Una questione di stile, in La Lupa Capitolina. Nuove prospettive di studio, a cura di G. Bartoloni,...

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ROMA 2010 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER LA LUPA CAPITOLINA Nuove prospettive di studio Incontro-dibattito in occasione della pubblicazione del volume di ANNA MARIA CARRUBA, La Lupa Capitolina: un bronzo medievale Sapienza, Università di Roma, Roma 28 febbraio 2008 a cura di GILDA BARTOLONI Estratto

Transcript of Una questione di stile, in La Lupa Capitolina. Nuove prospettive di studio, a cura di G. Bartoloni,...

ROMA 2010«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

LA LUPA CAPITOLINANuove prospettive di studio

Incontro-dibattito in occasione della pubblicazione del volume di

AnnA MAriA CArrubA, La Lupa Capitolina: un bronzo medievale

Sapienza, Università di Roma, Roma 28 febbraio 2008

a cura di GildA bArtoloni

Estratto

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UNA QUESTIONE DI STILE

1. Forme e analisi tecniche o della divergenza delle indagini

Ci sono poche opere al mondo così conosciute e così universalmente celebrate come la Lupa Ca-pitolina. Eppure, un rapido esame della bibliografia sull’argomento attesta che a tale rinomanza non ha corrisposto negli ultimi decenni un sostanziale impegno critico teso a rivedere le posizioni scientifiche ormai codificate.

Le cause sono tante. Credo che, in primo luogo, gli studiosi rifuggano dall’esame di opere “con-sumate”, per così dire, dalla loro stessa celebrità. Molti capolavori danno l’impressione di avere già detto tutto, di non avere altri segreti da svelare o, se ancora hanno qualche segreto, lo sforzo neces-sario per decifrarlo non possa essere controbilanciato da risultati soddisfacenti.

Ma c’è un altro motivo. Assai spesso la mente si adagia su ipotesi già espresse da altri, ed accetta-te come per inerzia. Questo accade in genere quando un’opera è stata gravata nel tempo di molteplici significati simbolici che si sono stratificati al punto da rendere indefinito il limite tra il guscio delle interpretazioni ed il nucleo della materia concreta, oggettiva, purificata da ogni sovrastruttura. Non significa che le stratificazioni non siano importanti; ognuno sa per esperienza diretta che un’opera d’arte non vale solo in quanto tale, ma anche per i molteplici significati che generazioni e generazioni di spettatori vi hanno riversato. Significa piuttosto che si dovrebbe procedere a ritroso, depurando la mente dagli apprendimenti scolastici a carattere puramente mnemonico, e analizzando l’opera in sé.

Nessuna operazione meglio di un restauro correttamente inteso può essere d’aiuto in tal senso. Il restauro vuole analisi approfondite su tutte le componenti di un’opera d’arte, vuole un esame dei materiali di cui è costituito, delle sue tecniche di lavorazione, delle sue patinature che lo scorrere de-gli anni vi ha imposto, ma anche una verifica precisa, capillare, della superficie originaria, o almeno di quanto della superficie si è conservato malgrado i danni subiti nel tempo.

Nel ridare al bronzo la qualità originaria delle superfici offuscata dai depositi di smog e di cere, è stato proprio l’intervento di restauro, eseguito in modo eccellente in occasione del Giubileo da Anna Maria Carruba, ad offrire l’occasione per un riesame complessivo della Lupa1. Si può dire che la

Questa ricerca, nata come un’introduzione alla giornata di studio dedicata alla Lupa Capitolina, si è sviluppata secondo linee inizialmente neppure prevedibili che, spero, potranno essere oggetto di ulteriori discussioni. Impor-tanti suggerimenti e critiche devo ad Hanna Philipp, che desidero ringraziare per il proficuo confronto di idee.

1 Parisi Presicce 2000.

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scultura in bronzo sia stata realizzata con la tecnica a cera persa diretta, che prevede la copertura con uno strato di cera modellato accuratamente a mano di un modello approssimativo in argilla. Una vol-ta avvenuta la fusione, il bronzo è stato accuratamente rifinito a freddo in tutti i minimi particolari. È la stessa tecnica adoperata per i bronzi di Riace, una tecnica che impedisce di realizzare ulteriori repliche da un modello, e che rende l’esemplare unico e irripetibile. Possiamo quindi essere certi che, ad esclusione della coda, la Lupa che vediamo, ad esclusione di piccoli interventi di restauro, non abbia subìto nel tempo integrazioni invasive, che ne abbiano modificato l’aspetto originario.

Con l’analisi delle barre di sostegno dell’anima in argilla, che servivano anche all’ancoraggio della scultura, è crollata anche la sua identificazione con il gruppo della lupa con i gemelli visto da Cicerone sul Campidoglio, colpita nel 65 a.C. da un fulmine2 e poi verosimilmente non più ricollo-cata3. Le vistose lesioni sulle zampe non sono state causate da fulmini, ma da una mancata solidifi-cazione del bronzo. Tra l’altro, sempre da Cicerone sappiamo che l’intero gruppo – sembra difficile il solo Romolo – fosse dorato, mentre la Lupa Capitolina non ha mai ricevuto, a quanto dicono le indagini, una copertura d’oro.

Altra fondamentale acquisizione è che la terra di fusione rinvenuta all’interno della scultura ha una composizione mineralogica che ne circoscrive con una certa fondatezza la provenienza entro un’area vulcanica lungo le rive del Tevere, tra Roma e Orte. Si aggiunga che l’analisi degli isotopi del piombo eseguita su limature di metallo prelevate sotto le zampe della Lupa, e pertinenti all’anco-raggio sul basamento primitivo, ha stabilito che il metallo proviene dalle miniere sarde di Calabona, a sud di Alghero. Se effettivamente antica, la Lupa troverebbe quindi la sua collocazione più idonea in un centro del Lazio tiberino in cui erano attive fonderie specializzate nella realizzazione di scul-ture in bronzo. Veio, fiorentissima in età arcaica, e celebre per i suoi maestri fonditori, tra i quali, tra le nebbie del suo oscuro passato, emerge Vulca, potrebbe risultare una sede ideale.

Solo l’analisi delle terre di fusione con il metodo della termoluminescenza e del radiocarbonio, e la tecnica di fusione a cera persa col metodo diretto, effettuato in un unico getto, quindi senza saldature tra le parti della scultura, sembrano offrire per il momento risultati divergenti rispetto alla cronologia vulgata, al punto che Anna Maria Carruba ha ritenuto opportuno suggerire per la Lupa una datazione in età carolingia4, tra le più vicine alla sua prima – quasi – sicura attestazione in un tribunale nel palazzo del Laterano, entro la prima metà del IX secolo5: una proposta che, pur degna

2 cic., Div. I, 20.3 cic., Cat. III, 19.4 carruba 2006, p. 36: «[…] l’analisi stilistica e lo studio degli eventi che hanno favorito la ripresa in Euro-

pa della scultura in bronzo ci indicano l’età carolingia quale la più probabile, la più consona alla realizzazione di un tale capolavoro».

5 carruba 2006, p. 13. Si veda anche: erler 1972, pp. 8 ss., 16 ss.; haskell, Penny 1984, p. 354 ss., n. 54; micheli 1985, p. 54 ss.; gramaccini 1996, p. 95. L’informazione, invero, è tratta dal Chronicon di Bene-detto, monaco dell’abbazia di S. Andrea sul Soratte, vissuto verso la fine del X secolo (la sua opera fu scritta tra il 972 e il 1000 ca.: zucchetti 1920, p. VII ss.), il quale si riferisce all’istituzione di giudici e di un luogo di giustizia nel palazzo Lateranense all’epoca di Ludovico I detto il Pio († 840), o forse di Ludovico II detto il Giovane († 875): in palatio Lateranensi ad locum ubi dicitur a lupa (Pertz 1839, p. 712; zucchetti 1920, p. 145, 15. La notizia è ripetuta nell’anonimo Libellus de imperatoria potestate, comunque dipendente dal testo di Benedetto, Pertz 1839, p. 720; zucchetti 1920, p. 199, 9). Benedetto confonde nel suo testo le vicende di

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della massima attenzione per quantità e qualità delle prove addotte, non reputo ancora documentata in modo sufficiente sotto il profilo stilistico. Non è fortuito, infatti, che le opere dalla Carruba avvi-cinate alla Lupa si distribuiscano tra il IX e il XII secolo, un arco di tempo troppo lungo e stilistica-mente non omogeneo, laddove, per rafforzare la sua tesi, sarebbe stato necessario ridurre i confronti ai soli monumenti della prima età carolingia.

Purtroppo le analisi formali finora condotte sulla Lupa non hanno dato risultati condivisi. Già verso la fine del XIX secolo era spuntata, contro la tradizionale attribuzione ad età tardo-arcaica, un’autorevole opzione “medievale”6. Non aiuta a risolvere la questione la rarità, in ambito greco od etrusco, di sculture a tutto tondo raffiguranti lupi, o cani. Si è supplito accostando alla Lupa le ben più numerose immagini di leoni, sebbene la loro folta criniera denunci solitamente una resa assai diversa, sia per il suo più ampio volume, sia per il sistema distributivo delle corpose ciocche di pelo. Per questa ragione, per le innegabili difficoltà di riscontri coerenti con la Lupa, che tra l’altro spazia-no tra differenti campi dell’arte – scultura a tutto tondo in bronzo o in pietra, scultura a rilievo, pittu-ra per lo più vascolare – ognuno dei quali con le sue caratteristiche peculiari e con opere distribuibili in sequenze formali di diversa durata e lunghezza7, appare necessaria una verifica congiunta delle analisi formali e delle analisi tecniche perché, se i due sistemi non coincidono, vuol dire che qualco-sa non quadra. Di solito, dando per scontata la solidità delle analisi tecniche, non si riflette sul fatto che vadano anch’esse interpretate, e che offrano risposte valide solo a domande correttamente im-

Ludovico I, il figlio e successore di Carlo Magno, con quelle di Ludovico II, figlio di Lotario, del quale, come re d’Italia oltre che imperatore, è testimoniata la frequente presenza in Italia (zucchetti 1920, pp. 145, note 3, 5; 200 s., nota 3). Ma due documenti dell’813 e dell’829 (Regesto di Farfa, doc. 199, a. 813, e doc. 270, a. 829), e una lettera di Leone IV, scritta nel maggio dell’853 (Monumenta Germaniae Historica, Epistolarum tomus V, Karolini aevi III, 1899, p. 599, n. 23; duchesne 1892, p. 139, nota 66), nella quale il papa stabilisce che, in sua assenza, omnes nobiles ad Lateranense palatium recurrant et quaerentibus ac petentibus legem et justitiam faciant […], confermano l’esistenza di un luogo di giustizia in Laterano entro la prima metà del IX secolo, senza una più specifica denominazione. Naturalmente è solo frutto di illazione, per quanto solidamente argomentata, che la definizione a lupa adottata da Benedetto si riferisca proprio alla Lupa Capitolina. La prima, più accurata, descrizione del bronzo è inserita nel De mirabilibus urbis Romae di Magister Gregorius (vissuto, sembra, tra la seconda metà del XII e gli inizi del XIII secolo). Il corpo della Lupa era allora depositato nel portico del palazzo d’inverno del papa (scil. il palazzo Lateranense), mentre la sua base con le zampe fratturate erano ancora in piazza, davanti all’entrata del palazzo dove, insieme con un ariete, l’opera fungeva da fontana (valentini, zucchetti 1946, p. 166 s. e nota 1 a p. 167). Nel XV secolo, qualche tempo prima di essere trasfe-rita sul Campidoglio, la Lupa era da tempo collocata, con le zampe restaurate, sulla facciata del Patriarchium lateranense (lauer 1911, pp. 23 s., 131; zucchetti 1920, p. 145 s., nota 8; valentini, zucchetti 1946, p. 167, nota 1). Dagli scarsi documenti a disposizione, la Lupa Capitolina sembrerebbe perciò segnalata in Laterano solo a partire dalla prima metà del IX secolo – di qui la nuova cronologia proposta da Anna Maria Carruba –, sebbene, a rigor di logica, portando alle estreme conseguenze un’eventuale teoria ribassista, si potrebbe anche dubitare che la lupa del luogo di giustizia in Laterano sia quella medesima lupa vista da Magister Gregorius. Al contrario ci sono fondati motivi per credere che quest’ultima sia effettivamente la Lupa Capitolina. Da questo punto di vista, sarebbe più corretto dire che il bronzo capitolino sia anteriore alla fine del XII secolo, ma non necessariamente realizzato in età carolingia.

