Post on 17-Mar-2023
Premessa
Le date di costruzione e di distruzione dell’antico ponte che scavalcava l’Adda tra Olginate e Calolziocorte
è da sempre controversa: non tutti gli storici sono d’accordo su di esse e la discussione è ancora aperta, così
come sul percorso delle strade che in epoca romana passavano per questo nostro territorio percorso dal
fiume Adda.
La ricostruzione delle origini di questo ponte, che qui presentiamo, è basata su ipotesi che sono state
formulate tra la seconda metà del 1800 e la prima metà del 1900 mancando notizie e soprattutto documenti
che ne parlino in epoca altomedievale.
Dalla seconda metà del 1500 fino ai giorni, invece, vi sono documenti che trattano delle vestigia del ponte
ancora visibili e quanto è stato scritto ci aiuta molto a ricostruirne l’aspetto e il periodo della sua
costruzione.
E’ certamente incomprensibile il motivo per cui i ruderi di un ponte di epoca romana, forse gli unici esistenti
sull’Adda, siano stati poco studiati dagli storici.
Eppure fin verso il 1840, quando si effettuarono i lavori di rettifica di quel tratto del corso del fiume che
comportarono l’abbassamento del letto per più di un metro, ancora si potevano vedere i resti di alcuni piloni
affiorare dalle acque.
Si giunse perfino a negarne l’esistenza, come fece uno storico nella prima metà del secolo scorso, con una
serie di articoli sul “Resegone”, che lo collocava invece a Lecco, oppure come il rev. Giovanni Dozio,
dottore dell’Ambrosiana, che parlando dei ponti sull’Adda scriveva, alla metà dell’’800, come “… sia più
verosimile che il ponte di pietra, che metteva in comunicazione i villaggi della Val San Martino, compresi
nella pieve di Garlate, col proprio centro plebano, fosse a Lavello piuttosto che ad Olginate”.
2 – LA PSEUDO ARCATA SULLA SPONDA OLGINATESE
Solo nel 1825 Carlo Redaelli, primo fra gli storici locali, ci da una sbrigativa descrizione dei resti di questo
ponte soffermandosi però sull’arcata esistente nell’allora giardino Testori, trascurando di confrontarla con i
resti dei piloni nel fiume che pur ancora si vedevano nel fiume: “... Un arco intero si conserva ancora unito
alla casa del sig. Carlo Testori, che ci fu cortese di opportune notizie; vi sono gli avanzi dei piloni in mezzo
all'Adda, stati in parte distrutti nel 1755, nel pensiero di togliere altra delle cause che producono le
inondazioni a Lecco, a Como ed altrove, e qualche avanzo di pilone fu altresì riconosciuto sulla sponda
sinistra del fiume, d’onde si vede che questo ponte era molto lungo; l'arco che rimane ci mostra che il ponte
era di grande solidità. La larghezza sua (parla dell’arcata - ndr) è di braccia milanesi 8 ed oncie 3 (4,9
metri circa - ndr); la lunghezza è di braccia 24 (13,92 metri - ndr), meno i piloni di figura conica, che sono
di braccia 7 (4 metri circa - ndr) cadauno.”
Così facendo commetteva un grossolano errore perché l’arcata in questione, è ormai assodato, è una
costruzione posteriore, forse una fortificazione alto medioevale, chiamata “bastia”, che è stata innalzata
inglobando, presumibilmente, una arcata del ponte romano. Terreni identificati con questo nome si
estendevano, attorno ad essa, fino alla zona del vecchio edificio comunale.
Nello stesso errore cadde cento anni dopo il dott. Antonio Magni che, nel 1929, studiò la grande arcata,
anch’egli non comparandola però con le murature dei piloni, che pure aveva visto sott’acqua nel mezzo del
fiume: non si accorse quindi della diversità dei materiali e che la superficie delle fondazioni dei piloni del
ponte era molto più piccola di quella dei due piloni che compongono la pseudo arcata. Tutto ciò lo portò a
trarre delle conclusioni affrettate sia sulla autenticità della pseudo arcata sia sull’epoca di costruzione del
ponte che fece risalire agli anni tra il 48 ed il 16 a.C. poiché, a suo parere, “l’esame tecnico dell’arcata
arrivata a noi, dinota la buona epoca dell’alto impero; la grandiosità della massa, le proporzioni perfette
delle singole parti, la finitezza degli spigoli dell’arco lavorati a scalpello, la qualità e bontà della malta lo
dimostrano.”
Circa 20 anni dopo, nel 1943, il dott. Nevio Degrassi, che ebbe modo di studiare i ruderi nel letto dell’Adda
approfittando dei lavori di costruzione della diga di regolazione del lago di Como, giunse a conclusioni più
esaurienti e sagge, giudicando l’arcata in questione non facente parte dell’antico ponte che venne costruito,
secondo il suo parere, tra il III e IV secolo d.C. Questa sua datazione è oggi condivisa da molti storici.
Nella “Carta Archeologica della Provincia di Lecco. Aggiornamento” del 2009, durante l’ispezione
effettuata dagli archeologi in occasione dell’avvio, “da parte della Regione Lombardia, di un progetto di
ripristino della navigabilità dell’Adda tra Garlate e l’incile del Naviglio di Paderno ha reso necessarie
indagini archeologiche subacquee finalizzate a verificare lo stato dei resti del ponte romano”, si osserva che
“l’altezza delle strutture non è più la stessa: sia la testa del ponte che i muri d’ala non superano i 20 cm dal
fondale e le strutture risultano notevolmente erose dalla corrente rispetto alla documentazione del 1946
(1943 – ndr) e in parte trascinate più a valle”. Qui si dimentica che furono ridotte così dalla ditta Bonfanti
nel 1953/54 su incarico Consorzio dell’Adda ed, inoltre, non si parla della loro datazione.
Lago di Garlate
3 - IL TERRITORIO
4 - TRATTO DI FIUME FRA LA DIGA ED IL PONTE STRADALE DOVE ERA SITUATO IL
PONTE ROMANO
Il territorio dove si trovava il ponte è situato a cavallo del fiume Adda, laddove due laghetti da esso formati
si allargano in una valle morenica, lungo la quale si svilupparono piccoli insediamenti che in epoca romana
conobbero un incremento anche grazie alle due strade principali che percorrevano le due sponde: una
proveniente da Milano che si congiungeva a Garlate-Olginate con un’altra proveniente da Bergamo per
Como.
Sfruttando un restringimento del fiume Adda, causato da due eventi naturali ben distinti, un'antica frana che
aveva interessato la collina sovrastante Olginate e l’apporto di detriti da parte dei torrenti Aspide, sulla
sponda destra, e Gallavesa su quella sinistra, i Romani costruirono, tra il III e il IV secolo, un ponte che
congiungeva le due opposte sponde.
