Totem e tabù dell’anormale. Delitto e castigo tra Freud e Foucault

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Totem e tabù dell’anormale. Delitto e castigo tra Freud e Foucault. Nella luce delle formazioni storiche, le visibilità costituiscono, da parte loro, dei quadri che stanno al visibile come l’enunciato sta al dicibile o al leggibile. […] Di qui la passione di Foucault nel descrivere quadri, o meglio ancora nel fare descrizioni che hanno valore di quadri: descrizioni delle “Damigelle d’onore”, ma anche di Manet, di Magritte, oppure le bellissime descrizioni della catena dei forzati, o del manicomio, della prigione, della piccola vettura penitenziaria, proprio come se fossero dei quadri e Foucault fosse un pittore. Gilles Deleuze Dall’invisibile al temibile Lunghissime descrizioni costellano i saggi di Michel Foucault, corposi e dettagliati resoconti di scene sono facili da incontrare addentrandosi nei testi che il filosofo francese ci ha lasciato in eredità o nelle sue numerose lezioni, registrate dal folto uditorio del Collège de France. Non è raro, in una lettura foucaultiana, imbattersi in pagine che sembrano strappate a un romanzo; probabilmente ciò dipende dal fatto che «Foucault appartiene ancora a un’epoca nella quale gli intellettuali sono prima di tutto formidabili scrittori». 1 Le figure dell’anormalità, di cui Foucault si occupa per tutti gli anni Settanta, non fanno eccezione nell efficacia descrittiva: le caratteristiche umane, formalizzate dalla legge e dalla morale come estranee alla norma, indicate in leggi e trattati per poter essere riconosciute, s’incarnano in 1 J. Revel, Foucault e la letteratura: storia di una scomparsa, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 1, a cura di J. Revel, tr. it., Feltrinelli, Milano 1996, p. 14.

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Totem e tabù dell’anormale. Delitto e castigo tra Freud e Foucault.

Nella luce delle formazioni storiche, le visibilità

costituiscono, da parte loro, dei quadri che stanno al visibile

come l’enunciato sta al dicibile o al leggibile. […] Di qui la

passione di Foucault nel descrivere quadri, o meglio ancora

nel fare descrizioni che hanno valore di quadri: descrizioni

delle “Damigelle d’onore”, ma anche di Manet, di Magritte,

oppure le bellissime descrizioni della catena dei forzati, o

del manicomio, della prigione, della piccola vettura

penitenziaria, proprio come se fossero dei quadri e Foucault

fosse un pittore.

Gilles Deleuze

Dall’invisibile al temibile

Lunghissime descrizioni costellano i saggi di Michel Foucault, corposi e dettagliati

resoconti di scene sono facili da incontrare addentrandosi nei testi che il filosofo francese ci

ha lasciato in eredità o nelle sue numerose lezioni, registrate dal folto uditorio del Collège de

France. Non è raro, in una lettura foucaultiana, imbattersi in pagine che sembrano strappate a

un romanzo; probabilmente ciò dipende dal fatto che «Foucault appartiene ancora a un’epoca

nella quale gli intellettuali sono prima di tutto formidabili scrittori».1 Le figure

dell’anormalità, di cui Foucault si occupa per tutti gli anni Settanta, non fanno eccezione nell’

efficacia descrittiva: le caratteristiche umane, formalizzate dalla legge e dalla morale come

estranee alla norma, indicate in leggi e trattati per poter essere riconosciute, s’incarnano in

1 J. Revel, Foucault e la letteratura: storia di una scomparsa, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste.

1, a cura di J. Revel, tr. it., Feltrinelli, Milano 1996, p. 14.

individui nei racconti foucaultiani, ed entrano a far parte del materiale d’archivio di cui si

compone la ricerca genealogica. Leggendo la trascrizione delle lezioni che Foucault tenne al

Collége del France per il corso del 1974-1975, successivamente edite con il titolo Gli

anormali, scopriamo che il discrimine tra il vivere normato e quello trasgressivo è legato al

rispetto di alcuni interdetti che sono simili a quelli delle società primitive. Seguendo

l’argomentazione di Foucault, e cercando nella sua produzione filosofica altre tracce,

tenteremo di tracciare una parentela tra la categoria foucaultiana dell’anormalità e le

intuizioni che Freud formula, a cavallo tra etnologia e psicoanalisi, in Totem e tabù.2

La piacevole caratteristica dello stile foucaultiano, sottolineata da Deleuze nel nostro

esergo, non rappresenta di certo – o almeno non soltanto – un vezzo romanzesco per il

filosofo francese, il quale ai tempi in cui Deleuze ne scriveva era recentemente scomparso.

L’autore del testo-omaggio Foucault,3 dal quale l’esergo è tratto, riconosce ai dipinti verbali

una precisa funzione: i «quadri» servono a chiarire il senso del visibile, categoria che

raccoglie le «sostanze formate», ciò che per ogni istituzione è oggetto di ricezione, e di

formalizzazione nella categoria dell’enunciabile.4 Ogni istituzione organizza la materia che

inquadra in maniera duplice: essa è in primo luogo ricettiva nei confronti di ciò che raggiunge

una soglia interessante di visibilità; in secondo luogo tale materia viene formalizzata ed

integrata in un regime di enunciati, per i quali la «curva-enunciato» svolge una funzione

analoga a quella del «quadro-descrizione».5 Tutte le grandi istanze della nostra cultura

sembrano funzionare in questo modo: la Legge, il Sesso, persino l’Oro o il Dio: è da una

relazione – che Deleuze paragona allo schematismo kantiano6 – tra spontaneità e ricettività

che vengono fuori, per un Foucault dichiaratamente nietzscheano, tutte le verità in cui la

società crede.

