I disegni di architettura e di urbanistica del fondo farnesiano nell’Archivio di Stato di Napoli.
Potere, biopolitica e sessualità in "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di...
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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
Corso di laurea in Italianistica, culture letterarie europee, scienze linguistiche
Potere, biopolitica e sessualità in "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto"
di Elio Petri (Italia, 1970)
Tesi di laurea in Storia Culturale
Relatore Prof. : Fabio Martelli Presentata da: Alice Diacono Correlatore Prof. : Stefano Colangelo
Sessione terza
Anno accademico 2013-2014
5
Noi non abbiamo mai cercato l’affetto,
ma la ragione,
la ragione per correre le strade più difficili.
Gian Maria Volontè
Il capitalismo che si sviluppa alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX, ha
innanzi tutto socializzato un primo oggetto, il corpo, in funzione della forza
produttiva, della forza lavoro. Il controllo della società sugli individui non si
effettua solo attraverso la coscienza o l’ideologia, ma anche nel corpo e con il
corpo. Per la società capitalistica è il bio-politico a essere importante prima di
tutto, il biologico, il somatico, il corporale.
M. Foucault, Nascita della medicina sociale
7
Indice
INTRODUZIONE ..................................................................................................... 9
1.CONTESTO STORICO ....................................................................................... 13
1.1. Prodromi: il fiume sotterraneo e lo sgorgare della violenza negli anni
Sessanta ................................................................................................................ 14
1.1.1.Pasolini e la polemica dei “proletari in divisa” ..................................... 19
1.1.2.La portata rivoluzionaria della “festa sessantottesca” e il “No al
processo in piazza” di Moro .............................................................................. 20
1.2 “Io a questa roba preferisco l’omicidio”: dall’Autunno Caldo a Piazza
Fontana. ............................................................................................................... 26
1.2.1 La strage di Piazza Fontana ................................................................ 28
1.2.2 La morte di Pinelli e l’affaire Calabresi .............................................. 32
1.3 "Rumor di sciabole" : la paura dei colpi di stato e il neofascismo ................ 35
1.1.3.Le schedature politiche ............................................................................. 44
2. CORPI E POTERE .......................................................................................... 48
2.1 Nevrosi del potere ......................................................................................... 48
2.2 Biopolitica .................................................................................................... 54
2.3 Dispositivo di sessualità ............................................................................... 62
2.4 Polizia ........................................................................................................... 70
2.5 Confessioni ................................................................................................... 72
3. DAVANTI ALLA LEGGE .................................................................................. 79
3.1 Mito, destino, colpa ...................................................................................... 81
3.2 Crisi sacrificale ............................................................................................. 88
3.3 Individuo ....................................................................................................... 92
CONCLUSIONI ..................................................................................................... 99
8
APPENDICE DOCUMENTARIA ....................................................................... 105
Documento I: Divisione del film in sequenze ............................................... 105
Documento II: Atti giudiziali della Procura di Milano ................................. 124
Documento III: Atti giudiziali della Procura di Milano ............................... 125
Documento IV: Documenti visionati al Fondo Petri (Museo Nazionale del
Cinema di Torino) ............................................................................................. 131
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................. 143
Sitografia ............................................................................................................... 151
Documenti cartacei consultati all’ Archivio del Museo Nazionale del Cinema di
Torino, Fondo Elio Petri ....................................................................................... 152
9
INTRODUZIONE
Con questo mio lavoro intendo investigare i rapporti che intercorrono tra
molteplici discorsi critici sul potere che si vennero a sviluppare nel secondo
dopoguerra del Novecento e un’opera che ne incarnò e ne traspose
cinematograficamente le contraddizioni e le idiosincrasie : Indagine su un
cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri.
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un film del 1970 - primo di
una trilogia ideale, definita Trilogia della nevrosi, proseguita con La classe
operaia va in paradiso (1971) e La proprietà non è più un furto (1973) – che offre
spunti di riflessione sul momento storico di grande conflitto politico e sociale in
cui fu realizzato e che ho voluto accostare alla ricerca portata avanti da Michel
Foucault negli ultimi anni della sua vita, quando arrivò ad elaborare il concetto di
biopolitica.
Biopolitica come nuovo orizzonte nel dibattito sul potere e come nuovo modo di
concepire quest’ultimo, che non si applica agli individui bensì circola tra di essi in
un sistema reticolare provocando ad ogni passaggio precise micro-dinamiche,
micro-reazioni che si inscrivono in una osservabile e determinata microfisica.
Nel capitolo centrale dell’elaborato esporrò come negli ultimi tre secoli
dell'epoca moderna tali meccanismi di potere degli Stati si siano attuati sempre più
attraverso istituzioni e discipline che sono passate ad occuparsi e a regolamentare
non più solo la zoè ma anche la bìos, di quelli che da sudditi sono passati ad essere
cittadini. Nei campi della psichiatria, della galera e quindi della giustizia, della
medicalizzazione-ospedalizzazione, nell'educazione scolastica e, infine, nella
sessualità, si sono messe in campo forze e leggi normative che mai come prima
10
nella storia avevano influito così direttamente e peculiarmente sul corpo
dell'uomo.
Mia intenzione è concentrarmi sulla ricerca riguardante la sessualità, che
Foucault ha indagato nella trilogia intitolata Storia della sessualità, scritta nel
1976, poiché proprio la sessualità è il nodo di congiunzione tra le applicazioni
delle discipline corporali che ne hanno fatto uso per un’accumulazione dei corpi e
di capitale, e la morbosa vicenda raccontata in Indagine.
Sei anni prima della pubblicazione della Storia della sessualità, in Italia,
Indagine veniva distribuito nei cinema con enorme successo di pubblico ma con il
rischio di censura per vilipendio delle istituzioni costituzionali: un film che
narrava la storia di un funzionario dello Stato che compiva un delitto
apparentemente passionale, ma con tutti altri moventi reali.
Nel primo capitolo sarà delineato il periodo storico da cui l’opera prese
ispirazione e dei particolari fatti di cronaca in cui venne ad inscriversi.
Questa controversa pellicola usciva infatti nelle sale di un'Italia ancora scioccata
dalla strage di Piazza Fontana, dalla morte violenta dell'anarchico Giuseppe Pinelli
e dall'accusa mossa al commissario Calabresi. Per la prima volta si facevano
spazio all’interno della società civile i concetti di devianze del potere interne alla
democrazia e di strage di Stato: in tutta Italia si verificava una radicalizzazione
degli scontri e un uso deliberato della violenza, sia a destra che a sinistra,
preparando il terreno per quelli che saranno gli anni di piombo. Attraverso una
vera e propria militarizzazione della lotta politica, a cui si accompagnava una
nuova ondata di ideologia fascista, spinte reazionarie e autoritarie miravano a
creare una strategia della tensione per instaurare forme di governo anti-
democratiche sulla scia del colpo di stato in Grecia.
Per la prima volta insomma, la società civile si trovava a doversi porre questioni
sulla processabilità dello Stato, sul controllo dei controllori, sulla legittimità del
potere e sull’esercizio della sua autorità, anche grazie a quel movimento
antisistemico e dirompente che fu il Sessantotto che permise una delocalizzazione
della discussione politica nei luoghi della contestazione, accelerando e
diffondendo nelle democrazie occidentali tardo-capitalistiche un discorso critico
11
sul potere sovrano stesso, percependo un'incrinatura nascente nell'aura che da
secoli lo circondava.
Nella sacralità del potere, relitto della prima modernità, si aprì uno squarcio:
vennero messe a nudo le dinamiche irrazionalistiche della legge, proposta fino ad
allora come assoluta e dettata da regole che si davano per certe e di provenienza
quasi divina.
Sarà compito del terzo capitolo dare un’interpretazione alla scelta di Petri che,
cogliendo appieno lo spirito del tempo, conclude la sua opera con una citazione
tratta dalla parabola intitolata Davanti alla Legge, contenuta nel Processo di Franz
Kafka.
L'accessibilità alla legge è impersonata da guardiani che ci svelano tutto il suo
nulla della rivelazione. Muovendo da questa definizione di Walter Benjamin,
riportata nell’Homo Sacer di Agamben, cercherò di comprendere come il carattere
sovraumano della legge, si riveli in realtà regolato da logiche di violenza
cristallizzata all’interno dell’ordine sociale con lo scopo di mantenerlo immutabile
e sempre uguale a se stesso.
Per fare questo mi sono inoltre avvalsa della concezione di illuminismo come
processo di razionalizzazione, che elaborarono i francofortesi Horkheimer e
Adorno nella Dialettica dell’illuminismo, interpretando il protagonista del film di
Petri e quello del Processo in chiave mitica per arrivare a dimostrare quanto il
mito sia già illuminismo e l’illuminismo torni a rovesciarsi continuamente nel
mito. La colpa del Commissario è quella di aver voluto sfidare il destino e le leggi
umane, e proprio per questo sarà condannato all’innocenza.
Questi sono i filtri che mi propongo di applicare all’opera di Petri ed alla sua
funzione di rinnovato strumento di semantizzazione della Weltanschauung della
sua epoca, della condizione di dissolvimento dell’individuo in essa, e della valenza
quasi profetica che ciò viene ad assumere nella stretta contemporaneità.
Per farlo, ho inoltre visitato la Cineteca di Bologna e il Fondo Petri dell’Archivio
del Museo Nazionale del Cinema di Torino, dove ho potuto consultare e vedere da
vicino documenti cartacei e fotografici appartenenti al regista, come ad esempio
12
gli Atti Giudiziali del Giudice Giovanni Caizzi dove egli nega la censura del film,
che qui vengono riportati per intero1. Ringrazio la Signora Carla Ceresa
dell’Archivio del Museo del Cinema di Torino che ha permesso ed agevolato la
mia ricerca.
1 Li si trova riportati per intero un’unica volta in Giacomo Gambetti, Petri: politico senza
enigmi, in “Cineforum” , XCII, 1970, pp. 112 – 113.
13
1. CONTESTO STORICO
Volevo fare un film sulla polizia. Ma a modo mio.
Elio Petri
Una grande nube fetida si leva dal corpo tumescente delle istituzioni dello Stato.
Elio Petri, in un’intervista di J. Gili2
Imprescindibile, come primo passo nell'analisi dell'opera presa in
considerazione, è delineare il particolare contesto storico in cui essa è
stata ideata, sviluppata, realizzata; ovvero, il periodo che va dalla prima
metà degli anni Sessanta, alle contestazioni del 1968, fino all'apice di
quelli che vengono definiti gli "anni di piombo".
Indagine fu infatti concepito e scritto a ridosso del '68, ma uscì nei
primi mesi del 1970 e può essere considerato a pieno titolo il “prodotto”
di un campo di forze, ma anche un “dispositivo che riarticola le
medesime forze secondo modalità specifiche”3; un vero e proprio
prodotto dell'aria del suo tempo insomma, una trattazione in forma
metaforica del clima di profonda sfiducia nello Stato e una suggestiva
interpretazione di quel clima pesante e minaccioso che avrebbe portato
poi ai bellicosi anni Settanta, e in particolare alla cosiddetta “strategia
della tensione”, e che negli ambienti progressisti e di sinistra
2 J. Gili, Le cinéma italien, ed. 10/18, Paris 1978, p. 199 3 Claudio Bisoni, Elio Petri. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Torino, Lindau, 2011, p.
41
14
sintetizzava la certezza che ampi segmenti dello Stato e delle Forze
dell'Ordine fossero coinvolte in terribili eventi4.
Sul quarantesimo numero della rivista che rappresentava il maggior
punto di riferimento per tutta la cultura dell'area della sinistra extra-
parlamentare, i “Quaderni Piacentini”, nata nel 1962 , Goffredo Fofi
afferma: « Il valore del film consiste nel suo rapporto con un contesto
reale odierno. Senza certi fatti recenti, senza la tensione quotidiana di
una lotta di classe in progresso e le sue contraddizioni […] il film
avrebbe meno rilevanza, meno peso. »5
1.1. Prodromi: il fiume sotterraneo e lo sgorgare della violenza negli
anni Sessanta
Il protagonista di Indagine è un personaggio di cui non veniamo mai a
sapere il nome (sulla sceneggiatura viene chiamato semplicemente “il
dottore” o “l'assassino”, noi lo chiameremo “il Commissario”) perché
non vuole rappresentare se stesso ma un qualsiasi soggetto di potere o,
ancora più in generale e metonimicamente, il Potere tout court. Nella
prima sequenza lo abbiamo visto assassinare Augusta Terzi, ma già
nella seconda sequenza scopriamo che egli è in realtà il capo della
Sezione Omicidi della Polizia di Roma, un personaggio autoritario,
intransigente e carismatico, un poliziotto di stampo scelbiano, che è
appena stato promosso a responsabile dell'Ufficio Politico della
Questura, in quanto, come gli dice subito uno dei suoi colleghi: « Non
si poteva più andare avanti senza un indirizzo preciso. »
Questa allusione ci introduce subito al clima di alta tensione che si era
instaurato in quegli anni tra le forze dell'ordine, costituzionalmente atte
e portate a mantenere lo status quo e a mettere in pratica la cosiddetta
4 Sara Cortellazzo, Massimo Quaglia (a cura di), Cinema e giustizia, Celid, Torino 2009, p. 50 5 Goffredo Fofi, Due film “politici”: Petri e Pontecorvo, in « Quaderni piacentini », XL , aprile 1970 , p.
194
15
“ragion di Stato”, e le istanze innovatrici che a livello sociale e politico
si stavano aprendo varchi e imponendo su tutti i fronti della società.
