S. Leucio. Il Belvedere

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Il tenimento di S. Leucio, il cui toponimo trae origine dalla presenza di una cappella citata perla prima volta in una bolla vescovile del 1113, era parte integrante della vasta proprietà della fa-miglia Acquaviva, feudataria della città di Caserta dal 1509, che dai giardini della residenza nel ca-sale della Torre (identificabile oggi nel palazzo Vecchio) si estendeva verso nord-ovest inglobandoanche il palazzo del Boschetto1. Oltre ad una serie di fondi agricoli e boschivi, la pertinenza leu-ciana comprendeva il cosiddetto casino del Belvedere, localizzato ai margini meridionali della pro-prietà e completato presumibilmente entro il primo quarto del XVI secolo da Andrea Matteo Ac-quaviva, se in un apprezzo stilato nel 1635 l’edificio è indicato come «palazzo nuovamente fatto,dove si dice a Belvedere sotto la Pendice della Montagna di Santo Lieuci»2. Dalla lettura di un ul-teriore apprezzo apprendiamo che alla residenza si accedeva attraverso «un portale grande, e ma-gnifico (…), e salendo per grada a cordoni (…) s’entra in una piazzetta», dalla quale si giungevaall’edificio principale «che si posa fra quattro torri circolari ne’ suoi quattro angoli»3. La compattacostruzione a pianta quadrata, sviluppata su tre livelli caratterizzati da ampie aperture sul paesag-gio circostante, doveva presentare le peculiarità tipiche delle ville suburbane, con eleganti giardinie vaste aree dedicate alla produzione agricola e all’attività venatoria. Dall’analisi dei due documentiè possibile ricostruire la distribuzione originaria degli ambienti interni della villa, estremamente ra-zionale: al piano terreno, destinato al personale di servizio, trovavano sistemazione la cucina, ilforno, la dispensa e la cantina; il livello superiore, raggiungibile tramite una scalinata posta in fac-ciata, era invece caratterizzato da uno stretto vestibolo dal quale si accedeva ad un salone a dop-pia altezza, ornato con «figure di buona mano». Direttamente su di esso si aprivano, simmetrica-mente, quattro ambienti di rappresentanza per lato, anch’essi riccamente affrescati4. Al primo pianodell’edificio vi erano una «galleria delle pitture», i guardaroba e le stanze riservate al principe, ol-tre ad una piccola cappella collocata al di sopra dell’atrio di ingresso e affacciata direttamente sulsalone sottostante. In ultimo, il sottotetto era interamente destinato alla servitù. Particolare atten-zione doveva essere destinata alla cura dei terreni circostanti: entrambi gli apprezzi descrivono learee ai lati dell’ingresso, «vitate di lagrime, falangina, grechi, et altri», oltre ai giardini della Log-getta e delle Cetrangole, «compartiti in labirinti altri angolari altri circolari, tutti ornati di fiori didiverse qualità, spetie, et colori intrecciati»5, dove ci si poteva intrattenere nei mesi più caldi.

Nel 1634, con la morte di Andrea Matteo, tutti beni casertani passarono alla figlia Anna ed almarito Francesco Gaetani: per il sito di S. Leucio incominciò allora un progressivo decadimento,tanto che sino alla metà del secolo successivo non fu intrapresa alcuna iniziativa degna di nota: inuna relazione stilata nel 1749, il Belvedere è infatti descritto come «bisognoso di rifazione», e stessasorte era toccata ai terreni circostanti, tanto che le vigne ed i giardini all’italiana erano stati subaf-fittati ed alterati con ulivi ed alberi da frutta6.

