IL PONTE ROMANO TRA OLGINATE E CALOLZIOCORTE // The roman bridge between Olginate and...

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Premessa

Le date di costruzione e di distruzione dell’antico ponte che scavalcava l’Adda tra Olginate e Calolziocorte

è da sempre controversa: non tutti gli storici sono d’accordo su di esse e la discussione è ancora aperta, così

come sul percorso delle strade che in epoca romana passavano per questo nostro territorio percorso dal

fiume Adda.

La ricostruzione delle origini di questo ponte, che qui presentiamo, è basata su ipotesi che sono state

formulate tra la seconda metà del 1800 e la prima metà del 1900 mancando notizie e soprattutto documenti

che ne parlino in epoca altomedievale.

Dalla seconda metà del 1500 fino ai giorni, invece, vi sono documenti che trattano delle vestigia del ponte

ancora visibili e quanto è stato scritto ci aiuta molto a ricostruirne l’aspetto e il periodo della sua

costruzione.

E’ certamente incomprensibile il motivo per cui i ruderi di un ponte di epoca romana, forse gli unici esistenti

sull’Adda, siano stati poco studiati dagli storici.

Eppure fin verso il 1840, quando si effettuarono i lavori di rettifica di quel tratto del corso del fiume che

comportarono l’abbassamento del letto per più di un metro, ancora si potevano vedere i resti di alcuni piloni

affiorare dalle acque.

Si giunse perfino a negarne l’esistenza, come fece uno storico nella prima metà del secolo scorso, con una

serie di articoli sul “Resegone”, che lo collocava invece a Lecco, oppure come il rev. Giovanni Dozio,

dottore dell’Ambrosiana, che parlando dei ponti sull’Adda scriveva, alla metà dell’’800, come “… sia più

verosimile che il ponte di pietra, che metteva in comunicazione i villaggi della Val San Martino, compresi

nella pieve di Garlate, col proprio centro plebano, fosse a Lavello piuttosto che ad Olginate”.

LA PSEUDO ARCATA SULLA SPONDA OLGINATESE2

2 – LA PSEUDO ARCATA SULLA SPONDA OLGINATESE

Solo nel 1825 Carlo Redaelli, primo fra gli storici locali, ci da una sbrigativa descrizione dei resti di questo

ponte soffermandosi però sull’arcata esistente nell’allora giardino Testori, trascurando di confrontarla con i

resti dei piloni nel fiume che pur ancora si vedevano nel fiume: “... Un arco intero si conserva ancora unito

alla casa del sig. Carlo Testori, che ci fu cortese di opportune notizie; vi sono gli avanzi dei piloni in mezzo

all'Adda, stati in parte distrutti nel 1755, nel pensiero di togliere altra delle cause che producono le

inondazioni a Lecco, a Como ed altrove, e qualche avanzo di pilone fu altresì riconosciuto sulla sponda

sinistra del fiume, d’onde si vede che questo ponte era molto lungo; l'arco che rimane ci mostra che il ponte

era di grande solidità. La larghezza sua (parla dell’arcata - ndr) è di braccia milanesi 8 ed oncie 3 (4,9

metri circa - ndr); la lunghezza è di braccia 24 (13,92 metri - ndr), meno i piloni di figura conica, che sono

di braccia 7 (4 metri circa - ndr) cadauno.”

Così facendo commetteva un grossolano errore perché l’arcata in questione, è ormai assodato, è una

costruzione posteriore, forse una fortificazione alto medioevale, chiamata “bastia”, che è stata innalzata

inglobando, presumibilmente, una arcata del ponte romano. Terreni identificati con questo nome si

estendevano, attorno ad essa, fino alla zona del vecchio edificio comunale.

Nello stesso errore cadde cento anni dopo il dott. Antonio Magni che, nel 1929, studiò la grande arcata,

anch’egli non comparandola però con le murature dei piloni, che pure aveva visto sott’acqua nel mezzo del

fiume: non si accorse quindi della diversità dei materiali e che la superficie delle fondazioni dei piloni del

ponte era molto più piccola di quella dei due piloni che compongono la pseudo arcata. Tutto ciò lo portò a

trarre delle conclusioni affrettate sia sulla autenticità della pseudo arcata sia sull’epoca di costruzione del

ponte che fece risalire agli anni tra il 48 ed il 16 a.C. poiché, a suo parere, “l’esame tecnico dell’arcata

arrivata a noi, dinota la buona epoca dell’alto impero; la grandiosità della massa, le proporzioni perfette

delle singole parti, la finitezza degli spigoli dell’arco lavorati a scalpello, la qualità e bontà della malta lo

dimostrano.”

Circa 20 anni dopo, nel 1943, il dott. Nevio Degrassi, che ebbe modo di studiare i ruderi nel letto dell’Adda

approfittando dei lavori di costruzione della diga di regolazione del lago di Como, giunse a conclusioni più

esaurienti e sagge, giudicando l’arcata in questione non facente parte dell’antico ponte che venne costruito,

secondo il suo parere, tra il III e IV secolo d.C. Questa sua datazione è oggi condivisa da molti storici.

Nella “Carta Archeologica della Provincia di Lecco. Aggiornamento” del 2009, durante l’ispezione

effettuata dagli archeologi in occasione dell’avvio, “da parte della Regione Lombardia, di un progetto di

ripristino della navigabilità dell’Adda tra Garlate e l’incile del Naviglio di Paderno ha reso necessarie

indagini archeologiche subacquee finalizzate a verificare lo stato dei resti del ponte romano”, si osserva che

“l’altezza delle strutture non è più la stessa: sia la testa del ponte che i muri d’ala non superano i 20 cm dal

fondale e le strutture risultano notevolmente erose dalla corrente rispetto alla documentazione del 1946

(1943 – ndr) e in parte trascinate più a valle”. Qui si dimentica che furono ridotte così dalla ditta Bonfanti

nel 1953/54 su incarico Consorzio dell’Adda ed, inoltre, non si parla della loro datazione.

IL TERRITORIO

Lago di Olginate

Lago di GarlateGARLATE

GALBIATE

OLGINATE

CALOLZIOCORTE

LECCO

3

TRATTO DI FIUME FRA LA DIGA ED IL PONTE STRADALE

DOVE ERA SITUATO IL PONTE ROMANO4

Lago di Garlate

3 - IL TERRITORIO

4 - TRATTO DI FIUME FRA LA DIGA ED IL PONTE STRADALE DOVE ERA SITUATO IL

PONTE ROMANO

Il territorio dove si trovava il ponte è situato a cavallo del fiume Adda, laddove due laghetti da esso formati

si allargano in una valle morenica, lungo la quale si svilupparono piccoli insediamenti che in epoca romana

conobbero un incremento anche grazie alle due strade principali che percorrevano le due sponde: una

proveniente da Milano che si congiungeva a Garlate-Olginate con un’altra proveniente da Bergamo per

Como.