2 S. Freud, Totem e tabù, tr. it., Mondadori, Milano 1993.

3 G. Deleuze, Foucault, tr. it., Cronopio, Napoli 2002.

4 Ivi, pp. 105-106.

5 Ivi, p. 109.

6 Ivi, p. 111.

Quando Foucault pone la sua attenzione su quelli che chiama uomini “anormali”,7 egli fa

un corposo utilizzo di questi “quadri-descrizione”. In tal modo, egli mostra come lo statuto di

esistenza criminale anormale fosse sorto, agli inizi del XIX secolo, dallo scontro tra una

materia divenuta improvvisamente visibile e un potere che la mise in luce e la ri-produsse

come oggetto di enunciati formalizzati; prima del XIX secolo tali esistenze sicuramente

esistevano già, ma prima che avvenisse uno scontro con una nuova forma di potere –

particolarmente con il potere giudiziario –, non potevano essere visibili come tali.

Parimenti a tutti gli oggetti assurti a una significatività tale da meritare una delineazione

teorica precisa e un codice di comportamento a riguardo, anche l’oggetto sociale che prende il

nome dell’anormale ha una sua storia genealogica, puntualmente rintracciata da Foucault.

Sarà a un certo punto della storia, la quale andiamo velocemente a ripercorrere, che troveremo

una sorprendente ed espressa analogia con gli interdetti delle società totemiche. Gli anormali

fu un corso dedicato all’archeologia della dicotomia normale/anormale nella sua declinazione

correlata con il trattamento giudiziario del crimine. Mediante la collezione di numerose

testimonianze prese a prestito dalle fonti più eterogenee, Foucault analizza «le trasformazioni

della perizia psichiatrica in materia penale a partire dai grandi casi di mostruosità criminale

[…] sino alla diagnosi dei delinquenti “anormali”».8 Tre sono le figure di cui Foucault

tratteggia per noi nel dettaglio i caratteri: il mostro umano, l’individuo da correggere e

l’onanista. Fino alla prima metà del XVIII secolo queste tre macro-tipologie di offensori

dell’ordine sociale erano distinte e separate: il mostro biologico contro-natura, l’individuo da

correggere e internare insieme ai suoi simili, l’onanista amorale e peccatore – ancor più grave

se bambino. Nella seconda metà del secolo nasce l’identità del mostro sessuale, che unisce il

mostro biologico al deviante sessuale; solo a fine secolo invece le tre figure si sovrappongono,

dando origine a quello che sembra essere una sorta di progenitore di tutte le individualità

7 Nella fattispecie in: M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), tr. it., Feltrinelli, Milano

2006; e in Id., La vita degli uomini infami, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 2, a cura di A. Dal

Lago, tr. it., Feltrinelli, Milano 1997. 8 Id., Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), cit., p. 291.

anormali moderne: il mostro morale. Ma cosa significa dire che alcune identità prima,

semplicemente, non c’erano?

Ovviamente Foucault non vuole suggerire che si siano prodotte trasformazioni genetiche, o

che l’evoluzione umana avvenga su una scala temporale molto più stretta di quella che la

scienza moderna ha riconosciuto attraverso la teoria darwiniana. Non si tratta tanto della

nascita di nuovi comportamenti in questo caso, quanto di una loro nuova classificazione, la

cui fonte risiede, per Foucault, nelle mutate esigenze del potere giudiziario.

In ogni società vi è un sapere, riconosciuto ufficialmente come veritiero, che regola la

conoscenza delle proprie parti, e accanto a questo vi è un sistema di gestione delle violazioni

al bene comune, basato su queste medesime verità. Le visibilità vengono inquadrate in

enunciabilità, se vogliamo dirla con Deleuze, e i fenomeni delle individualità mostruose non

fanno eccezione. Grossomodo in un arco di tempo di mezzo secolo si passa dalla pubblica

identità del mostro biologico alla pubblica identità del mostro morale; una trasformazione che

coincide con una inversione del rapporto tra mostruosità e criminalità. Seguiamo brevemente

le principali tappe di questo cambiamento.

