Salvezza delle lettere greche: Ideali e Realpolitik negli scritti degli umanisti bizantini (Cidone,...

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Estratto da: Studi Umanistici Piceni – XXXII / 2012 Istituto Internazionale di Studi Piceni – Sassoferrato Salvezza delle lettere greche. Ideali e Realpolitik negli scritti degli umanisti bizantini * (Cidone, Crisolora, Gaza, Calcondila) ERIKA NUTI

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Estratto da:Studi Umanistici Piceni – XXXII / 2012Istituto Internazionale di Studi Piceni – Sassoferrato

Salvezza delle lettere greche.Ideali e Realpolitik negli scritti degli umanisti bizantini*

(Cidone, Crisolora, Gaza, Calcondila)

Erika Nuti

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Salvezza delle lettere greche.Ideali e Realpolitik negli scritti degli umanisti bizantini*

(Cidone, Crisolora, Gaza, Calcondila)

Erika Nuti

«Come, quando si trascurano le attività militari, si distruggono le armi, così è inevitabile che, quando si disprezzano sapienza e opere let-terarie, si distrugga quanto ad esse conduce; ma è possibile di nuovo forgiare facilmente armi dal ferro (anche se, forse, ciò non è bello: possa accadere che, tolta di mezzo ogni guerra, anche i suoi strumenti vadano del tutto in rovina!), mentre sapienza e grandi opere letterarie, una volta distrutte, non facilmente si ricompongono, perché non nascono da un qualsiasi metallo, ma da mente e intelletto, i beni più rari in nostro possesso.»1.

Così scriveva, intorno al 1410, Manuele Crisolora, l’intellettuale e politico bizantino perlopiù noto per aver insegnato il greco allo Studium fiorentino tra il 1397 e il 1400 e aver così contribuito in maniera deter-minante alla ripresa della conoscenza e dello studio del greco classico e della letteratura ellenica2. Diversamente da quanto si potrebbe immagi-nare, il passo non è tratto da una prolusione davanti a studenti occiden-tali (prolusione che, se anche scrisse, non ci è giunta), bensì dalla lunga lettera al suo imperatore Manuele II Paleologo in risposta alla richiesta di quest’ultimo di un commento all’orazione scritta per la morte del fra-tello Teodoro, despota illuminato di Morea3. Un lungo saggio più che

* Le traduzioni in italiano sono integralmente opera dell’autrice di questo breve contributo sulla base dei testi greci originali nelle edizioni critiche di riferimento, via via citate nelle note.

1 M. Crisolora, Lo¢goj pro\j to\n au)tokra/tora Manouh\l b’ Palaiolo/go, edito da Ch. G. Patrinelis e D. Z. Sofianos, Atene 2001, p. 119, ll. 31-36 e p. 120 ll. 1-3 (d’ora innanzi Patrinelis).

2 Per la biografia di Crisolora si faccia riferimento a G. Cammelli, I dotti bizantini e le origini dell’Umanesimo. I. Manuele Crisolora, Firenze 1941. Per la sua attività di insegnamento, il suo contesto culturale e i risultati prodotti, vedi soprattutto AA. VV., Manuele Crisolora e il ritorno del greco in Occidente. Atti del Convegno internazionale, Napoli, 26-29 giugno 1997, Napoli 2002, in particolare i contributi di A. Rollo, Problemi e prospettive della ricerca su Manuele Crisolora, pp. 31- 85, e J. Hankins, Chrysoloras and the Greek Studies of Leonardo Bruni, pp. 175-203; vedi anche I. Thomson, Manuel Chrysoloras and the Early Italian Renaissance, «Greek, Roman and Byzantine Studies» 7 (1966), pp. 63-82, N. Wilson, Da Bisanzio all’Italia. Gli studi greci nell’Umanesimo italiano, Alessandria, 2000, F. Ciccolella, Donati Graeci. Learning Greek in the Renaissance, Leiden-Boston, 2002 (in particolare pp. 97-102) e P. Botley, Learning Greek in the Renaissance 1396-1529. Grammars, Lexica and Classrooms Texts, London 2010, pp. 7-12, per notizie biblografiche di riferimento.

3 Manuel II Paleologus, Funeral oration on his brother Theodore, introduction, text, translation and notes by J. Chrysostomides, Thessalonike 1985.

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una lettera, nel quale, tramite un commento puntuale dei passi, non solo si riassume tutta la scienza retorica bizantina, ma si esprimono con una chiarezza inusuale in uno scritto bizantino quei progetti e intendimenti politici e culturali che animarono l’attività tanto dell’imperatore quanto del dotto consigliere4. Crisolora, reduce dall’esperienza occidentale, nel corso della quale ebbe modo di vedere di persona cosa accada quando si trascuri la scuola e lo studio di una lingua e letteratura e quanto sia difficile recuperare a distanza di secoli un patrimonio linguistico e cul-turale anche materialmente perduto, esprime in questo passo, e più chia-ramente nelle pagine da cui è tratto, con chiarezza e drammatica lucidità l’angoscia che opprimeva lui e la classe politico-intellettuale di Bisanzio, troppo occupata in quegli anni difficili a cercar di salvare sé stessa e il proprio popolo con le armi per poter coltivare attivamente la cultura ed educare nuove generazioni alla conoscenza del proprio passato culturale e letterario, il solo capace di dar senso a quei combattimenti disperati nel nome di un’identità greco-cristiana millenaria. Il dotto evidenzia questa situazione poche righe sopra il passo prima citato: «E’ assurdo che in Italia, ma forse anche altrove, alcuni siano interessati alle nostre opere letterarie e ora anche le conoscano, mentre vengono trascurate in Grecia e nella metropoli (Costantinopoli, ndt)»5. Si trattava di un grave rischio per la politica interna ed estera di Bisanzio, ossia per la sua stessa sopra-vivenza, per due motivi principali. Da un lato, in base all’antica lezione greca dell’utilità della storia, e plutarchea dell’utilità della biografia, dalla conoscenza del passato si trae quell’orgoglio di sé e quei modelli di virtù che conducono naturalmente alla mimesi nelle nuove genera-zioni, sicché, secondo una visione molto intellettuale e idealizzata della realtà, senza la cultura capace di creare identità di sé Bisanzio non avrà più né un buon esercito in grado di difenderla né una classe politica in grado di guidarla virtuosamente al bene; un leitmotiv che punteggia

4 Quest’opera, scoperta in un codice autografo (Monte Athos, Meteorensis Monasterii Trasfigurationis codex gr. 154) ed edita da Patrinelis e Sofianos nel 2001, è un testo fondamentale per comprendere la storia politica e culturale di quegli anni, ma attende ancora una traduzione e un commento capace di evidenziare le consonanze tra l’attività e i progetti di Crisolora da un lato e quelli espressi nell’epistolario e nell’orazione dell’imperatore dall’altro. Ne sto curando una traduzione italiana con commento, in quanto documento importante per approfondire la conoscenza del Crisolora politico e intellettuale.

5 Patrinelis, p. 119, ll. 11-13. Le difficoltà finanziarie in cui versava l’impero nel XIV secolo provocarono un’innegabile diminuzione dei finanziamenti imperiali alla cultura con conseguente indebolimento del prestigio culturale di Bisanzio e continua richiesta fondi da parte dei dotti, come illustrò I. Sevcenko, Society and Intellectual Life in the Fourteenth Century, in AA. VV., Actes du XIVe Congrès International des Etudes byzantines. Bucarest 1971, I, Bucharest 1974, pp. 69-92 (in particolare cap. III, pp. 79-83). Sulla scarsità di uomini dotti nell’impero di fine Trecento/inizi Quattrocento e sulla reale consistenza della emigrazione per opportunità economica nella prima metà del Quattrocento vedi J. Monfasani, L’insegnamento universitario e la cultura bizantina in Italia nel Quattrocento, in AA. VV., Sapere e/è potere. Discipline, Dispute e Professioni nell’Università Medievale e Moderna: il caso bolognese a confronto. Atti del 4° Convegno, Bologna 1990, pp. 43-65.