Sfruttando un restringimento del fiume Adda, causato da due eventi naturali ben distinti, un'antica frana che

aveva interessato la collina sovrastante Olginate e l’apporto di detriti da parte dei torrenti Aspide, sulla

sponda destra, e Gallavesa su quella sinistra, i Romani costruirono, tra il III e il IV secolo, un ponte che

congiungeva le due opposte sponde.

In quel tempo l’Impero era giunto all’apice della sua espansione ma iniziava a dare segni di difficoltà nel

controllare il suo vastissimo territorio e nel contenere le spinte delle variegate popolazioni barbariche che

premevano lungo i confini.

Proprio sul finire di questo secolo tribù barbare, calate dalla Rezia, (Provincia romana corrispondente

all'attuale Svizzera, Austria e Baviera) erano riuscite a raggiungere e saccheggiare Como: si rese così

necessario presidiare meglio il triangolo lariano per essere in grado di salvaguardare Milano, allora una

delle più importanti città che divenne poi anche sede imperiale.

Questo scopo si poteva raggiungere rendendo più funzionale il sistema viario per spostare rapidamente le

truppe verso le zone via via più minacciate dai barbari.

Si può supporre che, in questa prospettiva, venne realizzato un nuovo veloce tracciato, più breve e quasi

lineare, della strada tra Como e Bergamo oltre a quella che fino ad allora attraversava l’Adda più a sud, a

Brivio. Questa strada a est di Bergamo confluiva nella “Postumia”, la via consolare che collegava, lungo le

propaggini delle Alpi, le principali città del nord con Aquilea, capolinea occidentale della “Via dell’ambra”.

RICOSTRUZIONE DEL TRACCIATO

DELLE STRADE ROMANE NEL NORD ITALIA5

5 - RICOSTRUZIONE DEL TRACCIATO DELLE STRADE ROMANE NEL NORD ITALIA

Molte erano le strade che in epoca romana attraversavano il Nord Italia e la Lombardia. Nel disegno se ne

riportano le principali.

Il dott. Antonio Magni affermava, con grande conoscenza dell’argomento, che i Romani “diedero grandesviluppo alla costruzione di strade attraverso il vasto impero, ed ogni loro conquista era tosto seguita dallo

sviluppo del sistema stradale, indispensabile per la sicurezza e la durata delle nuove occupazioni, perl’esercizio dell’autorità imperiale, per lo sviluppo dei commerci, ed anche per le relazioni giornaliere fra ivari pagi.

E così abbiamo vie militari o regie, consolari, pretorie, vicinali, agrarie, naturalmente da varia larghezza esolidità a norma della loro destinazione. La vie militari, assegnate specialmente alle soldatesche e lorotraini, erano possibilmente rettilinee per renderle più brevi, non badandosi a pendii, a trincee ed a gallerie

da scavare ed a ponti da erigere, ed erano larghe da metri 3,50 a 5,00.”

TABULA PEUTINGERIANA (in rosso il percorso Bergamo-Como)6

Olginate

6 - TABULA PEUTINGERIANA (in rosso il percorso Bergamo-Como)

Questa strada militare romana di arroccamento (nella tecnica militare era una via di comunicazione che

corre parallelamente a un fronte strategico, in senso trasversale rispetto alle direttrici di marcia o di attacco

di un esercito), che collegava Como a Bergamo, proveniendo da est, è raffigurata, con molta

approssimazione ed errori, nella “Tabula Peutingeriana”, copia medievale (molto confusa e non sempre

corretta), di un itinerario stradale risalente al periodo imperiale romano, ricordata anche nell'Anonimo

Ravennate.

Pur essendo una strada militare era ovviamente usata anche dal traffico locale e dai mercanti che

provenivano dal Mediterraneo e dal grande emporio di Aquilea e che dovevano raggiungere i paesi del nord

dell'impero con olio, sale, pesce secco e salato ma anche le spezie, le sete, i tessuti, i gioielli e i vetri. In

direzione contraria, dai paesi transalpini, arrivavano metalli, pelli, cuoio e legname.

Da Bergamo, passando per Almenno S. Salvatore, dove attraversava il Brembo su di un ponte in muratura di

otto arcate, alto circa 25 metri, chiamato impropriamente “il ponte della regina”, che venne utilizzato fino al

1492-93 quando fu distrutto da un eccezionale piena del Brembo (gli ultimi resti furono demoliti alla fine

del 1800) arrivava nella Val S. Martino da Caprino, passava per Lorentino e Rossino poi, scendendo al

ponte di Olginate, arrivava a Garlate dove, risalendo la collina, raggiungeva la sella di Galbiate per scendere

a Sala al Barro. Da qui la strada raggiungeva Civate per poi portarsi a Como.

Da Como risaliva il lago verso i passi alpini e del Septimer, che nei primi secoli dopo Cristo era il più

frequentato, oppure dello Julier, dello Spluga, del Maloia o si portava verso i passi del San Bernardino e del

Lucomagno per poi immettersi nelle regioni dell'alto Reno e dell'alto Danubio.

IPOTESI FORMULATE DA VARI STORICI SUL TRACCIATO

DELLA STRADA ROMANA BERGAMO-COMO

SUL TERRITORIO PEDEMONTANO7

7 - IPOTESI FORMULATE DA VARI STORICI SUL TRACCIATO DELLA STRADA ROMANA

BERGAMO-COMO SUL TERRITORIO PEDEMONTANO

Tra il 1800 ed il 1900 molte furono le ipotesi avanzate dagli storici sull’effettivo percorso seguito della

strada Bergamo-Como nel territorio lecchese: può essere che tutte questi vie coesistessero in epoche e tempi

diversi.

Il tracciato formulato dal dott. Degrassi sembra a noi quello più probabile, senza però negare la possibilità di

altri percorsi alternativi o secondari, come quello che passava da Brivio ipotizzato dal rev. Giovanni Dozio.

