconsente alle scienze umane di sciacquare i panni nell’Arno dellaScienza, sembra poter garantire alle loro affermazioni unincremento di credibilità. Un’opportunità che cela alcuni rischi:il rischio di pensare che su base neuro scientifica si possaspiegare tutto, il rischio di generare neuromitologie.

2° capitolo: “NEUROSCIENZE E EDUCAZIONE, GENESI, SVILUPPI,PROSPETTIVE”

ARCHITETTURA E FUNZIONI DEL CERVELLOSecondo le indicazioni di Goldeberg e Kandel si può tracciare nelprofilo del cervello lavorando a doppio livello: 1) livello diarchitettura che è il risultato della ricerca anatomica; 2)livello di funzionamento che è il risultato degli sviluppi dellafisiologia e della biochimica delle cellule nervose.

I neuroni: struttura e forme La materia prima del nostro cervello sono le cellule nervose. Essesi distinguono in neuroni e cellule gliali (queste celluleesercitano una funzione di sostegno, concorrono alla formazione dimielina); i neuroni sono posti in relazione tra loro da fibre cheprendono il nome di assoni e dentriti. Assoni e dentriti hannoorigine dal corpo cellulare del neurone: gli assoni si trovano aun’estremità e hanno il compito di veicolare informazioni versoaltre cellule; i dentriti, all’altra estremità, formano unastruttura ramificata e servono a ricevere segnali in entrata cheprovengono da altri neuroni. A seconda della loro lunghezza,assoni e dentriti concorrono alla formazione della sostanza grigiae la sostanza bianca (la colorazione biancastra è determinatadalla mielina che è una sostanza che facilita la trasmissioneelettrica dei segnali).La comunicazione tra singoli neuroni avviene in un’area direlazione composta da tre elementi: 1) la terminazione pre-sinaptica dell’assone, l’area post-sinaptica del dentrite e lo

5

spazio vuoto tra di esse che prende il nome di fessura sinaptica.L’insieme di questi tre elementi prende il nome di sinapsi. Nelcervello umano ci sono diverse centinaia di miliardi di neuroni( 12-15 miliardi nella corteccia, 70 miliardi circa nelcervelletto) e ciascun neurone sviluppa una rete fittissima direlazioni sinaitiche con gli altri neuroni ( tra 10mila e 20milaper ciascun neurone). I neuroni sono dotati di una grande varietàdi forme che sono in relazione con l’organizzazione che essiassumono in una determinata area del cervello; si distinguono incategorie diverse secondo le funzioni che sono chiamati asvolgere: Neuroni sensoriali situati negli organi di senso edeputati a trasmettere informazioni al cervello, motoneuroni checontrollano le cellule dei muscoli e delle ghiandole, interneuroniche gestiscono le relazioni tra neuroni sensoriali e motoneuroni;si organizzano in nuclei, regioni e mappe.

La comunicazione sinaptica: canali ionici e neurotrasmettitori Il passaggio di informazione tra i singoli neuroni è il risultatodella propagazione di segnali elettrici. Il primo a sostenerlo fuil fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz che misurò la velocitàin 28/30 m/s. questi studi vennero poi confermati negli annisuccessivi da Edgar Douglas Adrian.

Il sistema nervoso centrale: il paleo-encefalo e la neo-corteccia Le parti principali del sistema nervoso centrale: il midollospinale, contenuto nella colonna vertebrale, riceve e inviainformazioni da e verso il sistema nervoso periferico terminandonel tronco encefalico. Il tronco encefalico svolge le seguentifunzioni: invia alle regioni superiori del cervello leinformazioni che arrivano dal sistema nervoso periferico, veicolacomandi motori e regola i meccanismi dell’attenzione. Il troncoencefalico termina nel diencefalo e nei gangli della base. Ildiencefalo è costituito dal talamo e dall’ipotalamo : il talamoriceve ed elabora le info sensoriali relative al mondo esterno,l’ipotalamo presiede al controllo degli stati internidell’organismo. I gangli della base hanno a che fare con ilmovimento e l’azione in generale. Il cervelletto che si trovasulla superficie dorsale del tronco encefalico svolge quelle

6

funzioni che riguardano l’equilibrio e il coordinamento delmovimento. La corteccia è la parte del cervello che si èsviluppata più tardi. Essa si suddivide in Paleocoteccia( comprende ippocampo e la corteccia olfattiva) e in Neocorteccia(strato superficiale che ricopre il cervello). L’ippocampo svolgele seguenti funzioni: apprendimento spaziale, memoria verbale econversione dei ricordi da ricordi a breve termine in ricordi alungo termine. La neocorteccia è la parte del cervello piùrecente. Essa è composta da 6 strati, ciascuno con la propriaorganizzazione neuronale; si divide in due emisferi, destro esinistro; ed è formata da 4 lobi: Occipitale, Temporale,Parietale, Frontale. Ogni lobo è in relazione con un tipospecifico di informazione: l’occipitale è in relazione conl’informazione visiva, il temporale con l’uditiva, il parietalecon le sensazioni tattili e il frontale con i movimenti.

ORIGINI E SVILUPPI DELLE NEUROSCIENZE COGNITIVENella seconda metà del secolo scorso inizia a emergere l’ideadella cerebralità, del soggetto cerebrale, termini che fannoriferimento al fatto che il cervello viene riconosciuto come quelche definisce l’essere umano. Gli elementi che stanno alla base diquesta idea sono: la trasformazione del cervello da sededell’anima a sede del sé e la ridefinizione dell’identitàpersonale a partire dalle sue basi naturali. L’affermazione delsoggetto cerebrale dimostra, anche, come lo studio della biologiasia fondamentale ai fini dello studio dell’io.2 Questo cambiamentoconcettuale ed epistemologico del cervello è caratterizzato da trefasi: l’affermarsi della psicologia cognitiva, l’avvento delleneuroscienze e la nascita/sviluppo delle neuroscienze cognitive.

La psicologia cognitiva Indica un programma di ricerca risultante dall’incontro dipsicologia, informatica, linguistica e filosofia, che si riconoscenel seguente assunto: “la mente funziona attraverso delle

2 La biologia importante per spiegare il funzionamento della mente7

rappresentazioni mentali”. Tali rappresentazioni possono esserestudiate dagli scienziati e cambiate dagli educatori. Questasvolta implica la ridefinizione del concetto di intelligenza e ilsuperamento della mente come di una scatola nera. I fenomenipsicologici vengono reinterpretati alla luce di una nuova idea delcomportamento umano: il pensiero umano è costituito darappresentazioni mentali con cui è possibile operarecomputazionalmente in base a una sintassi. La sintassi consente diordinare le cose del mondo in categorie e di costruire descrizioninon ambigue della realtà.

Neuroscienze di base e neuroscienze cognitive Il limite della psicologia cognitiva risiede nello scarso rilievodato alla biologia che trova nell’approccio neuroscientificocorrezione/integrazione. il termine neuroscienza compare neglianni 60’ quando negli Stati Uniti nasce la Society forNeuroscience. Il significato del termine neuroscienza si riferiscea un insieme di discipline ( fisica, anatomia, biologiamolecolare, genetica) che ha garantito un progresso per laconoscenza strutturale e funzionale del cervello. L’interesseprincipale di questo programma neuroscientifico è lo studioclinico delle disfunzioni cerebrali per mettere a puntotrattamenti nuovi ed efficaci contro le stesse disfunzioni( studiare la memoria consente ad esempio di aprire nuovi spiragliper la cura dell’Alzheimer). Dal punto di vista epistemologico, ilparadigma delle neuroscienze è un paradigma di traslazione, cioèqueste scienze propongono il loro approccio come strumento percreare discontinuità e novità di punti di vista all’interno dialtre discipline e specialità. La ricerca neuroscientifica sioccupa, dunque, del funzionamento del nostro cervello, leneuroscienze cognitive si occupano, invece, dello studio deifenomeni mentali complessi e le loro ricerche puntano l’attenzione a come il nostro cervello ci abilita a pensare.Nell’ambito delle scienze cognitive, un interesse particolareviene dedicato a come il nostro cervello ci abiliti a pensarenell’ambito dell’istruzione.

8

NEUROSCIENZE, INSEGNAMENTO, APPRENDIMENTOLa neurodidattica viene definita come un campo di ricerca e diintervento transdisciplinare, che grazie al contributo di diversetecnologie (neuroscienza cognitiva, psicologia dell’apprendimento)delinea una nuova mentalità per la didattica.

