«Vergine Madre» («Paradiso», XXXIII, 1-57), in Lectura Dantis Scaligera 2005-2007, a cura di E....

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Giuseppe Ledda

« VERGINE MADRE, FIGLIA DEL TUO FIGLIO »:PARADISO, XXXIII 1-57

Il xxxiii canto del Paradiso si apre con la preghiera che san Ber-nardo rivolge alla Vergine, perché sia concessa a Dante la graziadi giungere alla visione di Dio, vertice della sua esperienza del-l’aldilà. In queste terzine convergono alcune delle linee temati-che fondamentali del poema. Tra queste mi pare eminente ilmotivo dell’impresa di viaggio e visione, e poi di memoria escrittura, che è stata affidata a Dante. E la preghiera alla Vergineè pronunciata da san Bernardo, che innalzando questa « santaorazione » assolve il compito di “terza guida”. La funzione diBernardo trova in queste terzine il suo compimento e il perso-naggio acquista quindi il suo significato definitivo. Ma soprat-tutto la preghiera è rivolta alla Vergine, e in pochi versi si con-centrano mirabilmente le formule vertiginose della teologia edella devozione mariana. Può essere allora utile ripercorrere ra-pidamente queste linee tematiche per prepararsi a cogliere nonsolo la bellezza e il significato di questi versi, ma anche il lorovalore piú ampio e profondo nel contesto complessivo del poe-ma, di cui costituiscono uno dei punti conclusivi e cruciali.

Il Paradiso di Dante è un grande teatro celeste. Il vero Para-diso, sede di Dio, degli angeli e dei beati è posto nell’Empireo,al di là dei nove cieli corporei. Esso è un luogo-non luogo, uncielo puramente spirituale, il « ciel ch’è pura luce: // luce intel-lettüal, piena d’amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / le-tizia che trascende ogne dolzore » (Par., xxx 39-42).1 Ma Dante è

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1. Sulla concezione dantesca dell’Empireo si veda ora l’ottima discussione diC. Moevs, The Metaphysics of Dante’s ‘Comedy’, Oxford, Oxford University Press,2005, pp. 15-35 e 193-203.

un uomo, e non può conoscere se non attraverso i sensi corpo-rei, dunque questa realtà puramente spirituale gli è inattingibi-le. O meglio, potrà coglierla alla fine, ma solo al termine di unprocesso graduale di conoscenza. Prima il Paradiso gli è presen-tato in modo indiretto: tutti i beati, che stanno nell’Empireo,scendono nei singoli cieli per incontrare Dante, per fargli segnoin modo sensibile delle diverse realtà della beatitudine.2

Quando giunge nel cielo Empireo, sede autentica del Paradi-so e della divinità, Dante subisce l’ultimo scacco della vista, l’ul-timo accecamento da parte della luce divina: « cosí mi circun-fulse luce viva, / e lasciommi fasciato di tal velo / del suo fulgor,che nulla m’appariva » (xxx 49-51). Ma, come avverte il verboscritturale circunfulse, è qui attivo il modello paolino dell’acceca-mento sulla via di Damasco:3 la cecità causata dalla insostenibi-le luce divina è preparazione alla visione delle piú alte realtà.Cosí Dante comprende di « sormontar di sopr’ a mia virtute », eaggiunge trionfalmente: « e di novella vista mi raccesi / tale, che

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2. Cfr. in proposito Par., iv 22-63. Per analisi di questo passo e dei princípi cheregolano la struttura del Paradiso, cfr. T. Barolini, The Undivine ‘Comedy’. Detheo-logizing Dante, Princeton, Princeton University Press, 1992, pp. 183-89 (trad. ital.,La ‘Commedia’ senza Dio. Dante e la creazione di una realtà virtuale, Milano, Feltrinel-li, 2003, pp. 255-63); L. Pertile, Canto iv, in « Lectura Dantis », 16-17 1995, SpecialIssue: Lectura Dantis Virginiana iii. Dante’s ‘Paradiso’: Introductory Readings, pp. 46-67;G. Güntert, Canto iv, in Lectura Dantis Turicensis, iii. ‘Paradiso’, a cura di G. Gün-tert e M. Picone, Firenze, Cesati, 2002, pp. 69-80.

3. Il racconto è ripetuto piú volte negli Atti degli Apostoli, sempre con l’uso delverbo circumfulgere al perfetto. Cfr. Act., 9 3: « et subito circumfulsit eum lux decaelo »; 22 6: « subito de caelo circumfulsit me lux copiosa »; 26 13: « vidi [ . . . ] decaelo supra splendorem solis circumfulsisse me lumen, et eos qui mecum simulerant ». Sulla ripresa dantesca del modello paolino relativamente alla dinamicaaccecamento-visione, anche in relazione ai modelli negativi offerti dal mito edalla poesia classica, cfr. G. Ledda, Semele e Narciso: miti ovidiani della visione nella‘Commedia’ di Dante, in Le ‘Metamorfosi’ di Ovidio nella letteratura tra Medioevo e Ri-nascimento, a cura di G.M. Anselmi e M. Guerra, Bologna, Gedit, 2006, pp. 17-40, alle pp. 25-27.

nulla luce è tanto mera, / che li occhi miei non si fosser difesi »(58-60). Questa « novella vista », questa facoltà visiva rinnovata epotenziata attraverso la « battaglia » sostenuta nel corso dell’a-scesa paradisiaca, non teme piú cedimenti, ora che è stata sag-giata e innalzata dalla « luce viva » dell’Empireo.4

Nell’Empireo siamo al di fuori dello spazio, qui non c’è piú lapossibilità di modulare la narrativa avventurosa del viaggio, cheha agito ancora nell’ascesa attraverso i nove cieli corporei. L’e-sperienza del viaggiatore è ormai solo visione, ma la visione hauna sua speciale e nuova dinamica. Oltre al movimento dellosguardo, espresso anche con metafore di moto, tra cui spiccaquella del volare con gli occhi, esiste infatti ancora una crescitaprogressiva della visione, che permette la trasformazione diquanto Dante vede, non perché muti la realtà visibile, ma per ilpotenziarsi della vista del contemplante che riesce a coglieresempre nuovi e piú autentici aspetti della realtà. Cosí anche quiogni visione prepara alla successiva rendendo piú forte e pene-trante la capacità visiva di Dante. Questo è particolarmente evi-dente nella prima fase della visione dell’Empireo, e sarà poi de-cisivo nell’ultima, la visione di Dio, che si sviluppa progressiva-mente attraverso tre momenti. Ma anche la contemplazionedell’Empireo svolge a sua volta una funzione preparatoria alla vi-sione di Dio: « Lume è là sú che visibile face / lo creatore a quel-la creatura / che solo in lui vedere ha la sua pace » (xxx 100-2).

Dopo aver osservato, sotto la guida di Beatrice, « la forma ge-neral di paradiso » (xxxi 52), Dante si volge verso di lei, ma alposto della beata vede invece « un sene / vestito con le gentiglorïose » (59-60). Questo solenne vegliardo dall’atteggiamentoteneramente paterno tranquillizza subito Dante, turbato per la

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4. L’espressione « la battaglia de’ debili cigli » è usata da Dante per riferirsi al-la lotta tra le proprie deboli facoltà visive umane e le luci paradisiache: cfr Par.,xxiii 78.

scomparsa di Beatrice, e spiega di essere stato mandato proprioda lei: « “A terminar lo tuo disiro / mosse Beatrice me del locomio” » (65-66). Egli rasserena Dante e lo invita a sollevare losguardo verso il seggio in cui ha preso posto Beatrice; poi riba-disce nuovamente il proprio compito, aiutare Dante a portare acompimento il viaggio oltremondano: « “Acciò che tu assommi/ perfettamente [ . . . ] il tuo cammino” » (94-95). Ma perché ciòpossa realizzarsi lo invita a dirigere lo sguardo attraverso ogniparte del paradiso-giardino: « “vola con li occhi per questo giar-dino” » (97). Volare con gli occhi è l’immagine che applica all’e-sperienza visiva la metafora del volo. Dopo che ripetutamentel’ascesa di Dante attraverso le sfere celesti è stata definita « l’altovolo »,5 la metafora del volo sarà infatti usata in questi ultimicanti per indicare in termini di moto l’esperienza visiva. Il viag-gio, il movimento nello spazio è il motivo guida dell’intero poe-ma, fin dal primo verso che pone tutta l’opera sotto l’immaginedella vita umana come un viaggio di ritorno dall’esilio terrenoverso la casa del padre.6 E alla dimensione del viaggio Dantenon rinuncia neanche quando è ormai nell’Empireo, al di làdello spazio. Ma qui il viaggio è un volo degli occhi, immagine

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5. Cfr. Par., xv 54; xxv 50. Sul tema del volo nel Paradiso si veda il saggio di L.Pertile, Le penne e il volo, nel volume La punta del disio. Semantica del desiderio nel-la ‘Commedia’, Fiesole (Firenze), Cadmo, 2005, pp. 115-35.

6. Della vasta bibliografia sui temi del viaggio, della peregrinatio, dell’esilio nel-la Commedia mi limito a indicare pochi lavori che mi paiono fondamentali: B.Basile, Il viaggio come archetipo. Note sul tema della “peregrinatio” in Dante, in « Lettu-re Classensi », xv 1986, pp. 9-26; A.M. Chiavacci Leonardi, Il tema biblico dell’e-silio nella ‘Divina Commedia’, in La scrittura infinita. Bibbia e poesia in età medievale eumanistica, a cura di F. Stella, Tavarnuzze (Firenze), Sismel-Edizioni del Gal-luzzo, 2001, pp. 177-85; P.S. Hawkins, Crossing over: Dante and Pilgrimage, in Id.,Dante’s Testaments. Essays in Scriptural Imagination, Stanford, Stanford UniversityPress, 1999, pp. 247-64 e 333-36; C. Delcorno, « Ma noi siam peregrin come voi sie-te ». Aspetti penitenziali del ‘Purgatorio’, in Da Dante a Montale. Studi di filologia e criti-ca letteraria in onore di Emilio Pasquini, a cura di G.M. Anselmi et al., Bologna, Ge-dit, 2005, pp. 11-30.

che indica l’innalzarsi dello sguardo nella luce del Paradiso edella divinità.

L’invito del santo vegliardo a percorrere con lo sguardo la ro-sa dei beati ha una funzione ben precisa, come egli stesso sotto-linea: « “ché veder lui t’acconcerà lo sguardo / piú al montar perlo raggio divino” » (98-99). Siamo dunque nel quadro del valorepreparatorio che ogni singola visione assume per quella succes-siva e quella dell’Empireo per la visione di Dio. Il ruolo delnuovo personaggio sembra quindi proprio quello di accompa-gnare Dante nella visione dell’Empireo che prepara alla con-templazione suprema. E, come a garantire Dante delle possibi-lità di successo, il misterioso « sene » aggiunge la certezza del-l’aiuto della regina del cielo, che concederà ogni grazia a Dantee alla sua guida, perché questi non è altri, aggiunge in conclu-sione, che « il suo fedel Bernardo »: « “E la regina del cielo, on-d’ ïo ardo / tutto d’amor, ne farà ogne grazia, / però ch’i’ sono ilsuo fedel Bernardo” » (100-2).

Solo a questo punto viene svelata la sua identità. Si tratta disan Bernardo di Chiaravalle, una delle figure piú significativedella Chiesa medievale, famoso soprattutto per tre aspetti dellasua personalità: era un esperto di contemplazione e di teologiamistica, un eminente e devoto teologo mariano, un oratore elo-quentissimo, tanto da venir ben presto celebrato con l’epiteto didoctor mellifluus.7

Come esperto di teologia mistica Bernardo è autore di unimportante trattato, il De consideratione, citato nell’Epistola a Can-grande tra i precedenti del Paradiso e della visione mistica quirappresentata.8 E che il suo ruolo sia legato alla contemplazione

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7. Su Bernardo e sulla sua presenza nella Commedia, oltre alla voce dell’Enciclo-pedia Dantesca, curata da R. Manselli, risulta preziosa soprattutto la monografiadi S. Botterill, Dante and the Mystical Tradition. Bernard of Clairvaux in the ‘Com-media’, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, in particolare pp. 64-115.