6 braun 1854, p. 124 ss.; Fröhner 1878, p. 288, nota 2; burckhardt, bode 1885, p. 163.7 Mi riferisco al sistema di classificazione adottato da G. Kubler (kubler 1976), spec. pp. 22 ss., 43 ss.

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postate. Né si tiene conto che i due tipi d’indagine, tecnica e formale, devono offrire soluzioni con-vergenti per poter avere qualche efficacia per i futuri sviluppi della ricerca scientifica. Naturalmente, perché la convergenza abbia una sua utilità, le domande devono essere poste in modo congruente, ed evitare l’errore, divenuto frequente negli ultimi tempi, di dare maggior credito agli strumenti tecnici, ritenuti oggettivi, rispetto all’indagine formale che, essendo basata secondo una comune opinione tanto diffusa quanto scorretta, su parametri soggettivi, è ritenuta passibile di errori.

Una ricerca imperniata sullo stile può cadere, se fondata su basi fragili, in imprecisioni anche macroscopiche, come insegna lo studio storiografico dell’arte antica; ma è altrettanto certo che gli esami tecnici sono soggetti a molteplici sollecitazioni esterne che possono mutarne i risultati. In pratica, solo una ricerca coordinata lungo il duplice binario di analisi tecniche sempre più aggiornate e di analisi formali correttamente impostate entro una coerente griglia cronologica – senza spaziare nei secoli come meglio conviene a dimostrazione del proprio enunciato, e tenendo bene a mente le intrinseche differenze tra i diversi generi artistici –, potrà offrire qualche risposta adeguata all’enig-ma posto dalla Lupa Capitolina.

2. una nuova analisi Formale

Pochi dei confronti finora proposti appaiono persuasivi rispetto alla fondamentale “unicità” della Lupa8. Rispetto alle opere di produzione greca o etrusca, il bronzo mostra nel complesso una stati-cità scalfita solo dal superbo scatto del muso che, insieme con il modellato asciutto del corpo, sono sua specifica cifra stilistica. È indubbio che sia proprio la presunta rigidità della Lupa – presunta, perché non resiste ad un esame dettagliato della prosciugata e scattante struttura anatomica –, e non solo le analisi tecniche, ad aver aperto la strada ad un’opzione medievale. Eppure, la sua coerenza formale, di sapore arcaico9 nella sapiente modulazione entro un ritmo ornamentale, più calligrafico che plastico, dei singoli elementi anatomici – struttura muscolare, pelliccia, frontalità, espressione ferina, quasi demoniaca, dello sguardo –, continua a trovare le sue intrinseche consonanze, se non paralleli diretti, con le opere d’arte greca o etrusco-italica di età tardo-arcaica e della prima età seve-ra, piuttosto che con i più tardi leoni onorari e funerari greci e romani, sia a tutto tondo, sia a rilievo, oppure con le opere d’arte medievale.

Nella Lupa è l’insieme ad essere originale perché, contrariamente a quanto di solito avviene nelle opere a tutto tondo, vi domina un insistito grafismo, specifico di un prezioso lavoro a cesello, nel quale, con una felice quanto singolare logicità, è stato ridotto all’essenziale qualunque rilievo plastico (Fig. 1). È il caso, ad esempio, della disposizione regolare, a ritmo alterno, delle ciocche “ad uncino” della criniera, pressata sul collo come una lamina applicata, dove un residuo volume plastico è limitato alla punta delle ciocche. La criniera è delimitata da una sorta di collarino regolare di ciuffi desinenti a chiocciola, dal quale si protende, simile ad una maschera, il muso dell’animale.

8 Rimando, per le immagini di lupi nell’arte antica, al lavoro di Parisi Presicce 2000, pp. 17-51.9 Scarso rilievo, ai fini di un confronto stilistico, ha la stele felsinea del Museo Civico di Bologna, dalla

Certosa, sulla quale è rappresentata una lupa che allatta un bambino, comunemente datata verso la fine del V secolo a.C.: Mostra dell’Etruria padana 1960, p. 210 s., n. 720, tav. XXIV; Parisi Presicce 2000, p. 19, fig. 2.

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Il tentativo di supplire alla carenza di im-magini di lupi, o di cani, nel mondo figurativo greco ed etrusco-italico, con le più consuete immagini di felini, prevalentemente leoni, per la cui rappresentazione è richiesto un più ener-gico ispessimento volumetrico della massiccia criniera, non ha dato i risultati sperati. Ove si escludano le più antiche raffigurazioni di leo-ni in ambiente greco, nei quali l’appiattimento è condotto alle estreme conseguenze con una graficizzazione, talora puramente ornamen-tale, delle ciocche della criniera – ad esempio le magnifiche protomi di leone dipendenti da prototipi medio-orientali che decorano i cal-deroni rinvenuti ad Olimpia10, risalenti ancora agli inizi del VII secolo a.C., il leone in calca-re di Olimpia, pertinente ad una fontana11, del secondo venticinquennio del VII secolo a.C., il leone di terracotta da Praisos, nel Museo di He-raklion12, del terzo venticinquennio del VI seco-lo a.C., un piccolo leone funerario in poros dal Ceramico di Atene13, più o meno dello stesso periodo, oppure alcune raffigurazioni di leoni in piccolo formato, privi di una analitica definizione dei particolari14 –, v’è una costante tendenza a superare, nella trattazione delle pellicce dei felini, la logica calligrafica ed esornativa con una più corposa evidenza del pelame15. I superstiti leoni arcaici mostrano differenti modi nella disposizione stilizzata delle ciocche della criniera, a morbido intreccio di linee curve come nell’assirizzante leone da Perachora a Boston16, il più antico della serie, databile ancora entro il primo venticinquennio del

Fig. 1. roma, Musei Capitolini. Lupa Capitolina: dettaglio del muso e della criniera (foto Musei Ca-pitolini).

10 herrmann 1979, pp. 33 s., 91 ss., L 1, L 2, tavv. 31-32.11 gabelmann 1965, pp. 18, 19, 22 ss., 30, 35, 61, 81, 107, 111, n. 2, tavv. 1, 2-3; 32, 1; Floren 1987, p. 129,

tav. 7, 4 (con bibl. prec. a nota 50).12 gabelmann 1965, pp. 73 s., 117, n. 79, tav. 15.13 gabelmann 1965, pp. 53, 78, 114, n. 38, tav. 6, 2.14 Ad esempio il leoncino di bronzo da Olimpia (gabelmann 1965, pp. 72, 116, n. 68 a, tav. 12), un altro,

sempre di bronzo, nel Museo Nazionale di Atene (gabelmann 1965, p. 117, n. 68 f, tav. 13, 3), un terzo nella Bibliothèque Nationale di Parigi (gabelmann 1965, p. 117, n. 69 e, tav. 13, 1).

15 Per una bibliografia sul tema dei leoni in ambiente greco-romano, si veda todisco 1996, p. 96 s., note 34-49 (a p. 96 ss. un’ottima sintesi sullo stato della questione circa la rappresentazione di leoni funerari in ambito municipale).

16 caskey 1925, p. 15 ss., n. 10, con figg.; gabelmann 1965, pp. 40, 48 ss., 53, 56, 66 s., 78, 91, 113, n. 29, tav. 5; comstock, vermeule 1976, p. 9 s., n. 15, con figg.

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VI secolo a.C. (Figg. 2, 21), a file parallele desinenti a uncino come nel leone da Sardi nel Museo di Manisa17, a linguette triangolari sovrapposte come in alcuni leoni dal Didymeion18, a rombi della stessa misura come nel leone da Mileto al Louvre19 o nel frammento di leone a Smirne20, a fiammelle vibranti come in una coppia di leoni a Delo21. Malgrado le difformità, è comune in essi il rendimento disegnativo e una generale tendenza verso l’appiattimento della criniera, non tale tuttavia da annul-larne il volume. I leoni di ambiente etrusco non si scostano da codeste formule. Maniere analoghe si riscontrano già nei leoni araldicamente applicati sulla superficie del cippo di Settimello, ora nel Museo Archeologico di Firenze22, o nel leoncino di bronzo a San Pietroburgo (Fig. 3)23, nei quali l’ordinamento ritmico dei ciuffi della criniera non è effettivamente a scapito della loro volumetria.

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Fig. 2. boston, Museum of Fine Arts. Leone da Perachora: vedute di fronte e di profilo posteriore (da caskey 1925).

17 gabelmann 1965, pp. 84, 119, n. 108, tav. 21, 2-3.18 gabelmann 1965, pp. 85, 87 s., 119 s., n. 115, tav. 22, 1-2.19 gabelmann 1965, pp. 90 ss., 120 s., n. 127, tav. 26.20 gabelmann 1965, pp. 94, 121, n. 134, tav. 28, 2-3.21 gabelmann 1965, pp. 97 ss., 122, n. 148 a, b, tav. 29.22 brown 1960, p. 136 s., tav. XLVIII f.23 brown 1960, p. 139, tav. XLIX b; Etruschi 2008, p. 228, n. 89 e fig. a p. 145. Caratteristiche simili mostra

una protome leonina etrusca in bronzo nella collezione Fleischman: Passion for Antiquities 1994, p. 154 s., n. 68 (s. haynes).

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Nella Lupa Capitolina è tuttavia la rigorosa soluzione formale dello schiacciamento in piano del vello congiunta alla sua finissima tessitura ornamentale, simile alla trama di un tappeto, a non avere confronti precisi. Non uno solo dei leoni greci o etruschi di età arcaica, malgrado analoghe tendenze verso un appiattimento e una stilizzazione della criniera, mostra una simile logica compositiva con-dotta alle sue estreme conseguenze.

Per comprendere meglio il fenomeno, può essere d’aiuto l’esame di uno dei pochissimi felini di grande formato in bronzo giunto fino a noi, anche se frammentario. È un leone nel Museo di Istanbul, di provenienza cipriota24, nel quale la consistenza plastica del vello, i cui ciuffi sono distribuiti se-condo uno schema regolare, è solo in parte assorbita dallo schiacciamento in superficie (Fig. 4). Esso condivide con alcuni leoni di pietra una maggiore compressione della criniera che ne riduce, ma non ne cancella la plasticità. Rispetto alla Lupa Capitolina, oltre che il volume più corposo della criniera, palesa nella sintassi decorativa una certa povertà di stesura. Tangenze di linguaggio non mancano, ma non v’è coincidenza stilistica con i ben più raffinati modi di esecuzione del bronzo capitolino.

