Sul Canzoniere di Saba

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1 Il Canzoniere: Storia di un pellegrinaggio irrequieto “Amai la verità che giace al fondo, Quasi un sogno obliato, che il dolore Ricopre amica. Con paura il cuore Le si accosta, che più non l’abbandona”. (Umberto Saba, Amai) «L’artista- Bachtin osserva nel saggio intitolato in italiano L’autore e l’eroe- che lotta per un’immagine determinata e stabile di un eroe lotta, in larga misura, con se stesso». 1 Una lotta che il Canzoniere, l’opera che si presenta come la rappresentazione totale dell’esperienza di un uomo, che sin dall’inizio della sua attività letteraria aveva teorizzato la necessità di una poesia che fosse scrupolosa e spontanea ricerca del vero, registra i suoi momenti essenziali. Saba, lacerato tra la propria realtà e il proprio mito, senza staccarsi mai da se stesso, compie un pellegrinaggio irrequieto, ora con scontento e amarezza che lo spingono a desiderare di condurre la vita di tutti gli uomini, una vita che non è più sua, ora con alto sentimento di pace infinita e fraterna amicizia affermate in un ambiente plurietnico e pluriculturale. L’intervento, cercando di afferrare una totalità stabile dell’anima del poeta, proietta luce sulla tendenza a scoprire il mondo affermata innanzitutto nei primi poemi, sulla nostalgia trascinante ai volti e ai luoghi dell’infanzia del secondo volume, e sulla delusa sfiducia dell’ultimo. Tre momenti che si scambiano il ruolo di protagonista, e riassumono tutto un percorso di vita e di poesia in cui la liricità dell’anima tinge la visione del mondo. Una certa interdipendenza tra le singole parti del Canzoniere si deve confessare. Un legame si deve cercare nell’identità poesia- vita, caratteristica dell’ispirazione di Saba, nel continuo trapasso dal bambino, che rimane, fino alla fine, nell’intimo del poeta, all’uomo maturo. E Saba lo dichiara in parole ritrovate dalla figlia: «Il poeta è l’amalgama di un bambino e di un uomo riuniti in una sola persona: è un bambino che si meraviglia delle cose che accadono a lui stesso diventato adulto». 2 1 MICHEL BACHTIN, L’autore e l’eroe: teoria letteraria e scienza umana, Torino, Einaudi 1988, p. 6. 2 UMBERTO SABA, Prose, a cura di Linuccia Saba, prefazione di G. Piovene, nota critica di A. Marcovecchio, Milano, 1964, p. 266.

Transcript of Sul Canzoniere di Saba

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Il Canzoniere: Storia di un pellegrinaggio irrequieto

“Amai la verità che giace al fondo,

Quasi un sogno obliato, che il dolore

Ricopre amica. Con paura il cuore

Le si accosta, che più non l’abbandona”.

(Umberto Saba, Amai)

«L’artista- Bachtin osserva nel saggio intitolato in italiano

L’autore e l’eroe- che lotta per un’immagine determinata e stabile di un

eroe lotta, in larga misura, con se stesso».1 Una lotta che il Canzoniere,

l’opera che si presenta come la rappresentazione totale dell’esperienza

di un uomo, che sin dall’inizio della sua attività letteraria aveva

teorizzato la necessità di una poesia che fosse scrupolosa e spontanea

ricerca del vero, registra i suoi momenti essenziali. Saba, lacerato tra la

propria realtà e il proprio mito, senza staccarsi mai da se stesso, compie

un pellegrinaggio irrequieto, ora con scontento e amarezza che lo

spingono a desiderare di condurre la vita di tutti gli uomini, una vita

che non è più sua, ora con alto sentimento di pace infinita e fraterna

amicizia affermate in un ambiente plurietnico e pluriculturale.

