Raffaele Di Mauro, Canzone napoletana e musica di tradizione orale: dalla canzone artigiana alla...

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MUSICA/REALTÀ 2010/03 93 Libreria Musicale Italiana Musica/Realtà

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MUSICA/REALTÀ

2010/03

93

Libreria Musicale Italiana

Musica/Realtà

Musica/Realtà

Rivista quadrimestraleAnno XXXI, numero 93 - Novembre 2010

Direttore responsabileLuigi Pestalozza

Redazione e attivitàCesare Bermani, Lorenzo Bianconi, Antonio Doro, Franco Fabbri, Roberto Favaro,Enrico Fubini, Francesco Galante, Giovanni Guanti, Giacomo Manzoni, AlessandroMelchiorre, Richard Middleton, Pier Francesco Moliterni, Angelo Orcalli, Luigi Pesta-lozza, Carlo Piccardi, Paolo Prato, Nicola Sani, Andrea Talmelli, Alvise Vidolin

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RedattoreRoberto Favaro

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Registrazione del Tribunale di Milano n° 171 del 22 marzo 1997.

La collaborazione alla rivista avviene su invito della Redazione.

Stampato con i contributi di

CARIPLOBANCA CRT • FONDAZIONE MUSICALE UMBERTO MICHELI

Indice

INTERVENTI

Ricerca e innovazione? (Daniele Lombardi) p. 5; Insegnare e studiarela musica elettronica in Conservatorio. Appunti critici per unanuova lontana stagione (Francesco Galante) p. 13; Riflessioni eappunti sul “suono” nel jazz (Maurizio Franco) p. 21; Analisimusicale e completezza testuale. Riflessioni a margine delleincompiute di Gershwin (Andrea Garbuglia) p. 26; In ricordo diGünter Mayer (L.P.) p. 31.

SAGGI

33 Hugues DufourtLa dimensione produttiva dell’intensità e del timbro e la lorointegrazione al sistema degli “elementi portatori di forma”

49 Franco Fabbri Il plurale di “musica”

67 Alessandra VaccaroneLa figura femminile nella Vienna di inizio secolo nella musica,nella letteratura e nelle arti figurative

95 Alessandra PaganRealtà discografiche indipendenti italiane: la Caligola RecordsUbi “majors” minor non cessat

111 Andrea MalvanoLa Sonata per pianoforte di Paul Dukas. Alfa e omega di ungenere musicale francese

133 Raffaele Di MauroCanzone napoletana e musica di tradizione orale:dalla canzone artigiana alla canzone urbana d’autore

DOCUMENTI

153 Roberto FavaroVisioni musicali. Un libro sui rapporti tra musica e arti visive

157 Francesco TedeschiVisioni MusicaliIntroduzione. Un incontro sui rapporti tra musica e arti visivenel Novecento

DOCUMENTI /RILETTURE

169 Francesco D’ArcaisL'industria musicale in Italia

185 DISCHI DI OGGI a cura di Maurizio Franco

Canzone napoletana e musica di tradizione orale:dalla canzone artigiana alla canzone urbana d’autore

di Raffaele Di Mauro

Spesso in maniera semplicistica e oleografica si identifica lacanzone napoletana con quell’espressione musicale nata a Napolinel periodo che va dalla fine dell’Ottocento (in genere dal 1880 inpoi, anno del brano Funiculì funiculà) fino più o meno alla primametà del Novecento, ovvero con quella stagione in cui grandi poetie musicisti diedero vita a canzoni divenute celebri in tutto ilmondo e cantate ancora oggi. In realtà questa visione contienesolo una parte di verità e di quel fenomeno ampio e complesso cheindichiamo con il termine canzone napoletana. Possiamo conside-rare il periodo sopra indicato (dal 1880 fino agli anni Cinquanta delNovecento), come l’epoca “d’oro” oppure come l’epoca della can-zone napoletana classica, così come comunemente definita, masarebbe erroneo identificare tout-court tale periodo con “la” can-zone napoletana. Fermarsi a esaminare solo il periodo classicovuol dire tenere fuori dalla valutazione fenomeni e manifestazionimusicali come le villanelle cinquecentesche, le arie settecenteschein dialetto tratte dall’opera buffa, le canzoni del primo Ottocento(una fra tutte la famosissima Io te voglie bene assaie, da alcuni indi-cata erroneamente come “prima” canzone napoletana o primacanzone “d’autore”, ma sicuramente la prima canzone napoletanaad aver avuto un successo tale da segnare una “svolta”), alcunecanzoni di derivazione popolare di incerta paternità e datazionema sicuramente pre-ottocentesche (Michelemmà, Lo Guarracino,Cicerenella ecc.) oppure le canzoni di Renato Carosone, SergioBruni e altri, del secondo Novecento. Tutte queste pur non rien-trando nel periodo d’oro fanno a pieno titolo parte della canzonenapoletana e solo partendo dalla prospettiva storica di un arcotemporale che possiamo circoscrivere, basandoci sulle fonti musi-cali certe attualmente disponibili, dal Cinquecento (o meglio dal1537, anno della prima raccolta di villanelle alla napolitana a noipervenuta) fino ai giorni nostri, è possibile comprendere qual è ilpercorso, segnalandone le persistenze e le mutazioni, che ha por-tato alla fine del XIX sec. all’esplosione del fenomeno canzonenapoletana.1

Precisati meglio i limiti temporali, altro discorso, ma non menocomplicato, è analizzare l’oggetto canzone napoletana, manifesta-zione musicale connotata, come è stato sottolineato acutamente,da un costante “plurilinguismo” in cui è assai difficile stabilire i

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diversi livelli di produzione (colto, semi-colto e popolare)2 e isolarele diverse matrici musicali che ne influenzano il linguaggio(musica colta, romanza da salotto, musica d’uso per il ballo,musica di tradizione orale ecc.).3 Lo scopo di questo studio è pro-prio quello di analizzare le relazioni esistenti tra la canzone napo-letana e una di queste matrici, ovvero la musica di tradizione orale,soffermandoci anche sugli aspetti musicali di tale relazione ancorapoco indagati.

Fino a qualche tempo fa la lettura del fenomeno canzone napo-letana è stata legata a due visioni contrapposte che da un lato vole-vano la canzone napoletana come una sorta di “sorella minore”della romanza da camera (possiamo considerare come primosostenitore “ideale” di questa tesi Salvatore Di Giacomo, il quale,in tutti i modi, ha cercato di dare “padri nobili” alla canzone napo-letana) e dall’altra invece come “figlia maggiore” di un non meglioprecisato “canto popolare” (principale fautore di quest’altra tesi èinvece, a nostro avviso, Sebastiano Di Massa del quale parleremofra poco).

In ogni caso però l’indubbio rapporto esistente tra la musica ditradizione orale e la canzone napoletana è stato quasi sempre sot-tolineato da tutti gli studiosi che hanno affrontato la storia dellacanzone partenopea. Molto spesso, tuttavia, esso è stato trattato oin maniera retorico-celebrativa (musicalità popolare “innata” deinapoletani) o sotto forma di resoconto delle citazioni (“in tale can-zone troviamo una voce di venditore, in tal altra una fronna” ecc.),nei lavori caratterizzati da un approccio giornalistico-aneddotico(Paliotti,4 Elia,5 Petriccione,6 Gargano-Cesarini,7 Pittari8); oppure

1 Canzone napoletana è, secondo noi, semplicemente qualsiasi breve composi-zione fatta di testo in dialetto napoletano e musica. Questa definizione generalepuò abbracciare manifestazioni musicali assai diverse che coprono un lungo arcotemporale: si va dalle villanelle cinquecentesche (ovviamente solo quelle in dia-letto) a quelle che chiameremo canzoni napoletane classiche, dalle arie in napole-tano tratte dall’opera buffa settecentesca alle canzoni più moderne fatte su ritmidub o posse (Almamegretta, 99 Posse), rap (‘A famiglia, Co’ Sang) o rock (A 67).Quando parleremo di canzone napoletana classica ci riferiremo invece a un periodopreciso della canzone napoletana e cioè dal 1880 fino alla fine degli anni Cinquantadel Novecento.