Ipotesi Nevio Degrassi: Bergamo – Almenno – Barzana – Pontida – Calolzio - Olginate (attraversamento

dell’Adda) – Galbiate – Sala – Civate – Lipomo - Como

Ipotesi Giovanni Dozio: Bergamo – Pontida - Brivio (attraversamento dell’Adda) – Bulciago – Lipomo –

Como

Ipotesi Angelo Mazzi: Bergamo – Almenno – Barzana – Palazzago - Olginate (attraversamento dell’Adda)

– Galbiate – Oggiono – Molteno – Lipomo - Como

LE DUE STRADE ROMANE CHE CONVERGEVANO AL PONTE

TRA GARLATE ED OLGINATE

Posizione del ponte

LECCO

8

Calolziocorte

Lago di Olginate

Lago di Garlate

Galbiate

Olginate

Posizione del ponte

Fiume Adda

Garlate

per MILANO

LE DUE STRADE ROMANE VISTE DALLA SPONDA DI CALOLZIO

Fiume Adda

9

8 - LE DUE STRADE ROMANE CHE CONVERGEVANO AL PONTE TRA GARLATE ED

OLGINATE

9 - LE DUE STRADE ROMANE VISTE DALLA SPONDA DI CALOLZIO

Nell'area attorno a Olginate-Garlate-Galbiate, la Bergamo-Como incrociava altre due strade: la prima,

ipotizzata dal Passerini e poi nel 1978 da Ambrogio Palestra, era il prolungamento della via Milano - Monza

che raggiungeva il ponte di Olginate toccando Arcore, Bernate, Velate, Olgiate, Valgreghentino, dove ancora

esiste la località Miglianico (che richiama il cippo che era eretto ad ogni miglio a segnare il percorso) e

quindi Olginate – Garlate dove si univa con la Bergamo-Como che arrivava dalla Val San Martino; l'altra,

ricostruita da Mirabella Roberti, si staccava dalla Milano-Como all'altezza di Carate e, passando per Agliate,

Renate, Cassago, Bulciago, Garbagnate Monastero, Molteno e Oggiono, si univa all’altezza di Galbiate alla

Bergamo-Como. Quest’ultima è la strada che in seguito sarà chiamata la “carraia del ferro” che univa la

Valsassina e Lecco alla Brianza.

Il ponte sull’Adda di Olginate costituiva quindi un importante snodo viario per i traffici del tempo.

1943 CIRCA

LA DIGA DI REGOLAZIONE DEL LAGO DI COMO IN COSTRUZIONE

(SPONDA BERGAMASCA)10

LA RISCOPERTA DEL PONTE

10 - 1943 CIRCA: LA DIGA DI REGOLAZIONE DEL LAGO DI COMO IN COSTRUZIONE

(SPONDA BERGAMASCA)

Alla fine del 1939 iniziarono i lavori preliminari per la costruzione della diga di regolazione delle acque del

lago di Como da parte del neo costituito “Consorzio dell’Adda”, che raggruppava i diversi antichi Enti che

gestivano l’irrigazione della pianura padana.

Il primo progetto fu dell’ing. Fantoli ed i lavori di costruzione del primo lotto furono dati in appalto

all’impresa Torno.

In seguito, per motivi tecnici ed anche per la guerra in corso, il progetto fu ridimensionato e se ne adottò un

altro redatto dall’ing. Moroni che prevedeva l’allargamento del fiume in sponda sinistra da m. 83 a m. 146

(+ 63 metri), il prolungamento del ponte stradale, la costruzione di una conca di 30 tonnellate invece del

previsto canale navigabile esteso fino al Lavello con conca di 600 tonnellate.

Il 4 gennaio 1940 il prevosto di Olginate, don Giuseppe Novati, delegato dal cardinale Schuster, benedisse

la prima pietra della diga. Lo sbarramento venne terminato e collaudato il 14 settembre 1944.

VISTI DALLA

SPONDA

CALOLZIESE

VISTI DALLA

SPONDA

OLGINATESE

1945

I RESTI DELLE

FONDAMENTA DEL

PONTE

11

11 – 1945: I RESTI DELLE FONDAMENTA DEL PONTE

Nel 1943, nell’asportare la ghiaia per allargare il fiume in sponda sinistra, vennero alla luce, a circa due

metri di profondità, i resti della testata e di cinque piloni di un antico ponte che erano stati interamente

sepolti dalla ghiaia durante i lavori di sistemazione del fiume effettuati nella seconda metà del 1700 e poi

nel 1838/42.

I ruderi, come già detto, furono studiati in maniera accurata dal dott. Nevio Degrassi, il quale espresse il

parere che si trattasse dei resti di un ponte d’epoca romana e che la sua costruzione fosse avvenuta

all’incirca nel terzo/quarto sec. d.C.

A questa deduzione giunse basandosi, più che altro, sul tipo di muratura dei manufatti: "costituita in faccia a

vista da pietrame squadrato irregolarmente collegato da una malta composta di calce bianca con

frammenti di pietra e pochi frammenti laterizi. L'interno è formato da pietrame spaccato e da grossi ciottoli

di fiume annegati in un forte calcestruzzo di calce bianca e di sabbia magra ma grossolana con frammenti

di pietra e laterizio".

RILIEVI DELLE FONDAMENTA DEI

PILONI CHE DIMOSTRANO UN

DIVERSO ALLINEAMENTO DEL

PONTE RISPETTO ALL’ARCATA

SULLA SPONDA DESTRA

In: N. Degrassi, Il ponte romano di Olginate e la strada da

Bergamo a Como, RAC, fasc.127, 1946

Posizione della massicciata “D” della strada

romana che arrivava al greto dell’Adda12

IL COLORE GIALLO

INDICA IL RILIEVO

FATTO DA N.

DEGRASSI

DURANTE LA

COSTRUZIONE

DELLA DIGA

Muro edificatoa difesa della testatadel ponte

Pseudo arcatadel ponte

FIUME ADDA

- - - - IPOTETICA POSIZIONE DELLE

RIMANENTI FONDAMENTA DEI PILONI

CONTORNO DEI RESTI DELLE FONDAMENTA DEI PILONI

ATTUALMENTE VISIBILI IN TEMPI DI MAGRA - GENNAIO 2006

13

12/13 - RILIEVI DELLE FONDAMENTA DEI PILONI CHE DIMOSTRANO UN DIVERSO

ALLINEAMENTO DEL PONTE RISPETTO ALLA GRANDE ARCATA IN SPONDA DESTRA

Nel suo saggio apparso nel 1946 sulla Rivista Archeologica di Como, tra l’altro, il Degrassi scrisse: “I

ruderi sono poco conservati in altezza sì che normalmente sono sotto il pelo dell'acqua ed emergono solo in

periodo di grande magra (…) La testata è formata da due muri disposti a V allargata, a cui si innesta

all'apice un elemento quadrangolare. Dal lato a monte, più esposto alla corrente, il muro è più grosso (m.

1,50) e più lungo (m. 15) della parte a valle (rispettivamente 1,20 e m. 12,60) ed ha ancora un rinforzo

sagomato per il miglior deflusso delle acque, che ha lo scopo, come gli speroni frangiflutti, di tagliare la

corrente secondo piani obliqui. Mentre quindi l'elemento rettangolare della testata è largo in totale m. 6,20,

la parte su cui doveva poggiare la spalla del primo arco - se, come è probabile, il ponte era ad archi e non

in legname - è di soli m. 4. .