8. Ep., xiii 29. E cfr. in proposito G. Padoan, La « mirabile visione » di Dante e

è segnalato fin dall’inizio: appena appare egli invita subito Dan-te a guardare in alto verso Beatrice, poi lo esorta a volare con gliocchi per il giardino dell’Empireo, e ripetutamente gli rivolgeràin seguito inviti di questo tipo. E la reazione di Dante personag-gio è significativa: egli osserva il santo beato con la stessa insa-ziabile ammirazione con la quale un pellegrino giunto a Romada paesi lontani contempla l’immagine di Cristo impressa nellaVeronica.9 Una tale ammirazione nei suoi confronti è dovutaproprio al suo essere un grande esperto di contemplazione, tan-to da venir definito « colui che ’n questo mondo, / contemplan-do, gustò di quella pace » (110-11). Egli è dunque un predecesso-re di Dante nella visione mistica, nella contemplazione delParadiso e di Dio attraverso un processo di innalzamento estati-co possibile già in questa vita.

Tuttavia la similitudine del pellegrino e della Veronica, chegratifica Bernardo di un alone cristologico, nasce anche dall’i-nesperienza di Dante, il quale, proprio in questo suo fissarsi ec-cessivo su oggetti che devono essere ritenuti preparatori, mo-stra di avere ancora bisogno di una guida. Infatti Bernardo esor-ta subito Dante a sollevare lo sguardo, anziché fissarlo soltantoin lui, per ammirare la rosa dei beati sino al cerchio piú alto, fi-no a vedere « “la regina / cui questo regno è suddito e devoto” »(116-17).

Ecco dunque che si riprende il motivo mariano già annuncia-to da Bernardo fin dalla sua autopresentazione. Questo è infatti

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l’ ‘Epistola a Cangrande’, in Id., Il pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendi-mento medievale in Dante, Ravenna, Longo, 1977, pp. 30-63.

9. Par., xxxi 103-11. Sul grande interesse di Dante per la reliquia della Veroni-ca cfr. J. Barclay Lloyd, « Chiamansi romei in quanto vanno a Roma » (‘Vita Nuova’xl, 7): Pilgrimage to Rome in the Late Duecento, in « La gloriosa donna de la mente ». ACommentary of the ‘Vita Nuova’, a cura di V. Moleta, Firenze, Olschki, 1994, pp.225-48; G. Wolf, « Pinta de la nostra effige ». La Veronica come richiamo dei romei, inRomei e Giubilei. Il pellegrinaggio medievale a San Pietro (350-1350), a cura di M. D’O-nofrio, Milano, Electa, 1999, pp. 211-18.

il secondo fondamentale attributo di Bernardo, la sua devozio-ne mariana, per la quale era universalmente noto nel Medioe-vo, e di cui danno prova soprattutto i suoi ardenti Sermones inlaudibus Virginis Matris. E l’espressione della sua particolare devo-zione è accesa dal linguaggio amoroso: « “ïo ardo / tutto d’a-mor” » (100-1). Spinto dagli inviti di Bernardo, Dante alza gli oc-chi verso la Vergine, che appare soprattutto nei suoi aspetti diluminosità fiammeggiante.10 E il lessico del fuoco e dell’ardorecoinvolge ora anche Dante: « Bernardo, come vide li occhi miei/ nel caldo suo caler fissi e attenti, / li suoi con tanto affetto vol-se a lei, // che ’ miei di rimirar fé piú ardenti » (139-42). L’ardo-re amoroso di Bernardo per la Vergine contagia ormai ancheDante.

Il canto xxxii ritorna nei primi versi sui motivi fondamentalidella rappresentazione di Bernardo, il suo ardore e la sua naturadi spirito contemplativo, e vi aggiunge una nuova importantecaratterizzazione: « Affetto al suo piacer, quel contemplante /libero officio di dottore assunse, / e cominciò queste parole san-te » (xxxii 1-3). Qui spicca non tanto l’ufficio di dottore, cheBernardo assume in una forma provvisoria, quanto invece ilruolo di oratore sacro, sottolineato dalla didascalia « cominciòqueste parole sante », un’espressione che sarà ripresa, quasi cir-colarmente, nell’ultimo verso del canto, « E cominciò questasanta orazione » (151), ad annunciare la preghiera alla Vergine.

E non sorprende certo che le prime tra le « parole sante »pronunciate ora da Bernardo nel suo ufficio di dottore, cioè diespositore delle ragioni che regolano l’Empireo, siano nel segnodi Maria.11 Analogamente, il lungo discorso dottrinale di Ber-

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10. Par., xxxi 118-38. Cfr. in particolare i vv. 124-29. La luminosità fiammeg-giante è sottolineata dal lessico igneo e dalla serie delle rime derivative: s’infiam-ma : oriafiamma : fiamma.

11. Si tratta di una perifrasi per indicare Eva, centrata però sulla figura e sul

nardo sulla struttura dell’Empireo si chiude, dopo circa ottantaversi, con l’invito a guardare nuovamente verso la Vergine, maoffre anche nuove straordinarie precisazioni. Con realismo esemplicità sublimi Bernardo definisce il volto di Maria come« “la faccia che a Cristo / piú si somiglia” » e aggiunge che que-sta visione è l’unica valida preparazione alla visione suprema, alpunto culminante della contemplazione della divinità: « “Ri-guarda omai ne la faccia che a Cristo / piú si somiglia, ché la suachiarezza / sola ti può disporre a vedere Cristo” » (xxxii 85-87).E Dante guarda finalmente Maria, nei suoi lineamenti piú diogni altra cosa somiglianti alla divinità.12 Prima della secondaparte del discorso dottrinale di Bernardo sull’ordine dei beatinell’Empireo si svolge dunque un lungo importante episodiomariano; e la contemplazione di Maria si chiude, provvisoria-mente, con la rievocazione dell’Annunciazione e dell’Incarna-zione.13

Dopo aver mostrato a Dante alcuni fra i piú eminenti beatidell’Empireo, ecco che finalmente, essendosi Dante preparatoattraverso la visione di Maria, Bernardo può invitarlo ora aguardare direttamente nella luce divina: « “e drizzeremo li oc-chi al primo amore, / sí che, guardando verso lui, penètri /quant’è possibil per lo suo fulgore” » (142-44).

Ma ancora non basta. Non è sufficiente la progressiva educa-

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ruolo di Maria nella storia della Redenzione: « “La piaga che Maria richiuse eunse, / quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi / è colei che l’aperse e che la pun-se” » (Par., xxxii 4-6).

12. Cfr. Par., xxxii 88-96: « “Io vidi sopra lei tanta allegrezza / piover, portatane le menti sante / create a trasvolar per quella altezza // che quantunque ioavea visto davante, / di tanta ammirazion non mi sospese, / né mi mostrò diDio tanto sembiante; // e quello amor che primo lí discese, / cantando ‘Ave,Maria, gratïa plena’, / dinanzi a lei le sue ali distese” ».

13. Anche in questo caso Maria è citata in una perifrasi, qui definitoria dell’ar-cangelo Gabriele: « “perch’elli è quelli che portò la palma / giuso a Maria, quan-do ’l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma” » (Par., xxxii 112-14).

zione dello sguardo, sino alla contemplazione della Vergine inParadiso: oltre che nella gradazione dell’ascesi mistica, Bernardodeve condurre Dante a riconoscere ancora i limiti dell’uomo, ilsuo sicuro fallimento se volesse pretendere di raggiungere la su-prema conoscenza e felicità facendo esclusivo affidamento sulleproprie forze umane. Tale meta non può essere conquistata dal-l’uomo con le sue sole energie, può solo essergli data da Dio.Cosí diviene necessario rivolgere una preghiera perché questagrazia sia concessa, e la preghiera va rivolta alla Vergine, « “quel-la che puote aiutarti” »:

« Veramente, ne forse tu t’arretrimovendo l’ali tue, credendo oltrarti,orando grazia conven che s’impetri

grazia da quella che puote aiutarti;e tu mi seguirai con l’affezione,sí che dal dicer mio lo cor non parti ».

E cominciò questa santa orazione. (Par., xxxii 145-51).

Il rischio è dunque alto: quello di illudersi di avanzare mentrein realtà si torna indietro. E questo è il destino dell’uomo super-bo, che ripone « fidanza [ . . . ] ne’ retrosi passi » (Purg., x 123). Sitratta di un concetto insistentemente ribadito nei canti purgato-riali dei superbi, dove le anime dei penitenti che intonano il Pa-ter noster sottolineano che senza il quotidiano aiuto spirituale diDio, senza « “la cotidiana manna, [ . . . ] a retro va chi piú di girs’affanna” » (Purg., xi 13-15). E non sorprende che, per indicare ilpenetrare dello sguardo nella luce divina, Bernardo ricorra an-cora alle metafore del volo e delle ali: « “movendo l’ali tue” ».

Ma il punto su cui è piú importante soffermarsi, in questomomento, è il ruolo di somma ausiliatrice riconosciuto a Maria,« “quella che puote aiutarti” ». Ecco infatti che inizia, nel primoverso del canto successivo, l’ultimo del Paradiso e dell’interopoema, la « santa orazione » e che con queste parole Bernardo

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assolve il compito che Beatrice gli ha assegnato. E con la pre-ghiera rivolta da Bernardo alla Vergine si porta a compimentoanche il tema della presenza di Maria nel poema.14

Quasi del tutto assente nell’Inferno, Maria è una presenza de-cisiva nel Purgatorio. Il suo nome risuona per la prima volta nel-l’episodio di Bonconte di Montefeltro, con la sua potenza salvi-fica, di misericordiosa soccorritrice: « “Quivi perdei la vista e laparola; / nel nome di Maria fini’, e quivi / caddi, e rimase lamia carne sola” » (Purg., v 100-2). E nella valletta, dapprima leanime intonano il Salve, regina (vii 82), poi, nel corso della sacrarappresentazione che vi si svolge, il serpente che simboleggia latentazione diabolica è cacciato da due angeli, che svolgonoquindi una funzione di protezione e soccorso dell’umanità vit-tima delle tentazione del male. E non sorprende certo leggeredi questi angeli che « “Ambo vegnon del grembo di Maria” »(viii 37). Ma nel Purgatorio Maria non è solo la soccorritrice mi-sericordiosa. Ella è soprattutto il modello per gli spiriti peniten-ti e l’exemplum supremo proposto ai lettori. Infatti in ognunadelle sette cornici sono presentati gli esempi della virtú contra-ria al vizio purgato. E in tutte le cornici il primo fra gli esempidi virtú è offerto dalla vita di Maria. Le virtú spirituali, umiltà,misericordia, mansuetudine, sollecitudine, distacco dai beniterreni, temperanza, castità, trovano in Maria la suprema realiz-zazione.15

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14. Oltre alla voce Maria Vergine nell’Enciclopedia Dantesca, vol. iii pp. 835-39, re-datta da M. Apollonio, mi limito a rinviare ad alcuni lavori recenti che ho tro-vato di particolare utilità: P. Boitani, « Sua disianza vuol volar sanz’ali »: Maria e l’a-more nella poesia del Trecento, in Id., Il tragico e il sublime nella letteratura medievale, Bo-logna, il Mulino, 1992, pp. 251-314, in particolare pp. 251-68; S. Botterill, Danteand the Mystical Tradition, cit., pp. 148-93. A.M. Chiavacci Leonardi, « In te mise-ricordia, in te pietate ». Maria nella ‘Divina Commedia’, in Gli studi di mariologia medie-vale. Bilancio storiografico, a cura di C.M. Piastra, Tavarnuzze (Firenze), Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 321-34.