2 Roberto De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, ValentinoEditore, Napoli 1994, p. 7. La prima edizione di questo saggio è R. De Simone,“Appunti per una disordinata storia della canzone napoletana”, Culture Musicali,II, 3 (1983), pp. 3-40.

3 Pasquale Scialò, La canzone napoletana dalle origini ai giorni nostri, NewtonCompton, Roma 1995, p. 12.

4 Vittorio Paliotti, Storia della canzone napoletana, Newton Compton, Roma1992 (1ª ediz. Milano, Ricordi, 1958).

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soffermandosi esclusivamente sull’analisi del dato letterario di talelegame, nei lavori segnati da un approccio tematico-testuale (Ame-deo,9 Grano10). A tutt’oggi il lavoro più serio e documentatosull’argomento resta La canzone napoletana e i suoi rapporti colcanto popolare di Sebastiano Di Massa del lontano 1939.11 Maanche in questo caso l’indagine si concentrava unicamente sulleparentele testuali tra canto popolare e canzone napoletana cheveniva lì definita canzone popolaresca (riprendendo una distin-zione suggerita da Caravaglios12) e che a suo avviso aveva dato nelcorso dei secoli il meglio di se stessa proprio quando aveva attintodirettamente al “canto popolare”. Già in quell’occasione Di Massaaveva poi incitato gli studiosi a svolgere un lavoro analogo sul ver-sante musicale che avrebbe chiarito ancor meglio la natura di talerapporto. L’appello tuttavia, se si escludono alcuni preziosi contri-buti con un approccio di tipo musicologico o etnomusicologicodedicati all’analisi approfondita di singoli brani significativi,13 nonè stato ancora raccolto in toto.

Ciò che differenzia fondamentalmente la canzone napoletanaclassica dalla musica o canto popolare, che riteniamo più correttochiamare musica di tradizione orale,14 è il fatto che si tratta di unacreazione individuale (nel senso di uno o più autori chiaramenteidentificati) che si trasmette attraverso un testo scritto che nonpuò essere mutato (la partitura) e che non è legata a una partico-lare funzione o contesto esecutivo, laddove invece un canto tradi-zionale, quand’anche all’inizio frutto di una creazione individuale,è quasi sempre oggetto di un processo dinamico di aggiunte e/omodifiche dovute a una sorta di “ri-creazione collettiva”,15 si tra-smette oralmente (di solito all’interno di una stessa comunità) e

5 Piero Elia, La canzone napoletana, P.A.I.S., Roma 1954. 6 Federico Petriccione, Piccola storia della canzone napoletana, Messaggerie

musicali, Milano 1959.7 Pietro Gargano & Gianni Cesarini, La canzone napoletana, Rizzoli, Milano

1984.8 Carmelo Pittari, La storia della canzone napoletana. Dalle origini all’epoca

d’oro, Baldini Castaldi Dalai editore, Milano 2004.9 Giovanni Amedeo, Canzoni e popolo a Napoli dal ‘400 al ‘900, Grimaldi & C.

editori, Napoli 2005.10 Antonio Grano, Trattato di sociologia della canzone classica napoletana, Pal-

ladino Editore, Campobasso 2004.11 Sebastiano Di Massa, La canzone napoletana e i suoi rapporti col canto popo-

lare, Editrice Rispoli Anonima, Napoli 1939. Questo testo fu in seguito ripubblicatocon alcune modifiche e aggiunte: cfr. Sebastiano Di Massa, Storia della canzonenapoletana, Fausto Fiorentino, Napoli 1961.

12 Cfr. Cesare Caravaglios, Il folklore musicale in Italia, Editrice Rispoli Ano-nima, Napoli, 1936, pp. 87-106.

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molto spesso, soprattutto in ambito contadino, è legato a unevento particolare in cui esso viene eseguito (la festa di unaMadonna, il Carnevale o una situazione di lavoro). Per capiremeglio i rapporti che intercorrono tra canzone napoletana classicae musica di tradizione orale è fondamentale fare propria la divi-sione di quest’ultima in due fasce folkloriche suggerita dall’etno-musicologo Diego Carpitella, il quale distingueva la musica dellafascia agro-pastorale-marinara (ovvero la musica di area conta-dina, indicata come patrimonio popolare) da quella della fasciaartigiano-urbana (ovvero la musica di area cittadina, indicatainvece come patrimonio popolaresco).16 Questa distinzione è indi-spensabile perché investe vari aspetti: diversi sono i moduli melo-dici, le strutture melodico-armoniche, il sistema di intonazione, laconcezione del ritmo, gli strumenti impiegati e così via.17 Ovvia-mente l’elemento principale che accomuna queste due diverserealtà musicali è la trasmissione per via orale ma differenti sono icontesti e le funzioni che la musica riveste nei due ambiti. Da que-sto punto di vista possiamo indicare le musiche di fascia agro-pastorale come forme di repertorio contestuale (legate cioè a unospecifico contesto esecutivo: la festa, il rito, il lavoro) la cui fun-zione fondamentale è quella di “organizzazione e supporto delle

13 Ci riferiamo agli studi dedicati a brani come ‘O guarracino (R. De Simone, Latarantella napoletana ne le due anime del Guarracino, Edizioni di Gabriele e Maria-teresa Benincasa, Roma 1992; Pasquale Scialò, “Il processo del guarracino, meta-morfosi di un canto marinaro”, in P. Scialò, Storie di musiche, a cura di Carla Conti,Guida editore, Napoli 2010, pp. 29-58) o da chi scrive a Fenesta che lucive (RaffaeleDi Mauro, “Il caso Fenesta che lucive: enigma 'quasi' risolto”, in Enrico Careri &Pasquale Scialò (a cura di), Studi sulla canzone napoletana classica, LIM, Lucca2008, pp. 195-240). De Simone si è anche soffermato su una lettura diversa, nellachiave magico-rituale dei segni, del testo di un brano di origine popolare divenutopoi un “classico” della canzone napoletana e cioè Michelemmà: cfr. R. De Simone,La tradizione in Campania (libro allegato al cofanetto contenente 7 microsolchi),Emi-La Voce del Padrone, Milano 1978, p. 44 (questo lavoro è stato pubblicatoanche senza dischi: R. De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, LatoSide, Roma 1979).

14 Per evitare le confusioni terminologiche a cui il termine popolare spessoinduce, soprattutto in Italia. Cfr. Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo, Arcana,Roma 2002 (2ª edizione), pp. 11-12, oppure Giorgio Adamo, “Introduzione”, in G.Adamo (a cura di), Il canto popolare nel Lazio, Squilibri, Roma 2003, pp. 7-8.

15 Cfr. Jean Molino, “Che cos’è l’oralità musicale”, in Enciclopedia della Musica,vol. VII, Einaudi-Il Sole 24 ore, Milano 2006, p. 382.

16 Diego Carpitella, Musica e tradizione orale, Flaccovio, Palermo 1973, p. 53.Su questa distinzione vedere anche Giorgio Adamo, “L’indagine etnomusicolo-gica come studio dell’identità in musica”, Studi Musicali, anno XXVIII (1999), n. 1,pp. 296-97.