Nessun riscontro diretto e inequivocabile con la Lupa, quindi, sebbene le cause della sua incom-parabilità siano dovute, come credo, al pressoché totale naufragio della bronzistica greca ed etrusca di grande formato. Non saranno le poche opere superstiti a consentire di superare il vuoto cognitivo

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Fig. 3. san Pietroburgo, Hermitage. Leoncino in bronzo, dalla collezione Campana (da Etruschi 2008).

24 devambez 1937, p. 21 ss., tav. VI; bol 1978, p. 85, tavv. 71, in basso a sin. e 72, in alto a sin.

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che circonda i grandi capolavori in bronzo superstiti i quali, accostati di solito ad opere prodotte in pietra o in terracotta, e realizzate perciò con tecniche dissimili, appaiono al momento rade isole di un arcipelago.

Eppure, basta un rapido esame degli scarsi frammenti di sculture in bronzo provenienti dai grandi santuari greci per rendersi conto di quanto è andato perduto. Finissima tessitura a carattere ornamen-tale e debole rilievo plastico sono ricorrenti nei frammenti di capigliature in bronzo rinvenute ad Olimpia25, nelle quali è particolarmente felice la resa analitica a cesello, oppure, per restare nell’am-bito dell’animalistica, nei frammenti delle ciocche di pelo che bordano l’orecchio del Toro degli Ere-triesi, opera di Philesios (Fig. 5), databile nella fase di passaggio tra l’età arcaica e quella classica26. Testimonianze consistenti di questo schiacciamento in superficie restano ancora nell’esecuzione “a calotta” delle chiome degli atleti di età severa e della prima età classica, conosciute nella maggioranza dei casi attraverso copie di età romana: ad esempio il Discobolo di Mirone27 o il Doriforo di Poli-

________25 bol 1978, pp. 12 ss., 102 ss., nn. 3 a-41, 43-101, tavv. 6-18.26 eckstein 1969, p. 50 s.; bol 1978, pp. 31 s., 77, 112, n. 134 b, tavv. 24, 26. Interessante il confronto tra

il modo di realizzazione delle ciocche di pelo del toro, come petali striati di una margherita, con quelle del “collare” dei leoni di Persepoli (Fig. 8), e della criniera della Chimera di Arezzo: sPrenger, bartoloni, hirmer 1977, tav. 207; nicosia, diana 1992.

27 zanker 1974, tav. 73, 1.

Fig. 4. istanbul, Museo Archeologico. Leone in bronzo da Cipro (da bol 1978).

Fig. 5. olimPia, Museo. Frammento dell’orecchio del Toro degli Eretriesi, opera di Philesios (da bol 1978).

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cleto28 o, meglio ancora, l’enigmatico Eracle (?) in bronzo da Tarso ad Istanbul29, con la sua ricciuta capigliatura a chiocciole di varia misura, adeguatamente pressate sulla calotta cranica. Si ha l’impres-sione che, fino alle soglie del classico, gli artisti greci avessero timore di indebolire la compattezza dell’immagine nel suo insieme con un’accentuazione troppo vivace e plastica della capigliatura.

Ma c’è un altro canale di confronti, finora poco valutato, che merita di essere preso in considera-zione per taluni risultati che ne possono derivare. È noto che la Grecia ha saputo recepire e far pro-prie, con maestria e grande libertà espressiva, talune componenti essenziali del linguaggio artistico medio-orientale. L’influsso, mediato dalla Ionia, non è riducibile ai soli schemi figurativi – quelli stessi che hanno condotto alla formazione della cultura “orientalizzante” –, ma anche a determinati stilemi che, come è chiaramente intuibile, con quei medesimi schemi costituivano un corpo unita-rio, difficili da estrapolare ed eventualmente da rifiutare nella loro interezza. È altrettanto noto che l’iconografia dei leoni in età arcaica deve molto ai modelli assiri – per via diretta o mediati attraverso Urartu, la Siria e, in seguito, la Persia – e, in seconda istanza, a quelli egiziani30.

Ora, la caratteristica conformazione “compressa” della pelliccia della Lupa Capitolina e il suo modo di stilizzazione ornamentale sembrano basate su una normativa arcaica di derivazione medio-orientale, come aveva già intuito, con l’acume che lo contraddistingueva, Otto Brendel31. Con analitica precisione e con una cura dei minimi dettagli, il tutto incapsulato entro un’elaborata composizione esornativa che è essa stessa tra le principali componenti artistiche della cultura figurativa medio-orientale, sono definite sia le complesse acconciature dei sovrani e dei dignitari di corte assiri32, sia la trama delle criniere e delle code dei loro cavalli33 oppure, in chiave più corposa, ma sempre con la disposizione delle ciocche secondo schemi decorativi, delle folte cri-niere dei leoni a tutto tondo guardiani degli accessi ai palazzi34, e dei leoni a rilievo nelle scene

________28 Si veda, ad esempio, la bella copia in bronzo della testa dalla Villa dei Papiri ad Ercolano: steuben 1973,

tavv. 1-7.29 devambez 1937, p. 35 ss., tavv. VIII-XII. Anche se di produzione romana, come credo verosimile, e di

tendenza eclettica, l’acconciatura della chioma trova i suoi riscontri più significativi con sculture ioniche della seconda metà del V secolo a.C., come la testa maschile barbuta da Pachino a Siracusa, forse pertinente ad una stele funeraria (ross holloway 1975, p. 37 ss.; aa.vv. 1990, p. 168 s., n. 6; Greci in Occidente 1996, pp. 419 con fig. [e. de miro], 705, n. 187 [e. c. Portale]), o il frammento di una stele funeraria di Samo sul quale un giovane con i capelli ricciuti, che regge una cassetta contenente bende arrotolate, consegna una delle bende ad una figura virile seduta (zanker 1966, p. 16 ss., tav. 5, 1-4; PFuhl, möbius 1977, p. 25, n. 54, tav. 14).

30 gabelmann 1965, passim.31 brendel 1978, pp. 252, 465, nota 22.32 Si veda, ad esempio, la testa di re Assurnasirpal su un rilievo della Sala del Trono nel Palazzo Nord-Oc-

cidentale di Nimrud: barnett 1960, tav. 29, oppure le teste pubblicate in Parrot 1961, figg. 14, 15, 20-23, 24, 27, 28, 36, 41-43, 77. Soluzioni di incredibile complessità di trama si riscontrano anche in alcune acconciature tardo-hittite, nelle quali si affiancano trecce, riccioli ad S con le estremità ad uncino, e più semplici riccioli ad uncino: akurgal 1949, p. 21 ss., tavv. XIX-XXIII.

33 barnett 1960, tavv. 57-59 (dal Palazzo di Assurbanipal a Ninive).34 Ad es. il leone di Nimrud al British Museum, datato al IX secolo a.C.: Parrot 1961, fig. 31. Anche in

questo caso, si riscontrano interessanti soluzioni grafiche anche nella raffigurazione delle criniere di leoni tardo-hittiti, con differenti gradi di stilizzazione: akurgal 1949, p. 39 ss., figg. 25-26, 35, 40, 41-43, 47, tavv. XXIV b, XXVII-XXXVI.

eugenio la rocca126

di caccia35. Per quel sofisticato convenzionali-smo che caratterizza il linguaggio artistico me-dio-orientale, formule tipologiche analoghe, a volte uguali fin nei dettagli, si ripetono ancora nella più tarda produzione figurativa persiana. Capita così che nelle immagini dei sovrani, dei dignitari e dei soldati persiani36, elementi ste-reotipici derivati da quella tradizione, come i dettagli della capigliatura, della barba e degli occhi, si sovrappongano spesso ad elementi aggiornati al gusto dell’epoca, maggiormente fedeli al vero, come la descrizione del naso, delle labbra e degli zigomi (Fig. 6). Raffinate forme di stilizzazione, con il motivo delle cioc-che desinenti a piccolo uncino, tutte regolar-mente campite secondo una trama geometrica, si rilevano nelle raffigurazioni delle criniere di leoni o leogrifi (Fig. 8)37, e del vello di ovini38. Negli elaborati capitelli a duplice protome di toro39, nei grandi tori sentinelle agli ingressi40, nei rilievi con combattimento tra tori e leoni

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Fig. 6. PersePoli. Rilievo della rampa d’accesso al tripylon (o Sala del Consiglio): dignitario medo (da herzFeld 1941).

35 barnett 1960, tavv. 60-61, 62, 67-69, 72-75 (dal Palazzo di Assurbanipal a Ninive).36 Per buone illustrazioni con i dettagli delle teste: herzFeld 1941, tav. LXXIII; schmidt 1953, tav. 197;

ghirshman 1964, figg. 215, 224-227, 230, 237, 238, 284. Si vedano, a confronto, le teste assire di cui a nota 32 con le teste persiane ghirshman 1964, figg. 246, 255, 284. Somiglianza forse più precisa tra i tori androcefali assiri (Parrot 1961, figg. 29, 30, 34-35) e quelli persiani (ghirshman 1964, figg. 207, 210, 212, 213, 270).

37 I documenti principali sono offerti dalle raffigurazioni di leoni che assalgono tori (si veda la nota 41). Le migliori illustrazioni sono in herzFeld 1941, tav. LXII in basso (illustrazione eccellente, con precisa definizio-ne dei singoli dettagli); schmidt 1953, tav. 20. Seguono le raffigurazioni di lotta tra un eroe, identificato con il sovrano, e un leone, o un leogrifo: schmidt 1953, tavv. 115, 116, 146, 147, 195; ghirshman 1964, fig. 252.

38 herzFeld 1941, tav. LXXX in alto; schmidt 1953, tav. 34.39 Dal Palazzo di Dario a Susa: barnett 1960, tav. XIII; ghirshman 1964, p. 139, fig. 186. Dal complesso

palaziale di Persepoli: herzFeld 1941, pp. 242 s., 248, tavv. LVIII (apadāna), LX in alto (Sala delle Cento Colonne, o del Trono); ghirshman 1964, p. 215, figg. 261, 264, 266; schmidt 1953, figg. 44 D-E, 48 B, C, E (apadāna); 61 C-D (Sala delle Cento Colonne, o del Trono).

40 I tori sono a guardia della Porta di Serse e del portico della Sala delle Cento Colonne (o del Trono) nel com-plesso palaziale di Persepoli: herzFeld 1941, p. 248, tavv. LIX a sin., LX in basso; schmidt 1953, tavv. 10, 92 B, 93 B, fig. 27. Herzfeld (herzFeld 1941, p. 248, fig. 353) ha osservato come i tori persiani assomiglino, più che a quelli assiri, ai tori scolpiti su lastre di onice rosso o alabastro a Van. È verosimile pertanto una derivazione dall’Assiria mediata da Urartu. Si veda anche il toro da Hadatu (Arslan-Taš) dell’viii secolo a.C.: Parrot 1961, p. 78, fig. 88.

la luPa caPitolina 127

(Fig. 7)41, infine nelle scene di lotta tra l’eroe assimilato al sovrano e un toro rampante42, il pelame degli animali si distribuisce sulla fronte, a contorno del muso, sul dorso e sul petto, a file regolari come un prezioso ornato. Sono forme di stilizzazione caratteristiche dell’arte persiana, adottate sia per l’acconciatura delle folte chiome e delle barbe dei sovrani e dei dignitari (Fig. 6), sia per la rappresentazione delle pellicce degli animali. Criteri stilistici simili, con qualche difformità dovuta alla materia, e quindi alla tecnica, differenti, sono alla base dell’elaborazione dei leogrifi e dei tori alati in ceramica policroma che decoravano l’apadāna e il palazzo di Susa43.

