Prima del terremoto del 6 aprile 2009: conoscenze e ipotesi sismologiche

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15 Azione sismica ed effetti di sito 1.1.1 Le ricerche degli anni ’90 e la lezione di Colfiorito Esattamente 10 anni fa, il 12 settembre 1999, l’autorevole quotidiano Corriere della Sera (Fig. 1) pubblicava in anteprima i risultati di uno stu- dio intrapreso diversi anni prima da alcuni ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING), che di lì a poco sarebbe confluito nel nuovo Istituto Nazionale di Geofisica e Vulca- nolgia (INGV). Con comprensibile quanto moti- vata titubanza e con il valido supporto della penna di Franco Foresta Martin, autore dell’ar- ticolo, i ricercatori dell’ING rendevano noto al grande pubblico un elenco di zone del territorio nazionale, accuratamente selezionate tra le tante zone sismiche italiane, in cui si riteneva più probabile il verificarsi di un terremoto poten- zialmente distruttivo. Nonostante il tatto con cui il tema veniva affron- tato, per l’evidente assunzione di responsabilità che l’articolo comportava, le affermazioni che vi erano contenute erano indubbiamente forti e non sembravano lasciare spazio al dubbio o a repliche. Si trattava di affermazioni robuste, basate in ultima analisi su un semplice confronto tra l’esistenza e la distribuzione delle strutture tettoniche attive e la loro storia sismica passata. Questo confronto aveva come pilastri da un lato le conoscenze che si andavano accumulando sulle principali strutture sismogenetiche della penisola, sia dal punto di vista delle osserva- zioni sulla geologia recente e sulla tettonica attiva, sia in termini di dati sulla sismicità stru- mentale recente e parametri sismotettonici deri- vati, come la distribuzione del campo di sforzo attivo; dall’altro su un patrimonio di conoscenze sulla sismicità storica tra i più estesi del mondo, se non addirittura il più ricco. Le aree della peni- sola che, seppure mostrassero segni inequivoca- bili di attività tettonica recente, non erano state sede di importanti terremoti in epoca storica – si consideri che la grande estensione del catalogo sismico italiano consente di spingere valutazioni di questo tipo fino all’epoca medievale – veni- vano identificate come “lacune sismiche”, un ter- mine che traduceva liberamente l’espressione anglosassone seismic gap (che per la verità aveva e ha una definizione molto più strin- gente). Come si è detto la ricerca che avrebbe portato alla individuazione delle “lacune sismiche” si basava su anni e anni di dati e sviluppo concet- tuale – oltre due decenni nel caso dei terremoti storici – ma aveva subito una forte accelerazione a seguito dei terremoti della sequenza di Colfio- rito del 1997. Gli eventi principali della sequenza si rivelarono in qualche modo “attesi”, sia per quanto riguarda la localizzazione, che per quanto attiene alla loro magnitudo, al loro meccanismo focale e persino alle modalità di rilascio con scosse successive di entità confronta- bile. Allo stesso tempo però la regione interes- sata dalla sequenza appariva come una delle meno interessate da sismicità storica significa- tiva: anzi, appariva proprio come una “lacuna”, uno spazio rimasto libero tra le grandi strutture responsabili dei terremoti del 1328 e 1703 nel- l’area di Cascia e Norcia, a SE, e le strutture responsabili del terremoti del 1747 e 1751 a Gualdo Tadino-Nocera Umbra, a NO. La sequenza del 1997 sembrò andarsi ad inca- strare in questo spazio rimasto libero, che venne occupato progressivamente prima nella sua por- zione settentrionale con le due scosse distruttive del 26 settembre, poi nella porzione meridionale con la scossa ancora distruttiva del 14 ottobre, e infine di nuovo verso nord con la forte scossa di Gualdo Tadino del 5 aprile 1998. Tanto che quando, a seguito di quest’ultima scossa, alcuni degli autori di questa nota furono interpellati dalla Commissione Grandi Rischi per capire se essa poteva preludere ad una ulteriore esten- sione della sequenza verso NO, fu abbastanza facile predire che la lacuna iniziale era stata ormai riempita; una valutazione che a distanza di 11 anni e mezzo mantiene la sua validità. L’episodio che abbiamo brevemente descritto può essere considerato l’inizio di una fase nuova della ricerca sui grandi terremoti; fase che ebbe nel già citato articolo sul Corriere della Sera un primo punto di verifica. Aumentava da parte di tutti la consapevolezza di quanto 1.1 Prima del terremoto del 6 aprile 2009: conoscenze ed ipotesi sismologiche E. Boschi 1 , A. Amato 1 , C. Chiarabba 1 , C. Meletti 2 , D. Pantosti 1 , G. Selvaggi 1 , M. Stucchi 3 , G. Valensise 1 1 INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma. www.ingv.it 2 INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Pisa. www.ingv.it 3 INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Milano. www.ingv.it