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attività sociali”18 mentre le musiche di fascia artigiano-urbanacome forme di repertorio non contestuale (cioè non legate a un pre-ciso contesto esecutivo) la cui funzione principale è di tipo espres-sivo oppure di intrattenimento, ma “un intrattenimento che nonva inteso nel senso di mero passatempo o di svago fine a se stesso”in quanto attraverso di esso la comunità locale può “esprimere eriaffermare la propria identità”.19

La canzone napoletana e la musica di area contadina: tre tipi dicitazioni

A nostro avviso la canzone napoletana classica non “discende”affatto dalla musica di area contadina ovvero della fascia agro-pastorale, così come ipotizzato ad esempio, come abbiamo visto,dal Di Massa. Il rapporto con essa avviene sempre sotto forma dicitazione attraverso le tre modalità seguenti:

- 1) Citazioni testuali: questa modalità riguarda l’adozione di testitratti dal repertorio musicale contadino quasi sempre riscritti erivestiti ex-novo di una musica totalmente diversa da quella sullaquale si cantavano i testi “originali” (è il caso ad esempio di ’E spin-gule frangese di Di Giacomo-De Leva20 del 1888). Per una più esau-

17 Vedere a tal proposito la famosa polemica tra Massimo Mila e Diego Carpi-tella risalente agli inizi degli anni Cinquanta (D. Carpitella, Musica e tradizioneorale, pp. 257-66). Mila sosteneva che non esisteva in Italia una musica popolarealiena dalle influenze della musica “colta” e “chiesastica”, Carpitella, invece, reducedalle prime spedizioni con De Martino, sosteneva che Mila aveva ragione ma soloper quanto riguarda la musica “popolaresca” (artigiano-urbana) perché esistevainvece in Italia un “sottofondo della musica popolare” che riguardava la musicaprodotta dal mondo agro-pastorale (contadini, pastori, pescatori ecc.) in cui siincontravano “scale pre-pentatoniche, pentatoniche, modali, note blues, diafonie epolifonie varie, strutture asimmetriche, particolari tecniche di esecuzione, ecc., checon la tradizione colta e chiesastica non hanno proprio niente a che fare”.

18 Cfr. Francesco Giannattasio, “Il concetto di musica in una prospettiva cultu-rale”, in Enciclopedia della Musica, vol. VI, p. 994. Giannattasio riassume qui in treordini di funzioni (organizzazione e supporto delle istituzioni sociali; induzione ecoordinamento delle reazioni sensorio-motorie; espressive) le dieci funzioni prin-cipali della musica indicate precedentemente da Merriam: 1) espressione delleemozioni, 2) godimento estetico, 3) intrattenimento, 4) comunicazione, 5) rappre-sentazione simbolica, 6) stimolo della risposta fisica, 7) potenziamento del confor-mismo e del rispetto delle norme sociali, 8) supporto delle istituzioni sociali e deiriti religiosi, 9) contributo alla continuità e alla stabilità della cultura, 10) contributoall’integrazione sociale. Cfr. Alan Merriam, Antropologia della musica, Sellerio,Palermo 1983 (1ª ediz. 1964) pp. 212-29.

19 Ignazio Macchiarella, “Dalla musica etnica ai generi d’intrattenimento”, inEnciclopedia della Musica, vol. IV, p. 1166.

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riente panoramica su questo tipo di citazioni rinviamo all’esau-stivo lavoro del Di Massa21 i cui esempi vanno dalle villanelle cin-quecentesche alla canzone classica otto-novecentesca passandoper le arie settecentesche dell’opera buffa.

- 2) Citazioni melodiche: questa modalità riguarda in principalmodo l’utilizzo di quelle forme vocali di tradizione contadina chedefiniamo monodie senza accompagnamento (voci di venditori,fronne,22 canti a figliola,23 voci di questua,24 canti di lavoro, ninne

20 Di questo brano conosciuto come ’E spingule frangese è possibile ascoltarnedue versioni “tradizionali”: una registrata a Frasso Telesino nel 1978 e pubblicata inSergio De Gregorio (a cura di), Musiche e canti popolari della Campania vol.1,(disco con opuscolo allegato), Albatros, VPA 8439 e l’altra indicata col titolo Tam-murriata di Pimonte in R. De Simone, La tradizione in Campania, microsolco n. 5,facciata A, brano n.3.

21 S. Di Massa, La canzone napoletana e i suoi rapporti col canto popolare.22 La fronna è un’espressione musicale tipica ed esclusiva della Campania. Si

tratta di una particolare forma di canto eseguito a distesa, senza accompagna-mento strumentale, le cui tematiche si riferiscono in genere all’amore, al sesso ealla morte. Spesso veniva adoperata anche come forma di comunicazione con i car-cerati. Dal punto di vista strettamente musicale essa è costituita solitamente da duefrasi melodiche (struttura bipartita AB, a volte ripetuta ABA'B) di cui la primaattacca in genere sul quinto grado e termina con una cadenza intermedia sul terzogrado, invece la seconda attacca di solito sempre sul quinto grado per terminareperò con una cadenza finale sul primo grado. Il profilo melodico, assai melismatico,è essenzialmente discendente e si muove su una scala di 5-6 suoni sul modo minoreoppure, raramente, si raggiunge l’ambitus di un’ottava su una scala maggiore colcaratteristico quarto grado aumentato. Dal punto di vista testuale tipico è l’uso divari stereotipi iniziali, tutti metricamente equivalenti (quinari), che hanno il preci-puo scopo di preparare rime o assonanze: fronna ‘e limone (da cui il nome), ’o maree arena, anella anella, albero ‘e noce ecc.

23 Il canto a figliola è anch’esso un particolare tipo di canto campano, eseguitosenza accompagnamento strumentale e legato principalmente al culto dellaMadonna di Montevergine (detta anche Madonna nera o Mamma schiavona). Ladenominazione a figliola è proprio in riferimento alla Madonna (quella di Monte-vergine ma anche la Madonna di Castello, di Somma Vesuviana) in onore dellaquale viene intonato questo tipo di canto. Dal punto di vista musicale molte sono lesomiglianze con le fronne (attacco sul quinto grado, profilo melodico discendente,ambitus di 5-6 suoni, quarto grado aumentato) ma numerose sono anche le diffe-renze: il canto a figliola ha generalmente una struttura monostica (una sola frasemelodica A, che può essere ripetuta con variazioni AA'), invece che bipartita, concadenze tutte sul primo grado, ed è generalmente sillabico non melismatico. Ciòche altresì differenzia in modo inequivocabile il canto a figliola dalla fronna è lapresenza del coro nella cadenza finale: tale cadenza è intonata (con il solista che dàl’attacco) su vari stereotipi, anche qui tutti metricamente equivalenti (senari), tra iquali ricordiamo ’a ‘figliola (da cui il nome), ’a majesta soia, ’a Mamma Schiavona,aggio ritto buono ecc.

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nanne ecc.) che tradendo la loro valenza pragmatica (legate cioè auna particolare funzione esecutiva) vengono qui impiegate convalenza estetica (ad esempio come “colore” nelle canzoni dei tipi,legate ai vari mestieri) o per fini drammatico-musicali (nelle can-zoni cosiddette di giacca).

Questo è il campo decisamente più ampio e possiamo suddivi-derlo ulteriormente in tre sotto-categorie:

a) citazione di forme melodiche staccate dalla struttura-canzone,con o senza accompagnamento armonico: ci riferiamo all’utilizzodi forme vocali di tradizione agro-pastorale, in genere per intro-durre e/o concludere canzoni di argomento assai vario, che nonhanno un peso strutturale all’interno della canzone, nel senso cheeliminando queste citazioni i brani non ne risentirebbero in parti-colar modo perché poste al di fuori del modello strofa-ritornello.Ne riportiamo alcuni esempi:

- le voci di venditori che introducono e chiudono brani come ’A lat-tara di V. De Crescenzo-F. Rendine del 1955 (“Signò acalate, signò‘a lattara”) oppure Palcuscenico di E. Bonagura-S. Bruni del 1956(“Signò acalate, ca io dimane nun ce vengo”) o ancora Li funtanelledi E. Bonagura-L. Benedetto del 1952 (“All’acqua all’acqua ‘e trepaise, Napule, Castellamare e Marcianise, a muntagna fredda”)

- la voce di questua che chiude il brano Vuto argiento di A. Gigliati-F. Barile del 1952 (“Chi è devoto d’a putenza ‘e San Gennaro, surèca chillo ve scanse ‘e figlie e ‘e cape ‘e casa, surè, San Gennaro”)

- la ninna nanna che introduce un brano come ’E figurelle di G.Coppolecchia-G. Lama del 1941 (“E nonna nonna nonna nunna-rella, ‘o lupo s’a mangiate ‘a pecurella”).