In quel tempo l’Impero era giunto all’apice della sua espansione ma iniziava a dare segni di difficoltà nel
controllare il suo vastissimo territorio e nel contenere le spinte delle variegate popolazioni barbariche che
premevano lungo i confini.
Proprio sul finire di questo secolo tribù barbare, calate dalla Rezia, (Provincia romana corrispondente
all'attuale Svizzera, Austria e Baviera) erano riuscite a raggiungere e saccheggiare Como: si rese così
necessario presidiare meglio il triangolo lariano per essere in grado di salvaguardare Milano, allora una
delle più importanti città che divenne poi anche sede imperiale.
Questo scopo si poteva raggiungere rendendo più funzionale il sistema viario per spostare rapidamente le
truppe verso le zone via via più minacciate dai barbari.
Si può supporre che, in questa prospettiva, venne realizzato un nuovo veloce tracciato, più breve e quasi
lineare, della strada tra Como e Bergamo oltre a quella che fino ad allora attraversava l’Adda più a sud, a
Brivio. Questa strada a est di Bergamo confluiva nella “Postumia”, la via consolare che collegava, lungo le
propaggini delle Alpi, le principali città del nord con Aquilea, capolinea occidentale della “Via dell’ambra”.
5 - RICOSTRUZIONE DEL TRACCIATO DELLE STRADE ROMANE NEL NORD ITALIA
Molte erano le strade che in epoca romana attraversavano il Nord Italia e la Lombardia. Nel disegno se ne
riportano le principali.
Il dott. Antonio Magni affermava, con grande conoscenza dell’argomento, che i Romani “diedero grandesviluppo alla costruzione di strade attraverso il vasto impero, ed ogni loro conquista era tosto seguita dallo
sviluppo del sistema stradale, indispensabile per la sicurezza e la durata delle nuove occupazioni, perl’esercizio dell’autorità imperiale, per lo sviluppo dei commerci, ed anche per le relazioni giornaliere fra ivari pagi.
E così abbiamo vie militari o regie, consolari, pretorie, vicinali, agrarie, naturalmente da varia larghezza esolidità a norma della loro destinazione. La vie militari, assegnate specialmente alle soldatesche e lorotraini, erano possibilmente rettilinee per renderle più brevi, non badandosi a pendii, a trincee ed a gallerie
da scavare ed a ponti da erigere, ed erano larghe da metri 3,50 a 5,00.”
6 - TABULA PEUTINGERIANA (in rosso il percorso Bergamo-Como)
Questa strada militare romana di arroccamento (nella tecnica militare era una via di comunicazione che
corre parallelamente a un fronte strategico, in senso trasversale rispetto alle direttrici di marcia o di attacco
di un esercito), che collegava Como a Bergamo, proveniendo da est, è raffigurata, con molta
approssimazione ed errori, nella “Tabula Peutingeriana”, copia medievale (molto confusa e non sempre
corretta), di un itinerario stradale risalente al periodo imperiale romano, ricordata anche nell'Anonimo
Ravennate.
Pur essendo una strada militare era ovviamente usata anche dal traffico locale e dai mercanti che
provenivano dal Mediterraneo e dal grande emporio di Aquilea e che dovevano raggiungere i paesi del nord
dell'impero con olio, sale, pesce secco e salato ma anche le spezie, le sete, i tessuti, i gioielli e i vetri. In
direzione contraria, dai paesi transalpini, arrivavano metalli, pelli, cuoio e legname.
Da Bergamo, passando per Almenno S. Salvatore, dove attraversava il Brembo su di un ponte in muratura di
otto arcate, alto circa 25 metri, chiamato impropriamente “il ponte della regina”, che venne utilizzato fino al
1492-93 quando fu distrutto da un eccezionale piena del Brembo (gli ultimi resti furono demoliti alla fine
del 1800) arrivava nella Val S. Martino da Caprino, passava per Lorentino e Rossino poi, scendendo al
ponte di Olginate, arrivava a Garlate dove, risalendo la collina, raggiungeva la sella di Galbiate per scendere
a Sala al Barro. Da qui la strada raggiungeva Civate per poi portarsi a Como.
Da Como risaliva il lago verso i passi alpini e del Septimer, che nei primi secoli dopo Cristo era il più
frequentato, oppure dello Julier, dello Spluga, del Maloia o si portava verso i passi del San Bernardino e del
Lucomagno per poi immettersi nelle regioni dell'alto Reno e dell'alto Danubio.
IPOTESI FORMULATE DA VARI STORICI SUL TRACCIATO
DELLA STRADA ROMANA BERGAMO-COMO
SUL TERRITORIO PEDEMONTANO7
7 - IPOTESI FORMULATE DA VARI STORICI SUL TRACCIATO DELLA STRADA ROMANA
BERGAMO-COMO SUL TERRITORIO PEDEMONTANO
Tra il 1800 ed il 1900 molte furono le ipotesi avanzate dagli storici sull’effettivo percorso seguito della
strada Bergamo-Como nel territorio lecchese: può essere che tutte questi vie coesistessero in epoche e tempi
diversi.
Il tracciato formulato dal dott. Degrassi sembra a noi quello più probabile, senza però negare la possibilità di
altri percorsi alternativi o secondari, come quello che passava da Brivio ipotizzato dal rev. Giovanni Dozio.
Ipotesi Nevio Degrassi: Bergamo – Almenno – Barzana – Pontida – Calolzio - Olginate (attraversamento
dell’Adda) – Galbiate – Sala – Civate – Lipomo - Como
Ipotesi Giovanni Dozio: Bergamo – Pontida - Brivio (attraversamento dell’Adda) – Bulciago – Lipomo –
Como
Ipotesi Angelo Mazzi: Bergamo – Almenno – Barzana – Palazzago - Olginate (attraversamento dell’Adda)
– Galbiate – Oggiono – Molteno – Lipomo - Como
Calolziocorte
Lago di Olginate
Lago di Garlate
Galbiate
Olginate
Posizione del ponte
Fiume Adda
Garlate
per MILANO
LE DUE STRADE ROMANE VISTE DALLA SPONDA DI CALOLZIO
Fiume Adda
9
8 - LE DUE STRADE ROMANE CHE CONVERGEVANO AL PONTE TRA GARLATE ED
OLGINATE
9 - LE DUE STRADE ROMANE VISTE DALLA SPONDA DI CALOLZIO
Nell'area attorno a Olginate-Garlate-Galbiate, la Bergamo-Como incrociava altre due strade: la prima,
ipotizzata dal Passerini e poi nel 1978 da Ambrogio Palestra, era il prolungamento della via Milano - Monza
che raggiungeva il ponte di Olginate toccando Arcore, Bernate, Velate, Olgiate, Valgreghentino, dove ancora
esiste la località Miglianico (che richiama il cippo che era eretto ad ogni miglio a segnare il percorso) e
quindi Olginate – Garlate dove si univa con la Bergamo-Como che arrivava dalla Val San Martino; l'altra,
ricostruita da Mirabella Roberti, si staccava dalla Milano-Como all'altezza di Carate e, passando per Agliate,
Renate, Cassago, Bulciago, Garbagnate Monastero, Molteno e Oggiono, si univa all’altezza di Galbiate alla
Bergamo-Como. Quest’ultima è la strada che in seguito sarà chiamata la “carraia del ferro” che univa la
Valsassina e Lecco alla Brianza.