15. Cfr. A.M. Chiavacci Leonardi, Le beatitudini e la struttura poetica del ‘Purga-

Nel Paradiso la presenza di Maria è rilevante e sempre cre-scente, soprattutto negli ultimi canti. Ma già nel canto xxiii siaveva una sorta di prefigurazione di quanto Dante avrebbe po-tuto vedere nell’Empireo. Cristo e Maria discendono nel cielodelle stelle fisse per farsi caritatevolmente visibili in forme sen-sibili. L’epifania di Maria nel xxiii canto richiederebbe una let-tura approfondita, ne posso però ricordare solo alcuni aspetti.16

Dapprima Maria è qui presentata da Beatrice come « “la rosa inche ’l verbo divino / carne si fece” » (73-74), sottolineando il suoruolo storico nella Redenzione. E all’invito di Beatrice a guar-dare Maria Dante reagisce prontamente: « Il nome del bel fiorch’io sempre invoco / e mane e sera, tutto mi ristrinse / l’animoad avvisar lo maggior foco » (88-90). È dunque la dichiarazionedi una devozione mariana intensa, di una continua invocazionedell’aiuto della Vergine. Un’altra espressione degna di rilievo èla metafora « il bel zaffiro / del quale il ciel piú chiaro s’inzaffi-ra » (101-2). La parola zaffiro compare solo un’altra volta nel poe-ma, nei versi memorabili del primo canto del Purgatorio: « Dol-ce color d’orïental zaffiro » (Purg., i 13). L’emblema dello zaffiroposto in apertura della cantica purgatoriale va collegato ai valo-

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torio’, in « Giornale storico della letteratura italiana », clxi 1984, pp. 1-29, alle pp.26-29; M. Semola, Maria e gli altri « exempla » biblici nei canti x-xxvi del ‘Purgatorio’dantesco, in Memoria biblica e letteratura italiana, a cura di V. Placella, Napoli, Isti-tuto Universitario Orientale, 1998, pp. 9-32; C. Crevenna, Strategie ricorsive negli« exempla » del ‘Purgatorio’ dantesco, in « ACME. Annali della Facoltà di Lettere eFilosofia dell’Università di Milano », lvii 2004, pp. 33-54.

16. Tra le lecturae del canto piú attente a questo aspetto si possono vedere: G.Varanini, Il trionfo di Cristo e di Maria nel ‘Paradiso’ dantesco (Par. xxiii), in Scritti inonore di Antonio Scolari, Verona, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, 1976, pp.277-99, in particolare alle pp. 290-97; P. Sabbatino, L’Eden della nuova poesia. Sag-gi sulla ‘Divina Commedia’, Firenze, Olschki, 1991, pp. 187-212, in particolare allepp. 200-7; L. Pertile, La forma del desiderio (1984), ora in Id., La punta del disio, cit.,pp. 181-211, in particolare alle pp. 203-7; M. Pazzaglia, Canto xxiii, in LecturaDantis Neapolitana. Paradiso, dir. P. Giannantonio, Napoli, Loffredo, 2000, pp.441-56.

ri simbolici che i lapidari medievali assegnavano a questa pie-tra.17 Tra questi spiccano le virtú di liberare i prigionieri dal car-cere, aprire le porte serrate e sciogliere le catene, placare la divi-nità e renderla sensibile alle preghiere, come si legge nel Lapi-dario di Marbodo di Rennes.18 Sono virtú che possono essere ac-costate a quelle di Maria, che soccorre chi è imprigionato dalpeccato e intercede presso Dio perché gli sia concessa la libertà.D’altra parte lo zaffiro simboleggia anche l’altezza della speran-za celeste e coloro che posti ancora in terra tendono al cielo.19 Sipotrebbe dire che attraverso l’emblema dello zaffiro Maria sirende presente già all’arrivo di Dante sulla spiaggia del Purgato-rio, annunciando la sua fondamentale presenza nella secondacantica e prefigurando quella liberazione dalla prigionia delpeccato che sarà compiuta e celebrata con la sua apparizione nelcielo delle stelle fisse. E a sua volta l’apparizione nel Cielo Stel-lato annuncia quella, piú piena e autentica, nell’Empireo, dovela Vergine si mostrerà a Dante nella sua realtà. Infatti l’espres-sione « il bel zaffiro / del quale il ciel piú chiaro s’inzaffira »(101-2), rimanda proprio alla presenza preziosissima della Vergi-ne nell’Empireo, « il ciel piú chiaro ».

Nei canti dell’Empireo la presenza di Maria è decisiva e la siè potuta in parte già seguire in quanto si intreccia con il tema

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17. Cfr. in proposito E. Raimondi, Rito e storia nel i canto del ‘Purgatorio’, in Id.,Metafora e storia, Torino, Einaudi, 1970, pp. 65-94, alle pp. 69-70; B. Basile, Lo zaf-firo d’oriente: da Dante a Buti, in « Rivista di studi danteschi », v 2005, pp. 155-60.

18. Marbodo di Rennes, De lapidibus, cap. v. De sapphiro, vv. 116-18: « educitcarcere vinctos, / obstructasque fores, et vincula tacta resolvit, / placatumquedeum reddit, precibusque faventem » (in Lapidari. La magia delle pietre preziose, acura di B. Basile, Roma, Carocci, 2006, p. 46).

19. Cfr. Marbodo di Rennes, De lapidum naturis, xiv: « In sapphiro spei cele-stis altitudo » (in Lapidari, cit., p. 122); Lapidum pretiosorum mystica seu moralis appli-catio, II: « Sapphirus celi colorem habet. Significat illos qui adhuc in terra positicelestibus intendunt, et cuncta terrena despiciunt, quasi non sint in terra iuxtaillud: Nostra autem conversatio in celis est [Phil., 3 20] » (in Lapidari, cit., p. 128).

della visione e con il ruolo di Bernardo, che ribadisce la neces-sità di contemplare la Vergine come esperienza preparatoria al-la visio Dei. In particolare possono essere individuate due ulte-riori « mariofanie ».20 Bernardo infatti, dopo che Dante ha con-templato Beatrice nel suo seggio celeste e le ha rivolto una pre-ghiera di ringraziamento, lo invita a “volare con gli occhi” super il giardino dell’Empireo, e in particolare a guardare fino alcerchio piú alto per vedervi « “la regina / cui questo regno èsuddito e devoto” » (xxxi 116-17). E si tratta qui di una appari-zione maestosa e fiammeggiante, come di cielo infiammato al-l’aurora dal sole nascente. La regalità, la luminosità, la bellezzaridente e ineffabile sono gli aspetti piú evidenti di questa primaapparizione di Maria nell’Empireo.21 Ma una nuova contempla-zione è richiesta da Bernardo, dopo aver spiegato a Dante alcu-ni elementi della struttura dell’Empireo. Qui l’enfasi cade inve-ce sul ruolo storico di Maria nell’evento centrale dell’Incarna-zione e quindi sul rapporto speciale fra Maria e Cristo, sulla“somiglianza” straordinaria fra il Figlio e la Madre. Grazie aquesta somiglianza, la contemplazione di Maria svolge una fun-zione essenziale nel preparare il pellegrino alla visione di Cri-sto, che sarà l’ultimo momento della sua visio Dei. Cosí non sor-prende che questa apparizione di Maria sia introdotta dall’ulti-ma occorrenza di una straordinaria struttura della Commedia, latriplice rima Cristo : Cristo : Cristo:22

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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20. Cfr. R. Stefanini, Le tre mariofanie del ‘Paradiso’: xxiii 88-129; xxxi 115-142;xxxii 85-114, in « Italica », lxviii 1991, pp. 297-309.

21. Cfr. Par., xxxi 118-39.22. Per le prime tre occorrenze cfr. Par., xii 70-75; xiv 103-8; xx 103-8. Le raffi-

nate analisi matematiche di T.E. Hart hanno messo in luce che la distribuzionenumerica di questi quattro gruppi di rime in Cristo nel Paradiso è regolata da rap-porti di proporzionalità geometrica. Cfr. The « Cristo »-Rhymes and Polyvalence as aPrinciple of Structure in Dante’s ‘Commedia’, in « Dante Studies », cv 1987, pp. 1-42;The « Cristo »-Rhymes, the Greek Cross, and Cruciform Geometry in Dante’s ‘Commedia’:« giunture di quadranti in tondo », in « Zeitschrift für romanische Philologie », cvi

« ma poi che ’l tempo de la grazia venne, sanza battesmo perfetto di Cristo tale innocenza là giú si ritenne.

Riguarda omai ne la faccia che a Cristo piú si somiglia, ché la sua chiarezza sola ti può disporre a veder Cristo ».

(Par., xxxii 82-87).

E quest’ultima immagine di Maria prima della preghiera conclu-siva, si riallaccia alla sua prima apparizione “visiva” nel poema,l’evocazione dell’Annunciazione come primo esempio di umiltànella prima cornice purgatoriale.23 Cosí anche in quest’ultimoquadro mariano, la Vergine è accompagnata dall’arcangelo Ga-briele e sono rievocate l’Annunciazione e l’Incarnazione.24

Ma se la Vergine è infine invocata perché Dante possa giun-gere al compimento del proprio cammino, se è colei per la cuiintercessione è concessa a Dante la grazia suprema di giungerealla visione di Dio, va ricordato però che Maria ha anche messoin moto per prima la catena di « donne benedette » che portaVirgilio a soccorrere Dante, smarrito fra la selva e il colle, e or-mai rovinosamente risospinto nella selva. Dante non ha chiestoaiuto, ma la Vergine ha provato compassione per il peccatoreimpedito da tanti ostacoli nella ricerca della salvezza. ComeBeatrice racconta a Virgilio: « “Donna è gentil nel ciel che sicompiange / di questo ’mpedimento ov’io ti mando, / sí cheduro giudicio là sú frange” » (Inf., ii 94-96).25 La preghiera dellaVergine in soccorso dell’uomo ha il potere straordinario di vin-

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1990, pp. 106-34. Per alcune considerazioni sulla funzione di questa struttura ri-mica nel Paradiso, cfr. inoltre G. Ledda, Osservazioni sul panegirico di San Domenico(Par. xii, 31-114), in « L’Alighieri », n.s., 27 2006, pp. 105-25, alle pp. 117, 124-25.

23. Cfr. Purg., x 28-45.24. Cfr. Par., xxxii 85-114.25. Sull’interpretazione di questa terzina e sul ruolo di Maria fra le « tre don-

ne benedette » cfr. A.M. Chiavacci Leonardi, Le tre donne benedette (‘Inferno’ ii),

cere la dura giustizia divina, che si lascia vincere dalle sue amo-rose preghiere. Dunque Maria è il motore dell’intera avventuradi Dante, soccorso da Lucia, Beatrice e Virgilio grazie alla suapremurosa iniziativa di misericordia. E, come ha mosso tuttal’avventura, ora è colei che può ottenere per grazia che essa tro-vi il suo supremo compimento.

La preghiera che san Bernardo rivolge alla Vergine si aprecon le parole « Vergine Madre, figlia del tuo figlio ».26 L’ultimocanto inizia richiamando i misteri inaccessibili e incomprensibi-li dell’Incarnazione, e nello stesso modo si chiuderà, in quantodei tre momenti della visione di Dio, è culminante proprioquello della divinità e umanità del Figlio, che Dante cercheràvanamente di comprendere con le forze del proprio intelletto, eche potrà infine cogliere solo grazie a un fulgore divino che col-pisce la sua mente e ne soddisfa misteriosamente il desiderio diconoscenza.27

Grazie agli studi di Erich Auerbach è possibile individuare

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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in Realtà e simbolo della « donna » nella ‘Commedia’. Lectura Dantis Pompeiana, a curadi P. Sabbatino, Pompei, Biblioteca « L. Pepe », 1987, pp. 61-83, specialmente pp.66-69.