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Fig. 7. PersePoli. Rilievo della rampa d’accesso al tachara (o Palazzo di Dario). Leone che ag-gredisce un toro: dettaglio della protome del toro (da herzFeld 1941).

41 I rilievi adornavano le rampe d’accesso ai principali edifici monumentali del complesso palaziale di Per-sepoli: herzFeld 1941, p. 251 s., tav. LXII (tachara, o Palazzo di Dario); schmidt 1953, tavv. 16 B, 17 A, 19, 20, 45 A, 61 (apadāna); 62, 66, 69 (tripylon, o Sala del Consiglio); 132 B, 133 B, 135 E, 152, 153 A (tachara, o Palazzo di Dario); 159, 161 B, 166, 168 A, 169 A (hadish, o Palazzo di Serse); 203 D (Palazzo H); ghirshman 1964, figg. 211 (apadāna); 214 (tripylon, o Sala del Consiglio); 240 (tachara, o Palazzo di Dario); 260 (hadish, o Palazzo di Serse).

42 schmidt 1953, tavv. 117, 144; ghirshman 1964, fig. 253.43 barnett 1960, tavv. XI-XII (toro alato), XIV-XV (leogrifi); ghirshman 1964, p. 140, figg. 191, 192. La

composizione della pelliccia sul collo dei leogrifi e l’incorniciatura con ricci desinenti a chiocciola dei musi dei leoni alati sono quanto di più simile sia finora conservato in rapporto alla Lupa Capitolina.

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Due episemata di scudi in bronzo della fine del VI secolo a.C., provenienti verosimilmente dalla Caria, ed ora nel Badisches Landesmuseum di Karlsruhe (Figg. 9, 10)44, documentano con una certa chiarezza i modi in cui questo linguaggio è recepito e fatto proprio dagli artisti greci della costa ioni-ca. Sono raffigurati due arieti in procinto di accucciarsi, con la testa rivolta all’indietro. Il vello sulla testa, sul collo e sulla coda è raffigurato con un sistema regolare, a sequenza ripetitiva, di ciocche desinenti a spirale, anch’esse come pressate sul corpo, ognuna di esse lavorata a punzone e poi defi-nita a cesello, ma senza striature sulle superfici. Un leggero effetto di luce e ombra è magistralmente ottenuto giocando sulla depressione, appena avvertita, tra ciocca e ciocca. Malgrado alcune diffe-renze nella lavorazione dei due arieti, che sembrano essere opera di maestri di diversa generazione, la derivazione del tracciato delle pellicce – nonché del taglio decorativo degli occhi, con una triplice ampia linea curva sovraorbitale – da modelli achemenidi è palese.

Questo gusto per il decorativismo, inteso come esplicita componente stilistica e non come esterio-re elemento esornativo, è uno degli fattori qualificanti della cultura figurativa greca di età arcaica.

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Fig. 8. PersePoli. Rilievo della rampa d’accesso al tachara (o Palazzo di Dario). Leone che aggredisce un toro: dettaglio della protome del leone (da herzFeld 1941).

44 thimme 1986, p. 168 ss., nn. 59-60, figg. alle pp. 170-171; PhiliPP 2004, pp. 115 s., 410, Anhang L, tav. 113, 1.

la luPa caPitolina 129

Che sia stata la cultura figurativa ionica il canale d’ingresso di determinati stilemi dell’arte ache-menide è logica conseguenza della situazione politica della Grecia asiatica prima delle guerre persiane. Oltre che gli episemata, e in mancanza di opere d’arte a tutto tondo che meglio denuncino l’emulazione dai modi stilizzati, e ripetitivi, delle acconciature achemenidi, un eccellente confronto può essere impo-stato con una produzione tardo-arcaica, forse magno-greca, di elmi di tipo “calcidese” con paragnatidi di differente morfologia (per lo più non figurata a bordo aguzzo, o figurata a testa di ariete) e di frontali di cavalli in bronzo (prometopidia) sui quali è rappresentato il volto di un guerriero con elmo calcidese e paragnatidi – anche in questo caso del tipo a testa di ariete o con i bordi aguzzi –, tirate sulle guance. In ambedue i casi, a parziale imitazione di una fronte maschile, tra la carenatura incurvata della calotta dell’elmo e le ampie arcate sopracciliari, si protendono file regolari di ciocche stilizzate e compresse, attentamente cesellate con una fine striatura, e con un terminale a chiocciola45. Emergono per qualità e

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Fig. 9. karlsruhe, Badisches Landesmuseum. Episema di scudo in bronzo, dalla Caria (?): ariete A, in procinto di accucciarsi (da thimme 1986).

Fig. 10. karlsruhe, Badisches Landesmuseum. Episema di scudo in bronzo, dalla Caria (?): detta-glio dell’ariete B (da thimme 1986).

45 kunze 1967, pp. 167 s., 175 ss., 185 ss. (per le caratteristiche della lavorazione delle ciocche e per la possibile produzione di codesti manufatti in Magna Grecia). Kunze rileva correttamente la «Stilisierung des Haares, die dessen natürliche Form in ein strenges System bringt», e la maestria della «hohen, disziplinierten Zeichenkunst» (kunze 1967, pp. 167, 174). Per un aggiornamento sugli elmi di tipo calcidese: Antike Helme 1988, p. 137 ss. (H. PFlug).

eugenio la rocca130

stato di conservazione del decoro ornamentale un elmo con paragnatidi a testa di ariete dallo Stadio di Olimpia (Figg. 11, 12)46, due prometopidia con paragnatidi a testa di ariete da una tomba principesca rinvenuta nei primi decenni dell’Ottocento a Ruvo di Puglia47, ed un terzo, più frammentario, ma proba-bilmente di più fine lavorazione, con paragnatidi non figurate a bordo aguzzo, dallo Stadio di Olimpia (figg. 13-15)48. Questi manufatti risentono, più che del plastico modo di lavorazione dei riccioli sulla fronte di kouroi della fase di passaggio tra il terzo e il quarto venticinquennio del VI secolo a.C., come proposto da Emil Kunze49, del lezioso e cesellato fare ornamentale delle ciocche frontali dei dignitari medi e persiani sui rilievi di Susa e di Persepoli (Fig. 6), o del modo in cui è ricamato il vello sulle proto-mi di toro (Figg. 7, 17), spogliato di qualunque matrice naturalistica a favore di un gioco d’ornato: fasce regolari di pelo descritto con linee a tremolo da cui pendono i ricci a chiocciola come fossero gioielli.

L’elaboratissima capigliatura del Cavaliere Rampin50, simile ad un intreccio di fili di perline desinenti a chiocciole che sembrano sbocciare come rosette, quelle a riccioli calamistrati del Cava-

________46 kunze 1967, pp. 161 ss., n. III. 2, inv. B 4446, tavv. 90-92, 1, figg. 56-58. Sulla descrizione ed analisi del moti-

vo: kunze 1967, pp. 167 s., 175 ss.; kunze 1994, pp. 33, 48. Elenco di seguito, senza alcuna pretesa di completezza, una serie di elmi di tipo calcidese nei quali si riscontra, con particolare evidenza, un analogo motivo figurato: da Olimpia, inv. B 5174 (kunze 1994, p. 41 ss., n. IV. 1, tavv. 3; 4, 1-2; fig. 55); da Olimpia, inv. M 74 (kunze 1994, p. 53 ss., n. V. 6, tavv. 11, 2; 12; figg. 62, 63 a-c); da Locri, nel Museo Nazionale di Napoli, inv. 5737 (kunze 1967, p. 162, n. III. a, tav. 93, 2; figg. 59-60; BA 37-38, 1996, p. 156, fig. 1 [L. melillo Faenza]); da Metaponto, nel City Art Museum di St. Louis, inv. 282. 49 (il sontuoso cimiero a corpo di ariete con grande verosimiglianza non è pertinente all’elmo: kunze 1967, p. 163, n. III. b, figg. 61-64; lo Porto 1977-79, pp. 171 ss. [analisi della tomba], 181 ss., tav. LXVII; PhiliPP 2004, p. 409 s., Anhang K, tav. 112, 2) (Fig. 18); nel British Museum, inv. 2830, dalla tomba principesca di Ruvo, nella quale erano deposti anche i due prometopidia del Museo Nazionale di Napoli (kunze 1967, p. 163, n. III. c, figg. 65-67; montanaro 2007, p. 454, n. 103.7, figg. 347-348); nel Museo Archeologico di Vibo Valenzia, dal deposito votivo, ancora inedito, rinvenuto in contrada Scrimbia, nel quale dovrebbe essere presente un certo numero di esemplari (Magna Grecia 1992, p. 215; Greci in Occidente 1996, p. 642, n. 83 IV [C. sabbione]); nel Museo Archeologico Nazionale di Metaponto, dalla tomba 11 di Pisticci-Matina Soprano (bottini 1993, p. 135 s., n. 1 [C. lacerra]). Dalla tomba principesca di Ruvo proviene anche un elmo corinzio già indossato dal defunto, e con un motivo analogo (montanaro 2007, p. 450 s., n. 103.1, fig. 343, tav. XXXII). Un esemplare di elmo calcidese dallo Stadio di Olimpia, con paragnatidi a testa di ariete, presenta il motivo dei ricci secondo un disegno differente, altrettanto ornamentale, ottenuto con un’incisione finissima (kunze 1967, p. 161, tavv. 88-89). Un altro sempre da Olimpia, inv. B 6900, con paragnatidi del tipo a falcetto, ha riccioli più corposamente elaborati, con una fittissima striatura (kunze 1994, p. 32 ss., n. II. 21, tavv. 1, 2, figg. 42-50). Infine sul frammento di un terzo elmo ad Olimpia, inv. B 7801, i riccioli sono solo graffiti sulla parete del frontale (kunze 1994, p. 54 ss., n. V. 7, tav. 11, 3). Il sistema decorativo a riccioli degli elmi calcidesi tardo-arcaici compare talvolta su elmi più tardi, ad es. su un elmo di derivazione dal tipo calcidese da una tomba capuana nel British Museum (kunze 1967, p. 176 e nota 47) e sull’elmo apulo-corinzio dalla tomba Campanale-Stragapede di Ruvo, nel Museo Archeologico di Bari (Antike Helme 1988, p. 112 s., fig. 8 [A. bottini]; montanaro 2007, p. 347, n. 45.10, fig. 227, tav. XXI).

47 kunze 1967, p. 184 ss., figg. 70-71; cassano 1996, p. 124, nn. 11-12, tav. XCV; montanaro 2007, p. 460, n. 103.16, fig. 353, tav. XXXVI.