Il ponte sull’Adda di Olginate costituiva quindi un importante snodo viario per i traffici del tempo.
LA RISCOPERTA DEL PONTE
10 - 1943 CIRCA: LA DIGA DI REGOLAZIONE DEL LAGO DI COMO IN COSTRUZIONE
(SPONDA BERGAMASCA)
Alla fine del 1939 iniziarono i lavori preliminari per la costruzione della diga di regolazione delle acque del
lago di Como da parte del neo costituito “Consorzio dell’Adda”, che raggruppava i diversi antichi Enti che
gestivano l’irrigazione della pianura padana.
Il primo progetto fu dell’ing. Fantoli ed i lavori di costruzione del primo lotto furono dati in appalto
all’impresa Torno.
In seguito, per motivi tecnici ed anche per la guerra in corso, il progetto fu ridimensionato e se ne adottò un
altro redatto dall’ing. Moroni che prevedeva l’allargamento del fiume in sponda sinistra da m. 83 a m. 146
(+ 63 metri), il prolungamento del ponte stradale, la costruzione di una conca di 30 tonnellate invece del
previsto canale navigabile esteso fino al Lavello con conca di 600 tonnellate.
Il 4 gennaio 1940 il prevosto di Olginate, don Giuseppe Novati, delegato dal cardinale Schuster, benedisse
la prima pietra della diga. Lo sbarramento venne terminato e collaudato il 14 settembre 1944.
VISTI DALLA
SPONDA
CALOLZIESE
VISTI DALLA
SPONDA
OLGINATESE
1945
I RESTI DELLE
FONDAMENTA DEL
PONTE
11
11 – 1945: I RESTI DELLE FONDAMENTA DEL PONTE
Nel 1943, nell’asportare la ghiaia per allargare il fiume in sponda sinistra, vennero alla luce, a circa due
metri di profondità, i resti della testata e di cinque piloni di un antico ponte che erano stati interamente
sepolti dalla ghiaia durante i lavori di sistemazione del fiume effettuati nella seconda metà del 1700 e poi
nel 1838/42.
I ruderi, come già detto, furono studiati in maniera accurata dal dott. Nevio Degrassi, il quale espresse il
parere che si trattasse dei resti di un ponte d’epoca romana e che la sua costruzione fosse avvenuta
all’incirca nel terzo/quarto sec. d.C.
A questa deduzione giunse basandosi, più che altro, sul tipo di muratura dei manufatti: "costituita in faccia a
vista da pietrame squadrato irregolarmente collegato da una malta composta di calce bianca con
frammenti di pietra e pochi frammenti laterizi. L'interno è formato da pietrame spaccato e da grossi ciottoli
di fiume annegati in un forte calcestruzzo di calce bianca e di sabbia magra ma grossolana con frammenti
di pietra e laterizio".
RILIEVI DELLE FONDAMENTA DEI
PILONI CHE DIMOSTRANO UN
DIVERSO ALLINEAMENTO DEL
PONTE RISPETTO ALL’ARCATA
SULLA SPONDA DESTRA
In: N. Degrassi, Il ponte romano di Olginate e la strada da
Bergamo a Como, RAC, fasc.127, 1946
Posizione della massicciata “D” della strada
romana che arrivava al greto dell’Adda12
IL COLORE GIALLO
INDICA IL RILIEVO
FATTO DA N.
DEGRASSI
DURANTE LA
COSTRUZIONE
DELLA DIGA
Muro edificatoa difesa della testatadel ponte
Pseudo arcatadel ponte
FIUME ADDA
- - - - IPOTETICA POSIZIONE DELLE
RIMANENTI FONDAMENTA DEI PILONI
CONTORNO DEI RESTI DELLE FONDAMENTA DEI PILONI
ATTUALMENTE VISIBILI IN TEMPI DI MAGRA - GENNAIO 2006
13
12/13 - RILIEVI DELLE FONDAMENTA DEI PILONI CHE DIMOSTRANO UN DIVERSO
ALLINEAMENTO DEL PONTE RISPETTO ALLA GRANDE ARCATA IN SPONDA DESTRA
Nel suo saggio apparso nel 1946 sulla Rivista Archeologica di Como, tra l’altro, il Degrassi scrisse: “I
ruderi sono poco conservati in altezza sì che normalmente sono sotto il pelo dell'acqua ed emergono solo in
periodo di grande magra (…) La testata è formata da due muri disposti a V allargata, a cui si innesta
all'apice un elemento quadrangolare. Dal lato a monte, più esposto alla corrente, il muro è più grosso (m.
1,50) e più lungo (m. 15) della parte a valle (rispettivamente 1,20 e m. 12,60) ed ha ancora un rinforzo
sagomato per il miglior deflusso delle acque, che ha lo scopo, come gli speroni frangiflutti, di tagliare la
corrente secondo piani obliqui. Mentre quindi l'elemento rettangolare della testata è largo in totale m. 6,20,
la parte su cui doveva poggiare la spalla del primo arco - se, come è probabile, il ponte era ad archi e non
in legname - è di soli m. 4. .
Il disegno mostra il fiume Adda con l’attuale ponte stradale e la diga di regolazione delle acque e i resti
delle fondamenta ancora ben visibili fino a pochi anni fa. Così il Degrassi li descrive:
“Sul fondo del fiume poggia, fissato dalla palificata, un basamento lievemente più largo dei piloni stessi,
alla quota di m. 196,15 e dello spessore di m. 0,45. Su di esso poi si innalzava il pilone. La forma dei piloni
è quella normale, di un rettangolo a cui sono aggiunti ai lati minori i due speroni tagliacorrente, detti in
gergo tecnico avambecchi e retrobecchi. (…) I piloni hanno una larghezza variabile da m. 3 a m. 3,90,
mentre la lunghezza, compresi i frangiflutti triangolari, è di circa m. 8,80 di cui metri 2,40 per ciascuno
sperone e m. 4 per l'elemento rettangolare portante. La distanza tra pilone e pilone (luce) varia da m. 4 a m.