L’intervento, cercando di afferrare una totalità stabile

dell’anima del poeta, proietta luce sulla tendenza a scoprire il mondo

affermata innanzitutto nei primi poemi, sulla nostalgia trascinante ai

volti e ai luoghi dell’infanzia del secondo volume, e sulla delusa sfiducia

dell’ultimo. Tre momenti che si scambiano il ruolo di protagonista, e

riassumono tutto un percorso di vita e di poesia in cui la liricità

dell’anima tinge la visione del mondo.

Una certa interdipendenza tra le singole parti del Canzoniere si

deve confessare. Un legame si deve cercare nell’identità poesia- vita,

caratteristica dell’ispirazione di Saba, nel continuo trapasso dal

bambino, che rimane, fino alla fine, nell’intimo del poeta, all’uomo

maturo. E Saba lo dichiara in parole ritrovate dalla figlia: «Il poeta è

l’amalgama di un bambino e di un uomo riuniti in una sola persona: è

un bambino che si meraviglia delle cose che accadono a lui stesso

diventato adulto».2

1 MICHEL BACHTIN, L’autore e l’eroe: teoria letteraria e scienza umana, Torino, Einaudi

1988, p. 6. 2 UMBERTO SABA, Prose, a cura di Linuccia Saba, prefazione di G. Piovene, nota critica di

A. Marcovecchio, Milano, 1964, p. 266.

2

1. La scoperta del mondo

Il primo volume del Canzoniere mostra i primi tratti del

rapporto che intercorrerà tra Saba e il mondo circondante; un

mondo che non si limita a presenze umane, ma accoglie pure

elementi di natura, animali e luoghi. Il «piccolo romanzo» è

testimone, sin dalle sue prime pagine, di una presenza intensa

della figura della madre triste, messa in relazione con la

coscienza del figlio di essere diverso dai suoi coetanei;

Mamma, non io così, mai. La mia culla

io la penso tagliata in strano legno.

Tese l’animo mio sempre ad un segno

cui non tesero i miei dolci compagni.

Mamma, è forse di questo che tu piangi

sempre là nella tua casa deserta?

Lacrimi ancora; e dalla non più aperta

finestra, con la sera

entra delle campane, entra il profondo

suono, il preludio della dolce notte,

d’un’insonne per te, gelida notte.3

( A mamma)

Un’angoscia acuta fa sì che Saba «solo e pensoso»,

anziché festeggiare la Pasqua, non vede nel suo spettacolo che

amarezza e morte;

Solo e pensoso dalla spiaggia i lenti

passi rivolgo alla casa lontana.

È la sera di Pasqua. Una campana

piange dal borgo sui passati eventi.

L’aure son miti, son tranquilli i venti

Crepuscolari; una dolcezza arcana

piove dal ciel sulla progenie umana,

le passioni sue fa meno ardenti.

Obliando, io penso alle leggende

di Fausto, che a quest’ora era inseguito

3 IDEM, Tutte le poesie, Il Canzoniere, introduzione di MARIO LAVAGETTO, Milano,

Mondadori, 1999 (5 ed.), p. 33.

3

dall’avversario in forma di barbone.

E mi par di vederlo, sbigottito

fra i campi, dove ombrosa umida scende

la notte, e lungi muore una canzone. 4

(Nella sera della domenica di Pasqua)

I versi, non privi di una forte eco di motivi petrarcheschi e

leopardiani, riflettono dolore e solitudine tanto profondi che non

trovano consolazione né negli affetti sinceri di Glauco, né nel

senso di fratellanza e di tolleranza con cui il giovane abbraccia

tutti gli esseri; «Ecco: qui tutto con i miei pensieri/ È fraterno;

ogni aspetto un nuovo lato/ del mio spirito adombra».

Gli anni di leva a Monte Oliveto ed a Salerno, rievocati nei

Versi militari, paiono riflettere momenti di appartenenza e di

solidarietà; E nessun dio la sua nuvola manda

A liberarci dal sol spaventoso.