Il disegno mostra il fiume Adda con l’attuale ponte stradale e la diga di regolazione delle acque e i resti

delle fondamenta ancora ben visibili fino a pochi anni fa. Così il Degrassi li descrive:

“Sul fondo del fiume poggia, fissato dalla palificata, un basamento lievemente più largo dei piloni stessi,

alla quota di m. 196,15 e dello spessore di m. 0,45. Su di esso poi si innalzava il pilone. La forma dei piloni

è quella normale, di un rettangolo a cui sono aggiunti ai lati minori i due speroni tagliacorrente, detti in

gergo tecnico avambecchi e retrobecchi. (…) I piloni hanno una larghezza variabile da m. 3 a m. 3,90,

mentre la lunghezza, compresi i frangiflutti triangolari, è di circa m. 8,80 di cui metri 2,40 per ciascuno

sperone e m. 4 per l'elemento rettangolare portante. La distanza tra pilone e pilone (luce) varia da m. 4 a m.

4,60. Anche la larghezza del nostro ponte che dalle misure dei piloni e calcolando lo spazio per i parapetti,

doveva essere di circa 4 metri, è normale in un ponte romano, che raramente sorpassava tale larghezza”.

Il Degrassi stimava che la lunghezza del ponte fosse di circa 150 metri con 16-18 piloni precisando però che

“se esso arrivasse al rudero della villa Redaelli e che gli intervalli tra pilone e pilone rimanessero

all'incirca gli stessi …”.

Non è del tutto da escludere che questo ponte fosse ancora più lungo e che la pseudo arcata non inglobi la

testata, sulla sponda destra, ma sia stata costruita sulle fondamenta di due piloni.

In un atto notarile del 1499 il mulino, costruito sulla sua sommità, è descritto come tutto circondato dal

fiume.

Ancora in un disegno del 1588, questa arcata è raffigurata circondata dalle acque dell’Adda.

In effetti il livello del terreno, ora parco della villa era più basso dell’attuale rispetto alla strada (via

Redaelli). Questo dislivello venne in parte colmato a partire dal 1686 quando i proprietari permisero ai

Comaschi di depositarvi la ghiaia tolta alla foce dell’Aspide.

“Primo aprile 1686 in Olginate. Facciamo fede noi sotoscriti Deputato, Console et huomini della Comunità

di Olginate di come il sig. Giò Stefano et fratelli Testori in conformità della richiesta fattagli dal retroscritto

sig. Pompeo Porta di Como, hanno dato licenza alli suoi lavoratori de poter riponer il gerato levato al

fiume Aspido nel sito de medemi sigg. Testori tra le ragioni del loro mulino demolito osia Palazina, et suoi

campi detti li campi alla Gueglia, et ciò serva per atestato della verità, et senza pregiuditio delle ragioni

d’essi sigg. Testori, in fede ci siamo sotto scritti con nostro giuramento de propria mano ed datto licenza

respettivamente.”

In base a queste considerazioni si può supporre che il ponte potesse arrivare a toccare la sponda olginatese

più avanti di quanto supposto fino ad ora.

VISIONE DELLA ZONA CON I RESTI DELLE FONDAMENTA DEL PONTE

GIA

NN

I P

EV

ER

ELLI

14

IPOTESI SUL TIPO DI PONTE

PONTE DI OLGINATE: CON ARCATE IN MURATURA O MATTONI

15

PONTE DI LEMINE/ALMENNO O «DELLA REGINA» (ipotesi ing. Fornoni)

15 - IPOTESI SUL TIPO DI PONTE

Il ponte doveva presentarsi imponente, anche se, scrive ancora il Degrassi, “nulla è rimasto dell'elevato del

ponte di Olginate, e non possiamo quindi determinare con sicurezza la sua forma, ma è molto probabile che

esso appartenesse al solito tipo di ponti in muratura con serie di archi a sesto pieno poggianti su piloni”.

Esiste la possibilità che le arcate fossero in cotto, come gli speroni frangiflutti che erano sicuramente

costruiti con mattoni, come si ricava da una relazione del 1684 dove si dice che la pila centrale, allora

ancora esistente e alta circa 7 metri sul pelo dell’acqua, aveva gli speroni in cotto e tracce di impostazione

dell’arcata pure in cotto.

Come confronto, si riporta la ricostruzione del ponte romano di Lemine, o d’Almenno detto anche “della

regina”, costruito lungo la stessa strada per superare il Brembo (disegno dell’ing. Fornoni nel 1893).

LAGO DI

GARLATE

GALBIATE

GARLATE

OLGINATE

CAPIATE di

Olginate

CALOLZIOCORTE

LORENTINO di

Calolziocorte

MONTE BARRO

LAVELLO di

Calolziocorte

CARTINA DEL TERRITORIO CON I RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI

LAGO DI

OLGINATE

16

GALBIATE

INSEDIAMENTO FORTIFICATO SUL MONTE BARRO

Corona pensile

ritrovata durante gli

scavi

17

17 - MONTE BARRO

In questi ultimi decenni si è fatto strada il concetto, anche grazie a numerosi ritrovamenti archeologici, che

il territorio lecchese a cavallo dell’Adda sia stato interessato di un passato importante che si è sviluppato

sulle direttrici delle strade romane che lo attraversavano e su un preesistente tessuto abitativo sul quale i

Romani avevano innestato la loro presenza.

L'insediamento fortificato di Monte Barro, oggetto di 12 campagne di scavo dal 1986 al 1997 e rivelatosi

come un grande castello del V-VI secolo, con funzione difensiva e di controllo rispetto ai grandi tracciati

viari che passavano ai suoi piedi: la via d'acqua lago di Como-Adda e la via pedemontana Bergamo-Como.

EPIGRAFE DEL COMES DOMESTICORUM PIERIUS (VI sec. ca.)

[B(one)] M(emoriae)

[Hic r]requiescit

[in pa]ce Pierius

[v(ir) il]lustris

[qui vi]xit in secu-

[lo an]os pl(us) m(inus) L

[dep(ositus) s(ub)] d(ie) IIII idus

Acus-

[tas Lon]gino bes Faus-

[to v(iris)] c(larissimis consul(ibus)

Alla buona memoria.

Qui riposa in pace Pierius, uomo

illustre, che visse nel secolo più o

meno 50 anni, fu inumato quattro

giorni prima delle idi di Agosto, sotto

il secondo consolato di Longino e

quello di Fausto, uomini chiarissimi

(10 agosto 490)

GARLATE

SCAVI NELLA CHIESA

PARROCCHIALE DI SANTO

STEFANO IN GARLATE

Resti delle mura della chiesa altomedievale

e sepolture di varie epoche18

18 - GARLATE

A Garlate sono stati portati alla luce epigrafi e resti di una villa romana sotto il pavimento della chiesa di

Santo Stefano. Un’epigrafe funeraria dell’”vir illustris Pierius”, ritrovata nella ristrutturazione della chiesa

sul finire del 1800 e recentemente correttamente interpretata dal dott. Sannazzaro, ci conferma che qui

venne sepolto il comandante in capo del re goto Odoacre, sconfitto e ucciso in battaglia dall’ostrogoto

Teodorico nel 489 nei pressi dell'Adda, come ricordano le fonti del tempo.