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tutto il discorso di Crisolora, il quale, dovendo commentare l’utilità di un’orazione funebre, si serve di un topos retorico, che, se normalmente è pura convenzione, assume qui una rigenerata concretezza di fronte alla drammaticità della situazione (scriveva infatti poche pagine prima Crisolora: «L’affetto dei lettori per Teodoro e per te che scrivi rende le parole estremamente utili e proficue, cosicché è verisimile che molti ne trarranno giovamento non solo nel privato e nel loro ethos, ma anche nella vita pubblica a beneficio della patria, dei suoi abitanti, del suo popolo, al punto da non tirarsi indietro se fosse necessario anche morire per essi»6). Dall’altro lato, e più concretamente, una decadenza della vita culturale causerebbe l’inevitabile perdita di quel prestigio internazionale di cui Bisanzio gode in quanto culla e custode dell’antica civiltà ellenica e che potrebbe essere, come vedremo, l’unico ed estremo strumento per salvarsi. Lucidamente Crisolora evidenzia questa riconosciuta superiorità culturale: «Vedi (rivolto all’imperatore, ndt) quanto prestigio fu addotto in tempi antichi al nostro popolo dalla sapienza e dalle lettere, tanto che, ancora oggi, ovunque esso è conosciuto non più per il valore degli antichi che per la loro sapienza?» e prosegue ad evidenziare i rischi della situazione presente «e ora, una volta perduti i libri e le lettere, anche le nobili azioni insieme spariranno (che non accada! Né penso accadrà dal momento che tu vi provvedi) e noi, che in passato offrimmo agli altri uomini e ai nostri concittadini di conoscere in modo preciso la storia nostra e degli altri […], rischieremo di non conoscere neppure le nostre vicende»7. Sa bene di avere nell’imperatore un valido alleato, un politico e intellettuale illuminato, la cui visione del sapere e delle politiche cul-turali da sempre coincideva con le riflessioni e i suggerimenti proposti da Crisolora nelle pagine del saggio in questione. Nella lettera 5 dell’e-pistolario di Manuele II Paleologo8, risalente forse addirittura al 1373, rivolgendosi al mentore Demetrio Cidone, l’imperatore (non ancora tale), parlando di sé, difendeva già l’importanza dello studio e delle alte letture retoriche per coloro che non si potessero considerare ancora eruditi. Da una rilettura delle lettere di Manuele II attenta agli ideali e ai progetti di politica culturale e comparata con la lunga lettere-saggio di Crisolora (da un certo momento sicuramente uno dei suoi più stretti consiglieri e collaboratori) emergerebbe con chiarezza la sintonia di visione politica e ideale tra i due9.

6 Patrinelis, p. 113, ll. 6-12.7 Patrinelis, p. 118, ll. 31-33 e p. 119 ll. 1, 4-10.8 Manuel II Paleologus, The letters of Manuel II Paleologus, text, translation and notes by G. T.

Dennis, Dumbarton Oaks 1977.9 Per i rapporti tra Manuele II Paleologo e Manuele Crisolora vedi Manuel II Paleologus, The

letters, Prosopography, pp. XXXV-XXXVII.

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Ma la lucidità dello sguardo sulla realtà e la consonanza di idee con l’imperatore sembrano essere nulla di fronte alla drammaticità degli eventi contemporanei. Quelle armi che, in un momento di utopica evasione, Crisolora ha desiderato possano andare in rovina per sempre, per lasciar spazio ai libri, in realtà, come ben ha dichiarato, si forgiano facilmente e continuamente e il loro rumore sta ormai soffocando le gesta degli eroi di Omero e di Plutarco a Tessalonica, a Costantinopoli e negli altri spa-ruti baluardi dell’impero ormai in disfacimento. L’imperatore stesso, già nell’estate del 1391, scriveva a Cidone dalle terre dell’emiro turco Bajezid che «non abbiamo danzato con i retori negli orti delle Muse, e per di più abbiamo una moltitudine di cose da fare, molti impegni e preoc-cupazioni», lamentando e giustificando la sua impossibilità di dedicarsi allo studio e alla corrispondenza, mentre si chiedeva retoricamente: «Il fatto che i Romei e io stesso, lasciata la propria terra, combattano in quella degli Sciti contro gli Sciti e guidino i nemici, quale Demostene non avrebbe frustrato e privato del frutto delle lettere?»10. La situazione è ben più grave del semplice impedimento dell’attività erudita. Nell’in-verno del 1391 Manuele inviava a Cidone una celebre lettera , nella quale, dietro le riprese letterarie e i mascheramenti retorici (paiono addirittura risuonare i versi che Ovidio scriveva dal Ponto per raccontare la barba-rie che lo circondava!), raccontava l’attraversamento di terre devastate, descriveva città greche ormai distrutte e annotava la perdita di memoria e identità greche nei territori d’Asia Minore sino a pochi decenni prima bizantini, tanto da citare addirittura il caso di Pompei, mentre, tra fati-che e privazioni, il morale delle truppe era ormai allo stremo. Cidone nella risposta11 sottolineava: «io ero convinto di quest’unica cosa[…]: per te, dover vivere con questi popoli barbari ed essere costretto a condi-videre la loro compagnia, te, un uomo pio[…], un amante e al tempo stesso un artigiano delle lettere elleniche, avvezzo sin dal principio a non sopportare di udire né di dire qualcosa che non tendesse alla virtù o al giusto, questo, credo, è un fardello che non avrebbe sopportato neppure Atlante cantato dal mito»12 e concludeva dichiarando con parole forti e indignate: «da ciò, anche tu stesso dici, la mente (gnw/mhn) è sconvolta, poiché vedi i venerabili monumenti (semna\) dei tuoi antenati venir oltrag-giati da questa feccia»13. Nel 1410 Crisolora sapeva che oramai il rischio non consisteva tanto nel poter coltivare poco la cultura a causa della guerra e nel convivere con popoli barbari quanto nell’annientamento

10 Manuel II Paleologus, The Letters, epistola 14, pp. 37-39, ll. 9-13.11 Demetrius Cydones, Correspondance, editeé par J. Loenertz, Città del Vaticano 1960, epistola

432, pp. 388-391.12 Cydones, Correspondance, ep. 432, p. 389 ll. 48, 53-5813 Cydones, Correspondance, ep. 432, p. 390, ll. 65-66.

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totale e materiale e, insieme ad esso, nell’oblio della memoria, a causa dell’assenza di politiche culturali. Scrive infatti: «Che cosa resta? Che cos’altro se non salvare il popolo, riscaldarlo, farlo crescere e rifocil-larlo? Se esso si salverà, anche le parole su Teodoro e le sue fatiche per il popolo si salveranno, ma, se le cose andranno diversamente – non voglio dire qualcosa di peggio, resti lontana ogni espressione di malaugurio! -, tutto andrà perduto»14. La situazione pare già disperata e proprio con la forza della disperazione Crisolora si rivolge alla classe politica bizantina, esortandola a «non accettare che un simile popolo e un tale impero siano sudditi e schiavi d’altri nei nostri tempi, tanto più che ora, se avvenisse un qualche cambiamento, non sarebbe divenire sudditi, ma sparire com-pletamente15».

Che cosa fare per evitare l’annientamento politico e con esso la distruzione del millenario patrimonio culturale ellenico, preoccupazione questa propria del mondo intellettuale bizantino, ovvero preoccupazione della classe politica dei Romei?

