Piedigrotta e la canzone. Packaging di un totem

15
Libreria Musicale Italiana Studi sulla canzone napoletana classica a cura di Enrico Careri e Pasquale Scialò

Transcript of Piedigrotta e la canzone. Packaging di un totem

€ 40

Stud

i sul

la ca

nzon

e nap

olet

ana

clas

sica

Libreria Musicale Italiana

Studi sulla canzone napoletana classica

a cura diEnrico Careri e Pasquale Scialò

LIM

In collaborazione con:Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa –

Università degli Studi di Napoli Federico II

Con il patrocinio di:Provincia di Napoli

In copertina: Oscar Ricciardi, Vecchio suonatore di chitarra, olio su tela; FondazioneBideri.

© 2008 Libreria Musicale Italiana srl, via di Arsina 296/f, 55100 Lucca, P.O. Box [email protected] www.lim.it

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodotta, archiviata in si-stemi di ricerca e trasmessa in qualunque forma elettronica, meccanica, fotocopiata, registrata o altro senza ilpermesso dell’editore, degli autori e del curatore.

ISBN 978-88-7096-530-8

STUDI SULLA CANZONE

NAPOLETANA CLASSICA

a cura di

Enrico CareriPasquale Scialò

Libreria Musicale Italiana

SOMMARIO

VII Presentazione

IX Introduzione di Pasquale Scialò

FONTI E LINGUAGGI

5 Pier Paolo De Martino – Mariadelaide CuozzoIn punta di penna e di matita: critica e iconografia della canzone napole-tana nella ‘cultura delle riviste’

79 Mario FrancoIl cinema che canta. Il teatro e la canzone nel cinema napoletano dalle ori-gini alla seconda guerra mondiale

107 Anita PesceLa canzone napoletana e il disco a 78 giri

147 Francesca SellerLa canzone nell’editoria partenopea tra Otto e Novecento

157 Isabella ValenteSogno di una notte di fine estate. Pittori e scultori napoletani a serviziodella canzone

MATRICI

195 Raffaele Di MauroIl caso Fenesta che lucive: enigma ‘quasi’ risolto

241 Simona FrascaI’m’arricordo ’e Napule di Enrico Caruso: per una genesi della popularmusic

257 Massimo Privitera«Carlo Mazza, Quagliarulo e soci». Le macchiette di Pisano e Cioffi

VI

297 Gianfranco PlenizioLo core sperduto

STRUMENTI

313 Carla ContiAmphion Thebas, Cantus Neapolim

379 Marialuisa StazioIl futuro alle spalle. Canzone napoletana fin de siècle e industria culturale

431 Giovanni VaccaCanzone e mutazione urbanistica

449 Helga SanitàPiedigrotta e la Canzone. Packaging di un totem

Helga Sanità

PIEDIGROTTA E LA CANZONE. PACKAGING DI UN TOTEM

’O tenente m’ha ’ncucciatocu ll’uocchie ’e chianto e cu ’a chitarra mmano,e m’ha ditto accussì: Napulitano,ccà nun êa fa’ ’o tenore: êa fa’ ’o surdato.L’aggio ditto accussì: Signor tenente,mannàteme ’mprigione, nun fa niente…penzo a ’o paese mio ca sta luntanoe j’so’ napulitano,e, si nun canto, moro!(Libero Bovio, Surdate, 1909)

La canzone napoletana può essere considerata un totem solo a patto che la siintenda come una modalità della cultura, stando attenti a non cadere nel tra-nello giocato da chi vorrebbe invece collocarla in una sorta di natura.

La canzone non ‘scorre nelle vene’ dei napoletani, non è ‘parte del loro DNA’e non tutti i napoletani sono dotati di quell’orecchio naturalmente melodico checon piglio decisamente romantico Enrico Cossovich attribuiva agli scugnizzi.1

Dal punto di vista antropologico la canzone può essere interpretata come unsistema di denominazione collettiva, un emblema ‘buono da pensare’ — di-rebbe Claude Lévi-Strauss — scelto dai napoletani per rappresentarsi al mondo,una specifica forma di linguaggio, un idioma identitario ampiamente condi-viso. È dunque una particolare forma di comunicazione che accomuna imembri di uno stesso gruppo, nonché le diverse classi sociali nell’ambito diquel gruppo.