In tale prospettiva appare evidente come Indagine contenga degli
specifici riferimenti alla cronaca italiana del periodo e ne rappresenti
un’originalissima rappresentazione in chiave grottesca, a partire dal
discorso di insediamento del commissario (sequenza 5), che riassume
gli obiettivi, coincidenti a quelli delle forze dell’ordine dell’epoca ,
raggiungibili attraverso una strategia molto chiara: mettere sullo stesso
piano dell’attività criminosa, tutte le legittime manifestazioni di
dissenso politico.
« […] Ciò è stato deciso poiché tra i reati comuni e i reati politici
sempre più si assottigliano le distinzioni, che tendono addirittura a
scomparire. Questo scrivetevelo bene nella memoria: sotto ogni
criminale può nascondersi un sovversivo; sotto ogni sovversivo può
nascondersi un criminale.
Nella città che ci è stata affidata in custodia, sovversivi e criminali
hanno già steso i loro fili invisibili che spetta a noi di recidere.
Che differenza passa tra una banda di rapinatori che assaltano un
istituto bancario e la sovversione organizzata, istituzionalizzata,
legalizzata? Nessuna. Le due azioni tendono allo stesso obiettivo, sia
pure con mezzi diversi, e cioè al rovesciamento dell’attuale ordine
sociale. » (Sequenza 5)
Non si deve dimenticare che lo scenario internazionale vedeva
schierati il blocco Sovietico e quello Occidentale - Atlantico in uno dei
momenti più critici della Guerra Fredda , così che l’uso della violenza
come strumento di azione politica cominciò sempre di più ad essere
considerato legittimo a tutti i livelli, anche a causa delle dittature e dei
colpi di stato che numerosi stavano avvenendo in Vietnam, Cambogia,
Sud America e soprattutto, Grecia.
In Vietnam, nel 1967 ci fu un'intensificazione del conflitto; nel Medio-
16
Oriente, la guerra arabo-israeliana dei Sei giorni in cui Israele sancì
definitivamente la sua superiorità militare, e si venne a creare
l’Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp, nata nel 1964) che
si diede strutture e organizzazione: ciò porterà ad un escalation di atti
terroristici di portata sempre più grande, fino all’azione del commando
alle Olimpiadi di Monaco del 19726.
In America Latina si stavano diffondendo i movimenti guerriglieri di
matrice anti-imperialista come il Fronte Sandinista di Liberazione
Nazionale in Nicaragua o le FARC.
Se, dunque, fino agli anni Cinquanta, l'estrema sinistra aveva ritenuto
impossibile il realizzarsi di una rivoluzione in Europa, a causa dell’
"equilibrio del terrore" imposto dagli armamenti nucleari di Stati Uniti
e Unione Sovietica, e l'eventuale pericolo di innescare un disastroso
susseguirsi si reazioni a catena a livello internazionale, con il riprodursi
di guerre e crisi in Asia, Africa, Medio Oriente e America Latina, la loro
convinzione cambiò. In modo specifico, la conclusione positiva della
crisi missilistica di Cuba nell'ottobre del '62 aveva dato prova di come
l'antagonismo tra i due blocchi non dovesse risolversi per forza di cose
in un conflitto nucleare7.
L’espandersi delle contestazioni studentesche in America del Nord e
Europa, diedero poi il colpo di grazia all'idea che una rivoluzione non
fosse possibile anche nel cuore dell'Occidente. La tecnologia militare
poteva quindi non essere un fattore così determinante, a fronte di masse
popolari guidate da ideali di giustizia ed eguaglianza che avrebbero
permesso ai vari movimenti di dar vita ad un nuovo internazionalismo
proletario capace di agire unitariamente a livello globale, "creare uno,
due, molti Vietnam", come scrisse Ernesto Che Guevara nel suo
6 Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta. Roma, Donzelli, 2003, p.
152 7 Ibidem
17
testamento politico8.
Quando Indagine uscì nelle sale si trovò al centro dell’interesse
pubblico non per caso, né per la semplice propensione dello spirito
dell’epoca alle letture orientate e tendenziose in quanto il film stesso
richiede e incoraggia un’interpretazione che faccia leva sulla lettura
della situazione politico-sociale9.
In Italia, il crescendo della legittimazione dell'uso della violenza, sia
da parte dei contestatori, sia da parte di chi avrebbe dovuto mantenere
l'ordine, fu come il lento sgorgare di una fonte sotterranea, che non si
era mai prosciugata, sin da quella che è poi passata alla storia, per molta
storia di visione politicizzata marxista o fascista che si voglia, come la
"guerra civile" avvenuta durante la Resistenza contro il nazifascismo10.
Guerra fratricida tra Italiani, unico tentativo di rivolta armata che si
avvicinò a quel fenomeno storico che l'Italia non ha mai sperimentato:
la rivoluzione.
Fiume che fu tentato di sopprimere, ottenendo il risultato contrario, con
quell'amnistia Togliatti che andò ad ingrossare il bacino del
risentimento di quella che veniva considerata la “Resistenza tradita”,
che a sua volta sfociò nella riscoperta ideologica di questo mito da parte
della generazione Sessantottina che aveva nell’antifascismo uno dei
suoi pilastri ideologici portanti.
Mito della Resistenza tradita visto inoltre come giustificazione al
passaggio all’uso delle armi come passaggio simbolico di una
legittimità a difendersi dal nemico fascista per portare a termine la
rivoluzione interrotta anni prima e che ebbe i suoi momenti leggendari,
quali, ad esempio, la celebre pistola tedesca che un partigiano di
Reggio Emilia aveva sottratto durante la guerra ad un nazista e che
8 Ibidem 9 C. Bisoni, op. cit. , p. 44 10 Guido Panvini, Ordine Nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e
Settanta (1966 – 1975). Torino, Einaudi, 2009 , p. 49
18
regalò a Franceschini, futuro fondatore delle Brigate Rosse.
Allo stesso modo, a destra, il “culto della vendetta” per la sconfitta
subita, si riscontra nelle biografie dei terroristi neri con un passaggio
delle armi sistematico, di generazione in generazione11.
Petri non manca di accennare a questa continuità ideologica nel suo
film, con queste due semplici battute contenute nella sequenza 22:
« Dottore, hanno gli stessi nomi di trent’anni fa. »
« La rivoluzione è come la sifilide, ce l’hanno nel sangue. »
Il fiume della violenza però cominciò a (in)filtrare e corrodere da
dentro le fragili pareti con cui era stato arginato, già sul finire degli anni
della “congiuntura” e di “astensionismo legislativo” , che avevano
caratterizzato la prima metà degli anni Sessanta, e che portarono
direttamente allo scoppio delle proteste nelle università e poi nelle
fabbriche, fino alla totale rottura della diga e degli argini , punto
definitivo di non ritorno, ovvero la battaglia di Valle Giulia.
Il 1° marzo 1968, a Roma, successero due cose di enorme portata: in
un’aula di tribunale i giudici condannavano i giornalisti dell’”Espresso”
che avevano rivelato le trame del generale De Lorenzo (cfr par. 1.3);
alla fine di un corteo studentesco, che aveva come scopo quello di
rientrare nella propria Facoltà di Architettura, a Valle Giulia appunto,
gli studenti trovano schierato un cospicuo numero di carabinieri e
polizia che, come da prassi, cominciò a caricare la folla che però, per la
prima volta, non si dileguò, ma reagì alla violenza con quella che fu poi
una vera e propria battaglia, come infatti viene ricordato questo evento.
11 Ibidem
19
1.1.1. Pasolini e la polemica dei “proletari in divisa”
Fu in questa occasione che Pasolini scrisse la sua famosa poesia Il PCI
ai giovani12, che causò una controversa polemica e costò allo scrittore
un ulteriore isolamento all’interno del suo partito, ma servì ad attirare
l’attenzione dell’opinione pubblica sul “movimentismo” che in questa
fase storica stava nascendo proprio con la battaglia.
In Indagine ci sono due palesi accenni alla questione dei cosiddetti
“proletari in divisa” contro gli studenti “figli di papà”e borghesi, che
lasciano intendere la vicinanza di ideali di Petri allo scomodo
intellettuale Pasolini : il primo è nella sequenza 14, quando il
commissario è impegnato ad ascoltare l’intercettazione telefonica di
Antonio Pace il quale, ad un certo punto, cosciente del fatto di essere
sorvegliato telefonicamente, si lancia in un appello pasoliniano al «
brigadiere di turno che sta ascoltando l’intercettazione. Compagno
brigadiere, tu che hai l’ingrato compito di spiare illegalmente la nascita
della rivoluzione italiana, sei anche tu uno sfruttato, un figlio del
popolo! Unisciti a noi! O per lo meno, chiedi un aumento di
stipendio…» Appello, che verrà accolto dall’impiegato, con una
sommessa richiesta di aumento di stipendio al Commissario che gli
risponderà in malo modo minacciandolo di fargli rapporto.
La seconda allusione è contenuta invece nella sequenza 20, quando le
forze dell’ordine rastrellano gli studenti e i contestatori, nella giornata
in cui è scoppiata una bomba in Questura e contemporaneamente altri
due attentati sono stati effettuati alle 18:30, uno alla American Express
e l’altro al Palazzo di Giustizia (ciò è specificato nella sequenza 19). Il
riferimento a giornate di scontri e agitazioni come quella del 1° marzo è
chiara, e a togliere ogni dubbio, il grido di uno degli studenti che
scendendo dalla camionetta urla « Poliziotti siete i nostri fratelli! »
12 Pier Paolo Pasolini, Il PCI ai giovani, in “L’Espresso”, 16 giugno 1968
20
1.1.2. La portata rivoluzionaria della “festa sessantottesca” e il
“No al processo in piazza” di Moro
Secondo alcuni critici, il film di Elio Petri esibiva il deflagrare delle
contraddizioni della nostra società attraverso una metafora che faceva
di Indagine un film sul Sessantotto, e sul suo radicale desiderio di
strappare il velo delle apparenze.13
In questi anni, gli operai sostenevano massicce agitazioni sindacali
(nel ’66 c’erano già stati 115 milioni di ore di sciopero); fiorivano o
stavano per sbocciare molteplici gruppi politici – da Potere Operaio ai
marxisti-leninisti di ispirazione maoista, dal dissenso comunista
espresso dal “Manifesto” a “Lotta Continua”.14
Oltre a Roma, anche a Pisa, Milano, Torino, Trento e Napoli, le
occupazioni delle università dilagavano un po’ ovunque. A tutto questo,
si aggiungeva la crisi e la scomparsa degli organismi rappresentativi
tradizionali nelle università come nel campo operaio; venivano
sostituite dai gruppi di matrice politica “extra-parlamentare” (sia di
destra che di sinistra) nelle prime, e con la nascita di comitati unitari di
base, nelle seconde.15
« In questa città non si uccidono solo puttane: qui si uccide l’ordine,
l’equilibrio sociale. In ventiquattro ore tre occupazioni, baraccati,
studenti e insegnanti… insegnanti italiani… in sei mesi hanno
scioperato ottantuno milioni di ore! » dice il Commissario nella
sequenza numero 15.
Non dobbiamo dimenticare che il film veniva realizzato proprio
durante quello che passò poi alla storia come “autunno caldo”, ovvero,
l’autunno del 1969, il massimo momento di tensione e scontro sociali
che infatti deflagrerà nella strage di Piazza Fontana, come vedremo nel
13 Andrea Minuz, Il doppio Stato e le convergenze parallele. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto e Piazza Fontana, in Christian Uva (a cura di), Strane storie. il cinema e i misteri d’Italia,
Catanzaro, Rubbettino, 2011, p. 37. 14 Walter Tobagi, Storia del movimento studentesco e dei marxisti leninisti in Italia, Sugar, Milano, 1970,
p. 52. 15 Enzo Santarelli, Storia critica della Repubblica, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 146.
21
paragrafo 1.2.1 .
Per quanto riguarda il ’68, Petri analizza una fenomenologia del
“bisogno politico” quale si prefigura a partire dalla “festa
sessattontesca”.
Il ’68 viene inteso come spazio festivo: le piazze e le strade d’Italia
battute da un’onda delirante, conclamantesi Potere .16
Tra le conquiste del movimento studentesco e operaio c’è infatti
sicuramente quella di aver portato in strada, dans la rue (come recitava
appunto uno degli slogan più in voga durante il Maggio parigino), il
dibattito politico.
Questo si delocalizzò, per tutta la durata dell’ “onda lunga”
studentesca (quindi fino alla fine degli anni ’70) in maniera
considerevole. Per la prima volta le istituzione ebbero modo di
preoccuparsi, poichè il dibattito politico si era spostato, appunto, dai
luoghi convenzionali dello Stato ai luoghi della contestazione; tanto che
il presidente della DC, l’onorevole Aldo Moro, arrivò a pronunciare
queste parole, in conseguenza allo scandalo Lockheed che coinvolse sia
il governo, sia l’allora Presidente della Repubblica in persona, Giovanni
Leone:
« Nel Paese vi sono molte opposizioni […]; e quell’opposizione, colleghi
della Democrazia Cristiana, sarà molto più intransigente, sarà molto più
radicale, quando i processi non si faranno più in un’aula come questa, ma si
faranno nelle piazze, e nelle piazze vi saranno le condanne. […] Onorevoli
colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che
noi non ci faremo processare. »17
A questo proposito, nella sequenza 14 di Indagine, troviamo un
giudizio che suona come una sentenza, soprattutto per la caratteristica
16 Domenico Monetti, Polpol/Poppol.Per un approccio teorico e citazionistico a due film eccentrici: Todo
Modo e Il Divo, in Diego Mondella (a cura di), L’ultima trovata. Trent’anni di cinema senza Elio Petri,
Bologna, Pendragon, , 2012 , p. 132. 17 Atti parlamentari, VII legislatura, Parlamento in seduta comune, Resoconto stenografico della seduta dal
3 all’11 marzo 1977, p.455
22
di reazione esagerata che lo contraddistingue: ad un certo punto,
Mangani, un subordinato del commissario, non vuole rilasciare il
marito di Augusta, nonostante sia chiaro che egli sia innocente, al che il
commissario gli dice in tono sprezzante : « Sei un burocrate. Ti fa paura
l’opinione pubblica. »
Troviamo inoltre, nella sequenza 13, un’esilarante lista delle scritte che
in quegli anni comparivano sui muri, elencate come testimonianze più
visibili e reazione immediate degli avvicendamenti storici e politici, e
in cui possiamo trovare il repertorio completo dei miti, dei riferimenti
culturali del ’68 e quindi dei loro slogan:
« Nell’anno 1948 furono cancellate duemila scritte inneggianti a Stalin.