Crisolora non era solo quel’intellettuale e grammatico che, preoccu-pato dei problemi dello studio del greco a Bisanzio, andava a offrire i suoi servigi agli umanisti fiorentini. Cidone non era solo il maestro di studi superiori del futuro imperatore e l’erudito impegnato nelle sottigliezze delle controversie teologiche del suo tempo. Giorgio Gemisto Pletone non sarà solo l’acceso sostenitore della superiorità di Platone su Aristotele e il propugnatore di strane elucubrazioni di politica fiscale modellate sugli studi libreschi. Certo, costoro erano grandi intellettuali ed eruditi dediti ad attività di scrittura, lettura di testi antichi, collazione e collezione di codici, insegnamento superiore per le nuove generazioni, discussione di sottili e millenarie controversie letterarie, teologiche e filosofiche; erano però, inscindibilmente dal loro essere intellettuali, anche politici, diplo-matici, uomini di Stato perché a Bisanzio cultura e potere furono sempre le due facce della stessa classe dirigente, quell’intellighenzia che occupava le massime cariche dello Stato e della Chiesa. Una classe dirigente le cui stanze del potere erano costituite da circoli eruditi, che erano al tempo stesso scuole delle nuove generazioni, luoghi di conservazione del proprio patrimonio culturale, centri di costruzione e trasmissione della propria identità, laboratori della politica attiva16. Crisolora e Manuele II, consi-

14 Patrinelis, p. 116, ll. 3-7.15 Patrinelis, p. 117, ll. 1-3.16 Sulle cerchie erudite vedi gli studi di G. Cavallo, I fondamenti culturali della trasmissione

dei testi greci a Bisanzio, in AA. VV., Lo spazio letterario di Grecia antica. II. La ricezione e l’attualizzazione dei testi, Roma 1995, pp. 265-306, ripubblicato in G. Cavallo, Dalla parte del libro, Urbino 2002, pp. 357-387; sull’importanza della formazione classica per l’uomo bizantino che aspirasse a una brillante carriera politica, sui fattori identitari derivanti da questa istruzione e sugli intrecci tra scuola e politica vedi E. V. Maltese, Atene e Bisanzio. Appunti su scuola e cultura

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gliere e imperatore, erano stati entrambi, anche se forse in tempi diversi, discepoli di Demetrio Cidone: il secondo, fatto tesoro di quegli insegna-menti che dovevano forgiare il suo stesso essere e determinarne visione politica e condotta pubblica, dovette poi dedicarsi soprattutto alla vita militare e politica fuori dal circolo, mentre il primo proseguì l’attività del maestro, divenendo a sua volta animatore di circoli, seppur costretto a darvi una nuova direzione nel segno dei tempi.

Demetrio Cidone (Tessalonica 1323 – Creta 1397) era stato il domi-natore indiscusso della scena intellettuale e diplomatica nella seconda metà del XV secolo. Formatosi in patria sotto la protezione di Giovanni Cantacuzeno, negli ambienti eruditi tessalonicesi, che ancora vivevano della spinta culturale dei circoli di Tomaso Magistro e Demetrio Tri-clinio, si trasferì ben presto nella “città delle città”, ove, divenuto mae-stro di Manuele II Paleologo e convertitosi al cattolicesimo, unì insegna-mento, interessi eruditi, attività teologica e concreto dinamismo politico. Convinto della necessità di una riunificazione tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli al fine pratico di ottenere il sostegno del papa alla causa militare bizantina con l’indizione di una nuova crociata dei principi occidentali contro i Turchi17, Cidone spese gran parte delle pro-prie energie nell’attività di traduzione in greco dei testi di Tommaso d’A-quino18 e nelle missioni diplomatiche in Occidente, in particolar modo a Venezia, dove, grazie probabilmente al suo prestigio di dotto ed eru-dito, godette dal 1391 della cittadinanza onoraria – segno tangibile del rispetto della città nei suoi confronti e della conseguente influenza che il dotto bizantino credeva di poter esercitare sulle decisioni della classe dirigente veneziana, secondo Geanakoplos desiderosa di “accattivarsi il favore del governo greco”19. Cidone stesso elaborò in un pamphlet la strategia di politica religiosa e diplomatica che Bisanzio avrebbe dovuto seguire per avere aiuti dagli Occidentali: a suo giudizio era innanzitutto necessario un radicale cambiamento di atteggiamento mentale e pratico

letteraria nel Medioevo greco, in AA.VV., La civiltà dei Greci. Forme, luoghi, contesti Roma 2001, pp. 357-387, recentemente ripubblicato in E. V. Maltese, Dimensioni bizantine. Tra autori, testi e lettori, Alessandria 2007, pp. 145-178.

17 Sulla strategia bizantina di riunificazione delle due Chiese, sui suoi promotori e oppositori, le sue tappe, i suoi successi e insuccessi, fondamentali i contributi di D. J. Geanakoplos, Constan-tinople and the West. Essays on the Late Byzantine (Paleologan) and Italian Renaissances and the Byzantine and Roman Churches, London 1989, part. II e AA.VV., Greeks, Latins, and Intellectual History 1204-1500, Leuven-Paris-Walpole 2011.

18 Per maggiori informazioni sull’attività teologica di Cidone vedi G. Mercati, Notizie di Procoro e Demetrio Cidone, Manuele Caleca e Teodoro Meliteniota ed altri appunti per la storia della teologia e della letteratura bizantina del secolo XIV, Città del Vaticano 1931. Sull’attività di traduzione e di mediazione culturale in campo filosofico-teologico vedi il recente contributo di Delacroix-Bernier, Les prêcheurs, du dialogue à la polémique (XIIIe-XIVe siècle), in AA. VV. Greeks, pp. 151-168.

19 D. J. Geanakoplos, Bisanzio e il Rinascimento. Umanisti greci a Venezia e la diffusione del greco in Occidente (1400-1535), Roma 1967, trad. A. Martina, pp. 30-31.

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verso la Chiesa di Roma20. A titolo di esempio del peso della sua attività diplomatica e religiosa a favore della patria, si può ricordare una lettera del 1385, nella quale Cidone si lamentava del fatto che Manuele II per la prima volta avesse inviato ambasciatori a Roma senza informarlo e rimarcava all’imperatore quanto i propri servigi sarebbero stati utili in una mediazione presso il pontefice romano: «Avrei a te giovato non poco nella presente ambasceria se ne fossi stato informato quando la stavate preparando. Infatti l’avrebbero preceduta mie lettere agli amici di Roma per facilitare l’operato degli ambasciatori. Dai potenti di lì è infatti tribu-tato forse riguardo e fiducia alle nostre lettere […]; non avrei trascurato i diplomatici di potere, ma sfruttando da qui coloro che erano in missione lì, avrei istruito il corifeo e il coro che lo circonda delle buone cose che sapevamo al tuo proposito»21. Cidone aveva già svolto infatti un ruolo di primo piano su questo fronte, accompagnando a Roma Giovanni V Paleologo, il padre di Manuele, per una conversione necessaria alla riu-nificazione. La constatazione dell’inutilità di questo e altri tentativi di fronte alle resistenze interne del mondo bizantino e all’indifferenza di quello occidentale dovettero procurargli, con l’avanzare degli anni, una progressiva disillusione dagli ideali che avevano mosso la sua azione poli-tica ed erudita, cosicché, dal poco che riusciamo a ricostruire dal suo epistolario e dalle testimonianze indirette, pur senza abbandonare l’aiuto concreto verso il suo Paese e il proprio imperatore-pupillo22, Cidone si dedicò sempre più all’attività erudita, formando una nuova generazione di intellettuali e politici che potessero proseguire la sua opera, fra i quali

20 Il trattato cidoniano sul problema dell’aiuto dell’Occidente è discusso in D. Zakynthios, La Grèce et les Balkans, Atene 1947, pp. 52-56. Recente rivalutazione e discussione del ruolo di mediazione politica e teologica svolta da Demetrio Cidone nella seconda metà del Trecento si deve a J. Ryder, The career and writings of Demetrius Kydones. A Study of Fourteenth-Century Politics, Religion and Society, Leiden-Boston 2010.

21 Demetrius Cydones, Correspondance, ep. 302, p. 221, ll. 49-53 e 56-58.22 L’affetto profondo che lega il vecchio maestro all’imperatore che si sentirà sempre in debito

con lui traspare da ogni punto della loro corrispondenza (vedi anche le allusioni di Chrysostomides nella Introduzione a Manuel II Paleologus, Funeral, pp. 11-12). Cidone sapeva bene come Manuele stesse tentando un’impresa impossibile, sicché, nella già citata epistola 302 scriveva all’ex-allievo: «Tu, siccome consideri il vivere in libertà più prezioso di ogni altra cosa, al fine di cercare di mantenerlo per te e per i tuoi sudditi, ti affatichi a governare, dare ordini, esortare alleanze, correre pericoli ora per mare ora per terra, inviare ambascerie, far spedizioni, non tralasciare nessuna delle strade possibili» (Cydones, Correspondance, ep. 220, p. 389 ll. 20-24). Sapeva bene quanto fosse stato fondamentale il tirocinio retorico per il successivo sforzo di salvare lo Stato da parte dell’imperatore e, a fronte di lettere in cui manieratamente e umilmente Manuele esprimeva ogni volta la propria inadeguatezza retorica, Cidone si affrettava sempre a smentirlo, giungendo a invocare il Signore, in occasione del discorso tenuto da Manuele nell’ottobre del 1383 a Tessalonica per esortare i cittadini alla resistenza contro i Turchi assedianti, affinché «assicuri all’imperatore occasione di comporre e pronunciare panegirici invece dell’esortazione appena fatta. Lui coltiverà più ambizione retorica, noi lo ascolteremo con maggior piacere: infatti ora sono stato privato di gran parte del piacere dalla condizione dei miei concittadini, se è vero che hanno bisogno di esortazioni per la loro salvezza.» (Cydones, Correspondance, ep. 262, p. 170, ll. 48, 90-94).