Senza canti si va, senza riposo,

come pecore.5

Saba dichiara, in Storia e cronistoria del Canzoniere, di sentire

«con gioia (che pure attraverso i lamenti e le querele d’obblighi

nella vita militare di quelli anni) di non essere più solo, di

“appartenere a qualcosa e a qualcuno”».6 Nonostante tali

affermazioni, Il sogno di un coscritto, raccolto inizialmente nei

Versi militari, poi spostato in chiusura delle poesie

dell’adolescenza, indica un senso di estraneità al gruppo che

dissolve quello di appartenenza avvertito come un superamento

del limite soffocante della vita solitaria;

Ero là con i miei nuovi compagni;

là con essi seduto ad un’ingombra

tavola, quando un’ombra

scese in me, che la mia vita lontana

4 Ivi., p. 26.

5 Ivi., p. 46

6 UMBERTO SABA, Storia e cronistoria del Canzoniere, Milano, Mondatori, 1977, p. 49.

4

tenne, con la sua forza, con le sue

pene, da quel tumulto vespertino.

Centellinavo attonito i miei due

soldi di vino.7

In Casa e campagna La solitudine opprime una visione del

mondo caratterizzata di semplicità e spontaneità, e una profonda

partecipazione all’intimo pulsare della vita. A sua figlia si rivolge

Saba:

La mia vita, mia cara

bambina,

è l’erta solitaria, l’erta chiusa

dal muricciolo,

dove al tramonto solo

siedo, a celati miei pensieri in vista.8

(A mia figlia)

Nella medesima raccolta si introduce il personaggio di

Lina, destinato ad avere un ruolo primario nella vita e nell’opera

di Saba. La giovane moglie si presenta in un certo tipo di

preghiera o di «inno sacro» che accentua la sua funzione

salvatrice, come riferisce il poeta stesso in una delle più acute e

felici osservazioni della Storia e cronistoria; 9 «È come sono

tutte/ Le femmine di tutti/ i sereni animali/ che avvicinano a

Dio». Il ritratto della donna si arricchisce con nuove dimensioni

in Intermezzo a Lina, ove il poeta è preso dalla brama di

conoscere tutti i dettagli della sua vita da fanciulla. Dove andò la tua vita

di fanciulla? Le prime ore pensose?

Quelle baruffe quasi sanguinose

Con l’amata sorella?10

7 IDEM, Tutte le poesie, Il Canzoniere, op.cit., p. 39.

8 Ivi., p. 79.

9 Cfr. UMBERTO SABA, Storia e cronistoria del Canzoniere, op.cit., p. 59.

10 IDEM, Tutte le poesie, Il Canzoniere, op.cit., p. 83.

5

Lina, «la più pia rosa d’ogni bontà», presentata prima in modo

indefinito, si tratteggia ora con interesse e amore. Inizia una

nuova fase della vita del poeta che pare illudersi di aver trovato la

felicità, e di essere liberato dall’angoscia e dalla solitudine.

Una città e una donna si rivelano, con i loro aspetti

inconfondibili, due mondi miti ricchi di varietà, due personaggi

che hanno storie e fisionomie determinate. Trieste pare un ente

vivente che, in fondo del suo cuore molto vivo, dedica al figlio

un «cantuccio» che gli segna tutta la vita, e dove finisce il suo

muro pare finire il mondo. Tra Saba e la sua città intercorre una

relazione intima, basata su comprensione reciproca. Solo Trieste

può comprendere la solitudine, la sostanza immutabile dello

spirito del poeta, e la sollecita con piccole cose, luoghi mitici,

ricordi del passato, piccoli dettagli di vita, personaggi vari

nobilitati da un quieto e partecipe dolore; una prostituta, un

marinaio, «il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il

dragone che siede alla bottega del friggitorie, la tumultuante

giovane impazzita d’amore, tutte creature della vita e del dolore»,

in esse, come in lui, «si agita il Signore». Trieste gli è penetrata

fino in fondo il che non riesce a fare neanche la donna dal «rosso

scialle», che non può tollerare il silenzio orgoglioso del marito

come risposta alle sue domande sul perché del suo dolore

segreto;