Cinquanta a Lenin. Mille a Togliatti. Trenta al maresciallo Tito.
Trecento al Duce. Quattrocentoquindici all’Uomo Qualunque.
Nel ’56 invece gli Stalin scendono a cento. Un calo enorme. »
« E Togliatti? »
« Stazionario. »
« Nel ’58 un centinaio di Viva Krusciov. Cinquanta Mao Tse. E
spuntarono anche un cinquecento Abbasso Stalin. Che per ordini
superiori non furono cancellati, ovviamente. »
« L’anno scorso i Viva Mao arrivarono a tremila. Ho Chi Minh arrivò a
diecimila. Che Guevara mille. Marcuse undici Viva e Abbasso. »
« Un fatto nuovo: abbiamo notato un paio di Viva un certo SADE »
« Eeh…è il Marchese! »
« Per l’anno in corso, si prevedono diecimila evviva Mao, cinquecento
Viva Trozkij e una decna di Viva Amendola. E forse ancora un cinque-
seicento Viva Stalin. »
Anche nella seconda parte della sequenza 23, quella in cui lo studente
Antonio Pace si trova faccia a faccia con il commissario nella stanza
dell’interrogatorio, possiamo trovare questo tema, in quanto Pace
sembra l’unico a non temere l’autorità del poliziotto e, proprio per
23
questo, svelare la sua debolezza e la sua colpevolezza; è l’unico in
grado di renderlo vulnerabile perché è l’unico a vedere e ad affermare
ad alta voce la verità (dopo Augusta, ovviamente). Petri mette in scena
lo scontro tra i due in un modo che porta lo studente ad assumere i
contorni di un contro-potere rispetto al quale il commissario non può
nulla18.
A darci un’idea della portata del cambiamento che il ’68 portò nel
panorama culturale italiano, basti pensare che nel 1961 Petri aveva
esordito con un lungometraggio dal titolo L’assassino, che venne però
censurato a causa di una scena in cui si vedeva un poliziotto dalle
scarpe sporche di fango, che saliva le scale di un condominio e veniva
quindi ripreso dal portiere del palazzo; soli nove anni dopo egli potè
invece realizzare Indagine che ebbe un enorme successo di pubblico per
cui una censura era del tutto da escludere. Tutto ciò sarebbe stato
impensabile solo nove anni prima.
Nonostante tutto Petri riuscì, suo malgrado, a risultare sgradito
all’intero arco costituzionale: sia alla componente governativa e
all’estrema destra, arroccate nell'aprioristica difesa dell'istituzione
polizia tramite l’accusa dal sapore medievale di “vilipendio delle
istituzioni costituzionali” (quando negli Stati Uniti ad esempio film su
poliziotti, politici e presidenti corrotti erano già da tempo all'ordine del
giorno), sia alla sinistra extra-parlamentare.
A proposito dell’accusa di vilipendio e del rischio di censura a cui fu
esposto il film, in un’intervista realizzata da Giacomo Gambetti per
“Cineforum” nel 1970, Petri afferma:
« Devo dire che il vero risultato storico del film è il parere della Procura
della Repubblica di Milano che, fra l’altro, esclude nel film significati
“offensivi”, esclude che un ufficiale di polizia – appunto – sia tutelato dalla
prima parte dell’art. 290 C.P. (“Chiunque pubblicamente vilipende la
Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o la
18 C. Bisoni, op. cit. , p. 118
24
Corte Costituzionale, o l’Ordine giudiziario è punito con la reclusione da sei
mesi a tre anni”), ed altresì considera arbitraria l’estensione “personale” a
“funzionari e uffici amministrativi” del capoverso dello stesso art. 290
secondo il quale “la stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le
Forze armate dello Stato o quelle della liberazione”. Un fatto è politico
quando incide sulla sostanza dei rapporti politici, come ho detto sopra: mi
pare che Indagine abbia contribuito ad uno spostamento, o almeno a una
precisazione [… ] » 19
Come possiamo leggere documenti II e III riportati in Appendice, è
indicativo come il Giudice Caizzi faccia, nel primo, una disanima del
film, che pochi critici dell’epoca condussero con tanta chiarezza, e, nel
secondo, notare le conclusioni giuridiche e quindi politiche che trae20.
Nonostante la grande enfasi data dai giornali al tentato sequestro del
film da parte della magistratura, l’operazione alla fine si risolse con un
divieto ai minori di quattordici anni. Fu la prima volta che un film
radicalmente critico nei confronti dell’istituzione della polizia non
veniva colpito dal reato di vilipendio.21
A proposito invece delle antipatie che suscitò anche all’interno della
sinistra extraparlamentare e dei movimenti studenteschi, la causa fu
l’indignazione dovuta alla rappresentazione data del movimento, come
informe, caotico e piuttosto disorganizzato quale effettivamente era22.
Nel film si fa un breve ma significativo accenno al tipico frazionismo
della sinistra italiana, nella sequenza 22: i manifestanti sono rinchiusi in
una cella sotterranea della caserma; c’è chi sventola il libretto rosso, chi
canta slogan e canzoni rivoluzionarie , chi urla “trozkisti”, chi
“spontaneisti”, “fascisti”. La voce parzialmente fuori campo di
un poliziotto commenta: “Vede dottore, nemmeno la galera li unisce. In
due ore si sono già spaccati in quattro gruppetti. E’ come una reazione a
catena. Per fortuna sono divisi, se no per noi sarebbe dura”.
19 Giacomo Gambetti, Petri: politico senza enigmi, in « Cineforum » , XCII, 1970, pp. 106 – 113. 20 Ivi, p. 111 21 A. Minuz, op. cit., p. 5 22 www.filmscoop.it, ultima consultazione: 09/12/2014
25
In questa congiuntura, tra nazionale ed internazionale, la protesta era
ormai innescata, e in Italia, significativamente, sarebbe durata più a
lungo che altrove.
Gli scontri degli studenti romani con la polizia nel marzo del ’68 ne
costituiscono, insieme agli eventi di Parigi, il detonatore più efficace23.
Non deve quindi stupire che il discorso del protagonista dell’opera qui
esaminata, sia così simile ad un comunicato che, in forma di lettera,
venne inviato nel 1966 da parte dei Nuclei di difesa dello Stato (uno dei
gruppi apparteneneti allo stay-behind, operante nell’ambito di Gladio),
a centinaia di ufficiali dell’esercito, esortati a combattere contro la
sovversione interna:
« Ufficiali! La pericolosa situazione della politica italiana esige il vostro
intervento decisivo. Spetta alle forze armate il compito di stroncare
l’infezione prima che essa divenga mortale. Nessun rinvio è possibile: ogni
attesa, ogni inerzia significa vigliaccheria. Subire la banda di volgari
canaglie che pretendono di governarci, significa obbedire alla sovversione
e tradire lo Stato.
Militari di grande prestigio e di autentica fedeltà hanno già costituito in
seno alle forze armate i Nuclei di difesa dello Stato. Voi dovete aderire ai
NDS. O voi aderite alla lotta vittoriosa contro la sovversione, oppure anche
per voi la sovversione alzerà le sue forche. E sarà, in questo caso, la
meritata ricompensa per i traditori. »24
Appello molto significativo, piattaforma di un’aggregazione eversiva
destinata a divenire nei successivi cinque anni – con la benevola
copertura dei servizi segreti – protagonista della cosiddetta strategia
della tensione.25
23 E. Santarelli, op. cit. , p. 147. 24 Giuseppe De Lutiis , I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda repubblica. Roma, Editori
Riuniti, 1998. 25 Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera. Neofascismo e Servizi Segreti da Piazza Fontana a Piazza
della Loggia. Milano, Rizzoli, 2008, p. 24.
26
1.2. “Io a questa roba preferisco l’omicidio”:
dall’Autunno Caldo a Piazza Fontana.
Se dunque già nel ’68 troviamo segnali di radicalizzazione della
violenza in situazioni di scontro aperto, è bene notare che le iniziative
in questo senso, sia quelle dei gruppi della sinistra extra-parlamentare,
sia quelle dei neo-fascisti, furono prese in via preventiva nel clima di
aspra conflittualità sociale che montò nel Paese, pur in un quadro di
sostanziale legalità e rispetto dei diritti civili. Gruppi di estrema destra e
di estrema sinistra cominciarono però ad organizzare la violenza in
previsione dello scontro con il sistema democratico26.
Inizialmente, a muoversi furono piccole minoranze, ancora troppo
marginali per incidere sul quadro politico, ma portatrici di un
messaggio radicale, basato sulla violenza quale mezzo più efficace e più
rapido per modificare i rapporti di potere. Questo messaggio, si diffuse
molto velocemente, riscrivendo alleanze, infrangendo tradizioni ed
esercitando una notevole capacità d’attrazione nei confronti della base
dei partiti, soprattutto il Movimento Sociale e il Partito Comunista.27
La tensione raggiunse il culmine nel novembre del 1969 (sempre
nell’ambito del già citato “autunno caldo”), quando ci fu uno sciopero
generale per il diritto alla casa che registrò manifestazioni ad altissima
partecipazione ma con frequenti episodi di violenza in cui rimase
coinvolto e ucciso , a Milano, il giovanissimo agente di polizia Antonio
Annarumma.
Questo episodio determinò una spaccatura profonda nella società, e
alimentò in maniera dirompente clamorosi gesti d’insubordinazione tra
le forze dell’ordine.
Il dialogo che troviamo nella sequenza numero 15, ci parla di questo:
26 G. Panvini, Op. Cit., p. 20. 27 Ibidem.
27
Biglia vuole parlare dei sui dubbi sul caso Terzi con il Commissario che
intanto cerca di distoglierlo con una delle sue invettive reazionarie « In
questa città non si uccidono solo puttane: qui si uccide l’ordine,
l’equilibrio sociale. In ventiquattro ore tre occupazioni, baraccati,
studenti e insegnanti… insegnanti italiani… in sei mesi hanno
scioperato ottantuno milioni di ore! » Ma Biglia sorvola , insiste
esponendo al Commissario le sue ultime intuizioni sull’omicidio,
escludendo a priori le ipotesi che portano al commissario “che
ovviamente non c’entra.” Il Commissario gli da il via libera per andare
ad indagare anche a casa propria, al che Biglia risponde basito « Ma
allora io posso veramente andare a casa sua? » Il commissario glissa di
nuovo sulla notizia delle occupazioni delle scuole e asserisce
solennemente « Guarda io a questa roba, preferisco l’omicidio.” Biglia
si congeda ma chiede ancora una volta incredulo: “Ma allora se ne ho
bisogno posso proprio andare a casa sua per la cravatta!? »
In questa scena il commissario lo dice palesemente: « Io a questa roba
preferisco l’omicidio », dichiarando in una frase sola sia la propria
colpa (che però non verrà ascoltata dal suo subordinato, incredulo di
poter indagare su un suo superiore), sia l’atteggiamento che molte parti
dello Stato e delle sue istituzioni di difesa assunsero in questo
frangente, in cui si sentirono così drasticamente messe in pericolo e in
discussione.
28
1.2.1 La strage di Piazza Fontana
Tra la fine delle riprese del film e la sua uscita nelle sale, accadde
qualcosa che avrebbe dato a quelle immagini un significato inatteso. La
pellicola uscì infatti in anteprima nei cinema di Milano il 12 febbraio
del 1970, vale a dire a due mesi esatti dalla strage di Piazza Fontana,
avvenuta alle 16:37 di venerdì 12 dicembre 1969, in cui una bomba
esplose alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano.
L’ordigno provocò diciassette vittime e un centinaio di feriti tra clienti
e impiegati.
L’attentato fu solo una parte del piano criminale, che comprendeva
altri tre scoppi, un altro a Milano e altri due nella capitale.
Pluralità e dinamiche degli attentati indicano la volontà di provocare
una strage di proporzioni ancora maggiori di quella alla Banca
Nazionale dell’Agricoltura.28
Se al già tragico bilancio delle vittime si fossero aggiunte quelle
dell’altra banca milanese e di quella romana, senz’altro ci sarebbe stato
un impatto destabilizzante sulla società intera e il governo avrebbe
dichiarato lo stato di emergenza, con il risultato di proiettare i militari
alla ribalta della politica nazionale.29
Fu così che prese il via la stagione della “strategia della tensione” (o
“strategia della sopravvivenza”, come suggerisce invece di chiamarla
Andreotti nel film di Sorrentino Il Divo, del 2008). Lo stesso Francesco
Cossiga affermò: « aveva come fine […] di creare una situazione di
destabilizzazione che rendesse possibili avventure autoritarie o
dittatoriali»30. Di queste “avventure dittatoriali” vedremo più avanti nel
dettaglio (par. 1.3) .
28 Franzinelli, Op. Cit., p. 50. 29 Ivi, p. 51. 30 F. Cossiga, in G. Boatti, Piazza Fontana, Einaudi, Torino 2009, p. 408. (Il testo stenografico completo
dell’audizione di Francesco Cossiga è consultabile all’indirizzo
http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno27a.htm).