Nel 1750 Carlo di Borbone acquisì dal principe Michelangelo Gaetani il feudo di Caserta, «com-prensivo de’ suoi Casali, e de’ suoi corpi feudali e burgenfatici, del palazzo Boschetto, giardino, edel Belvedere»7: se nella volontà del sovrano l’area compresa tra le residenze della Torre e del Bo-schetto era destinata alla realizzazione della nuova reggia, il tenimento di S. Leucio avrebbe invecemantenuto la funzione di «riserva per la caccia ai cinghiali, e determinò di riunirlo ai parchi di Ca-

The Belvedere of San Leucio wascommissioned to be built within1635 by Andrea MatteoAcquaviva, feudal lord of the cityof Caserta. The site was acquiredby Charles of Bourbon in 1749 aspart of the works for the erectionof the Reggia, and was used as aplace for recreation and huntinguntil the mid-seventies, whenFerdinand IV wanted to turn itinto a modern enterprise for thecultivation of the silkworm, theproduction of tissues and,especially, the training of localpeople. Then, under the directionof the architect FrancescoCollecini, a pupil of LuigiVanvitelli, the building of theBelvedere was enlarged andembellished, while realizing theworking-class district of St.Charles and S. Ferdinand, alongwith a large number of ancillarybuildings. In 1789 the site wasdeclared Real Colonia, subject tostrict legislation and personallygoverned by the king, andrepresented one of the mostinteresting social experiments ofthe eighteenth century in Europe.Further extended until thebeginning of the next century,the Belvedere continued to be thefocus of the colony until theUnification of Italy, when it knewa rapid decline. Having beendeclared World Cultural HeritageSite by UNESCO and subjectedto a careful restoration, part ofthe Real Site of S. Leucio nowhouses the Faculty of PoliticalStudies of the Second Universityof Naples.

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Il Reale Belvedere di S. LeucioGiuseppe Pignatelli

serta, facendo rimanere tutto ciò che andava compreso sottoil nome di Belvedere ad uso di delizie»8. In effetti, il fondoleuciano doveva far parte di un piano omogeneamente impo-stato su scala territoriale che, pur non realizzato nella sua com-pletezza, avrebbe avuto nel Belvedere un’importante elementointegrante, collegato al nuovo palazzo con lunghi viali albe-rati chiaramente riconoscibili nei disegni vanvitelliani allegatialla Dichiarazione del 17569.

Nei primissimi anni del regno di Ferdinando, il casino fuoggetto di un primo intervento di ristrutturazione frutto diuna serie di sopralluoghi effettuati da Luigi Vanvitelli già allafine degli anni Cinquanta: secondo quanto riportato in unalettera inviata al Tanucci nel 1765, da una precedente ispe-zione il Belvedere doveva oramai presentarsi in uno stato dicompleto abbandono, tanto che Carlo, «il quale spesso colàper la caccia lo visitava, attesa la rovina delle mura esteriori,del tetto, della scala principale, interna ed esterna, aveva sta-bilito farlo smantellare, e ridurre codesta proprietà in una fa-gianara, o serraglio di diversi volatili per suo Real diverti-mento»10. Su richiesta del nuovo sovrano, il Vanvitelli fu cosìincaricato di redigere un’ulteriore relazione sulle condizionidell’edificio, nuovamente ispezionato dal figlio Carlo e daFrancesco Collecini, e giudicato in procinto di crollare11. Inbase ai suggerimenti del Regio Architetto, nello stesso annofurono avviati una serie di lavori diretti con ogni probabilitàdal Collecini, concretizzati nel rifacimento delle mura portantie nella demolizione dei torrini angolari. La lettura delle pianterilevate nel 1775 consente altresì di ipotizzare un sia pur li-mitato intervento per la riorganizzazione degli ambienti in-terni12: in fondo al salone venne allestita una piccola cappella,mentre il livello superiore fu interamente occupato dall’ap-partamento reale e dalle stanze destinate al guardiacaccia. Rien-trato fra i principali interessi di Ferdinando, a partire daglianni Settanta il sito fu così oggetto di una serie d’iniziativesupervisionate dal Collecini, destinate a modificarne definiti-vamente l’aspetto e la funzione: entro la fine del 1773 fu co-struito il recinto che avrebbe racchiuso le aree di più recenteacquisizione ed avviata la realizzazione del nuovo casino pro-spiciente la piana di Sarzano (poi denominato Casino Vec-chio), oltre al primo nucleo del quartiere della Vaccheria13.