Forse non si è lontani dal vero nell'ipotizzare che il ponte di Olginate sia stato danneggiato o distrutto nella

battaglia in cui trovò la morte questo Pierius.

OLGINATE

TOMBE RISALENTI AL

III-IV SECOLO CIRCA

19

19 - OLGINATE

Una leggenda vuole che Olginate sia stata fondata da un capitano goto di nome Olgina. Questo tradizionale

racconto può avere un fondo di verità. Visto l'importanza del ponte e della strada non è inverosimile che un

presidio goto abbia davvero sorvegliato e difeso, fino alla sua distruzione, uno dei principali punti di

attraversamento dell'Adda.

Negli anni ‘40 e ‘50 del secolo scorso vennero trovate lungo la via Marconi, che inizia nei pressi del ponte e

sale verso la collina, delle tombe, purtroppo andate distrutte prima di studiarle, con delle monete

dell’imperatore Commodo (180-192 d.c.): è possibile che questa direttrice sia quella della antica via romana

che dal ponte saliva ad incrociare quella proveniente da Milano.

Il rinvenimento nel 2004, lungo via Santa Agnese, di tre tombe presumibilmente risalenti al III-IV secolo,

epoca questa anche dei ritrovamenti tombali in Figina di Garlate e sotto il pavimento della chiesa

parrocchiale di Santo Stefano, testimonia di un territorio attorno al ponte che era popolato ed attivo, con

centri abitati posti sui margini di strade con una certa importanza strategica e commerciale.

Nel marzo del 1905, “scavando le fondamenta per una casa sita sui fondi di proprietà dei figli della ved.

Sirtori Giuseppina, verso Garlate, denominati già di Casa Vitali o anche alla Bastia, (dove ora c’è il bar S.

Carlo), alla profondità di centimetri 60 circa, da un manovale si rinvennero circa 70 monete d'oro, cioè

zecchini coniati circa 4 secoli sono, in diverse città d'Italia, come Genova, Venezia, Roma, parecchi sono

coll’effigie di Papa Leone X (1513-1521) e di Alessandro VI (1492-1503). Furono esaminate da un

numismatico, sig. Grassi, e furono calcolate circa L. 12,50 l'una. La proprietaria si comportò come richiede

il codice.” (Liber cronicus di Olginate; Rivista archeologica Comense)

“… flam(en) divi Titi item flam(en)

divi Nervae pontif(ex) aug(ustalis)

quatuorvir i(ure) d(icundo) Comi bis

quatuorvir i(ure) d(icundo) Mediol(ani)

iudex ex selectis

adlect(us) quinquennal(is)

Mediolani“

CAPIATE di Olginate

… flamine del divo Tito, quindi flamine del

divo Nerva, pontefice augustale,

quattuorviro i. d. di Como per due volte,

quattuorviro i. d. di Milano,

giudice scelto,

per chiamata magistrato quinquennalicio

di Milano

COMPLESSO ALTOMEDIEVALE FORTIFICATO

LAPIDE MUTILA DEL I SECOLO

REIMPIEGATA COME SOTTOFINESTRA

20

20 – CAPIATE DI OLGINATE

A Capiate di Olginate si trova una lapide onoraria di un importante personaggio del I secolo. L’abitato si

trova quasi di fronte alla località del Lavello dove certamente esisteva un guado alternativo al ponte di

Olginate.

Capiate divenne poi un importante complesso fortificato altomedievale e curtes del monastero di S.

Ambrogio di Milano.

Attualmente gli scavi stanno riportando alla luce tombe e le varie successioni dello sviluppo del sito.

Sulla prima parte degli scavi è già disponibile una pubblicazione molto approfondita.

SANTUARIO E MONASTERO

DI SANTA MARIA

COSTRUITO SUI RESTI DI UNA CAPPELLA

E DI UN PROBABILE INSEDIAMENTO

FORTIFICATO ALTOMEDIOEVALE

LAVELLO di Calolziocorte

L’ALTARE DELLA

CHIESA

ALTOMEDIEVALE

DEL LAVELLO

CON TRACCE DI

DECORAZIONE

21

21 - LAVELLO DI CALOLZIO

Il santuario del Lavello, in età altomedievale era sede di una castello con curtes annessa. È possibile che

dopo la distruzione del ponte, o anche prima, si attraversasse l’Adda in questo punto approfittando dal fatto

che il fiume si divideva in diversi canali permettendone il facile guado. Esisteva una strada che, staccandosi

dalla strada principale, scendeva da Lorentino, guadava il fiume, e quindi passando per Capiate e Caromano

(toponimo derivante da , “Castrum Romanum“, accampamento/insediamento militare romano) risaliva poi a

monte per congiungersi, all’altezza di Valgreghentino, con la strada principale per Milano.

LA DISTRUZIONE DEL PONTE

Gli storici concordano nel collocare la distruzione del ponte nello spazio di tempo tra il V e VII secolo. Il

Degrassi espresse il parere che “la distruzione del ponte avvenne certamente in seguito a qualche invasionebarbarica. Se essa debba risalire ad Attila o piuttosto a qualcuna delle lotte coi Longobardi alla fine delsesto secolo, che si svolsero proprio in questa zona, è ancora da stabilire; ma io propenderei per

quest'ultima ipotesi”.Se non fu qualche catastrofico evento naturale a causarne il crollo, (vedi la distruzione delle fornaci di

Figina di Garlate dovuta ad una alluvione), il ponte venne diroccato nel periodo delle invasioni barbariche

come estremo tentativo di impedire o, almeno, ostacolare l'attraversamento dell'Adda.

È certo che a partire dalla seconda metà del V secolo il territorio lecchese fu interessato da diversi conflitti e

tutti possono essere state la causa della demolizione del ponte.

Forse avvenne durante la calata degli Unni di Attila nel 452 oppure quando, verso il 489-490, nella nostra

zona avvennero battaglie di una certa importanza tra i Goti di Odoacre e gli Ostrogoti di Teodorico mandati

dall'imperatore di Bisanzio a contendergli l'Italia. (Lapide di Pierius a Garlate)

Diversamente la distruzione del ponte può essere avvenuta durante la conquista Longobarda che vide

impegnati i Bizantini e i loro alleati Franchi contro i re longobardi Autari e Agilulfo, contesa terminata nel

589 con la conquista dell'Isola Comacina ad opera del duca di Bergamo, Gaidoaldo.

È certo, comunque, che il ponte non fu più ricostruito probabilmente perché, con lo sfascio dell'imperoromano, vennero a cadere tutte le motivazioni per una sua ricostruzione che si presentava molto onerosa.

La strada, invece, continuò ad essere una direttrice di vitale importanza per i traffici del territorio: basti

pensare alla pieve ecclesiastica di Garlate (poi di Olginate) che aveva mantenuto lo sviluppo lungo questa

direttrice, incorporando paesi di qua e di là dell'Adda, nonostante fosse venuto a mancare questo facile

collegamento tra le due sponde.