La precedente figura di mostro umano era caratterizzata da una forma biologica percepita

come anti-naturale, e pertanto essendo già «un’infrazione alle leggi nella sua stessa realtà»9

era immancabilmente un potenziale criminale. Ma il sistema punitivo non era ancora nel

regime per il quale il sospetto di pericolosità potesse essere sufficiente al provvedimento

punitivo e di recupero; dunque il mostro, prima di diventare materia di provvedimenti legali,

suscitava «la violenza, la volontà di soppressione pura e semplice; oppure cure mediche e

pietà».10

Un mutato interesse, diretto al controllo della moralità del mostro umano, si ebbe in

concomitanza con quel profondo cambiamento del sistema punitivo che vide affiorare la

necessità di inquadrare la personalità criminale. Il XVII secolo per intero aveva visto il trionfo

9 Ivi, p. 58.

10 Ivi, p. 57.

di un diritto per il quale «il crimine era “crimine” nella misura in cui colpiva il sovrano»;11

di

conseguenza il sistema punitivo era tanto cerimoniale e crudele quanto discontinuo, poiché il

pubblico supplizio necessitava, per essere celebrato ritualmente, di spese cospicue. Ciò

causava una certa lacunosità nel controllo della criminalità, alla quale pose rimedio la nuova

economia del potere del XVIII secolo. Gli effetti del potere si separano dalla volontà del

sovrano, iniziando a esplicarsi, in maniera progressivamente capillare, tramite istituzioni di

vario tipo volte a controllare la vita sociale e privata degli individui per distribuire una «legge

fatale e necessaria […] in linea di principio […] su tutti».12

Cambia totalmente la logica che

governa le punizioni: se prima il principio punitivo era basato sulla vendetta del potere che

aveva come unico obiettivo quello di esprimersi in una potenza che superasse l’offesa subita,

ora il potere di controllo staccatosi dalla volontà diretta del re genera un sistema penale che ha

come necessità esclusiva di garantire che il crimine non abbia a ripetersi. Ciò pone un

problema del tutto nuovo: la «ragione del crimine», la «razionalità immanente al

comportamento criminale».13

Diventa necessario individuare l’interesse che muove il crimine,

e punire in maniera appena sufficiente a evitare che tale ragione si ponga nuovamente. Per

Foucault, questa riformulazione della penalità porta con sé una lettura quasi socratica del

crimine e del criminale: l’individuo che infrange la legge comune è colui che utilizza

erroneamente la sua facoltà di giudizio sugli eventi, poiché non riconosce che il

mantenimento della pace della comunità costituisce una scelta maggiormente fruttuosa anche

per se stesso, più affine ai suoi stessi interessi di quanto non lo sia, a lungo termine, anteporre

il bene personale. Il criminale è assimilabile all’individuo di natura che rifiuta il patto sociale,

che pur vivendo in società la rifiuta e decide di tornare allo stato selvaggio; nessuno,

oltretutto, può garantire che l’errore egoistico di giudizio non si riveli sistematico. Egli è

dunque il mostro, «portatore di tutto l’arcaismo fondamentale che precede la società», «la

11

Ivi, p. 80. 12

Ivi, p. 84. 13

Ivi, pp. 85-86.

natura contro natura», in cui il primo senso di natura indica lo stato brado precedente il patto

sociale, mentre il secondo indica la norma che, dopo secoli di civilizzazione, per tutti gli altri

si è naturalizzata

È in questo clima generale, in cui la nuova economia del potere di punire formula una

nuova teoria della punizione e della criminalità […] che si vede per la prima volta

apparire la questione della possibile natura patologica della criminalità.14

L’edizione italiana segnala che Foucault, negli appunti manoscritti preparati per le lezioni,

aveva aggiunto a questo punto: «Appartenenza del crimine a tutto quel campo ancora confuso

del patologico, della malattia, dell’aberrazione naturale, del disordine, della mente e del

corpo. Non crimine, occorre vedere un indicatore di anomalie. […]». È in questo clima,

dunque, che l’anormalità si lega per la prima volta alla patologia, e al controllo sociale e

punitivo: «è il criminale che, in quanto criminale, potrebbe effettivamente essere un malato»15

I nuovi mostri e gli antichi crimini

L’individuo che compie il crimine, con il suo porre in primo piano il proprio interesse su

quello della comunità, si afferma in qualche misura in un ruolo di despota. Tant’è vero che

Foucault individua nel «mostro politico»16

la prima tipologia progenitrice del mostro morale a

fare storicamente la sua comparsa. Essa si manifesta secondo due categorie di visibilità: la

rottura del patto sociale dall’alto, effettuata dal re tiranno, e la rottura del patto dal basso,

compiuta dal popolo rivoltoso. Entrambi i modelli di manifestazione storica del mostro

morale corrispondono a un esercizio di auto-affermazione tipico del dispotismo: sono i tratti

14

Ivi, p. 87. 15

Ivi, p. 88. 16

Ivi, p. 89.

del despota, in alto o in basso della gerarchia sociale, a caratterizzare il distruttore della pace

post-contrattuale.

Seguendo il metodo archivistico-genealogico, già messo alla prova nelle ricerche

precedenti,17

Foucault documenta le sue ipotesi fornendo un’ampia cernita di materiale a

valenza storica: dai trattati storici veri e propri, alle autobiografie, agli atti giuridici comprese

le celebri lettres de cachet, strumenti di ordinanza diretta, senza preoccupazione di legalità, da

parte del re. Una vasta scelta di testimonianze sulle inquietanti abitudini che contraddistinsero

– rispettivamente – i reali e i rivoltosi durante la Rivoluzione francese: attitudine

all’infrazione dell’interdetto sessuale dell’incesto per i primi, e reiterata esibizione di

antropofagia per i secondi. Il libertinaggio della nobiltà e la violenza del popolo rivoltoso

sono divenuti quasi dei cliché nella tradizione storiografica, e la storia della corte e dei

cittadini di Parigi nel XVIII secolo fornisce nomi e cognomi di individui divenuti mostri per

antonomasia. Foucault legge in queste visibilità – di cui fornisce ai suoi studenti numerosi

quadri-descrizione – la materia fattuale sulla quale viene cucita la duplice figura del mostro

politico, e che presterà, nel XIX secolo, i tratti salienti per l’identità ibrida e unificata dell’

individuo anormale.