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Azione sismica ed effetti di sito

1.1.1 Le ricerche degli anni ’90 e la lezione diColfioritoEsattamente 10 anni fa, il 12 settembre 1999,l’autorevole quotidiano Corriere della Sera (Fig.1) pubblicava in anteprima i risultati di uno stu-dio intrapreso diversi anni prima da alcuniricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica(ING), che di lì a poco sarebbe confluito nelnuovo Istituto Nazionale di Geofisica e Vulca-nolgia (INGV). Con comprensibile quanto moti-vata titubanza e con il valido supporto dellapenna di Franco Foresta Martin, autore dell’ar-ticolo, i ricercatori dell’ING rendevano noto algrande pubblico un elenco di zone del territorionazionale, accuratamente selezionate tra letante zone sismiche italiane, in cui si ritenevapiù probabile il verificarsi di un terremoto poten-zialmente distruttivo.Nonostante il tatto con cui il tema veniva affron-tato, per l’evidente assunzione di responsabilitàche l’articolo comportava, le affermazioni che vierano contenute erano indubbiamente forti enon sembravano lasciare spazio al dubbio o arepliche. Si trattava di affermazioni robuste,basate in ultima analisi su un semplice confrontotra l’esistenza e la distribuzione delle strutturetettoniche attive e la loro storia sismica passata.Questo confronto aveva come pilastri da un latole conoscenze che si andavano accumulandosulle principali strutture sismogenetiche dellapenisola, sia dal punto di vista delle osserva-zioni sulla geologia recente e sulla tettonicaattiva, sia in termini di dati sulla sismicità stru-mentale recente e parametri sismotettonici deri-vati, come la distribuzione del campo di sforzoattivo; dall’altro su un patrimonio di conoscenzesulla sismicità storica tra i più estesi del mondo,se non addirittura il più ricco. Le aree della peni-sola che, seppure mostrassero segni inequivoca-bili di attività tettonica recente, non erano statesede di importanti terremoti in epoca storica – siconsideri che la grande estensione del catalogosismico italiano consente di spingere valutazionidi questo tipo fino all’epoca medievale – veni-vano identificate come “lacune sismiche”, un ter-mine che traduceva liberamente l’espressione