INIZIO XX SECOLO

IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE”

IMBARCO SULLA SPONDA BERGAMASCA22

Archivio Luciano Crippa

INIZIO XX SECOLO

IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE”

DURANTE LA NAVIGAZIONE VISTO DALLA SPONDA BERGAMASCA23

Archivio Luciano Crippa

22 - INIZIO XX SECOLO: IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE”-IMBARCO SULLA

SPONDA BERGAMASCA

23 - INIZIO XX SECOLO: IL TRAGHETTO O “PORTO DI OLGINATE” DURANTE LA

NAVIGAZIONE VISTO DALLA SPONDA BERGAMASCA

È probabile che, mancando il ponte, per attraversare l'Adda ci si servisse di un ponte di barche odi barche.

In seguito, le barche furono sostituite da un traghetto o “porto natante”, probabilmente in un primo tempo

gestito dagli abitanti di Cremellina ed in seguito, a partire dalla seconda metà del 1300 dagli Olginatesi e

che funzionò tra le due sponde fino al 1911, quando venne inaugurato l’attuale ponte stradale, e durante il

periodo in cui il ponte non fu più transitabile e fu rifatto nella struttura attuale. Scomparve definitivamente

nel 1926.

1588: VEDUTA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE:

SONO EVIDENZIATI (in rosso) I RESTI DELLE PILE DEL PONTE ROMANO

SULLA SPONDA BERGAMASCA24

24 - 1588: VEDUTA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE: SONO EVIDENZIATI (in rosso) I

RESTI DELLE PILE DEL PONTE ROMANO SULLA SPONDA BERGAMASCA

Nel 1587-88 si realizzò uno dei primi tentativi, sino ad ora conosciuti, di allargare la strettoia in cui era

costretto l'Adda davanti ad Olginate per permettere un maggior deflusso delle acque ed evitare i periodici

allagamenti della città di Como.

I lavori vennero però bloccati dal confinante Stato Veneto che considerava questi scavi sulla sponda

bergamasca lesivi al proprio territorio dato che il ghiaieto da togliere non era invaso dalle acque se non

durante le esondazioni e quindi era considerato territorio veneto poiché il trattato di pace tra i due Stati

diceva che il confine milanese comprendeva sì tutto il fiume Adda fino alla riva bergamasca ma solo dove

questa arrivava in tempi normali.

L'ingegnere bergamasco Giovanni Battista Bonanomi presentò ai Rettori di Bergamo il disegno, che qui

vediamo, che raffigura il luogo oggetto della contesa e che mostra anche i ruderi di cinque piloni del ponte

romano, tutti affossati nella ghiaia che si voleva togliere.

2 MAGGIO 1674

GRIDA EMANATA DALLO STATO

DI MILANO CHE IMPONE ALLE

COMUNITÀ SITUATE NEL

TRATTO DI FIUME TRA LECCO E

BRIVIO DI TOGLIERE TUTTE LE

ATTREZZATURE PER LA PESCA

CHE SI TROVANO NELL’ADDA

25

25 - 2 MAGGIO 1674: GRIDA EMANATA DALLO STATO DI MILANO CHE IMPONE ALLE

COMUNITÀ SITUATE NEL TRATTO DI FIUME TRA LECCO E BRIVIO DI TOGLIERE TUTTE

LE ATTREZZATURE PER LA PESCA CHE SI TROVANO NELL’ADDA

Numerose furono le gride e gli editti emanati lungo i secoli dai governanti dello Stato di Milano per far

togliere dall’Adda tutto ciò che impediva il deflusso delle acque (a partire da gueglie, bartavellere, ecc.)

senza però arrivare ad alcun risultato tangibile: troppi e importanti erano gli interessi economici in gioco.

1684

MAPPA DELL’ADDA TRA

LECCO E OLGINATE CON

LE ATTREZZATURE PER

LA PESCA CHE

OSTACOLAVANO LA

NAVIGAZIONE E IL

DEFLUSSO DELLE ACQUE

26

26 – 1684: MAPPA DELL’ADDA TRA LECCO E OLGINATE CON LE ATTREZZATURE PER LA

PESCA CHE OSTACOLAVANO LA NAVIGAZIONE E IL DEFLUSSO DELLE ACQUE

La cartina mostra quanto numerosi fossero gli ostacoli, naturali e artificiali, che impedivano il deflusso delle

acque nonché la navigazione sul fiume.

Nella primavera del 1684 una piena eccezionale interessò pesantemente Como, e quindi il Regio Magistrato

Camerale emise la solita grida che imponeva lo smantellamento di tutti gli impedimenti che ostacolavano il

deflusso delle acque dal lago di Como, da Lecco a Brivio.

Venne anche inviato l'ingegnere collegiato milanese Repossi a visitare l'area interessata, per individuare con

esattezza le ostruzioni che impedivano il deflusso alle acque e calcolare l'ammontare della spesa occorrente

alla loro rimozione.

La sua relazione, per ora l’unica che descrive l’aspetto e la composizione dei ruderi del ponte, inviata al

Magistrato nel luglio 1684, mette in evidenza la particolare e grave situazione venutasi a creare per il

continuo restringimento del letto dell'Adda di fronte ad Olginate, ridottosi ormai alla larghezza di soli 31

metri circa e che, durante l'inverno e nei tempi di magra, si riduceva a non più di 15-20 metri: questo canale

era caratterizzato da una forte corrente tanto da essere chiamato in documenti dell’epoca “torrente”.

L'ingegnere sottolineava come, oltre a togliere gli ammassi di ghiaia formatasi sulle due rive e i pochi pali

rimasti in loco della grande gueglia di proprietà dell’istituto di Santa Corona di Milano già distrutta,

bisognava assolutamente demolire fino alle fondamenta i resti delle 4 pile dell'antico ponte “di cotto”

(intendendo le arcate), che andavano dal centro del fiume verso la riva bergamasca, specialmente quella che

ancora era alta diversi metri sull’acqua.

La pila più grande era formata da un quadrato in pietra di circa 6 metri di lato con ancora due speroni

frangiflutti in cotto a monte e a valle lunghi circa 5 metri e si elevava dall'acqua per circa 6-7 metri.

Le altre tre pile ancora visibili erano molto più diroccate e ridotte sia in altezza che in lunghezza ed erano

semisepolte dalla ghiaia che si era accumulata attorno in modo che erano ormai toccate dalle acque solo nel

tempo di maggior portata del fiume, mentre invece era ormai del tutto sepolta dalla ghiaia la testata che era

ancora visibile nel disegno del 1588.

I ruderi oltre a ostacolare lo scorrere delle acque costituivano un pericolo per la navigazione perché, dice il

relatore: "trattengono il corso libero dell’aque, quanto ancora per la navigatione per esservi così veloce che

solo circa un mese e mezzo fa andò a male una barca di mercantie con periculo della vita a naviganti; et

questo per esser un sito tanto ristretto lo quale nel tempo dell’invernata mentre si trova l’aqua in bassezze

sarà facile l’operatione di levargli, che dico il mio parere stimo che producano tanto mal effetto tanto per la

navigatione quanto per il scarico delle aque sudette come le gueglie”.