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spiccò poi, prendendo il testimone di consigliere imperiale, Manuele Cri-solora23.

Quest’ultimo, che si era formato all’attività diplomatica seguendo il maestro in missione a Venezia nel 1390-91 e ipotizziamo avesse svolto un’attività di insegnamento retorico e di studio erudito all’interno della sua cerchia, lavorò al successo del progetto politico di unificazione delle due Chiese cui Cidone aveva dedicato l’intera esistenza solo negli ultimi anni di vita, compiendo un percorso idealmente opposto, in quanto passò alla politica religiosa solo dopo il fallimento degli sforzi in quella intellettuale-culturale. Crisolora, proprio in virtù dell’alta formazione retorica che il suo essere membro dell’establishment gli aveva garantito, era altamente cosciente di quale fosse la merce di scambio più preziosa di cui disponeva Bisanzio con l’Occidente contro i Turchi: il patrimonio cul-turale ellenico. Per questo motivo era terrorizzato dal fatto che potesse essere trascurato, come si è letto sopra. E proprio quando ormai, forte del prestigio conquistato in Italia e conscio di come il suo progetto non stesse dando in tempi brevi i frutti sperati, pur continuando a dedicarvi energie si volgeva di nuovo anche alla promozione della politica religiosa del suo mentore in preparazione del concilio di Costanza, all’apertura del quale improvvisamente morì, nella lunga lettera-commento descri-veva all’imperatore le linee che dovevano guidare la politica di Costan-tinopoli e alle quali aveva ispirato la sua attività. Nell’esprimere, come già si è evidenziato, i propri timori per il decadimento culturale interno dello Stato bizantino, con tutte le sue possibili conseguenze, suggeriva, insistendovi molto a lungo: «bisogna non solo aver cura di onorare <gli uomini di cultura> presenti, ma anche provvedere perché ve ne siano altri simili: infatti tutte le vicende umane e mortali si salvano nel ricam-bio, cosa che accadrà certamente anche attraverso gli onori per i viventi. A tal fine è necessaria una tua cura personale, un invito di insegnanti e genitori e ragazzi a questo sforzo e un’attenzione ai giovani, politi-che che gli altri Stati compiono, e anche il nostro un tempo compiva, quando le cose andavano bene anche per noi, mantenendo a spese pub-bliche maestri e alcuni allievi, provvedendo a connazionali e stranieri»24. Crisolora, che aveva in mente i notevoli investimenti economici in quel momento profusi dalle élite politico-culturali delle più potenti e influenti

23 Per la ricostruzione di questa cerchia/scuola è utile l’introduzione e la prosopografia alle lettere di Demetrio Cidone e a quelle di Manuele Caleca (G. Cammelli (ed.), Correspondance par Demetrius Cydones, Paris 1930, R. J. Loenertz (ed.), Demetrius Cydones: Correspondance, Città del Vaticano 1960, R. J. Loenertz (ed.), Correspondance de Manuel Calecas, Città del Vaticano 1950), unitamente ai dati più recentemente presentati in AA. VV., Manuele Crisolora e il ritorno, e D. Bianconi, Tessalonica nell’età dei Paleologi. Le pratiche intellettuali nel riflesso della cultura scritta, Paris 2005, pp. 227-242.

24 Patrinelis, p. 118, ll. 19-22.

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città italiane per la ripresa degli studi classici e il recupero della cul-tura antica, non insisteva sulla necessità di concrete politiche di soste-gno alla cultura solo per una difesa di casta o perché le letture colte insegnino a vivere secondo virtù, ma soprattutto perché «l’aumento numerico di uomini privi di scrupoli è causa di mali per il popolo e la politica, quello di uomini acculturati procura soccorso e vantaggio: il contributo di uomini saggi e colti è un fattore di nobiltà per il popolo e lo Stato»25. Dietro queste parole, in apparenza scontate e, se si vuole, anche un poco presuntuose e inutili in un momento di drammatica emer-genza, si intravede il vero piano di Crisolora. Perché gli uomini di cul-tura erano una eu)genei/a? Come potevano offrire boh/qeia (termine tipico del gergo militare) e w)fe/leia? Certo, potevano insegnare ad amare la patria e a morire per essa e potevano spiegare alle élite politiche del futuro come essere uomini virtuosi e moralmente retti. Ma non si trat-tava solo di dare questo suggerimento universalmente valido in qualsiasi periodo storico. Si trattava di conservare, perpetuare, metter in luce e sfruttare quel tesoro che Bisanzio possedeva: un tesoro fatto di eruditi che non avevano mai, per mille anni, abbandonato la conoscenza e lo studio dell’eredità classica, percepita come bagaglio fondamentale per l’essere bizantino, in grado di illuminare e sostenere la cultura cristiana e la vita presente, e che ora potevano e dovevano mostrare alle ricche città d’Occidente, che tanto si affannavano e spendevano per recuperare quel bagaglio, che cosa Bisanzio conservasse e potesse donar loro, in modo che, riconosciuta la superiorità culturale di Bisanzio e ricordate le comuni origini antiche di Latini e Romei, essi comprendessero la neces-sità di salvare quella Costantinopoli, “seconda e nuova Roma”, sintesi tra antichità greca, diritto romano e fede cristiana, memoria culturale di un Occidente che voglia dirsi umanistico. Crisolora non avrebbe potuto illu-strare più chiaramente il concetto, quando, nell’esortare il popolo bizan-tino (ormai quasi Nazione ellenica) a combattere per la sopravvivenza, scriveva: «Ricordiamo di quali uomini siamo i discendenti, ossia, se si vuole dei primi e più antichi, cioè i venerati antichi Greci, oppure, se si preferisce, dei nostri antenati nati dopo di loro, gli antichi Romani, da cui ora prendiamo nome e che crediamo di essere, al punto da aver perso quasi l’antica denominazione; anzi questi due popoli si sono fusi in noi e, sia che si voglia chiamarci Greci sia che si scelga Romei, siamo sempre

25 Patrinelis, p. 118, ll. 15-18. La sensazione di inarrestabile decadenza culturale di Bisanzio, la lamentela della scarsità di attenzione al fattore culturale e la conseguente richiesta di fondi per la propria attività dotta sono temi ricorrenti nella epistolografia del Trecento, come ben dimostrò I. Sevcenko, The decline of Byzantium seen through the Eyes of Its Intellectuals, «Dumbarton Oaks Papers» 15 (1961), pp 169-186, ma l’originalità del discorso crisolorino sta nella trasformazione di questa generica lamentela e senso di frustrazione in una proposta politica concreta fondata proprio sullo sfruttamento degli uomini di cultura dentro e fuori Bisanzio, come ora vedremo.

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noi, che conserviamo la successione di Alessandro e dei suoi antenati». Quindi i bizantini sono gli esponenti di quell’impero nel quale son con-fluiti uomini greci e romani, cultura greca e latina, e nel quale sono cul-minate le due espressioni imperiali greca e romana, quella di Alessandro e quella di Cesare. E continuava di seguito: «Ricordiamo quegli antenati e rifiutiamo di piegarci alla feccia, in particolare ai nemici della vera fede, anzi presentiamoci tali da non piegarci loro, perché, finché saremo pochi e deboli, è inevitabile essere resi schiavi e subir danni dai più forti, e anche finché saremo divisi gli uni dagli altri»26. Ecco venire pienamente in luce il progetto politico, che è culturale e religioso insieme, cui mira tutto il discorso e tutta l’attività di Crisolora: promuovere in Occidente e in Oriente la conoscenza delle comuni origini culturali e identitarie, sul piano profano e sacro, al fine di superare le divisioni. Il testo si illumina grazie al cenno agli infedeli Turchi e a quella divisione, quasi un lapsus o un’aggiunta venuta dal cuore, che altro non può essere se non un rife-rimento alla drammatica lontananza tra impero d’Oriente e d’Occidente, dovuta a diffidenze, incomprensioni e inutili rivendicazioni di primati, le cui origini apparivano ormai nebulose27.