In tutti questi casi le forme citate ricordano testualmente quelletradizionali (attraverso ad esempio l’uso degli stessi stereotipi ver-bali come ’a muntagna fredda, signò acalate, chi è devoto ecc.) e

24 La voce di questua (o voce d’a cerca) in Campania è legata principalmente allafesta della Madonna dell’Arco quando, nel momento immediatamente precedenteil lunedì in Albis, le paranze vanno in giro appunto per la questua o cerca. Consistein una particolare forma vocale, senza accompagnamento strumentale, assai similestilisticamente alle fronne e ai canti a figliola (attacco sul quinto grado, ambitusmelodico di 5-6 suoni, quarto grado aumentato), ma caratterizzata da una diversastruttura melodica (ABCC'D) e dal tipico stereotipo iniziale chi è devoto. Voci diquestua sono riscontrabili anche nella raccolta delle offerte per “altre” Madonne oSanti: ad esempio per la Madonna del Carmine, per S. Anna o per San Gennaro.

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anche musicalmente alcune caratteristiche melodiche rimandanoai modelli originari (ambitus e profilo melodico, impiego dellaquarta aumentata ecc.). Ma, come direbbe Carpitella, una melo-dia, così come una rondine, “non fa primavera”,25 nel senso chenon basta da sola a decretare come “tradizionale” un brano. Nellamusica di tradizione orale le intonazioni hanno sempre un carat-tere naturale, al di fuori del cosiddetto sistema temperato e inoltrecomportano una serie di tecniche espressive (portamenti, sin-ghiozzati, glissati, ecc.) completamente assenti nelle canzonisopra citate. Dove risulta chiara la differenza è infatti soprattuttonella vocalità: si tende qui a far propendere queste forme verso ilsistema temperato (aiutati spesso dall’accompagnamento armo-nico) cercando di “aggiustare” l’intonazione e c’è un largo impiegodi un vibrato di origine belcantistica nella voce, cosa assoluta-mente inconsueta nella vocalità contadina caratterizzata invecedall’assenza o comunque da forme diverse di vibrato.26

b) citazione di forme melodiche interne alla struttura-canzone, cono senza accompagnamento armonico: ci riferiamo in questo casoall’utilizzo di forme musicali di tradizione contadina come partistrutturali della canzone (che quindi sarebbe impossibile togliere)ovvero del modello strofa-ritornello, costituendo nella maggiorparte proprio il ritornello. Vediamo alcuni esempi:

- le voci di venditori in brani come Montevergine di P. Cinque-grana-V. Valente del 1898 oppure Nanasse di V. P. Gasdia-A. Mon-tagna del 1907 o ancora in Prezzetella ‘a semmentara di Donadio-Jacoletti del 1930

- le fronne in brani come ’O schiavuttiello di G. Quaranta degli anni’10 del ‘900 oppure ’O festino a fronna ‘e limone di Donadio deldecennio successivo.27

25 Diego Carpitella, Conversazioni sulla musica. Lezioni, conferenze, trasmis-sioni radiofoniche 1955-1990, Ponte alle Grazie, Firenze 1992, pag. 59.

26 Sugli aspetti totalmente differenti della vocalità tradizionale rispetto a quellacolta vedere anche Giorgio Adamo, “Il suono nella tradizione orale”, in AA.VV.,Forme e comportamenti della musica folklorica italiana. Etnomusicologia e didat-tica, Unicopli, Milano 1985, pp. 155-73.

27 Una registrazione di questi 2 brani, risalenti agli inizi del Novecento ed ese-guiti entrambi da Nicola Smeragliuolo, è possibile ascoltarla in uno dei dischifacenti parte dell’antologia Le antiche voci della canzone napoletana pubblicata in10 volumi dalla Emi, ristampata su cd dal 1999 al 2000. I brani in questione si tro-vano nel vol. 8 dal titolo I cantanti di giacca vol. 2, Emi Music Italy S.p.A., 2000, 724352437429.

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Si tratta in questi due ultimi casi di due canzoni di giacca chetrattano temi legati alla malavita e dove la fronna (da sempre asso-ciata anche al mondo delle carceri28) viene utilizzata per fini dram-matici ovvero per dar maggior risalto a una situazione criminosa.Valgono anche qui le considerazioni fatte sopra sulla sostanzialediversità dell’esecuzione vocale di queste fronne diciamo “stiliz-zate” inserite nel contesto di una canzone rispetto alle fronne tra-dizionali del repertorio contadino caratterizzate invece da unavocalità che può sembrare aspra e “violenta”.

c) citazioni di frammenti delle forme melodiche tradizionali: ci rife-riamo in quest’ultimo caso all’espediente di utilizzare parti relati-vamente brevi di forme tradizionali (frammenti di voci di venditorioppure di voci legate a canti di lavoro) assorbendole all’interno deltessuto melodico della strofa oppure del ritornello. Maestro inquesto tipo particolare di citazioni è sicuramente Raffaele Viviani29

(l’esempio massimo è la famosa Rumba degli scugnizzi) ma pos-siamo segnalare anche altri esempi:

- i frammenti di voci di venditori in canzoni come la già citata ’Espingule frangese in cui viene ripreso alla fine del ritornello, pie-gato alle esigenze “melodiche”, il grido del venditore di spille (“Ahchi vo’ spingule, ah chi vo’”) oppure ’E cerase di Di Giacomo-Valente del 1888 in cui viene utilizzato allo stesso modo il grido delvenditore di ciliegie (“’E cerase, ‘e cerase”).

- 3) citazioni ritmiche: quest’ultima modalità riguarda quelle innu-merevoli canzoni napoletane classiche che adottano il nome ditammurriata30 o di tarantella imitandone l’andamento ritmico macon impianti “melodico-armonici” totalmente differenti daimodelli di riferimento,31 seppure alcune di esse abbiano un indub-

28 R. De Simone, La tradizione in Campania, p. 19.29 Viviani in alcuni brani (‘O maruzzaro, L’acquaiuolo, ‘O pizzaiolo, ‘O ficurinaro

e ‘O ficaiuolo) inseriti nei sui lavori teatrali adotta un particolare metodo composi-tivo costruito proprio a partire da citazioni di frammenti di voci di venditori. Oltre aqueste rinveniamo nella produzione di Viviani altre citazioni: di fronne (Canzonesott’o carcere), di voci di questua (Pascale d’a cerca), di canti a figliola (nell’operateatrale Festa di Montevergine) ecc. Vedi Raffaele Viviani, Teatro, a cura di AntoniaLezza e Pasquale Scialò, Napoli, Guida, 1987-1994 (6 voll.) e una serie di saggi diPasquale Scialò su Viviani usciti in diverse sedi e ora raccolti in un unico volume (P.Scialò, Storie di musiche, pp. 223-301). Sull’argomento chi scrive ha svolto un lavorodi tesi di laurea in etnomusicologia: Raffaele Di Mauro, La musica di tradizioneorale nel teatro di Raffaele Viviani, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di RomaTor Vergata, a. acc. 2003-2004, relatore prof. Giorgio Adamo.