Temi e problemi Non è giusto chiedere al neuroscienziato di diventare unpedagogista, tanto meno al pedagogista di acquisire competenze daneuroscienziato, ma a entrambi si chiede di lavorare insieme perlo stesso obiettivo. Per concludere, la ricerca neuroscientificaoffre importante contributi alla didattica speciale (contribuendoa far fronte ai disturbi dello sviluppo o ai disturbidell’apprendimento) e alla didattica generale e disciplinare.Sulla didattica generale e disciplinare si individuano 4 aree diricerca e intervento: 1) area relativa allo studiodell’apprendimento e dei suoi fattori 2) area relativa allo studiodell’ambiente di apprendimento 3) area relativa al curriculum 4)area relativa alle questioni dell’organizzazione scolastica.

9

3° capitolo: “Conoscere la conoscenza, stati somatici, attenzione,memoria, apprendimento”

LA TEORIA DELLA SELEZIONE DEI GRUPPI NEURONICI La Teoria della Selezione Dei Gruppi Neuronici di Gerald Edelmanrappresenta una fisiologia dell’intelletto umano. Essa si basa sutre principi che regolano il funzionamento neuronale: 1) SelezioneIn Fase Di Sviluppo che riguarda le trasformazioni anatomiche delcervello nella fase di sviluppo. Il risultato di questa fase è laformazione del repertorio primario e cioè la formazione di gruppidi neuroni in una data regione del cervello 2) SelezioneEsperienziale riguarda le trasformazioni non anatomiche che ilcervello subisce in virtù dei suoi comportamenti cherafforzano/indeboliscono le relazioni sinaptiche. Il risultato diquesta selezione è la formazione del repertorio secondario, ovveroun insieme di sinapsi attive che funzionano come un circuito 3)Rientro processo di segnalazione che spiega l’interazione dellemappe cerebrali formatesi attraverso i meccanismi di selezione. Idue meccanismi di selezione intervengono su gruppi di neuroni. Laselezione di più gruppi di neuroni e la loro organizzazionecoerente produce una mappa. Ogni mappa è specializzata in unadeterminata funzione ( riconoscimento del colore, percezione delmovimento ecc ) ed è per questo che si distingue dalle ; ma i suoigruppi di neuroni possono essere collegati con gruppi neuronici diuna o molteplici mappe. Il segnale di rientro avviene lungo questeconnessioni che consentono di selezionare il gruppo neuronico diuna certa mappa.

L’IPOTESI DEL MARCATORE SOMATICO L’ipotesi del marcatore somatico del neuroscienziato portoghese Damasio èvolta a dimostrare il ruolo delle emozioni e dei sentimenti nellavita cognitiva dell’individuo e spiega quello che accade quandonell’orientarci per un risposta piuttosto che per un’altra siamoguidati da quello che il sapere comune definisce “il nostrointuito”. Damasio definisce i marcatori somatici “esempi speciali disentimenti che si generano dalle emozioni secondarie. Quelle emozioni e sentimenti sonostati connessi, tramite l’apprendimento, a previsti esiti futuri di certi scenari”.

10

Un’emozione è un’intensa reazione affettiva, accompagnata damodificazioni fisiologiche e psichiche (rossore, sudore). Questesi suddividono in emozioni primarie e secondarie: le primarie sonoinnate e legate al funzionamento del sistema limbico, lesecondarie sono acquisite e comportano il coinvolgimento dellacorteccia frontale e delle cortecce somatosensitive. Il sentimentoè, invece, la consapevolezza del soggetto dei suoi cambiamentiorganici che costituiscono la sua risposta emotiva a unadeterminata situazione. Come opera il marcatore somatico? Leemozioni dell’individuo sono accompagnate da sensazioni piacevolie spiacevoli che vengono definite stati somatici. Queste emozionipiacevoli/spiacevoli corrispondono a delle immagini mentali chevengono chiamate marcatori somatici proprio perché caricano disignificato le emozioni stesse. Alcuni di questi marcatori sonoinnati e dipendono da emozioni primarie, ma la maggior parte diessi si generano da emozioni secondarie e sono il risultato dellenostre preferenze interne con fattori esterni che comprendonoeventi che ci possono accadere. I fattori interni influiscono suimarcatori attraverso piacere e dispiacere ( ogni individuo sicomporta in modo da perseguire situazioni piacevoli e sfuggirequelle spiacevoli), i fattori esterni influiscono attraversopunizione e ricompensa. La previsione e la scelta di uncomportamento possono avvenire a livello conscio o inconscio. Alivello conscio, la scelta sarà guidata dal sentimento ad esempioquanto “sento” che di una persona mi posso fidare, vuol dire chequesta persona genera in me emozioni che mi portano ad attivare unmeccanismo di fiducia. Il luogo in cui le esperienze pregressevengono archiviate sono le cortecce prefrontali che rappresentanoil direttore d’orchestra del cervello perché sono la sede delragionamento e della decisione. I marcatori favoriscono, inoltre,l’attenzione di base (fa persistere l’immagine mentale) e lamemoria operativa di base (trattiene l’immagine).

ATTENZIONE, MEMORIA, APPRENDIMENTO Attenzione e memoria sono meccanismi neuronali attraverso i qualiregistriamo e cataloghiamo le esperienze. Si tratta di meccanismifondamentali collegati all’apprendimento.

11

AttenzioneLa capacità di concentrarsi su qualcosa che spesso viene confusacon lo stato di allerta. Normalmente viene giudicato “attento” lostudente silenzioso, disposto all’ascolto, con lo sguardo fissoall’insegnante; ma l’attivazione della mente è spesso indipendenteda questi fattori. L’attenzione presenta due caratteristiche: 1)influisce sul comportamento influenzandolo; 2) incide sullacapacità del soggetto di reagire agli altri stimoli provenientidall’ambiente. Di conseguenza un ragazzo “attento” è spesso unragazzo concentrato su un solo o pochi aspetti, rischia diapparire assorto nei suoi pensieri, perde la capacità diinteragire con il resto del suo ambiente. Dal punto di vistaconcettuale l’attenzione si può spiegare sulla base di due teorie:le teorie selettive l’attenzione è il risultato di un processoattraverso il quale i segnali in entrata sono filtrati e separatidal nostro sistema percettivo, le teorie motorie l’attenzione è ilrisultato della riorganizzazione sistemica di una mappa generale.Esistono, inoltre, due forme principali dell’attenzione : 1)attenzione involontaria che è sostenuta da meccanismi neuronaliatomici ed è prodotta da uno stimolo esterno (un lampo, un rumoresospetto); 2) attenzione volontaria che consiste nell’attribuirevalore a stimoli esterni, questo valore ha una relazione con ciòcui si intende prestare attenzione (per esempio quando si guida lesegnalazioni stradali).

MemoriaLa nascita scientifica della memoria risale al lavoro diEbbinghaus, alla fine del 1800. Egli attraverso i suoiesperimenti fissò 2 principi del funzionamento mnemonico: 1) lamemoria si consolida attraverso le ripetizioni 2) dopol’apprendimento la curva della dimenticanza decresce piùvelocemente. Inoltre, recuperare alla memoria cose già appresecosta meno tempo che impararne di nuove. Sulla scia di Ebbinghaus,James fissò la distinzione tra abitudine che è un’azione meccanicariflessa a breve termine e memoria che consiste nel richiamaredopo un certo tempo qualcosa che è già stato fissato nella memoriaprimaria. Su questa distinzione, si è costruita la ricerca

12

successiva, accomunata dalla convinzione che il processo dimemoria avvenga in due fasi distinte e in regioni diverse delcervello. Queste fasi sono : la memoria dichiarativa che è lamemoria dei fatti, per le idee e per gli eventi. È la memoria verae propria che ci consente di ricordare il nome di un amico o unaconversazione avuta la mattina, la memoria non dichiarativa anchequesta proviene dall’esperienza ma viene espressa sottoforma dicambiamento comportamentale e non come rievocazione. È una memoriainconscia. Gli interessi della ricerca si sono concentrati negliultimi 50 anni sulle differenze di questi processi mnemonici esulla loro possibilità di localizzarli in zone del cervello. Lamemoria a lungo termine è da porre in relazione con la plasticitàdel cervello,cioè con la possibilità che l’esperienza modifichil’assetto delle sinapsi; la memoria a breve termine dipende,invece, dal rafforzamento di una relazione sinaptica.