48 kunze 1967, p. 184 ss., tavv. 96-97.49 Così kunze 1967, p. 167, con riferimento al kouros di Kroisos, al kouros di Calcide ed a quello di Keos,

nei quali domina il plasticismo formale delle ciocche.50 Payne, young 1950, p. 4 ss., figg. 1 D-E; Floren 1987, p. 278 e nota 9, tav. 22, 2; eaverly 1995, spec. p.

73 ss., cat. 1, tav. 1 (con bibl. prec.); trianti 1998, p. 183 s., tavv. 192-193; Pollini 2003, passim, figg. 10-13.

la luPa caPitolina 131

liere di Eleusi51, e forse del giovane de Nion52, o la complessa acconciatura della Kore 682 dall’Acropoli di Atene53, composta da un dop-pio strato di riccioli ondulati sovrapposti, dei quali l’inferiore, più lungo, ricade sulla fronte con terminali a rosetta dai bordi ondulati, sono

eredi di quella tradizione, recepita nell’ambiente aristocratico dell’età dei tiranni, e valorizzata se-condo formule di impeccabile calligrafismo. Le file regolari di riccioli sul capo del Cavaliere Ram-pin o della Kore 682 (Fig. 19), i riccioli che si dispongono a raggiera sull’occipite del Cavaliere di Eleusi, in ambedue i casi ben compattati sulla calotta cranica per non intaccarne la robusta massa plastica, hanno una vitalità nella resa e una freschezza inventiva che controbilanciano la loro «fri-vola eleganza»54.

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Fig. 11. olimPia, Museo. Elmo calcidese in bronzo inv. B 4446 (da kunze 1967).

Fig. 12. olimPia, Museo. Elmo calcidese in bronzo inv. B 4446. Disegno ricostruttivo della decorazio-ne del frontale (da kunze 1967).

51 Floren 1987, p. 279 e nota 12; eaverly 1995, pp. 20 s., 81 ss., cat. 3, tavv. 7-8 (con bibl. prec.); Pollini 2003, pp. 24, 25 s., 28, 30, figg. 14-17.

52 Pollini 2003, passim, figg. 1-9.53 Payne, young 1950, p. 27 s., tavv. 40-41; 42, 1; 43, 2; Floren 1987, p. 338 e nota 40; trianti 1998, p.

94, tavv. 80-84.54 Ranuccio Bianchi Bandinelli, pur ammirando le qualità formali del Cavaliere Rampin, osservava nell’arte

arcaica dell’età dei Pisistratidi una pericolosa condiscendenza «in frivole eleganze e in calligrafiche raffinatez-ze», sventata immediatamente dopo dall’emergere di una «semplicità» che sarebbe divenuta l’elemento portan-te della cultura figurativa di età severa e classica: EAA III, 1960, s.v. «Greca, Arte», p. 1019.

eugenio la rocca132

Ebbene, nelle loro acconciature ricercate non traspare solo l’emulazione del lusso orien-tale, ma anche il riferimento, con grande auto-nomia di linguaggio, ai modi di rappresentazio-ne figurata di quel lusso. L’influenza c’è, e si manifesta, tramite l’ambiente ionico, in un ela-borato formalismo decorativo che, alla pari de-gli elmi e dei prometopidia, doveva certamente riscontrarsi, con tecniche ancor più simili ad un prezioso lavoro a cesello, in bronzi di grande formato.

La Lupa Capitolina, prodotta verosimil-mente in ambiente periferico, ma fortemente ricettivo a quel linguaggio formale che aveva condizionato persino lavori a carattere artigia-nale in Magna Grecia, è, secondo il mio parere, uno dei pochi monumenti superstiti che docu-mentano questa specifica tradizione artistica. Sono gli elementi fondanti di quel linguaggio che, riflessi sulla Lupa, le impediscono di es-sere accomunata ad opere di età medievale. Il tracciato grafico della criniera degli aggressivi

Fig. 13. olimPia, Museo. Prometopidion in bronzo inv. B 4800 (da kunze 1967).

Fig. 14. olimPia, Museo. Prometopidion in bronzo inv. B 4800. Dettaglio della decorazione del fron-tale (da kunze 1967).

Fig. 15. olimPia, Museo. Prometopidion in bronzo inv. B 4800. Disegno ricostruttivo della decorazio-ne del frontale (da kunze 1967).

la luPa caPitolina 133

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leoni sui rilievi di Persepoli (Fig. 8)55, compres-sa sul collo come un tappeto, il collarino delle protomi di toro (Fig. 7), il vello degli arieti sugli episemata di scudo a Karlsruhe (Figg. 9, 10), infine le appiattite ciocche ornamentali degli elmi calcidesi (Figg. 11, 12) e dei prometopidia magno-greci (Figg. 13-15), compongono una sequenza che documenta meglio di qualsiasi descrizione i modi d’espressione del raffinato

linguaggio figurativo medio-orientale e delle sue derivazioni ioniche, dalle quali trae la sua linfa la Lupa Capitolina.

Fig. 16. roma, Musei Capitolini. Lupa Capitolina: dettaglio del collarino della criniera (foto Musei Capitolini).

Fig. 17. PersePoli, rilievo della rampa d’accesso al tachara (o Palazzo di Dario). Leone che aggredi-sce un toro: dettaglio della protome del toro con il collarino di pelo (da herzFeld 1941).

55 Si veda la nota 41. Anche in questo caso si può supporre una certa derivazione dai modi di composizione della criniera dei leoni assiri, ad esempio il leone di Nimrud (nota 34), a ciocche appiattite più di quanto non avvenga sui rilievi, ma non ancora trasformate in un puro ornato (pur essendo ricurve, le ciocche non mostrano una piena eguaglianza di misura, una regolarità distributiva e la caratteristica desinenza ad uncino). Il leone alato di un magnifico rhyton persiano d’oro nel Museo di Teheran, attribuito al tesoro di Hamadān (Ecbatana), e datato tra il VI e il V secolo a.C. (7000 anni d’arte iranica, p. 109, n. 328, tav. 40; ghirshman 1964, p. 252, fig. 290; Antica Persia 2001, p. 87, n. 113 [P. Piacentini]; seiPel 2001, p. 200, n. 113. Gli si avvicina, pur avendo la conformazione della criniera differentemente concepita, il rhyton d’oro anch’esso raffigurante un leone alato, nel Metropolitan Museum di New York: ghirshman 1964, p. 252, fig. 306), nella sapiente elaborazione della criniera a riccetti ad uncino compressi sul collo come una guaina, potrebbe essere uno straordinario confronto con la Lupa Capitolina. Purtroppo di questo, come di moltissimi altri manufatti medio-orientali provenienti dal mercato antiquario, è stata posta di recente in discussione l’autenticità (muscarella 2000, p. 53, n. 7). Sarà quindi meglio attendere future indagini tecniche sul rhyton prima di esprimere qualunque giudizio in merito.

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Di qui nasce l’accentuato decorativismo che permea non solo la criniera intorno al collo – il confronto con gli episemata di scudo carii è esplicativo in tal senso –, ma anche altri dettagli caratterizzanti della Lupa, quali l’incorniciatura a collarino dalla quale spunta la protome (Figg. 1, 16) e lo squisito calligrafismo con cui è resa la criniera sul dorso (Fig. 20). È impressionante, a confronto, l’affinità tra il collarino della Lupa e il collarino che incornicia il muso dei tori ache-menidi (Figg. 7, 17)56, la cui cronologia scala tra la fine del VI e il V secolo a.C. Anche il dettaglio della chioma dei dignitari persiani che si rizza sulla loro fronte come una corona di chiocciole su steli ondeggianti (Fig. 6) è stilizzato secon-do il medesimo prezioso partito decorativo. La formula si trasmette nei bronzi greci, come do-cumentano i ricci sugli elmi di tipo calcidese

(Figg. 11, 12, 18) e sui prometopidia di produzione magno-greca (Figg. 13-15)57. Quel che manca in ambiente greco, almeno finora, è un lavoro a tutto tondo nel quale, come nella Lupa, una parte con-sistente dell’opera, e non solo suoi singoli finissimi particolari, parlino un simile linguaggio. Esso è intuibile attraverso pregiati lavori a carattere artigianale, ma non verificato in base ad un’opera d’arte che espliciti nella sua elaborazione una simile totale metamorfosi dei motivi naturalistici in ornato geometrizzante. Alcune sculture in marmo di sapore ionico dell’età arcaica, appunto come il Cavalie-re Rampin o la Kore 682, denunciano la conoscenza di modelli medio-orientali, ma il rapporto non è operante secondo quel medesimo rigore «astratto», assunto come formula compositiva di base. I ric-cioletti sulla fronte della Kore 682 (Fig. 19) sembrano sì ripetere il motivo della corona di riccioli sul capo dei principi e dignitari persiani, ma la fattura è più vivace, meno irrigidita in uno schema. Eppure dettagli simili, specialmente secondo l’esecuzione su un certo numero di opere artigianali in bronzo, testimoniano la recezione dei modelli medio-orientali e presuppongono l’esistenza in ambiente greco di manufatti importati – si potrebbero suggerire manifatture suntuarie – e di produzioni dove quei modelli erano o fedelmente replicati o emulati con personale sensibilità.

Per l’accentuato calligrafismo della criniera che borda il dorso della Lupa (Fig. 20), resa con un motivo simile ad una treccia che copre la scriminatura centrale, la Carruba ha avanzato confronti, in alcuni casi poco cogenti58, con una serie di vere e proprie trecce a carattere decorativo su plutei

________56 Si vedano le note 39-42.57 I frammenti superstiti di grandi bronzi greci presentano caratteristiche analoghe di lavorazione, ma l’evi-

denza plastica è assai superiore: si vedano, ad esempio, due frammenti bronzei di Olimpia che preservano l’uno alcune ciocche, l’altro i peli del pube di una statua virile con simile arricciatura a chiocciola e fine lavoro di cesello: karusos 1961, p. 80, n. 5; bol 1978, pp. 25 s., 55, 109, nn. 93-95, 96, tav. 17.

58 Si veda infra.

Fig. 18. st. louis, City Art Museum. Elmo calci-dese in bronzo inv. 282.49: dettaglio del frontale (da kunze 1967).

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carolingi59, e con il vello dorsale di leoni stilofori romanici60. Anche in questo caso, la linea vettoria-le sembra condurre verso il medio-oriente. Con analogo rigore, anche se con un motivo differente, sono eseguite le criniere dorsali dei tori persiani, con una banda regolare composta dallo stesso moti-vo del collarino (Fig. 7). Non c’è ragione, però, di saltare di pié pari i prototipi greci che dalla cultura orientalizzante sono stati influenzati. Nel leone a Boston, da Perachora61, le ciocche compongono un disegno a treccia (Figg. 2, 21) la cui logica ornamentale, anche se lo schema è un po’ diverso, prelu-de con largo anticipo ai modi di legatura dei ciuffi di pelo sul dorso della Lupa. La stessa bronzistica greca può vantare una vivacissima tradizione nella tessitura delle chiome62 o del pelame di animali con un efficace carattere ornamentale che nel tempo, per il suo più spinto naturalismo, si distanzia dai modelli medio-orientali. La criniera dorsale è diffusa, se non abituale, negli esemplari in pietra, greci63 – con sensibili differenze di lunghezza – ed etrusco-italici di età ellenistica64, meno consueta, ma non assente, in quelli romani65. L’accentuato naturalismo delle opere d’arte greche posteriori all’età classica impedisce purtroppo di determinare confronti diretti.