4,60. Anche la larghezza del nostro ponte che dalle misure dei piloni e calcolando lo spazio per i parapetti,
doveva essere di circa 4 metri, è normale in un ponte romano, che raramente sorpassava tale larghezza”.
Il Degrassi stimava che la lunghezza del ponte fosse di circa 150 metri con 16-18 piloni precisando però che
“se esso arrivasse al rudero della villa Redaelli e che gli intervalli tra pilone e pilone rimanessero
all'incirca gli stessi …”.
Non è del tutto da escludere che questo ponte fosse ancora più lungo e che la pseudo arcata non inglobi la
testata, sulla sponda destra, ma sia stata costruita sulle fondamenta di due piloni.
In un atto notarile del 1499 il mulino, costruito sulla sua sommità, è descritto come tutto circondato dal
fiume.
Ancora in un disegno del 1588, questa arcata è raffigurata circondata dalle acque dell’Adda.
In effetti il livello del terreno, ora parco della villa era più basso dell’attuale rispetto alla strada (via
Redaelli). Questo dislivello venne in parte colmato a partire dal 1686 quando i proprietari permisero ai
Comaschi di depositarvi la ghiaia tolta alla foce dell’Aspide.
“Primo aprile 1686 in Olginate. Facciamo fede noi sotoscriti Deputato, Console et huomini della Comunità
di Olginate di come il sig. Giò Stefano et fratelli Testori in conformità della richiesta fattagli dal retroscritto
sig. Pompeo Porta di Como, hanno dato licenza alli suoi lavoratori de poter riponer il gerato levato al
fiume Aspido nel sito de medemi sigg. Testori tra le ragioni del loro mulino demolito osia Palazina, et suoi
campi detti li campi alla Gueglia, et ciò serva per atestato della verità, et senza pregiuditio delle ragioni
d’essi sigg. Testori, in fede ci siamo sotto scritti con nostro giuramento de propria mano ed datto licenza
respettivamente.”
In base a queste considerazioni si può supporre che il ponte potesse arrivare a toccare la sponda olginatese
più avanti di quanto supposto fino ad ora.
IPOTESI SUL TIPO DI PONTE
PONTE DI OLGINATE: CON ARCATE IN MURATURA O MATTONI
15
PONTE DI LEMINE/ALMENNO O «DELLA REGINA» (ipotesi ing. Fornoni)
15 - IPOTESI SUL TIPO DI PONTE
Il ponte doveva presentarsi imponente, anche se, scrive ancora il Degrassi, “nulla è rimasto dell'elevato del
ponte di Olginate, e non possiamo quindi determinare con sicurezza la sua forma, ma è molto probabile che
esso appartenesse al solito tipo di ponti in muratura con serie di archi a sesto pieno poggianti su piloni”.
Esiste la possibilità che le arcate fossero in cotto, come gli speroni frangiflutti che erano sicuramente
costruiti con mattoni, come si ricava da una relazione del 1684 dove si dice che la pila centrale, allora
ancora esistente e alta circa 7 metri sul pelo dell’acqua, aveva gli speroni in cotto e tracce di impostazione
dell’arcata pure in cotto.
Come confronto, si riporta la ricostruzione del ponte romano di Lemine, o d’Almenno detto anche “della
regina”, costruito lungo la stessa strada per superare il Brembo (disegno dell’ing. Fornoni nel 1893).
LAGO DI
GARLATE
GALBIATE
GARLATE
OLGINATE
CAPIATE di
Olginate
CALOLZIOCORTE
LORENTINO di
Calolziocorte
MONTE BARRO
LAVELLO di
Calolziocorte
CARTINA DEL TERRITORIO CON I RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI
LAGO DI
OLGINATE
16
17 - MONTE BARRO
In questi ultimi decenni si è fatto strada il concetto, anche grazie a numerosi ritrovamenti archeologici, che
il territorio lecchese a cavallo dell’Adda sia stato interessato di un passato importante che si è sviluppato
sulle direttrici delle strade romane che lo attraversavano e su un preesistente tessuto abitativo sul quale i
Romani avevano innestato la loro presenza.
L'insediamento fortificato di Monte Barro, oggetto di 12 campagne di scavo dal 1986 al 1997 e rivelatosi
come un grande castello del V-VI secolo, con funzione difensiva e di controllo rispetto ai grandi tracciati
viari che passavano ai suoi piedi: la via d'acqua lago di Como-Adda e la via pedemontana Bergamo-Como.
EPIGRAFE DEL COMES DOMESTICORUM PIERIUS (VI sec. ca.)
[B(one)] M(emoriae)
[Hic r]requiescit
[in pa]ce Pierius
[v(ir) il]lustris
[qui vi]xit in secu-
[lo an]os pl(us) m(inus) L
[dep(ositus) s(ub)] d(ie) IIII idus
Acus-
[tas Lon]gino bes Faus-
[to v(iris)] c(larissimis consul(ibus)
Alla buona memoria.
Qui riposa in pace Pierius, uomo
illustre, che visse nel secolo più o
meno 50 anni, fu inumato quattro
giorni prima delle idi di Agosto, sotto
il secondo consolato di Longino e
quello di Fausto, uomini chiarissimi
(10 agosto 490)
GARLATE
SCAVI NELLA CHIESA
PARROCCHIALE DI SANTO
STEFANO IN GARLATE
Resti delle mura della chiesa altomedievale
e sepolture di varie epoche18
18 - GARLATE
A Garlate sono stati portati alla luce epigrafi e resti di una villa romana sotto il pavimento della chiesa di
Santo Stefano. Un’epigrafe funeraria dell’”vir illustris Pierius”, ritrovata nella ristrutturazione della chiesa
sul finire del 1800 e recentemente correttamente interpretata dal dott. Sannazzaro, ci conferma che qui
venne sepolto il comandante in capo del re goto Odoacre, sconfitto e ucciso in battaglia dall’ostrogoto
Teodorico nel 489 nei pressi dell'Adda, come ricordano le fonti del tempo.
Forse non si è lontani dal vero nell'ipotizzare che il ponte di Olginate sia stato danneggiato o distrutto nella
battaglia in cui trovò la morte questo Pierius.
19 - OLGINATE
Una leggenda vuole che Olginate sia stata fondata da un capitano goto di nome Olgina. Questo tradizionale
racconto può avere un fondo di verità. Visto l'importanza del ponte e della strada non è inverosimile che un
presidio goto abbia davvero sorvegliato e difeso, fino alla sua distruzione, uno dei principali punti di
attraversamento dell'Adda.