26. Tra le lecturae di Par., xxxiii, oltre quelle che saranno citate su punti speci-fici, sono state di utile consultazione: M. Casella, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’(1925), in Letture Dantesche, a cura di G. Getto, Firenze, Sansoni, 1963, pp. 673-92, in particolare pp. 675-81; S. Chimenz, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’, Roma, Si-gnorelli, 1951, in particolare pp. 3-14; M. Fubini, L’ultimo canto del ‘Paradiso’, in Id.,Il peccato di Ulisse e altri scritti danteschi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1966, pp. 101-36,in particolare pp. 105-23; A. Sacchetto, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’, in Casa diDante in Roma. Nuove letture dantesche. Volume settimo, Anno di studi 1971-1972, Fi-renze, Le Monnier, 1974, pp. 265-87, in particolare pp. 266-73; E. Esposito, Il can-to dell’ultima visione (‘Paradiso’ xxxiii), in « Letture Classensi », vii 1979, pp. 11-26, inparticolare pp. 14-20; P. Giannantonio, Canto xxxiii, in Lectura Dantis Neapolita-na, cit., pp. 679-705, in particolare pp. 679-91; G. Güntert, Canto xxxiii, in Lec-tura Dantis Turicensis, iii. ‘Paradiso’, cit., pp. 505-18.

27. Cfr. Par., xxxiii 127-41. Sul rapporto fra l’inizio e la conclusione del canto sivedano le osservazioni di A. Jacomuzzi, « L’imago al cerchio ». Nota sul canto xxxiii

nella preghiera di Bernardo i tre momenti tipici della preghieraclassica nella sua declinazione cristiana: l’invocazione della divi-nità attraverso il vocativo; l’elenco laudatorio delle virtú e delleprerogative della divinità invocata, detto eulogia, o aretologia odossologia; infine la supplicatio, cioè le richieste indirizzate alla di-vinità.28 In questo caso l’invocazione al vocativo è nella primaterzina; l’eulogia copre le successive sei terzine, sino al v. 21. Leultime sei terzine sono invece riservate alla complessa e artico-lata supplicatio.

In realtà la prima terzina, anche se nella forma del vocativo,esprime già la lode delle prerogative di Maria, e nella forma piúalta e vertiginosa. Nelle terzine successive la lode delle virtú sa-rà invece espressa attraverso la forma sintattica caratteristica del-la preghiera, studiata da Norden e da Auerbach: il cosiddetto« “Du”-Stil », cioè l’uso della seconda persona singolare.29 Spes-so tali preghiere erano caratterizzate dall’uso del tu anaforico. Eil testo accenna a questa formula, con l’apertura della secondaterzina al v. 4: « tu se’ colei che l’umana natura », ma poi ricorrea una sua declinazione flessibile e non ripetitiva: in particolarela seconda persona del presente indicativo del verbo essere, sei,(« se’ a noi meridiana face »; « se’ di speranza fontana vivace »; « se’tanto grande e tanto vali »). Ma si alternano formulazioni sintat-ticamente piú varie, centrate sull’uso degli aggettivi possessivi(« Nel ventre tuo »; « la tua benignità »); o ancora sulla forma delpronome complemento: annunciata nella quinta terzina (« a tenon ricorre »), questa diventa poi la formula strutturante della

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del ‘Paradiso’, in Id., L’imago al cerchio e altri studi danteschi, Milano, Franco Angeli,1995, pp. 11-24, a p. 11.

28. E. Auerbach, La preghiera di Dante alla Vergine (Par., xxxiii) ed antecedenti elo-gi (1949), in Id., Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 1984, pp. 273-308.

29. Oltre a E. Auerbach, Studi su Dante, cit., pp. 273-74, cfr. anche E. Norden,Agnostos Theos. Untersuchungen zur Formengeschichte religiöser Rede, Leipzig-Berlin,Teubner, 1913, pp. 143-63.

terzina conclusiva della lode, con la quadruplice anafora « In temisericordia, in te pietate, / in te magnificenza, in te s’aduna ».30

Poiché già il vocativo della prima terzina esprime le lodi del-la Vergine, potremmo dire che costituisce una solenne aperturain forma vocativa della eulogia, di cui per il resto fa pienamenteparte. Dunque il movimento iniziale, vocativo + eulogia si sno-da nelle prime sette terzine del canto. In particolare le prime treterzine si soffermano sulla figura storica di Maria, sul suo ruolodecisivo nella storia dell’umanità e della Redenzione. La primasi apre sui misteri inaccessibili dell’Incarnazione, sulle contrad-dizioni e gli ossimori della maternità e verginità, e sui paradossidella figlia di Dio che ne è al contempo la madre. Sono temi ri-petuti instancabilmente nella teologia e nell’innologia mariana,per mostrare lo scacco della logica, della scienza, della ragioneumana al cospetto dei supremi misteri divini. E in tal modo l’i-nizio del canto si collega perfettamente alla sua conclusione,dove per illustrare l’impossibilità di comprendere la misteriosacompresenza della effige umana nel cerchio divino, si allude auno dei piú celebri impossibilia scientifici: l’impossibilità per il« geomètra » di calcolare la quadratura del cerchio.31

Ma la natura ossimorica di Maria nella sua dimensione terre-na è richiamata nel secondo verso nelle modalità esemplari chehanno già fatto di lei la protagonista degli esempi di virtú nelle

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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30. Sull’alternanza di « Du-Stil » e di « indirekte Prädikation » nella preghieraalla Vergine, cfr. la fine analisi di R. Liver, Die Nachwirkung der antiken Sakralspra-che im christlichen Gebet des lateinischen und italienischen Mittelalters. Untersuchungen zuden syntaktischen und stilistischen Formen dichterisch gestalteter Gebete von den Anfängender lateinischen Literatur bis zu Dante, Bern, Francke, 1979, pp. 392-98.

31. Cfr. Par., xxxiii 133-38. Il riferimento ad adynata conoscitivi geometrici perindicare analogamente l’impossibilità di sciogliere e comprendere il misterodell’Incarnazione e dunque lo scacco dell’intelletto umano di fronte a esso è untópos piuttosto diffuso nell’innografia. Cfr. in proposito, anche per ulteriori rife-rimenti bibliografici, G. Ledda, La guerra della lingua. Ineffabilità, retorica e narrativanella ‘Commedia’ di Dante, Ravenna, Longo, 2002, pp. 317-18.

cornici del Purgatorio: « “umile e alta piú che creatura” ». L’u-miltà era la prima delle virtú di Maria lí celebrate, e si richiama-va il momento dell’Annunciazione.32 Ora si richiama la centra-lità di questa virtú tipicamente cristiana e la sua paradossalità ri-spetto alle virtú del mondo pagano. Maria è il modello supre-mo di umiltà e nell’orizzonte etico cristiano l’umiltà è la solavirtú che consenta di salire verso l’alto. Per questo, essendo lapiú umile fra le creature, è al contempo la piú alta. Perché l’u-miltà innalza, mentre la superbia che mira verso l’alto porta aprecipitare miseramente in basso, come dimostrano ad abundan-tiam i ben tredici esempi di superbia punita scolpiti sul pavi-mento della cornice purgatoriale dei superbi, in contrapposizio-ne ai tre esempi di umiltà aperti da quello di Maria;33 o un altroexemplum ancora piú memorabile, quello dell’ultimo viaggio diUlisse il cui « folle volo » anziché giungere verso l’alto porta tra-gicamente a un « ire in giú ».34

Per questa umiltà suprema e per questa conseguente altezzanella virtú, Maria fu la prescelta per essere colei che aprí la portadell’amore di Dio, chiuso agli uomini dopo il peccato dei proge-nitori: la sua umiltà e altezza resero possibile la decisione di Diodi mandare il suo figlio a incarnarsi in lei e a farsi uomo, percompiere il sacrificio che avrebbe aperto agli uomini la via delcielo.35 Ma questa decisione era eternamente presa da Dio, cheda sempre aveva prescelto Maria come colei nella quale il pro-

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32. Cfr. Purg., x 34-45. Cfr. in proposito A.M. Chiavacci Leonardi, Le beatitu-dini e la struttura poetica del ‘Purgatorio’, cit., pp. 26-29; M. Semola, Maria e gli altri“exempla” biblici nei canti x-xxvi del ‘Purgatorio’ dantesco, cit., pp. 16-17.

33. Cfr. Purg., xii 25-63.34. Naturalmente il rimando è a Inf., xxvi 90-142, con citazioni dai vv. 125 e

141. Piú in generale sulle dinamiche e le opposizioni paradossali alto/basso nel-la riflessione morale e teologica medievale intorno alla superbia e all’umiltà, cfr.C. Casagrande e S. Vecchio, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, To-rino, Einaudi, 2000, pp. 3-35.

35. Si veda ancora Purg., x 34-45.

prio figlio si sarebbe incarnato. Questo significa il terzo, vertigi-noso verso, « “termine fisso d’etterno consiglio” »: Maria è il ter-mine fissato per il compiersi nel tempo storico di un decreto di-vino stabilito ab aeterno nel disegno misterioso della Redenzione.E anche qui è avvertibile l’antitesi fra il tempo e l’eternità.

La prodigiosa concentrazione semantica della prima terzinasi scioglie nella seconda e nella terza, che svolgono piú distesa-mente i temi dell’Incarnazione e della Redenzione, dapprimaattraverso la ripresa del motivo dell’altezza o nobiltà di Maria,che non contrasta con la sua profonda umiltà, ma ne è anzi laconseguenza e il risultato:

« tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sí, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura »

(Par., xxxiii 4-6)

L’umile nobiltà di Maria è tale che innalza e nobilita l’umanitàintera, tanto da rendere possibile l’incarnarsi di Cristo, il suofarsi uomo. E anche qui non mancano tracce della retorica delparadosso nel gioco fattore-fattura, che era del resto tradizionale ediffuso.36

La caratteristica piú forte di queste prime terzine è il loro es-sere costruite su antitesi che si risolvono in ossimori,37 cosí an-

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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36. Fra i riscontri solitamente citati si possono ricordare le formule simili nellaLaus Christi, dove Cristo è chiamato «matris parens », e poi « Ipse opifex, opus ipsetui » (cfr. E. Auerbach, Studi su Dante, cit., pp. 282-83; P. Dronke, The Conclusion ofDante’s ‘Commedia’, in « Italian Studies », xlix 1994, pp. 21-39, alle pp. 25-26), e del DeBeata Maria Virgine Hymnus (O genetrix aeterni) di Pier Damiano: « fit factor ex factu-ra » (cfr. Analecta Hymnica, xlviii 52).

37. Per un’analisi delle figure retoriche presenti nel canto, con particolare at-tenzione alla parte oggetto anche della presente lettura, cfr. A. Pennacini, Reto-rica e teologia nel canto xxxiii del ‘Paradiso’, in La parola al testo. Scritti per Bice MortaraGaravelli, a cura di G.L. Beccaria e C. Marello, Alessandria, Edizioni dell’Or-so, 2002, to. ii pp. 933-42.

che le conseguenze dell’Incarnazione sono viste nei suoi termi-ni estremi, saltando ogni passaggio intermedio. Qui, dall’istantedell’Incarnazione nel tempo e nella carne umana di Maria sipassa alla pace eterna in cui fiorisce la rosa della beatitudine. Eil caldo amore divino che si accese nel ventre di Maria è quelcalore che nell’eternità del Paradiso fa germogliare il « fiore »della beatitudine. Le metafore dell’accensione d’amore, del ca-lore vivificante, della generazione vegetale, culminano nel sem-plice deittico « questo fiore », a indicare la rosa dei beati,38 il ri-sultato eterno del gesto d’amore divino, accesosi nel ventre diMaria (7-9):

« Nel ventre tuo si raccese l’amore,per lo cui caldo ne l’etterna pacecosí è germinato questo fiore ».