La relazione dei napoletani con il totem-canzone — sancita peraltro dal mitodi fondazione della città che ha per protagonista la sirena Partenope, dea del belcanto2 — non si esprime attraverso proibizioni o prescrizioni ma attraverso l’e-

1. ENRICO COSSOVICH, in DE BOURCARD Usi e Costumi di Napoli, Napoli, Gaetano Nobile, vol. 1,1853-58, p. 66: «Il guaglione non solo gusta e intende perfettamente la melodia ma alla suavolta la fa da maestro e da poeta… e tutto ciò senza istruzione di sorta, per sola naturale in-clinazione e sveltezza d’intelletto e per orecchio naturalmente melodico…».

2. Sul mito di fondazione di Napoli si veda ELISABETTA MORO, La santa e la sirena, Imagaenaria,Ischia 2005, dove (a p. 60) è riportata la seguente ricostruzione etimologica del termine “Si-rena” elaborata da Giambattista Vico nei Principi di una Scienza Nuova intorno alla natura

450 HELGA SANITÀ

laborazione poietica di testi e le diverse pratiche vocali. La trasmissione deltotem, invece, potrebbe definirsi di tipo ‘concezionale’ poiché raggruppa tuttigli individui concepiti in uno stesso luogo.3 Non a caso il luogo d’elaborazionedi questo particolare codice comunicativo è la città di Napoli, uno scenario na-turale che una convenzione rappresentativa di lunga durata ha codificato come‘emozionante’ e che per la sua forza iconica resta un’inesauribile fonte d’ispira-zione sempre suscettibile di superficiali riduzioni oleografiche.

Nell’analisi di questa particolare forma di totem — o dovremmo forse direnella costruzione del nostro modello interpretativo utile a leggere antropologi-camente la canzone — si rivela particolarmente efficace quella definizione cri-tica del totemismo inteso come socializzazione di valori emozionali che fu ela-borata da Alexander Goldenweiser4 e riproposta da Lévi-Strauss in Le Toté-misme ajourd’hui. La canzone veicola infatti — su un piano simbolico e dunqueemozionale — valori e sentimenti socialmente condivisi. Essa funziona inoltre,su un piano diacronico, da ‘sismografo della realtà napoletana’, registrando tra-sformazioni e cambiamenti sociali e culturali.5 Come ha scritto Marino Niola«essa rappresenta nella cultura popolare napoletana lo spazio pubblico per an-tonomasia: luogo topico della mediazione tra eventi e struttura comunitaria,terreno generativo della doxa popolare. E per ciò stesso teatro di negoziato e diconfronto tra tradizione e innovazione».6

Una funzione totemica del canto, e più in generale delle diverse sonorità ca-ratterizzanti il paesaggio sociale napoletano, sembra essere intuita ed espressaanche da Raffaele Viviani che in tutte le sue opere teatrali riconduce la mimesirealista all’ascolto dei suoni, dei rumori e delle voci della città — a quegli ele-menti che con riferimento agli studi di Murray Schafer potremmo chiamare glieventi uditi7 — fino a farli diventare parte integrante del testo. Nel 1919 Viviani

delle nazioni: «E la fondatrice (di Napoli) fu detta Sirena, che deve la sua origine senza con-trasto alla voce “sir”, che vuol dire “cantico” ovvero “canzone” (la quale istessa voce “sir”diede nome a essa Siria), e poi da’ greci fu detta Partenope». Vale forse la pena osservare chese «il canto delle sirene è in grado di spingere gli uomini a dimenticare la propriaorigine» (Moro, ibid.), il totem-canzone svolge invece la funzione contraria esprimendo unacontinuità fra presente e passato che accomuna i napoletani nell’ordine dell’identico, innome di una comune ‘origine’. Il totem canzone media dunque un’idea di canto culturaliz-zato che si oppone al ‘canto selvaggio’ delle sirene capace di annichilire chi lo ascolta. Sul‘canto selvaggio’ si veda ancora ELISABETTA MORO, La voce sir. Dalle sirene mediterranee alladea Siria, in AA.VV., Il Tessuto del mondo, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli-Roma 2007.

3. CLAUDE LÉVI-STRAUSS, Il Totemismo oggi, Feltrinelli, Milano 1972, p. 61.4. ALEXANDER GOLDENWEISER, Totemism, an Analitical Study, «Journal of American Folklore», vol.

23 n. 88 (Apr.-Jun., 1910), pp. 179-293.5. STEFANO DE MATTEIS, Tra spaesamento e appartenenza, in AA.VV., Concerto Napoletano. La

Canzone dagli anni Settanta ad oggi, Argo, Lecce 1997, p. 9.6. MARINO NIOLA La macchina del pianto, in PASQUALE SCIALÒ (a cura di), La Sceneggiata. Rappre-

sentazione di un genere popolare, Guida, Napoli 2002, p. 39.7. RAYMOND MURRAY SCHAFER, Il paesaggio sonoro, Ricordi-LIM, Milano-Lucca 1985. Si veda an-

che PASQUALE SCIALÒ, Viviani e il paesaggio sonoro, in Raffele Viviani. Teatro, poesia e musica,Cuen, Napoli 2003, p. 25.