Ma ancora una volta questa operazione di sgombero non fu portata a termine perché non si giunse ad un

accordo con il Governo veneto.

Una causa della mancata intesa furono le proteste e le minacce avanzate dagli abitanti di Vercurago e

Calolzio.

Questi, facendosi forti del fatto che le pile erano ormai quasi sommerse dalla ghiaia, li consideravano parte

integrante del loro territorio e vi avevano ammonticchiato intorno dei grandi cumuli di sassi che servivano a

sostenere i bertovelli ed altre attrezzature per la pesca che esercitavano in spregio agli accordi stipulati con

la pace di Lodi del 1454.

Si poté quindi lavorare solo sulla sponda milanese: nel marzo del 1686 venne asportato l'esteso ghiaieto

formato dai detriti trasportati a valle dal torrente San Rocco (ora Aspide) dove sfociava nell’Adda.

Questo sbancamento venne portato a termine solo dopo aver superato le resistenze di molti abitanti di

Olginate che non volevano che si profanasse il luogo (in antico adibito a Lazzaretto) dove erano sepolte le

vittime delle periodiche pestilenze perché temevano l'ira dei morti, come riferisce puntualmente il Repossi:

"vien detto che la Ponta del gierato verso Olginate, che vene formato dal sudetto torrente, dove al presente

vi è una Croce, adimandato il Lazaretto, tutte le volte che si son messi in operatione per levare parte di

detto gerato vengono temporali che portano tempesta con gran rumore, massime che vi si trovano quantità

d’ossa di morti". La ghiaia scavata venne depositata (come già detto) nei terreni attorno alla pseudo arcata.

1754

MAPPA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE: IN SPONDA BERGAMASCA

SONO EVIDENZIATI I RESTI DI QUATTRO PILONI DEL PONTE (“L”)

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27 – 1754 - MAPPA DELL’ADDA DAVANTI AD OLGINATE: IN SPONDA BERGAMASCA SONO

EVIDENZIATI I RESTI DI QUATTRO PILONI DEL PONTE (“L”)

Dopo i lavori effettuati nel 1686, per circa settant'anni, complice le guerre ed i molti interessi inconciliabili

che si contrapponevano fra i due Stati, non si procedette ad altri lavori che consentissero di ampliare il letto

dell'Adda davanti ad Olginate, malgrado le ricorrenti suppliche della città di Como ai Magistrati Camerali

perché si sgombrasse definitivamente, oltre ai mozziconi dei piloni, tutti gli ostacoli presenti in quel tratto di

fiume: ghiaie, gueglie e legnari che ostacolavano il deflusso delle acque e causavano frequenti esondazioni

del lago.

Queste istanze furono fatte proprie anche dai "paroni" delle barche che trasportavano le merci sul fiume

perché trovavano enormi difficoltà a superare questa strettoia nella quale frequenti erano i naufragi con

perdite non solo dei “burchielli” ma anche di vite umane.

Solo in seguito ad una nuova e gravissima esondazione, avvenuta nel settembre-ottobre del 1747, che portò

le acque del Lario fin dentro la cattedrale di Como, si ripresero le opere di allargamento e abbassamento

dell’alveo del fiume nel tratto tra Lecco e il lago di Brivio.

Il progetto prevedeva anche l'abbattimento dei piloni superstiti del ponte romano davanti ad Olginate.

Ma come settant'anni prima, le questioni territoriali tra i due Stati confinanti fecero fallire ogni aspettativa di

soluzione definitiva del problema.

1749 circa

LA COMUNITÀ DI OLGINATE CHIEDE IL PERMESSO DI COSTRUIRE UN

ARGINE A DIFESA DELLE PROPRIE CASE DALLE ACQUE DELL’ ADDA

Si parla di due “robustissimi

pilloni”, rimasti nell’alveo del fiume,

da distruggere.

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28 - 1749 circa: LA COMUNITÀ DI OLGINATE CHIEDE IL PERMESSO DI COSTRUIRE UN

ARGINE A DIFESA DELLE PROPRIE CASE DALLE ACQUE DELL’ ADDA

Nel giugno del 1749, gli operai olginatesi, che a bordo di barche stavano iniziando la demolizione del

pilone centrale, vennero fatti precipitosamente tornare indietro dal sig. Giò Battista Testori che, dalla

veranda del suo palazzo, aveva visto avvicinarsi alla riva bergamasca molti uomini armati intenzionati ad

opporsi a questo smantellamento. Informato dell'accaduto, il Senato milanese ordinò al comandante del forte

di Lecco di inviare soldati a proteggere i demolitori, ma non sembra che il loro arrivo raggiunse lo scopo

prefissato: un anno dopo tutto era rimasto come prima, sia perché per mesi l'acqua alta aveva impedito i

lavori, sia perché il numero dei soldati si era rivelato inadeguato per prestare aiuto e scorta agli operai

demolitori che si trovarono a lavorare sotto un'opprimente minaccia di morte poichè i bergamaschi erano

pronti “a tirare anche alle ombre”.

In alternativa gli Olginatesi chiesero allora il permesso di costruire un argine davanti ad Olginate perché

ormai il fiume aveva già ingoiato diverse case e si paventava la distruzione di altre.

1750 circa

VEDUTA DEL TRATTO DI FIUME ADDA DAVANTI AD OLGINATE

CON I RESTI DELLE PILE (“H”) DEL PONTE ROMANO29

29- 1750 circa: VEDUTA DEL TRATTO DI FIUME ADDA DAVANTI AD OLGINATE CON I RESTI

DELLE PILE (“H”) DEL PONTE ROMANO

Solo nel 1754, dopo che a Vareso di Vaprio i due commissari delegati ai confini, (Ten. Col. Andrea Ercoleo

da parte Veneta e Carlo Giuseppe Merlo, ingegnere collegiato, per la parte Milanese), si furono accordati,

una buona volta, per sgombrare l'Adda da ogni impedimento, fu possibile portare a compimento la

demolizione dei piloni e la rimozione della ghiaia in sponda bergamasca.

Da una relazione di Francesco Antonio Buzzi, inviata nel settembre 1755 al Magistrato Camerale,

riguardante proprio i lavori effettuati tra Lecco e Olginate per rendere sicuro e navigabile l’Adda, veniamo a

sapere che tra l'altro "si sono smantellati sin al pelo delle acque i tre residui piloni di muro dell’antico ponte

di Olginate restandovi ancora de farsi altro abbassamento".

Questo ulteriore abbassamento dei piloni venne però effettuato dopo decenni, nel 1838-40, quando in quel

punto il letto del fiume fu abbassato per circa un metro in modo da renderne più dolce la pendenza per

facilitarne la navigazione.