«Quanto, quanto m’annoi»,

io le rispondo fra me stesso. E penso:

come farà il mio angelo a capire

che non v’ha cosa al mondo che partire

con essa io non vorrei, tranne quest’una,

questa muta tristezza; e che i miei mali

sono miei, sono all’anima mia sola;

non li cedo per moglie e per figliola,

non ne faccio ai miei cari parti uguali. 11

(La moglie)

11

Ivi., pp. 109- 10.

6

La liricità di Saba colora le stagioni, le ore, le creature.

Sorprendente risulta questa capacità del poeta di vedere in tutti

gli oggetti una parte di sé, di specchiarsi in essi; è la formula di

un suo realismo lirico che trova nelle cose più comuni una

propria presenza. Saba, tratteggiando delicatamente un proprio

ritratto, si riconosce nel fanciullo appassionato;

C’è un fanciullo che incontro nelle mie

passeggiate, un fanciullo un poco strano.

Ha qualcosa di me, di me lontano

nel tempo; un passo strascicato e molle

di bestia troppo in libertà lasciata;

la folle schiva entro le anguste vie,

ama le barche piene di cipolle

e di cappucci; tutto esplora, il nuovo

porto, la diga: ed oggi lo ritrovo,

fermo, la bella testina abbassata,

lo sguardo immobilmente a terra chino.12

I Nuovi versi di Lina sono un lungo monologo di

rimproveri, rimpianti ed accuse di ingratitudine e di tradimento

che il poeta rivolge ora alla moglie, ora a se stesso. Un’ultima

tenerezza vince il poeta solo pensando a Lina bambina. La «ben

piccola cosa» che non la vede, nell’apertura della raccolta, degna

né di amore né di interesse, diviene la buona e «povera Lina» che

gode «un’infinita attonita dolcezza». Saba, non trovando pace

accanto alla sua donna, si lascia commuovere dalla sua figura da

bambina.

Ne La serena disperazione, il poeta pare «soggetto a due

forze, concentrazione in se stesso e apertura verso gli altri e il

mondo».13

La raccolta, che si apre con la figura allegra e

consolatrice del garzone in tuta blu, rivela il timore che tormenta

12

Ivi., p. 115. 13

GNNARO SAVARESE, Umberto Saba. «continuità» della tradizione poetica: la soluzione

prosaico analogica dell’incontro affabile e dolente con l’uomo e con simboli del reale, in

Letteratura italiana. Novecento, Gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana,

introduzione di Gianni Grana, Milano, Marzorati, 1980, p. 3252.

7

l’anima del poeta. Il passar dell’età d’oro fa pensare al nulla e

alla morte. Dall’esperienza amara del vivere, e da «quel fare e

rifare, in un limitato ma consapevole pessimismo in ogni

momento»,14

esce Saba, ancora giovane, con il volto già vecchio

e l’anima ferita;

Io vivo… eppure sono un morto, sono

dentro un abisso; ed odo, ivi sepolto,

la vita che tra voi s’agita, il suono

della vita, ormai vano; ….

Io giaccio; ed ho solo un pensiero, godo

solo un pensiero: sono morto, ucciso

da me in sì strano, in sì felice modo,

che serbo ai cari miei la mia giornata,

anni più mossa, più fattiva ancora,

ad opere di buon fine ordinata;

ed a me la mia notte senz’aurora.15

(De profundis)

Saba, Nino e la loro città sono accomunati nelle sofferenze

e nel dolore, in Poesie scritte durante la guerra che rievocano lo

stato psicologico dei Versi militari. Nino Ribaldi, il giovane

soldato pacifico nonostante la divisa, va in guerra senza volerlo, e

non torna mai da quelli che lo aspettano. Saba, «vestito da

soldato italiano», vive «un sogno sanguinoso e strano», soffrendo

non solo la mancanza del compagno, ma pure della città

dell’amata Lina.