Negli anni ‘40 e ‘50 del secolo scorso vennero trovate lungo la via Marconi, che inizia nei pressi del ponte e
sale verso la collina, delle tombe, purtroppo andate distrutte prima di studiarle, con delle monete
dell’imperatore Commodo (180-192 d.c.): è possibile che questa direttrice sia quella della antica via romana
che dal ponte saliva ad incrociare quella proveniente da Milano.
Il rinvenimento nel 2004, lungo via Santa Agnese, di tre tombe presumibilmente risalenti al III-IV secolo,
epoca questa anche dei ritrovamenti tombali in Figina di Garlate e sotto il pavimento della chiesa
parrocchiale di Santo Stefano, testimonia di un territorio attorno al ponte che era popolato ed attivo, con
centri abitati posti sui margini di strade con una certa importanza strategica e commerciale.
Nel marzo del 1905, “scavando le fondamenta per una casa sita sui fondi di proprietà dei figli della ved.
Sirtori Giuseppina, verso Garlate, denominati già di Casa Vitali o anche alla Bastia, (dove ora c’è il bar S.
Carlo), alla profondità di centimetri 60 circa, da un manovale si rinvennero circa 70 monete d'oro, cioè
zecchini coniati circa 4 secoli sono, in diverse città d'Italia, come Genova, Venezia, Roma, parecchi sono
coll’effigie di Papa Leone X (1513-1521) e di Alessandro VI (1492-1503). Furono esaminate da un
numismatico, sig. Grassi, e furono calcolate circa L. 12,50 l'una. La proprietaria si comportò come richiede
il codice.” (Liber cronicus di Olginate; Rivista archeologica Comense)
“… flam(en) divi Titi item flam(en)
divi Nervae pontif(ex) aug(ustalis)
quatuorvir i(ure) d(icundo) Comi bis
quatuorvir i(ure) d(icundo) Mediol(ani)
iudex ex selectis
adlect(us) quinquennal(is)
Mediolani“
CAPIATE di Olginate
… flamine del divo Tito, quindi flamine del
divo Nerva, pontefice augustale,
quattuorviro i. d. di Como per due volte,
quattuorviro i. d. di Milano,
giudice scelto,
per chiamata magistrato quinquennalicio
di Milano
COMPLESSO ALTOMEDIEVALE FORTIFICATO
LAPIDE MUTILA DEL I SECOLO
REIMPIEGATA COME SOTTOFINESTRA
20
20 – CAPIATE DI OLGINATE
A Capiate di Olginate si trova una lapide onoraria di un importante personaggio del I secolo. L’abitato si
trova quasi di fronte alla località del Lavello dove certamente esisteva un guado alternativo al ponte di
Olginate.
Capiate divenne poi un importante complesso fortificato altomedievale e curtes del monastero di S.
Ambrogio di Milano.
Attualmente gli scavi stanno riportando alla luce tombe e le varie successioni dello sviluppo del sito.
Sulla prima parte degli scavi è già disponibile una pubblicazione molto approfondita.
SANTUARIO E MONASTERO
DI SANTA MARIA
COSTRUITO SUI RESTI DI UNA CAPPELLA
E DI UN PROBABILE INSEDIAMENTO
FORTIFICATO ALTOMEDIOEVALE
LAVELLO di Calolziocorte
L’ALTARE DELLA
CHIESA
ALTOMEDIEVALE
DEL LAVELLO
CON TRACCE DI
DECORAZIONE
21
21 - LAVELLO DI CALOLZIO
Il santuario del Lavello, in età altomedievale era sede di una castello con curtes annessa. È possibile che
dopo la distruzione del ponte, o anche prima, si attraversasse l’Adda in questo punto approfittando dal fatto
che il fiume si divideva in diversi canali permettendone il facile guado. Esisteva una strada che, staccandosi
dalla strada principale, scendeva da Lorentino, guadava il fiume, e quindi passando per Capiate e Caromano
(toponimo derivante da , “Castrum Romanum“, accampamento/insediamento militare romano) risaliva poi a
monte per congiungersi, all’altezza di Valgreghentino, con la strada principale per Milano.
LA DISTRUZIONE DEL PONTE
Gli storici concordano nel collocare la distruzione del ponte nello spazio di tempo tra il V e VII secolo. Il
Degrassi espresse il parere che “la distruzione del ponte avvenne certamente in seguito a qualche invasionebarbarica. Se essa debba risalire ad Attila o piuttosto a qualcuna delle lotte coi Longobardi alla fine delsesto secolo, che si svolsero proprio in questa zona, è ancora da stabilire; ma io propenderei per
quest'ultima ipotesi”.Se non fu qualche catastrofico evento naturale a causarne il crollo, (vedi la distruzione delle fornaci di
Figina di Garlate dovuta ad una alluvione), il ponte venne diroccato nel periodo delle invasioni barbariche
come estremo tentativo di impedire o, almeno, ostacolare l'attraversamento dell'Adda.
È certo che a partire dalla seconda metà del V secolo il territorio lecchese fu interessato da diversi conflitti e
tutti possono essere state la causa della demolizione del ponte.
Forse avvenne durante la calata degli Unni di Attila nel 452 oppure quando, verso il 489-490, nella nostra
zona avvennero battaglie di una certa importanza tra i Goti di Odoacre e gli Ostrogoti di Teodorico mandati
dall'imperatore di Bisanzio a contendergli l'Italia. (Lapide di Pierius a Garlate)
Diversamente la distruzione del ponte può essere avvenuta durante la conquista Longobarda che vide
impegnati i Bizantini e i loro alleati Franchi contro i re longobardi Autari e Agilulfo, contesa terminata nel
589 con la conquista dell'Isola Comacina ad opera del duca di Bergamo, Gaidoaldo.
È certo, comunque, che il ponte non fu più ricostruito probabilmente perché, con lo sfascio dell'imperoromano, vennero a cadere tutte le motivazioni per una sua ricostruzione che si presentava molto onerosa.
La strada, invece, continuò ad essere una direttrice di vitale importanza per i traffici del territorio: basti
pensare alla pieve ecclesiastica di Garlate (poi di Olginate) che aveva mantenuto lo sviluppo lungo questa
direttrice, incorporando paesi di qua e di là dell'Adda, nonostante fosse venuto a mancare questo facile
collegamento tra le due sponde.