A questi ideali e a questo progetto, che trovavano radicamento e sostanza in un lucido pragmatismo, capace di sfruttare una cultura apparentemente lontana, puramente astratta e fine a se stessa per un pre-ciso obbiettivo politico, Crisolora dedicò la propria vita, o, perlomeno, quella parte che noi conosciamo. Solo se si inserisce in questo progetto si può comprendere perché un uomo del suo peso politico e istituzionale in patria (consigliere, diplomatico e amico dell’imperatore) abbia accettato di insegnare i rudimenti della lingua greca in modo sistematico a Firenze per tre anni e poi a titolo privato e nei ritagli di tempo a Pavia, Milano e Roma. Si spiegano anche le letture scelte per i suoi studenti, con quel silenzio sui Padri della Chiesa e i testi religiosi, che potevano rinnovare le antiche ostilità e incomprensioni dei Latini cattolici contro l’ortodossa Bisanzio, e l’insistenza invece sulle Vite plutarchee, che meglio e più di ogni altro scritto antico aveva mostrato la consonanza e l’unità tra i due mondi28. Si spiega la sua partenza anticipata da Firenze rispetto ai ter-mini del contratto: probabilmente non fu determinata da dissapori sorti con Salutati o altri dirigenti della Repubblica per le disquisizioni sul

26 Patrinelis, p. 117, ll. 4-18.27 Il carattere innovativo del progetto crisolorino, fondato sull’elemento culturale più che sul

piano teologico, emerge dal confronto con i piani di mediazione diplomatica e religiosa elaborati nel corso del Trecento, che son stati ben delineati in AA. VV., Greeks.

28 Questa proposta interpretativa sulle letture sottoposte da Manuele Crisolora ai suoi studenti si deve a J. Hankins, Chrysoloras and the Greek Studies of Leonardo Bruni, in AA. VV., Manuele, pp. 178-181.

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primato di Greci o Latini in merito a questioni culturali antiche (spia comunque di incomprensioni di fondo tra le due realtà), bensì dall’es-sersi accorto che la sua “missione segreta” non stava dando i frutti sperati, visto che gli umanisti fiorentini si dedicavano alla letteratura greca antica, ma non a salvarne quel custode, Bisanzio, che gliela stava “generosamente” restituendo. Crisolora per più di un decennio si mosse su più fronti per salvare la sua patria, fra speranze e delusioni, senza mai arrendersi: missioni diplomatiche, libelli di propaganda culturale (la Synkrisis29 e la stessa lettera all’imperatore devono essere letti in questo senso), collaborazione alla preparazione di concili per la riunificazione delle due Chiese30. E se in privato si abbandonò talora allo sconforto di fronte al fallimento continuo di tutti gli sforzi, come quando, scrivendo al fratello Giovanni, diceva «Di qui (Roma, ndr) appare chiaro ciò che sappiamo dalle storie, che questa città anticamente era abitata non meno da Greci che da Italici […], ma ora, quando c’era bisogno, ed era più che mai necessario che fossero uniti, che cosa ha diviso i due popoli? Che cosa, dopo la concordia che è sopravvenuta non solo nei costumi, ma anche nelle anime e nel modo di pensare, mentre tanti sono i vincoli che li congiungono, e , se vuoi, mentre li unisce un patrimonio tanto grande, la fede in Dio, li ha persuasi a non riconoscersi l’uno nell’altro…?»31, in pubblico proseguiva inesorabile nel suo piano e commentava speranzoso l’entusiasmo con cui il suo discepolo Guarino aveva accolto quel testo di nascosta propaganda culturale-politica che era la Synkrisis, dopo aver sottolineato come il suo pupillo fosse divenuto edotto nelle lettere greche: «ti rendo moltissime grazie per ciò che hai scritto su quell’opera e per il tuo giudizio su me e la città (Costantinopoli, ndt) e per ciò che vai dicendo al suo proposito; ti ringrazio perché, volendole bene e parlandone bene, hai posto i germi della sua lingua; ti ringrazio perché vedo che i suoi germi impiantati in te trasmettono a molti le lettere…32». Ancora nel gennaio del 1412, a più di un anno dalle parole di sconforto rivolte al fratello, Crisolora mostrava di aver fiducia nei frutti del suo lavoro

29 Il progetto politico di Manuele Crisolora è stato delineato in modo preciso e complessivo per la prima volta proprio nell’introduzione e commento a M. Crisolora, Roma parte del cielo: confronto tra l’Antica e la Nuova Roma, a cura di E. V. Maltese e G. Cortassa, Torino 2000.

30 Apripista di questa linea interpretativa fu nel 1966 I. Thomson, Manuel, pp. 76-82, ma si dovette aspettare il 2000 con l’opera di traduzione e commento della Synkrisis sopra ricordata perché l’ipotesi avesse corpo. Tuttavia manca ancora uno studio complessivo sugli intellettuali di età Paleologa (non solo Crisolora, Manuele II, Cidone e gli altri cui qui si accenna, ma anche Pletone e il gruppo di Mistrà) in cui si unifichino i vari contributi.

31 Lettera a Giovanni Crisolora (ms. Laur. 6, 20, edito da C. Billò, Manuele Crisolora: Confronto tra l’Antica e la Nuova Roma (testo, traduzione e commento), Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, a.a. 1995/96), traduzione a cura di G. Cortassa in M. Crisolora, Roma, p. 104.

32 Guarino Veronese, Epistolario di Guarino Veronese, edito da R. Sabbadini, Venezia 1915, vol. I, pp. 23-24, ep. 9.

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di persuasione culturale, poiché vedeva quanto operosamente Guarino si sforzasse di diffondere tra gli Occidentali l’amore per le lettere greche e per la città che le serbava, collaborando, forse inconsapevolmente, ai suoi piani33. Nel frattempo si accingeva a partecipare al concilio di Costanza, dove, se non fosse sopravvenuta la morte improvvisa, forse tutti quegli sforzi che già tredici anni addietro, quando la missione di Crisolora era appena all’inizio, l’imperatore sentiva vani in una lettera diretta al suo consigliere in cui invitava alla cautela nello sperare troppo34, si sarebbero concretizzati grazie al prestigio che Crisolora aveva conquistato in Occi-dente.

Il progetto crisolorino, con quei due o tre fronti aperti e convergenti, fu raccolto e proseguito da altri illustri intellettuali, anche se forse con minor intensità e con più retorica che pratica. Qui si accennerà soltanto alla linea politico-ideologica, che, nelle dichiarazioni, ispirò l’attività di

33 Si ricordi che Guarino Veronese fu maestro di greco e caro amico del nobile veneziano Francesco Barbaro, il cui amore per la cultura ellenica, infusogli dall’illustre precettore, fu all’origine di un’intensa opera di collezionismo librario, in seguito alla quale riuscì a raccogliere una vasta biblioteca di manoscritti greci, in parte cercati e copiati da dotti cretesi, con cui aveva un rapporto privilegiato grazie al ruolo di governatore della grande isola, in parte ricevuti in dono dallo stesso Guarino, che otteneva codici da Manuele II e da Isidoro di Kiev, il dotto arcivescovo impegnato a Firenze a favorire la riunificazione religiosa nel Concilio e a suscitare sentimenti filellenici con attività di promozione culturale come la copia di opere greche (non sarà un caso che Manuele II Paleologo avesse spedito anche a lui copia dell’orazione funebre per il fratello Teodoro: è evidente che lo considerasse un validissimo collaboratore alla raffinata strategia incrociata per salvare Bisanzio, per la quale vedi oltre). Sui rapporti tra Guarino, Francesco Barbaro e Isidoro di Kiev e sulla loro attività di promozione delle lettere greche, vedi soprattutto A. Rollo, Dalla biblioteca di Guarino a quella di Francesco Barbaro, «Studi Medievali e Umanistici» 3 (2005), pp. 9-28, dove si dimostra che «il Barbaro fu pronto ad aderire entusiasticamente alla metodologia culturale del maestro, impegnandosi sul fronte della difesa degli studi letterari, del recupero della tradizione classica e della divulgazione in latino delle opere greche, con l’assidua e sollecita assistenza di Guarino» e si prosegue a dimostrare come «con quei libri (Synkrisis di Crisolora insieme ad altre opere del maestro, testi classici copiati da Isidoro di Kiev, testi copiati o fatti copiare da Isidoro, ecc.; ndr) il Veronese dovesse in qualche modo ricambiare gli amici della loro generosa ospitalità» (pp. 14-15).