29
Affermò invece Norberto Bobbio:
« Nonostante il lungo procedimento giudiziario in più fasi e in più
direzioni, il mistero non è stato svelato, la verità non è stata scoperta, le
tenebre non sono state diradate. Eppure non ci troviamo nella sfera
dell’inconoscibile […] la degenerazione del nostro sistema democratico è
cominciata da lì, cioè dal momento in cui un arcanum, nel senso più
appropriato del termine, è entrato imprevisto e imprevedibile nella nostra
vita collettiva, l’ha sconvolta, ed è stato sconvolto da altri episodi non
meno gravi rimasti altrettanto oscuri. »31
In Indagine Petri prefigura con impressionante precisione le tensioni
originanti e susseguenti la strage, in quanto, anche se concepito in
anticipo rispetto ai tragici fatti del 12 dicembre 1969, il film uscì nelle
sale nei primi mesi del 1970, facendosi specchio distorto e involontario,
dell’affaire piazza Fontana.
La rappresentazione che il film fa del potere, « interamente unificato
nelle mani di chi lo possiede, senza residui, localizzato nell’apparato di
Stato che si esprime attraverso il commissario di polizia e gli altri
funzionari contigui in gerarchia »32, si fa espressione della crescente
insofferenza che la collettività cominciava a nutrire contro le forme di
autoritarismo.
Nel Cinema della nostra vita (Lindau, Torino, 2001 ), Ugo Pirro
afferma che la scena degli studenti portati in questura, nelle sequenze
19 e 20, si potrebbe definire “profetica”, poiché « una bomba scoppia
all’interno della questura e questo attentato provoca une repressione
indiscriminata nei confronti di militanti di estrema sinistra. I cellulari
della polizia scaricano in questura centinaia di giovani che urlano
slogan contro tutti, uno dei fermati viene costretto a mangiare sale come
accadrà allo stesso Commissario nella sequenza finale dl film. E’
quanto accade all’indomani della bomba di Piazza Fontana, i reportage
31 Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1995, p. 108 32 C. Bisoni, op. cit., p. 46
30
dei telegiornali sembravano sequenze strappate al nostro film. La
finzione diventò realtà. »33
La « disgregazione immaginaria e reale dell’idea di Stato »34 aveva
ormai preso il suo avvio e portava con sé conseguenze su due diversi
versanti: l’impunità veniva infatti a sostenere e favorire quei settori o
gruppi dell’esercito, a confermare loro una comunità d’intenti con il
potere politico (o una parte di esso). Essa veniva anche a intaccare in un
sempre maggior numero di cittadini la fiducia nelle istituzioni
democratiche e nella loro capacità di difendersi, alimentando incertezze
e sospetti di collusione tra “potere visibile” e “potere invisibile”.
Poneva di fatto il problema della difesa della legalità democratica nel
caso di una traumatica rottura.35
Con Piazza Fontana nasce infatti il termine “strage di Stato”, figlia
diretta della “strategia della tensione”: un inasprimento forzato dello
scontro sociale, volto a spostare a destra l’opinione pubblica e volto a
costruire “governi d’ordine”, se non presidenzialismi autoritari o aperte
rotture degli assetti costituzionali.
L’elemento di novità rispetto al passato fu proprio la “battaglia di
verità” su Piazza Fontana, in cui gli attori di questa strategia - fatta di
attentati terroristici, aggressioni squadriste e uso illegittimo degli
apparati dello Stato - erano già tutti all’opera. Lo erano anche nella
gestione dell’inchiesta giudiziaria e dei processi, con la funesta
conseguenza che questa sarà anche l’ultima volta in cui la “versione
ufficiale” di questure, magistrature inquirenti e governi, sarà
automaticamente accettata dal Paese, o dalla gran parte di esso. Questa
novità spiega perché si siano introdotte allora modificazioni profonde
negli orizzonti culturali, prima ancora che nello scontro sociale e
politico.36
33 Ugo Pirro, Il cinema della nostra vita, Lindau, Torino, 2001, p.61 34 Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Einaudi, Torino 2003, p.
217 35 G. Crainz,op. cit. , p. 103. 36 Ivi, p. 368.
31
La strage di Stato implicava che gli organizzatori e gli autori materiali
degli atti terroristici fossero, nella quasi totalità dei casi, gruppi
neofascisti che trovavano la attiva copertura di settori significativi degli
apparati dello Stato (servizi segreti, questure, differenti strutture del
ministero dell’Interno – a partire dalla Divisione affari riservati – e così
via).37
La graduale presa di coscienza del fatto che queste tesi avessero un
fondamento reale, ebbe effetti traumatici sulla società italiana. « Per la
prima volta – ha scritto Bocca – gli italiani avevano l’impressione di
essere stati ingannati, traditi dal loro stato. »38
E’ proprio da questo sentimento, da questo trauma collettivo, che Petri
colse l’idea di fondo di Indagine, decidendo come protagonista della
storia un poliziotto assassino e mostrandoci il retroscena, il come si
fosse venuta a creare l’allora paradossale situazione italiana. Lo stesso
carattere ambiguo e schizofrenico del commissario, che prima uccide,
poi , a fasi alterne, cerca di farsi scoprire o di nascondere e distruggere
le prove di quanto ha fatto, è a nostro parere, una perfetta sintesi, e un
riflesso fedele, di ciò che stava accadendo in Italia in quel momento.
« C’è qualcosa che esprime meglio questo clima di paranoia e
incertezza sulle sorti del nostro Paese, e sulle parti in gioco nel conflitto
sociale all’indomani di Piazza Fontana, di un giallo capovolto in cui
l’assassino, custode dell’Ordine, è costretto a confessare, contro ogni
prova evidente della sua colpevolezza, la propria innocenza? » si chiede
Andrea Minuz nel suo articolo « Il doppio Stato e le convergenze
parallele. “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e
Piazza Fontana. ».39
37 Ivi, p. 384. 38 Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano cit., p. 36. 39 A. Minuz, op. cit., p. 23.
32
1.2.2 La morte di Pinelli e l’affaire Calabresi
Indagine fu inoltre implicato, coinvolto in una coincidenza storica che
ha dell'incredibile.
La decisione di Petri di scegliere come protagonista il commissario di
un ufficio politico, andò fortuitamente a sovrapporsi alla funesta
vicenda che seguì immediatamente la strage di piazza Fontana.
La notte del 15 dicembre 1969 infatti, lo stesso giorno in cui si erano
svolti i funerali delle vittime di piazza Fontana, Giuseppe Pinelli, un
ferroviere anarchico fermato per gli attentati dei giorni precedenti,
precipitò da una finestra del palazzo della questura di Milano.40 Erano
presenti quattro sottoufficiali della di Pubblica sicurezza e un tenente
dei carabinieri, ma non Luigi Calabresi, il commissario dell’Ufficio
politico che condusse gli interrogatori, e che sarebbe stato subito
additato dalla sinistra extraparlamentare – e da una parte consistente
dell’opinione pubblica – come il responsabile della morte di Pinelli.41
Comunicata pressoché subito dal questore durante una conferenza
stampa, la morte di Pinelli venne presentata come suicidio seguito
all’ammissione del suo coinvolgimento nell’attentato alla Banca
Nazionale dell’Agricoltura.42
L'attentato coincide con la fine della lavorazione del film.43 Ugo Pirro
dichiara:
« […] Il consenso degli spettatori verso il film veniva alimentato
dall'indignazione montante per quanto avveniva nella questura di Milano e
ovunque. […] A tanta distanza di anni mi chiedo […] come […] fu
possibile che in quella situazione pesante, con le piazze occupate dai
manifestanti e la polizia in difficoltà, lasciassero circolare Indagine su un
cittadino al di sopra di ogni sospetto, ispirato, così sembrava, da quanto
accadeva proprio in quei giorni. »44
40 G. Panvini, op. cit. , p. 82. 41 Ibidem 42 Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Feltrinelli, Milano 1971, p. 52. 43 C. Bisoni, op. cit., p.43 44 U. Pirro, op. cit., , pp. 68-69.
33
Anche se l'effetto di sovrapposizione è fortuito, la morte di Pinelli
legittima un'ulteriore svolta verso una lettura del film in chiave
referenziale, alla ricerca di riferimenti precisi al presente. « Lotta
Continua » appoggia il film suggerendo di identificare il commissario
di Petri e Pirro con Luigi Calabresi, già ritenuto responsabile della
morte di Pinelli.45
Petri e Pirro furono peraltro tra i firmatari della famosa lettera aperta
sul caso Pinelli, pubblicata su L’Espresso il 13 giugno 1971, a cui
settecentocinquantasette personalità del mondo politico e intellettuale
italiano aderirono formulando una serie di accuse a persone che
avrebbero condizionato, a vario titolo, l’iter processuale in favore del
commissario Calabresi. Tra queste persone accusate c’era anche lo
stesso magistrato Giovanni Caizzi che un anno prima aveva negato la
censura di Indagine e che in seguito indagò sulla morte di Pinelli
insieme a Carlo Amati.
Sebbene infatti il film cominci con la dicitura “ Ogni riferimento a
persone o fatti è puramente casuale”, la somiglianza notevole del
protagonista con il commissario Calabresi, mai confermata dagli autori,
proprio nel momento dell'istruttoria sulla morte dell'anarchico Pinelli,
portò ad una richiesta di sequestro della pellicola da parte della questura
di Milano, fortunatamente poi invalidata dal giudice.46 (Per il testo
completo si rinvia ai documenti II e III in Appendice).
Come sappiamo però, la storia non perdonò nulla a nessuno:
l’anarchico Valpreda fu arrestato per poi essere dichiarato innocente ben
dieci anni dopo; il commissario Calabresi fu assassinato da membri di
Lotta continua il 17 maggio del 1972; Adriano Sofri, accusato di essere
il mandante dell’omicidio, passerà ventidue anni in carcere, nonostante
si sia sempre dichiarato innocente.
Non fu quindi un caso che, dopo il successo di Indagine, Petri si
45 C. Bisoni, p.43 46 U. Pirro, op cit., p. 70, cfr. supra par. 1.2.2.
34
impegnò nel progetto Documenti su Giuseppe Pinelli, un documentario
collettivo ideato dal “Comitato dei cineasti contro la repressione” e
distribuito attraverso i canali del PCI e del movimento studentesco,
realizzato all’indomani della misteriosa morte di Pinelli. Con un gruppo
di pochi attori, tra cui Gian Maria Volontè, Petri ricostruiva qui e
metteva a confronto, per mostrarne i paradossi, le diverse spiegazioni
date dalla polizia per giustificare il “suicidio” di Pinelli.47
Gli attentati minarono insomma la credibilità nelle istituzioni
provocando un distacco tra queste e la società civile. Le macchinazioni
che segnarono le indagini degli organi inquirenti sui responsabili degli
attentati, a cui si aggiunge l'episodio gravissimo della morte di Pinelli, e
la presenza di settori dei servizi segreti e delle forze dell'ordine
compromessi con gli attentatori e sfuggiti al controllo istituzionale,
posero il drammatico interrogativo se e come fosse lecito il ricorso alla
violenza e se lo Stato, come sembrò, non fosse più in grado di
esercitarne con sicurezza il monopolio.48
L'invocazione della guerra civile come soluzione per fare uscire l'Italia
dalla crisi e salvarla dal comunismo, già comparsa dall’inizio dei
movimenti studenteschi, si ripropose nuovamente e con più frequenza
dopo la strage di piazza Fontana, a riprova del “pervertimento” delle
relazioni politiche che quel fatto introdusse nella vita pubblica del
Paese.49
Questa analisi della situazione nazionale ed internazionale era
condivisa da larghi settori del neofascismo: l’avanzata su scala globale
del nemico comunista imponeva infatti il “serrate le file” di tutto
l’Occidente50, come approfondiremo nel paragrafo successivo.
47 A. Minuz, op. cit. , p. 24 48 G. Panvini, op. cit., p. 87. 49 G. Panvini, op. cit., p. 122. 50 Ibidem, p. 23.
35
1.3 "Rumor di sciabole" : la paura dei colpi di stato
e il neofascismo
Un ulteriore fattore che caratterizzò la Weltanschauung del periodo
che si sta prendendo in considerazione, fu la paura e l'allarme per un
eventuale colpo di stato in Italia, una vera e propria psicosi che si
diffuse sia nel discorso pubblico, con film come Colpo di Stato di
Luciano Salce, sia a livello politico (soprattutto nella sinistra) come
dimostra il saggio pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli, intitolato
„Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale e
autoritaria a destra di un colpo di stato all’italiana.51
Paura e allarme giustificati, a livello internazionale, dai ben
cinquantasette colpi di stato avvenuti nel mondo tra 1960 e il 1969,
nella maggior parte dei casi in Asia, Africa e Sudamerica.52
Ulteriore giustificazione a questo timore diffuso furono altri tre
fondamentali fatti storici:
il Piano Solo nell'estate del 1964, il golpe dei colonnelli avvenuto in
Grecia il 21 aprile 1967, e il tentato golpe Borghese la notte tra il 7 e l'8
dicembre 1970.
Il Piano Solo (chiamato così in quanto vi avrebbero dovuto agire solo
gli appartenenti all'Arma dei Carabinieri) fu il primo disegno golpista
nella storia della Repubblica. Escogitato nel bel mezzo della crisi di
governo che vedeva Aldo Moro come presidente , e Pietro Nenni come
vicepresidente, dell'altrettanto primo governo di centro-sinistra della
storia dell'Italia repubblicana: il cosiddetto centro-sinistra organico,
formato da DC, PSI, PSDI e PRI.