Dagli inizi del 1776, ad uso della oramai accresciuta po-polazione, il salone grande del Belvedere fu trasformato inuna chiesa dedicata a San Ferdinando, un semplice spazio rit-mato da paraste ioniche binate poggianti su uno zoccolo or-nato da rimpelli e riquadri di stucco che sostengono una tra-beazione su cui posa una finta volta a padiglione. Il livello su-periore del casino, oggetto di un totale rinnovamento a par-tire dal 1778, continuava in ogni modo ad essere utilizzato inoccasione delle frequenti soste del sovrano, tanto che sulla pa-rete d’ingresso della chiesa vi erano «due coretti, che corri-spondono a’ regali appartamenti (…) per comodo delle MM.LL.quando vogliono assistere a questa parrocchia»14. Entro il terzoquarto del secolo l’intero sito era dunque divenuto oggetto diuna serie di interventi che se da un lato erano rivolti al puro

godimento da parte del sovrano, dall’altro riflettevano la pre-cisa volontà di organizzare una vera e propria azienda pro-duttiva, modernamente concepita su vasta scala.

A partire dal 1776, i piani di Ferdinando cominciarono tut-tavia a cambiare direzione: all’interesse per il sito legato allacaccia si sostituì progressivamente quello per la sperimenta-zione economica e sociale, per «farne un uso a’ suoi sudditiprofittevole; e poicché (…) eran gl’Individui cresciuti al nu-mero di 134, pensò S.M. stabilire una Casa di Educazione,per tutt’i fanciulli di questa Famiglia, per farli divenire probiCristiani, ed utili cittadini»15. Provvedendo all’organizzazionedi una serie d’attività per la formazione dei giovani, fu pre-disposta una piccola officina per la lavorazione delle stoffe allaVaccheria, reintroducendo l’allevamento del baco da seta giàsperimentato dal 1757 per iniziativa della regina Maria Ama-lia sulla scia d’analoghe esperienze italiane ed europee16.

In previsione del definitivo trasferimento delle manifattureal Belvedere, nel 1777 fu arricchito l’antico portale d’ingressocon i leoni marmorei ed il grande stemma borbonico; l’annoseguente i prospetti del palazzo furono interamente rimoder-nati dal Collecini con il rigido utilizzo dell’ordine gigante io-nico, e qualificati dall’alternanza di finestre con timpano e leoriginarie aperture ad arco, caratterizzanti il corpo centrale so-vrastato da un grande timpano classico. Agli inizi degli anniOttanta fu infine avviato lo sbancamento della collina allespalle dell’edificio, dando così inizio alla graduale trasforma-zione dell’antico palazzo degli Acquaviva nel fulcro di un’a-zienda produttiva modernamente concepita in modo da po-ter accogliere una serie d’attività legate non solo alla lavora-zione della seta, ma anche all’educazione e all’apprendistatodella sempre più numerosa popolazione locale. Obiettivo delsovrano, palesemente paternalistico, era insomma quello dicreare una struttura «utile allo Stato, utile alle famiglie, ed utilefinalmente ad ogn’individuo di esse»: è proprio in questi anniche si andava probabilmente concretizzando nella sua mentel’idea della «colonia», innovativo esperimento sociale originatodalla piena adesione ai dettami dell’illuminismo, e per moltiversi anticipatore delle esperienze positiviste ottocentesche17.

Oltre alla realizzazione del nuovo accesso dalla pubblicastrada, concepito dal Collecini in stretto rapporto con l’edifi-cio sovrastante e risolto attraverso una scalinata a più tese cosìcome rappresentato in due interessanti vedute coeve18, nel 1786fu avviata la costruzione dei Quartieri di San Ferdinando e diSan Carlo ai lati dell’ingresso, in previsione di un sostanzialeaumento della popolazione. Le trentasette unità abitative in-dipendenti erano basate sulla ripetizione di un doppio mo-dulo quadrato, disposte secondo un moderno schema lineareperfettamente adattabile alla morfologia del luogo: ogni abi-tazione era fornita al piano terreno di un ampio locale di ser-vizio oltre ad un vano concepito per l’uso personale del te-laio da seta, mentre al livello superiore erano organizzate lecamere da letto19. Entro il 1789 si concluse la prima fase del-l’ampliamento con la realizzazione di un organico edificio in-teramente sviluppato alle spalle del Belvedere per non alte-

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rarne il delicato rapporto con l’ambiente circostante, organiz-zato intorno ad un vasto cortile quadrangolare: dalla legendadella Pianta dell’edificio della Seta di S. Leucio20, è possibilericostruirne con esattezza l’organizzazione interna, caratteriz-zata dall’assoluta omogeneità formale tra gli ambienti desti-nati alla corte e quelli adibiti alla manifattura, poiché la fab-brica stessa doveva essere simbolo del potere regio.