34 Nella lettera del gennaio-febbraio 1401 da Londra a Manuele Crisolora, che allora era impegnato nel suo progetto di promozione della cultura greca in Italia, Manuele II Paleologo, che stava viaggiando per ottenere alleanze dai principi d’Occidente, scriveva con lucidità: «dopo quella prima lettera (ep. 37, Parigi, estate 1400, accoglienza favorevole, ndt) vedrai che non ve ne saranno molte, e non lunghe, e che io stesso che le invio non ti esorterò mai alle sole speranze, bensì sarò felice della vista reale delle cose sperate», in quanto si accorgeva già che, nonostante il tempo trascorresse, non giungevano frutti sostanziosi dalle politiche discusse tra i due nelle numerose lettere cui allude subito dopo e che ciò poteva aver generato nel suo consigliere disillusione: «Trascorso ormai tempo e giunte a te molte lettere da parte mia che discutevano di altre faccende, senza far menzione di alcun esercito o altri soccorsi con i quali è possibile che lo Stato si salvi, credo tu abbia sulle labbra il proverbio “asce sono i tesori”, ma tali pensieri forse valgono per te…», attribuendo evidentemente a Crisolora meno fiducia e tenacia di quanta poi dimostrò. (da Manuel II Paleologus, The Letters, ep. 38, pp. 100-103, ll. 7-15). Il viaggio in Gran Bretagna sembrò fruttuoso all’imperatore per la promessa del re di aiuti concreti cui allude alla fine della presente epistola con rinnovata baldanza, ma le promesse non si concretizzarono mai. Per una rapida panoramica sulla politica di alleanze di Manuele II Paleologo vedi l’introduzione di Chrysostomides a Manuel II Paleologus, Funeral, pp. 5-13 e l’articolo di C. Dendrinos, Manuel II Paleologus in Paris (1400-1402): Theology, Diplomacy and Politics, in AA. VV., Greeks, pp. 397-422.

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Teodoro Gaza e Demetrio Calcondila35, sia per la fama di cui godettero questi due personaggi sia perché nelle loro parole ed azioni (soprattutto per il primo) si percepisce un reale senso patriottico e scopo politico, che risulta molto più effimero in altri, importantissimi anche se meno noti, rifugiati greci in Europa che ricoprirono le cattedre di eloquenza e filo-sofia greca nelle più prestigiose sedi d’Italia. Prima di iniziare quest’ul-timo capitolo del nostro viaggio, è necessario fare una precisazione. Con questi due eruditi l’asse temporale si sposta nella metà del XV secolo e giunge, con il secondo, sino agli inizi del XVI. Ciò comporta un cam-biamento di prospettive ed esigenze negli intellettuali bizantini, che si configurano oramai non più come diplomatici in missione in Occidente, ma come veri e propri esuli alla ricerca di rifugio e sistemazione, ben consci di quanto il loro patrimonio culturale potesse essere merce di scambio favorevole per degne offerte di lavoro, alloggio e considerazione. L’attività della maggior parte di questi maestri bizantini in Italia, e poi anche in Europa, è ricollegabile primariamente, e in misura crescente con l’andare del tempo, a bisogni personali più che a intenti patriottici di “conversione” degli umanisti alla causa di Costantinopoli, tanto che contrattavano spesso a lungo stipendi e sistemazioni e lamentavano la propria difficile situazione finanziaria, a seguito della quale dovevano cercar protezione in cambio dell’assolvimento di attività erudite di vario genere (copia, edizione, sistemazione per la stampa, collezione di testi e codici)36. Tuttavia, fatta questa necessaria precisazione, è indubbio che

35 Per la biografia di Teodoro Gaza vedi D. J. Geanakoplos, Theodore Gaza, a Byzantine scholar of the Paleologan Renaissance in the Early Italian Renaissance, in Costantinople, pp. 68-91; per bibliografia vedi P. Botley, Learning, pp. 14-25. Per un profilo di Demetrio Calcondila si faccia riferimento a D. J. Geanakoplos, The career of the Byzantine Humanist Demetrius Chalcondyles at Padua, Florence and Milan, in Interaction of the “Sibling” Byzantine and Western Cultures in the Middle Ages and Italian Renaissance (330-1600), New Heaven and London 1976, pp. 231-254; per bibliografia recente, vedi P. Botley, Learning, pp. 34-36.

36 Per una panoramica sulle figure più rilevanti di maestri greci del XV secolo (biografie, insegnamento, rapporti con potenti e scolari occidentali) vedi soprattutto: N. Wilson, From Byzantium; D. J. Geanakoplos, Costantinople, parte I, pp. 3-133; J. Harris, Greek Emigrés in the West 1400-1520, Camberley 1995. Assai interessante è notare come dalle biografie di eruditi greci in D. J. Geanakoplos, Bisanzio, emergano nel passare degli anni e nello scorrere delle generazioni profili di eruditi sempre più interessati al proprio benessere economico e/o alla diffusione disinteressata delle lettere greche classiche e sempre meno convinti o attivi nel sostenere la causa nazionale. Se Arsenio Apostoli è tutto preso da ambizioni personali, nel padre Michele si scorge un’attività concreta e appassionata di promozione della crociata contro i Turchi e di trasmissione della sapienza greca, legata però ai propri cogenti bisogni economici e alla convinzione di una propria innegabile superiorità culturale, senza la presa di coscienza dell’utilità della cultura come merce di scambio per la causa bizantina e senza la comprensione reale delle richieste culturali degli umanisti occidentali (vedi la sua proposta inattuabile di una scuola di greco in greco, che trapiantasse a Venezia le modalità di insegnamento bizantine, che si fondasse sulla enkyklios paideia al fine di parlare e scrivere correntemente in greco!). Nel proseguo degli anni, Zaccaria Calliergi si premurerà solo di promuovere la diffusione dei testi greci, mentre Marco Musuro, il più grande maestro ed editore del Rinascimento, artefice dell’Umanesimo europeo, nel suo Inno a Platone (1513, premessa alla princeps aldina dell’opera omnia di Platone curata da Musuro: Opera omnia Platonis, Venetiis, A.

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in questi intellettuali il legame con la madrepatria lontana e travagliata resti forte e che nelle loro parole e azioni si percepisca non solo una nostalgia dai toni più o meno retorici, ma anche e soprattutto un tenta-tivo di lavorare per portare avanti quel progetto intrapreso all’epoca di Crisolora e mai sospeso per una salvezza (ormai riconquista) dell’impero bizantino, ogni giorno più improbabile e utopica37.

Teodoro Gaza (ca. 1400-1475) fu uno dei maestri ed eruditi bizan-tini di maggior prestigio in Italia nel XV secolo, apprezzato e onorato per la sua attività di insegnamento (la sua grammatica sarà il testo più frequentato nel XVI secolo in Nord Europa) e di traduzione di classici e testi filosofici greci a Ferrara, Roma e Napoli. Fu studente e mae-stro di Vittorino da Feltre, poi segretario di papa Niccolò V, animatore della sua cerchia umanistica (che annoverava, tra gli altri, Poggio Brac-ciolini, Lorenzo Valla, Nicola Perotti, Jacopo da Cremona), infine pro-tegé del potente cardinale Bessarione, capofila del progetto congiunto di riunificazione delle Chiese e salvezza e diffusione delle lettere greche in Occidente. I suoi incarichi e le sue amicizie sono chiaro segno del pre-stigio che Gaza conquistò in Italia e dell’influenza che fu in grado di esercitare sugli umanisti di seconda generazione e sulle potenti gerarchie ecclesiastiche romane. Tutta la sua vita pubblica e la sua intensa atti-vità erudita possono essere interpretate in chiave di sostegno alla causa bizantina presso gli umanisti. Da un lato, Gaza sembra aver profuso molte energie alla promozione del progetto di riunificazione delle due Chiese, per promuovere il riavvicinamento e il ritorno alla concordia tra Oriente e Occidente; tradusse anche a questo scopo opere aristote-liche, commentari neoplatonici e opere dei Padri della Chiesa sia prima del concilio sia dopo, all’interno della cerchia di papa Niccolò V, dove la sua attività poteva avere un’influenza ancor più rilevante e si inserì nella controversia tra platonici e aristotelici, con l’intento di conciliare i due punti di vista tramite le antiche posizioni neoplatoniche e favorire così anche sul fronte filosofico “laico” la consonanza tra posizioni occi-dentali e orientali apparentemente distanti38. La passione con cui Gaza