Profonda è la delusione che segue allo spegnere dell’amore

per Paolina, il raggio di sole entrato nella vita del poeta che non

riesce a portare a compimento nulla tranne la poesia ritenuta lo

specchio della sua anima. La malinconia di Saba verso la fine del

primo Canzoniere pare storica; una malinconia che riguarda tutta

un’epoca. Arrivato al «culmine» del dolore umano, il poeta si

14

GIANNI POZZI, La poesia italiana del Novecento, Torino, Einaudi, 1967, p. 53. 15UMBERTO SABA, Tutte le poesie, Il Canzoniere, op.cit., p. 166.

8

vergogna di non desiderare la morte, e di amare cose terrene che

illudono «col soave viso».

2. Nostalgia trascinante

Il secondo volume del Canzoniere (1921- 32) testimonia

una nostalgia trascinante. Ritornano alla vita tutte le figure

dell’infanzia, che prima erano materia di sogni e di adorabile

rimpianto. Saba torna nei momenti decisivi all’età dell’infanzia e

dell’adolescenza «come il salmone che, compiuto l’atto più

vitale, torna lentamente verso il mare dove trova il suo

indispensabile alimento».16

In effetti, il poeta costruisce dei suoi

sentimenti infantili una propria mitologia alla quale rimane fedele

in tutto il corso della sua vita. Il passar degli anni colora i ricordi

più cari con dolce serenità riflettendo la limpida visione che

Saba, avendo scoperto il mondo, ha acquisito di se stesso.

Preludio e canzonette si apre con una malinconia

sconsolata e struggente; passa la giovinezza, e alla vita mancano

l’amore e la presenza della donna adorata. Nei confronti

dell’eterno scorrere del tempo e del variare delle apparenze si

erge l’immortalità della poesia, l’unica cosa che Saba sa fare e

amare. Il Finale è un lungo lamento della provvisorietà dei casi

umani;

L’umana vita è oscura e dolorosa,

e non è ferma in lei nessuna cosa.

Solo il passo del Tempo è sempre uguale.17

L’Autobiografia, è un organizzato “flash-back” in cui il

poeta rivive intensamente gli episodi della sua infanzia, riprende i

momenti dolorosi della sua giovinezza che l’orgoglio dell’ anima

e la giocosità che dovrebbe essere della poesia gli impediscono di

16

GIACOMO DEBENEDETTI, Saggi critici, Milano, Mondatori, 1952, p. 142. 17

UMBERTO SABA, Tutte le poesie, Il Canzoniere, op.cit., p. 251.

9

esprimere. I primi versi rievocano la sofferenza cui si è già

accennato diverse volte;

Passò la giovinezza mia infelice,

che l’arte ad altri ha fatte dilettose,

come una verde tranquilla pendice.18

Dolore e sofferenze trovano giustificazione nelle vicende che si

susseguono. La vita inizia con i singhiozzi della madre;

Quando nacqui mia madre ne piangeva,

sola, la notte, nel deserto letto.19

Il figlio cresce portando sulle spalle il peso dell’immagine

negativa del padre «assassino», che si scopre straordinariamente

simile a lui, non soltanto nei tratti fisici, ma pure nella volubilità

dell’animo, da cui ha ereditato il «dono» della poesia. Senza

rimproveri, Saba ammette che il padre pellegrino è un tipo

totalmente diverso dalla madre; li staccano le differenze radicali

tra «due razze» totalmente diverse. Si accenna pure alla povertà

della famiglia ed ai pochi amici protagonisti di quell’età;

La mia famiglia fu povera e beata

Di pochi amici, di qualche animale;

con una zia benefica ed amata

come la madre, e in cielo Iddio mortale.20

Una nostalgia acuta si riflette ne Il Cuor morituro. Il

quadro della casa della nutrice indica il ritorno al mito infantile di

Saba.