Maria è dunque il luogo in cui la divinità e l’umanità si incon-trano, in cui Dio si fa uomo. E forse la stessa rappresentazionedell’umanità salvata nella « forma di candida rosa », che sostitui-sce infine l’immagine biblica del paradiso come città, è collega-ta alla figura di Maria, che a sua volta è definita, in Par., xxiii, « larosa in che ’l verbo divino / carne si fece ».39 L’umanità salvata

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38. Secondo una diversa interpretazione « questo fiore » indicherebbe Cristo.Cfr. in proposito A. Vallone, La preghiera di S. Bernardo, in « Humanitas », x 1955,pp. 775-88, anche in Id., Studi su Dante medievale, Firenze, Olschki, 1965, pp. 91-109 (da cui si cita), a p. 104; R. Liver, Die Nachwirkung der antiken Sakralsprache,cit., pp. 394-95. Tuttavia, pur essendo incontestabile l’esistenza di una tradizio-ne, di cui Vallone e Liver portano qualche esempio, che indica metaforicamen-te Cristo come fiore fiorito in Maria, occorre ricordare che nel contesto dei can-ti dell’Empireo e in particolare nei discorsi di Bernardo vi sono numerose oc-correnze dei termini fiore e rosa, e sempre in riferimento ai beati ordinatamentedisposti nei loro seggi nell’Empireo: cfr. per esempio xxxi 1; 10; 16; xxxii 15; 18;22; 120.

39. Par., xxiii 73-74. L’immagine di Maria-rosa è del resto diffusissima nellatradizione innologica.

nel Paradiso è una rosa perché una rosa è colei grazie alla qualela salvezza è resa possibile, colei dalla quale è nato Cristo e at-traverso Cristo la stessa umanità salvata, come con vertiginosasintesi dichiara questa terzina.40

E dopo le prime tre terzine dedicate al ruolo storico di Marianella vicenda della Redenzione, Bernardo passa a esaltare la Ma-donna per le sue prerogative attuali, di regina del cielo e puntodi riferimento per gli uomini nella vita terrena. Anche qui il di-scorso si impernia sulle antitesi fra « qui », cioè in Paradiso, e« giuso intra’ mortali ». In quanto regina del cielo, ella risplendedi carità ai beati come una fiaccola meridiana, cioè come il sole amezzogiorno,41 mentre per gli uomini ancora nella vita terrena emortale è una fonte viva e inesauribile di speranza (10-12):

Qui se’ a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ’ mortali,se’ di speranza fontana vivace.

Quest’ultima caratterizzazione è stata collegata da alcuni stu-diosi a un’immagine usata da san Bernardo in un sermone in lo-de di Maria, che viene paragonata a un acquedotto, in quantoporta agli uomini la grazia del Dio inaccessibile, come un ac-quedotto trasporta l’acqua dalle altezze inaccessibili delle mon-tagne.42

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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40. Cfr. A.M. Chiavacci Leonardi, « In te misericordia, in te pietate ». Maria nella‘Divina Commedia’, cit., pp. 330-31.

41. Sulla tradizione biblica ed esegetica sottesa all’espressione « meridiana fa-ce di caritate », oltre a E. Auerbach, Studi su Dante, cit., pp. 267-68, si veda ancheM. Bambeck, Studien zu Dantes ‘Paradiso’, Wiesbaden, Franz Steiner, 1979, pp.164-75.

42. Cfr. E. Auerbach, Lumen meridianum, in Passi della ‘Commedia’ dantesca illu-strati da testi figurali, in Id., Studi su Dante, cit., pp. 243-72, alle pp. 267-68, dove si sot-tolinea che nei vv. 10-12 « Dante fa parlare Bernardo di Chiaravalle con le stesseimmagini, lo stesso contrasto, che questi adopera nel citato sermone De aquae-

Ma mi sembra ancora piú degno di nota l’accento sulla spe-ranza. Esso stabilisce un rapporto speciale fra Dante e la Vergi-ne, perché nel canto xxv, nel corso dell’esame cui i tre apostoli,Pietro, Giacomo e Giovanni, sottopongono Dante sulle tre vir-tú teologali, fede, speranza e carità, Beatrice sottolinea come tratutti gli uomini viventi Dante sia il piú ricco di questa virtú:« “la Chiesa militante alcun figliuolo / non ha con piú speran-za” » (xxv 52-53). E san Giacomo, poco prima, aveva salutatoDante, sottolineando che Dio, per grazia, ha voluto che il poe-ta, ancora vivente, vedesse il Paradiso, affinché potesse riconfor-tare in se stesso e negli altri uomini la speranza, che nella vitaterrena fa innamorare del bene: « “sí che, veduto il ver di questacorte, / la spene, che là giú bene innamora, / in te e in altrui diciò conforte” » (43-45). La grazia della visione dell’aldilà, e inparticolare del Paradiso, è concessa a Dante perché egli possa ri-confortare in sé e negli altri uomini la speranza, come Paoloaveva recato conforto alla fede.43 È questa la missione che Dan-

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ductu (In Nativ. B. Mariae Virg. Sermo, par. 2-4, Patr. lat., clxxxiii 439-40). Nel ser-mone di Bernardo Cristo è “fons indeficiens, fons hortorum, fons vitae”, ma Ma-ria è l’acquedotto che conduce le acque verso di noi: “Descendit per aquaeduc-tum vena illa coelestis, non tamen fontis exhibens copiam, sed stillicidia gratiaearentibus cordibus nostris infundens, aliis quidem plus, aliis minus. Plenus equi-dem aquaeductus, ut accipiant caeteri de plenitudine, sed non plenitudinem ip-sam. Advertistis iam, ni fallor, quem velim dicere aquaeductum, qui plenitudi-nem fontis ipsius de corde Patris excipiens, nobis edidit illum, si non prout est,saltem prout capere poteramus” ». Cfr. inoltre G. Petrocchi, Dante e la mistica diSan Bernardo, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, a cura di W.Binni et al., Roma, Bulzoni, 1974-77, vol. i pp. 213-29, a p. 229. Una critica persua-siva a un troppo stretto accostamento fra i due testi avanza però S. Botterill,Dante and the Mystical Tradition, pp. 186-88, che osserva come la metafora dellafonte fosse comune nella letteratura medievale, mente quella dell’acquedottosembra esclusiva di Bernardo. E di questa immagine squisitamente bernardiananon si hanno in realtà, come osserva Botterill, tracce precise nel testo dantesco.

43. Mi riferisco ovviamente a Inf., ii 28-30: « “Andovvi poi lo Vas d’elezïone, /per recarne conforto a quella fede / ch’è principio a la via di salvazione” ». Mi

te assegna al proprio poema: riconfortare negli uomini la spe-ranza della salvezza. E in quello stesso canto xxv, il tema dellasperanza era svolto con immagini acquatiche. La speranza giun-ge a Dante, o meglio piove in lui dai Salmi di David, in partico-lare dal Salmo 9, Sperent in te. Dai testi sacri giunge a Dante, co-me una pioggia benefica, il dono della speranza.44 Egli si sentepieno di speranza e desidera farla ripiovere a sua volta sugli altriuomini: « “sí ch’io son pieno, / e in altrui vostra pioggia re-pluo” » (xxv 77-78). E questo crea un ulteriore collegamentospeciale fra la Vergine, « di speranza fontana vivace » e Dante, lacui missione profetica è quella di far piovere negli uomini pro-prio la speranza.

Un nuovo vocativo, Donna, cioè domina, ‘signora’, introducele ultime tre terzine della lode, nelle quali è al centro non piúl’aspetto storico di Maria, ma quello permanente di signora delcielo potente e misericordiosa, sempre pronta a soccorrere gliuomini e a ottenere per loro la grazia divina (13-15):

« Donna, se’ tanto grande e tanto vali,che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali ».

La potenza di Maria è necessaria per l’uomo. Senza la sua inter-cessione non è possibile ottenere la grazia che aiuta l’uomo a

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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pare degna di nota la designazione delle due missioni attraverso elementi lessi-cali e strutture sintattiche simili, a sottolineare una relazione molto stretta.

44. Cfr. Par., xxv 70-78: « “Da molte stelle mi vien questa luce; / ma quei ladistillò nel mio cor pria / che fu sommo cantor del sommo duce. // ‘Sperinoin te’, ne la sua tëodia / dice, ‘color che sanno il nome tuo’: / e chi nol sa, s’el-li ha la fede mia? // Tu mi stillasti, con lo stillar suo, / ne la pistola poi: sí ch’ioson pieno, / e in altrui vostra pioggia repluo” ». Si osservi in questo brano ilpassaggio da una prima immagine di luce astrale a quelle successive apparte-nenti all’area semantica dell’acqua, analogamente a quanto avviene in Par.,xxxiii 10-12.

compiere i propri desideri piú alti e autentici. In questa terzinacolpisce la ripresa del lessico del desiderio e soprattutto dellagrazia e del volo, come nelle ultime terzine del canto preceden-te (xxxii 145-48). Qui viene ancora ribadito il tema del « follevolo », che si chiarisce come un volo senza ali, esattamente co-me quello di Ulisse, che si era illuso di trasformare in ali i remidella sua nave.45 Per « l’alto volo » che porta l’uomo verso la co-noscenza e la felicità sono necessarie le ali della grazia, e questanon può venire se l’uomo non riconosce i propri limiti e non ri-corre umilmente all’aiuto della divinità, invocando il soccorsodella Vergine, che sola può ottenere da Dio ogni grazia. Purespressa in termini che paiono generali, questa prerogativa diMaria ha dunque ampie e profonde risonanze nella vicenda diDante, nella sua impresa di viaggiatore dell’aldilà, mai superbodel privilegio che gli è concesso, ma sempre umilmente prontoa chiedere l’aiuto divino alla propria impresa.

E la bontà della Vergine verso l’umanità è tale che non solosoccorre coloro che si rivolgono a lei, ma spesso previene con ilsuo generoso intervento la richiesta dell’uomo, chiuso nel suoorgoglio e incapace di chiedere aiuto (16-18):

« La tua benignità non pur soccorrea chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre ».

E questo intervento pietoso e gratuito della Vergine è quelloche, come sappiamo, ha salvato Dante dallo smarrimento nellaselva: il “compiangersi” di Maria in cielo ha messo in moto Lu-cia, Beatrice e Virgilio per soccorrere Dante e condurlo verso lasalvezza.

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45. Naturalmente mi riferisco al verso « “de’ remi facemmo ali al folle volo” »(Inf., xxvi 125). Per un’analisi retorica e intertestuale di questo verso, cfr. E. Rai-mondi, Per una immagine della ‘Commedia’, in Id., Metafora e storia, cit., pp. 31-37.

Cosí la lode alla Vergine può concludersi trionfalmente conuna terzina che riprende il v. 2, « umile e alta piú che creatura »,declinando le virtú di Maria, ora nella sua dimensione di eternasoccorritrice del genere umano, nel ritmo solenne dell’anaforadi in te (19-21):

« In te misericordia, in te pietate,in te magnificenza, in te s’adunaquantunque in creatura è di bontate ».