Manutius e A. Torresano, Septembri 1513), tramite l’illustre avo, da un lato cercava di esortare il papa umanista Leone X Medici a indire una crociata contro i Turchi e tentava di risvegliare le nazioni occidentali e la gioventù ellenica, dall’altro descrivendo ed elogiando per la captatio benevolentiae la Scuola d’Atene nata a Roma (scuola di greco alla corte papale diretta da Giano Lascaris) dimostrava più o meno consapevolmente che oramai la Grecia aveva cambiato sede e quell’affresco di Raffaello nei Palazzi Vaticani altro non immortalava che la rinuncia degli Occidentali a riscattare l’impero d’Oriente con le armi, perché il suo spirito apparteneva ormai all’Occidente.

37 Sul rapporto tra i maestri di greco in Italia e il tentativo di riunificazione delle due Chiese a scopi politici si faccia riferimento ai saggi raccolti in D. J. Geanakoplos, Interaction, part II (pp 172-295).

38 J. Monfasani, L’insegnamento di Teodoro Gaza a Ferrara, in AA. VV., Alla corte degli Estensi: filosofia, arte e cultura a Ferrara nei secoli XV e XVI. Atti del Convegno Internazionale di Studi

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perseguiva questa causa emerge in molte testimonianze, ma qui basterà citare una lettera dell’ottobre 1451 ai fratelli Andronico e Callisto, ancora residenti a Costantinopoli, con cui l’erudito accompagnava la propria traduzione in greco della lettera di risposta di Niccolò V alla richiesta d’aiuto dell’imperatore Costantino XI Paleologo contro i Turchi. Nell’e-pistola di accompagnamento, il dotto esprime tutto il proprio sdegno per le difficoltà e l’ostruzionismo che molti suoi compatrioti stavano oppo-nendo alla riunificazione delle due Chiese, in quanto era cosciente che tale atteggiamento avrebbe condotto alla catastrofe: «temo che parlino di teologia per la cattura delle città superstiti e l’asservimento di donne e bambini e scrivano testi in opposizione alla Chiesa dei Romani: una volta che abbiano distrutto e respinto l’unico soccorso che hanno la pos-sibilità di ottenere dalla Chiesa stessa e dalle genti europee raccoltevi intorno, cos’altro bisogna aspettarsi se non l’annientamento totale?»39. Parole drammatiche, che riecheggiano quella previsione di scomparsa e annientamento del popolo e delle lettere greche che già quarant’anni prima intravedeva Crisolora. Gaza proseguiva esortando i fratelli alla promozione in patria di un movimento di opinione favorevole alla riu-nificazione, convinto di essere al crocevia della storia, visto che non ci sarebbe più stato un pontefice romano tanto favorevole alla causa greca (e sul quale, aggiungiamo noi, Gaza potesse esercitare tanta pressione): «ora, infatti, è il momento di tali azioni (alleanza con Roma ai fini di lotta contro i barbari, ndt). Guida la Chiesa un uomo sempre grande in pensieri e azioni, acuto nello scorgere le necessità e capace a governare, ammiratore della virtù e delle gesta degli antichi Romani, tanto amante dell’Ellade che, qualora veda che ci troviamo d’accordo sulle questioni legate al culto, farà subito di tutto per liberare le città greche…»40. Nel passo si noti l’accenno al filellenismo e amore per l’antico del pontefice: è chiara dimostrazione di come il tentativo di salvare Bisanzio tramite la politica pro-unionista fosse inscindibilmente legato alla politica di attra-zione esercitata sugli umanisti occidentali per il recupero dell’antica cul-tura greca. Niccolò V era papa, ma era anche umanista e letterato e non poteva, in quanto tale, non sentire il richiamo delle lettere greche, per la cui conoscenza continuavano ad essere fondamentali le attività erudite

(Ferrara, 5-7 marzo 1992), Ferrara 1994, pp. 5-17 ha smentito la credenza di una partecipazione di Gaza al concilio di Firenze-Ferrara sulla base di una solida documentazione e ha sostenuto che furono interessi di medicina e filosofia scolastica a portarlo in Italia e a orientarne le prime traduzioni. Tuttavia mi pare che l’epistolario dimostri un indubbio coinvolgimento nelle questioni politiche del tempo e che gli studi del Gaza siano stati guidati, almeno dall’epoca di Ferrara, anche dalla convinzione di star lavorando alla causa della salvezza dell’impero tramite una campagna di sensibilizzazione dei Latini alla vicinanza culturale e filosofica dei Greci.

39 Da Teodoro Gaza, Epistulae, ed. a cura di P. L. Leone, Napoli 1990, ep. 4, ll. 19-25.40 T. Gaza, Epistulae, ep. 4, ll. 37-43.

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svolte in Occidente dai maestri bizantini e i tanti codici ancora conservati in Oriente. E Gaza fu innanzitutto maestro: lo fu per necessità, ma anche e soprattutto per missione politica. Lo si evince con chiarezza dalla pro-lusione con la quale inaugurò il suo corso di greco allo Studium di Fer-rara41. In questo primo discorso del genere superstite, il dotto bizantino dichiarava in perfetto latino la necessità e l’utilità della conoscenza delle lettere greche da parte degli occidentali, con riferimento a quella antica unità tra Greci e Latini, sulla quale tanto aveva insistito Crisolora ai fini di un riavvicinamento tra i due mondi, e a quel debito culturale che i Latini ebbero nei confronti dei Greci e che allora tornavano a contrarre per potersi riappropriare del proprio patrimonio non solo letterario, ma anche storico, politico, scientifico e filosofico42. Gaza, parlando davanti alle élite politico-culturali del nord Italia, in quella breve prolusione mise l’accento proprio sull’elemento del debito: implicito resta che per pagarlo fosse necessario salvare il luogo che aveva conservato quel patrimonio e il popolo che lo stava generosamente restituendo alla conoscenza dei Latini. I Greci stavano costruendo un credito presso i Latini; i Latini potevano saldare il proprio debito culturale con l’azione politica. Ovvia-mente il tema restava velato e sottinteso tra le pieghe della retorica, ma il passo in avanti di chiarezza rispetto a Crisolora è evidente: questi si fermava a una sottile opera di persuasione delle menti sull’unità di Greci e Latini, perché fosse poi l’entusiasmo nel leggere le pagine dei Greci e l’adesione personale e spontanea all’ideologia plutarchea a spingere in modo autonomo i Latini verso l’aiuto politico a una Bisanzio carica di tanti meriti; invece Gaza, di fronte all’urgere della situazione, rendeva più esplicito il passaggio, inserendo il tema del debito, senza però riferi-menti all’attualità politica, di cui si occupava in altra sede; Calcondila, suo discepolo, di fronte a Costantinopoli in mano turca e una situazione ormai disperata, chiuderà il cerchio con un prolusione quanto mai espli-cita sulla politica svolta in quel secolo dagli eruditi greci. Pian piano, però, con il trascorrere degli anni e l’irreparabile aggravarsi della situa-zione bizantina, Gaza comincerà a rassegnarsi. La rapida lettura del suo epistolario43 evidenzia come il vecchio maestro lavorasse sempre più perché i Greci e la loro cultura potessero trovare una buona nuova patria

41 Per il testo latino vedi Gercke, Teodorus Gazes, 3-9.42 L’attività di traduzione e promozione di testi greci del Gaza coprì opere scientifiche, come

Ippocrate, il De animalibus e il De caelo di Aristotele, il De plantis di Teofrasto, svariati testi filosofici aristotelici e neoplatonici, in modo tale da far pressione su tutte le categorie di intellettuali occidentali; inoltre egli tradusse in greco opere della letteratura latina al fine di promuovere il mondo latino e la sua cultura tra i propri compatrioti (Somnium Scipionis, De senectute, opere di Claudiano).