142 Raffaele Di Mauro

bio sapore popolare come, ad esempio, Tammurriata palazzola diF. Russo-R. Falvo del 1914. Ne citiamo solo alcune:

. Tammurriata all’antica di E. Murolo- E. A. Mario del 1913

. Tammurriata muderna di E.A.Mario del 1931

. Tammurriata sigreta di L. Bovio-F. Albano del 1931

. Tammurriata americana di L. Bovio-E. Tagliaferri del 1934

. Tarantella scura di S. Di Giacomo-V. Valente del 1906

. Tarantella luciana di L. Bovio-E. Cannio del 1913

. Tarantella tentatora di A. Califano-E. Di Capua del 1914

. Tarantella internazionale di E. Murolo-E. Tagliaferri del 1926

Di questa categoria fa parte anche la famosissima Tammurriatanera di E. Nicolardi-E. A. Mario del 1944 che è diventata, anche gra-zie a una celebre (ma per certi versi “ambigua”) interpretazionedella Nuova Compagnia di Canto Popolare, il “modello” di tam-murriata più conosciuto, pur non avendo nulla a che vedere con latammurriata tradizionale contadina che si può ascoltare ancoraoggi recandosi in Campania a una delle varie feste legate al cultodelle cosiddette Madonne sorelle (Madonna delle Galline,

30 Gli elementi tipici del canto sul tamburo in Campania, chiamato appuntotammurriata, sono i seguenti: ritmo binario con un ciclo di 4 battute o pulsazioni,profilo melodico discendente con un attacco sul quinto grado, ambitus melodicopentafonico con quarto grado aumentato, chiusura sulla tonica prolungata sullacosiddetta vutata o rotella, struttura strofica con alternanza di endecasillabi e sette-nari (o ottonari), uso di interpolazioni testuali (le cosìddette barzellette o stroppole)costituite da ottonari autonomi (spesso con chiare allusioni sessuali), uso di parti-colari stilemi fonici come la trasformazione in “a” di tutte le vocali nelle cadenze. Latammurriata di area vesuviana è per certi versi lo stile areale di canto sul tamburo inCampania più diffuso e famoso, tanto da rappresentare una sorta di “modello base”da cui gli altri stili relativi ad aree diverse si differenziano: maggiormente quellidell’area amalfitana e dell’area giuglianese che hanno caratteristiche proprie assaimarcate, in modo minore quello dell’area nocerino-sarnese che, forse anche graziead una maggiore vicinanza geografica, presenta molte affinità con lo stile vesu-viano. Dal punto di vista delle tematiche testuali diversi sono i riferimenti: magico-simbolici, religiosi, storici ecc. Il testo più celebre è quello che ha inizio con i dueendecasillabi più noti di tutta la tammurriata campana: “Bella figliola ca techiamme Rosa, che bellu nomme mammeta t’a mise”.

31 Per le caratteristiche della tammurriata e della tarantella di tradizione oralecampana vedere anche: R. De Simone, La tradizione in Campania, pp. 14-15.

Canzone napoletana e musica di tradizione orale 143

Madonna dell’Arco, Madonna di Castello, Madonna di Briano ecosì via).

La canzone napoletana e la musica di area cittadina: dalla can-zone artigiana di tradizione orale alla canzone urbana d’autore

Ci sembra invece più diretto il legame di “filiazione” che lega lacanzone napoletana classica alla canzone di fascia artigiana diarea cittadina, da cui essa sembra “discendere”. Per canzonenapoletana artigiana di tradizione orale intendiamo tutto quelrepertorio di brani di area cittadina diffusi per via orale o attra-verso fogli volanti (come i settecenteschi cartelli dei carri e dellequadriglie32) o eseguiti sul Molo33 (chiamati storie ’e copp’ ‘omuolo34), o in giro per la città da diverse figure di musici ambulanti(cantastorie, improvvisatori, viggianesi, posteggiatori e cantorigirovaghi). A questo va sicuramente aggiunto anche tutto il reper-torio di canzoni narrative, per certi versi “trasversale” (nel sensoche tocca sia il mondo rurale e contadino che quello artigiano-cit-tadino), che, grazie ai suoi testi poetici e melodici più facilmente“plasmabili” in vista di una pubblicazione ad esempio per canto epianoforte, era un’altra preziosa fonte a cui attingere.35

A nostro avviso, quindi, la canzone napoletana classica non èaltro che l’evoluzione della canzone napoletana artigiana di tradi-

32 Erano delle canzoni composte da corporazioni di arti e mestieri in occasionedel Carnevale i cui testi, che incensavano le supreme autorità e molto spesso cele-bravano la propria corporazione e le qualità dei propri prodotti, venivano stampatiappunto su dei fogli volanti distribuiti al pubblico e un solo esemplare veniva stam-pato su seta e consegnato al re. Secondo Scafoglio, che riproduce l’immagine di uncartello del 1777 (Pe la Quadriglia de la preta de la loggia) molto simile grafica-mente ai fogli volanti ottocenteschi, “i cartelli derivavano dai canti legati ai Trionficarnascialeschi dei secoli XVI-XVII, ma risentivano altresì dell’influenza dei cantidei mestieri della tradizione orale popolare”. Cfr. Domenico Scafoglio, Il carnevalenapoletano. Storia, maschere e rituali dal XVI al XIX secolo, Newton Compton,Roma 1997, pp. 32-34.

33 Una riprova del fatto che Guglielmo Cottrau attingesse proprio a questo tipodi repertorio cittadino per le sue “trascrizioni” o rielaborazioni è data dalla pre-senza, tra le 68 canzoncine della terza edizione del 1829 dei Passatempi, di un branodal titolo Storia di Angelo del duca (che, lo ricordiamo, era un celebre brigante) colsottotitolo come si canta sul Molo di Napoli.

34 Secondo Pietro Martorana queste storielle de coppa a lo Muolo traevano l’ori-gine dai canti carnascialeschi degli artigiani e dei piccoli rivenditori napoletani, cheabbiamo già citato (vedi nota 32) a proposito dei cartelli dei carri e delle quadriglielegate al Carnevale, e risalivano ai tempi del Basile (1575-1632). Cfr. Pietro Marto-rana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano, Chiu-razzi Editore, Napoli 1874, pp. 57-59.

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zione orale, figlia di un’urbanizzazione “primaria” (essenzial-mente monoculturale, dovuta al “concentrarsi di un gran numerodi persone appartenenti a una data area nel relativo centro cultu-rale”) in canzone napoletana d’autore, figlia invece di un’urbaniz-zazione “secondaria” (sostanzialmente multiculturale, dovuta alla“confluenza di più culture in una sola città”).36 Questo “passag-gio”, che a nostro avviso avviene dagli inizi dell’Ottocento finoall’ultimo ventennio dello stesso secolo, è accompagnato da innu-merevoli processi che investono vari livelli.

Proviamo a fare un elenco di quelli più significativi:

1) Incontro della canzone napoletana artigiana di tradizione oralecon forme musicali colte (romanza da salotto, musica operistica,musica da ballo ecc.): il contatto prolungato tra la musica popolarecittadina e la musica colta, che provocherà a Napoli continui effettidi acculturazione e sincretismo, ha i suoi precedenti già nell’espe-rienza cinquecentesca delle villanelle e in quella settecentescadell’opera buffa.37 Ma sarà a nostro avviso soltanto nell’Ottocento,grazie anche ai paralleli cambiamenti culturali e sociali, chedall’incontro di queste due forme nascerà quel prodotto “ibrido”conosciuto come canzone napoletana. Tale “incontro” avverrànella prima metà dell’Ottocento nelle case e nei salotti napoletanidurante quelle che saranno poi definite periodiche, ovvero riunionidella borghesia e nobiltà napoletana dove, oltre a chiacchierarebevendo un po’ di rosolio, si potevano ascoltare indifferentementeromanze,38 riduzioni di arie operistiche, musiche per il ballo(molto in voga erano allora la quadriglia, il valzer, ecc.) e anche

35 Abbiamo anche qui degli esempi precisi presi sempre da due canzoncinepubblicate da Cottrau: la Canzone di soldato, Chi bussa alla mia porta? il cui testo èabbastanza simile ad una ballata (la n. 30, Il Marito giustiziere) riportata dal Nigra(cfr. Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte, 2 voll., Einaudi, Torino 1974, 1ªediz. 1957, vol. I, pp. 210-15) e La Calabresella il cui testo è quasi identico a un cantopopolare calabrese raccolto da Raffaele Lombardi Satriani (cfr. Antonello Ricci &Roberta Tucci, I “canti” di Raffaele Lombardi Satriani. La poesia cantata nella tradi-zione popolare calabrese, A.M.A. Calabria, Lamezia Terme 1997, pp. 132-34).