ApprendimentoL’apprendimento ha alle sue spalle una lunga tradizioneprescientifica che ha dato luogo a due riflessioni: 1)l’apprendimento è un tematizzare quello che a livello atematico èpresente nella mente 2) la natura dell’apprendimento risiedenell’esperienza. La storia scientifica della ricercadell’apprendimento deve molto al behaviorismo, soprattutto aPavlov e Thordike e al loro apprendimento associativo. Pavlovabituando i suoi cani a porre in relazione un determinato stimolocon un evento piacevole (stimolo-ricompensa) o sgradevole(stimolo-punizione), scopre il meccanismo generale che regolal’apprendimento degli esseri viventi. Allo stesso risultato giungeThorndike studiando le strategie attraverso le quali i suoi gattiriuscivano a uscire dai puzzle box: per prova ed errore il gattocapisce che tirando una cordicella può uscire dalla gabbia eraggiungere il cibo. Rimesso nella gabbia la sua capacità diassociare i due eventi diviene sempre più esperta e rapida efinisce per fissarsi in un comportamento appreso. Questiesperimenti hanno dimostrato che attraverso l’elaborazione delleesperienze si impara a prevedere il futuro e a comportarsi diconseguenza. Di questa capacità previsionale Frith fornisce la

13

giustificazione sul piano neurologico : la capacità previsionaleva cercata nell’attività di un particolare tipo di neuroni, lecellule ricompensa, che sono attivi nei gangli della base e lacui funzione è di rilasciare dopamina nell’organismo. La dopaminaguida il nostro apprendimento aiutandoci a migliorare il nostrosistema di previsioni sulle cose del mondo.

14

Capitolo 4: IL CERVELLO VISIVO In questo capitolo ci occuperemo di una dimensione importantedella nostra attività neurale e cioè il cervello visivo. Lavisione ha sempre avuto nella cultura occidentale un ruoloprivilegiato, dai greci al medioevo fino all’età moderna. Questadurata nel tempo ci mette nelle condizioni di considerare losguardo centrale nell’educazione, nel senso di imparare a volgerelo sguardo su noi stessi e sul mondo che ci circonda.

COME FUNZIONE IL CERVELLO VISIVO Il compito del cervello visivo è quello di rappresentare lecaratteristiche costanti, durevoli, essenziali e stabili dioggetti, superfici, volti,ecc. permettendoci in questo modo diacquisire conoscenza. Allo stesso modo fa l’arte, afferma Zeki,che ci permette di riconoscere e afferrare l’eterno in ciò che èfugace. Questa stessa funzione viene svolta dalla filosofia edalla scienza che Deluze e Guattari considerano insieme all’artele altre 2 forme attraverso le quali il pensiero umano si esprime.Il fattore comune a tutte e 3 consiste nel descrivere un piano enel popolarlo di strutture (i concetti per la filosofia, lefunzioni per la scienza, i percetti per l’arte). Possiamoaffermare che l’arte funziona al contrario rispetto a quantodiceva Platone che affermava che l’arte era lontana dalla veritàin quanto le cose sono già copie di modelli ideali iperuranici.Nel caso del cervello visivo le cose stanno diversamente; essocerca, nel fluire incessante delle percezioni, di fissare dellecostanti. Per capire meglio è importante conoscere le basi neurofisiologiche della visione. La teoria classica della visione ènota come “visione tramite l’occhio” e che si base sulle ricerchedel neurologo Henschen (1847 1930) e poggia i suoi studi su 3 ideeche si sono fissate e trasmesse nel tempo grazie al lavoro deiricercatori.

1) La prima è quella della localizzazione della visione in unaporzione specifica della corteccia celebrale. Questa zona,nota oggi come corteccia visiva primaria( si scrive V1) si

15

trova nella zona occipitale di entrambi gli emisferi edintorno ad essa di recente si sono scoperte altre areeciascuna specializzata nell’elaborazione di aspettispecifici.

2) La seconda idea è che nella corteccia visiva primaria siacontenuta una mappa fedele di tutto ciò che sulla retinaviene proiettato con il risultato di pensare la cortecciavisiva primaria come un sorta di fotografia in quanto larealtà osservata si proietterebbe sulla retina e l’immaginesulla retina a sua volta si proietterebbe sulla cortecciavisiva primaria (oggi i recenti studi ci hanno dimostrato checiò in parte è vero).

3) La terza idea è la corrispondenza diretta tra un danno nellacorteccia visiva primaria e la cecità. Questo significa chese l’immagine composta sulla retina non riesce ad esserericomposta sulla corteccia visiva primaria non c’è spazio per1 processo di elaborazione.

Da ciò derivano 3 interpretazioni: la prima afferma che ilcervello riceve passivamente e fissa l’immagine che l’occhio hagià impresso sulla retina; la seconda interpretazione è laseparazione, cioè la corteccia visiva vede e la cortecciaassociativa comprende. La terza interpretazione afferma che non tuttele aree della visione hanno la stessa importanza; il nervoottico in pratica conduce i segnali visivi nella cortecciavisiva primaria che svolge la funzione di centrale dismistamento servendosi per la trasmissione di altre aree chehanno altre funzioni riguardanti la vista come ad es. il colore,la forma, il movimento. Da ciò possiamo comprendere che lavisione non è un processo di ricostruzione passiva ma di attivaelaborazione dei dati percepiti da parte del cervello, non èl’occhio che vede quindi ma il cervello. Quando una dellediverse aree della visione presenta un danno, ne esce modificataanche la nostra rappresentazione visiva delle cose. Proprio ilfatto che l’organizzazione del cervello visivo è sistemicaovvero basata su una specializzazione distribuita di competenzefunzionali, implica che tutte le aree visive coinvolte nella

16

percezione visiva svolgano una funzione importante nell’ambitodell’economia generale della visione.

COSTANZA E AMBIGUITA’ NELLA PERCEZIONE VISIVA La funzione principale del nostro cervello visivo è quella di dareun rodine alle immagini che si affollano dinanzi ai nostri occhi.Questo ordine dipende dalla capacità del nostro cervello diindividuare delle regolarità sia a livello percettivo checognitivo. L’attività grazie alla quale queste regolarità vengonoindividuate si definisce ASTRAZIONE. Il nostro cervello è capacedi 2 forme di astrazione:

1- ASTRAZIONE SELETTIVA, ad esempio quando guardo una figurasullo spazio tendo ad astrarre gli elementi che sonoriconducibili al solo orientamento spaziale,disinteressandomi della forma, del colore e delle dimensioni;

2- ASTRAZIONE IDENTIFICATIVA che riguarda la tendenza generaledel nostro cervello di riconoscere, nonostante la variabilitàdelle diverse percezioni, la permanenza di alcunecaratteristiche che consentono di cogliere un’identità di ciòche osservo. La costanza percettiva ci permette, nonostantele molte percezioni che abbiamo di un oggetto, di dargliun’identità sempre, in modo coerente. Se non ci fosseotterremmo sempre e solo un flusso variabile di percezionirispetto ai quali sarebbe impossibile dare un senso allecose.

Questi 2 tipi di astrazione ci consentono di definire una legge,la LEGGE DELLA COSTANZA, che ci dice che il cervello è interessatounicamente alle proprietà invarianti, essenziali e non mutevolidegli oggetti, delle superfici, delle situazioni, ed esso eliminatutto ciò che non gli è necessario per identificare concentrandosisolo sulle caratteristiche essenziali e costanti dell’eventopercettivo. Non sempre però il campo percettivo è regolare, cisono delle situazioni in cui si presenta ambiguo, come ad es. ilVASO DI RUBIN in cui possiamo vedere contemporaneamente un vaso e2 volti, oppure il CUBO DI NECKER ( queste immagini su internet letrovate )in cui l’occhio percepisce un cubo invece di un insiemedi linee (questo ci fa capire come il cervello visivo riesca a

17

riconoscere contemporaneamente più figure). Le cose vannodiversamente nel caso di un’ambiguità complessa come avviene perle sculture, le pitture, le fotografie, in quanto l’instabilitànon dipende dai caratteri percettivi ma da quelli cognitivi.Possiamo dire che si passa da un’ambiguità percettiva adun’ambiguità semantica. Un es. per capire meglio è il quadro delpittore Verner “La ragazza con l’orecchino di perla” se sianalizza il volto, lo sguardo, ci si chiede se esprime erotismooppure imbarazzo? Queste domande traducono gli stimoli moltepliciche il quadro produce allo stesso tempo; questa è l’ambiguitàcognitiva, la differenza delle percezioni. In ogni caso ciò che siverifica è l’attivazione contemporanea di più aree corticali qualiquella della visione, della memoria (con l’osservazione infattievochiamo volti, esperienze, vissuti personali) e quellidell’emozione. In questa interferenza tra diverse attivitàcorticali si può individuare la base neurofisiologica di quelloche la filosofia del 700 definisce “piacere estetico”. Nell’operapercepiamo i singoli elementi che ne definiscono strutture esuperfici e allo stesso si inserisce quello che possiamo definireil piacere comprendente cioè la possibilità di capire, diappropriarci dell’opera, gustandone il senso.