L’opificio aveva dunque raggiunto un tale livello di spe-cializzazione da farne intravedere un rapido quanto felice svi-luppo, rendendo a tal punto inevitabile destinarne nuovi spaziadeguatamente organizzati. Come dichiarato personalmente daFerdinando nel ben noto statuto del 1789, il sito fu dichia-rato Real Colonia costituendosi come entità autonoma, fisi-camente (e non solo) chiusa verso l’esterno e sottoposta aduna rigida legislazione propria, garantita da una società ar-monicamente costituita sebbene governata e coordinata per-sonalmente dal re21: tralasciandone in questa sede gli aspettisocio-politici, l’esperienza leuciana rappresentò comunque un’o-perazione nuova e di ampio respiro, collocandosi di diritto tragli esperimenti più avanzati ed interessanti dell’Europa tardo-settecentesca pur nell’utopistica regolamentazione e nella ec-cessiva frammentarietà degli interventi concretizzati.

Oltre all’avvio dei lavori per la costruzione della Filanda edella cuculliera, che avrebbero reso S. Leucio un opificio se-rico a ciclo completo, con il contributo del giardiniere FeliceAbbate furono ridisegnati i giardini alle spalle del complesso,secondo rigide ripartizioni geometriche ideate dal Collecinisulla scorta di quelle del parco della reggia22; nel 1793 JacobPhilipp Hackert realizzò inoltre le pitture nella nuova sala delBagno Grande della regina, per le quali adottò la complessatecnica dell’encausto23. Nell’ottica di rendere la colonia deltutto autosufficiente, a partire dal 1794 fu infine avviata la co-struzione della Trattoria all’esterno dell’ingresso, «espressa-mente dedicata a questo uso per favore di coloro che reca-vansi o per affari, o per curiosità nel Real Sito»24.

In effetti, proprio alla fine del secolo andava configuran-dosi nella mente del sovrano un progetto di ben più ampiorespiro per la fondazione di una vera e propria città, dellaquale proprio il Belvedere sarebbe stato l’elemento caratteriz-zante25. Dell’ambizioso progetto per Ferdinandopoli, affidatoancora una volta al Collecini ma rimasto interamente sullacarta per l’aggravarsi della crisi economica, non rimane nulla;dalla dettagliata descrizione del Patturelli, poi figurata dal Bat-tisti, è tuttavia possibile delineare un rigido schema urbani-

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stico radiale basato sull’assoluta simmetria planimetrica e sul-l’omogeneità architettonica26. Una raggiera di strade rettilinee,collegate fra loro da vie secondarie concentriche, si sarebbediramata da una piazza circolare posta perfettamente in assecon il cortile centrale del grande edificio previsto attraverso ilraddoppio volumetrico del Belvedere: elemento fortemente al-legorico, la statua del sovrano posta in facciata avrebbe cosìcostituito l’ideale punto di fuga di un ben definito asse pro-spettico tra il centro della piazza e la fabbrica sovrastante27.

L’ampliamento dovette subire un brusco rallentamento acausa della delicata situazione politica e, soprattutto, deglienormi costi necessari al suo completamento; alla fine del 1799fu comunque avviato il raddoppio del Belvedere con la rea-lizzazione della nuova ala occidentale, mentre nel 1801 fu po-sta la prima pietra della nuova chiesa della Madonna delleGrazie alla Vaccheria28.