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Fig. 19. atene, Museo dell’Acropoli. Kore inv. 682: dettaglio dell’ac-conciatura dei capelli (da trianti 1998).

59 carruba 2006, p. 39, figg. 35, 36.60 carruba 2006, p. 42, figg. 39-40, 42, 43.61 Si veda nota 16.62 Si vedano, ad esempio, il frammento di treccia bronzea rinvenuto ad Olimpia (bol 1978, pp. 23, 35, 109,

n. 88, tav. 16); il complesso e solo apparente disordine delle chiome dell’Amazzone tipo Sosikles (steuben 1973, tavv. 48-51); l’agitata elaborazione della fluente capigliatura del Satiro di Mazara (Petriaggi 2003, figure alle pp. 8-10; 23; 46; 65; 95; 97; 103, 4; 104, 5; 109, 14; 115; 117-119; Petriaggi 2005, spec. figure alle pp. 154-157; 190-191; 194; 210, 19).

63 willemsen 1959, tavv. 44, 3; 47, 2-48, 3; 49, 2-50, 2; 51, 1, 2, 3; 55, 2; 56, 4; 57, 1, 2; 62, 2; 63, 1, 2; 64, 2.64 marini calvani 1980, p. 8. La criniera dorsale è presente anche su uno dei leoni venosini: todisco 1996,

p. 23 s., III Bb 1, tavv. VIII-IX. Sulle origini del motivo: camPoreale 1965, p. 1 ss., tav. 1.65 marini calvani 1980, p. 8, fig. 3.

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Lontano invece da qualsiasi influenza medio-orientale, ma soprattutto lontano da ipotetiche ma-trici medievali, è il modo particolare di rendere, con grande efficacia naturalistica di contro alla sti-lizzazione della criniera, il muso della belva. Il profilo aguzzo, bordato in alto dalla piega ad angolo acuto dell’arcata sopraorbitale, e l’insistito aggrottamento che incornicia, evidenziandoli, gli occhi spalancati, come sgranati, e fissi (Figg. 1, 22), hanno solo in ambiente etrusco arcaico, pur non man-cando l’inevitabile derivazione greca, i riscontri più convincenti66. Valgano per tutti gli occhi delle teste canine del Cerbero catturato da Eracle sulle hydriai ceretane del Louvre (Fig. 23) e di Villa Giulia67. Proprio nell’ambito delle hydriai ceretane, fermo restando il differente genere artistico, si annoverano i confronti occidentali più efficaci con la Lupa, sia a livello cronologico – le hydriai sca-lano fra il 530 e il 500 a.C., mentre la Lupa, secondo la più comune opinione, oscilla nell’ambito dei primi decenni del V secolo a.C. –, sia a livello formale. Oltre le teste di Cerbero delle due hydriai, che alla Lupa si affiancano anche per il profilo superiore del muso, si confrontino i corpi nervosi e scarni, come scheletriti, e gli occhi corrugati dei due felini che aggrediscono un toro sull’hydria del Metropolitan Museum di New York68. Ed è forse non casuale che una delle rarissime immagini di

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Fig. 20. roma, Musei Capitolini. Lupa Capitoli-na: dettaglio del vello sul dorso (foto Musei Ca-pitolini).

Fig. 21. boston, Museum of Fine Arts. Leone da Perachora: dettaglio della criniera (da caskey 1925).

66 Interessanti precedenti sono già gli sguardi allucinati di alcuni grifi su protomi che decoravano calderoni orientalizzanti: herrmann 1979, pp. 30, 83 s., 87, 122, 134, 148, 152, 160, nota 29, G 60, tavv. 26; 27, 1 (metà circa del VII secolo a.C.).

67 hemelrijk 1984, pp. 14, n. 4, tavv. 2, 14, 32-35, 135, 143, 150, 164, figg. 44-45, 58-59, 62, 65 (Pittore dell’Aquila); 23 s., tavv. 7, 15, 54-56, 129, 142, 143, 146, 151, 158, figg. 45, 49, 55, 60, 61, 63 (Pittore di Busiride).

68 hemelrijk 1984, p. 32 s., tavv. 9, 16, 74 a-b, 75-76, 152, fig. 61 (Pittore dell’Aquila).

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lupa sia proprio su un’hydria ceretana anch’essa al Louvre, con raffigurazione di caccia ad una lupa che si slancia feroce contro gli aggressori per difendere i suoi cuccioli (Fig. 24)69, né che i paragoni conducano verso quell’ambiente etrusco meridionale dove la Lupa Capitolina, secondo la comune opinione, fu realizzata70.

Malgrado il numero esiguo di confronti nell’ambito della cultura figurativa greca e/o etrusca, mi sembra che in essa la Lupa trovi il suo più idoneo sostrato culturale, piuttosto che in quella romana, caro-lingia, ottoniana e romanica. In effetti la produzione animalistica alto- e basso-medievale ha tenuto bene

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Fig. 22. roma, Musei Capitolini. Lupa Capitolina: dettaglio dell’occhio (foto Musei Capitolini).

Fig. 23. Parigi, Museo del Louvre. Hydria cereta-na del Pittore dell’Aquila con raffigurazione della discesa di Eracle negli Inferi: dettaglio delle teste di Cerbero (da hemelrijk 1984).

69 hemelrijk 1984, p. 40 s., tavv. 6 c, 7 a, 17, 86-87, 88 b, 132, 137, 153, 161, 167, fig. 61 (Pittore dell’Aquila).70 Vorrei attirare l’attenzione anche sulle somiglianze che il taglio degli occhi con la pupilla grande e sgrana-

ta della Lupa condivide, con le debite distanze, con gli occhi dell’Apollo di Veio (sPrenger, bartoloni, hirmer 1977, tav. 118). È un taglio a mandorla desunto dalla scultura greca arcaica (un ottimo esempio è offerto dalla testa del Cavaliere Rampin), ma parzialmente revisionato nella sua conformazione, meno regolare, più allun-gata verso le tempie, con la palpebra inferiore poco incurvata e la palpebra superiore, al contrario, fortemente arcuata al centro. Da esso dipende l’espressione come sovreccitata dello sguardo. Le altre statue acroteriali del Portonaccio presentano un taglio degli occhi più ammorbidito.

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a mente i modelli classici, specialmente nella loro filiazione municipale e provinciale, e da essi ha recuperato schemi e tipologie, pur mantenendo per lo più una grande indipendenza formale71. Naturalmente somiglianze in singoli, pur limitati, dettagli tra la Lupa Capitolina e raffigurazioni di animali di età medievale non mancano, in parti-colare nel reiterato sistema di riprodurre i ciuffi di pelo con una desinenza “ad uncino” (Figg. 25, 31) e nella loro distribuzione secondo un pattern regolare (Fig. 29), piuttosto comune nei felini di età romanica. Sono, tuttavia, coincidenze fortui-te, indipendenti tra loro, risultato di un percorso artistico del tutto autonomo. D’altronde mai, a mia conoscenza, nell’arte medievale le capiglia-ture e le pellicce di animali sono state realizzate con quella finissima e minuziosa resa a cesello che si riscontra sulle migliori opere della cultura figurativa di età arcaica e severa.

3. un conFronto con alcuni bronzi medievali

La conoscenza di modelli antichi lungo l’arco dell’intero periodo storico compreso tra l’età caro-lingia e l’età romanica è accertata. La c.d. Lupa Carolina in bronzo, in realtà un’orsa, trasferita da Roma ad Aquisgrana (Aachen) per volere di Carlo Magno72, è verosimilmente una scultura di età ellenistica realizzata secondo schemi non dissimili da quelli adottati per la raffigurazione di cani molossi73. Carlo Magno, sulla base verosimilmente di un programma suggerito da Eginardo, aveva collocato il bronzo, che supponeva rappresentasse una lupa, nell’atrio della sua cappella palatina, dove fungeva da fontana, insieme con una pigna in bronzo e con la statua equestre di Teoderico rivestito di sagum, intendendo in tal modo ricostituire simbolicamente ad Aquisgrana, a imitazione della Roma cristiana, l’assetto della piazza del Laterano e dell’atrio di S. Pietro con i loro più ce-

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Fig. 24. Parigi, Museo del Louvre. Hydria ceretana del Pittore dell’Aquila con raffigurazione di cac-cia ad una lupa: dettaglio della lupa (da hemelrijk 1984).

71 Si veda infra e la nota 86. Mi sembra nel complesso meno cogente il confronto con i leoni sui sarcofagi romani, di solito rappresentati secondo una maggiore aderenza al naturale: stroszeck 1998.

72 mende 1999, p. 111 ss., n. II. 70; künzl 2002, p. 1 ss., figg. 4-5 (foto dell’originale), 12-25 (foto della fedelissima copia eseguita nel 2000, nel Römisch-Germanisches Museum di Mainz). Sul programma figurativo di Carlo Magno: gramaccini 1995, p. 130 ss.; gramaccini 1996, p. 52 s.

73 Si vedano, ad esempio, i cani molossi nel Cortile Ottagono dei Musei Vaticani (Andreae 2001, p. 119 ss., tavv. 96, 97, fig. 80), oppure quelli nella Galleria degli Uffizi a Firenze (mansuelli 1958, p. 77 s., nn. 48, 49). E. Künzl (künzl 2002, p. 16 ss.) ha con precisione definito le differenze nella struttura anatomica tra l’Orsa, la Lupa e i cani rappresentati nell’arte antica.

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lebri monumenti: la Lupa, la Pigna Vaticana e la statua equestre di Marco Aurelio. Certamente di spoglio, come simbolico riferimento ad un glorioso passato, e indicativi dell’aspirazione all’autogoverno e alla libertà dei modenesi ri-spetto ai poteri imperiali ed ecclesiastici, sono poi i leoni stilofori del portale maggiore e della Porta dei Principi nel Duomo di Modena74, sot-tratti a monumenti funerari locali di età romana e, verosimilmente, rilavorati nel muso, nel cor-po e nel modellato della criniera. I felini reggi-colonne avranno nel corso del XII secolo una vasta fortuna: non più di spoglio, ma realizzati, a felice emulazione di modelli romani che non si trasforma mai in un’imitazione pedissequa, da maestranze provette o in marmo o, molto più spesso, in pietre locali.

Ora, buona parte degli elementi distintivi della Lupa Capitolina sono assenti proprio su quei monumenti carolingi che, in base alla nuova proposta cronologica di Anna Maria Carruba, do-vrebbero esserle coevi. Lasciamo pure da parte l’Orsa, la cui origine ellenistica non appare, almeno finora, posta in dubbio. Più utili per una comparazione dovrebbero essere i battenti a protome di le-one applicati ai piccoli portali delle cappelle di Anna, di Carlo e di Hubertus, e al più grande portale detto del Lupo (la porta lupi) nella Cappella Palatina di Aquisgrana (Aachen) (Fig. 25)75, attribuibili ai primi decenni del IX secolo, e le teste leonine della porta di San Bernoardo nella cattedrale di S. Michele a Hildesheim76, datate intorno al 1015. Malgrado la consistente stilizzazione ornamentale, nessuna di queste protomi può essere accostata alla Lupa, né per la conformazione del muso, né per il taglio degli occhi, e neppure per la resa della criniera. Non può essere certo la disposizione delle ciocche ad uncino da sola a costituire un nesso tra queste immagini, tanto distanti dai modi di esecuzione della Lupa sono, nei dettagli come nella costruzione complessiva, le protomi bronzee di Aachen, che sembrano derivare da falere bronzee romane, nel taglio circolare, nelle forme anatomi-che e nel tracciato della criniera.