CERVELLO VISIVO E DIDATTICA DELLE IMMAGINI Spesso quando comunichiamo qualcosa a qualcuno le nostre parolepossono essere ambigue e quindi deviare il senso della nostracomunicazione, per questo spesso ad accompagnare le parole ci sonoi segni grafici che ci aiutano a dare un senso maggiore a ciò chestiamo dicendo, soprattutto se parliamo di un tipo dicomunicazione didattica, fatta cioè all’interno di un’aulascolastica (scrivo alla lavagna parole chiave, parole straniere,scrivo dei calcoli per far capire meglio i passaggi). Si puòbenissimo affermare che si tratta di una sfiducia verso la parolae di una ribadita consapevolezza che per sapere bisognasostanzialmente vedere, per ridurre l’ambiguità. Nella situazionedidattica ridurre l’ambiguità è difficoltoso perchè non solodipende dalla capacità dell’insegnante di comunicare il suosapere, ma dipende anche dai soggetti che apprendono (livello di

18

attenzione, motivazione, livelli cognitivi). Uno studente attentoe perspicace di certo riesce a cogliere subito ciò che spiegal’insegnante anche se la comunicazione di quest’ultimo non èeccellente; ma è pur vero che soprattutto dipende dalla capacitàdell’insegnante saper attirare l’attenzione di una classe.

La comunicazione didattica La comunicazione didattica opera a 3 livelli: semantico, sintattico,pragmatico. Il livello sintattico ha a che fare con i codici graziealla quale una comunicazione può essere organizzata. Sono codicilinguistici la morfologia, la grammatica e sintassi, ma anchecodici para ed extra linguistici. Svolge un ruolo importante ancheil modo di comunicare dell’insegnante cioè il tono della voce, lagestualità e la movenza , la postura del corpo e la posizionedell’insegnante nello spazio classe. La differenza tra questidiversi tipi di codice sta nel fatto che i codici linguistici, nellinguaggio della scuola di Palo alto, sono parte di unacomunicazione digitale , tutti gli altri di una comunicazioneanalogica. Nella comunicazione digitale il rapporto tra il nome ela cosa è arbitrario; se dico la parola gatto non c’è nulla inquesto termine che richiami l’animale, ma è la conoscenza che hodella lingua italiana che mi fa capire che mi riferiscoall’animale. Questa sinteticità però ha un limite e cioè io possousare la parola gatto anche per riferirmi ad una persona agile,furba, circospetta, ma con la sola parola gatto non possoesprimere tutte queste caratteristiche, in questo caso viene innostro aiuto la comunicazione analogica che serve a ridurre questeambiguità e ad orientare correttamente la comprensione. Il termineinfatti deve includere le espressioni del viso, i gesti, il ritmo,la cadenza delle parole, le inflessioni della voce e la posizionedel corpo.

Lo schema e l’immagine Fanno parte della comunicazione analogica anche le immagini,schizzi, grafici, foto, tabelle, disegni, grazie alle qualil’insegnante supporta la propria comunicazione, al fine difavorire la comprensione dello studente. Il compito

19

dell’insegnante è di aiutare gli studenti all’interpretazione delmondo attraverso una mediazione didattica, e l’uso dellarappresentazione grafica agevola il lavoro dell’insegnantefornendo un ulteriore supporto alla comprensione. Esempi dirappresentazioni grafiche sono : GLI SCHEMI, che nelle lorodiverse forme, sono una modalità sintetica di presentazione di undato la cui funzione è di predisporlo affinchè possa esserepercepito. Poi ci sono LE IMMAGINI (disegni, fumetti, foto,video) che favoriscono lo stesso tipo di azione mentale attraversola rappresentazione mimetica di un oggetto che può esercitare unafunzione di mediazione, anticipazione e modellizazione rispettoalla conoscenza che nella situazione didattica si sta trasferendoo costruendo collaborativamente. Sia lo schema che l’immagineriducono l’ambiguità cognitiva in diversi modi: - FAVORISCONO UNA CONSIDERAZIONE OLISTICA DI UN ARGOMENTO, cioèconsentono allo studente di avere un quadro generale di ciò chesta dicendo l’insegnante, infatti attraverso l’uso di grafici,elenchi, cartine geografiche, schemi alla lavagna, lo studente puòavere in mente tutti i passaggi e i termini utilizzati dal docentesenza far uso solo della memoria per ricordare quindi in questomodo si incentiva l’attenzione e si consente all’alunno di capiremeglio le spiegazioni successive; - SUPPORTANO LA VISUALIZZAZIONE DEI CONCETTI, cioè già Comenionella sua opera Orbis Sensualiuum Pictum sottolinea l’importanzadi insegnare agli studenti l’arte della percezione poiché da unacorretta percezione delle cose discende una correttaconcettualizzazione. Quindi se ad es. devo spiegare la guerramondiale invece di narrare solo gli eventi gli alunni capirannomeglio se attraverso una cartina comincio a spiegare da dove ebbeinizio la battaglia e come si mossero gli eserciti. La stessafunzione di visualizzazione e supporto didattico la svolge lafotografia che cattura l’attenzione dello studente per il suoforte impatto, e consente di focalizzare l’idea centrale di ciòche si sta spiegando. Un’immagine nel contesto didattico puòessere utilizzata anche non solo per chiudere il senso di undiscorso ma anche per aprirlo cioè stimolare l’alunno, aprirlo anuovi orizzonti, guidarlo verso nuove interpretazione della

20

realtà, con il risultato di innescare l’attività neuronale infunzione dell’attenzione e della costruzione di ipotesi.

Strumenti e forme Uno strumento importante della didattica è la lavagna che nascenel preciso momento in cui la lezione passa dal modello uno a unoproprio del rapporto dell’allievo con il suo maestro, al modellouno a molti della scuola moderna. Ciò che produce questa nascita èl’esigenza di rendere visibile a tutto il gruppo degli studentiquanto nel rapporto uno ad uno era sufficiente scrivere in unfoglietto. Lo spazio della lavagna consente a tutti di vedere icontenuti spiegati dal docente, ed è propri per questo che grazieall’avvento della tecnologia nelle classi si ha la possibilità diutilizzare nuove forme di lavagne come quella interattivamultimediale che mi consente anche di vedere immaginimultimediali, video e file audio. La lavagna classica di ardesiacontinua ad essere presente nelle scuole ma è pur vero che ci sonoanche tanti altri strumenti come il Pc e i proiettori. Ladiffusione di questi strumenti ha comportato lo sviluppo disistemi di presentazione delle conoscenze, tra tutti il piùdiffuso è quello del Power Point, che anzitutto ha favoritoANCORAGGIO COGNITIVO, cioè è funzionale a predisporrel’attenzione ed a sostenere la memoria a breve termine. Unaseconda funzione della presentazione digitalizzata è quella diMANDARE IN RIDONDANZA I CONCETTI, una funzione garantita dall’usodelle slides che servono a ribadire affermazioni (in modoridondante cioè continuo), suggerire definizioni, riportare peresteso citazioni. Sia il Power Point che le Slides sono deivantaggi per l’apprendimento ma presentano allo stesso tempo deilimiti, e cioè sono troppo essenzialisti cioè semplificano iconcetti e non garantiscono una profonda conoscenza di ciò di cuisi sta parlando; impongono alla presentazione un ordinerigidamente sequenziale; si schematizzano i discorsi; limitano glispazi dell’argomentazione e della riflessione.