anglosassone seismic gap (che per la veritàaveva e ha una definizione molto più strin-gente).Come si è detto la ricerca che avrebbe portatoalla individuazione delle “lacune sismiche” sibasava su anni e anni di dati e sviluppo concet-tuale – oltre due decenni nel caso dei terremotistorici – ma aveva subito una forte accelerazionea seguito dei terremoti della sequenza di Colfio-rito del 1997. Gli eventi principali dellasequenza si rivelarono in qualche modo “attesi”,sia per quanto riguarda la localizzazione, cheper quanto attiene alla loro magnitudo, al loromeccanismo focale e persino alle modalità dirilascio con scosse successive di entità confronta-bile. Allo stesso tempo però la regione interes-sata dalla sequenza appariva come una dellemeno interessate da sismicità storica significa-tiva: anzi, appariva proprio come una “lacuna”,uno spazio rimasto libero tra le grandi struttureresponsabili dei terremoti del 1328 e 1703 nel-l’area di Cascia e Norcia, a SE, e le struttureresponsabili del terremoti del 1747 e 1751 aGualdo Tadino-Nocera Umbra, a NO. Lasequenza del 1997 sembrò andarsi ad inca-strare in questo spazio rimasto libero, che venneoccupato progressivamente prima nella sua por-zione settentrionale con le due scosse distruttivedel 26 settembre, poi nella porzione meridionalecon la scossa ancora distruttiva del 14 ottobre, einfine di nuovo verso nord con la forte scossa diGualdo Tadino del 5 aprile 1998. Tanto chequando, a seguito di quest’ultima scossa, alcunidegli autori di questa nota furono interpellatidalla Commissione Grandi Rischi per capire seessa poteva preludere ad una ulteriore esten-sione della sequenza verso NO, fu abbastanzafacile predire che la lacuna iniziale era stataormai riempita; una valutazione che a distanzadi 11 anni e mezzo mantiene la sua validità.L’episodio che abbiamo brevemente descrittopuò essere considerato l’inizio di una fasenuova della ricerca sui grandi terremoti; faseche ebbe nel già citato articolo sul Corriere dellaSera un primo punto di verifica. Aumentava daparte di tutti la consapevolezza di quanto

1.1 Prima del terremoto del 6 aprile 2009: conoscenze ed ipotesi sismologiche

E. Boschi1, A. Amato1, C. Chiarabba1, C. Meletti2, D. Pantosti1, G. Selvaggi1, M. Stucchi3,G. Valensise1 �

1 INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma. www.ingv.it2 INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Pisa. www.ingv.it3 INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Milano. www.ingv.it

sarebbe stato importante, in una nazione adalta sismicità come l’Italia, poter dare allediverse zone sismiche almeno un grossolanoordine di priorità, in modo da poter indirizzarein modo più oculato le cronicamente limitaterisorse a disposizione del governo per la messain sicurezza delle zone a maggior rischio. Nellaspalla al citato articolo del Corriere della Sera,in un trafiletto significativamente intitolato“L’unica arma è la prevenzione” (Fig. 1), il Prof.Franco Barberi, allora responsabile della Prote-zione Civile Nazionale, affermava che:

“...l’unico modo per difendersi è attuareuna politica di prevenzione consistente

nell’adeguamento edilizio. Ma il fabbi-sogno finanziario è gigantesco. Allora cichiediamo: di fronte a risorse limitate,dove intervenire prima? Le lacune cioffrono un possibile criterio, che giudi-chiamo valido anche perché si è vistoche funziona.”

Il verificarsi del terremoto aquilano del 6 aprile2009 sembra dimostrare che in effetti questocriterio funziona, visto che la zona “...dell’Aqui-lano, tra Rieti e Sulmona...” veniva identificatacome una delle quattro aree della penisola in cuiera più probabile il verificarsi di un terremotodistruttivo. Veniva indicata anche una magni-16

Progettazione Sismica

Fig. 1L’articolo apparso a firma di

Franco Foresta Martin suCorriere Scienza, pagina

scientifica del Corriere dellaSera, il 12 settembre

1999.

tudo potenzialmente superiore a 6.5: un valorefortunatamente non raggiunto dal terremoto del6 aprile, ma eguagliato o superato da altrigrandi terremoti che hanno colpito questo set-tore in epoca storica.Questa linea di pensiero sarebbe stata ripresanella programmazione di diverse ricerche succes-sive, e in particolare di quelle finanziate dalDipartimento della Protezione Civile nel quadrodella Convenzione 2000-2003, con cui venivariconosciuta l’esistenza del nuovo INGV come unanuovo soggetto che incorporava il vecchio ING eil Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti,

ultimo erede della importante ricerca sul rischiosismico in Italia svolta sotto l’egida del CNR.Data la sua elevata sismicità e pericolositàsismica, l’Abruzzo occidentale ha continuato aessere oggetto di ricerche a varie scale e convarie finalità, nonché di intensa attività di moni-toraggio sismologico e geodetico. Nel prosie-guo di questa nota vengono sintetizzati i princi-pali risultati conseguiti da queste ricerche, moltedelle quali finanziate nell’ambito delle Conven-zioni siglate tra il Dipartimento della ProtezioneCivile e l’INGV per il 2000-2003, 2004-2006 e2007-2009 (in corso).