La difficoltà di un reale confronto con opere carolingie non deve essere sfuggita ad Anna Maria Carruba, se gli accostamenti da lei esibiti a favore di una cronologia della Lupa in età carolingia sono, inspiegabilmente, per lo più opere del XII secolo, come il Leone di Braunschweig, datato

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Fig. 25. aachen, Cappella Palatina. Battente in bronzo a forma di protome di leone, dal portale del Lupo (da braunFels 1965).

74 rebecchi 1984, pp. 329 s., 344, R. 13, figg. 347, 348; gramaccini 1996, p. 83 s.; Poeschke, hirmer 1998, p. 70, tav. 17.

75 braunFels 1965, p. 195 s., figg. 21 (Annenkapelle), 22 (Karlskapelle), 24 (Hubertuskapelle), 25 (Wolfstür). Per le protomi di quest’ultimo portale si è voluto vedere un modello proprio nell’Orsa (schnitzler 1950, p. XII s.; mende 1981, p. 17 e cat. n. 1; mende 1994, p. 23 s.), che è, tuttavia, di un naturalismo assai più evidenziato.

76 grodecki et Al. 1974, pp. 15, 303, figg. 13, 314.

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1166, o i leoni stilofori di alcune chiese romaniche, o lavori persino più tardi, come il Leone e il Grifo di Perugia, databili al 1274. Ma un’analisi formale non può essere condotta spostandosi da un secolo all’altro come meglio conviene. Se la Lupa è carolingia, i confronti devono essere condotti con opere carolingie, se romanica con opere di età romanica.

Comunque sia, nessuno dei monumenti in bronzo affiancati alla Lupa ne condivide in pieno i caratteri formali, ma al più alcuni elementi tipologici. Il Leone di Braunschweig77, ritto sulle quattro zampe e di pieno profilo, con la sua folta criniera di notevole consistenza plastica, con la definizione anatomica del muso e del corpo povera, ridotta all’essenziale, ha, simile alla Lupa, solo la postura araldica del corpo, che comunque è di tradizione antica, come mostra, per fare un esempio, il leonci-no etrusco di bronzo nel museo di Baltimora78. A parte la loro recenziorità, che già di per sé dovrebbe dissuadere da un confronto, il Grifo e il Leone di Perugia non mostrano alcuna attinenza stilistica con la Lupa79.

4. un conFronto con i leoni stiloFori in Pietra, e altri bronzi di età medievale

Un discorso a sé stante meritano i leoni stilofori dei protiri80 e dei pontili di chiese romaniche in Italia, la cui produzione in pietra tende a distinguersi dalla ben più scarsa produzione in metallo. V’è indubbiamente in essi, oltre la consistente «animazione plastica» esattamente rilevata dalla Carruba, un modo ornamentale di tracciare le ciocche della criniera, con curvatura ad uncino o a ricciolo, che è elemento costitutivo dello stile dell’epoca. Difficilmente può aver costituito un precedente l’in-teressantissimo Leone di Venezia81, in origine forse un leogrifo eseguito da un artista greco d’Asia Minore tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. La prima citazione del bronzo risale al 1293, ma è possibile fosse esposto sulla colonna nella Piazzetta già nel 1172, comunque troppo tardi per essere di modello per i leoni romanici.

Si potrebbe supporre invece, per taluni aspetti, una derivazione da modelli islamici, ben esem-plificati dalle pitture del soffitto della Cappella Palatina a Palermo82, o dal mantello regale con iscrizione cufica di Ruggero II83, intessuto tra il 1133 e il 1134: modelli sapientemente rielaborati, ad esempio, nei leoni posti a sostegno del sarcofago di Federico II, destinato inizialmente per la sepol-tura di Ruggero II, e rimasto inutilizzato, insieme con un altro sarcofago di porfido, nella Cattedrale

________77 legner, hirmer 1982, p. 179, tavv. 302-303; carruba 2006, p. 58 s., n. 6. Nel Duomo di Braunschweig,

i leoni che sorreggono il celebre candelabro a sette braccia, di qualche decennio posteriori, sono costruiti in modo analogo: legner, hirmer 1982, tavv. 306-307, p. 179 s.

78 hill 1949, p. 117, n. 268, tav. 43; brown 1960, p. 112, nota 1, tav. LXII b.79 carruba 2006, p. 59 ss., n. 7.80 Enciclopedia dell’Arte Medievale IX, 1998, p. 755 ss., s.v. «Protiro» (F. gandolFo).81 scarFì 1990, p. 33.82 monneret de villard 1950, fig. 5. Le pitture sono datate con sicurezza all’epoca di Ruggero II, perché

nella Cappella Palatina ormai ultimata si svolse, tra il 1140 e il 1144, un’omelia del predicatore Philagathos durante la festa dei SS. Pietro e Paolo.

83 monneret de villard 1946, p. 8; Fillitz 1954, pp. 23 s., 57 s., figg. 23-26; d’onoFrio 1994, p. 279 ss., figg. alle pp. 282-283 (R. bauer).

la luPa caPitolina 141

di Cefalù84. La filiazione dei leoni islamici da prototipi sasanidi, a loro volta derivati dalla cultura artistica persiana, è verosimile. Dalla tradizione sasanide85, mediata dall’Islam, potrebbe essersi svi-luppato il gusto verso una più accentuata ornamentazione delle criniere dei leoni secondo diversi schemi decorativi lontani da qualunque naturalismo descrittivo.

Ma il riferimento ai leoni funerari romani non è del tutto assente86. L’adozione stessa di possenti leoni romani, ancorché rielaborati, per il protiro del Duomo di Modena, o la ripresa, ad esempio nei leoni campionesi del pontile nel Duomo di Modena, del motivo della lotta con un uomo armato, che sembra essere una cosciente filiazione da modelli romani provinciali87, denunciano una ripresa di motivi e talora stilemi desunti dai leoni funerari romani per lo più di produzione municipale o pro-vinciale. In questi il modello urbano è recepito, talora con notevoli risultati, secondo differenti gradi di allontanamento dal naturalismo della tradizione colta, con parallela riduzione di volume della criniera e impostazione esornativa delle ciocche88. Mentre la criniera del leone nel Museo Civico di Imola (Fig. 26)89, con le sue ciocche appiattite, distribuite secondo un modulo regolare e ripetitivo, sembra erosa da un intenso chiaroscuro che intende surrogare, con sapiente gioco ottico, l’effettiva carenza di spessore volumetrico, nel leone funerario ora nel Museo del Sannio a Benevento90, in quello della chiesa di S. Agostino a Trani (Fig. 27)91, nel leone accovacciato della fontana di Piazza Castello a Venosa92, nel leone funerario di Sibiu93, o ancora in quello di Turnu Severin (Fig. 28)94,

________84 deér 1959, p. 50 ss., figg. 25-27, 30-32; andaloro 1995, pp. 25 s. (M. andaloro); 33 ss., 39 ss., n. 2,

figg. 2.1, 2.2, 2.6 (E. bassan). 85 ghirshman 1962, pp. 209, figg. 248-251 (piatto da Sari nell’Iran Bastan Museum di Teheran); 306, fig.

404 (brocca nella Bibliothèque Nationale a Parigi); harPer 1978, pp. 33 s., n. 3 (piatto da Sari nell’Iran Bastan Museum di Teheran); 38 s., n. 6 (piatto nel Cleveland Museum of Art); Trésors de l’ancien Iran 1966, p. 121, n. 677, tav. 71 (piatto d’argento dorato con raffigurazione di Eracle che consegna le spoglie del cinghiale di Erimanto al re Euristeo nascosto in un pithos. Il piatto è ora nella collezione Ortiz: In Pursuit of the Absolute 1994, n. 243). Il modo di stilizzare la criniera dei leoni, a riccioli uncinati, potrebbe essere stato influenzato, come suppone Geza de Francovich, da tessuti della Persia nord-orientale, nei quali il motivo, con forte valenza decorativa, è piuttosto comune (de Francovich 1963, p. 162, fig. 107). Sembra comunque innegabile una deri-vazione, sia pure indiretta, dalla raffigurazione dei leoni sasanidi.

86 Manca, che io sappia, uno studio approfondito che ponga a confronto i leoni romani con quelli romanici. Rimando, a tal proposito, ai lavori di Luigi Todisco, e in particolare: todisco 1996, p. 96 ss., spec. p. 107 ss. (per le caratteristiche peculiari dei leoni municipali e provinciali); todisco 1994b, p. 141 ss., figg. 1-8, 14-17, 18 (su un leone romano rielaborato in età medievale); todisco 1994c, pp. 389 ss., 402 ss. (con il raffronto tra esemplari leonini applicati al campanile di Melfi: alcuni [figg. 3-5, 6-8 alle pp. 379 e 381] romani, uno [figg. 13-15 a p. 388] di età medievale).

87 rebecchi 1984, p. 329 s., figg. 321 (leone del pontile), 322 (gruppo del leone che assale un gladiatore trace nel Museo Denon di Chalon-sur-Saône).

88 Altri esempi di leoni funerari con rendimento «grafico-linearistico»: todisco 1994a, p. 106. Inoltre: ma-rini calvani 1980, p. 8, figg. 2-3; p. 9, figg. 10, 11.

89 mansuelli 1956, pp. 67 s., n. 3 e 79 ss., tavv. 34, 1-2; 35, 1-3.90 marini calvani 1980, p. 9, fig. 12.91 todisco 1994a, p. 99 ss., figg. 2-5.92 todisco 1996, p. 33 s., III B e 1, tavv. XXI, XXIV in basso a destra, XXV.93 Ferri 1933, p. 279, fig. 347.94 Ferri 1933, p. 279 s., fig. 349.

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l’accento plastico è ancora insistito, sebbene la criniera sia spesso ridotta ad un gioco grafico, fino a trasformarsi, nell’esemplare di Turnu Severin, in una massa di eleganti ghirigori, simili a vaporosi cirri che si sovrappongono artificiosamente.

Da questa eclettica congerie di esemplari nei quali, ad una tipologia riducibile a pochi schemi co-muni, si contrappongono differenze stilistiche talora significative, dipendono determinati dettagli di molti leoni stilofori: del protiro del Duomo di Ferrara (ca. 1135)95, della basilica di S. Nicola a Bari (post 1132)96 o quelli antelamici di Parma – del pontile nel Duomo (ca. 1178) e del fonte battesimale nel battistero (ca. 1196-1220) (Fig. 29)97, forse anche della cattedra episcopale (ca. 1200)98 – e di Fidenza (ca. 1200-1220)99. Il sostrato ornamentale della loro pelliccia, con la disposizione ritmica dei ciuffi di pelo sulla criniera, ma anche lungo il dorso – e talvolta riconoscibile anche sul bordo interno delle zampe posteriori (Fig. 29): soluzione che nell’arte classica ha pochissimi riscontri pun-tuali in opere a tutto tondo100 –, per quanto magistralmente realizzato, appare pur sempre derivato

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Fig. 26. imola, Museo Civico. Leone funerario ro-mano (da mansuelli 1956).

Fig. 27. trani, S. Agostino. Leone funerario ro-mano (da todisco 1994a).