36 Bruno Nettl, “Musica urbana”, in Enciclopedia della Musica, vol. VI, p. 539.Secondo Nettl “con ogni probabilità, l’urbanizzazione è responsabile di un grannumero – se non della maggioranza – delle miscele e combinazioni stilistiche checaratterizzano oggi la musica locale”.

37 A tal proposito interessanti, seppur brevi, sono le considerazioni fatte da DeSimone sui due periodi: cfr. R. De Simone, Disordinata storia della canzone napole-tana, pp. 13-23, 37-40.

38 Vedere Francesca Seller, “Zingarelli, Mercadante, Florimo e la ramanzanell’editoria musicale partenopea dell’ottocento”, in Francesco Sanvitale (a curadi), La romanza italiana da salotto, EDT, Torino 2002, pp. 197-207.

Canzone napoletana e musica di tradizione orale 145

brani popolari (soprattutto quelli di area cittadina) trascritti percanto e pianoforte, insomma tutto quel repertorio che trova il suospecchio editoriale nei celebri Passatempi Musicali.39

2) Passaggio dall’oralità alla scrittura: si passa gradualmente dauna trasmissione “orale-aurale” (da bocca a orecchio) a formescritte come i fogli volanti40 (recante il testo del brano a volteaccompagnato dalla sola melodia del canto) e le trascrizioni percanto e pianoforte (come quelle di Cottrau raccolte nei Passa-tempi) per giungere infine alle partiture e le copielle41 che accom-pagneranno la nascita della canzone napoletana classica e chesaranno diffuse in commercio dalle numerose case editrici chesorgeranno a Napoli in quegli anni. Più tardi, agli inizi del Nove-cento, con l’avvento e l’invenzione del disco e della radio si assi-sterà al curioso fenomeno della “oralità secondaria” o meglio

39 La denominazione precisa era Passatempi musicali o sia Raccolta di Ariette eduettini per camera inediti, Romanze francesi nuove, Canzoncine Napoletane e Sici-liane, Variazioni pel canto, piccoli Divertimenti per pianoforte, Contraddanze, Walz,Balli diversi etc. Questa raccolta, curata da Guglielmo Cottrau, uscì in due serie difascicoli misti (i primi 6 fascicoli dall’Ottobre 1824 all’Ottobre 1825, gli altri 6 fasci-coli, con nuovi brani, dal Gennaio 1826 al Settembre del 1827) e in 3 edizioni divisein parti (le prime due, del 1825 e del 1827, in 3 parti e la terza, del 1829, in 4 parti)che riprendevano sostanzialmente i brani già pubblicati nei fascicoli misti ma divisiappunto in parti (1ª parte ariette, romanze, duettini per camera; 2ª parte canzon-cine, barcarole, napoletane e siciliane, 3ª parte contradanze, walz, tarantelle, 4ªparte pot-pouris teatrali). Alla 2ª parte (quella che a noi interessa, perché conte-nente le canzoni napoletane) che nel 1829 raggruppava 68 canzoncine fecero poiseguito diversi Supplementi, i primi tre curati sempre da Guglielmo Cottrau primadella sua morte nel 1847: il primo uscito nel 1843 raggruppava 16 canzoncine uscitedal 1832 al 1843, il secondo uscito sempre verso la fine del 1843 conteneva 25 nuovecanzoncine, il terzo uscito invece nel 1845 altre 20 nuove canzoncine nazionalinapoletane. Alla produzione pubblicata da Guglielmo Cottrau vanno aggiunte poitutta una serie di raccolte e di canzoni napolitane (quelle da noi al momento indivi-duate sono circa un migliaio) che dagli anni Quaranta fino agli anni Settantadell’Ottocento videro la luce grazie a compositori noti come Florimo, Mercadante,De Giosa e altri; o meno noti come Labriola, Biscardi, De Roxas fino ad arrivare aTeodoro Cottrau, figlio di Guglielmo).

40 I fogli volanti erano grandi circa 20x30 cm ed erano nella maggior parte deicasi stampati su un solo lato e illustrati, tranne rare eccezioni, in modo abbastanzarozzo. Spesso riportavano solo il testo della canzone senza l’indicazione degliautori, talvolta invece riportavano anche la melodia del canto e l’indicazionedell’autore del testo e del compositore. Tra le maggiori stamperie di fogli volantiricordiamo quelle di Azzolino e De Marco. Per una ricostruzione del passaggio dallatrasmissione orale al foglio volante fino a giungere alla cassetta vedere: RobertoLeydi, “Il mercato della musica popolare. Dal foglio volante alla cassetta”, in R.Leydi (a cura di), Guida alla musica popolare in Italia, 2. I Repertori, LIM, Lucca2001, pp. 173-91.

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dell’“auralità di ritorno”42 (dal disco o dalla radio all’orecchio) percui numerosi interpreti apprenderanno le canzoni non più per“imitazione” sentendole cantare direttamente da un altro esecu-tore (trasmissione orale-aurale classica) né leggendole da un fogliovolante, una partitura o una copiella (trasmissione scritta) maascoltandone semplicemente una precedente registrazione (tra-smissione aurale di natura tecnica).

3) Passaggio da una canzone basata su una ripetizione discorsivapuramente strofica43 a una basata invece sul modello strofa-ritor-nello:44 durante l’ottocento avverrà il passaggio da una canzonebasata sulla ripetizione di poche frasi melodiche con un testo sem-pre diverso (è il caso di brani famosi come Lo guarracino, Miche-lemmà, Fenesta che lucive nelle quali manca una parte che corri-sponda al ritornello) a una canzone invece basata sulla distinzionechiara tra una strofa e un ritornello che viene ripetuto pressoché

41 Le copielle, con un formato di cm 20x10, a differenza dei fogli volanti eranostampate su due lati (da una parte il testo, dall’altra la musica ovvero la melodiaspesso scritta per essere eseguita dal mandolino) ed erano molto spesso un efficace“veicolo” per pubblicizzare altri prodotti. Sul passaggio dal foglio volante allacopiella in chiave “commerciale” vedere Massimiliano Vajro, La canzone napole-tana dalle origini all’ottocento, Vajro, Napoli 1957, p. 144 oppure Maria Luisa Stazio,Osolemio. La canzone napoletana – 1880/1914, Bulzoni editore, Roma 1991, p. 129.

42 Cfr. Jean Molino, “Che cos’è l’oralità musicale”, in Enciclopedia della Musica,vol. VII, p. 405.

43 Richard Middleton ha individuato come uno degli elementi basilari dellaforma-canzone la struttura ripetitiva o quella che lui chiama politica della ripeti-zione. Egli distingue due tipi di ripetizione: 1) ripetizione musematica, cioè di brevicellule melodico-ritmiche (ad esempio i riffs del rock) 2) ripetizione discorsiva, cioèdi frasi, periodi o sezioni (strofe, ritornelli, chorus ecc.). Per essere sintetici: a nostroavviso la musica di tradizione orale di area contadina è basata spesso sulla ripeti-zione musematica, ovvero sulla reiterazione di patterns melodico-ritmici (una sortadi riffs popolari) su cui si cantano testi sempre diversi come ad esempio nella tam-murriata; la canzone artigiana si basa invece di solito su una ripetizione discorsivapuramente strofica; la canzone napoletana classica è basata anch’essa sulla ripeti-zione discorsiva ma con l’alternanza strofa-ritornello in cui si tende a far ripeterepiù volte la parte principale ovvero il ritornello. Cfr. Richard Middleton, “Sulla ripe-tizione”, in Luca Marconi e Gino Stefani (a cura di), Il senso in musica: antologia disemiotica musicale, Clueb, Bologna 1987, pp. 287-98; R. Middleton, “‘Over andover’. Appunti verso una politica della ripetizione (I e II)”, Musica/Realtà, n. 55(1998), pp. 135-50; n. 56 (1998), pp. 169-80.