Durante il decennio d’occupazione francese, tutte le fasiproduttive furono affidate a società esterne29: nonostante l’in-certezza sulle sorti della fabbrica, si provvide in ogni modoalla prosecuzione delle opere avviate negli ultimi anni del go-verno borbonico, continuando nella realizzazione dell’ala oc-cidentale dove avrebbero trovato sistemazione le cucine, l’of-ficina per l’assemblaggio dei telai, l’incannatoio delle sete, letintorie ed una piccola cuculliera, avviando nel contempo lacostruzione della grande Filanda dei Cipressi. Consistenti fu-rono inoltre le iniziative agrarie, concretizzate nel riattamentodelle principali colture e nell’inclusione di nuovi fondi rustici,così come rappresentato in una interessante pianta databile agliultimi anni del governo francese30.

In seguito al riordino amministrativo conseguente la re-

staurazione borbonica, entro il primo quarto del secolo fu-rono completate la nuova ala e la cuculliera, provvedendo an-che alla sistemazione della collina retrostante. Già a pochi mesidalla morte del padre, Francesco I affidò alla supervisione del-l’architetto Giovanni Patturelli una serie di lavori che inciseromolto sull’organizzazione del sito, definendone per semprel’aspetto e le funzioni di moderna azienda omogeneamente in-serita nel paesaggio circostante. Se da un lato, infatti, notevolisforzi economici furono compiuti per ottimizzare ed incre-mentare la produzione industriale, dall’altro particolare atten-zione fu dedicata ai giardini circostanti e, soprattutto, all’atti-vità agricola: nel 1825 furono «ampliate e migliorate le vigne,ugualmente che le selve (…), furono rinnovati e ristaurati imuri di circuito, e finalmente venne formata un’ampia strada,per la quale dal piano del Casino di Belvedere si giunge co-modamente sino al bosco»31.

Nonostante le premesse, a partire dagli anni Trenta per lacolonia dovette incominciare un inevitabile quanto rapido de-clino: se da un lato il fallimento della gestione diretta portòalla progressiva disgregazione dell’intero ciclo produttivo, dal-l’altro maggiore attenzione fu invece riservata agli ambienti dirappresentanza. Nel 1844 gli appartamenti reali furono og-getto di un primo intervento di restauro supervisionato daGaetano Genovese, mentre dieci anni più tardi una serie dilavori ben più complessi furono avviati nei diversi ambientidel Belvedere, determinandone la definitiva configurazione cosìcome rappresentato nella pianta rilevata dall’architetto Ago-stino Minervini nel 185932.

Negli anni post-unitari, l’intero opificio fu acquisito dalPubblico Demanio e, in seguito alle richieste della popola-

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zione di fatto esclusa da ogni privilegio, nel 1866 alla coloniafu riconosciuto lo status di Comune autonomo; nel 1868 vennedi conseguenza ceduta al Comune la proprietà dei fondi edella fabbrica, comprensiva degli edifici, dei macchinari, dellecase operaie, dei giardini, delle piazze e delle strade interne33.Nonostante le notevoli difficoltà legate alla diffusione di piùmoderne tecniche produttive, la gestione privata della fabbricaperdurò sino al 1910, quando fallì l’ultima società assegnata-ria; inattivo per oltre un decennio, l’opificio fu rilevato da unafamiglia originaria del borgo, che ne mantenne il controllofino agli anni Settanta del secolo scorso. Dichiarato Bene del-l’Umanità dall’Unesco nel 1997, dalla metà degli anni Ottantail complesso monumentale del Belvedere è stato oggetto di unlungo ed accurato intervento di restauro, concretizzato nel re-cupero statico degli edifici oramai fatiscenti, riportati all’ori-ginario aspetto con l’istallazione in situ degli antichi macchi-nari. L’ala occidentale della fabbrica è oggi sede della Facoltàdi Studi Politici e per l’Alta Formazione Europea e Mediter-ranea «Jean Monnet» della Seconda Università degli Studi diNapoli.

1 Cfr. L. Giorgi, Caserta e gli Acquaviva. Storia di una Corte dal 1509al 1634, Caserta 2004, pp. 11 e ss.; R. Serraglio, Caserta nel Rinascimento:la città degli Acquaviva d’Aragona, in Architettura del classicismo tra Quat-trocento e Cinquecento. Campania saggi, a cura di A. Gambardella e D. Ja-cazzi, Roma 2007, pp. 117-130.