I primi grandi casi di medicina legale, alla fine del XVIII e soprattutto all’inizio del XIX

secolo, non hanno riguardato affatto crimini commessi in stato di follia flagrante e

manifesta. […] Ciò che ha costituito un problema e ha dato avvio alla formazione della

medicina legale, è stata l’esistenza stessa di questi mostri, riconosciuti come tali proprio

perché erano al contempo incestuosi e antropofagi, oppure perché trasgredivano i due

grandi interdetti: quello alimentare e quello sessuale.18

La donna di Sélestat che uccide la figlia e se ne nutre, il soldato necrofilo Bertrand, Jack lo

Squartatore in Inghilterra, sono solo alcuni dei casi di medicina legale citati da Foucault. A

17

Si vedano il testo del 1961 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, tr. it., Rizzoli, Milano 2012; quello

del 1963 Id., Nascita della clinica, tr. it., Einaudi, Torino 1998; e il testo del 1966 Id., Le parole e le cose, tr. it., Rizzoli,

Milano 2010. 18

Id., Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), cit., pp. 96-97.

essi si andranno ad aggiungere i casi riesumati dagli archivi di internamento dell’Hôpital

Général e della Bastiglia, le vite degli «uomini infami» a cui il filosofo lavora dal 1961 fino al

1982,19

vite considerate abominevoli dalla legge e dalla società, spesso senza neanche essere

responsabili di flagranze di illecito penale. L’incestuosità e l’antropofagia sono le due

tipologie di reato che rimarranno al fondo della tematica giuridico-medica in maniera

manifesta per tutto il XIX secolo. Esse continueranno a detenere un grande peso anche nel

corso del XX secolo, allorquando due nascenti campi del sapere se ne approprieranno

facendone, ognuna a suo modo, delle «griglie di intellegibilità»:20

l’etnologia e la psicoanalisi.

La riflessione etnologica sulle popolazioni dette primitive si consolida inizialmente a

partire dallo studio del totemismo come forma religiosa di organizzazione sociale. Foucault fa

il nome di Durkheim come esempio di una etnologia che inizia a cristallizzarsi, oltre che

come ricerca sul campo, anche come «riflessione accademica».21

Il totem, animale detentore

dell’energia e dello spirito della comunità, ne è progenitore e la rende comunità di sangue.

Pertanto, nei clan totemici vige solitamente l’interdetto della consumazione di qualsiasi forma

incarnata dell’animale totemico. Unica eccezione può essere fatta per i momenti nei quali tale

consumazione diventa rituale, istituita su decisione comunitaria e, dunque, permessa. Essendo

il totem un vero e proprio padre ancestrale per il corpo sociale, la questione antropofagica

viene regolata usualmente con un interdetto costante per i singoli individui, intervallato da

periodiche licenze a scopo di esaltazione e rafforzamento della comunità.

La seconda caratteristica ricorrente nelle società totemiche riguarda ancora una volta una

proibizione: il progenitore unico rende la comunità una grande famiglia di fratelli e sorelle, e

ciò sembra turbare le popolazioni primitive, che manifestano un orrore per l’incesto e si

organizzano con un secondo interdetto, quello sessuale, tra membri della stessa comunità.

«Che cosa mangi e chi non sposi? Con chi stabilisci un legame di sangue e che cosa hai il

19

Si veda Id., La vita degli uomini infami, cit., p. 245 nota dei curatori. 20

Id., Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), cit., p. 99. 21

Ivi, p. 97, e E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, tr. it., Meltemi, Roma 2005.

diritto di far cuocere?»:22

Foucault ribadisce in maniera semplice e incisiva la centralità dei

due grandi interdetti, quello del cannibalismo e quello dell’incesto, che regolano la vita

comunitaria per le società primitive e regoleranno anche la vita della società moderna,

andando a costituire lo spartiacque profondo tra normale e patologico: «la grande alterità

definita dalla nostra interiorità giuridico-politica è comunque, dal XVIII secolo, il

cannibalismo e l’incesto».23

L’accostamento delle tematiche dell’antropofagia e dell’incesto al nome di Freud non

possono non richiamare alla mente l’elaborazione psicoanalitica del complesso di Edipo.

Quando poi si cita anche Totem e tabù, il passaggio della questione dal piano individuale a

quello collettivo è immediato. Foucault ha sicuramente letto il testo di Freud, e l’ha citato –

almeno a quanto ci risulti – due volte,24

in entrambi i casi riconoscendo il carattere innovativo

dell’opera sul piano culturale del suo tempo. Se nel 1966 il filosofo ne riconosceva la portata

sul piano dell’instaurazione di un campo di continuità tra gli studi etnologici e gli studi

psicoanalitici, nel 1975 egli cita il saggio freudiano come testimonianza della pari importanza

per la psicoanalisi e per l’etnologia degli interdetti alimentare e sessuale. Da entrambe le

discipline, essi sono stati eletti come «griglie di intelligibilità»,25

ma ciò che le differenzia è

un opposto verso cronologico. La prime scoperte etnologiche in merito al totemismo hanno

infatti riguardato il problema dell’antropofagia, e solo secondariamente – e non

universalmente – l’attenzione è stata posta sull’interdetto sessuale.26

La psicoanalisi ha invece

avuto il suo atto inaugurativo proprio con le ipotesi freudiane a proposito del ruolo di

primissimo piano della sessualità nello sviluppo dell’individualità umana; soltanto in seguito