La crisi di governo fu causata in primis dalle proposte di
51 Giangiacomo Feltrinelli, Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a
destra di un colpo di stato all’italiana, Feltrinelli, Milano, 1969. 52 G. Panvini, op. cit. , pag 61
36
pubblicizzazione parziale dei suoli e lo scontro sul finanziamento
pubblico alla scuola privata, le quali mostrarono una « congenita e
crescente carenza di forze e direttrici strategiche adeguate agli enunciati
in programma. »53
Fu così che, approfittando della crisi politica, il 15 giugno del 1964, il
generale De Lorenzo, comandante dell'arma dei carabinieri ed ex capo
del Sifar (il servizio segreto delle Forze Armate) impartì agli ufficiali
presenti a Roma in occasione del 150° anniversario dell'Arma, una serie
di direttive, quali l'arresto di un certo numero di persone e
l'occupazione di una serie di centri nevralgici.54
In questo drammatico frangente, il presidente Antonio Segni ebbe un
colpo apoplettico che lo portò alla morte.55
E’ solo nel 1967 che, grazie ad un’inchiesta condotta da “L’Espresso”
(cfr. par. 1.1) , venne alla luce quel “rumor di sciabole” come lo definì
Pietro Nenni, che fece pronunciare all’onorevole Luigi Anderlini una
simile frase:
“Abbiamo tutti corso il rischio di vivere, nel 1964, una notte come
quella che hanno vissuto gli uomini politici in Grecia”.56
Una Commissione d'inchiesta nominata nel gennaio 1968, sarebbe
giunta alla conclusione che scopo del Piano Solo era quello di creare
"un particolare stato psicologico atto a favorire la soluzione della
crisi57". La successione degli avvenimenti conferma l'ipotesi che esso
servì soprattutto come strumento di pressione.
Gli umori che fermentavano nell'esercito venivano così a collegarsi ai
processi che attraversavano il movimento neofascista negli anni
sessanta. Si delinearono allora fra i giovani, diverse forme di autonomia
– come l’MSI - e crebbe l'iniziativa dei gruppi più radicali: Ordine
53 E. Santarelli, op. cit., p. 133 54 Aurelio Lepre, Storia della prima Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 207 55 Ibidem 56 Montecitorio, 3 maggio 1967, Atto Parlamentare 57 A. Lepre, op. cit. , p. 208
37
nuovo, Avanguardia Nazionale , Giovane Europa, e così via.58
Nel 1967 il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia fornirà a questa
azione un ulteriore modello e ulteriore convinzione.
Il generale De Lorenzo e i suoi collaboratori godettero di un’impunità
che ebbe come conseguenze dirette il rivelare una scarsa capacità del
potere “visibile”di sventare complotti e congiure, e al tempo stesso
l’assestarsi di una “falda sotterranea di comparti delle forze armate il
cui lealismo istituzionale non riesce a reggere i socialisti al governo e i
comunisti al 25% dei voti”59, e quindi poi la strategia della tensione e le
stragi di stato.
Ad Atene, la notte tra il 20 e il 21 aprile 1967, un gruppo composto da
undici generali guidati da Georgios Spantidakis, comandante
dell'esercito greco, insieme ad un gruppo di ufficiali comandati dal
colonnello Georgios Papadopoulos, con il consenso del re Costantino II,
attaverso l'occupazione del Ministero della Difesa da parte di un
reggimento di paracadutisti con a capo il maggiore Georgios
Kostantopoulos, attuò un colpo di stato il quale sancì ufficialmente
l'inizio della dittatura dei colonnelli, destinata a durare per altri sette
anni, fino al luglio del 1974.
Durante il periodo in cui rimase al potere, la giunta militare soppresse
le normali libertà civili. I partiti politici vennero sciolti e vennero
istituiti tribunali militari speciali. Migliaia di supposti comunisti e di
oppositori politici vennero imprigionati o esiliati in remote isole
dell'arcipelago greco60. Osservatori inviati segretamente in Grecia da
Amnesty International, rilevarono che la tortura era una pratica usata
comunemente sia dalla polizia ordinaria che dalla polizia militare.61
58 G. Crainz, op. cit., p. 103 59 S. Lanaro, Storia dell’Italia Repubblicana, p. 328. 60 Www.osservatoriodemocratico.org, ultima consultazione: 29/10/2014. 61 Ibidem.
38
Scriveva Luca Pavolini su “Rinascita”:
« Migliaia, decine di migliaia di cittadini arrestati e chiusi in campo di
concentramento, le organizzazioni e i partiti di opposizione disciolti, la
costituzione e i diritti civili liquidati, l’ordine imposto con le autoblindo […]
E’ un paese della Nato a liquidare brutalmente tutto ciò per cui la Nato
afferma di esistere: la difesa della libertà, della democrazia, del sistema
elettorale e parlamentare. »62
Per la prima volta dal dopoguerra un paese europeo passava da un
regime parlamentare ad una dittatura. Fattore che destò fin da subito
molto interesse nell'estrema destra italiana che vide nel regime greco
l'esempio e il laboratorio politico dove poter sperimentare tecniche e
strategie per i suoi piani anti-insurrezionalisti da attuare in patria. Pino
Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, si recò in Grecia appena un mese
dopo il golpe, tornandovi a più riprese.
“Atene, Atene, e presto Roma viene”, si griderà a lungo nei cortei e
nei comizi promossi dal Movimento sociale italiano e dalle sue
organizzazioni giovanili63.
Oltre ai campi militari scoperti in Puglia, Friuli Venezia Giulia e
Veneto, ci sono prove di addestramenti di neofascisti italiani avvenuti
ad Atene, addestramenti all’uso di esplosivi e sulle tecniche della
guerriglia urbana.
Particolarmente significativo fu in questo ambito un viaggio di ben
quarantanove esponenti di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale,
Europa Civiltà e Nuova Caravella (l’organizzazione universitaria
dell’MSI), compiuto tra il 18 e il 25 aprile del 1968, nel primo
anniversario del golpe.
Tra loro, oltre a Pino Rauti, Adriano Tilgher, Mario Merlino e Giulio
Maceratini.64
62 Luca Pavolini, Gli alleati colonnelli, in « Rinascita », 5 maggio 1967. 63 G. Crainz, op. cit., pag. 154 64 Giuseppe De Lutiis, op. cit., pag. 9
39
Avvenne così che le cellule terroristiche vicine a Ordine Nuovo,
ricevettero una vera e propria formazione per la guerra civile , grazie
anche al supporto di ex militari della Repubblica sociale e della X MAS
e, persino, di ufficiali dell’esercito e della NATO vicini a Gladio,
disponibili a considerare positivamente l’eventuale ausilio di gruppi
neofascisti armati, in caso di invasione delle truppe sovietiche.65
Risalgono a quegli anni anche i "proficui rapporti" tra il Sid, il
Servizio Informazioni e Difesa italiano, e il Kyp, il servizio segreto dei
colonnelli greci.
Fin dai primi mesi il Sid mandò suoi agenti per stabilire i primi
contatti, e qualche mese dopo ci fu la celebre "crociera di studio" di
duecento fascisti italiani fra i quali troviamo ancora una volta Rauti,
Merlino, e Delle Chiaie, viaggio organizzato in comune accordo dai due
servizi segreti.66
Sarebbe lecito supporre che, dopo il tentato colpo di stato da parte di
De Lorenzo, il Sid avrebbe dovuto agire, per un considerevole periodo,
in maniera più cauta e "pentita": ciò non avvenne per nulla e anzi fu
proprio in questo periodo che le "deviazioni" all'interno del servizio,
assunsero aspetti sempre più gravi, che poi culmineranno nelle stragi e
negli altri torbidi episodi del periodo che va dal 1969 al 1974.67
L’aggettivo “torbido“ se lo merita sicuramente un altro episodio: il
cosiddetto “Golpe Borghese“, ovvero il secondo tentativo di colpo di
stato nell’Italia di quegli anni.
Cosa successe quella notte tra il 7 e l‘8 dicembre 1970 non è mai stato
chiarito veramente, e forse non fu chiaro nemmeno ai protagonisti stessi
della vicenda, primo tra tutti il “Principe Nero“ Junio Valerio Borghese.
Ex comandante della X MAS e promotore del tentato golpe , egli fu
pedina in un gioco più grande di lui, che infatti gli fu
65 M. Franzinelli, op. cit., p. 16 66 G. De Lutiis, op. cit., pag. 10 67 Ibidem
40
programmaticamente tolto di mano al momento dell’attuazione del
piano, quando si rese conto, o fu avvertito, che stava per cadere in una
trappola e che il golpe sarebbe stato utilizzato per mettere fuori gioco
gli ambienti più compromessi della destra eversiva68. Oppure, secondo
la testimonianza di Amos Spiazzi, colonnello dell’esercito che avrebbe
dovuto agire a Milano, fu tutta una grande messa in scena chiamata
Esigenza Triangolo, ideata dal governo democristiano per poter
emanare leggi speciali.69
A dimostrazione dell’esistenza dei suddetti “giochi più grandi”, la
commissione parlamentare d‘inchiesta sulla Loggia P2 (istituita nel
1981), raccolse alcuni indizi secondo cui fu Licio Gelli, capo massone e
eminenza grigia della loggia segreta, ad impartire il contrordine ai
complottisti per farli rientrare nei ranghi.70
Gli obiettivi del Golpe Borghese erano molto simili a quello del Piano
Solo, ovvero gruppi clandestini armati in stretti rapporti con le Forze
Armate, avrebbero dovuto attuare, in accordo con diversi vertici militari
e membri dei Ministeri, l’occupazione del Ministero dell’Interno, del
Ministero della Difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione
(radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel
Parlamento.
Diverse centinaia di congiurati si concentrarono a Roma nella notte tra
il 7 e l’8 dicembre, e con azioni simili in diverse città italiane; il golpe
era in fase avanzata di esecuzione, quando, improvvisamente, Valerio
Borghese ne ordinò l’immediato annullamento.71
Negli anni successivi si tentò insistentemente di avvallare e diffondere
nell’opinione pubblica, l’ipotesi che si fosse trattato solamente
68 Ivi, p. 108 69 Maurizio Dianese, Gianfranco Bettin, La strage. Piazza Fontana. Verità e memoria, Milano, Feltrinelli,
2002, p. 165 70 De Lutiis, op. cit., pag 108 71 Ivi, pp. 108-109-110
41
dell’operazione grottesca di un manipolo di nostalgici vegliardi72,
ipotesi accolta e suggellata nel film di Mario Monicelli del 1973,
“Vogliamo i colonnelli”.
Tuttavia, come si è già visto, ciò non rispecchia affatto la realtà, e,
come quasi sempre è accaduto nella storia della Repubblica, erano
coinvolti organismi, associazioni e poteri ben più grandi e seri, come ad
esempio la Cia, rappresentata in Italia dall’ingegner Hugh Fenwick,
indicato poi durante le successive indagini effettuate dal Sid stesso,
come l’intermediario tra Borghese e Nixon, il quale avrebbe promesso
un tangibile appoggio al golpe.73
Commenta e sintetizza in modo appropriato a questo proposito il
giudice Salvini:
«…il quadro di uno stato parallelo in cui civili, carabinieri e militari italiani
e militari americani, risultano comunemente impegnati nella prima metà
degli ’70 nel progetto di creazione di uno Stato “forte”, deciso ad impedire
in qualsiasi modo una possibile vittoria elettorale della sinistra. Ne esce
quindi il quadro del nostro Paese come uno stato a sovranità limitata in cui
le decisioni vengono concordate d’intesa con gli Alti Comandi di un altro
Stato […] è forse l’esempio più indicativo dell’organicità dei legami che
negli anni ’70 sono stretti fra organizzazioni eversive, alti esponenti
dell’Esercito e dei Carabinieri e addirittura ufficiali della NATO, del loro
ruolo di controllo della politica italiana e dello stretto mantenimento del
nostro Paese nel campo Atlantico e anticomunista. »74
A questo punto ci sembra che il quadro degli eventi che si
susseguirono nei dieci anni che intercorrono tra il 1964 e il 1974, possa
essere ricomposto con sufficiente precisione.
E’ anche a causa delle somiglianze tra i due tentativi di golpe italiani e
quello greco, che si può affermare quindi che quelli che all’epoca
apparivano distinti tentativi eversivi, si dimostrarono invece come
“allertamenti” di gruppi estremisti da parte di organismi che
72 M. Dianese, G. Bettin, op.cit., p. 167 73 De Lutiis, op. cit., p. 109 74 Sentenza ordinanza del Giudice Guido Salvini, 1995, Cap. XXIV, p. 219
42
intendevano serbare sempre pronta la carta del golpe, o per usarla come
estremo rimedio o per agitarla come arma di ricatto.75
L’idea del complotto, l’ipotesi e l’esistenza di “buchi neri” nella storia
nazionale, tipiche delle narrazioni dei film politici italiani dagli anni
Settanta ad oggi76, e specificatamente nell’opera dai noi presa in esame,
si fondano sulla correlazione occulta tra le diverse serie di eventi citati e
e le indagini che nascevano su di esse, che creavano quindi una
giustificazione alla loro esistenza.