Azione sismica ed effetti di sito

1.1.2 Le ricerche finanziate dal Dipartimentodella Protezione Civile (2000-2003)Il Progetto “Terremoti probabili in Italia tra l’anno2000 e il 2030: elementi per la definizione dipriorità degli interventi di riduzione del rischiosismico” (coordinatori Alessandro Amato e GiulioSelvaggi, INGV: testi, immagini e rapporto finaledisponibili all’indirizzo http://portale.ingv.it/l-ingv/progetti), concluso nel 2004, è stato il primodi una serie di progetti di ricerca che avevanocome obiettivo la valutazione della probabilitàassociata a terremoti distruttivi (M > 5.5) su tuttoil territorio nazionale.Oltre ad aver prodotto osservazioni e analisiriguardanti diversi aspetti della sismogenesi, tracui i dati di base per l’elaborazione del modellodi zonazione sismogenetica ZS9 [Meletti et al.,2008] che sarebbe servito in seguito per la com-pilazione della Mappa di Pericolosità SismicaMPS04 [Gruppo di Lavoro MPS, 2004], il pro-getto ha delineato un certo numero di zonesismogenetiche ad elevata probabilità di gene-rare un forte terremoto. Alcune di queste zonecoincidono con vere e proprie “lacune sismi-che”. Nelle conclusioni del progetto si leggeinfatti che:

“...Dalle prime stime di pericolosità “time-dependent” emergono alcune aree in cuil’introduzione delle faglie (e dei parame-tri geometrici e cinematici ad esse asso-ciate) nei calcoli porta ad un aumentodell’hazard (l’aumento si intende rispettoalle stime “convenzionali”, in cui le areead elevata pericolosità sono ben deli-neate, si veda ad esempio la mappa pro-dotta per l’Ord. PCM 3274 del20/3/2003, su www.mi.ingv.it). Le areeidentificate comprendono le Alpi nord-orientali (tra Friuli e Veneto), la costaadriatica delle Marche e dell’Emilia,

l’Appennino laziale-abruzzese, la zonatra Molise e Puglia, la Sicilia sud-orien-tale...”.

I dati prodotti dal progetto sono stati utilizzatida Pace et al. [2006] per un’innovativa analisidi pericolosità sismica estesa a tutta l’Italia cen-trale. I risultati di tale analisi sono espressi in ter-mini di probabilità del 90% di non eccedenzadei valori di accelerazione indicati zona perzona nel cinquantennio 2004-2054 (Fig. 2). Sitratta in altre parole di un’analisi con dipen-denza dal tempo, distinguendosi in questo dalleanalisi di pericolosità convenzionali che invece

Fig. 2Elaborazione tratta dalcitato articolo di Pace et al.[2006].Con la stella èriportato l'epicentrostrumentale del terremotodel 6 aprile 2009.

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esprimono probabilità di scuotimento indipen-denti dal tempo. L’analisi è stata avviata all’in-terno del progetto, anche se comprensibilmenteè poi apparsa nella letteratura solo due annidopo la fine del progetto stesso.Va precisato che, con la sola eccezione dei datidi base che hanno poi portato alla compilazionedella Mappa di Pericolosità Sismica MPS04, iprodotti conclusivi di questo progetto andavano

visti come risultati scientifici in senso stretto, equindi in quanto tali non adatti ad una applica-zione immediata da parte della ProtezioneCivile. Ciononostante l’analisi successivamentepubblicata da Pace e coautori mostra un’elevataprobabilità di forte scuotimento atteso in un set-tore posto a sud di L’Aquila e sovrapponibile peralmeno due terzi con la zona in cui si è verificatoil terremoto del 6 aprile.