21

Capitolo 5 : “IL CERVELLO CHE AGISCE” NEURONI-SPECCHIO, SOCIALITA’, DECISIONE

Per il filosofo contemporaneo Hans Jonas, il dualismo psicofisicoovvero la separazione tra corpo ed anima rappresenta un vero eproprio sparti acque nella storia del pensiero occidentale. Perl’uomo antico tutto è vita perciò il vero problema è spiegare lamorte. Se tutto è vita infatti come si può immaginare che qualcosanon esista più? La risposta a questa domanda si sviluppa in 2direzioni: da una parte si sviluppano le prospettive immanentistecome quelle degli Stoici che affermano che nulla muore veramentema si trasforma; l’altra concezione è quella rappresentata daltema orfico della caduta e del ritorno, ripresa da Platone e daipitagorici, ed anche in questo caso nulla muore veramente. Jonasspiega che il problema della società odierna non è più spiegare lamorte, ma spiegare la vita; il dualismo tra corpo ed anima, trares cogitans e res extensa nn rappresentano più 2 orizzontiesclusivi (o tutto è vivo, o tutto è morto), ma rappresentano 2dimensioni diverse della realtà. Come si fa a superare questi 2dualismi? Nella letteratura di Jonas il superamento avvieneattraverso la creazione di 2 nuovi poli e cioè il materialismo(tutto è materia, lo spirito non esiste) e l’idealismo ( lamateria non esiste, il mondo è vita dello spirito). Dei 2 prevaledecisamente il materialismo in quanto condivide con l’era moderna(soprattutto a partire dal 700 illuminista fino al positivismodell’800) il rifiuto della teologia. Nessuno dei fenomeni delmondo si può spiegare attraverso un percorso trascendentale che ciporta fuori dalla realtà. Oggi la ricerca neuro scientificapropone una visione profondamente unitaria dell’uomo; si proponela rivalutazione del corpo e della sua funzione, spiegandoattraverso esso fenomeni inerenti la sfera cognitiva e morale chetradizionalmente si sono sempre pensati lontani da ciò che ilcorpo rappresenta. In questo capitolo si metterà al centro dellariflessione la teoria dei neuroni specchio ricostruendone ilsignificato per poi ragionare su 2 principali implicazioni: lasocialità e l’apprendimento per imitazione.

22

LA NUOVA IMMAGINE DEL CERVELLO MOTORIO La comprensione classica del cervello motorio era quella basatasull’idea che le aree sensoriali e quelle motorie fosseronettamente distinte; secondo questa ipotesi il cervello “nonpensa” ma è un semplice esecutore di ciò che le parti dellacorteccia frontale gli ordinano di fare. L a ricerca negli ultimianni ha individuato una serie di ragioni che consentono disuperare questa ipotesi, dimostrando come il cervello siacertamente parte di un sistema integrato e dinamico che èindirizzato alle singole azioni che passano dal nostro corpo epopolano ogni istante della nostra vita quotidiana. Una primaserie di studi è relativa alla funzione dell’anticipazione visuomotoria, cioè alla capacità del soggetto di visualizzare un’azioneprima di compierla. Se chiedo ad es. ad un soggetto di eseguirementalmente la rotazione di un solido nello spazio, esso ci riesceperché i meccanismi neuronali che regolano questa attività sonogli stessi che gli consentono di svolgere le stesse azioni nellospazio fisico. Una seconda linea di ricerca interessa lapsicolinguistica in particolare la relazione che esiste traesperienza corporea e soluzione dei problemi legati all’ambiguitàsemantica di alcune parole, ai neologismi o metafore, ai nuovimodi di dire. La possibilità di distinguere di volta in volta idiversi significati delle parole ( ad es. se dico : Stiamoinsieme?; Come stai?; Non ci sto!!! ) dipende dalle esperienzevissute dal soggetto, dalle sue percezioni, emozioni e sensazioni.Anche per i modi di dire è così, sono astrazioni che però ilnostro linguaggio riconosce perché legate alle esperienzeconcrete. Sul versante della psicologia evolutiva il corpo giocaun ruolo fondamentale nella costruzione della conoscenza, bastipensare al bambino e a come attraverso le esperienze, positive enegative, sperimenta comportamenti che producono delle conseguenze(succhiare il seno della mamma, facendosi male, piangere peressere preso in braccio). La dislocazione delle aree motorie sullacorteccia è molto complessa sia dal punto di vista della lorodisposizione, che delle loro connessioni intrinseche edestrinseche, sia dal punto di vista della specializzazione dei

23

neuroni che lo compongono. Questa complessità dimostra che ilsistema motorio non è periferico o destinato ai soli impulsimotori. Questi neuroni implicati infatti hanno proprietà visuomotorie, sono in grado cioè di riconoscere e tradurre leinformazioni che ci arrivano dalla vista relative a determinatioggetti e tradurle in azioni come per es. afferrare un oggetto,lasciare un oggetto, afferralo con forza o lentamente, scandendoneanche il tempo. Possiamo considerare il nostro cervello motoriocome un archivio in cui troviamo codificato l’intero repertoriodella nostra attività percettivo motoria e che utilizziamo nelmomento in cui ne abbiamo bisogno. Il nostro cervello motorio èsede della “comprensione pragmatica” degli oggetti e la nostraattività percettiva si può interpretare come un’attivitàattraverso la quale il nostro organismo si prepara a risponderealle situazioni ambientali. Lo spazio va pensato come un sistemadi relazioni tra il nostro corpo e gli oggetti che lo circondano eche viene continuamente codificato dai neuroni bimodali che sononeuroni che si attivano non solo quando vengono innescati stimolitattili ma anche quando vengono innescati stimoli visivi prodottida oggetti che sono nel nostro campo visivo. Lo spazio dunque è unnostro modo di assegnare un posto agli oggetti all’interno delnostro campo di azione che viene continuamente ricodificato perchènoi ci muoviamo nello spazio.

I NEURONI SPECCHIO : NATURA E FUNZIONI I neuroni a specchio non si attivano alla vista di un determinatooggetto ma in relazione alle azioni che un soggetto vede fare adun altro soggetto; in sostanza si tratta di neuroni che siattivano non quando si fanno cose ma quando si vedono fare cose.Per questa loro natura mimetica, di rispecchiamento sono statidefiniti neuroni a specchio. Si possono classificare questineuroni sia in relazione al tipo di azione che viene osservata siain relazione al tipo di relazione esistente tra l’atto osservato equello codificato. Per quanto riguarda il tipo di relazioneesistente tra comportamento osservato e codifica da parte delneurone si possono distinguere neuroni che hanno una congruenzain” senso stretto” cioè se l’azione eseguita è esattamente

24

identica a quella osservata, o ” in senso lato” se si riscontrauna relazione tra gli atti codificati e l’azione osservata anchese non vi è identità tra gli uni e l’altra. Considerando invece iltipo di azione osservata si riconoscono tanti tipi di neuronispecchio quante sono le tipologie di azioni osservabili: neuronispecchio afferrare, stringere, tirare. Le azioni compiute con lemani non sono le uniche che il soggetto compie, infatti l’85%delle azioni sono compiute con la bocca. Per quanto riguarda labocca si distinguono neuroni a specchio ingestivi (succhiare,leccare, ingerire, mordere, masticare) e comunicativi( schioccare la lingua e la protrusione delle labbra). Ma a cosaservono i neuroni a specchio? Una prima ipotesi ci suggerisce cheessi hanno a che fare con l’attesa del cibo o della ricompensa,oppure servono semplicemente a preparare il soggetto all’azione.Una seconda ipotesi ci dice che la loro funzione va ricercatanella produzioni di “immagini motorie interne” che fa da supportoall’apprendimento per imitazione. Dalla creazione di questeimmagini infatti dipenderebbe la capacità del soggetto dipianificare ed eseguire un’azione così come l’ha osservata. PerRizzolatti e Sinigaglia i neuroni a specchio servirebbero acomprendere il significato delle azioni degli altri soggetti, adintuire le loro intenzioni con il risultato di poter adottare lestrategie più adatte ad agire di conseguenza.

APPRENDERE DALL’ESPERIENZA: IL CERVELLO, I VIDEO GIOCHI E LA SCUOLA È importante sottolineare il ruolo centrale dell’esperienza neiprocessi di apprendimento; avere fatto esperienza in passatosignificato aver codificato dei segnali e dei comportamenti alivello corticale, e questo repertorio è necessario per l’agireumano. Il nostro corpo non svolge solo la funzione di mediazionesensoriale ed esecutiva tra il nostro cervello ed il mondo esternoma costituisce il dispositivo principale attraverso il quale,realizzando esperienze, sviluppiamo apprendimento e produciamoconoscenza. Le prospettive tradizionali sull’apprendimentomettono l’accento sulla mente e non sul corpo, ritenendo chel’apprendimento sia questione di principi, regole ed astrazioni.Nn è che l’apprendimento non ha a che fare con queste cose, ma