INIZIO XX SECOLO
IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE”
IMBARCO SULLA SPONDA BERGAMASCA22
Archivio Luciano Crippa
INIZIO XX SECOLO
IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE”
DURANTE LA NAVIGAZIONE VISTO DALLA SPONDA BERGAMASCA23
Archivio Luciano Crippa
22 - INIZIO XX SECOLO: IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE”-IMBARCO SULLA
SPONDA BERGAMASCA
23 - INIZIO XX SECOLO: IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE” DURANTE LA
NAVIGAZIONE VISTO DALLA SPONDA BERGAMASCA
È probabile che, mancando il ponte, per attraversare l'Adda ci si servisse di un ponte di barche odi barche.
In seguito, le barche furono sostituite da un traghetto o “porto natante”, probabilmente in un primo tempo
gestito dagli abitanti di Cremellina ed in seguito, a partire dalla seconda metà del 1300 dagli Olginatesi e
che funzionò tra le due sponde fino al 1911, quando venne inaugurato l’attuale ponte stradale, e durante il
periodo in cui il ponte non fu più transitabile e fu rifatto nella struttura attuale. Scomparve definitivamente
nel 1926.
1588: VEDUTA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE:
SONO EVIDENZIATI (in rosso) I RESTI DELLE PILE DEL PONTE ROMANO
SULLA SPONDA BERGAMASCA24
24 - 1588: VEDUTA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE: SONO EVIDENZIATI (in rosso) I
RESTI DELLE PILE DEL PONTE ROMANO SULLA SPONDA BERGAMASCA
Nel 1587-88 si realizzò uno dei primi tentativi, sino ad ora conosciuti, di allargare la strettoia in cui era
costretto l'Adda davanti ad Olginate per permettere un maggior deflusso delle acque ed evitare i periodici
allagamenti della città di Como.
I lavori vennero però bloccati dal confinante Stato Veneto che considerava questi scavi sulla sponda
bergamasca lesivi al proprio territorio dato che il ghiaieto da togliere non era invaso dalle acque se non
durante le esondazioni e quindi era considerato territorio veneto poiché il trattato di pace tra i due Stati
diceva che il confine milanese comprendeva sì tutto il fiume Adda fino alla riva bergamasca ma solo dove
questa arrivava in tempi normali.
L'ingegnere bergamasco Giovanni Battista Bonanomi presentò ai Rettori di Bergamo il disegno, che qui
vediamo, che raffigura il luogo oggetto della contesa e che mostra anche i ruderi di cinque piloni del ponte
romano, tutti affossati nella ghiaia che si voleva togliere.
2 MAGGIO 1674
GRIDA EMANATA DALLO STATO
DI MILANO CHE IMPONE ALLE
COMUNITÀ SITUATE NEL
TRATTO DI FIUME TRA LECCO E
BRIVIO DI TOGLIERE TUTTE LE
ATTREZZATURE PER LA PESCA
CHE SI TROVANO NELL’ADDA
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25 - 2 MAGGIO 1674: GRIDA EMANATA DALLO STATO DI MILANO CHE IMPONE ALLE
COMUNITÀ SITUATE NEL TRATTO DI FIUME TRA LECCO E BRIVIO DI TOGLIERE TUTTE
LE ATTREZZATURE PER LA PESCA CHE SI TROVANO NELL’ADDA
Numerose furono le gride e gli editti emanati lungo i secoli dai governanti dello Stato di Milano per far
togliere dall’Adda tutto ciò che impediva il deflusso delle acque (a partire da gueglie, bartavellere, ecc.)
senza però arrivare ad alcun risultato tangibile: troppi e importanti erano gli interessi economici in gioco.
1684
MAPPA DELL’ADDA TRA
LECCO E OLGINATE CON
LE ATTREZZATURE PER
LA PESCA CHE
OSTACOLAVANO LA
NAVIGAZIONE E IL
DEFLUSSO DELLE ACQUE
26
26 – 1684: MAPPA DELL’ADDA TRA LECCO E OLGINATE CON LE ATTREZZATURE PER LA
PESCA CHE OSTACOLAVANO LA NAVIGAZIONE E IL DEFLUSSO DELLE ACQUE
La cartina mostra quanto numerosi fossero gli ostacoli, naturali e artificiali, che impedivano il deflusso delle
acque nonché la navigazione sul fiume.
Nella primavera del 1684 una piena eccezionale interessò pesantemente Como, e quindi il Regio Magistrato
Camerale emise la solita grida che imponeva lo smantellamento di tutti gli impedimenti che ostacolavano il
deflusso delle acque dal lago di Como, da Lecco a Brivio.
Venne anche inviato l'ingegnere collegiato milanese Repossi a visitare l'area interessata, per individuare con
esattezza le ostruzioni che impedivano il deflusso alle acque e calcolare l'ammontare della spesa occorrente
alla loro rimozione.
La sua relazione, per ora l’unica che descrive l’aspetto e la composizione dei ruderi del ponte, inviata al
Magistrato nel luglio 1684, mette in evidenza la particolare e grave situazione venutasi a creare per il
continuo restringimento del letto dell'Adda di fronte ad Olginate, ridottosi ormai alla larghezza di soli 31
metri circa e che, durante l'inverno e nei tempi di magra, si riduceva a non più di 15-20 metri: questo canale
era caratterizzato da una forte corrente tanto da essere chiamato in documenti dell’epoca “torrente”.
L'ingegnere sottolineava come, oltre a togliere gli ammassi di ghiaia formatasi sulle due rive e i pochi pali
rimasti in loco della grande gueglia di proprietà dell’istituto di Santa Corona di Milano già distrutta,
bisognava assolutamente demolire fino alle fondamenta i resti delle 4 pile dell'antico ponte “di cotto”
(intendendo le arcate), che andavano dal centro del fiume verso la riva bergamasca, specialmente quella che
ancora era alta diversi metri sull’acqua.
La pila più grande era formata da un quadrato in pietra di circa 6 metri di lato con ancora due speroni
frangiflutti in cotto a monte e a valle lunghi circa 5 metri e si elevava dall'acqua per circa 6-7 metri.
Le altre tre pile ancora visibili erano molto più diroccate e ridotte sia in altezza che in lunghezza ed erano
semisepolte dalla ghiaia che si era accumulata attorno in modo che erano ormai toccate dalle acque solo nel
tempo di maggior portata del fiume, mentre invece era ormai del tutto sepolta dalla ghiaia la testata che era
ancora visibile nel disegno del 1588.
I ruderi oltre a ostacolare lo scorrere delle acque costituivano un pericolo per la navigazione perché, dice il
relatore: "trattengono il corso libero dell’aque, quanto ancora per la navigatione per esservi così veloce che
solo circa un mese e mezzo fa andò a male una barca di mercantie con periculo della vita a naviganti; et
questo per esser un sito tanto ristretto lo quale nel tempo dell’invernata mentre si trova l’aqua in bassezze
sarà facile l’operatione di levargli, che dico il mio parere stimo che producano tanto mal effetto tanto per la
navigatione quanto per il scarico delle aque sudette come le gueglie”.