O immaginata a lungo come un mito,

o quasi inesistente,

dove sei tu, ridente

casina, che dal primo verso addito?21

(La casa della mia nutrice)

18

Ivi., p. 255. 19

Ivi., p. 256. 20

Ivi., p. 258. 21

Ivi., p. 313.

10

Il ricordo, invece di provocare gioia ed affetti caldi, spinge al

pianto perché segna la perdita definitiva di tali sentimenti. Si

rivestono di carne le figure protagoniste dell’età d’oro; la balia,

Glauco e la casa della quale il poeta evidenzia una dimensione

tutta umana.

Dimensioni umane caratterizzano la vetrina, gli oggetti

esposti, e il Borgo che era al tempo dell’infanzia «un mucchio di

sparse casette», ed ora brulica di vita. Il poeta, vinto dalla

malattia, si commuove alla vista degli operai che, tornando dal

lavoro, camminano in lunghe file. Nei confronti di questo

spettacolo, Saba, tormentato da bambino dal sentirsi

disperatamente solo e diverso dagli altri, annuncia il suo

desiderio di essere come tutti gli uomini, e di vivere la gioia di

non essere più se stesso. Profondamente pietosa risulta questa

capacità di riconoscersi, in tono di fraterna malinconia,

nell’altrui.

La raccolta, che eleva la casa della balia al rango dei miti,

si conclude con una Preghiera alla madre. Saba ritorna con gioia

da sua madre rivolgendole versi di sinceri affetti. Con la madre

che ha fatto soffrire «come un buon figlio amoroso», solo

«l’anima fanciulla» può riprendere il discorso;

E il tuo soggiorno un verde

Giardino io penso, ove con te riprendere

Può a conversare l’anima fanciulla,

inebriarsi del tuo mesto viso,

sì che l’ali vi perda come al lume

una farfalla.22

Qui più di nostalgia si può parlare di un rivivere dell’età

adolescente.

Nel Piccolo Berto si ritessono perfettamente i ricordi e le

figure di infanzia. La raccolta si apre con una poesia in cui il 22

Ivi., p. 345.

11

recupero dell’età infantile prende avvio dall’immagine della

figlia di Saba, l’amata Linuccia, che facendogli vivere le

consolazioni della paternità condivisa, gli ripropone il rimpianto,

ormai addolcito, del passato con le sue gioie e i suoi dolori;

Mia figlia

mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo;

ed io alla sua carezza m’addormento…

Al seno

approdo di colei che Berto ancora

mi chiama, al primo, all’amoroso seno,

ai verdi paradisi dell’infanzia.23

(Tre poesie alla mia balia)

La figlia, in un’immagine rovesciata rispetto alla tradizionale

consuetudine familiare, culla il padre assumendo il ruolo che

doveva essere del vero genitore, e che Saba è stato chiamato a

compiere nei confronti della madre abbandonata.

All’«eterna Peppa» si dedicano tre poesie; la figura rifatta

viva nella sua funzione di nutrice che dona il latte della vita e, più

tardi ancora, un simbolico caffelatte che segna l’approdo all’età

matura, incarna, per Saba, la vera maternità. Il ricordo fa pensare

alla lacerante scissione fra l’amore per la madre biologica, e

quello per la madre effettiva;

Mi accoglie come accoglieva il bambino

quando saliva beato alla povera

casa della sua balia. Paradiso

era al fanciullo, paradiso è ancora

all’uomo in lotta colla vita.

(la madre ormai amorosa)

da una madre amorosa a lei rubato,

dopo tre anni, all’improvviso.24

(Il figlio della Peppa)

23

Ivi., p. 406. 24

Ivi., p. 419.