PIEDIGROTTA E LA CANZONE. PACKAGING DI UN TOTEM 451

scrive la Festa di Piedigrotta che si inserisce a pieno titolo nella suo ‘teatro mu-sicale’. L’autore penetra lo spirito della festa presentandone un’interpretazioneche — secondo Pasquale Scialò — costituisce un sincretismo di raro valore trala tradizione popolare campana, musicale e testuale (allusioni erotico-sessuali,tammurriate, residui di villanelle, scioglilingua, mottozzi, etc.) ed il linguaggioufficiale della canzone popolaresca del primo Novecento.8 Lo stesso Scialò indi-vidua il leitmotiv di questo lavoro teatrale oltre che in un considerevole nu-mero di canti ed improvvisate, in una sorta di ‘gazzarra sonora’ di trummet-telle, scetavaiasse, putipù, triccaballacche, tofe.9

Sulla stessa estetica sonora degli strumenti popolari a percussione, tofe pu-tipù, scetavaiasse, ma con modalità e scopi del tutto diversi, avevano lavoratoanche Francesco Cangiullo e Filippo Tommaso Marinetti nella loro Piedigrottafuturista del 1916.10

Nel 1931 Walter Benjamin nel descrivere la Festa di Piedigrotta faceva no-tare che:

Quasi tutti hanno una di quelle orrende trombette colorate che si possono com-prare a ogni angolo di strada per cinque centesimi […]. Vanno in giro in bande,con l’unica intenzione di pescare le persone perbene, sbarrar loro la via, stringerlein cerchio e poi strombazzare loro nelle orecchie finché quelle povere vittime noncadano a terra stordite o non riescano a scappare. È vero, però, che in compensoesistono dei posti in cui si fa di tutto per offrire all’orecchio esperienze gradevoli epiacevoli. Infatti in questo stesso giorno si svolge a Napoli una sorta di gara canoratra quelli che compongono canzoni. La maggior parte delle canzoni che si sentonocantare dalla mattina alla sera per le strade, accompagnate dalla fisarmonica o dalsilofono, vengono presentate per la prima volta proprio durante la Festa di Piedi-grotta, e le più belle sono premiate da una giuria di esperti. A Napoli saper cantaredà alle persone quasi altrettanto prestigio che il saper far la box in America.11

Quando la storia della canzone napoletana incontra quella della Festa di Pie-digrotta offre elementi interessanti da analizzare. Per alcuni l’incontro fra lafesta e la canzone può essere ricondotto ai tempi remoti in cui ai riti piedigrot-teschi partecipavano «[…] il carro delle lavandaie sul quale salivano solo donneche cantavano accompagnandosi al ritmo delle loro pianelle di legno […] equello dei ficaiuoli, dove i cantanti si accompagnavano con tamburi e conchi-glie […]. I due carri si incontravano davanti la grotta dove, in un primo tempo,

8. PASQUALE SCIALÒ, Festa di Piedigrotta, “Le musiche”, in GUIDO DAVICO BONINO – ANTONIA

LEZZA – PASQUALE SCIALÒ, Raffaele Viviani, Teatro, vol. 3, Guida, Napoli 1994, p. 574.9. Ibidem.10. FRANCESCO CANGIULLO, Piedigrotta. Parole in libertà, col Manifesto sulla declamazione dinami-

ca sinottica di Marinetti, Edizioni futuriste di poesia, Milano 1916.11. WALTER BENJAMIN, “Napoli”, testo radiofonico in cui l’autore riferisce le impressioni in lui su-

scitate da Napoli durante la sua permanenza di otto mesi nella città e nei suoi dintorni, tra-scritto in Burattini, streghe e briganti. Illuminismo per ragazzi (1929-1932), a cura di R. Tie-demann e H. Schweppenhäuser, nell’edizione italiana a cura di Giulio Schiavoni, Il Melan-golo, p. 222.