25

anche l’esperienza corporea del mondo produce apprendimento. JamesPaul Gee, professore dell’Arizona State università si è occupatodel rapporto esistente tra video giochi ed apprendimento. È giustosottolineare che i ragazzi non apprendono solo a scuola ma ancheal di fuori, infatti i video giochi rappresentano una forma diapprendimento, uno strumento quindi che può essere inseritonell’attività didattica. Due sono le controindicazioni: la prima èche il videogioco come strumento didattico non avrebbe più lostresso significato perché si parlerebbe di esso come merostrumento, come software; la seconda controindicazione è laresistenza degli insegnanti all’utilizzo di queste nuove strategieper l’apprendimento in classe. L’operazione migliore sarebbeutilizzare il video gioco come laboratorio sperimentaleall’interno del quale scoprire quali siano le logichesignificative attraverso le quali i giocatori realizzanoapprendimento. Quando si videogioca interagiamo con il dominiosemiotico, cioè con uno scenario all’interno del quale, parole,immagini, simboli, acquistano un determinato significato. Noiinteragiamo con questo dominio mettendo in gioco la nostraidentità : siamo noi in carne ed ossa che assumiamo l’identità delpersonaggio e desideriamo che questo personaggio viva all’internodel videogioco la storia che noi vogliamo che viva.L’apprendimento ha a che fare con questi aspetti; si è sfidati daicontenuti e dalle regole, incuriositi, si comunica con altrigiocatori, si mettono alla prova le proprie capacità, siprogettano le azioni. Sarebbe interessante vedere se ci sipotrebbe accostare allo stesso modo alle discipline scolastiche,anche perché in fondo ad es. anche la matematica è un dominiosemiotico fatto di contenuti e regole. È innegabile cmq che ilcoinvolgimento partecipativo nei riguardi dei videogiochi èdifferente rispetto a quello per le discipline scolastiche. Insostanza il videogioco suggerisce alla scuola un nuovo modo dipensare l’apprendimento. Esso non consiste nell’archiviaredefinizioni ricavate per via astrattiva, ma repertori diesperienze da utilizzare strategicamente per prevedere comecomportarsi in situazioni analoghe o per fra fronte a situazioninuove non ancora sperimentate.

26

APPRENDERE DALL’ESPERIENZA: IMITAZIONE, MODELING, APPRENDISTATO Fin dai tempi più antichi l’imitazione ha costituito il

principio cui si è ispirato il modello di formazione noto comeapprendistato. Questo modello di apprendimento viene previsto perla trasmissione delle competenze relative ai sapere tecnici comepittura, scultura, architettura, apprendendo attraversol’appropriazione delle pratiche di un esperto che il neofita (ildiscente) può produrre a partire dall’osservazione (oggi ancora sidice “andare a bottega). Il principio che sta alla base di questaforma di apprendimento esperienziale è il MODELING cioè laconvinzione che osservare un professionista esperto serveall’apprendista per osservare e riprodurre le stesse azioni, lostesso lavoro. Su questo principio si basa l’apprendistato cheviene regolamentato nelle politiche del lavoro, il tirocinio e lostage, che sono percorsi di formazione che preludono a unaprofessionalizzazione del soggetto in formazione, momento in cuiil sapere si immerge nell’esperienza. Il modello del modeling ascuola è molto funzionale poiché quando l’insegnante fa unalezione di tipo frontale agli studenti è richiesta pocapartecipazione devono solo fare lo sforzo di stare attenti eprendere appunti; quando invece l’insegnante non si limita solo araccontare ma risolve problemi, sottopone ad analisi un testo,fornisce una sua interpretazione, la lezione mantiene un suoimportante valore formativo. Tale valore ha a che fare proprio conil modeling cioè la possibilità che viene offerta allo studente diosservare il metodo in azione, di verificare attraversol’esperienza. È questo il valore della didattica, indicare unmetodo, una strategia, uno stile. Negli ultimi anni si è cercatodi estendere il metodo del modeling oltre l’addestramentoprofessionale per attivarlo anche nell’apprendistato cognitivo enelle comunità in pratica; in questi modelli l’acquisizione dicompetenze da parte del novizio avviene attraverso la suapartecipazione periferica alla comunità all’interno della qualeconoscere le pratiche degli esperti, acquisire per modellamento esviluppare una padronanza attraverso l’esercizio e il supporto(scaffolding). Un gruppo di ricercatori che hanno studiato il

27

processo del modeling hanno osservato l’attività celebraleattraverso il neuroimagining e hanno notato che, nonostantequesti soggetti non sapessero suonare la chitarra, osservando unesperto che suonava per loro, i neuroni a specchio si attivavanoogni qualvolta imitavano chi suonava. È logico che non semprequando vediamo compiere un’azione la vogliamo imitare, questoperché la corteccia prefrontale in determinate situazioni inibiscei neuroni a specchio e ordina loro di non trasformare l’azioneappena vista in una nostra azione.

VEDERE IL MONDO DAL PUNTO DI VISTA DELL’ALTRO I neuroni a specchio oltre a svolgere una funzione fondamentale inrelazione alla possibilità di apprendere dall’esperienza e dalcomportamento altrui, giocano anche un ruolo importantenell’ambito della vita emotiva in particolare all’interno deiprocessi di condivisione delle emozioni. Il tema delle emozioni haacquisito rilevanza negli ultimi anni a diversi livelli; si trattadi una centralità che è frutto di un cambio di paradigma nellescienze umane e sociali, tanto che si è parlato di transizionedall’individualismo metodologico all’individualismo relazionale.Il primo si è costruito nel 900 attorno ai temi di sceltarazionale, teoria dei giochi, libertà del mercato; il secondoinvece è sorto negli ultimi anni attraverso i temi del dono edella partecipazione, definendo il soggetto come colui che perrealizzarsi ha bisogno del riconoscimento dell’altro. Le ragionivanno ricercate nella logica evolutiva di Darwin che affermava ilprimato delle emozioni nell’evoluzione della specie in quanto laspecie per sopravvivere ha bisogno di sviluppare strategieempatiche attraverso la quale promuovere la salvaguardia deipropri simili. Sulla base dei comportamenti pro sociali divienepossibile spiegare anche la morale non più sulla base dell’obbligoe del divieto ma sulla base di una genesi istintuale. Dice de Waalche portare soccorso agli altri e astenersi dal fargli del malesiano le 2 massime che definiscono la morale umana universale.Queste massime derivano dall’istintiva capacità dell’individuo dimettersi nei panni degli altri; da questa capacità dipendonocomportamenti attraverso i quali nelle diverse circostanze lo

28

stesso individuo tutela se stesso e i membri della sua comunità(crea alleati, evita i pericoli, protegge i piccoli). De Waalriconduce la genesi di questi comportamenti e dell’”istintomorale” che li genera proprio alla funzione dei neuroni aspecchio. La scoperta delle basi neurologiche delle nostreemozioni, soprattutto della natura specchio della nostra capacitàdi sviluppare empatia nei confronti degli altri, riveste unaparticolare importanza in educazione. Il punto di partenza è laconsapevolezza del radicamento nei meccanismi dell’evoluzionedella nostra capacità di provare compassione per l’altro e dimanifestarlo attraverso la nostra vicinanza e partecipazione.L’importanza dell’educazione nello sviluppo del sentimentodell’empatia è importante perché esso è ambiguo e può produrreeffetti per nulla pro sociali. Per es. noi non proviamo le stesseemozioni se vediamo soffrire una persona che è al di fuori dellanostra cerchia di familiari e amici, il nostro coinvolgimento nonè lo stesso. Altre volte siamo portati a credere che la sofferenzadi una persona sia il risultato delle sue azioni, della suavolontà, e non del caso o di cause esterno alla volontà delsoggetto. La pressione sociale nel gruppo dei pari e la leadershipcomplicano le cose. Nel primo caso certi stereotipi configgonocon il sentimento, con la compassione e l’empatia (es: un soggettopuò essere considerato un vero uomo solo se sottomette la suadonna, quindi non si può permettere, se vuole essere accettato dalgruppo, di provare empatia per la donna). Altri soggetti pernascondere la loro insicurezza si affidano ai leader, e qui entrain gioco L’EFFETTO LUCIFERO cioè quando un leader dice che unacosa va fatta, gli altri soggetti la fanno senza pensareminimamente agli effetti negativi che possono innescarsi. Da ciòsi può capire che un soggetto che nella vita di tutti i giorni sicomporta bene, in altre situazioni si può comportare male. Questoaccade quando non ci si ritiene responsabili perché altri cistanno dicendo cosa fare, perché nessuno ci fa osservare chequello che stiamo facendo è male, perché togliamo identità umanaalle nostre vittime oggettivandole. Questi elementi costituisconoun’importante base per la riflessione degli educatori; l’uomo pernatura è predisposto ad attivare comportamenti pro sociali (lo

29

diceva pure Rosseau che l’uomo per natura è buono ed è la societàche lo incattivisce) proprio per questo l’educazione consistenell’assecondare gli istinti empatici e nel minimizzare l’impattodei condizionamenti sociali. L’educazione deve favorire lanaturale disposizione, che grazie ai neuroni a specchio, ci famettere al posto degli altri e provare le stesse emozioni; deveinsegnare a convivere con le proprie debolezze senza vergognarsi;deve insegnare a conoscere l’altro al di là degli stereotipi; devepromuovere responsabilità e pensiero critico.