95 Poeschke, hirmer 1998, p. 89 s., tav. 54, fig. 43.96 todisco 1994b, p. 152, figg. 14-17.97 Quintavalle 1990, p. 355, n. 19 a-d, figg. alle pp. 250-253 (leoni del pontile); p. 131, fig. 115 (fonte

battesimale del battistero); Poeschke, hirmer 1998, p. 125, fig. 78 (leoni del pontile); p. 133, tav. 127 (fonte battesimale del battistero).

98 Quintavalle 1990, p. 153, figg. 148-149; p. 370 s., n. 31 e fig. a p. 310; Poeschke, hirmer 1998, p. 125 s., tav. 111. È probabile che i due leoni, pur coevi con la cattedra episcopale, avessero in origine una differente dispo-sizione.

99 Poeschke, hirmer 1998, p. 119, tav. 101. I leoni del protiro del Duomo di Parma, chiamati in causa dalla Carruba (carruba 2006, p. 42, figg. 39, 40, 42), sono pertinenti al nuovo ingresso monumentale realizzato da Giambono da Bissone nel 1281, e sono, quindi, ancora più tardi e poco utili per un confronto con la Lupa Capitolina.

100 Il motivo è riscontrabile nell’interessantissimo, e poco studiato, leone di Dimitsana, datato intorno al 470 a.C. ca. (willemsen 1959, p. 41, tav. 40). In alcuni casi i leoni di età classica mostrano pelame sul bordo delle cosce posteriori, come nel leone di Cheronea (willemsen 1959, pp. 49, 52, tavv. 58-59), ma più comunemente

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dai modelli di età classica101, emulati con ben differente sensibilità. Come in questi, non viene mai meno quel senso di solidità plastica delle singole ciocche di pelo, sebbene il tracciato della criniera possa indirizzarsi verso un ornato a schema ripetitivo. In essi non trapela mai, tuttavia, quello spe-cifico modo di stilizzazione ornamentale priva di spessore plastico che connota la Lupa Capitolina.

Quando si passa ad un esame analitico dei bronzi superstiti di età romanica che possono essere avvicinati alla Lupa Capitolina, per lo più acquamanili a forma di leone (Fig. 30) o battenti a testa leonina (Fig. 31)102, si osserva in essi una semplificazione delle forme (non dipendente solo dal diverso modo di lavorazione dei manufatti il cui spessore metallico, perlomeno nel caso degli acqua-manili, doveva essere relativamente sottile), e un rendimento grafico nei dettagli, analogo a quello

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Fig. 28. turnu severin, Museo. Leone funerario romano (da Ferri 1933).

– per quanto anch’esso raro – nella zona di attacco delle cosce posteriori al tronco (willemsen 1959, pp. 51 ss., 61, tav. 57, 2 [nel Museo Nazionale di Atene]; p. 53 s., tav. 63, 1, 2 [a Minneapolis, da Atene, e nel Museo del Pireo]). Il motivo è invece costitutivo delle immagini di leoni su sarcofagi romani, dove il vello è normalmente visibile lungo le zampe anteriori, sotto il ventre e lungo l’intero bordo delle zampe posteriori: stroszeck 1998, tavv. 22-71.

101 Mancano ancora, purtroppo, accurate riproduzioni dei leoni funerari romani in tutti i loro dettagli. Si veda comunque, malgrado il suo maggiore naturalismo, il vello sul dorso del leone di Sassa (L’Aquila): marini calvani 1980, p. 8, fig. 3.

102 Zeit der Staufer 1977, p. 497, n. 647, fig. 453 (leone accucciato come contenitore di incenso, Germania set-tentrionale, 1200 ca.); p. 500, n. 654, fig. 459 (acquamanile a forma di leone che divora un uomo, Maastricht [?], metà del XII secolo); p. 500, n. 655, fig. 461 (acquamanile a forma di leone che divora un uomo e manico a forma di drago, Bassa Sassonia, seconda metà del XII secolo); n. 657, fig. 463 (acquamanile a forma di leone seduto con due draghi, Germania settentrionale [Lubecca?], 1200 ca.); p. 501, n. 658, fig. 464 (acquamanile con candeliere a forma di leone sulla cui groppa siede, su un albero, una regina, Bassa Sassonia, inizi del XIII secolo); p. 503, n. 662, fig. 468 (acquamanile a forma di leone in lotta con Sansone, Germania settentrionale, XIII secolo); n. 690, fig. 491 (battente a testa leonina, Germania settentrionale [Lubecca?], intorno al 1200); p. 519 s., n. 691, fig. 492 (battente a testa leonina, Sassonia [?], 1220-30 ca.); p. 520 s., n. 693, fig. 493 (battente a testa leonina, Wimpfen [?], 1170-1180 ca.); p. 525, n. 703, fig. 502 (candeliere a forma di Sansone in groppa ad un leone, Germania settentrionale, prima metà del XIII secolo).

eugenio la rocca144

dei leoni stilofori. È simile l’accentuato decorativismo dei ciuffi di pelo, spesso desinenti a ricciolo, e la loro disposizione secondo patterns regolari, ma in nessun caso a scapito dell’effetto plastico, che è preminente. In un acquamanile e in alcuni reliquiari a testa umana dello stesso periodo (Fig. 32)103 si riscontra, nei modi di trattazione della capigliatura e della barba, un appiattimento più sensibile dei volumi, ma, come appare evidente, lo schematismo insistito, poco naturalistico, di tali manufatti, specialmente nella stereometrica costruzione del volto e nell’insistita simmetria delle parti, rende il confronto con la Lupa privo di efficacia.

Le differenze stilistiche tra i leoni romanici e la Lupa potrebbero essere sintetizzate riconoscendo nella struttura di quest’ultima la volontà di anteporre la solidità volumetrica dell’insieme alla pla-sticità dei dettagli, secondo una soluzione di profonda coerenza, di matrice ancora arcaica, mentre in quelli, organicamente meno coerenti e, in determinati casi, di struttura più povera e semplificata, prevale comunque l’accentuazione plastica, anche in quei dettagli, come la pelliccia, ad imposta-zione grafica e ornamentale. Il confronto con l’acquamanile nel Rijksmuseum di Amsterdam (Fig. 30) che ha, nella postura araldica del corpo, con il muso rivolto verso lo spettatore, qualche vaga somiglianza con la Lupa, è utile a documentare in maniera più precisa l’effettiva distanza stilistica e cronologica tra i due bronzi.

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Fig. 29. Parma, Battistero. Leone che regge il fon-te battesimale (da Poeschke, hirmer 1998).

Fig. 30. amsterdam, Rijksmuseum. Acquamani-le in bronzo a forma di leone con principessa in groppa (da Zeit der Staufer 1977).

103 Zeit der Staufer 1977, p. 498, n. 648, fig. 454 (acquamanile a forma di busto di uomo barbato con clamide e corona di edera, Aachen, 1215 ca.); p. 522, n. 696, fig. 496 (reliquiario a testa virile, Aachen [?], 1170 ca.); p. 522 s., n. 697, fig. 497 (reliquiario a testa virile, Bassa Sassonia, terzo venticinquennio del XII secolo).

la luPa caPitolina 145

In quanto agli occhi torvi della Lupa, nulla trapela di simile nei leoni romanici, e neppure nei cani che reggono i telamoni e le guance del trono vescovile nel Duomo di Parma (Fig. 33)104, del 1200 ca., così differenti sono i modi di concepire l’espressività del loro sguardo, malgrado la mar-cata contrazione dell’arcata sopracciliare.

5. la luPa caPitolina: un caPolavoro conteso tra antichità e medioevo

Vuol dire che la Lupa Capitolina continui ad essere opera di età tardo-arcaica? Sotto il profilo forma-le, e malgrado i limitati confronti, continuo a reputarlo altamente probabile, sebbene a questo punto sia costretto a lasciare agli esperti di indagini con i metodi della termoluminescenza e del radiocar-bonio la parola, ma non l’ultima, perché in questo ambito di studi gli aggiornamenti sono fin troppo rapidi. Certo è che, in base ai confronti possibili, qualche pur esiguo legame formale, nel calligra-

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Fig. 31. koPenhagen, Danmarks Nationalmuseet. Battente in bronzo a testa leonina (da Zeit der Stau-fer 1977).

Fig. 32. düsseldorF, Lambertikirche. Reliquiario in bronzo dorato a testa virile (da Zeit der Staufer 1977).

104 Poeschke, hirmer 1998, p. 125 s., tav. 111.

eugenio la rocca146

fismo dei dettagli, sembra sussistere con opere del XII secolo piuttosto che con la produzione carolingia o ottoniana. Eppure queste conso-nanze appaiono, come ho già detto, il risultato non di un’effettiva dipendenza, ma di percorsi artistici difformi che condurranno, nella loro evoluzione interna, verso soluzioni inconcilia-bili. Inoltre, le opere in bronzo del periodo, pur interessanti e di alto livello artistico, appaiono come semplificate in confronto alla Lupa, come incanalate verso la ricerca di altri obiettivi. Se di produzione romanica, o anche dell’alto Me-dioevo, il bronzo capitolino sarebbe isolato, opera unica di un artista di qualità eccelsa che non ha lasciato traccia nella produzione coeva e posteriore. Analizzando invece con maggiore attenzione i frammenti superstiti di sculture in bronzo di età tardo-arcaica e severa, si troverà

in essi un identico analitico rendimento dei dettagli che emerge, secondo il mio parere, malgrado la limitatezza dei confronti.

Nella prosecuzione delle ricerche spero che si potrà spiegare meglio l’apparente divario tra de-terminate analisi tecniche e le indagini formali. Si potrebbe supporre, ad esempio, che la Lupa abbia subìto in un momento imprecisato dell’età medievale qualche intervento manutentivo o di restauro che ha prodotto un inquinamento delle prove desumibili dalle terre di fusione; oppure – ma ci muo-viamo in una terra incognita con una proposta che rasenta l’assurdo – che la Lupa stessa sia una co-pia fedelissima di età medievale, ricavata a stampo da un originale etrusco-italico in pessime condi-zioni di conservazione, e poi perfezionata a cesello a imitazione del modello. Ma chi, a quell’epoca, poteva avere la maestria tecnica nel rifinire un’opera in bronzo con tale abilità?

Conviene lasciare in sospeso la questione e ammirare, come mai prima d’ora per merito del sa-pientissimo restauro di Anna Maria Carruba, questo magnifico lavoro che, come nessun’altra opera d’arte, sembra essere un autentico palinsesto della storia di Roma. Il giovane Mommsen, visitando i Musei Capitolini, ne fu colpito, pur non riuscendo a definirne le qualità formali: «Sebbene sia rigida e sgraziata, questa statua mi ha colpito più di tutte le belle immagini che la circondano»105. Il tempo ha fortunatamente cancellato persino la memoria di giudizi così perentori sulle produzioni artistiche preclassiche, non rispondenti ai concetti del bello ideale promossi da Winckelmann. Non muta, invece, l’impressione di energica, minacciosa presenza che il bronzo emana, e che trasmette allo spettatore, a dispetto di tutti gli interrogativi che iconografia e cronologia lasciano ancora irrisolti, e che precostituiscono già la base per future discussioni.

eugenio la rocca

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Fig. 33. Parma, Duomo. Trono vescovile: detta-glio di uno dei cani che reggono le guance del tro-no (da Poeschke, hirmer 1998).

105 carcoPino 1925, p. 15.

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