452 HELGA SANITÀ

i cantatori intonavano a gara con le donne il canto a figliola, presso la tomba diVirgilio[…]».12

Nella fatidica notte piedigrottesca le canzoni cantate sui carri e replicatenella Cripta Neapolitana venivano sottoposte al giudizio del popolo, il quale inun secondo momento, avrebbe fatto conoscere il titolo della Figlia della Ma-donna, ovvero del motivo vincente.13

Se in questa fase il canto a figliola è una pratica rituale spontanea, unomaggio offerto dal popolo alla Madonna, a partire all’incirca dalla metà del-l’Ottocento la canzone si trasforma in un oggetto più complesso e strumentaliz-zabile, suscettibile cioè di trasformazioni in prodotto dell’industria culturale,senza peraltro perdere nulla del suo significato antropologico. Da accessoriodel testo rituale diviene elemento primario e indispensabile del contesto festivotanto da imporsi su tutte le altre pratiche. Grazie anche al condizionamentoesercitato dalla stampa — e più tardi dalla televisione — sull’immaginario col-lettivo locale e nazionale, Piedigrotta diviene la Festa della Canzone. Ai cantispontanei intonati dalle comitive di popolani si aggiungono brani scritti da noticompositori e poeti di estrazione borghese che affidano l’esecuzione delle can-zoni a interpreti e musicisti professionisti i quali partecipano alla festa esiben-dosi sui carri ma anche nei caffé all’aperto e nei teatri cittadini.

A testimonianza dell’avvenuta riduzione della Festa di Piedigrotta a Festadella canzone ci sembra interessante proporre l’interpretazione della festa ela-borata nel 1949 da un osservatore d’eccezione, lo scrittore giapponese ShimoiHarukichi, dopo un soggiorno di circa vent’anni in Italia:

In Italia sono numerosissime da tutte le parti le feste grandi e piccole che affasci-nano per il loro aspetto particolare. Ma se qualcuno mi avesse domandato quan-d’ero giovane quale tra quelle trovassi più interessante, avrei risposto immediata-mente la Festa di Piedigrotta a Napoli. Solo questa festa ha la peculiarità di essereimportante e famosa fino al punto che tutti la conoscono, indipendentemente dalluogo di nascita e senza distinzione fra ricchi e poveri, uomini e donne, giovani eanziani. La si può chiamare semplicemente Piedigrotta. È il riassunto in un'unicaparola di Festa della Madonna di Piedigrotta. Ma io non volendo usare quel nometroppo formale la definisco Festa della Canzone o, per amore di precisione Festadella Canzone popolare. Vale a dire che pur dicendo solo la parola canzone si sagià che questa è limitata esclusivamente al significato di popolare. Se si vuole dareuna spiegazione più dettagliata, le canzoni popolari che vengono cantate da tutto ilpopolo italiano nascono dalla Festa della Madonna di Piedigrotta che si tiene ognianno il 7 settembre e da Napoli come centro, si vanno poi a diffondere in tutti glialtri paesi a mo’ di cerchi sull’acqua, attraversando i campi e le montagne, pas-sando dalle città ai villaggi, dai villaggi alle case nelle vallate. Questo perché pro-

12. Cfr.ROBERTO DE SIMONE, Il Segno di Virgilio, Puteoli, Pozzuoli 1982, p. 117.13. FRANCO MANCINI, PIETRO GARGANO, Nel segno della Tradizione. Piedigrotta. I luoghi, le feste, le

canzoni. Guida, Napoli 1991, p. 36.

PIEDIGROTTA E LA CANZONE. PACKAGING DI UN TOTEM 453

prio la Madonna di Piedigrotta è la divinità protettrice della canzone popolare.Napoli è la capitale della canzone.14

Attribuendo alla Madonna di Piedigrotta il titolo di ‘protettrice della can-zone popolare’ l’autore sembra cadere in un doppio cortocircuito interpreta-tivo. Lui stesso afferma di non voler usare il nome formale di Festa della Ma-donna di Piedigrotta, ma sente la necessità di legare comunque la canzone adun nume tutelare, anche solo formale, forse nel bisogno inconscio di trovareun’ ‘origine’ del fenomeno canzone, di ancestralizzare un codice culturale chenon riesce a fondare né tantomeno a spiegare in altro modo. Connota peraltrola canzone con l’aggettivo ‘popolare’ che usa ancora in chiave romantica, riflet-tendo una mitizzazione del popolo visto come l’unica genesi della vera poesia,come l’incarnazione di valori quali la spontaneità e l’immediatezza. Pur avendocollezionato amorevolmente per vent’anni i testi delle canzoni d’autore pro-dotte per le Piedigrotte, Harukichi non riesce a distinguere fra canzoni pro-dotte dal popolo e canzoni prodotte per o come il popolo, fra popolare e popola-resco. Più avanti nel testo ripete in più punti che «Napoli è la capitale della can-zone», che «la vita di Napoli è la canzone», che «il sangue di Napoli sono isuoni», e soprattutto insiste sul fatto che «tutte le canzoni hanno origine allaFesta di Piedigrotta da dove si diffondono nel mondo». Egli ribadisce quest’ul-timo concetto con un esempio che ci dà chiaramente la dimensione del feno-meno di ‘glocalizzazzione’15 che stiamo analizzando:

I turisti che vengono dall’estero, spesso, quando vengono a visitare Venezia, lacittà dell’acqua, salgono sulla caratteristica gondola e fanno un giro facendo vo-gare in circolo il gondoliere per i piccoli e grandi canali disposti a maglia. Ma nongli basta. Danno sempre una mancia extra perché il gondoliere gli canti una can-zone. Sono tante le persone che tornando al loro paese riferiscono con orgoglio:Questa è la canzone che mi ha fatto ascoltare un gondoliere a Venezia. Ma quellacanzone che il gondoliere ha cantato, come si sa, è sempre una canzone che è nataalla Festa di Piedigrotta nel sud-Italia.16

E conclude affermando:Le canzoni napoletane che vengono cantate nel mio paese penetrano con un’infi-nita nostalgia nella mente delle persone per il loro essere amichevoli e profonde. Èil caso di Torna a Surriento, Santa Lucia,’O sole mio, Marechiaro, Funiculì funi-culà: tutte canzoni che sono nate dalla Festa di Piedigrotta.17

14. SHIMOI HARUKICHI, Napori no uta-matsuri (La Festa della canzone napoletana) apparso origi-nariamente su Joseien vol. 4, n. 9, settembre 1949, pp. 66-72 e riportato in GIOVANNI BORRIELLO

(a cura di), Il Giappone, Napoli e la Campania, Università degli Studi di Napoli l’Orientale,Napoli 2005, pp. 111-20.

15. Il neologismo ‘glocalizzazione’ è stato coniato e introdotto nelle scienze sociali da ZigmuntBauman. Si veda in proposito ZYGMUNT BAUMAN Globalizzazione e Glocalizzazione, Armando,Roma 2005.

16. HARUKICHI, Napori no uta-matsuri, p. 118.17. Ivi, p. 120.

454 HELGA SANITÀ

È chiaro che non si trattava più di canzoni popolari, nel senso di componi-menti scaturiti spontaneamente dalla creatività popolare basati sull’oralità, madi opere d’arte composte da autori borghesi per essere consumate da destina-tari diversi oltre che dal popolo stesso. Gli autori delle nuove canzoni si ispi-rano alla tradizione popolare, utilizzano intere strofe tratte da poesie popolarima tendono a non citare le fonti.18

Presagendo alcuni aspetti del fenomeno, già nel 1892, Benedetto Croceaveva scritto:

[…] più oscura di quella della parata è l’origine della gara di canzoni, che alcuniingenui credono ancora che si faccia la notte dal 7 all’8 settembre sotto alla grotta!Che si cantassero canzoni a Piedigrotta sin da tempi antichissimi, è probabile; manessuno ne parla. L’attenzione fu rivolta su quelle canzoni nel 1835 quando Raf-faele Sacco fece in quell’occasione, cantare la sua col famoso ritornello: Te vogliobene assaie e tu nun pienze a me. Queste canzoni hanno dato poi origine negli ul-timi anni a una fioritura letteraria piedigrottesca di giornali e numeri unici, cherappresenta una nuova festa — vogliamo chiamarla festa? — aggiunta all’antica,popolare.19

In effetti si trattava di un vero e proprio business, una forma di rivoluzioneindustriale autoctona che avrebbe toccato l’apice negli anni Cinquanta per poideclinare inesorabilmente trascinando con se la struttura festiva, o quanto-meno riducendola ad evento.

Fra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento le possibilità economiche eproduttive rivelate dall’occasione piedigrottesca richiamarono nel businessdella canzone una nutrita serie di editori: Ricordi, i Fratelli Izzo, Santojanni,Morano, Pierro, Bideri e nacquero diverse nuove case editrici più o meno im-portanti.20 Interessanti sono i casi della Polyphon fondata dalla Polyphon Musi-kwerke di Lipsia — ditta produttrice di strumenti musicali, grammofoni e di-schi — che nel 1911 impiantò a Napoli una casa editrice che riuniva le migliori