DECIDERE PER AGIRE: IL RUOLO DELLA CORTECCIA FRONTALE Buona parte dei nostri comportamenti quindi trovano la loro basebiologica nel circuito dei neuroni a specchio, da cui dipende lanostra capacità di collocarci nello spazio in relazione con glialtri oggetti, la possibilità di imparare dall’esperienzaattraverso l’osservazione di altri soggetti, e la capacità diessere empatici. Tuttavia il processo di decisione delle nostreazioni, centrale nella risoluzione di problemi, richiede ilcoinvolgimento di altre aree corticali e cioè dei LOBI FRONTALIche comunemente vengono definiti con un metafora e cioè ildirettore d’orchestra del nostro cervello. Nella vita di tutti igiorni abbiamo a che fare con 2 tipologie di problemi: quelli cherichiedono una sola risposta (è solo una quella giusta) il cuiprocesso è chiamato VERIDICAL DECISION MAKING, e quelli cheammettono tante soluzioni possibili, Il cui processo è chiamatoADAPTIVE DECISION MAKING. In questo secondo tipo di problema mi sirichiede una strategia di risoluzione più complessa in quanto devosciogliere l’ambiguità delle differenti possibilità di soluzioniposto che non ho una soluzione pre confezionata da utilizzare, mascegliendo di volta in volta quale applicare. Goldberg definisceil VDM (il primo tipo di problema) UNA COGNIZIONE DESCRITTIVA, eil secondo problema ADM, una COGNIZIONE PRESCRITTIVA. La prima èepisodica e dichiarativa, la seconda semantica e procedurale. Icompiti di tipo VDM hanno a che fare con la routines ( con icomportamenti abituali), invece quelli ADM richiedono cheattingiamo alle nostre esperienze per avanzare delle ipotesi disoluzione per situazioni ambigue che non prevedono una sola

30

risposta esatta. Nella vita di tutti i giorni è più faciletrovarsi in situazioni che ci richiedono strategie di soluzione ditipo ADM, nella scuola invece accade il contrario, e cioè le provea cui sono sottoposti gli studenti richiedono loro di operare inmodalità VDM. C’è una sola risposta corretta e questa risposta sipuò dare o attingendo alla memoria a lungo termine o applicandoschemi o regole di soluzione. Il problema è che nella vita non cisono mai “risposte giuste o prestabilite” quindi è importante ascuola un nuovo tipo di valutazione, che proponga agli studentiprove significative, che li metta in situazioni reali di problemsolving misurando la loro capacità di servirsi di processiesecutivi.

31

Capitolo 6: “IL CERVELLO CHE LEGGE”

PSICOFISIOLOGIA DELLA LETTO-SCRITTURA Esiste una relazione tra il sistema attraverso cui l’uomo

comunica e il modo in cui il suo pensiero si va strutturando. Secondo la teoria del medium l’impatto maggiore sulla storia

della nostra cultura non viene prodotta dai contenuti dei media madalla loro architettura. Vi sono in merito a ciò tre ipotesi:

1) La corrispondenza tra struttura e direzione della scrittura (per esempio da sinistra verso destra).

2) La relazione tra direzione della scrittura e dinamica della lettura.

3) La capacità della scrittura di retroagire sul cervello condizionando le sue abitudini di elaborazione dei dati in suo possesso.

In sostanza l’idea che il modo in cui una determinata forma discrittura è organizzata richiede al nostro cervello l’attivazionedi determinate routines e che queste finiscono per condizionare ingenerale come noi costruiamo la nostra attività cognitiva. Lascrittura definisce la nostra cornice mentale. Quindi laquestione che ancora oggi si discute è: leggere modifica il nostrocervello?

LE BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA LETTURA La risposta è di ambito neurobiologica. Sono stati condotto

degli studi su soggetti che leggono in lingue; i ricercatori hannoricavato due conclusioni:

Dimostrano che il cervello si adatta a leggere diversi sistemi di scrittura.

Trasversalmente rispetto alle diverse lingue le regioni cerebrali implicate nell’atto della lettura siano le stesse. L’insieme di queste regioni viene definito sistema universaledi lettura e dimostra che leggere in qualsiasi lingua cambia il cervello.

Cosa significa cambia il cervello? Wolf individua 5 tappe inrelazione ai profili di lettura:

32

Il pre-lettore 5/6 anni , una fase caratterizzata dal fatto che il bambino associ l’ascolto della lingua scritta con una situazione piacevole e accogliente.

Lettore neofita 5/7 anni, qui il bambino fa due scoperte , ilfatto che le lettere e i suoni siano collegati e che di conseguenza la comprensione della corrispondenza tra fonema egrafema nell’attività di decodifica. Il cervello con il temporaffina i suoi processi e li rene più efficienti.

Lettore decodificante , qui il bambino acquista sicurezza maggiore.

Lettore fluido: la lettura è sicura e si ha una buona padronanza dei processi.

Lettore esperto: qui vi è il punto di arrivo dove il bambino è in grado di leggere ogni parola in mezzo secondo.

NEUROPEDAGOGIA DELLA LETTURA È importante conoscere questo per chi ha a che far con ladidattica perché possono insorgere dei problemi connessi allalettura. Ad esempio la dislessia o l’apprendimento della lingua.La dislessia ha molti sottotipi, alcuni ipotesi hanno una basegenetica, altre relative a cause di comunicazione intermisfericaecc. Riguardo l’apprendimento della lingua si pensa che il periodomigliore per l’apprendimento di una seconda lingua siano i primianni di vita. L’importanza di lettura è fondamentale: il bambino che infamiglia si sente leggere racconti fin dalla più tenera etàconsoce parole arricchendo il lessico, educa l’orecchio alriconoscimento di fonemi, associa una situazione piacevole. Vi èquindi un arricchimento del repertorio emotivo, la capacità diriconoscere configurazioni e lo sviluppo di capacitàinferenziali. Leggere sviluppa la capacità di pensare le cosedal punto di vista dell’altro. Il cervello che legge pensameglio.

NUOVI MEDIA, NUOVE LITERACIES

33

Vi sono delle preoccupazioni da parte di chi è amante del libro:l’avvento dell’alfabeto ha prodotto il superamento della culturaorale, allora l’avvento del digitale produrrà il superamentodella cultura letteraria? La parola chiave è: multiliteracy.Essa fa riferimento alla realtà complessa entro cui il soggettosi trova oggi immerso, ai vari linguaggi e alle differenze divalori e culture. Ciò richiede la necessità di promuovere unapprendimento flessibile e dinamico in grado di muoversitrasversalmente rispetto ai diversi setting e sistemi di codici(con le relative modalità di percezione) che eccedono ladimensione tradizionale del testo scritto:- Il linguaggio orale- Le diverse forme della rappresentazione acustica ( musica,

suoni ambientali, rumori)- La rappresentazione tattile (sinestesia, contatto fisico,

sensazioni epidermiche, oggetti manipolabili, artefatti,aromi)

- La rappresentazione gestuale ( movimenti delle mani,espressioni del volto, sguardo, postura del corpo,abbigliamento e moda)

- La rappresentazione spaziale (prossimità, forma esteriore,distanza interpersonale, architettura, costruzione).

Intelligenza digitale?

Le forme testuali di oggi abbandonano sempre di più il supportocartaceo per quelli digitali, non coinvolgono solo la vista maanche l’udito. Imparare a leggere queste forme chiede losviluppo di competenze che sono nuove rispetto a quelle chegenerazioni di bambini hanno sempre sviluppato leggendo suisupporti tradizionali improntati alla forma di libro.

Henry Jenkins ha censito 11 di queste competenze: La simulazione: la capacità di costruire modelli dinamici del

mondo reale, cioè guardare le cose da più punti di vista elaborando schemi di interpretazione.

L’appropriazione: fa riferimento ai modi attraverso i quali facciamo nostri i significati e ne produciamo creativamente

34

altri, creare significati non vuol dire non immaginarne di nuovi, ma riorganizzare i forme nuove quelli di cui già disponiamo.

Navigazione trasmedia: capacità di utilizzare le informazioniche ricavo da una puntata dei Pokemon per giocare all’omoninovideogame sulla play station.