L’ultima parte della preghiera è costituita dalla supplicatio ve-ra e propria. Le richieste formulate concernono tre punti di-versi e collegati fra loro. I primi due sono anzi due aspetti del-lo stesso punto: si richiede per il pellegrino un ulteriore ac-crescimento delle facoltà visive, « tanto di virtute », che gliconsenta di innalzare lo sguardo verso Dio e inoltre che nel ri-guardarlo egli sia liberato da tutti gli impedimenti e i limitidella sua natura mortale, cosí che possa vedere Dio in tutto ilsuo splendore.

Nella prima terzina della supplicatio, Bernardo presenta, si po-trebbe dire, le credenziali del suo protetto, rievocando in unavertiginosa sintesi l’intero viaggio oltremondano del pellegrino.È un luogo testuale esattamente simmetrico e corrispondenterispetto all’annuncio del viaggio pronunciato da Virgilio nel pri-mo canto del poema.46 Qui il discorso si fonda ancora su figure

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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46. Cfr. Inf., I 112-29. Una rievocazione analettica del viaggio compiuto fino aquel punto è fatta pronunciare allo stesso Dante personaggio nel dialogo conCacciaguida: « “Giú per lo mondo sanza fine amaro, / e per lo monte del cuibel cacume / li occhi de la mia donna mi levaro, // e poscia per lo ciel, di lumein lume, / ho io appreso quel che s’io ridico, / a molti fia sapor di forte agru-me” » (Par., xvii 112-17). Su questo argomento cfr. G. Mezzadroli, Enigmi del rac-conto e strategia comunicativa nei riassunti autotestuali della ‘Commedia’ dantesca, in« Lettere Italiane », xli 1989, pp. 481-531.

di antitesi e traccia come una linea verticale tra i punti estremi,il piú basso e il piú alto, toccati dall’itinerario oltremondano diDante (22-24):

« Or questi, che da l’infima lacunade l’universo infin qui ha vedutele vite spiritali ad una ad una »

Ed ecco la supplicatio, aperta dal verbo tecnico « supplica », allaterza persona. La richiesta viene formulata ancora attraverso illessico della grazia, e tale parola ricorre per la quarta volta in po-chi versi (25-27):

« supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsipiú alto verso l’ultima salute ».

È la richiesta di un ulteriore accrescimento delle virtú visive econoscitive umane di Dante, perché egli possa vedere Dio, su-prema salvezza. Ma la richiesta è formulata ancora con il lin-guaggio del volo con gli occhi, « “con li occhi levarsi / piú al-to” », a confermare la crucialità della metafora del volo, che ver-rà infatti mantenuta fino agli ultimi versi del canto e del poema(v. 139: « ma non eran da ciò le proprie penne »).

Se la prima richiesta era introdotta da una terzina di pre-sentazione del protetto di Bernardo, di cui si ricordava l’e-sperienza dell’intera realtà oltremondana, questa seconda ri-chiesta è introdotta invece da una sottolineatura della parte-cipazione di Bernardo, che arde dal desiderio per la visionedi Dante non meno di quanto arda per il desiderio della vi-sione propria. La seconda richiesta è una sorta di necessariocorollario della prima: che Dante sia liberato dagli impedi-menti della sua natura mortale (non dimentichiamo che egliè lí nell’Empireo al cospetto di Dio con il suo corpo morta-

giuseppe ledda

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le),47 cosí da poter vedere pienamente la divinità dispiegarsinella sua realtà di suprema bellezza (28-33):

« E io, che mai per mio veder non arsipiú ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghidi sua mortalità co’ prieghi tuoi,sí che ’l sommo piacer li si dispieghi ».

La metafora della nube della mortalità con la quale Bernardoesprime la richiesta costituisce una straordinaria variazione e unulteriore ribaltamento del motivo biblico del Deus absconditus

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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47. Sul tema del corpo di Dante in Paradiso cfr. M. Picone, Canto ii, in Lec-tura Dantis Turicensis. Paradiso, cit., pp. 35-52, alle pp. 35-39. Una nuova inter-pretazione della progressiva trasformazione del corpo di Dante, a partire dal« trasumanar » di Par., I 64-75 sino al soddisfacimento della preghiera di Ber-nardo che il suo corpo sia liberato da ogni « nube [ . . . ] di sua mortalità », offreora M. Gragnolati, Experiencing the Afterlife. Soul and Body in Dante and Medie-val Culture, Notre Dame (Indiana), University of Notre Dame Press, 2005, pp.161-78 e 249-50. Particolarmente incisiva l’osservazione di Gragnolati chemette in relazione la richiesta di Bernardo con il passo ovidiano riferito aGlauco, in particolare con le preghiere, poi esaudite, perché l’uomo sia libe-rato da ogni residuo mortale (« quaecumque mortalia ») nel processo di deifi-catio: « Di maris exceptum socio dignantur honore, / utque mihi, quaecum-que feram mortalia, demant, / Oceanum Tethynque rogant » (Ovidio, Met.,xiii 949-951). In particolare osserva Gragnolati: « At the end of the pilgrim’sjourney in heaven, the text makes a reference to the Glaucus passage thatmarks the beginning: Bernard prays that Mary free the pilgrim from any re-maining mortality (“ogni nube . . . di sua mortalità”) so that the transforma-tion that began with the “trasumanar” of canto I can be completed, and hisbody can fully attain the “non posse mori” of resurrection. It is only now thatthe pilgrim’s body is as strong as the resurrected body that Solomon first de-scribed, finally able to enjoy the beatific vision in its fullness » (p. 177). Sebbe-ne trovi persuasivo il richiamo al passo di Glauco, non seguo tuttavia l’inter-pretazione che ne propone Gragnolati, secondo cui lo stesso Dante personag-gio, come già i beati nell’Empireo, sarebbe infine dotato del corpo risorto co-sí da poter sostenere la visione di Dio.

nelle nubi, rovesciato nell’immagine dell’uomo circondato dallenubi, dai veli della sua natura mortale e imperfetta che ne limi-tano le capacità conoscitive.48

La nuova, ulteriore richiesta è segnalata da un nuovo vocati-vo, regina, in climax rispetto al precedente donna, con la clausolarelativa laudatoria che sottolinea il grande potere della Vergine(34-39):

« Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani,dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:vedi Beatrice con quanti beatiper li miei prieghi ti chiudon le mani! »

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48. Per il tema, infinitamente ripetuto e variato nella Bibbia, dell’esigenza dischermare la luminosità annientante del divino attraverso il nascondimento o ilvelamento, che possono essere a parte obiecti (e quindi il motivo del « Deus ab-sconditus in nube ») o a parte subiecti (e quindi il nascondersi di Mosè, o di altroessere umano, dietro una roccia), cfr. Ex., 13 21-22; 14 19; 16 10; 19 9; 19 16; 20 21;24 15-18; 33 10; 34 5; 40 34-38; Nm., 9 15-23; 10 11-12; 10 34; 11 25; 12 5; Deut., 1 32-33; iii Reg., 8 10-12; ii Par., 6 1; Neh., 9 12; 9 19; Ps., 17 12; 77 14; Is., 45 15. Inoltre, peril motivo dell’homo absconditus: Ex., 3 6; 33 18-23; Idc., 13 22-23. Is., 6 2. Per alcunipassi danteschi che presentano variazioni del motivo del nascondimento e delvelamento o della luce divina o del contemplante, cfr. Purg., xv 10-33; xxx 22-33;64-71; xxi 4-12; xxx 82-96; xxxiii 28-33. In Dante il motivo del velamento puòessere ribaltato, e cosí a velare gli esseri beati o divini è talvolta la loro stessa lu-ce: Purg., xvii 52-54; Par., v 130-39; viii 46-54; xxx 46-51. Infine l’immagine del ve-lamento può essere utilizzata, con ulteriore rovesciamento metaforico, per loscacco della vista causato dalla distanza: Par., vii 7-9. Il rovesciamento operato daDante sull’immagine del Deus absconditus in nube e delle « nubi della mortalità »era anticipato in una importante invocazione della Consolatio Philosophiae diBoezio, i cui rapporti con la preghiera di Bernardo alla Vergine sono stati sotto-lineati soprattutto da P. Dronke, The Conclusion of Dante’s ‘Commedia’, cit., pp. 23-25. In particolare sono rilevanti i versi della supplicatio nella preghiera boeziana:« Da, pater, augustam menti conscendere sedem, / da fontem lustrare boni, daluce reperta / in te conspicuos animi defigere visus. / Dissice terrenae nebulaset pondera molis / atque tuo splendore mica; tu namque serenum » (Boezio,Cons. Phil., iii m. 9 vv. 22-26).

Questa richiesta viene tradizionalmente intesa nel senso chela Madonna preservi Dante dal ricadere nella colpa, mante-nendo puri i suoi « affetti », le sue inclinazioni. Sarebbe dun-que una sollecitazione di quello che i teologi chiamano il do-no della perseveranza finale: persistere nella luce della grazia,senza piú peccare, fino alla morte.49 Tuttavia, il dono dellaperseveranza finale era già stato concesso precedentemente,grazie alla mediazione di Beatrice, che aveva sorriso in segnodi assenso a Dante che supplicava: « “La tua magnificenza inme custodi, / sí che l’anima mia, che fatt’hai sana, / piacentea te dal corpo si disnodi” » (xxxi 88-90). Inoltre resta la so-stanziale estraneità di una simile nota morale in un momentodi intensissima ed esclusiva tensione conoscitiva e di assolutaconcentrazione sulla possibilità e sui modi della visione dellaluce suprema.

È probabile allora che si possa trattare si una sorta di richiestadi garanzie: dopo tanti cedimenti, scacchi e potenziamenti del-la vista del pellegrino, e accecamenti temporanei e rischi di in-cenerimenti per la luminosità di angeli e beati, è chiaro il ri-schio di annientamento sensoriale insito nel fissare lo sguardonella luce suprema con occhi mortali, sia pure potenziati e resicapaci di vedere. Cosí si deve pregare che la vista e la stessa vita

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49. Ecco per esempio come commenta in proposito N. Sapegno: « che tu lopreservi dal ricadere nella colpa, mantenendo sani, puri, i suoi affetti, le sue incli-nazioni, come è giusto che sia, dopo che avrà contemplato il Sommo Bene (do-po tanto veder), a paragone del quale dovrebbero perdere ogni lusinga tutti i benicaduchi della terra. Analogo concetto nella preghiera di Dante, in Par., xxxi 88-90; dove, come qui, è invocato quello che i teologi definiscono il dono dellaperseveranza finale, di persistere cioè nella luce della grazia, senza piú peccare,fino alla morte ». E il verso « Vinca tua guardia i movimenti umani » è cosí chio-sato da Sapegno: « la tua custodia, il tuo vigile patrocinio, tenga a freno in lui glistimoli delle umane passioni ». Analoghe interpretazioni, per limitarmi ai com-menti piú recenti, sono fornite da U. Bosco e G. Reggio, e da A.M. Chiavac-ci Leonardi.

del contemplante siano preservate dagli effetti devastanti dellavisione di Dio, e che la custodia della Vergine sul contemplantesia piú forte della debolezza umana che soccomberebbe a talevisione, come è scritto nell’Esodo: « non enim videbit me homoet vivet » (Ex., 33 22).50 È questa l’interpretazione del passo cheho sostenuto in altre occasioni,51 in parte simile a quella propo-

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50. Sono numerosi i luoghi biblici, specialmente dell’Esodo, relativi alla visio-ne di Dio da parte di Mosè, che presentano i motivi del pericolo di annienta-mento del contemplante per l’insostenibile luce divina. In piú passi biblici siparla esplicitamente del pericolo mortale insito nel vedere Dio, dell’impossibi-lità di vedere la luce divina senza morire: Ex., 19 21; 33 18-23; Num., 4 20; Idc., 622-23; 13 22-23. Il rischio di un contatto potenzialmente devastante con il divinoè ben presente anche nella cultura classica, per esempio nel mito di Semele,evocato anche da Dante in un momento cruciale del Paradiso (xxi 1-12). Cfr. inproposito, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, G. Ledda, Semele e Narci-so: miti ovidiani della visione nella ‘Commedia’ di Dante, cit., pp. 21-27.