18. Va ricordato che fin dagli inizi dell’Ottocento, in Europa e soprattutto in Germania — sullascia dello Sturm und Drang — si producevano trascrizioni di canti popolari. Anche in areanapoletana furono realizzate alcune ricerche in tal senso. Nel 1870 l’Accademia Pontanianacommissionò una raccolta a Luigi Molinaro Del Chiaro che dieci anni dopo diede alle stam-pe i primi Canti del popolo napoletano. Nel 1916 lo stesso autore presentò un ampliamentodell’opera dal titolo Canti popolari raccolti in Napoli. Per quanto interessanti queste raccoltemostrano i limiti imposti da una precisa concezione di ‘popolo’ e dalla selezione che —come dichiarato dallo stesso autore — conservò solo i materiali che rappresentavano la partesana e non volgare dell’espressione del canto popolare. Un altro lavoro interessante, non li-mitato solo all’area napoletana, è la raccolta in due volumi Canti popolari nelle ProvincieMeridionali di Vittorio Imbriani e Antonio Cascetta che documenta deliberatamente solocanti di provenienza rurale o marinara.

19. BENEDETTO CROCE, La chiesa e la festa di Piedigrotta, in Napoli Nobilissima, 7 settembre 1892.L’articolo è riportato anche in AA.VV., Piedigrotta nella vita e nella storia, Morace, Napoli1951, pp. 9-11.

20. MARIALUISA STAZIO, La Fabbrica della festa in Piedigrotta 1985-1995, catalogo dell’omonimamostra-convegno, Progetti Museali, Roma 1995, p. 63.

PIEDIGROTTA E LA CANZONE. PACKAGING DI UN TOTEM 455

firme della canzone e organizzava lanci piedigrotteschi in grande stile, seguitida tournées internazionali, e della Santa Lucia, costituita da capitale mistoitalo-americano e concepita proprio per esportare oltre oceano le canzoni dimaggiore successo. Gli editori producevano enormi quantità di materiali astampa destinati a diffondere le canzoni a tutti i livelli sociali. Stampavano in ti-rature che superavano le decine di migliaia di copie: album,21 fascicoli per le au-dizioni, riviste musicali, spartiti, copielle.22 Queste ultime — fogli unici che ri-portavano lo spartito e il testo della canzone — erano molto richieste e spesso,grazie alle sponsorizzazioni di ditte cittadine che ottenevano in cambioun’ampia eco pubblicitaria dovuta alla riproduzione del proprio marchio sulfoglio, venivano distribuite gratuitamente. I testi delle canzoni e gli spartitierano diffusi anche da quotidiani e periodici cittadini che si affiancavano aglieditori implementando il sistema comunicativo della festa. Sia le case editriciche i giornali organizzavano le audizioni anche su scala regionale. Le canzonipotevano essere affidate a interpreti locali più o meno noti oppure a cantantiitaliani famosi o particolarmente adatti al repertorio napoletano. In un secondomomento le case discografiche selezionavano le canzoni più amate dal pubblicoe incidevano dischi che avrebbero avuto un sicuro successo commerciale.

Oltre a conferire un’organizzazione ai numerosi avvenimenti che sostanzia-vano l’evento Piedigrotta, la stampa cittadina — come ha osservato MarialuisaStazio — si adoperava per far giungere le canzoni, i prodotti più importantidella festa, ai potenziali acquirenti e consumatori ed offriva inoltre la sua capa-cità di orientare il pubblico con recensioni quasi sempre favorevoli e soffietti

21. Ibid.: «Si trattava di fascicoli in cui i testi e gli spartiti delle canzoni erano corredati da illu-strazioni dei migliori e dei più noti pittori e illustratori napoletani nei quali era sempre pre-sente una parte letteraria affidata alle migliori firme del giornalismo partenopeo, ma anche ascrittori e letterati famosi — Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Matilde Serao, Ro-berto Bracco — che in questi album continuavano e perfezionavano il lavoro di fissazionedegli stereotipi sull’immagine della città e della canzone portato avanti parallelamente neiquotidiani e nei periodici napoletani […]. Negli album di Piedigrotta la pubblicistica sullacanzone tendeva a stabilire — con una certa abilità e con innegabile potere fascinatorio — larelazione delle canzoni con l’etnia e con una cultura la cui classe media potesse riconoscersi,il legame e, quasi, l’identità fra la canzone e la città di cui essa sembrava interpretare il senti-mento e rappresentare la storia linguistica e culturale».