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Progettazione Sismica

1.1.3 La Mappa di pericolosità sismica del-l’INGV (2004)La Mappa di Pericolosità Sismica elaborata nel2004 dall’INGV [Gruppo di Lavoro MPS, 2004;http://zonesismiche.mi.ingv.it/] è il punto d’arrivodi una serie di passaggi tecnici e normativi abba-stanza complessi. Su questo percorso riferiscononel dettaglio Stucchi et al. nel contributo intitolato“Terremoti storici e pericolosità sismica dell’areaaquilana”. Ai fini di quello che si vuole asserire inquesta sede ricorderemo solo che uno studiosvolto nel 1998 per conto del Dipartimento dellaProtezione Civile da un gruppo di lavoro cheincludeva esperti di tutti gli enti allora operativi nelsettore della pericolosità sismica [Gavarini et al.,

1999] aveva confermato per L’Aquila e provincial’assegnazione alla Zona 2 derivante da atti nor-mativi precedenti, tranne che per 6 comuni per iquali si proponeva il passaggio in Zona 1: Barete,Cagnano Amiterno, Capitignano, Montereale,Pizzoli, Tornimparte. Viceversa la nuova Mappa,basata su dati di ingresso decisamente migliori esu una metodologia di lavoro certamente innova-tiva rispetto a quella usata per lo studio del 1998,ha posto L’Aquila - unico capoluogo regionale euno dei pochi capoluoghi provinciali (insieme adesempio a Messina e a Reggio Calabria) - nellaclasse di pericolosità sismica più elevata, insiemea molti dei comuni colpiti più duramente dal terre-moto del 6 aprile 2009.

1.1.4 Le ricerche finanziate dal Dipartimentodella Protezione Civile (2004-2006)La Convenzione 2004-2006 viene avviatasecondo una linea di sviluppo decisamente piùapplicativa rispetto al passato. In particolare vienedata forte enfasi alle attività accessorie alla pub-blicazione della Mappa di Pericolosità Sismica ealle ricerche per l’identificazione dei “terremotiprobabili”.Il progetto “Proseguimento della assistenza alDPC per il completamento e la gestione dellamappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordi-nanza PCM 3274/2003 e progettazione di ulte-riori sviluppi”, coordinato inizialmente da GianMichele Calvi e Massimiliano Stucchi, e in seguitoda Carlo Meletti, ha sviluppato le elaborazioni dipericolosità citate più sopra realizzando un veroe proprio database di pericolosità sismica acces-sibile on-line (http://esse1.mi.ingv.it//), che èservito come base per la definizione delle nuoveNormative Tecniche per le Costruzioni, entrate invigore nel luglio 2009. Anche i risultati di questoprogetto, con riferimento alla zona dell’Aquila,sono illustrati nel contributo di Stucchi et al. inquesto stesso volume.Il progetto “Valutazione del potenziale sismoge-netico e probabilità dei forti terremoti in Italia”(coordinatori Dario Slejko, INOGS, e Gianluca

Valensise, INGV; rapporto finale disponibile alsito http://portale.ingv.it/l-ingv/progetti), con-cluso nel luglio del 2007, ha beneficiato dei risul-tati già conseguiti dal progetto precedente. Utiliz-zando come base di ingresso il database dellesorgenti sismogenetiche italiane Database of Indi-vidual Seismogenic Sources (DISS) e un set ditassi di deformazione e slip rates, il progetto hastimato le probabilità di accadimento di un terre-moto di magnitudo > 5.5 sull’intero territorionazionale. Tali probabilità sono calcolate siasecondo un approccio time-independent chesecondo uno schema time-dependent. In questosecondo caso ovviamente vengono messe in evi-denza le sorgenti sismogenetiche che, oltre adessere caratterizzate da elevata sismicità, risul-tano maggiormente “in ritardo” dal punto di vistadel rilascio sismico desumibile dal record storico.Nell’ambito di questo progetto Steven Ward (Uni-versity of California, Santa Cruz), in collabora-zione con diverse unità di ricerca, ha propostouno schema di probabilità time-independent (Fig.3). La stessa tecnica è stata utilizzata da Wardper calcoli analoghi sulla California.L’elaborazione si riferisce a probabilità valide per100 anni e utilizza come dati di ingresso le Com-posite Seismogenic Sources del DISS, versione3.0.2 [DISS Working Group, 2007; Basili et al.,