Ma ancora una volta questa operazione di sgombero non fu portata a termine perché non si giunse ad un
accordo con il Governo veneto.
Una causa della mancata intesa furono le proteste e le minacce avanzate dagli abitanti di Vercurago e
Calolzio.
Questi, facendosi forti del fatto che le pile erano ormai quasi sommerse dalla ghiaia, li consideravano parte
integrante del loro territorio e vi avevano ammonticchiato intorno dei grandi cumuli di sassi che servivano a
sostenere i bertovelli ed altre attrezzature per la pesca che esercitavano in spregio agli accordi stipulati con
la pace di Lodi del 1454.
Si poté quindi lavorare solo sulla sponda milanese: nel marzo del 1686 venne asportato l'esteso ghiaieto
formato dai detriti trasportati a valle dal torrente San Rocco (ora Aspide) dove sfociava nell’Adda.
Questo sbancamento venne portato a termine solo dopo aver superato le resistenze di molti abitanti di
Olginate che non volevano che si profanasse il luogo (in antico adibito a Lazzaretto) dove erano sepolte le
vittime delle periodiche pestilenze perché temevano l'ira dei morti, come riferisce puntualmente il Repossi:
"vien detto che la Ponta del gierato verso Olginate, che vene formato dal sudetto torrente, dove al presente
vi è una Croce, adimandato il Lazaretto, tutte le volte che si son messi in operatione per levare parte di
detto gerato vengono temporali che portano tempesta con gran rumore, massime che vi si trovano quantità
d’ossa di morti". La ghiaia scavata venne depositata (come già detto) nei terreni attorno alla pseudo arcata.
1754
MAPPA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE: IN SPONDA BERGAMASCA
SONO EVIDENZIATI I RESTI DI QUATTRO PILONI DEL PONTE (“L”)
27
27 – 1754 - MAPPA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE: IN SPONDA BERGAMASCA SONO
EVIDENZIATI I RESTI DI QUATTRO PILONI DEL PONTE (“L”)
Dopo i lavori effettuati nel 1686, per circa settant'anni, complice le guerre ed i molti interessi inconciliabili
che si contrapponevano fra i due Stati, non si procedette ad altri lavori che consentissero di ampliare il letto
dell'Adda davanti ad Olginate, malgrado le ricorrenti suppliche della città di Como ai Magistrati Camerali
perché si sgombrasse definitivamente, oltre ai mozziconi dei piloni, tutti gli ostacoli presenti in quel tratto di
fiume: ghiaie, gueglie e legnari che ostacolavano il deflusso delle acque e causavano frequenti esondazioni
del lago.
Queste istanze furono fatte proprie anche dai "paroni" delle barche che trasportavano le merci sul fiume
perché trovavano enormi difficoltà a superare questa strettoia nella quale frequenti erano i naufragi con
perdite non solo dei “burchielli” ma anche di vite umane.
Solo in seguito ad una nuova e gravissima esondazione, avvenuta nel settembre-ottobre del 1747, che portò
le acque del Lario fin dentro la cattedrale di Como, si ripresero le opere di allargamento e abbassamento
dell’alveo del fiume nel tratto tra Lecco e il lago di Brivio.
Il progetto prevedeva anche l'abbattimento dei piloni superstiti del ponte romano davanti ad Olginate.
Ma come settant'anni prima, le questioni territoriali tra i due Stati confinanti fecero fallire ogni aspettativa di
soluzione definitiva del problema.
1749 circa
LA COMUNITÀ DI OLGINATE CHIEDE IL PERMESSO DI COSTRUIRE UN
ARGINE A DIFESA DELLE PROPRIE CASE DALLE ACQUE DELL’ ADDA
Si parla di due “robustissimi
pilloni”, rimasti nell’alveo del fiume,
da distruggere.
28
28 - 1749 circa: LA COMUNITÀ DI OLGINATE CHIEDE IL PERMESSO DI COSTRUIRE UN
ARGINE A DIFESA DELLE PROPRIE CASE DALLE ACQUE DELL’ ADDA
Nel giugno del 1749, gli operai olginatesi, che a bordo di barche stavano iniziando la demolizione del
pilone centrale, vennero fatti precipitosamente tornare indietro dal sig. Giò Battista Testori che, dalla
veranda del suo palazzo, aveva visto avvicinarsi alla riva bergamasca molti uomini armati intenzionati ad
opporsi a questo smantellamento. Informato dell'accaduto, il Senato milanese ordinò al comandante del forte
di Lecco di inviare soldati a proteggere i demolitori, ma non sembra che il loro arrivo raggiunse lo scopo
prefissato: un anno dopo tutto era rimasto come prima, sia perché per mesi l'acqua alta aveva impedito i
lavori, sia perché il numero dei soldati si era rivelato inadeguato per prestare aiuto e scorta agli operai
demolitori che si trovarono a lavorare sotto un'opprimente minaccia di morte poichè i bergamaschi erano
pronti “a tirare anche alle ombre”.
In alternativa gli Olginatesi chiesero allora il permesso di costruire un argine davanti ad Olginate perché
ormai il fiume aveva già ingoiato diverse case e si paventava la distruzione di altre.
1750 circa
VEDUTA DEL TRATTO DI FIUME ADDA DAVANTI AD OLGINATE
CON I RESTI DELLE PILE (“H”) DEL PONTE ROMANO29
29- 1750 circa: VEDUTA DEL TRATTO DI FIUME ADDA DAVANTI AD OLGINATE CON I RESTI
DELLE PILE (“H”) DEL PONTE ROMANO
Solo nel 1754, dopo che a Vareso di Vaprio i due commissari delegati ai confini, (Ten. Col. Andrea Ercoleo
da parte Veneta e Carlo Giuseppe Merlo, ingegnere collegiato, per la parte Milanese), si furono accordati,
una buona volta, per sgombrare l'Adda da ogni impedimento, fu possibile portare a compimento la
demolizione dei piloni e la rimozione della ghiaia in sponda bergamasca.
Da una relazione di Francesco Antonio Buzzi, inviata nel settembre 1755 al Magistrato Camerale,
riguardante proprio i lavori effettuati tra Lecco e Olginate per rendere sicuro e navigabile l’Adda, veniamo a
sapere che tra l'altro "si sono smantellati sin al pelo delle acque i tre residui piloni di muro dell’antico ponte
di Olginate restandovi ancora de farsi altro abbassamento".