12

In Berto Saba fugge a se stesso bambino ridando vita ad un

momento vissuto una volta dall’interno e lasciandosi

commuovere dalla timidezza e dall’innocenza del piccolo. I versi,

in cui l’anima di Saba si divide fra l’attuale vissuto e il passato,

rappresentano un discorso poetico straordinario che esce

adeguata allo spirito fanciullesco di Berto il quale chiede sulla

medaglia che doveva avere. Il bambino si rivela, in ultima

analisi, il punto di riferimento del poeta ormai vecchio;

Senza voce; «Berto

- gli dissi al fine- non sai quanto t’amo.

Io che me stesso oggi non amo, privo

Del tuo pensiero vivere non posso».25

Con il piccolo Berto si conclude la stagione della nostalgia

rivelata incapace ad alleviare i dolori e le sofferenze del poeta. La

voce di Berto si liquida, e la sua figura ricomparirà solo a tratti

nel resto del Canzoniere. In una lettera ad Alberto Carocci, Saba

scrive, il 24 ottobre 1930: «ho terminato il ciclo di poesie il

piccolo Berto. Lo so che è finito, perché il piccolo Berto è morto

una seconda volta e, almeno spero, definitivamente»26

.

3. Alienazione

Il terzo libro registra i momenti di crisi nella vita di Saba.

Il poeta, per metà ebreo, dovette subire rischi e difficoltà di ogni

natura fino al divieto di pubblicare scritti sia in giornali e in

riviste sia in volumi. Condizioni che improntano la visione

sabiana del mondo.

Ultime cose rappresenta un momento di rivelazione;

«adesso tu sai che tra i beati non è dimora per noi». La poesia

riflette la perdita della fiducia, la solitudine dei sette anni passati

sotto la minaccia razziale, e il distacco dalla realtà dolorosa;

25

Ivi., p. 409. 26

UMBERTO SABA, Prose, a cura di Linuccia Saba, op.cit., p. 310.

13

Sono solo. Nessuno ascolta dove

agli amici dispersi ogni richiamo

è vano. Brilla come un ghiacciolo l’odio, e penso

che vedrò questa sera te che amo.27

(Solo)

La solitudine fa riaccumulare i ricordi creduti sciolti in Parole, e

li riportano alla vita;

Quando si apriva il velario sul mondo

Della mia fanciullezza, accorsi come

Ad una festa promessa.28

(Quando si apriva il velario)

Il presente ridà vita al passato; il dolore fa pensare alla casa della

nutrice che «fumava per la cena». La bocca ora muta del poeta

richiama quella fanciullesca dolce e cara;

O bocca fanciullesca, bocca cara,

che dicevi parole ardite ed eri

così dolce a baciare.29

(Bocca)

Avevo raccoglie tutta l’esperienza di Saba superando i

limiti individuali ad un orizzonte universale in cui tutti piangono

la perdita di case, parenti e città. La totalità dell’anima del poeta

si esprime in questo lungo lamento poetico insicuro di trovare

conforto neanche nella morte. Saba ha passato anni e anni

raccogliendo e sistemando le singole parti di un quadro completo

di sé, e che gli viene distrutto durante gli anni dell’occupazione

nazista. La realtà dolorosa minacciante manda in frantumi tutta

una vita intensa: con quell’avevo si conclude un lungo e faticoso

viaggio. Le vane domande non trovano risposte in quel mondo

ove non si rispettano i valori umani. Saba che ha sempre espresso

posizioni chiare nei confronti degli ebrei respingendo la

circoncisione che praticano si trova perseguitato e minacciato

27

UMBERTO SABA, Tutte le poesie, Il Canzoniere, op.cit., p. 468. 28

Ivi., p. 469. 29

Ivi., p. 466.

14

dalla violenza del «fascista inetto» e del «tedesco lurco» che

trascina tutta l’Europa senza distinzioni.