2 Tavolario Pietro de Marino, ASRC, Notai (1635), vol. 403.3 Tavolario Francesco Guerra, 1636. L’apprezzo è riportato nella Platea

dei Fondi, Beni, e rendite che costituiscono l’amministrazione del Real Sitodi S. Leucio, redatta da Antonio Sancio intorno al 1830 (ASRC, Platea diS. Leucio, vol. 3570). È ipotizzabile che nella realizzazione dell’edificio ilprincipe possa essersi ispirato alla palazzina di Bosco della Fontana pressoMarmirolo, edificata alla fine del XVI secolo dal cognato Vincenzo Gon-zaga. Ancor più evidenti sono d’altra parte le analogie tra la casina gonza-ghesca di Castiglione delle Stiviere e la Casina Pernestiana nei pressi dellaresidenza del Boschetto (cfr. A. Venditti, Architettura neoclassica a Na-poli, Napoli 1961, pp. 91-92; R. Serraglio, Francesco Collecini. Architet-tura del secondo Settecento nell’area casertana, Napoli 2001; L. Giorgi, op.cit., p. 115).

4 ASRC, Platea di S. Leucio, cc. 9 e 10. Per un’ampia analisi degli af-freschi originari, si rimanda a A.M. Romano, Le decorazioni cinquecente-sche e le pitture del Settecento. Gli arredi scomparsi, in Lo Bello Vedere diS. Leucio e le Manifatture Reali, a cura di A.M. Romano e N. D’Arbitrio,Napoli 1998, pp. 9 e ss.

5 ASRC, Platea di S. Leucio, cc. 10-11.

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6 La relazione, stilata da Costantino Manni, è integralmente riportatanella Platea di S. Leucio, cc. 13 e ss.

7 ASRC, Apprezzo dello Stato di Caserta, 29 agosto 1750, c. 3.8 ASRC, Platea di S. Leucio, cc. 16 e 17.9 L. Vanvitelli, Dichiarazione dei disegni del real Palazzo di Caserta,

Napoli 1756, tav. XIII. Cfr. A. Venditti, op. cit., p. 100.10 Biblioteca Nazionale di Napoli (d’ora in poi BNN), Mss., XV-A-9

bis, b. 2, cc. 47 e 48.11 Secondo quanto riportato nella lettera, «le mura esteriori del casino

sono marcite, e lesionate molto più che in lo passato, e che quella porzionedi tetto che ancor rimane, è sul punto di cadere, essendo i legni marciti, erotti gli embrici, da’ quali piove dentro in ogni parte. Sulle mura esteriorivi nascono fichi, ed erbe, col dappiù che fa accadere il tempo sopra qua-lunque fabrica abbandonata. Laonde ritengo che, prima di venire alla ri-fazzione del tetto, converrà rifabricare le mura cadenti, ed ogn’altro perrendere il loco praticabile» (BNN, Mss., cit.).

12 Piante del Primo e del Secondo Piano del Casino di Belvedere, ASRC,inv. 1636, 1951/52.

13 Il lungo circuito murario (riportato nella Pianta che si delineò dal Re-gio Architetto D. Francesco…, datata 1773 e conservata presso l’ASRC, Pla-nimetrie, 56/F), si estendeva dai confini nord-occidentali del parco della reg-gia sino alle sponde del fiume Volturno. Cfr. R. Serraglio, Architettura eambiente nel Reale Sito di S. Leucio, in Luigi Vanvitelli. 1700-2000, a curadi A. Gambardella, Caserta 2005, p. 575; R. Serraglio, Carditello e SanLeucio: da reali cacce a luoghi della produzione, in Casa di Re. La Reggiadi Caserta fra storia e tutela, a cura di R. Cioffi e G. Petrenga, Ginevra-Milano 2005 (I), p. 158.

14 Notizie del Bello, dell’antico e del Curioso che contengono le RealiVille di Portici, Resina, lo scavamento di Pompeiano, Capodimonte, Car-dito, Caserta e S. Leucio, a cura di S. Palermo, Napoli 1792, p. 151.