51. Cfr. G. Ledda, La guerra della lingua, cit., pp. 309-10. Su una linea per certiaspetti simile si muove anche l’interpretazione di G. Bàrberi Squarotti, Lapreghiera alla Vergine: Dante e Petrarca, in « Filologia e critica », xx 1995, pp. 365-74,alle pp. 367-70. A sua volta R. Pinto, Il viaggio di ritorno: Pd. xxxiii, 142-145, in« Tenzone », 4 2003, pp. 199-226, alle pp. 210-11, propone, seguendo in parte Bàr-beri Squarotti, un « lettura “fisiologica” degli affetti e dei movimenti del prota-gonista ». Infatti, sostiene Pinto, « il rischio a cui Dante si espone, nella perce-zione visiva di Dio, è che la excellentia (cioè l’eccesso) dell’oggetto sensibile cor-rompa l’organo della sua sensibilità. [ . . . ] Dante deve essere aiutato non solonella fase dell’innalzamento della sua sensibilità al cospetto di Dio, ma anchenella fase del ritorno alla normalità esistenziale, che l’eccesso di potenza delsensibile potrebbe compromettere distruggendo le sue facoltà psicofisiche pri-ma che questo ritorno si produca ». Sembra andare in questa direzione anche lalettura di P.A. Perotti, La preghiera alla Vergine (Par. xxxiii, 1-39), in « L’Alighieri »n.s. 6, anno xxxvi, 1995, pp. 75-83, alle pp. 80-81, il quale ritiene che l’aggettivosano indichi qui la salute fisica e mentale del poeta e la richiesta concerna dun-que « la conservazione della sanità mentale, dell’equilibrio psichico del poeta[ . . . ] dopo l’abbacinante visione di Dio ». L’intepretazione di Perotti è accoltaanche nel nuovo commento alla Commedia a cura di R. Merlante e S. Prandi,Brescia, La Scuola, 2005. A questa linea si poteva forse già ascrivere anche l’in-terpretazione di M. Aversano che intende la richiesta come invocazione della

sta da Lino Pertile, secondo cui, piú particolarmente, sarebbel’aspetto affettivo della visione, il gustare la beatitudine a esserepotenzialmente devastante per il pellegrino.52

Questa interpretazione continua a sembrarmi valida e per-suasiva, tuttavia vorrei suggerire, in via sperimentale, anche unalettura lievemente diversa. Il termine affetti potrebbe coprire,come spesso avviene nel linguaggio dantesco, il campo della vo-lontà e del desiderio.53 La visione di Dio che a Dante viene con-

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« tutela celeste per la preservazione delle facoltà interiori » (La conclusione della‘Commedia’, in Id., La quinta ruota. Studi sulla ‘Commedia’, Torino, Tirrenia Stam-patori, 1988, pp. 189-221, a p. 215), e cita a riscontro il passo di Gregorio Magnosu Daniele: « Sic Daniel sublimem visionem videns, per plurimos dies elanguitet aegrotavit » (PL, 76 1242).

52. Tale interpretazione è stata avanzata da L. Pertile in un saggio del 1981,‘Paradiso’, xxxiii: l’estremo oltraggio, in « Filologia e critica », vi 1981, pp. 1-21, ora ri-preso nel volume La punta del disio, cit., pp. 247-63 (da cui si cita). Pertile avanzala proposta che la supplicatio si articoli nei seguenti tre momenti e tre richieste:« che venga concesso a Dante il supplemento di potere necessario perché arrivia vedere Dio »; « che Dante venga liberato dalle limitazioni della sua condizio-ne mortale perché possa godere appieno del “sommo piacer” »; « che in conse-guenza della visione l’anima, i sentimenti, gli “affetti” di Dante non siano ine-briati o sconvolti, ma rimangano “sani”, sicché egli possa portare impresso in es-si, per narrarlo dopo, qualcosa di ciò che ha provato se non tutto ciò che ha vi-sto » (p. 250). Infatti, « Beatrice ha sanato l’anima del pellegrino [ . . . ]. Ma il suocorpo è ancora quello mortale anche qui nel piú alto Paradiso, e i suoi “affetti”,come i suoi “occhi”, sono tuttora instabili, non solo capaci di errare ancora, unavolta ritornato in terra, ma incapaci ora, a questo punto estremo del viaggio — edè questo che conta nella rappresentazione sensibile dell’esperienza del viator — disubire l’effetto della visione senza esserne travolti. Solo garantendo a Dante lasanità durante la visione, se ne conservano sani gli affetti per ciò che l’attendedopo. I “movimenti umani” si riferiscono insomma al vedere, al sentire, al ri-cordare » (p. 251). « Non è quindi per il futuro spirituale di Dante uomo che pre-ga il coro dei santi, ma per il Dante personaggio » (p. 263). L’interpretazione diPertile è accolta in alcuni commenti e letture recenti: cfr. La Divina Commedia.Paradiso, a cura di E. Pasquini e A.E. Quaglio, Milano, Garzanti, 1987, p. 478; S.Sarteschi, Il canto xxxiii del ‘Paradiso’, in Ead., Il percorso del poeta cristiano. Rifles-sioni su Dante, Ravenna, Longo, 2006, pp. 173-92, a p. 179.

53. Per una rassegna del significato del termine nel corpus dantesco si veda la

cessa non è fine a se stessa, come non lo è l’intera sua esperien-za oltremondana: ogni cosa gli è mostrata perché la racconti.Come le missioni nell’aldilà di Enea e di Paolo, anche quella diDante si conclude al ritorno, « dopo tanto veder ». E la missionedi Dante, che « di là sú ritorna » (Par., i 6), è quella di scrivere ilpoema che noi leggiamo. Bernardo chiederebbe dunque allaVergine di mantenere saldi in Dante il desiderio e la volontà discrivere il poema, che gli sono venuti attraverso le ripetute in-vestiture profetiche ricevute da Beatrice, Cacciaguida, san PierDamiano, san Giacomo, san Giovanni, san Pietro.54 Tali investi-ture profetiche sono infatti ormai interiorizzate da Dante, chemostra in piú occasioni di essere pienamente consapevole dellamissione che gli è assegnata e anzi di essere animato dal deside-rio, dalla volontà, dalla speranza di portarla a compimento, tan-to che giunto nell’Empireo egli si sente come un pellegrinogiunto nel « tempio del suo voto » che si guarda intorno e « spe-ra già ridir com’ello stea ».55

E la risposta a questa richiesta è forse nei versi conclusivi delcanto e del poema: « ma già volgeva il mio disio e ’l velle, / sí co-

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voce affetto nell’Enciclopedia Dantesca, redatta da D. Consoli. In particolare lostudioso osserva che il termine « assume spesso il significato di “appetito” (cfr.Conv., iv xxi 13-14 e xxii 10, dove si distingue tra l’appetito dell’anima razionalee l’appetito dell’anima sensibile), e quindi di “desiderio” ». I passi citati da Con-soli a tale proposito sono i seguenti: Inf., v 125; Purg., xxix 62; Par., viii 45; xvi 3;xviii 23; xxiii 8. Inoltre, aggiunge Consoli, « talora affetto si avvicina al senso di“volontà” » Oltre al passo citato dallo studioso, Par., xv 73, anche per altri luoghipotrebbe valere tale interpretazione. Per esempio in Par., xxix 66, « affetto » èglossato da Benvenuto « idest voluntas », e da Francesco da Buti « volontà e de-siderio ».

54. La missione, assegnata dapprima da Beatrice ancora nel Paradiso terrestre(Purg., xxxii 105-8; xxxiii 52-57), è poi ribadita da alcuni dei piú importanti bea-ti incontrati da Dante nel corso dell’ascesa paradisiaca: Cacciaguida (Par., xvii124-32); san Pier Damiano (xxi 97-99); san Giacomo (xxv 40-47); san Giovanni(xxv 127-29); san Pietro (xxvii 64-66).

55. Par., xxxi 37-48. Cfr. inoltre xxv 67-78.

me rota ch’igualmente è mossa, // l’amor che move ’l sole e l’al-tre stelle » (143-45). Qui, dopo che l’esperienza divina è stata vis-suta in una dimensione tutta visiva e intellettiva, si ha un passag-gio, segnato fortemente dall’avversativa « ma », a una dimensio-ne affettiva, sia sul piano del desiderio (« il mio disio »), sia suquello razionale della volontà (« il velle »), entrambi mossi daDio in armonia con i moti dell’universo. Il movimento è quelloche riporta Dante, « dopo tanto veder », di nuovo sulla terra, acompiere la missione di scrittura che gli è stata assegnata.56 Il

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56. Un’interpretazione simile degli ultimi versi del poema è stata recente-mente proposta da R. Pinto, Il viaggio di ritorno: ‘Pd.’ xxxiii, 142-145, cit., p. 207:« Se ammettiamo che qui i verbi “muovere” (mossa, move) e “volgere” (volgeva)alludono da una parte ad un desiderio (disio) e a una volontà (velle) non estintidall’appagamento, già realizzato, e invece ben attivi nella loro tensione vitaleverso oggetti non posseduti, e dall’altra ad un ritorno verso luoghi già propri delpoeta [ . . . ], otterremo una interpretazione che chiama in causa non l’esperienzadell’unione dell’anima di Dante con Dio, ma bensí l’esperienza, successiva a ta-le unione, del suo reinserimento nelle procedure naturali della normalità esi-stenziale, e quindi del ritorno ideale alla sfera dei rapporti affettivi propri dellanormalità dell’esistenza intramondana ». E Pinto interpreta tale passo come l’in-dicazione della concessione a Dante della grazia richiesta da Bernardo nei vv.34-39, « quella relativa alla conservazione delle facoltà psicofisiche di Dante, chenon sono in grado di sostenere una esperienza cosí eccessiva rispetto alla loro,pur alta, materiale potenza ricettiva (“A l’alta fantasia qui mancò possa”), e quin-di sarebbero state definitivamente annichilite, se Dio stesso non avesse reinseri-to immediatamente (Ma già . . .) Dante nelle normali procedure psicofisiche del-l’esistenza. [ . . . ]. Il tema del ritorno, cioè del rientro del protagonista nella nor-malità quotidiana dell’esistenza (dall’eterno al tempo), è poi necessario alla logi-ca narrativa e romanzesca del testo poiché ci informa e rassicura su uno snodoessenziale della sua trama, e cioè sulla trasformazione del protagonista in poeta,una volta terminato il viaggio e perché il racconto di esso possa essere iniziato eportato a termine » (ivi, p. 212). E opportunamente Pinto cita Benvenuto daImola il quale « intende appunto che la concessione della seconda grazia è ne-cessaria perché possa essere portata a termine la redazione del poema ». Spiegainfatti benvenuto a proposito dei vv. 34-36: « Hic Bernardus facit secundam pe-titionem, et petit quod post talem visionem conservet conceptus suos. Dicit er-go: Ancor ti prego, Regina, che puoi ciò che tu vuoi, sicut probatum est paullo ante, chetu conservi sani gli affetti suoi, idest bonas affectiones suas, dopo tanto veder, idest,

movimento dell’amore divino vince quelli che al v. 37 erano defi-niti « i movimenti umani », le debolezze dell’intelletto, dellamemoria, della fantasia, del desiderio, della volontà che devo-no essere superate per portare a termine il compito del poema,che ha un fine altissimo, non solo per Dante, ma per tutta l’u-manità.