22

M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), cit., p. 98. 23

Ibidem. 24

La prima occorrenza è una citazione diretta: Id., Le parole e le cose, cit., p. 406. La seconda occorrenza si ha

durante la lezione del 29 gennaio 1975 al Collège de France, e la citazione viene ricostruita dai curatori dell’edizione

del corso tramite i manoscritti preparati dallo stesso Foucault per l’occasione: si veda Id., Gli anormali. Corso al

Collège de France (1974-1975), cit., p. 102, nota n. 44. 25

Ivi, p. 99. 26

Cfr. S. Freud, Totem e tabù, cit., pp. 142, 149.

con Melanie Klein27

, come Foucault ci ricorda,28

la questione dell’antropofagia entra negli

studi psicoanalitici con la teoria dell’introiezione oggettuale.

Con i due tabù del totemismo, per Freud «inizia la moralità degli uomini»;29

Foucault

concorda, pensando alla moralità come è andata designandosi dal XIX secolo in poi: la sfera

strettamente codificata del buon costume che fa da discrimine tra norma e a-norma – quindi

patologia, quindi crimine –, attorno alla quale è fiorito un corollario di istituzioni e

micropoteri atti ad esercitare il controllo dell’individuo. Il pretesto principe è il criterio

giuridico-medico della pericolosità; la giustificazione sistematica è la «teoria della

degenerazione».30

Tale teoria legava le cosiddette perversioni sessuali ad effetti degenerativi

nella progenie, abbinando così in maniera stabile nell’immaginario collettivo il

comportamento deviante dalla norma eterosessuale-matrimoniale al pericolo di vero e proprio

contagio delle nuove generazioni, e quindi della società. Tutto questo ricorda molto da vicino

l’osservazione che Freud fa a proposito dei divieti tabù, comparandoli ai divieti autoimposti

da chi soffre di nevrosi ossessiva:

l’impossibilità arriva alla fine a porre sotto sequestro il mondo intero. Gli ossessivi si

comportano come se le persone e le cose ‘impossibili’ fossero portatrici di un pericoloso

contagio, pronto a trasferirsi per contatto a tutto ciò che li circonda.31

Preistoria dell’impuro. Il caso di Edipo re

Nel 1960, Georges Canguilhem, esprimendosi a favore dell’imprimatur sul manoscritto

Histoire de la folie à l’âge classique come tesi dottorale principale di Michel Foucault, ebbe a

27

M. Klein, La psicoanalisi dei bambini, tr. it., Psycho, Milano 1998. 28

M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), cit., p. 99. 29

S. Freud, Totem e tabù, cit., p. 169. 30

M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), cit., p. 281. Per ulteriori approfondimenti,

Id., La volontà di sapere, tr. it., Feltrinelli, Milano 2001; e Id., Bisogna difendere la società, tr. it., Feltrinelli, Milano

2009. 31

S. Freud, Totem e tabù, cit., p. 37.

scrivere sul suo rapporto le seguenti parole: «ignoro se il professor Foucault, scrivendo la sua

tesi, avesse l’intenzione o la consapevolezza di contribuire alla storia di ciò che al giorno

d’oggi chiameremmo “la psicologia sociale dell’anormale”. In ogni caso mi sembra che

l’abbia fatto.32

Il filosofo di Poitiers continuerà ancora per lunghi anni a studiare le modalità

secondo le quali è storicamente avvenuta la partizione tra normale ed anormale, ed affronterà

la questione da varie prospettive. Nel corso tenuto al Collège de France tra il 1970 e il 1971 –

curiosamente intitolato Leçons sur la volonté de savoir,33

in maniera simile al saggio del 1976

– egli propose agli uditori una ricerca sul legame tra volontà di sapere e verità, facendo luce

sugli aspetti giuridico-religiosi dei giochi tra potere e sapere. Il momento storico e l’area

geografica prescelti sono la Grecia tra il VII e il V secolo a.C., e il tema principale delle

ultime lezioni consiste nell’evoluzione del ruolo del rito religioso della purificazione nello

spazio sociale del nomos comunitario. La diffusione di culti comunitari come l’orfismo, unita

alla grande riorganizzazione del potere politico – la cui costante è quella di essere effettuata in

nome delle divinità tradizionali34

– svolgono la funzione di motori propulsori per il

consolidamento di una nuova35

qualificazione giuridico-religiosa dell’individuo, che dipende

dal rigore con il quale egli si mantiene puro. Da Omero a Esiodo abbiamo testimonianza di

una crescente attenzione verso il rito purificativo, il quale, contrariamente ai precedenti e

dispendiosi riti sacrificali, garantisce alla classe popolare una maniera del tutto economica per

ricevere buona sorte dagli dei. Abluzioni e semplici interdetti, come non tagliarsi le unghie o

non bagnarsi in determinate circostanze,36

costituiscono strumenti alla portata di tutti per

ottenere uno statuto di individuo puro e ligio al volere divino. Contemporaneamente, il potere

politico si appropria di autorevolezza fondandosi sul culto delle divinità tradizionali, che

diventano così dei della città. Lo Stato unisce ora in sé le funzioni di giudice spirituale e