2008], e i valori di slip rate ottenuti da SalvatoreBarba mediante un modello agli elementi finitinell’ambito dello stesso progetto. L’elaborazioneassegna probabilità particolarmente elevate azone piuttosto circoscritte corrispondenti all’Aqui-lano, all’Appennino campano-lucano, alla Strettadi Catanzaro alla Sicilia Orientale.Un’elaborazione time-dependent particolar-mente interessante è quella che è stata comple-tata da Renata Rotondi (CNR-IMATI, Milano) nel-l’ambito del Task 4 dello stesso progetto (Fig. 4).L’elaborazione si avvale sia di risultati conseguitida altre unità di ricerca dello stesso progetto, siadi risultati conseguiti nel corso del precedenteprogetto “Terremoti probabili in Italia tra l’anno2000 e il 2030:…”. Viene considerata indivi-

dualmente ognuna delle 81 Composite Seismo-genic Sources della versione 3.0.2 del DISS[DISS Working Group, 2007; Basili et al.,2008]. La dipendenza dal tempo è ottenuta sullabase della stima del momento sismico già rila-sciato in ciascuna area-sorgente utilizzando ilcospicuo record della sismicità storica italianaracchiuso nel catalogo CPTI [Gruppo di LavoroCPTI, 2004]. Dati geologici e storici sono proces-sati tramite una tecnica stocastica che consentedi esprimere la probabilità di accadimento di unterremoto distruttivo entro il 2033.Nella figura 4 probabilità più alte corrispon-dono a livelli di sismicità osservata più bassi eviceversa. Si riscontra una probabilità partico-larmente elevata in corrispondenza di una sor- 19

Fig. 3Probabilità dei terremotitime-independent:elaborazione di StevenWard nell’ambito delprogetto “Valutazione delpotenziale sismogenetico eprobabilità dei forti terremotiin Italia” (vedi testo perulteriori dettagli).

Fig. 4Probabilità dei terremotitime-dependent:elaborazione di R. Rotondinell’ambito del progetto“Valutazione del potenzialesismogenetico e probabilitàdei forti terremoti in Italia”(vedi testo per ulterioridettagli).

Azione sismica ed effetti di sito

gente sismogenetica denominata “ITSA025Norcia-Ovindoli_Barrea”, che passa per la cittàdi L’Aquila. Anche in questo caso si deve consi-derare che si tratta di un risultato di ricerca, perdi più su un tema “di frontiera” come quellodella previsione dei terremoti. Altre elaborazioniottenute nello stesso progetto indicavano proba-bilità alquanto diverse, anche se sistematica-mente alte per la ITSA025.Tra i risultati dello stesso progetto si colloca ancheun lavoro pubblicato per pura fatalità proprionell’aprile 2009, ma in effetti completato nel2008, da Akinci et al. [2009]. Nel lavoro (Fig. 5)viene calcolata la probabilità time-dependent diforti scuotimenti in un vasto settore dell’Appen-nino centrale (si veda in proposito anche il contri-buto di Galadini e Pantosti in questo volume).L’elaborazione è basata su una tecnica abba-

stanza sofisticata che dà luogo a risultati legger-mente diversi in funzione di diverse scelte opera-tive, ma la figura 5 mostra solo una delle elabo-razioni finali. I risultati sono espressi in termini divalori di accelerazione che hanno il 10% di pro-babilità di essere superati nei prossimi 50 anni,come nel caso della mappa di pericolositàMPS04. Si noti come anche in questo caso vi è unmassimo di scuotimento predetto nella zona postaimmediatamente a sud della città di L’Aquila.È opportuno ricordare infine che le attività deidue progetti DPC-INGV 2000-2003 e 2004-2006 proseguono nell’ambito della Conven-zione 2007-2009 con il Progetto “Determina-zione del potenziale sismogenetico in Italia peril calcolo della pericolosità sismica” (coordina-tori: Salvatore Barba, INGV, e Carlo Doglioni,Università di Roma “La Sapienza”), in corso.