Ad esempio, qualche anno dopo l’ultimo tentativo di golpe italiano, le
indagini chiarirono che l’organizzazione della struttura eversiva non
solo non era stata smantellata ma aveva continuato a funzionare,
aggiornando continuamente la data del golpe, come abbiamo già visto,
ma , ancora più fondamentale, portando alla luce l’esistenza di una
struttura parallela all’interno dell’apparato statale che operava d’intesa
con il Sid, e formata da militari e civili per fini sicuramente non
costituzionali.77
Organizzazioni come la Rosa dei Venti, o la Gladio di Licio Gelli,
scoperte solo successivamente, prendevano direttive da questa struttura
parallela mettendo in pratica veri e propri atti eversivi. Esse erano
dirette emanazioni di un servizio segreto sovranazionale della Nato che
si sovrapponeva agli ordini istituzionali dello Stato.78
Questi organismi avevano in comune la psicologia di base di chi vi
aderiva. I suoi adepti si sentivano principalmente membri di una
struttura internazionale in cui un blocco di nazioni – il mondo
occidentale o, se si preferisce, il mondo capitalistico – era in guerra, sia
pure celata, con il mondo comunista79. Essi inoltre non si ponevano
nessun problema di rispetto del giuramento di fedeltà alla repubblica e
75 De Lutiis, op. cit, p. 131 76 Bisoni, op. cit., p. 47 77 De Lutiis, op. cit, p. 114 78 Ibidem 79 Ivi, p. 120
43
alla sua Costituzione, perché la motivazione dello “stato di necessità” o
delle “ragion di Stato” (ecco di nuovo la “strategia della sopravvivenza”
dell’Andreotti Divo di Sorrentino) era assolutamente prioritaria. Anche
le violazioni del codice penale trovavano quindi piena giustificazione.80
Era una logica da guerra fredda, ma era la logica che per decenni
guidò le azioni degli aderenti a questa struttura occulta. I membri delle
organizzazioni erano insomma una strana commistione di militari
militanti e di militanti non giuridicamente militari che erano anch’essi
così addentro all’ambiente delle forze armate da potersi facilmente
mimetizzare in esso.81
In Indagine Petri denuncia chiaramente questo atteggiamento doppio e
deviato delle forze armate italiane, nella sequenza 7, quando il
Commissario si reca dal capo della polizia per avanzare alcune richieste
“straordinarie” in virtù del suo nuovo ruolo di capo dell’Ufficio
politico:
« Questa formazione di centro-sinistra dell’anno in corso potrebbe
anche diventare la Caporetto di chi governa. Nel Paese c’è tensione,
tensione! Io sarei più tranquillo, se l’organico a mia disposizione fosse
più numeroso. Insomma io avrei bisogno di un centinaio di uomini in
più e di più fondi per poter pagare meglio gli informatori. » « Ne
parlerò al Ministro » risponde l’altro. Il commissario avanza altre
proposte poco ortodosse e non legali, per stabilire con suddetti
confidenti un rapporto più “confidenziale”. Il capo della Polizia
acconsente a tutto ma non senza sottolineare « Io però ufficialmente
non ne so niente. »
Subito dopo il Commissario confessa apertamente al superiore di aver
avuto una relazione con Augusta Terzi, proponendogli di informare gli
inquirenti della circostanza, ma ricevendo in cambio solo solidarietà
maschile e ammiccamenti maliziosi.
80 Ibidem 81 Ibidem
44
1.3.1 Le schedature politiche
Utilizzo di infiltrati, intercettazioni illegali, detenzioni irregolari, schedatura
di ogni soggetto sociale: sono gli aspetti su cui la storia di Indagine si
sofferma con forti richiami alle molteplici forme di controllo di cui lo Stato si
serviva.
Numerose sono infatti le scene girate nei sotterranei della questura dove, con
una descrizione in bilico tra inchiesta documentata e visione distopica, viene
mostrato, oltre alle stanze per gli interrogatori, un sistema di spionaggio che
tutto può sapere e registrare della vita degli individui attraverso tre spazi
operativi: l’archivio centrale, la sala delle intercettazioni e “l’elaboratore”
(una sorta di proto-computer)82.
L’archivio centrale è illustrato meticolosamente nella sequenza 6 in cui un
collega mostra al neo-capo dell’Ufficio Politico, come ogni gruppo,
personaggio, attivista politico ha il proprio faldone nell’archivio: « In questa
zona ci sono i comunisti, vengono poi i partigiani, i trotzkisti, i maoisti, fino
agli anarchici. » « E i partiti di governo? » « Di qua. Qui abbiamo le varie
correnti cattoliche, e in fondo i socialisti democratici, fino alle opposizioni di
Destra. »
Insomma, ci sono proprio tutti.
La sala delle intercettazioni viene più volte mostrata come un luogo
kafkiano e sotterraneo dove centinaia di impiegati ascoltano e registrano di
continuo conversazioni telefoniche (come abbiamo già visto nel paragrafo
1.1.1 a proposito della sequenza 14, e come si può vedere ancora nelle
sequenze 6, dove il commissario usa l’ ”elaboratore” per procurarsi i dati di
Antonio Pace dicendo « Supponiamo che l’omicidio Terzi sia a sfondo
politico. »).
Il riferimento è al reale Casellario politico centrale, storico strumento usato
dallo Stato italiano per schedare i “sovversivi” sin dai tempi di Crispi e
82 C. Bisoni, op. cit., p.49
45
divenuto poi uno dei perni della struttura repressiva fascista.83
Negli anni della Repubblica, l’attività del Casellario fu sempre negata dal
ministero degli Interni , fino a tempi recentissimi, anche se è ampiamente
testimoniato che continuò, a discapito delle nuove leggi che tutelavano la
riservatezza dei cittadini.84
Noi crediamo che la rilevanza data nel film a questo strumento di raccolta e
archiviazione delle informazioni private, sia dovuta all’intenzione di Petri di
sottolineare come il controllo organico del passato di ogni individuo sia
imprescindibile e necessario ad ogni forma di potere.
« Cerca di ricordare le cose che hai dimenticato, le cose più vergognose e
pensa che io posso sapere tutto di te. Perché lo Stato mi offre tutti i mezzi per
mettere a nudo un individuo, e io voglio farti credere di sapere tutto di te. E
così facendo, faccio scattare in te il meccanismo del complesso di colpa. […]
Solo se confessi tutto, le tue debolezze, le tue vergogne quotidiane, tu puoi
avere il mio perdono e la mia protezione. » Dice il Commissario ad Augusta
nella sequenza 10b.
Secondo Bisoni in Indagine si possono distinguere due “regimi icnologici”
da cui è possibile analizzare questo fenomeno.
Il primo, palese e scoperto, è dominato dalla logica del “panottico
poliziesco”: chi registra, spia e archivia è sempre in primo piano, ben visibile
e ogni cosa può diventare segno di colpevolezza85.
Il secondo, più nascosto e occulto, ha bisogno che ci si addentri nei
meccanismi del potere, e qui tutto si rovescia: « essere lo strumento del
potere e poter fare del potere uno strumento pienamente disponibile, a portata
di mano, significa collocarsi al di sopra di ogni sospetto, fuori da ogni
possibilità di lasciar traccia, di produrre comportamenti leggibili come indizi.
»86
Fin dalla prima sequenza infatti il commissario cerca in ogni modo di
83 G. Crainz, op. cit., p.107 84 Ibidem 85 C. Bisoni, op. cit., p. 51 86 Ivi, p. 52
46
elaborare prove per decretare la propria responsabilità, attraverso tracce di
tutti i tipi (come le impronte digitali o delle sue scarpe nel sangue della
vittima, le fotografie che ritraggono Augusta a casa sua, il filo della cravatta
azzurra lasciato apposta sotto l’unghia del cadavere) affiancando, di tanto in
tanto, qualche gesto incoerente e contraddittorio di depistamento.
Egli vuole « sancire l’inattaccabilità del potere, vuole archiviarla, e sa che
per farlo deve riuscire a firmare in modo autografo il delitto. »87
E’ esattamente per questo motivo che egli registra la sua confessione su di
un nastro che ascolta in modo ossessivo, quando si ritrova da solo nella sua
austera dimora (sequenza 11) : « Alle ore 16 di domenica 24 agosto, io ho
ucciso la signora Augusta Terzi […]. Ho una sola attenuante: la vittima si
prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi, dappertutto, non
per fuorviare le indagini. Ma per provare la mia insospettabilità. »
Il suo scopo appare però “strutturalmente impossibile” (motivo di grande
eccitazione per Augusta e, da un certo momento in poi, di delirio
autodistruttivo per il Commissario). Colei che pagherà con la vita questo
meccanismo lo esprime chiaramente nella sequenza 16b: « Tu per essere
preso, un delitto lo devi firmare con nome e cognome se no chi ci pensa a te?
» « Augusta, non mi spingere all’illegalità, è così facile nella mia
condizione…» risponde lui88.
I fatti storici fin qui presi in considerazione sono la causa e la materia stessa
di cui si alimentava quindi l’immaginario complottistico degli anni Sessanta
e Settanta; i temi della violazione della privacy, della registrazione e dello
spionaggio dei privati cittadini, si vanno ad aggiungere ed unire a narrazioni
come Indagine, incentrate sul « topos della macchinazione/inganno ai danni
delle istituzioni democratiche. »89
87 C. Bisoni, op. cit., p. 52 88 Ibidem 89 Ivi, p. 50
47
« La polizia della Repubblica italiana - ricorda Elio Petri - nei venticinque
anni successivi alla caduta del fascismo, nonostante l'abolizione della pena
capitale, ha perpetrato nelle strade e nelle piazze decine e decine di condanne
sommarie contro masse indifese di operai e di contadini colpevoli
unicamente di lottare contro la miseria e l'ingiustizia. Nessun poliziotto ha
mai pagato per tutti questi morti. Io provavo, e provo tuttora, un odio
profondo nei confronti dei mandanti - appartenenti alle classi dominanti - e
degli esecutori di questi assassinii. Tuttavia nel film mi interessava
soprattutto descrivere il meccanismo che garantisce l'immunità ai servi del
potere. Volevo fare un film contro la polizia, ma a modo mio. »90
90 J. Gili, Le cinéma italien, ed. 10/18, Paris 1978, p. 190
48
Spirito è la vita che taglia nella propria carne:
nel suo patire essa accresce il suo sapere.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra
2. CORPI E POTERE
2.1 Nevrosi del potere
Questore: « Una scissione. Una dissociazione. Una nevrosi. »
Commissario: « Comunque una malattia contratta durante l'uso permanente e
prolungato del potere. » (Sequenza 25)
Se nella “trilogia della nevrosi” di Petri Indagine occupa il posto di “nevrosi del
potere”, mentre La classe operaia va in paradiso quella di “nevrosi del lavoro” e
La proprietà non è più un furto quella di “ nevrosi del denaro”, scopo di questo
capitolo sarà quindi quello di esaminare da vicino come il potere entri a muovere
gli ingranaggi della narrazione.
Seguendo questo livello di analisi possiamo affermare che il bipolarismo del
personaggio inventato da Petri è metaforico del bipolarismo che caratterizzava la
società italiana, la giustizia italiana, il potere all'interno dello Stato italiano.
Bipolarismo appunto, come prassi investigativa in tutte le vicende affrontate nel
capitolo 1.
Come dichiarò Petri stesso, in un’intervista su “Cineforum” nel 1970: « La
componente patologica è sostanziale nell’uomo di oggi, c’era fin dal personaggio
de L’assassino, e in qualche modo è presente in tutti noi: lo “sdoppiamento” è la
fase attuale di ciò che ieri era soltanto alienazione o nevrosi, e oggi è quasi
schizofrenia ».91
91 G. Gambetti (Intervista a cura di), op.cit., p. 108.
49
La denuncia è chiave essenziale del film perché, pur senza offrire nulla di nuovo
a quanto emerso da inchieste giornalistiche e processi, stabilisce un rapporto
immediato con la realtà entro cui si inquadra la vicenda, restituendo al pubblico il
senso dell’esperienza diretta.92
Il discorso sugli sconvolgenti aspetti della gestione arbitraria del potere è dunque
chiaro, preciso e convincente; la complessità ambigua del potere in Italia è ben
rappresentata così come quella che si manifestava a livello globale e che il
Sessantotto ha messo in discussione in qualità di movimento antisistemico.
Indipendentemente dalle categorie con cui l’esperienza sessantottesca fu letta ed
elaborata da quanti ne furono i protagonisti, nonché dalla liquidazione da parte dei
carri armati sovietici di un’esperienza come quella della primavera di Praga, la
grande circolazione delle idee e dei comportamenti sociali che caratterizzò i
movimenti di quell’anno, articolò oggettivamente una critica radicale del suddetto
bipolarismo, così come anche di quello che divideva il mondo.93
Anche limitando la nostra analisi ai paesi dell’Occidente capitalistico, occorre
notare che i movimenti degli anni a ridosso del Sessantotto determinarono la crisi
degli equilibri su cui era stato edificato nel ventennio precedente lo Stato sociale
democratico, ponendo al tempo stesso in discussione alcuni dei concetti
fondamentali del pensiero politico moderno: da quello di potere a quello di
soggetto.94
Un nuovo discorso sul potere cominciò ad articolarsi di pari passo con le critiche
portate dalle rivolte studentesche e operaie alla società di massa.
Da questo scenario trasse in primo luogo notevoli spunti innovativi il dibattito
marxista a cui Petri aderiva totalmente come iscritto al PCI fin dalla sua prima
giovinezza, come possiamo leggere in una sua diretta testimonianza:
« Dunque non dimentichiamo che erano anni di guerra e di dopoguerra. Le
strade puzzavano ancora di morte e di fascismo. Sotto le macerie c’erano
92 Sandro Zambetti, Il poliziotto a tre dimensioni, “Cineforum”, n. XCII – XCIII, maggio- agosto 1970,
p. 115. 93 Carlo Galli (a cura di), Manuale di storia del pensiero politico, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 576. 94 Ivi, p. 577.