22. Bisogna ricordare che anche durante le sfilate carnevalesche napoletane, già nel XVII secolo,le maschere sui carri cantavano e ballavano e che i testi delle canzoni, i cosiddetti Cartellidei Carri e delle Quadriglie — scritti per lo più in dialetto da poeti di mestiere come PietroTrinchera e Giacomo Antonio Palmieri con un linguaggio gioioso che ricorreva a frequentidoppi sensi ironici ed osceni per spiegare il significato allegorico dei carri trionfali, celebrarein tono semiserio i diversi mestieri ed i loro prodotti e incensare le supreme autorità — era-no distribuiti fra il pubblico stampati su fogli volanti. Assolvendo ad una importante funzio-ne di mediazione tra classi sociali diverse, il foglio volante si può considerare un primordialemedium ottocentesco: se un prodotto riscuoteva un certo successo sul pubblico alfabetizza-to, questo faceva da cassa di risonanza per gli strati sociali più bassi che apprendevano oral-mente il componimento e lo trasformavano, secondo le modalità tipiche del codice popola-re, rimettendolo in circolazione. Su quest’argomento si veda ROBERTO LEYDI, L’altra musica.Etnomusicologia, Giunto-Ricordi, Firenze 1991, p. 155.

456 HELGA SANITÀ

pubblicitari. In cambio ricavava dalla festa occasioni per potenziare le vendite.23

Non a caso questo avveniva in un momento in cui[…] le politiche dello stato unitario avevano già delineato una destinazione del-l’area del Mezzogiorno sfavorevole alla sintesi fra interessi locali e sistema produt-tivo nazionale. Dunque il discorso giornalistico piedigrottesco — come eviden-ziato acutamente dalla Stazio — contribuiva a rafforzare nell’immaginario nonsolo napoletano l’equazione Piedigrotta = canzone = Napoli, facendo leva soprat-tutto sulla valorizzazione di alcuni stereotipi già consolidati: il primato della na-tura — considerata la fonte più genuina dell’ispirazione dei poeti — la bellezza, ilsentimento, l’organicità vivente della città, la presunta traccia identitaria della na-poletanità, usati con piglio nostalgico e di rivalsa, in contrapposizione al freddomeccanicismo, al calcolo, alle convenzioni, alla contrattualità, che dominavano al-trove, e cioè al Nord, i rapporti sociali ed economici.24

Ogni anno venivano date in pasto al pubblico tra le duecento e le trecentocanzoni.

Nel 1935 anche il regime fascista strumentalizzava l’equazione Piedigrotta =canzone = Napoli per assicurarsi consensi. Proprio in quell’anno, nell’ambitodell’organizzazione della spettacolare Piedigrotta dei Tempi Nuovi,25 il Comi-tato Provinciale per il Turismo di Napoli bandiva un concorso per le più bellefotografie di Piedigrotta dotandolo di cinquemilalire di premi.26 Lo scopo eraquello di procurarsi materiale illustrativo della famosa festa napoletana per lapropaganda turistica della città. Il concorso doveva dunque fungere da banco diprova per l’elaborazione di spot efficaci alla commercializzazione della festa,come se si trattasse di un qualsiasi altro bene di consumo. Si cercavano imma-gini che riuscissero a «rappresentare in sintesi o in significato la celebrazione diPiedigrotta», che «esprimessero in sintesi o in allegoria il significato dellafesta».27 Il vincitore assoluto del concorso «per la migliore composizione allego-rica»28 fu Giulio Parisio. Non possiamo individuare con certezza la foto vinci-trice fra le 173 lastre negative che lui impressionò per la Piedigrotta 1935, ma èevidente che l’autore lascia grandeggiare in tutte le sue ‘composizioni’ i signifi-cati archetipi legati alla canzone. La immagini dalla n. 104 alla n. 115 del lavoroPiedigrotta 1935 sono intitolate dallo stesso Parisio «nature morte» e raffigu-rano trombette di carta, chitarre, mandolini, spartiti musicali, album e copielle.Altre immagini dello stesso lavoro raffigurano modelli in carne ed ossa, giovaniuomini e donne che posano sulla prua di una barca fingendo di suonare stru-menti musicali tradizionali. I modelli, ripresi in controluce, arrivano a perdereogni connotato fisionomico, sono silhouettes nere disegnate dal sole e si sta-

23. Cfr. STAZIO, Piedigrotta: giornali e canzoni, p. 95.24. Ibid., p. 97.25. Cfr. «Il Mattino», 4 agosto 1935, p. 3.26. Un concorso fotografico per la Festa di Piedigrotta, «La Tribuna», 17 agosto 1935, p. 3.27. Ibid.28. Il concorso fotografico di Piedigrotta, «Il Mattino», 10 ottobre 1935, p. 4.

PIEDIGROTTA E LA CANZONE. PACKAGING DI UN TOTEM 457

gliano sul fondale reso dal mare e dal cielo diventando anch’essi degli still-life,delle oleografie superficiali della canzone. Nel 1935 era stato bandito anche unConcorso per le più belle canzoni di Piedigrotta al quale furono invitati a parte-cipare poeti e musicisti d’ogni regione d’Italia. Un premio speciale era riservatoalla migliore canzone patriottica.