44 Cfr. Franco Fabbri, “La canzone”, in Enciclopedia della Musica, vol. IV, pp.558-59. Fabbri distingue un modello strofa-ritornello (modello SR) con uno schemafinalistico cioè teso “sul finale”, da un modello chorus-bridge (modello CB) invecetutto teso “sull’inizio”. La canzone napoletana classica (così come in genere quasitutta la canzone italiana) adotterà e in un certo senso prefigurerà il modello SRmentre il modello CB sarà tipico ad esempio della canzone americana.

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uguale nella musica e nel testo. La canzone apripista in questosenso sarà la celebre Io te voglie bene assaje (pubblicata anonimada Cottrau nel 1840 ma probabilmente a partire da versioni spurieapparse precedentemente su fogli volanti), che, insieme ad altriesempi meno famosi disseminati nella produzione del primo Otto-cento, è caratterizzata da una sorta di “proto-ritornello” (o ritor-nello in nuce) indicato su alcuni fogli volanti come lo ‘ntercalare(intercalare) oppure lo riepeto obbrecato (ripetizione obbligata)45 ealquanto diverso, a nostro avviso, dal ritornello così come lo inten-diamo oggi.46 L’adozione invece del tipico modello strofa-ritor-nello diventerà quasi “normativo”47 solo nella canzone napoletanaclassica e quindi a partire dal 1880 (attraverso ad esempio branicome Funiculì-Funiculà di Turco-Denza o Nannì della fortunatacoppia Di Giacomo-Costa).48 La canzone napoletana classicanascerà inoltre come canzone con una sua precisa carta d’identitàovvero una data melodia associata a un dato testo non più separa-

45 Vedere ad esempio alcuni fogli volanti riportati da De Mura: Ettore De Mura,Enciclopedia della canzone apoletana, 3 voll., Il Torchio, Napoli 1969, vol. III, pp.254-55, 281.

46 Per Io te voglio bene assaie, così come per alcuni altri brani che nello stessoperiodo ebbero un discreto successo come Don Ciccio alla fanfarra del 1844, non èpossibile parlare ancora di un modello strofa-ritornello in senso stretto, con unastruttura per intenderci A/B/A1/B/A2/B ecc. La struttura ci appare ancora di tipostrofico, essenzialmente A/A1/A2/A3 e così via, con ogni A costituito a livellotestuale da un’ottava divisa in due quartine composte da tre settenari (talvolta otto-nari) e un senario (a volte un settenario), e spesso con rime ABBC-DEEC. Sono pro-prio il settenario e il senario in conclusione della seconda quartina (per intenderciquelli con rima EC) a essere ripetuti sempre con lo stesso testo e la stessa melodia ea diventare la parte “memorabile” del brano. Nel caso di Io te voglio bene assaje lo‘ntercalare o riepeto obbrecato (oggi lo definiremmo “tormentone”) è appunto “Io tevoglio bene assaje/ ma tu non pienz’a me” così come in Don Ciccio alla fanfarra è“Don Ciccio alla fanfarra/ ch’è ‘o core de mammà”.

47 Non rientrano nella “norma” tutto quel repertorio di brani in dialetto napole-tano musicati da diversi compositori colti (come Alfano, Pizzetti e in precedenza,nel primo Ottocento da Florimo, Mercadante, De Giosa e altri) che hanno struttureassai varie e complesse (forme a ponte o a specchio e così via). Tutto questo reperto-rio è stato indagato in maniera esaustiva, in un lavoro recente, da Gianfranco Pleni-zio il quale parla di un “doppio registro”, da un lato le “melodie” (o “romanze”) edall’altra le “canzoni”, a volte utilizzati entrambi dal medesimo compositorenell’ambito della propria produzione (due esempi per tutti: Pasquale Mario Costa eLuigi Denza). Plenizio indaga a fondo, con numerosi esempi musicali analizzati, sulprimo dei due registri e cioè su quelle che lui definisce “melodie”, mentre è facil-mente intuibile che a noi interessi proprio l’altro “registro”, ovvero le “canzoni”,rimasto volontariamente fuori dalla sua analisi. Cfr. Gianfranco Plenizio, Lo coresperduto. La tradizione musicale napoletana e la canzone, Guida editore,Napoli,2009.

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bili,49 laddove, invece, nella fase precedente non era insolito che sicantassero testi diversi sulla stessa melodia o lo stesso testo sumelodie diverse (così come avviene nelle canzoni narrative).50 Unesempio è la famosa Lu guarracino di cui si conoscono varie ver-sioni diverse testualmente e varie risposte (Il processo del Guarra-cino, Il matrimonio del Guarracino ecc.) e sulla cui melodia si pote-vano cantare anche altre canzoni.51

4) Passaggio dalla funzione di intrattenimento socio-identitariodella canzone artigiana di tradizione orale alle funzioni di intratte-nimento puro della canzone napoletana d’autore: abbiamo giàdetto che la musica artigiana diversamente da quella agro-pasto-rale, sempre collegata a una determinata funzione esecutiva,veniva eseguita in momenti di incontro collettivo in luoghi comepiazze, osterie, ecc., ma la sua esecuzione era motivata essenzial-mente dal piacere di fare/ascoltare musica, una forma quindi di“intrattenimento” che però poteva servire anche per esprimere ivalori culturali fondanti della comunità di appartenenza. Gliesempi tipici di questo tipo di intrattenimento tradizionale sonosicuramente la ballata, presente in diverse culture italiane edeuropee,52 e la storia,53 i cui interpreti erano i cosiddetti cantasto-

48 Non mancheranno ovviamente le eccezioni che confermano la regola in cui ilritornello verrà cantato sulla stessa musica ma con un testo completamente diverso(esempi famosi: Marechiare di Di Giacomo-Tosti e Era de maggio di Di Giacomo-Costa) ma possiamo ritenere questi casi come “interni” al modello, perché in essiappare comunque chiara una delimitazione, avvertibile anche attraverso la solamusica, tra una parte che costituisce la strofa (A) e l’altra il ritornello (B).

49 Assai significative, in questo senso, sono le “avvertenze” che appaiono sualcune copielle di inizio Novecento (ad esempio Si me sonno Napule di L. Bovio – E.Tagliaferri edita da Gennarelli nel 1916 oppure ‘E sunature ‘e mandulino... di G.Capaldo – M. S. Ciociano edita da Izzo nel 1915) dov’è scritto chiaramente che “èassolutamente proibito di adattare sulle musiche di proprietà dell’editore… altriversi che non siano quelli originali, pei contravventori si procederà a norma dilegge”. Molto probabilmente la pratica di adattare versi diversi alla stessa melodiaera ancora presente agli inizi del secolo scorso ma a quel punto ostacolata in tutti imodi anche in difesa di quel diritto d’autore da poco “acquisito” (ricordiamo che laSiae era nata nel 1882).

50 R. Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone narrativa”, in R. Leydi(a cura di), Guida alla musica popolare in Italia, 2. I Repertori, p. 177.

51 Vajro ci segnala un brano dal titolo Lo festino de Luvisella. Canzona ‘ncopp’ ala tarantella cantata sulla stessa musica de Lu Guarracino che, non a caso, nellaprima edizione pubblicata anonima da Cottrau nel 1829 si chiamava semplice-mente Canzone sulla tarantella (Cfr. M. Vajro, La canzone napoletana dalle originiall’ottocento, p. 126). Probabilmente anche altri brani con ritmo di tarantella, comela famosa Cicerenella, venivano cantati su una melodia uguale o simile a quella deLu guarracino.