Questo ulteriore abbassamento dei piloni venne però effettuato dopo decenni, nel 1838-40, quando in quel
punto il letto del fiume fu abbassato per circa un metro in modo da renderne più dolce la pendenza per
facilitarne la navigazione.
Così i resti della testata orientale del ponte e della strada di accesso finirono sepolti sotto diversi metri di
ghiaia e detriti tolti dal fiume per allargarne il letto.
Questi resti sarebbero ritornati alla luce un secolo dopo durante la costruzione della diga.
1750 – Veduta di Olginate
Legenda:
A – Lago di Moggio (o di Garlate )
B – Fiume Aspido
C – Palazzina del Sig. Dott. Testore
D – Casa del suddetto
E – Casa del Sig. Don Giusepe Calco
F – Ostaria e Porto
G – Campanille e case di Olginate
H – Adda
I – Lago di Olginate
L – Primo Pillone del Ponte altre volte di Olginate che
resta, che resta inpozzato nonostante l’acqua bassa; non li altri duo Pilloni
M – Luogo o sia vigna del Cattaneo Bergamasco
N – Baltravelera de Sassi fatte e pescate da
Bergamaschi
O – Rippa Bergamascha
P – Casello Bergamasco per la Sanità
Q – Pascolo Bergamasco
R – Siepe che circonda il luogo del Cattaneo munita di piante vive
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31 - 1750 – VEDUTA DI OLGINATE - Acquarello - vista dalla riva bergamasca.
Di queste vedute ne esistono almeno tre versioni e ci danno una illustrazione abbastanza fedele di come
erano le case che si affacciava sull’Adda perché fatte non da pittori ma da ingegneri collegiati di Milano. Si
doveva spiegare al Senato milanese come erano i luoghi oggetto di un’annosa lite tra i Testori de Capitani e
i proprietari della pesca sul lago di Olginate, il consorzio Orrigoni–Dugnani, in merito alla costruzione da
parte dal Testori, di palizzate e ripari per difendere la sua casa dalla corrente del fiume ma che interferivano,
secondo il Consorzio, con l’esercizio della pesca.
32 - 1750 – ing. Bartolomeo Bolla
Il disegno rappresenta la zona che va dalla Gueglia a via Barozzi.
Oltre al pilone si può notare gli edifici della “casa da nobile” dei Testori, oggi detti “Brizzolari”. Questo
complesso venne restaurato ed abbellito nella prima metà del 1700.
33 -2018: LE CASE BRIZZOLARI COME SONO OGGI (da Google)
Se si confronta questa immagine dall’alto, ripresa da GOOGLE, con il disegno precedente, si può notare
come la pianta di questi due edifici non sia stata modificata: gli antichi edifici sono solo stati rialzati di un
piano negli anni ‘50 del secolo scorso.
Fine 1800: PIANTINA PREPARATORIA PER IL NUOVO PONTE SULL’ADDA
CON RILIEVO DIMENSIONALE DELL’ARCATA34
34 - Fine 1800: PIANTINA PREPARATORIA PER IL NUOVO PONTE SULL’ADDA CON
RILIEVO DIMENSIONALE DELL’ARCATA
Si può notare come era la zona ed il giardino accanto all’arcata del ponte.
In penna si nota dove doveva passare il nuovo ponte sull’Adda, alternativo al tracciato, non approvato, che
lo faceva transitare in Piazza Santa Margherita, con relativa distruzione delle case.
FINE OTTOCENTO
VEDUTA DI OLGINATE
PARTICOLARE DEL
PICCOLO FILATOIO COSTRUITO SOPRA LA
PSEUDO ARCATA DEL PONTE ROMANO
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Archivio Luciano Crippa
36 - FINE OTTOCENTO: VEDUTA DI OLGINATE
La pseudo arcata, chiamata per secoli “bastia”, di cui abbiamo parlato all’inizio, fu costruita probabilmente
a difesa del passaggio dell'Adda nei burrascosi secoli seguenti la distruzione del ponte, così come dovevano
esserci altre fortificazioni sul lato opposto, in prossimità dell'abitato scomparso di Cremellina.
Di questo periodo rimane il toponimo "alla bastia" usato fino alla metà dello scorso secolo dai notai per
indicare i terreni circostanti il manufatto (si tratta della zona compresa tra le scuole Medie, il vecchio
municipio e il torrente Aspide scendendo fino alla riva del lago).
In seguito, venuta meno questa sua funzione difensiva, ospitò un mulino da grano a due ruote.
Nel febbraio del 1499 messer Simone Lamaldura fu sig. Maffeo abitante in Olginate, che agisce anche a
nome di Giovanpietro Lamaldura suo nipote e figlio del fu Galarano Lamaldura, dà in affitto per 2 anni a
Biagio da Dozio e ai suoi due figli un mulino a due ruote con tutti i suoi accessori situato nel lago di
Olginate nel luogo detto “ad Bastiam”, che confina da tutte le parti con il detto lago. L’affitto, della durata di
due anni, sarà di 10 moggia di biada all’anno, suddivisa in due parti di mistura e il rimanente di frumento,
oltre a un cappone.
Andato in disuso il mulino, nei primi decenni del 1500, per le guerre (specialmente quelle che videro
protagonista GianGiacomo Medici detto il Medeghino che portarono al saccheggio di Olginate, vedi
tesoretto ritrovato in zona nel 1905), la sommità dell’arcata venne coltivata ad orto e giradino finché, nel
1677, il manufatto, con l’annesso terreno, venne venduto dai d’Adda ai Testori De Capitani i quali nella
prima metà del 1700, quando rinnovarono la loro casa signorile, usarono l’arcata come sostegno a una
palazzina a ornamento del parco del loro nuovo palazzo. L’ultimo dei Testori, Giuseppe Carlo Ferdinando,
verso la metà del 1800, ricavò nella palazzina un piccolo filatoio da seta che rimase in funzione per decenni.
Morto senza eredi nel 1867 il Testori, il parco con la villetta, la torre, e la pseudo arcata passarono a un certo
Pirola, il quale lo vendette all'inizio del 1900 ai Mondini-Lavelli, i quali fecero demolire tutte le
sovrastrutture dell’arcata riportandola alle fattezze altomedioevali.
Fonti:
Archivio Parrocchiale della Chiesa di Santa Agnese in Olginate
Archivio Comunale di Olginate
Archivio della Parrocchia di Calolzio
Archivio Spirituale della Curia di Milano
Archivio di Stato di Milano
Foto d’archivio:Gianluigi Riva
Danila ColomboGianni Peverelli
R.A.C. 1946
Cartoline:Archivio Luciano Crippa
Cartine e disegni: Danila Colombo
Olginate, 18/5/2018