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Progettazione Sismica

Fig. 5Scuotimento atteso in

Abruzzo centrale nei pros-simi 50 anni con livello diprobabilità di superamentodel 10%. Da Akinci et al.[2009]. Con la stella è

riportato l'epicentro strumen-tale del terremoto del 6

aprile 2009.

1.1.5 Previsione a medio termine:tecniche statisticheDal 2005 sul sito web dell’INGV è attiva unapagina nella quale vengono fornite stime probabili-stiche dell’occorrenza di terremoti di magnitudo 5.5o maggiore in un intervallo di tempo di 10 anni(http://www.bo.ingv.it/~earthquake/ITALY/forecasting/M5.5+/) Essendo time-dependent, le mappevengono aggiornate ogni 1 Gennaio e dopo ognievento con magnitudo 5.5 o maggiore.Il modello utilizzato per tale previsione si basasulla clusterizzazione spazio-temporale dei ter-remoti che caratterizza il catalogo sismico sto-rico italiano [Faenza et al., 2003; Cinti et al.,2004]. Nella pagina web si possono trovare lemappe probabilistiche ottenute applicando talemodello ad una zonazione sismotettonica e ad

una griglia equispaziata. Nella sezione Resultssi possono trovare i risultati delle previsioni pro-babilistiche.Tutte le mappe elaborate, a partire dal 2005,mostrano una probabilità molto elevata in unsettore che corrisponde con l’area dell’Aqui-lano. In particolare la mappa relativa al 2009(Fig. 6), pubblicata il 1 gennaio 2009, mostrache la zona sismotettonica in cui è accaduto ilterremoto del 6 aprile aveva la sesta più altaprobabilità su 61 zone (di cui 34 con probabi-lità non trascurabili; si veda Map A, a sinistra infigura). Se si considera la densità spaziale diprobabilità su una griglia con 51 nodi (Map B,a destra in figura), il nodo più vicino alla zonacolpita dal terremoto risulta avere la secondapiù alta densità di probabilità.

(PGA) 10% Probability in 50 years(renewal model, BPT, a = 0.5)

1.1.6 ConclusioniDa quanto brevemente riportato emerge chiara-mente come la comunità scientifica, e in particolarequella rappresentata dai ricercatori dell’INGV,avesse da tempo identificato la zona di L’Aquila eil suo circondario come possibile sede di futuri fortiterremoti, con significative probabilità già nei primidecenni di questo secolo. Lo schema che segueripercorre le diverse evidenze disponibili, ordinatecronologicamente lungo il decennio che ha prece-duto il terremoto del 6 aprile.1998 - La “proposta di classificazione del territorionazionale” richiesta dal Dipartimento della Prote-zione Civile conferma l’elevato livello di pericolo-sità sismica di L’Aquila e dei comuni circostanti.1999 - L’Aquilano viene identificato come una dellequattro aree italiane che hanno la maggior proba-bilità di essere colpite da un terremoto distruttivo,con una potenziale magnitudo di 6.5 e superiore.2004 - Al termine di un triennio di attività diricerca a L’Aquila viene assegnata una elevataprobabilità di forte scuotimento nel trentennio2000-2030.2004 - Con la nuova Mappa di PericolositàSismica viene proposto che L’Aquila e buonaparte della sua provincia, tra cui molti deicomuni duramente colpiti dalla scossa del 6aprile 2009, passino dalla Zona 2 alla Zona 1(ovvero quella a pericolosità più elevata).2007 - Una tecnica di analisi messa a punto peranaloghe valutazioni sulla California identificaun corridoio posto lungo l’Appennino centrale ecentrato su L’Aquila come una delle aree italianea maggior probabilità di un forte terremoto.2007 - Mediante una tecnica time-dependentviene stimata una elevata probabilità di un forte