La poesia si apre con una malinconia acuta che riflette le

sofferenze sotto la minaccia del razzismo;

Avevo il mondo per me; avevo luoghi

del mondo dove mi salvavo.30

La guerra ha distrutto una vita piena in cui i luoghi, superando il

senso vero e concreto della parola, erano cuori, occhi e bocche in

cui abitava Saba;

Ricordi,

tu dei miei giovani amici il più caro,

tu quasi un figlio per me, che non pure

so dove sei, né se più sei, che a volte

prigioniero ti penso nella terra

squallida, in mano al nemico?31

Aveva una bambina, diventata giovane che non gli rivolge più

sguardi affettuosi. Aveva una città ora rovinata. Pure Lina, la

«meravigliosa» Lina, protagonista del Canzoniere, è triste, esule

e invecchiata. Non si spera più conforto neanche nella morte.

È tornata la libertà di cantare senza divieti, ma non si può

mai cancellare il terrore e le rovine che la guerra ha lasciato

dietro. Fra i gridi di gioia la voce di Saba, esprimendo l’amarezza

e la tristezza che accompagnano il momento della vittoria, stenta

a ritrovare la sua serenità. La lirica riesce a comunicare il senso

umano e storico del momento della liberazione, un clima di

speranze ed entusiasmi, e di amarezza e delusione temuta. I versi

con cui si apre e si chiude il canto non segnano altro che dolore

profondo e pessimismo storico;

Falce martello e la stella d’Italia

30

Ivi., p. 509. 31

Ibidem,

15

ornano nuovi la sala. Ma quanto

dolore per quel segno su quel muro!...

Questo è il teatro degli Artigianelli,

quale lo vide il poeta nel mille

novecentoquarantaquattro, un giorno

di Settembre, che a tratti

rombava, ancora il cannone, e Firenze

taceva, assorta nelle sue rovine.32

(Teatro degli Artigianelli)

L’acutissima malinconia di Avevo, di quel viaggio mai

compiuto di dolori, castighi, e rimorsi porta quasi al delirio in

Mediterranee;

La casa è devastata

la casa è rovinata.

Mille e una notte non l’abita più.33

(Raccontino)

Saba pare ritrovare «una degna conclusione al suo

avventuroso poema»,34

cercando sollievo nelle antiche favole,

nelle vecchie poesie, nella figura di un ragazzo che ascolta il suo

cantare, e di una donna lontana. Quel sogno di felicità che balena

nelle immagini di un’adolescenza ormai lontana è «un prodigio»

che tiene il poeta attaccato alla vita.

Io sono come quella foglia- guarda-

sul nudo ramo, che un prodigio ancora

tiene attaccata.35

(Foglia)

Ormai abbandonato da tutti, non gli rimangono neanche le

immagini della «vita calda», della giovinezza. Questi ingrati e

crudeli, si allontanano dal loro vecchio adoratore; lo lasciano al

32

Ivi., p. 512. 33

Ivi., p. 544. 34

CARLO MUSCETTA, Pace e guerra nella poesia contemporanea, da Alfonso Gatto e

Umberto Saba, Roma, Bonacci, 1984, p. 124. 35

UMBERTO SABA, Tutte le poesie, Il Canzoniere, op.cit., p. 537.

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«buio» che sta alle porte. Una estrema confessione di un destino

inevitabile rievoca le Parole che hanno aperto il terzo volume;

Antico mare perduto… Pur vuole

La Musa che da te nacque, ch’io dica

di te, col buio alle porte, parole.36

(Ebbri canti)

Uccelli e Quasi un racconto affermano il distacco del

poeta dalla realtà umana, da un mondo sconvolto dalle ambizioni

imperialistiche, e la sua aderenza al mondo delle altre creature di

cui è stato sempre l’interprete e il portavoce;

Da quando la mia bocca è quasi muta

Amo le vite che quasi non parlo.37

(Da quando)

36

Ivi., p. 543. 37

Ivi., p. 481.