15 Ibidem, p. 151.16 Cfr. G. Tescione, San Leucio e l’Arte della Seta nel Mezzogiorno d’I-

talia, Napoli 1961, p. 265; J. Donsì Gentile, Le fonti archivistiche dellacolonia di S. Leucio nell’archivio di Stato di Napoli, Napoli 1942, p. 5.

17 E. Battisti, San Leucio sullo sfondo delle ideologie settecentesche, inS. Leucio. Archeologia, storia, progetto, Milano 1977, pp. 15 e ss.

18 Veduta di Belvedere e Casino di Belvedere, in Vedute della Campa-nia nel «Servizio dell’Oca» del Museo di Capodimonte, Napoli 1995. Cfr.R. Serraglio, op. cit., 2005, p. 571.

19 Per un’ampia analisi delle unità abitative, si rimanda a R. De Fusco,

F. Sbandi, Un centro comunitario del Settecento in Campania, in «Comu-nità», 86 (1961), pp. 128-133.; R. Plunz, S. Leucio, vitalità di una tradi-zione, in S. Leucio. Archeologia, storia, progetto, Milano 1977, pp. 109 e ss.

20 La pianta, redatta dal Collecini, è pubblicata in P. D’Onofri, Vita diSanto Leucio primo vescovo di Brindisi, Napoli 1789.

21 Origine della popolazione di S. Leucio e Suoi progressi fino al giornod’oggi, colle leggi Corrispondenti al buon Governo di Essa di FerdinandoIV Re della Sicilie, Napoli 1789. Il saggio, ufficialmente ascritto al sovrano,è attribuibile con ogni probabilità all’illuminista Antonio Planelli. Cfr. R.De Fusco, L’architettura della seconda metà del Settecento, in «Storia diNapoli», VIII (1971), pp. 400 e ss.; E. Battisti, S. Leucio presso Caserta,recupero di un’utopia, in «Controspazio», 4 (1974), pp. 50-60; G. Alisio,Urbanistica napoletana del Settecento, Bari 1979, pp. 40-43.

22 Cfr. R. Serraglio, op. cit., 2005, pp. 571-572.23 Cfr. G.C. Macchiarella e M.L. Proietti, Pitture ad encausto di

Hackert nel Belvedere di S. Leucio, in «Nap. Nob.», XIII, f. 3 (1974), pp.97 e ss.; A.M. Romano, op. cit., pp. 16 e ss.

24 ASRC, Platea di S. Leucio, c. 24. Al fine di garantire un più comodoriposo al sovrano, a partire dal 1797 fu realizzato il casino di S. Silvestronell’area orientale del sito, gettando nel contempo le basi per lo sfrutta-mento di una zona fino ad allora ricoperta da un fitto lecceto.

25 Origine della popolazione di S. Leucio e Suoi progressi fino al giornod’oggi, colle leggi Corrispondenti al buon Governo di Essa di FerdinandoIV Re della Sicilie, Napoli 1789, pp. 3-4.

26 Cfr. F. Patturelli, Caserta e S. Leucio, Napoli 1826, pp. 84 e 85;C. Battisti, op. cit., 1974, passim.

27 Cfr. G. Alisio, op. cit., p. 43.28 Cfr. A. Venditti, op. cit., p. 108; R. Serraglio, op. cit., 2005, pp.

572 e 573.29 Cfr. A. Lepre, Studi sul Regno di Napoli nel Decennio francese (1806-

1815), Napoli 1985, pp. 46-48.30 Pianta del Recinto del Real Bosco, e delizie di San Leucio (BNN,

Mss.), dedicata dal tavolario Domenico Rossi all’Intendente Generale LuigiMacedonio.

31 ASRC, Platea di S. Leucio, c. 31.32 Piano Reale del real Casino di S. Leucio (ASRC, Planimetrie, 68/F).

Nell’occasione furono restaurate le pitture realizzate da Hackert nel BagnoGrande, gravemente danneggiate dall’umidità nonostante il precedente inter-vento conservativo operato dal Patturelli (cfr. A.M. Romano, op. cit., p. 36).

33 Cfr. G. Tescione, op. cit., pp. 285-288.

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la facoltà di studi politicie per l’alta formazione europeae mediterranea «jean monnet»

gli spazi della ricercae della didattica