Canzone napoletana e musica di tradizione orale 149

rie54 (tipici in Italia furono quelli siciliani). Una funzione analoga aquella dei cantastorie fu esercitata a Napoli dai posteggiatori55 lacui presenza è ipotizzabile attraverso fonti letterarie secentesche(Cortese, Basile, Sgruttendio) fin dal Cinquicento.56 Furono loro aNapoli i massimi rappresentanti della musica di area cittadina57

volta all’intrattenimento (erano richiesti ad esempio nei banchettinuziali e nelle varie feste) e non è un caso che il loro declino iniziproprio con la fase d’oro della canzone napoletana che rivestendosempre più essa stessa le funzioni di intrattenimento (divenutosempre più “puro” intrattenimento) occuperà lo spazio una voltaoccupato proprio dai posteggiatori. Viceversa la musica di fasciaagro-pastorale continuerà a vivere parallelamente perché ope-rante in contesti completamente diversi (la campagna, i santuariecc.) in cui la musica conserva la sua funzione rituale o comunquedi presenza caratterizzante di attività socio-comunitarie come illavoro, la festa ecc. Questo mondo musicale “impermeabile” etotalmente altro dalla canzone urbana entrerà in crisi solo nelsecondo dopoguerra ma per ragioni completamente diverse, traqueste la pesante industrializzazione, con il relativo spostamentodel lavoro dalla campagna alla fabbrica, che determinerà semprepiù il venir meno di quei particolari contesti esecutivi tipici dellamusica contadina.

52 I. Macchiarella, “Dalla musica etnica ai generi di intrattenimento”, pp. 1171-1175.

53 Sulla differenza tra ballata (tipica dell’Italia centro-settentrionale) e storia(tipica invece dell’Italia centro-meridionale e in particolare della Sicilia) vedere: R.Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzone narrativa”, pp. 23-77.

54 Quest’ultimi potevano essere sia dei “professionisti”, il cui lavoro si collocavain relazione diretta con un mercato (ovvero una clientela da accontentare in cam-bio di un compenso) sia dei semplici “operatori culturali popolari” ovvero membridella comunità stessa che non operavano per profitto ma a scopo di intratteni-mento “educativo”. Cfr. R. Leydi, “‘Sentite buona gente’. La ballata e la canzonenarrativa”, p. 49.

55 Sui posteggiatori napoletani vedere Giovanni Artieri, I posteggiatori, Longa-nesi, Milano 1961; Mimmo Liguoro, I posteggiatori napoletani, Newton Compton,Roma 1995 e il prezioso lavoro di Maria Teresa Greco, I vagabondi, il gergo, i posteg-giatori. Dizionario napoletano della parlèsia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli1997.

56 R. De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, p. 53.57 Nel corso dell’Ottocento in ambito musicale cittadino operavano però a

Napoli anche altre figure: cantastorie, cantori girovaghi come i cosiddetti viggia-nesi, improvvisatori, ecc. Cfr. M. L. Stazio, Osolemio. La canzone napoletana – 1880/1914, pp. 25-42.

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5) Passaggio da un livello di fruizione della canzone artigiana daparte di un determinato ceto a un livello di fruizione della canzonenapoletana classica tendenzialmente interclassista: la canzoneartigiana di tradizione orale diffusa anche attraverso fogli volantiera rivolta principalmente al popolo cittadino e a tutto quel mondodi mestieri o delle arti che oggi definiremmo piccola borghesia,così come la musica colta (sia vocale che strumentale) e le trascri-zioni di brani popolari per canto e pianoforte erano indirizzate allamedio-alta borghesia e alla nobiltà.58 La canzone napoletana clas-sica sarà invece tendenzialmente interclassista rivolgendosi indif-ferentemente a tutti i ceti sociali, da quelli popolari a quelli più alti,e la sua tendenza egemonica, parallela a quella della nuova bor-ghesia locale (che come ha osservato De Simone si dichiarerà“unica interprete del sentimento popolare della città”),59 tenderà acoprire tutti gli spazi della creatività cittadina andando sia a sosti-tuire il ruolo una volta ricoperto da musici artigiani come posteg-giatori, cantastorie, viggianesi ecc., sia a operare una profonda tra-sformazione anche su eventi cittadini di natura rituale operantiquindi su contesti profondamente diversi da quelli della canzone.Il caso emblematico sarà la festa di Piedigrotta che si trasformeràda festa caratterizzata da repertori musicali di tradizione orale ditipo “contestuale” (tammurriate, tarantelle e canti devozionali inonore della Madonna di Piedigrotta) in una gara di canzoni ovverodi repertori musicali scritti e “non contestuali” (la cui funzioneprincipale è “l’intrattenimento”), per cui si potrà parlare di “due”Piedigrotta.60

58 Si vedano a tal proposito le liste degli associati alla prima serie di 6 fascicolidei Passatempi del 1824-1825 poste all’inizio dei fascicoli stessi. Vi troviamo quasitutta la nobiltà dell’epoca, con particolar riferimento al gentil sesso che più si “dilet-tava” con questo tipo di repertorio ritenuto “semplice”: principesse, duchesse,baronesse, marchese e persino, in testa alla lista (vedi fascicolo n.1 dell’Ottobre1824), “S. M. la Regina del Regno delle due Sicilie”.

59 R. De Simone, Disordinata storia della canzone napoletana, p. 46.60 È negli anni Settanta dell’Ottocento che Piedigrotta inizierà a subire una sorta

di “mutamento genetico” passando da una festa essenzialmente rituale, in cui pro-babilmente fin da tempi più antichi si eseguivano tarantelle, canti a figliola o cantidevozionali e alla quale forse già dall’inizio dell’Ottocento si era affiancata una pro-duzione canzonettistica cittadina diffusa su fogli volanti (come testimoniato dallostampatore Azzolino in un articolo del Regaldi: cfr. Giuseppe Regaldi, “I canti popo-lari di Napoli 1847”, Poliorama Pittoresco, anno XII 1848, semestre II, p. 338) dallaquale ogni anno usciva una “canzone della festa”, a una festa spettacolare e com-merciale legata ai concorsi indetti da giornali e riviste e dominata da meccanismipubblicitari. Com’è stato efficacemente sintetizzato da Roberto Cajafa si passerà“dalla canzone della festa alla festa delle canzoni”. Cfr. P. Scialò, La canzone napole-tana dalle origini ai giorni nostri, pp. 28-31.

Canzone napoletana e musica di tradizione orale 151

Sui temi fin qui trattati e in particolar modo sui processi indivi-duati nella seconda parte di questo intervento che riguardano unafase storica ben precisa della canzone napoletana, definita da noipre-classica e che va dal 1824 (anno d’inizio dei Passatempi) al 1879(anno della morte di Teodoro Cottrau e anno precedente a Funi-culì Funiculà di P. Turco-L. Denza del 1880 che segna invece l’ini-zio della canzone napoletana classica), è attualmente in corso unaricerca di dottorato da parte di chi scrive.61 Queste nostre conside-razioni non sono da considerarsi quindi “definitive” ma voglionoessere un primo contributo all’analisi di un momento “chiave”della canzone napoletana, cercando in prospettiva futura di tro-vare eventuali parallelismi in ambito sia europeo che internazio-nale che favoriscano una più efficace comprensione di un’interes-sante fase di “passaggio” che non riguarda soltanto la canzonenapoletana (tante sono, con le dovute differenze, le analogie conciò che avviene, più meno nello stesso periodo, ad esempio nellacanzone americana, irlandese, francese, ecc.) e che recentementeFranco Fabbri ha definito in modo assai efficace “della popularmusic prima della 'popular music'”.62

61 La ricerca si svolge nell’ambito del corso triennale del dottorato in Storia,Scienze e Tecniche della Musica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.

62 Franco Fabbri, La popular music a Napoli e negli USA prima della 'popularmusic': da Donizetti a Stephen Foster, da Piedigrotta a Tin Pan Alley, relazione ine-dita tenuta a Napoli il 4 Giugno 2010 nell’ambito del convegno “La canzone napole-tana. Le musiche e i loro contesti”.