43 Vedi anche il riassunto e commento dell’editore P. Leone nell’intervento Le lettere di Teodoro Gaza, in AA. VV., Dotti bizantini e libri greci nell’Italia del secolo XV. Atti del Convegno internazionale, Trento, 22-23 ottobre 1990, Napoli 1992, pp. 201-218.

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in Occidente, in linea con il programma di collezionismo librario del suo protettore Bessarione, determinato a salvare dalla dissoluzione il patri-monio culturale ellenico a beneficio più dell’identità e della memoria dei Greci fuoriusciti che degli umanisti latini, per evitare quello smarrimento del sé più fatale di qualsiasi annientamento politico44.

A conclusione di questo itinerario troviamo Demetrio Calcon-dila (Atene 1423 – Milano 1510), gigantesca figura di erudito e maestro che dominò lo scenario degli studi greci in Italia nella seconda metà del Quattrocento: intensa e lunghissima l’attività di insegnamento, che lo vide primo professore ufficiale all’Università di Padova (1463-’72) con corsi di greco elementare e avanzato (poesia e retorica), successore di Argiropulo allo Studium fiorentino per filosofia e letteratura greca (1473-’89), professore a Milano (1490-1510) sulla cattedra che era stata del Lascaris; celebre e importante l’attività di editore per testi a stampa, di cui si ricorda, solo a titolo esemplificativo, la prestigiosa ed elegante princeps fiorentina di Omero (1488), la princeps milanese di Isocrate e quella aldina del lessico della Suda45; formò generazioni di umanisti, politici, scienziati e filosofi d’Italia e d’Europa, da Piero Medici a Wil-liam Grocyn, da John Reuchlin a Andrea Brenta a Baldassarre Casti-glione; collaborò con Poliziano, Landino, Filelfo, Palla Strozzi. Nelle due prolusioni di inaugurazione ai corsi del 1463 e 1464 a Padova46, i suoi primi corsi ufficiali di lingua e letteratura greca, Calcondila, nella scia dei temi già topici di simili discorsi d’inaugurazione, si concentrò sull’uti-lità dello studio della lingua greca ai fini di una migliore e più profonda conoscenza della letteratura latina, della storia, della medicina, della filosofia aristotelica, perché «è noto che i Latini hanno ricevuto ogni disciplina delle arti liberali dai Greci e che i Greci furono promotori di tutte queste arti…; si ritiene giustamente che i Latini abbiano eccelso sugli altri popoli tanto in ogni tipo di sapere quanto anche nell’arte della guerra perché hanno seguito costoro [i Greci, ndt]…». Si dichiara quindi in modo esplicito il debito culturale dei Latini nei confronti dei Greci, un debito che già gli stessi antichi romani seppero riconoscere, come Cal-condila dimostra citando Cicerone, Favorino, Orazio. Un debito che i

44 Sul graduale formarsi di una coscienza nazionale ellenica tra gli esuli vedi D. J. Geanakoplos, The Greeks of the Diaspora: The Italian Renaissance and the Origin of the Modern Greek National Consciousness, in Interaction, pp. 172-200.

45 Per ulteriori informazioni sulle prime opere a stampa curate da Calcondila vedi anche P. Botley, Learning Greek In Western Europe 1476-1516, in AA. VV., Literacy, education and manuscripts transmission in Byzantium and Beyond, Leiden-Boston-Koln 2002, pp. 199-223 e E. Layton, The Sixteeenth Century Greek Book in Italy. Printers and Publishers for the Greek World, Venice 1994.

46 Per informazioni e commento dettagliato vedi D. J. Geanakoplos, The Discourse of Demetrius Chalcondyles on the Inauguration of Greek Studies at the University of Padua in 1463, «Studies in the Renaissance» 21 (1974), pp. 118-144. Per il testo latino vedi D. J. Geanakoplos, Interaction, pp. 296-304. Per la traduzione inglese ibidem pp. 254-264.

136 - Erika Nuti

Latini contemporanei sono costretti a rinnovare, apprendendo le lettere greche dai maestri bizantini, se vogliono comprendere appieno tutte le arti liberali in cui si sono eruditi sui testi latini. Sebbene la prolusione del 1463 insista soprattutto sulla dimostrazione di queste asserzioni, essa si conclude con un’esplicita dichiarazione del debito politico che i Latini stavano in quel momento contraendo con i loro maestri bizantini e che in passato contrassero con l’esercito di Giustiniano giunto a liberarli dai Goti: «Come in ogni modo essa (la Grecia) aveva erogato loro (ai Latini) senza alcun risparmio e generosamente tutti i suoi preziosissimi e utilis-simi beni e aveva restituito l’Italia oppressa dai Goti alla propria condi-zione di sua iniziativa e con il valore delle armi, così ora vogliano risol-levare <la Grecia> prostrata e afflitta e liberarla con le armi dalle mani dei barbari…. alla salvatrice renderà grazie in eterno in cambio di tale beneficio»47. Ormai è finito il tempo delle allusioni e, di fronte allo stato dirigente di Venezia, la città che più poteva avere interesse in Europa a salvare Bisanzio per garantire i propri affari nell’area, Calcondila fa un esplicito appello, premendo sul debito anche militare contratto in passato ma soprattutto sul debito culturale che i Latini hanno verso i Greci e che costoro, come ringraziamento, continueranno generosamente a offrirsi di colmare. È l’appello con cui si chiude il cerchio di un progetto politico durato oltre settant’anni e che, quando ormai tutto è perduto, diventa esplicito. L’appello sarà inutile e Calcondila pare accorgersene, visto che già nella prolusione dell’anno successivo, quasi una fotocopia di quella del 1463, manca significativamente solo questo elemento di digressione politica. Egli, che già forse poco vi credeva e che, pur allievo di Gaza, si occupava più di salvare la cultura greca per se stessa che di diffonderla a scopi politici, si rese conto che la Grecia e la sua cultura ormai potevano sopravvivere in esilio e che conveniva adoperarsi per questo scopo solo culturale piuttosto che inseguire vane chimere di salvezza militare.

Calcondila può essere considerato l’ultimo fondamentale traghetta-tore della cultura greca da Bisanzio in Occidente e colui che portò a com-pimento la storia del ritorno delle lettere greche in Europa, decretando la definitiva salvezza di queste e assistendo inerme e, forse, abbastanza disinteressatamente alla definitiva caduta di Bisanzio. Di quel progetto di “prestito” della cultura greca in cambio della salvezza dello Stato bizan-tino rimase la salvezza della sua essenza ed identità, ossia quella cultura greca classica indispensabile per la comprensione del proprio passato e presente culturale in armonia con la fede cristiana e le istituzioni di deri-vazione romana. Si salvò tutto ciò che i Greci per un millennio avevano

47 Traduzione dal testo latino edito da D. J. Geanakoplos, Interaction, estratti da p. 297, incipit oratio, e da p. 300.

Salvezza delle lettere greche - 137

preservato, studiato e proseguito: scienza, lettere, storia, filosofia. Perì lo Stato e l’impero che ne era stato la culla, mentre un’altra regione, l’Eu-ropa occidentale, ne diveniva nuova custode e cultore, perché assetata in quel secolo di straordinaria Rinascita molto di cultura e assai poco di guerra. Tacevano e arrugginivano le armi dei signori d’Occidente, si salvavano libri e tesori d’intelletto, mentre Costantinopoli cadeva sotto le sciabole sempre lucenti di Maometto II. E se il progetto in cui aveva creduto Crisolora svaniva, non si avverava però la sua paura che la cul-tura e i libri degli antichi geni sparissero per sempre. Quel disperato lavoro degli eruditi bizantini che sognavano la pace per la promozione del benessere e della crescita dello Stato ed erano costretti a lavorare per armare i propri concittadini tramite l’esportazione della propria cul-tura e la sottomissione della propria identità religiosa produsse un effetto inaspettato. La pace e le lettere si affermarono, le armi tacquero. Non a Bisanzio, ma in nuova patria, prosecutrice nello spirito delle antiche e precedenti, rinnovata dall’esser crogiuolo e incontro di due mondi e due culture che nel loro lungo periodo di separazione si erano arricchite di nuove identità e nuovi spiriti, grazie alla politica inconsapevolmente illu-minata degli ultimi grandi umanisti bizantini.