Tali nuove competenze confermano la presenza di una nuovaintelligenza digitale, ma ciò non significa che questo porta alsuperamento del cervello alfabetico, perché l’evoluzionetecnologica non porterò alla sostituzione ma all’integrazionedi un nuovo linguaggio. Quindi il lavoro degli insegnanti èquello di promuovere la capacità di essere multi testuali cioècapaci di leggere e analizzare i testi in modo flessibile inmodi diversi. Quindi considerare i diversi linguaggi, anchequello digitale, come una tastiera cognitiva accessibile atutti gli studenti.

35

Capito 7: LA DIDATTICA, IL CERVELLO E IL TEATRO

L’apprendimento ha un profondo radicamento biologico.Apprendiamo con tutto il nostro corpo, immergendocinell’esperienza stando in situazione, imitando il comportamentodegli altri.

SIGNIFICATO E VALORE DELLA TRASMISSIONE CULTURALE Ong e Havelock, studiosi della cultura e della retorica, dallostudio dei crani dei diversi tipi di ominide che si sono succedutinella linea evolutiva è stato possibile determinare una chiaradiscontinuità tra le diverse forme di Homo erectus e l’homosapins.

Questa diversa posizione consente di determinare una nettadifferenza nei loro modi di comunicare. Questa ipotesi si basa sulfatto che nei nostri lontani antenati le corde vocali sono postein una posizione tale da non poter permettere l’emissione di suoniarticolati. Nell’Homo erectus le corde vocali erano situate ancorain alto ed egli poteva emettere solo versi gutturali, ma l’Homosapiens poteva già pronunciare dei suoni poiché le corde vocaliavevano raggiunto una posizione più favorevole. Dunque illinguaggio cosi è una prerogativa dell’homo sapiens.

I POEMI OMERICI COME ENCICLOPEDIA E L’AEDO OMERICO COME PROTO- DIDATTICA

Havelock ritiene che i poemi omerici siano una enciclopedia dellapaideia ellennica e che Omero sia uno scrittore essenzialmentedidattico. In buona sostanza per i Greci la gesta degli eroi sonoun espediente narrativo attraverso il quale favorire latrasmissione alle nuove generazioni dell’ethos e del nomos ovverol’insieme di tutti i comportamenti , modi di fare, tecniche,mestieri, pratiche codificate, regole, leggi di cui consistequello che con un solo termine definisca cultura. La funzione della poesia per i Greci è didattica. Si racconta perinsegnare. Senza insegnamento una società non sopravvive.

36

TEATRO, EDUCAZIONE, SCRITTURA La storia della cultura è costellata da momenti e stagioni in cuiil teatro è stato riconosciuto con una vocazione pedagogica. “nonappena inizi a scrivere, il cantastorie, cambia non solo la naturadell’informazione, ma modifica il ritmo. Nel contesto dellesocietà orali i contenuti che sta raccontando li vive , li fapropri. La sua performance è propriocettiva cioè non simula lavita ma è vita.

Lo stesso tipo di coinvolgimento si deve immaginare nellospettatore: il suo apprendimento dipende molto poco daun’elaborazione razionale, quanto piuttosto, come le ricerche suineuroni specchio hanno dimostrato, dal modellamento rispetto aquanto viene agito davanti a lui.

Molto diversa è la performance dell’attore che “impara”. Icontenuti non sono più vissuti, ma recitati: tra lo spettacolo ela vita si aprono uno spazio e una distanza. l’attore noninteriorizza, ma esteriorizza.

Ogni cosa da noi vista dal di fuori o dal di dentro cominciasempre a partire da un argine sul quale siamo collocati, a limiteinterno del campo visivo. Non siamo mai dentro la scena, interna oesterna che sia, ma sempre al di fuori di questa.

È risaputo che la lettura di romanzi invita a costruire unaspecie di “teatro interiore” , ma forse è ancora più vero ilcontrario. Allo spettatore, a teatro, si richiede una visionecentrale, molto focalizzata; essa comporta attenzione econcentrazione, impone di scandire in sequenze la propriaesperienza (analisi) e di ricomporre poi queste sequenze in ununico spazio visibile (sintesi); inoltre il fissarsi dello sguardosullo stesso spazio per lungo tempo sviluppo nello spettatorel’attitudine a comparare le performance dei diversi attori equesto costituisce l’anticamera dello spirito critico e dellafacoltà del giudizio.

Andando a teatro si impara a guardare. L’autore e l’attoreassegnano un posto allo spettatore, lo collocano, e gli chiedonodi guardare in un certo modo, lo educano a riconoscere elementi,cogliere sfumature, e acquisire un metodo. Si tratta di una

37

didattica indiretta grazie alla quale il pubblico viene “formato”.Evidentemente anche dopo l’avvento della scrittura, sino a oggi,il teatro continua a essere un’opportunità per favorire latradizione del sapere e della cultura, per trasmettere l’ethos eil nomos di un popolo, in una parola : per fare l’educazione.

38

“GIOCO: la capacità di fare esperienza di ciò che ci circonda come forma di problem solving” . L’attenzionesi sposta “… dal divertimento al coinvolgimento “SIMULAZIONE: l’abilità di interpretare e costruire modelli dinamici dei processi del mondo reale”. Attraverso le simulazioni si apprende per prove ed errori. I “videogiochi attuali permettono ai giovani di giocare con simulazioni sofisticate e, all’interno di questo processo, di sviluppare una comprensione intuitiva di come si possono utilizzare le simulazioni per verificare le nostre ipotesi sui modi in cui funziona il mondo” .“PERFORMANCE: l’abilità di impersonare identità alternative per l’improvvisazione e la scoperta” . Esempi sitrovano nelle modalità con cui i bambini reinventano le storie che sentono raccontare, nei giochi di ruolo in cui si assumono identità fittizie, in fenomeni come il cosplay (travestimenti basati sui personaggi degli anime), nelle forme di autorappresentazione che gli adolescenti danno di sé sui blog o sul web. “APPROPRIAZIONE : l’abilità di campionare e miscelare contenuti mediali dando loro significato” . La fan fiction, il remix nella musica digitale, ma anche una semplice elaborazione grafica via Photoshop. L’appropriazione può essere interpretata come un processo che coinvolge sia l’analisi sia il commento. Il campionare in maniera intelligente materiali provenienti dalla riserva culturale esistente richiede un’accurata analisi delle strutture esistenti e degli usi di questo materiale; il miscelare (remixing) richiede un apprezzamento delle strutture emergenti e dei potenziali significati latenti.” “MULTITASKING: l’abilità di scansionare l’ambiente e di prestare, di volta in volta, attenzione ai dettagli salienti”. Svolgere più compiti contemporaneamente: ascoltare musica, studiare, chattare… “CONOSCENZA DISTRIBUITA: l’abilità di interagire in maniera significativa con strumenti che espandono le capacità mentali” (pc, tablet, giochi e videogiochi) “ INTELLIGENZA COLLETTIVA : l’abilità di mettere insieme conoscenza e confrontare opinioni con altri in vista di un obiettivo comune”. I ragazzi devono sapere come risolvere i problemi da soli, ma anche come aumentare le loro capacità intellettuali, lavorando su un problema all’interno di una comunità sociale. “GIUDIZIO: l’abilità di valutare l’affidabilità e la credibilità di differenti fonti di informazione” . Dobbiamo imparare a leggere una fonte di informazione confrontandola con altre; a comprendere i contesti all’interno dei quali l’informazione viene prodotta e circola. Agli studenti viene teoricamente insegnato a scuola come valutare criticamente i pro ed i contro di un argomento. “NAVIGAZIONE TRANSMEDIA: la capacità di seguire un flusso di storie e informazioni attraverso una molteplicità di piattaforme mediali”. Il concetto a cui ci si rifà è quello del transmedia storytelling, la narrazione attraverso l’uso di differenti media. Le abilità di lettura escrittura si combinano con nuove capacità di composizione attraverso immagini, testi, suoni e simulazioni. “NETWORKING: l’abilità di cercare, sintetizzare e disseminare informazione” . In un mondo in cui la produzione di conoscenza è collettiva e la comunicazione avviene attraverso una serie di media differenti. Uno studente ingegnoso non è più chi possiede, personalmente, un’ampia varietà di risorse e informazioni tra cui scegliere, quanto, piuttosto, chi è in grado dinavigare con successo attraverso un mondo di informazioni abbondanti e in continuo movimento.“NEGOZIAZIONE: l’abilità di viaggiare attraverso differenti comunità, riconoscendo e rispettando la molteplicità di prospettive e comprendendo e seguendo norme alternative”. Capacità di negoziare tra punti di vista divergenti, in secondo luogo come capacità di negoziare attraverso comunità diverse.”

39