50
cadaveri e le istituzioni esalavano fascismo. C’erano le scoperte
dell’adolescenza, che per noi erano doppie, poiché alla scoperta di tutto quello
che ci aveva preceduto, si univa la scoperta delle cose che il fascismo aveva
proibito e nascosto. Se feci, quindi, una scuola fu per le strade, nelle cellule del
partito comunista, nei cantieri del genio civile, al cinema, al varietà, nelle
biblioteche comunali, leggendo i giornali e le riviste di partito, amando
Politecnico, facendo scuola di partito, nelle lotte dei disoccupati, in camera di
sicurezza, anche a Regina Coeli, negli scontri con la polizia, nelle sparatorie,
nei linciaggi, nei postriboli, negli studi dei pittori della mia età, in tipografia, da
Rosati a Piazza del Popolo, nei cineclub, nei comizi, tra coloro che a quel
tempo venivano ancora chiamati rivoluzionari di professione. I miei testi li
trovavo nelle sezioni del partito comunista e sui carrettini dei libri usati. »95
Dai film di Petri emergono infatti strati della politica ancora più sotterranei: i suoi
lati ossessivi, i suoi aspetti di dispositivo fantasmatico, le descrizioni della
condizione kafkiana del potere e dei servitori del potere (come vedremo meglio
nel terzo capitolo). Come afferma efficacemente Maurizio Grande, « l’intenzione è
quella di amplificare i fantasmi del potere nella maschera del politico, o nel
politico come maschera del desiderio e delle perversioni, mostrando gli spazi
chiusi e claustrofobici nei quali si celebrano i riti del potere politico ».96
Se da una parte quindi il Sessantotto determinò una forte ripresa di interesse
soprattutto per le correnti eterodosse del marxismo storico (dal giovane Lukács a
Korsch, dai francofortesi a Bloch, da Rosa Luxemburg ai teorici consiliari),97 non
va dimenticato che proprio in quegli anni si manifestò l’influenza di testi chiave
per lo sviluppo di quelli che presero a chiamarsi i neomarxismi occidentali:
L’opera collettanea Leggere il capitale (1965) di Louis Althusser; la prima
edizione de La societé du spectacle (1967) di Guy Debord, manifesto di
quell’Internazionale Situazionista che fu uno dei più importanti movimenti
95 Alfredo Rossi, Elio Petri, in « Il Castoro Cinema », La Nuova Italia, LXVII – LXVIII, 1979, p.3. 96 Maurizio Grande, Eros e politica, sul cinema di Bellocchio Ferreri Petri Bertolucci P. e V. Taviani,
Siena, Protagon Editori Toscani, 1995, p. 28. 97 C. Galli, op. cit., p. 577.
51
rivoluzionari in campo politico e artistico della seconda metà del Novecento;
L’uomo a una dimensione (1964) di Herbert Marcuse rapidamente divenuto un
libro di culto negli ambienti del movimento studentesco sulle due sponde
dell’Atlantico.
Venne a crearsi quindi una critica sociale che aveva come colonne portanti idee
quali l’antiautoritarismo, la rivalutazione del desiderio, la demistificazione
irriverente e il détournement o “sviamento” di tutti i valori estetici e ideologici.
« Una confortevole, levigata, ragionevole democratica non-libertà prevale nella
civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico. »98 scrive Marcuse per
descrivere la società dei consumi o dello spettacolo come invece la definisce
Debord che ne sottolinea ulteriormente l’aspetto di insensatezza mediatica priva di
significato e caratteristica principale della contemporaneità politico-filosofica. Tale
spettacolo «è il sole che mai tramonta sull’impero della passività moderna. Esso
copre l’intera superficie del pianeta e si immerge senza fine nella propria gloria».99
Simili elementi di critica sociale troviamo anche all’interno dell’Anti-Edipo,
primo dei due volumi intitolati Capitalismo e schizofrenia (1972) di Gilles
Deleuze e Felix Guattari, dove trova una sua sistemazione la complessa tematica
di un’antropologia politica del desiderio, che inaugurò la critica della psicoanalisi
attraverso quella che potremmo definire una economia politica del desiderio.
Desiderio, innanzitutto, contro il Capitale, dunque i flussi delle “macchine
desideranti” contro l’asservimento del corpo alla macchina industriale e al
dispositivo psicoanalitico freudiano.100
Se la parola d’ordine del Sessantotto era stata Contestazione, quella degli anni
Settanta è Liberazione, con una conseguente antropologia immaginaria della
liberazione anche nel cinema politico italiano, e legami molto stretti con
l’ideologia della liberazione del desiderio: desiderio sessuale in primo luogo,
desiderio di una comunità senza confini al suo interno e senza separazione dei
98 Herbert Marcuse, L' uomo a una dimensione : l'ideologia della societa industriale avanzata, Torino,
Einaudi, 1967, p. 12. 99 Guy Debord, La Société du Spectacle, Gallimard, Paris, 1992, af. 13, p. 21 100 M. Grande, op. cit., p. 29
52
linguaggi, in secondo luogo.101
Le “cattive” passioni, le pulsioni deviate, vengono individuate alla base di
istituzioni come la famiglia, l’esercito e la polizia.102
All’interno di questo panorama politico filosofico si venne a formare quella che
crediamo la teoria più appropriata per analizzare ed interpretare la vicenda narrata
in Indagine, ovvero quella dell’intellettuale e filosofo francese Michel Foucault.
Nella biografia intellettuale e politica di Foucault la contestazione francese del
maggio del Sessantotto, il punto più alto della contestazione studentesca in
Europa, fu un decisivo momento di svolta.103
Fin dalla pubblicazione di La storia della follia nell’età classica (1961), egli si
era imposto come uno dei più brillanti giovani intellettuali francesi. Nel clima
culturale determinato dalla crescente diffusione dello strutturalismo, Foucault
aveva avviato proprio nel ’61 quella “storia critica del presente” a cui avrebbe
successivamente ricondotto l’intero sviluppo della propria ricerca.104
Considerando l’intima essenza del film di Petri possiamo affermare come esso si
presti ad essere letto come una divagazione foucaultiana intorno alle coordinate di
una microfisica del potere, in quanto la posta in gioco non è solo la repressione o
l’eccesso anti-democratico, ma più specificatamente, l’allucinazione del
desiderio.105
Desiderio e sessualità divennero infatti, con il passare del tempo, temi centrali
della ricerca di Foucault che si concentrò sullo studio delle dinamiche che il potere
usa direttamente sul corpo degli individui, il quale divenne per il filosofo il luogo
privilegiato di un’”anatomia politica” come « insieme di elementi materiali e di
tecniche che servono da armi, collegamenti, vie di comunicazione e punti
d’appoggio alle relazioni di potere e di sapere che investono i corpi umani e li
assoggettano facendone oggetti di sapere. »106
E’ infatti proprio alla fine della Volontà di sapere (1976), primo dei tre volumi che
101 Ibidem 102 C. Bisoni, op. cit., p. 103 103 C. Galli, op. cit., p.579. 104 Ibidem. 105 M. Grande, op.. cit., p. 30. 106 Michel Foucault, Sorvegliare e punire, tr. it.di A. Tarchetti, Einaudi, Torino, 1993 , p. 33.
53
compongono la Storia della sessualità , che egli riassume il processo attraverso il
quale, alle soglie dell’età moderna, la vita naturale cominciò ad essere inclusa nei
meccanismi e nei calcoli del potere statuale e la politica si trasformò in
biopolitica,107 concetto che approfondiremo nel paragrafo 2.2.
La Storia della sessualità rimarrà incompiuta a causa della morte del filosofo nel
1984, anno in cui escono contemporaneamente gli altri due volumi che la
compongono, ovvero L’uso dei piaceri e La cura di sé (un quarto volume Le
confessioni della carne, non venne mai pubblicato in osservanza della sua volontà
di non pubblicare niente dopo la sua morte), e dimostra come la sua ricerca si
orientò sempre più verso lo studio dei processi di normalizzazione, cioè delle varie
forme tramite le quali il potere ha tentato, nell’Occidente moderno, di controllare
gli individui e i loro corpi nel tentativo di contenere tutte le forme di devianza
rispetto alla norma costituita e specificatamente a come i comportamenti sessuali
siano diventati oggetto di sapere, come e per quali ragioni questo campo di
conoscenza si sia organizzato.
Cosa intenda Foucault per potere, lo possiamo leggere in questa definizione che
ce ne dà nella Volontà di sapere:
« Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la
molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e
costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e scontri
incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di
forza trovano gli uni negli altri, in modo da formare una catena o un sistema, o,
al contrario, le differenze, le contraddizioni che li isolano gli uni dagli altri; le
strategie infine in cui realizzano i loro effetti, ed il cui disegno generale o la cui
cristallizzazione istituzionale prendono corpo negli apparati statali, nella
formulazione della legge, nelle egemonie sociali. »108
Muovendo da questa definizione ci pare di poter affermare ancora una volta come
Indagine si presti per una lettura dal punto di vista delle teorie foucaultiane , oltre
107 Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995, p.5. 108 Michel Foucault, La volontà di sapere, Storia della sessualità 1, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 82.
54
che per il dato cronologico e il contesto storico in cui le due opere si svilupparono,
anche per via degli elementi che sono coinvolti nella storia stessa e per gli intenti
dichiarati dal regista, quali appunto il disvelamento del rapporto e delle devianze
tra potere e corpi, tra potere e sessualità, tra potere e apparati statali/polizia.
Come ci conferma Minuz:
« Certo, quasi tutte le letture del film fanno leva sulle derive dell’autoritarismo,
sulle perversioni che può indurre il potere, sui limiti e i paradossi del controllo e
della tutela dell’ordine. Tuttavia questi sono elementi che, anche quando
direttamente evocati, sembrano sganciati dalla concreta realtà italiana e dislocati in
un altrove immaginario (il Potere metafisico, con la “P” maiuscola) […]. »109
2.2 Biopolitica
« Facciamo una prova – dice il commissario mentre si trova nell’archivio della
polizia – Immaginiamo che il delitto Terzi abbia uno sfondo politico. » (Sequenza
6)
Michel Foucault è considerato uno dei più importanti filosofi e storici del XX
secolo in special modo per aver sviluppato il progetto storico-genealogico ideato
da Nietzsche che aveva, a suo tempo, fatto notare come ancora mancasse una
storia della criminalità, della follia, della sessualità.
Partendo da questo presupposto, l’intellettuale francese si dedicò con particolare
attenzione allo studio di ospedali, prigioni e scuole e di altri grandi istituzioni
sociali.
Una delle principali conclusioni a cui arrivò fu che nulla più della vita - delle
linee di sviluppo in cui si inscrive o dei vortici in cui si contrae – è, fin nelle intime
fibre, toccata, traversata, modificata dalla storia. Era questa la lezione che Foucault
aveva tratto dalla genealogia nietzscheana entro una cornice teoretica che
109 A. Minuz, op. cit., p. 7.
55
sostituiva alla ricerca dell’origine, o alla prefigurazione del fine, un campo di forze
sprigionato dal succedersi degli eventi e dallo scontro dei corpi.110
« Se possiamo chiamare “bio-storia” le pressioni attraverso le quali i movimenti della vita
e i processi della storia interferiscono gli uni con gli altri, bisognerà parlare di “bio-
politica” per designare quel che fa entrare la vita ed i suoi meccanismi nel campo dei
calcoli espliciti e fa del potere-sapere un agente di trasformazione della vita umana. »111
Si sta parlando insomma, nientemeno che dell’ingresso nella storia e nel campo
delle tecniche politiche, dei fenomeni propri alla vita umana nell’ordine del sapere
e del potere112.
La biopolitica è intesa in questo senso come il terreno in cui è possibile studiare e
comprendere tre enigmi del novecento: il campo di concentramento, lo stato
totalitario e la società dello spettacolo. Se lo spazio della “nuda vita”, come lo
definisce Agamben nel suo Homo Sacer, era situato in origine al margine
dell’ordinamento, con la democrazia esso viene a coincidere con lo spazio politico.
Solo la modernità fa dell’autoconservazione dell’individuo il presupposto di ogni
altra categoria politica, da quella di sovranità a quella di libertà. Quando la vita è
incasellata nella norma, quando il corpo viene “sorvegliato”, quando la nascita viene
anticipatamente soppressa, la biopolitica si trasforma nel suo opposto speculare: la
tanatopolitica.
Evidenziando lo scarto che si produce nella storia della politica occidentale verso la
fine del XVIII secolo, quando il corpo su cui il potere esercita la propria presa cessa
di essere in primo luogo quello individuale per diventare invece quello dalla
popolazione tutta, egli cercò di mostrare come da quel momento in avanti il principio
cardine della sovranità (il “poter far morire”) sia stato superato e sostituito da quello
di un nuovo potere di regolazione e di governo “il quale consiste proprio nel far
vivere e nel lasciar morire”.113
« Il Diciottesimo secolo ha senza dubbio inventato la libertà, ma ha dato loro una
base profonda e solida, la società disciplinare, da cui dipendiamo ancora oggi ».114
110 Roberto Esposito, Bìos, Biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi, 2004, p. 22. 111 M. Faucault, La Volontà di Sapere, cit., p. 126. 112 Ivi, p. 125. 113 Michel Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 33. 114 Michel Foucault, Sorvegliare e punire, p. 15.
56
Se, come afferma ancora Agamben « la vita umana si politicizza solo attraverso
l’abbandono a un potere incondizionato di morte »115 non possiamo non vedere in
questo come il soggetto inventato da Petri e Pirro diventi un paradigma della
relazione tra uomo del potere, portatore e veicolo delle tecniche disciplinari, e nuda
vita, corpo, come è quello della sua vittima. Co lo scopo, o il “mandato” di garantire
la vita egli finisce col decretare la sua morte.