Per questo tutti i beati, guidati da Beatrice, partecipano oracon le mani giunte alla preghiera di Bernardo (37-39):

« Vinca tua guardia i movimenti umani:vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani ! ».

Il Paradiso intero prega la Vergine insieme a Bernardo, e nonsoltanto, io credo, per la persona singola di Dante, per la sua vi-sione o per la sua salvezza finale, ma anche per l’esito della suaimpresa, la scrittura del poema, con il suo fine di recare salvez-za al « mondo che mal vive », proponendo agli uomini un ciboamaro al primo gusto, ma poi « ricco di vital nodrimento »; o,detto altrimenti, di « riconfort[are] la speranza »; o ancora di« removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere adstatum felicitatis », come si dirà nell’Epistola a Cangrande.57

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post visionem summi boni: et hoc ut possit scribere in suo opere ad removen-dum mortales a vitiis et revocandum ad virtutes » (Benvenuti de Rambaldisde Imola Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, a cura di J.Ph. Lacaita,Firenze, Barbera, 1887, 5 voll., vol. v pp. 512-13).

57. Mi riferisco al passo dell’Epistola a Cangrande relativo al fine dell’opera:« Finis totius et partis esse posset et multiplex, scilicet propinquus et remotus;sed, omissa subtili investigatione, dicendum est breviter quod finis totius et par-tis est removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum fe-licitatis » (Ep., xiii 15 [39]). Ma molte delle investiture sopra citate contengonoun riferimento esplicito al fine che il poema dovrà ottenere nei suoi lettori nelmondo terreno, fin dalla prima investitura: « in pro del mondo che mal vive »(Purg., xxxii 105); « a’ vivi / del viver ch’è un correre a la morte » (xxxiii 53-54);« la voce tua [ . . . ] / vital nodrimento / lascerà poi, quando sarà digesta ». (Par.,

Mentre Bernardo pronuncia la sua preghiera, la Vergine lofissa intensamente, e attraverso questa silenziosa intensità dimo-stra il proprio gradimento per la preghiera devota e l’implicitoassenso alle richieste avanzate. Quindi i suoi occhi ritornanoverso « l’etterno lume » divino, nel quale piú di qualsiasi creatu-ra Maria può penetrare con chiarezza e profondità (40-45):

Li occhi da Dio diletti e venerati,fissi ne l’orator, ne dimostraroquanto i devoti prieghi le son grati;

indi a l’etterno lume s’addrizzaro,nel qual non si dee creder che s’inviiper creatura l’occhio tanto chiaro.

Dante ha seguito « con l’affezione », come Bernardo gli avevaraccomandato, la preghiera del santo, senza allontanare il suocuore dalle parole di lui. Ora la narrazione riprende e il prota-gonista torna a essere l’io del pellegrino dantesco, che si avvici-na ormai al termine ultimo di tutti i desideri umani e porta alculmine « l’ardor del desiderio », in una nuova e definitiva cor-rezione dell’« ardore » di conoscenza ulissiaco (46-48):

E io ch’al fine di tutti i disiiappropinquava, sí com’io dovea,l’ardor del desiderio in me finii.58

E l’indicazione di Dio come il termine ultimo del desiderioumano è un tema che Dante ha ripetutamente affrontato nellasua opera, almeno fin dalla celebre analisi del triangolo del desi-derio nel iv libro del Convivio, dove Dio è definito analogamen-

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xvii 130-32); « sí che, veduto il ver di questa corte, / la spene, che là giú bene in-namora, / in te e in altrui di ciò conforte » (xxv 43-45).

58. Il riferimento a Ulisse è naturalmente a Inf., xxvi 97-99: « l’ardore / ch’i’ebbi a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore ».

te « l’ultimo desiderabile ».59 Si compie dunque il compito asse-gnato a Bernardo, che era appunto quello di « terminar lo [ . . . ]disiro » di Dante (xxxi 65).60

Nel primo canto del Paradiso, dopo il lungo proemio, la nar-razione si apre con l’immagine di Dante e Beatrice sulla som-mità della montagna del Paradiso terrestre. Beatrice fissa gli oc-chi nel sole e anche Dante prontamente la imita, ma solo perpochi istanti sostiene con lo sguardo quella luce abbagliante.Ben presto deve distogliere gli occhi dal sole e accontentarsi,per cosí dire, di fissarli in quelli di Beatrice. La vista del sole, tra-sparente simbolo divino, gli arriva dunque mediata dagli occhidi Beatrice e grazie a tale mediazione egli può “trasumanare”,

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59. Cfr. Conv., iv xii 13-19 (in particolare 17, per l’espressione « dell’ultimo de-siderabile, che è Dio »). Il passo è richiamato solitamente dai commentatori, in-sieme ad altri, altrettanto pertinenti, come Purg., xxxi 22-24 (dove parla Beatri-ce: « “Per entro i mie’ disiri, / che ti menavano ad amar lo bene / di là dal qualnon è a che s’aspiri” »); Ep., xiii 33: (« Et quia, invento principio seu primo, vide-licet Deo, nichil est quod ulterius queratur, cum sit Alfa et O, idest principiumet finis, ut visio Iohannis designat, in ipso Deo terminatur tractatus, qui est be-nedictus in secula seculorum »). Tra i testi della tradizione teologica i piú citatidai commentatori sono invece Agostino, Conf., i i 1: « fecisti nos ad te, et in-quietum est cor nostrum, donec requiescat in te », e Tommaso d’Aquino, Sum-ma Thelogiae, iia xiiae q. 122 a. 2, dove Dio è definito « ultimus finis humane vi-tae » (una serie di ulteriori riferimenti tomistici offre D. Fasolini, « E io ch’al finedi tutt’i disii appropinquava »: Un’interpretazione teologica del « desiderium » nel xxxiiicanto del ‘Paradiso’, in « Forum Italicum », xxxvii 2003, pp. 297-328, a p. 321). Sullaconcezione scalare del bene che culmina nella fruizione di Dio cfr. anche le os-servazioni di C. Delcorno, Lettura di ‘Purgatorio’ xxxi, in « Studi Danteschi »,lxxi 2006, pp. 87-120, alle pp. 92-94, a cui si rimanda anche per ulteriori riferi-menti bibliografici.

60. Sul tema del desiderio, che trova in questa terzina il momento culminan-te nel poema, prima dell’ultima occorrenza nei versi finali (143), sono ora dispo-nibili alcuni lavori notevoli: A.M. Chiavacci Leonardi, Il ‘Paradiso » di Dante:l’ardore del desiderio, in « Letture Classensi », xxvii 1998, pp. 101-12; L. Pertile, Lapunta del disio, cit., specialmente pp. 19-38 e 115-79; G. Rossi, « Disio » nella ‘Com-media’, in « La parola del testo », ix 2005, pp. 99-124.

iniziare il processo di crescita piú che umana delle proprie fa-coltà che rende possibile l’ascesa al cielo.61 Ora è sull’esempio diMaria che Dante guarda verso l’alto e penetra nella luce divina.Ma non sarà piú costretto a distogliere lo sguardo.

Le preghiere rivolte alla Vergine sono infatti prontamenteesaudite, tanto che non si registreranno piú scacchi della vista delpellegrino per la eccedente luminosità divina e anzi il contem-plante potrà « ficcar lo viso per la luce etterna » (83), con le pro-prie facoltà visive continuamente accresciute, e vedere cosí inDio l’intero universo, poi l’unità e trinità divina, e infine, dentroal cerchio divino e del suo stesso colore, l’immagine della figuraumana. La visio Dei inizia con il pellegrino che « guarda suso »,senza piú attendere l’invito di Bernardo, con la sua vista che di-venta piú pura via via che penetra nella luce divina (49-54):

Bernardo m’accennava, e sorridea,perch’io guardassi suso; ma io eragià per me stesso tal qual ei volea:

ché la mia vista, venendo sincera,

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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61. Cfr. Par., i 43-66. Un episodio analogo avviene ancora nel Primo mobile,dove guardando negli occhi di Beatrice, Dante personaggio vede che in essi siriflette uno splendore di eccezionale intensità, e quindi si volge indietro pervedere direttamente la fonte di questo fulgore. Ma si tratta della prima mani-festazione diretta di Dio, sotto forma di un punto luminosissimo, il cui acutosplendore provoca lo scacco delle facoltà visive del pellegrino, gli occhi delquale devono chiudersi per evitare l’accecamento (xxviii 16-21). Lo scacco del-la vista del pellegrino per l’acume del punto luminosissimo della luce divinasarà poi richiamato all’inizio dei due canti successivi, tramite l’iterazione, convariazione lieve nel tempo verbale, del sintagma « il punto che mi avea vinto(che mi vinse) ». In particolare nel passo di Par., xxix 7-9, si sottolinea nuova-mente il successo visivo di Beatrice in contrasto con la sconfitta di Dante per-sonaggio: « tanto, col volto di riso dipinto, / si tacque Bëatrice, riguardando /fiso nel punto che m’avëa vinto » (e cfr. inoltre xxx 10-11). Sul rapporto fra idue episodi (Par., i e xxviii-xxix) si vedano le osservazioni di M. Mocan, Latrasparenza e il riflesso. Sull’« alta fantasia » in Dante e nel pensiero medievale, Milano,Bruno Mondadori, 2007, pp. 101-8.

e piú e piú intrava per lo raggiode l’alta luce che da sé è vera.

Per quanto le facoltà visive del contemplante si affinino ulte-riormente nel penetrare sempre piú a fondo nella luce della di-vinità, la sua vista è ormai immune da cedimenti. Superataquindi ogni limitazione per la vista del pellegrino, la rappre-sentazione drammatica e avventurosa della visio Dei si giocanon piú sul piano di Dante personaggio, ma su quello di Dan-te poeta. Da qui in poi l’ultimo canto del Paradiso sarà ricco in-fatti di insufficienze e impossibilità sui versanti non della visio-ne, ma della memoria e del linguaggio. Piú la vista di Dantepersonaggio si rafforza nella contemplazione della luce divina,piú Dante poeta deve denunciare il venir meno della memoriarispetto a ciò che il pellegrino poté vedere, e del linguaggio an-che rispetto a quel poco che il poeta stesso è in grado di ricor-dare.

Subito dopo la preghiera di Bernardo alla Vergine, come lavista del pellegrino diviene « sincera » ed entra sempre piú nelraggio della luce divina, si pone drammaticamente la questionedei limiti di Dante poeta. Si inizia contrapponendo il « vedere »del pellegrino, ormai « da quinci innanzi » sicuro, trionfale esempre crescente, al « parlare » e alla « memoria » del poeta, ac-comunati nello scacco e nel cedimento di fronte a « tal vista » ea un tale eccesso o « oltraggio » (55-57):

Da quinci innanzi il mio veder fu maggioche ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,e cede la memoria a tanto oltraggio.

Sarà necessaria una nuova preghiera, questa volta un’invocazio-ne del poeta stesso alla « somma luce » divina,62 per chiedere

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62. Cfr. Par., xxxiii 67-75. È questa l’ultima delle nove invocazioni presenti nel

che la visione ritorni almeno un poco alla sua memoria e risuo-ni un poco nei suoi versi, in modo che il poeta possa, ottenutoancora una volta l’aiuto divino, tentare di lasciare a noi, « la fu-tura gente », almeno « una favilla » della gloria di Dio, e com-piere cosí sino in fondo, pur sempre consapevole della limita-tezza umana delle proprie forze, la missione che gli è stata asse-gnata.

« vergine madre, figlia del tuo figlio »

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poema, su cui cfr. R. Hollander, The Invocations of the ‘Commedia’, in Id., Studiesin Dante, Ravenna, Longo, 1980, pp. 31-38; G. Ledda, La guerra della lingua, cit.,pp. 30-55.