32

D. Eribon, Michel Foucault, tr. it., Leonardo, Milano 1991, p.406. 33

M. Foucault, Leçons sur la volonté de savoir. Cours au Collège de France, 1970-1971 suivi de Le savoir

d’Œdipe, Gallimard Seuil, Paris 2011. 34

Ivi, pp. 166-167. 35

Ivi, p. 172. 36

Ivi, p. 163.

penale, prendendo nelle proprie mani la distribuzione del puro e dell’impuro; ciò amplia e

trasforma notevolmente il carattere del potere statale, dal momento che le nuove legislazioni

andranno a regolare, oltre a eredità e riti funerari, anche le procedure in caso di omicidi.

Fissando come sanzione certa per l’omicida l’esilio – o la morte nei casi di famiglie potenti –

si «poneva fine al vecchio squilibrio indefinito delle vendette familiari».37

Da questo

momento in poi il destino dell’omicida sarà quello di subire un necessario esilio: colui che

non ha rispettato la legge comune, il nomos, costituisce minaccia e pericolo per la città e non

può pertanto non esserne escluso. Essendosi macchiato di crimine, essendo stato cieco al

nomos, l’impuro è tenuto a non avvicinarsi alla città, a quello spazio sociale che comincia così

a chiudersi su se stesso, quasi sulla spinta di un inedito istinto di autoconservazione. È la

nuova legge della comunità a estromettere l’impuro. Il criminale viene escluso e la sua pena è

quella di non poter più essere parte del nomos: «l’impuro è colui che ha avuto gli occhi chiusi

sul nomos. Egli è impuro perché è anomos […] Se si è impuri per essere stati ciechi al nomos

[…] si diviene ciechi alla sua regolarità» .38

Avendo manifestato cecità una volta, l’anomos

diventa un pericolo, una mina vagante, un elemento in cui il resto della città non vuole

rivedersi e che non desidera più integrare in sé. Il motivo fondamentale è che costui si è reso

cieco non soltanto alla legge, ma alla regolarità stessa della legge: chi commette reato vieta a

se stesso anche la possibilità futura di prendere parte alla conoscenza dell’ordine delle cose e

dell’uomo: in una parola, egli si vieta di sapere.39

Ciò lo rende estremamente pericoloso,

poiché non è dato conoscere se e quando la sua cecità gli impedirà di nuovo di vedere il giusto

e lo condurrà al crimine. La comunità, esiliando l’impuro, gli fa presente in maniera definitiva

le conseguenze che la sua condizione implica: è ciò che accade a Edipo.

In Totem e tabù Freud avanza l’ipotesi che le due prescrizioni fondamentali del

totemismo, le quali interdicono l’uccisione del padre totemico e il rapporto sessuale con una

37

Ivi, pp. 169-170 (traduzione mia). 38

Ivi, p. 181 (traduzione mia). 39

Ivi, p. 189.

donna che appartenga al totem, siano sovrapponibili ai delitti di Edipo re e ai desideri che

ogni bambino è costretto a proibirsi e soprattutto a rimuovere efficacemente per evitare di

andare incontro a psiconevrosi.40

Della tragedia greca più celebre nella letteratura

psicoanalitica Foucault fornisce invece una lettura diversa e originale,41

rintracciando nella

storia di Edipo l’espressione di una ricerca della verità e della scoperta delle costrizioni a cui

essa è storicamente legata. Edipo re si muove in tutta la vicenda seguendo le tappe di una

vera e propria inchiesta42

: egli, che ha salvato la città di Tebe grazie al suo sapere, è

chiamato a indagare poiché ignora la verità sull’identità del responsabile della

contaminazione della città stessa. È un omicida colui che scatena la pestilenza sulla città: un

individuo cieco al nomos, che va identificato a opera dello Stato nella persona di Edipo re, e

va esiliato al più presto per porre fine al contagio. La tragedia sofoclea ha per protagonista

un criminale che non sa di esserlo, e non riesce a saperlo fino alla fine della storia: gli è

impossibile, gli è proibito arrivare autonomamente a conoscere tale verità sull’infrazione del

nomos riguardante padre e madre, poiché egli stesso infrangendo il nomos si è reso

inconsapevolmente cieco alla sua regolarità.43

La Grecia del V secolo è una società in cui la retta conoscenza dell’ordine del mondo si è

legata alla purezza, e il crimine è diventato imprescindibile dall’ignoranza. L’impuro è

completamente cieco, è Edipo prima di accecarsi fisicamente per sua stessa mano: egli viene

meno alla legge, uccide e compie incesto, e ciò gli rende impossibile arrivare alla

conoscenza della verità da solo e continuare a condividere la legge e lo spazio sociale dei

suoi concittadini. Foucault rintraccia nello svolgersi delle interrogazioni, dall’indovino,

all’oracolo, al servo e al pastore, una procedura di ricerca della verità conforme alle pratiche

40

S. Freud, Totem e tabù, cit., p. 156. 41

Ci riferiamo a tre interventi distinti: il primo e il secondo – rispettivamente la lezione del 17 marzo 1971 al

Collège de France e una conferenza tenuta alla State University di New York nel 1972 – si trovano in M. Foucault,

Leçons sur la volonté de savoir. Cours au Collège de France, 1970-1971 suivi de Le savoir d’Œdipe, cit ; il terzo, una

conferenza tenuta alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro nel 1973, è Id., La verità e le forme giuridiche,

in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 2, cit. 42

Id., La verità e le forme giuridiche, cit., p. 86. 43

Id., Leçons sur la volonté de savoir. Cours au Collège de France, 1970-1971 suivi de Le savoir d’Œdipe, cit. p.