terremoto nel trentennio 2003-2033 all’internodi un corridoio posto lungo l’Appennino cen-trale e centrato su L’Aquila.2008 - Grazie a dati geologici di dettaglio vienemessa in luce una probabilità di forti scuotimentisignificativamente più alta nell’Aquilano che inaree appenniniche circostanti.2009 - Le analisi della probabilità di accadi-mento di un terremoto di magnitudo 5.5 o mag-giore nella zona di L’Aquila mostrano valori trai più alti di tutto il territorio nazionale. Questacondizione si è verificata con sistematicità apartire dal 2005, anno di inizio delle analisi.

Si comprende bene quindi come la sequenza discosse iniziata nella zona dell’Aquila nel gennaiodel 2009 avesse generato inquietudine nell’interacomunità sismologica. Il 17 febbraio 2009,quando la sequenza era ormai iniziata da alcunesettimane e sulla base di tutte le conoscenze acqui-site sulla sismicità dell’Aquilano, la Sala Sismicadell’INGV emanava il seguente comunicato:

“La Rete Sismica Nazionale dell’INGV staregistrando dall’inizio dell’anno un’attivitàfrequente e di bassa magnitudo nellazona dell’Aquila. Dall’inizio dell’annosono stati localizzati oltre 110 terremoti,tutti di magnitudo inferiore a 2.6, alcunidei quali vengono risentiti dalla popola-zione. La maggior parte dei terremoti silocalizza in un’area molto piccola (4-5 kmin pianta), mentre un altro piccolo gruppodi eventi viene localizzato circa 15 km anordovest. Le profondità ipocentrali sonocomprese tra 5 e 15 km, che corrispon-dono a quelle tipiche dell’Appennino cen- 21

Azione sismica ed effetti di sito

Fig. 6Probabilità di accadimentodi un terremoto dimagnitudo 5.5 o maggiorecalcolata al 1 gennaio2009 per 61 zonesismotettoniche (a sinistra) eai vertici di una grigliaregolare di 51 nodi (adestra). La mappa è stataottenuta mediante analisidella clusterizzazione deiforti terremoti italiani.L’epicentro del terremotodell’Aquilano del 6 aprilericade nella zona 36. Perulteriori dettagli si facciariferimento al testo.

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trale. Il rilascio sismico è quello definito a“sciame”, ossia senza una scossa princi-pale e relative repliche, presentando unadistribuzione irregolare nel tempo dei ter-remoti più forti.La zona in oggetto è stata sede in passatodi forti terremoti. In particolare, l’attivitàdi questi giorni si colloca tra la termina-zione meridionale della faglia che si èattivata nel terremoto del 1703 (Int. MCSdel X grado MCS, pari a Magnitudo circa6.7) e i limiti settentrionali della fagliaassociata nei cataloghi (ad es. il DISS) alterremoto del 1349 e di quella denomi-nata “Ovindoli-Piani di Pezza”.Negli ultimi anni la zona non è stata inte-ressata da forti terremoti. Allo stato attualedelle conoscenze, si può affermare che la

sequenza in atto non ha alterato le proba-bilità di occorrenza di forti terremoti nellazona. Si ricorda che i comuni interessatiricadono tra la prima e la seconda cate-goria della classificazione sismica del ter-ritorio nazionale.”

Il linguaggio di questa nota era necessariamenteformale, trattandosi di un comunicato ufficiale alServizio Sismico della Protezione Civile, manella sostanza, e con esercizio di buon senso, siintendeva asserire che:- L’Aquilano è notoriamente una zona ad alta

probabilità di forti scosse;- la sequenza sismica in corso non abbassava

tale probabilità; se la alzava, lo faceva inmisura poco significativa dal punto di vistadi eventuali interventi.

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Progettazione Sismica