Il processo di obsolescenza29 del totem-canzone era avviato ed ormai irrever-sibile. Già nel 1929 Adriano Tilgher aveva lamentato la crisi della fortuna dellacanzone napoletana rintracciandone le cause nell’«essiccamento delle sue duegrandi fonti: realismo e sentimentalismo». Nello stesso anno Antonio Gramsci,in risposta all’osservazione del Tilgher, scrive: «La crisi di Piedigrotta è vera-mente un segno dei tempi. La teorizzazione di Strapaese ha ucciso strapaese (inrealtà si voleva fissare un figurino tendenzioso di strapaese assai ammuffito escimunito). Non si ride più di cuore: si sogghigna e si fa dell’arguzia meccanicatipo Campanile. La fonte di Piedigrotta non si è essiccata, è stata essiccataperché era diventata ufficiale e i canzonieri erano diventati funzionari (vedi Li-bero Bovio)».30

Quando la centralità del sistema comunicativo della festa sarà conquistatadalla televisione, l’ascesa mediatica del totem-canzone travalicherà ogni confinesfociando dal 1952 nel lancio del Festival della Canzone.

Prodotto per soddisfare le esigenze della nascente industria culturale dimassa, il festival determinò la crisi dell’editoria musicale napoletana e di tuttol’indotto economico messo in moto dalle audizioni piedigrottesche, andòavanti per diciotto edizioni e secondo Salvatore Palomba — noto autore dimusiche e testi — esso contribuì ad ‘annacquare’ le canzoni i cui testi dove-vano adattarsi linguisticamente alle esigenze delle giurie non napoletane vei-colando contenuti banali piegati a luoghi comuni ormai collaudati su Napolie i napoletani.31

Fin dai primi anni Cinquanta la canzone napoletana e la stessa festa di Pie-digrotta restano vittime della retorica e dell’estetica comunicativa dei mediache, privilegiando linguaggi sempre più omogenei, disidentificano le comunità

29. GILLO DORFLES, Simbolo, comunicazione, consumo, Einaudi, Torino 1980. Dorfles definiscel’obsolescenza come l’invecchiamento rapidissimo delle cose che diventano obsolete primaancora d’essere consumate.

30. ANTONIO GRAMSCI, Quaderni dal Carcere (1947), Einaudi, Torino 1977, vol. I, p. 95. In LETIZIA

BINDI, Bandiere antenne campanili. Comunità immaginate nello specchio dei media, Meltemi,Roma 2005, p. 168, nota 2. Il riferimento a Libero Bovio come modello di ‘funzionario’ sipuò capire ricordando che il poeta, oltre ad essere uno degli autori più prolifici della nuovaindustria della canzone, fu direttore delle stesse case editrici che promuovevano le sue can-zoni. Dal 1915 al 1923 diresse «La Canzonetta» e successivamente, fino al 1934, «Santa Lu-cia» di proprietà dell’italoamericano Antonio De Martino, per finire alla «Bottega dei Quat-tro» fondata dallo stesso Bovio con i musicisti Nicola Valente, Ernesto Tagliaferri e GaetanoLama. Nel 1927, inoltre, in ossequio alle retoriche del Regime fascista, aveva scritto l’opera IlCanto del Lavoro musicata da Mascagni.

31. SALVATORE PALOMBA, Storia personale della canzone napoletana, in Concerto Napoletano, p. 24.

458 HELGA SANITÀ

locali rispetto alla propria tradizione di appartenenza e forniscono un’idea illu-soria del Paese come ‘comunità immaginata’32 nella quale le diversità geogra-fiche e culturali sembrano non avere più alcun peso. La canzone e anche la festanon sono più habitus condivisi o dispositivi identitari, divengono mummie,oggetti da conservare, strumenti di una perversa politica del patrimonio checonsegna alla ‘tradizione’ lo statuto di memoria immobile, oppure sono ridottia loghi, brands da lanciare nell’arena pubblica dell’informazione e del mercatoturistico.33

32. L’espressione è tratta dall’omonimo testo di Benedict Anderson, Imagined Communities,Verso, London-New York, 1991.

33. Cfr. L. BINDI, Radiotelevisione in festa. Raccontare la tradizione sui media, in Festa viva. Tra-dizione, Territorio, Turismo, a cura di Laura Bonato, Omega edizioni, Torino 2006. Dellastessa autrice Bandiere antenne campanili, Meltemi, Roma 2005.