184.

giudiziarie dell’epoca,44

e che evidenzia i caratteri fondamentali dei giochi di potere ai quali

il possesso della verità è legato a tutt’oggi:

mi sembra che ci sia veramente un complesso di Edipo nella nostra civiltà, che non

riguarda però il nostro inconscio e il nostro desiderio e nemmeno le relazioni tra desiderio

e inconscio. Se c’è complesso di Edipo, questo non si produce a livello individuale, ma

collettivo; non a proposito del desiderio e dell’inconscio, ma del potere e del sapere.45

Il discorso di verità nella società occidentale a partire dalla Grecia antica obbedisce ad un

sistema di costrizioni che prevede che il principio di distribuzione del potere sia fondato

sulla conoscenza dell’ordine delle cose, al quale solo il saggio può avere accesso. Il nomos,

la legge comunitaria dello spazio sociale cittadino chiuso, è fondato su un sapere-virtù, il

quale consiste, in un singolare circolo vizioso, nel suo rispetto.46

Non tutti possono sapere

qualunque cosa, non a ciascuno è dato accesso a ogni discorso: la storia riguarda un sapere

soggetto a partizione in dipendenza di qualità precise, connesse a un maggiore o minore

possesso di potere: questo accadeva nell’antica Grecia, questo accade, per Foucault, anche

oggi.47

La ricerca della verità, che Edipo conduce, obbedisce alle pratiche giudiziarie dell’epoca,

e mostra al lettore l’assurgere di una nuova importanza, da un preciso momento della storia

dei sistemi penali in poi, della scoperta di chi sia il colpevole. Alla comunità non basta più

sapere cosa è successo e cosa fare per riparare: essa vuole identificare l’individuo che deve

essere esiliato; oltre e più dei dettagli del fatto, importa chi sia stato; e diventa un affare di

Stato, non più di dominio delle famiglie coinvolte: è compito dell’autorità religiosa e

giudiziaria praticare l’esclusione, tramite esilio o morte.48

44

Id., La verità e le forme giuridiche, cit., p. 99. 45

Ivi, p. 98. 46

«Freud a cru […] qu’Œdipe lui parlait des formes universelles du désir; alors qu’il lui racontait les contraintes

historiques de notre système de vérité», Id., Leçons sur la volonté de savoir. Cours au Collège de France, 1970-1971

suivi de Le savoir d’Œdipe, cit., p. 185. 47

Si veda la lezione inaugurale del corso del 1970-71, edita separatamente: Id. L’ordine del discorso, tr. it., Einaudi,

Torino 1972. 48

Ivi, p. 179.

Come Foucault lesse Freud?

Potremmo dire in fondo che anche Foucault, come Freud, connette l’Edipo al desiderio;

ma il desiderio che il primo legge nella tragedia sofoclea è quello della volontà di sapere. E

anche in questo modo egli si riconduce alla psicoanalisi, poiché la storia delle tecniche di

verità passa dall’indagine, procedura di ricerca della verità di cui l’ordine giudiziario si

avvale per venire a conoscenza dei dettagli del chi e del come di un crimine, all’examen,

metodo di raccolta di informazioni che per Foucault è tipico della psicoanalisi. A partire dal

XIX secolo, il rinnovato assetto del potere determina un’esigenza di monitorazione

continuata degli individui: diversamente dall’inchiesta, l’esame non avviene una tantum e su

sospetto di reato già commesso; esso è costante e fronteggia non il danno avvenuto ma la

pericolosità potenziale. L’esame risponde alle logiche osservative tipiche del panopticon, il

celebre modello architettonico progettato da Bentham nel 1791 come carcere ideale, che

Foucault riprende più volte nel corso della sua produzione come emblema della moderna

società normativa ortopedizzata. In esso tutti sono sorvegliabili e sorvegliati in ogni

momento, tranne il sorvegliante che vede senza essere visto; Foucault ritiene che tale

procedura analitica accomuni sociologia, psicologia, psicopatologia, criminologia e

psicoanalisi.49

In effetti, bisogna riconoscere che nella sua vita di studioso Foucault non mantenne una

considerazione univoca e costante della psicoanalisi. Delineare con precisione i suoi rapporti

con la psicoanalisi è obiettivo che merita una trattazione indipendente, e che è stato oggetto di

49

Ibidem.