Così i resti della testata orientale del ponte e della strada di accesso finirono sepolti sotto diversi metri di

ghiaia e detriti tolti dal fiume per allargarne il letto.

Questi resti sarebbero ritornati alla luce un secolo dopo durante la costruzione della diga.

1674: Il fiume Adda con la «gueglia magna» ed il «ponte rotto» con l’arcata

30

1750 – Veduta di Olginate

Legenda:

A – Lago di Moggio (o di Garlate )

B – Fiume Aspido

C – Palazzina del Sig. Dott. Testore

D – Casa del suddetto

E – Casa del Sig. Don Giusepe Calco

F – Ostaria e Porto

G – Campanille e case di Olginate

H – Adda

I – Lago di Olginate

L – Primo Pillone del Ponte altre volte di Olginate che

resta, che resta inpozzato nonostante l’acqua bassa; non li altri duo Pilloni

M – Luogo o sia vigna del Cattaneo Bergamasco

N – Baltravelera de Sassi fatte e pescate da

Bergamaschi

O – Rippa Bergamascha

P – Casello Bergamasco per la Sanità

Q – Pascolo Bergamasco

R – Siepe che circonda il luogo del Cattaneo munita di piante vive

31

31 - 1750 – VEDUTA DI OLGINATE - Acquarello - vista dalla riva bergamasca.

Di queste vedute ne esistono almeno tre versioni e ci danno una illustrazione abbastanza fedele di come

erano le case che si affacciava sull’Adda perché fatte non da pittori ma da ingegneri collegiati di Milano. Si

doveva spiegare al Senato milanese come erano i luoghi oggetto di un’annosa lite tra i Testori de Capitani e

i proprietari della pesca sul lago di Olginate, il consorzio Orrigoni–Dugnani, in merito alla costruzione da

parte dal Testori, di palizzate e ripari per difendere la sua casa dalla corrente del fiume ma che interferivano,

secondo il Consorzio, con l’esercizio della pesca.

1750 – ing. Bartolomeo Bolla32

32 - 1750 – ing. Bartolomeo Bolla

Il disegno rappresenta la zona che va dalla Gueglia a via Barozzi.

Oltre al pilone si può notare gli edifici della “casa da nobile” dei Testori, oggi detti “Brizzolari”. Questo

complesso venne restaurato ed abbellito nella prima metà del 1700.

2018: LE CASE BRIZZOLARI COME SONO OGGI (da Google)

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33 -2018: LE CASE BRIZZOLARI COME SONO OGGI (da Google)

Se si confronta questa immagine dall’alto, ripresa da GOOGLE, con il disegno precedente, si può notare

come la pianta di questi due edifici non sia stata modificata: gli antichi edifici sono solo stati rialzati di un

piano negli anni ‘50 del secolo scorso.

Fine 1800: PIANTINA PREPARATORIA PER IL NUOVO PONTE SULL’ADDA

CON RILIEVO DIMENSIONALE DELL’ARCATA34

34 - Fine 1800: PIANTINA PREPARATORIA PER IL NUOVO PONTE SULL’ADDA CON

RILIEVO DIMENSIONALE DELL’ARCATA

Si può notare come era la zona ed il giardino accanto all’arcata del ponte.

In penna si nota dove doveva passare il nuovo ponte sull’Adda, alternativo al tracciato, non approvato, che

lo faceva transitare in Piazza Santa Margherita, con relativa distruzione delle case.

INIZIO NOVECENTO

VEDUTA DI OLGINATE35

Archivio Luciano Crippa

FINE OTTOCENTO

VEDUTA DI OLGINATE

PARTICOLARE DEL

PICCOLO FILATOIO COSTRUITO SOPRA LA

PSEUDO ARCATA DEL PONTE ROMANO

36

Archivio Luciano Crippa

36 - FINE OTTOCENTO: VEDUTA DI OLGINATE

La pseudo arcata, chiamata per secoli “bastia”, di cui abbiamo parlato all’inizio, fu costruita probabilmente

a difesa del passaggio dell'Adda nei burrascosi secoli seguenti la distruzione del ponte, così come dovevano

esserci altre fortificazioni sul lato opposto, in prossimità dell'abitato scomparso di Cremellina.

Di questo periodo rimane il toponimo "alla bastia" usato fino alla metà dello scorso secolo dai notai per

indicare i terreni circostanti il manufatto (si tratta della zona compresa tra le scuole Medie, il vecchio

municipio e il torrente Aspide scendendo fino alla riva del lago).

In seguito, venuta meno questa sua funzione difensiva, ospitò un mulino da grano a due ruote.

Nel febbraio del 1499 messer Simone Lamaldura fu sig. Maffeo abitante in Olginate, che agisce anche a

nome di Giovanpietro Lamaldura suo nipote e figlio del fu Galarano Lamaldura, dà in affitto per 2 anni a

Biagio da Dozio e ai suoi due figli un mulino a due ruote con tutti i suoi accessori situato nel lago di

Olginate nel luogo detto “ad Bastiam”, che confina da tutte le parti con il detto lago. L’affitto, della durata di

due anni, sarà di 10 moggia di biada all’anno, suddivisa in due parti di mistura e il rimanente di frumento,

oltre a un cappone.

Andato in disuso il mulino, nei primi decenni del 1500, per le guerre (specialmente quelle che videro

protagonista GianGiacomo Medici detto il Medeghino che portarono al saccheggio di Olginate, vedi

tesoretto ritrovato in zona nel 1905), la sommità dell’arcata venne coltivata ad orto e giradino finché, nel

1677, il manufatto, con l’annesso terreno, venne venduto dai d’Adda ai Testori De Capitani i quali nella

prima metà del 1700, quando rinnovarono la loro casa signorile, usarono l’arcata come sostegno a una

palazzina a ornamento del parco del loro nuovo palazzo. L’ultimo dei Testori, Giuseppe Carlo Ferdinando,

verso la metà del 1800, ricavò nella palazzina un piccolo filatoio da seta che rimase in funzione per decenni.

Morto senza eredi nel 1867 il Testori, il parco con la villetta, la torre, e la pseudo arcata passarono a un certo

Pirola, il quale lo vendette all'inizio del 1900 ai Mondini-Lavelli, i quali fecero demolire tutte le

sovrastrutture dell’arcata riportandola alle fattezze altomedioevali.

INIZIO NOVECENTO

PIANTINA DI OLGINATE38

Fonti:

Archivio Parrocchiale della Chiesa di Santa Agnese in Olginate

Archivio Comunale di Olginate

Archivio della Parrocchia di Calolzio

Archivio Spirituale della Curia di Milano

Archivio di Stato di Milano

Foto d’archivio:Gianluigi Riva

Danila ColomboGianni Peverelli

R.A.C. 1946

Cartoline:Archivio Luciano Crippa

Cartine e disegni: Danila Colombo

Olginate, 18/5/2018