numerosi ed autorevoli studi ;50

ci accontenteremo qui di ricordare che nel 1966 egli si

esprimeva in termini di grande riguardo verso la disciplina fondata da Freud, attribuendole il

meritevole statuto, condiviso con l’etnologia, di particolare regione del sapere in grado di

rendere «in genere possibile un sapere sull’uomo».51

Nel capitolo finale di Le parole e le cose,

psicoanalisi ed etnologia sono definite uniche scienze in grado di conservare «un perpetuo

principio d’inquietudine, di problematizzazione, di critica e di contestazione di ciò che altrove

poteva sembrare acquisito».52

Entrambe dirette a svelare un inconscio e un impensato – l’una

in senso collettivo, l’altra in senso individuale – questi due campi di sapere godono di una

significativa zona di intersezione, una zona di ricerca comune ad entrambe che, come

Foucault stesso ricorda, è stata riconosciuto per primo da Sigmund Freud proprio nel 1912

con Totem e tabù. Nel saggio in questione, allo scopo di fornire sostegno alla propria ipotesi,

Freud asserisce infatti che «senza l’ipotesi di una psiche di massa, di una continuità della vita

psichica degli uomini […] la psicologia dei popoli non può in generale esistere».53

È in questo

senso di ricerca dell’impensato che anche Foucault riconosce un’intersezione ed una

contiguità tra etnologia e psicoanalisi; e oltre a ciò egli, in queste pagine del 1966 fortemente

impregnate di strutturalismo, auspicava che il contatto tra questi due settori della conoscenza

continuasse nei termini di un prestito di metodo, per avere come risultanti una etnologia alla

ricerca delle strutture inconsce delle società, e una psicoanalisi diretta a scoprire la struttura

formale che l’inconscio è.54

Foucault riconosce in Freud lo scopritore dell’inconscio: egli è colui che modifica

radicalmente in modo in cui la parola della disragione viene interpretata nella società; che

anzi, più radicalmente, dà alla parola del folle un motivo per divenire oggetto di

50

Ricordiamo tra essi in particolare J. Lagrange, Version de la psychanalyse dans le texte de Foucault, in

“Psychanalyse à l’université", tome 12, n. 45, Janvier 1987 ; e J. Butler, Foucault dans la psychanalyse (Entretiens), in

"Cahiers pilosophiques", n. 99, Octobre 2004. 51

M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 404. 52

Ivi, p. 400. 53

S. Freud, Totem e tabù, cit., p. 185. 54

M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 406.

interpretazione, e non soltanto di partizione e secco rigetto. La scoperta dell’inconscio è un

evento che va persino a modificare alcune divisioni già salde del sapere: esso chiama in causa

per essere guarito problematiche afferenti alla fisiologia del corpo così come tematiche di

competenza della sociologia e della cultura delle società. Senza troppa gradualità la

psicoanalisi è vista attuare «la confisca […] della maggior parte dei campi che erano ricoperti

dalle scienze umane».55

Ma lo scopritore dell’inconscio è reso miope, secondo Foucault, da un problema di

impostazione: il lavoro a cui Freud sottopone l’inconscio e la sua parola è il lavoro tipico di

un esegeta. Il tipo di spazio che Freud apre per i segni dell’inconscio testimonia la

convinzione che essi costituiscano «una specie di grafia assoluta»56

che deve essere decifrata,

e che porta in sé la chiave per la sua decifrazione. Tutt’altra cosa che un approccio strutturale

di stampo linguistico, destino che ancora nel 1966 Foucault auspicava per una futura utile

psicoanalisi.57

«Essere giusti con Freud» significava probabilmente per Foucault riconoscere l’uno e

l’altro aspetto dell’innovazione freudiana: l’apertura di uno spazio nuovo per un discorso già

esistente58

, ma anche il fatto di aver dislocato «l’esperienza europea della follia per situarla in

quella regione pericolosa […] che è quella dei linguaggi che si implicano essi stessi,

enunciando cioè nel loro enunciato la lingua nella quale lo enunciano».59

Essendo una delle forme di sapere più influenti nella qualificazione sociale dell’individuo,

come tutte le forme di sapere anche la psicoanalisi è legata per Foucault a doppio filo con il

potere: la sua pratica è quella di un examen, e costituisce uno dei capisaldi del modello

panottico nella società normativa. Quale forma di sapere può essere funzionale, più di essa,

all’etichettatura dell’anormale, o meglio del potenziale anormale? Lo spauracchio della

55

Id., Filosofia e psicologia, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 1, cit., p. 102. 56

Ivi, p. 103. 57

Id., Le parole e le cose, cit., p. 407. 58

Cfr. anche Id., Nietzsche, Freud, Marx, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 1. 59

M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, cit., p. 767.

pericolosità conduce la società a chiedere che l’anomos subisca diagnosi preventiva, e per

questo essa accetta di vivere sotto un regime di controllo della propria sfera morale. E come

nelle società primitive, anche la società moderna «si assume il compito di punire il temerario,

il cui comportamento ha messo in pericolo i compagni», il mostro contaminatore, «colui che

ha infranto il tabù» che «diventa egli stesso tabù».60

Griglia di intellegibilità, principio di comprensione, il mostro è la forma, variamente

visibile, sempre meno concreta e più simbolica, della grande alterità sociale moderna.

Modello di tutte le piccole deviazioni, spauracchio di primitivi e moderni timorosi di

contagio. Ci penserà Freud ad addomesticarlo come un segno, direbbe Foucault.

60

S. Freud, Totem e tabù, cit., p. 28.