Il capitalismo stesso ha come elemento fondante il bio-potere, in quanto non
avrebbe potuto consolidarsi senza « l’inserimento controllato dei corpi
nell’apparato di produzione, e grazie ad un adattamento dei fenomeni di
popolazione ai processi economici ».116 Anzi, attraverso questi due strumenti e la
loro necessaria crescita, esso ha richiesto ben di più da questi corpi: ne ha richiesto
il rafforzamento con lo scopo di renderli più utilizzabili, più docili. Per fare questo
il capitalismo ha dovuto usarsi di metodi di potere capaci di maggiorare le forze, le
attitudini, la vita in generale, rendendole semplici all’assoggettamento.117
« Se lo sviluppo dei grandi apparati di Stato, come istituzioni di potere, ha
assicurato il mantenimento dei rapporti di produzione, i rudimenti di anatomo-
e di bio-politica, inventati nel XVIII secolo come tecniche di potere presenti a
tutti i livelli del corpo sociale ed usati da istituzioni molto diverse (la famiglia,
come l’esercito, la scuola o la polizia, la medicina individuale o
l’amministrazione delle collettività), hanno agito a livello dei processi
economici, del loro sviluppo, delle forze che vi sono all’opera e che li
sostengono; hanno operato come fattori di segregazione e di gerarchizzazione
sociale, agendo sulle forze rispettive degli uni e degli altri, garantendo rapporti
di dominazione ed effetti di egemonia; l’adeguarsi dell’accumulazione degli
uomini a quella del capitale, l’articolazione della crescita dei gruppi umani con
l’espansione delle forze produttive e la ripartizione differenziale del profitto,
sono stati resi possibili dall’esercizio del bio-potere nelle sue forme e con i suoi
procedimenti svariati. L’investimento del corpo vivente, la sua valorizzazione e
115 G. Agamben, op. cit. , p. 94 116 Michel Foucault, La Volontà di Sapere, p. 124 117 Ibidem
57
la gestione distributiva delle sue forze sono stati in quel momento
indispensabili. »118
Questa affermazione ci sembra centrale all’interno della nostra tesi per
dimostrare come il carattere politico delle teorie di Foucault, coincida con
l’ideologia radicale del regista Petri, trovandosi ad essere profondamente critica
verso quella che è diventata la forma di potere più totalizzante del periodo storico
in questione, ovvero il capitalismo.
Leggiamo ancora nella Nascita della medicina sociale:
« Il capitalismo che si sviluppa alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX,
ha innanzi tutto socializzato un primo oggetto, il corpo, in funzione della forza
produttiva, della forza lavoro. Il controllo della società sugli individui non si
effettua solo attraverso la coscienza o l’ideologia, ma anche nel corpo e con il
corpo. Per la società capitalistica è il bio-politico a essere importante prima di
tutto, il biologico, il somatico, il corporale. » 119
Se già l’essenza e la nascita del capitalismo coincidono quindi con quell’
“accumulazione dei corpi” che è arrivata ad assumere in tempi recenti, termini
inquietanti come “Risorse umane” o “Capitale umano”, non possiamo non
desumere che proprio contro questo genere di prospettiva sociale, si rivolgeva la
critica presente in Indagine, come anche in tutte le altre pellicole di Petri, volte a
mostrare nel dettaglio queste minime o massime relazioni di potere.
Se l’obiettivo al quale Foucault mira è quello di fornire concreti strumenti
metodologici a un’analitica del potere che si concentri su singole ricerche e
critiche “locali”120, quello di Petri è di metterle in scena e di mostrarle al grande
pubblico.
« Se il potere è sparso dappertutto - scrive Foucault - non è perché inglobi tutto,
ma perché viene da ogni dove, perché è immanente a ogni altra forma di relazione
118 Ivi, p. 125 119 M. Foucault, Nascita della medicina sociale, in Archivio Foucault 2, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 222. 120 Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Bari, Laterza, 2008, p. 88.
58
sociale, e perché anche la resistenza che gli si oppone fa parte dei giochi che lo
costituiscono. »121
Vediamo circolare il potere, scena per scena, incessantemente, dall’alto verso il
basso, dalla questura verso gli studenti, dagli organi di controllo della polizia agli
uomini di polizia stessi, dal Commissario alla sua amante e dalla sua amante al
Commissario, dal Commissario ai suoi subordinati, dal Commissario allo stagnaro,
dai superiori al Commissario, dalla polizia agli interrogati, dal Commissario allo
studente Pace e poi da Pace al Commissario.
Ci occuperemo dettagliatamente del rapporto tra il Commissario e Augusta nel
paragrafo 2.2 , che proprio per il suo carattere sessuale occupa un posto
privilegiato all’interno della nostra analisi delle tecnologie politiche del corpo
presenti nel film.
Per ora vorremmo portare come esempio, l’incontro tra lo stagnaro, interpretato
da Salvo Randone, e il Commissario, nella sequenza 16 in cui il primo costringe il
secondo a comprare per suo conto, tutte le cravatte di seta azzurra presenti in un
negozio nei pressi del Pantheon. Dopo di chè, lo invita a recarsi in questura per
consegnare le cravatte, tranne una che tiene per sé, affermando di essere
l’assassino della giovane donna di via del Tempio. In questa situazione il
Commissario lo incalza con tono inquisitorio: « Che mestiere fa lei? » o « Per chi
vota lei!? » e lo stagnaro gli risponde a tono, senza alcun timore, ma anzi
sentendosi offeso da quell’arrogante e indiscreta invasione della propria privacy;
poi però subito dopo, nella sequenza 13 i due si rincontrano in questura,
nell’ufficio di Mangani, in una scena di confronto in cui però questa volta il
rapporto di potere tra loro è totalmente cambiato: lo stagnaro realizza che
l’impresario teatrale/assassino è in realtà un pezzo grosso della polizia e ne ha
paura, dice di non riconoscerlo, assume toni sottomessi e servili, e forse veramente
non riconosce nello stesso volto la stessa persona, proprio a causa del contesto. La
relazione di potere interviene a cambiare la fisicità, la mimica dei due personaggi
e a sottolineare ulteriormente questo cambiamento contribuisce uno stratagemma
registico per cui Volontè è ripreso dal basso mentre Randone dall’alto (mentre
121 M. Foucault, La volontà di sapere, p. 82.
59
prima, nella piazza davanti al Pantheon, Petri sta schiacciato sui loro volti,
volontariamente persecutorio).
La sottomissione è poi palesata anche attraverso i dialoghi: « Mi scusi, mi scusi
dottore, ma io forse, ma che dico, senza forse, io, io mi sono sbagliato » (e di
nuovo l’inquadratura si fa vicinissima ai volti dei due interlocutori) «In rapporto a
quale argomento? » risponde il Commissario. « Devo averla confusa con un altro,
ecco tutto ». Poi di nuovo il commissario gli chiede « Ma lei che mestiere fa? » e
l’altro tutto timoroso « Faccio l’idraulico ». I poliziotti lo incalzano con tono
denigratorio « Lo stagnaro. Dica, dica che fa lo stagnaro », e lui, quasi
confessando una colpa « Sì sì faccio lo stagnaro ». Il commissario infierisce «
Come ha detto? » «Come giustamente dice lei giustamente faccio lo stagnaro »
«Ma lei non si deve preoccupare - comincia il maresciallo in tono palesemente
derisorio - lei è un cittadino, e noi dobbiamo rispettare il cittadino» e quello con
gesti di devozione religiosa come chi è stato graziato « Me lo assicura lei eh?
Grazie grazie, bravo bravo, grazie dottore. » Tant’è che infatti, nella sequenza
finale (25), durante il suo “processo” , il Commissario afferma: « Ma tra noi
possiamo dirlo: ha negato per paura, quando ha cominciato a capire chi ero, e cioè
un poliziotto. » E i suoi colleghi gli risponderanno: « Non ti permettere giudizi e
illazioni insultanti per tutti noi, per i colleghi, per il Corpo, per le istituzioni! »
Esattamente il contrario avviene invece in un’altra scena in cui lo scambio di
potere tra due corpi viene nuovamente riprodotto in modo efficace e dettagliato:
quella dell’”interrogatorio” di Antonio Pace nella sequenza 23. Come già
accennato nel paragrafo 1.1.2, lo studente Antonio Pace, proprio perché mosso da
ideali rivoluzionari, è l’unico a non temere il Commissario e il potere che egli
esercita, annullando così da subito la sua autorità (e la sua pulsione sadica) e
ponendosi in maniera nettamente orizzontale nei suoi confronti, così da ribaltare la
dinamica presupposta del potere verticale tra funzionario dello stato e cittadino
sotto accusa. E’ la resa dei conti, l’incontro tra protagonista e antagonista della
vicenda, i due si vengono incontro a muso duro, come in un duello:
« Pace Antonio, nato a Ravenna nel 1946, ex studente di chimica, anarchico
60
individualista, condannato a tre mesi di prigione nel 1968 per resistenza alla forza
pubblica. »
« Ma che gridi? Lo sai chi sono io? »
«Per me tu eri l’amante della signora del piano di sotto. Quella che hanno
assassinato. »
« Da chi e quando? »
« Per me la signora l’hai ammazzata tu, il pomeriggio di domenica 24 agosto. »
« A che ora? »
« Per me puoi averla ammazzata tra le 17:00 e le 19:00. Ora in cui ci siamo
incontrati al cancello, come sai. »
Il Commissario non crede alle proprie orecchie. Le battute pronunciate da Pace
ricalcano appositamente la confessione che egli registrava e ascoltava su nastro,
così che si viene a creare un affetto liberatorio dato dal fatto di sentire finalmente
la verità pronunciata ed affermata ad alta voce da un altro essere umano che non si
fa accecare dalla sua autorità ma vede in lui un cittadino sospettabile come tutti gli
altri.
« Visto che per te è tutto così chiaro, denunciami. » Il corpo e il viso sono ad un
estremo di tensione, il nodo in gola del commissario diventa quasi percepibile.
Tira uno schiaffo a Pace ma questo non si scompone per nulla. E qui avviene il
ribaltamento vero e proprio.
Lo studente lo sfida: « Ti piacerebbe eh?! »
Il tono del Commissario cambia, improvvisamente la tensione del corpo si scioglie
in una supplica ed egli implora: « Denunciami! »
« Qui ci sei e qui ci rimani. Un criminale a dirigere la repressione. E’ perfetto! »
« Tu mi devi denunciare! Tu mi devi denunciare! Io ho sbagliato, ma io voglio
pagare capisci? E non gridare! » Ormai il Commissario sta piangendo, assumendo
lo stesso atteggiamento infantile e piagnucoloso che aveva quando Augusta lo
aggrediva verbalmente. Ma Pace non si fa impietosire e anzi lo ricatta: « Fai il tuo
lavoro! E alla prossima azione, ti telefono. Ti tengo in pugno! »
A questo punto, il Commissario lo fa rilasciare, prende un foglio e firma la
confessione della propria colpevolezza.
61
Non rispettando il ruolo tra subordinato e sovraordinato, la dimostrazione
sovversiva del giovane Pace fa rimbalzare finalmente quell’eccesso di potere
all’interno della macchina statale, di cui il Commissario è portatore non sano.
Lo Stato dovrebbe essere antagonista del potere, usarne solo la quantità minima
che necessita per far funzionare i propri ingranaggi. Ma in questo momento
storico, la situazione è drasticamente opposta e lo Stato si fa invece accumulatore e
custode di una quantità inusitata di potere che va a creare devianze e perversioni
interne ad esso. E mostri come il protagonista di Indagine.
L’apparato giudiziario, che fino agli anni Sessanta aveva funzionato in modo
abbastanza “docile e silenzioso”, si trovò, sia in Italia che in Francia, così come in
tutti i Paesi dove avvenne la contestazione, improvvisamente esposto ad una
pressione che lo sovraccaricava.122 Prima le vicende d’Algeria, e le lotte operaie e
studentesche del Sessantotto poi, avevano portato nelle carceri francesi e italiane
una popolazione numerosa e nuova, altamente politicizzata, con obiettivi e metodi
di rivendicazione fino ad allora sconosciuti per un’istituzione apparentemente
immobile: resistenza passiva, rifiuto di obbedire, scioperi della fame123. Fu per
questo motivo che Foucault formò il G.I.P., “Group d’Information sur le Prisons”,
attraverso cui ebbe modo di osservare da vicino questi fenomeni di potere locale.
Attraverso inchieste e questionari fatti circolare all’interno delle prigioni, in
molti casi all’insaputa delle autorità, si rese conto di come l’obiettivo dell’apparato
disciplinare della giustizia non era più solo quello di reprimere il crimine ma era
diventato bensì l’esito ideale di una strategia che elabora nuove tecniche per
produrre cittadini rispettosi, utili e, soprattutto, efficienti.
La capillarità e la “velocità” con cui il modello carcerario si impose, è il segno
della sua intrinseca aderenza ad un progetto sociale che ha attraversato tutta l’età
classica.124 Il regime disciplinare comporta così la diffusione generalizzata di un
principio di sorveglianza che nelle istituzioni più chiuse – prigioni, ospedali,
fabbriche, scuole – prende la forma di una funzione specializzata, ma che nel
122 M. Foucault, Préface a Enquéte dans vingt prisons, Champ libre, Paris, 1971. 123 S. Catucci, op. cit., p. 92. 124 Ivi, p. 99
62
campo aperto della società si traduce in un controllo reciproco dei sorvegliati e dei
sorveglianti, in un reticolo di relazioni che non funziona a senso unico, ma si
diffonde in tutte le direzioni.125
« L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità
costituite. La libertà […] ci impedisce di espletare le nostre sacrosante funzioni. »
Sentenzia il Commissario durante il suo discorso di insediamento all’Ufficio
Politico.
E’ il sogno di una società perfetta così come fu coltivato dagli apparati militari:
non il riferimento ad un ipotetico stato di natura, ma “agli ingranaggi
accuratamente subordinati di una macchina”.126 E’ questo a grandi linee il profilo
di un potere che funziona attraverso discipline tendenti al controllo minuzioso
della vita degli individui.127
2.3 Dispositivo di sessualità
« Stavolta come mi ammazzerai ? » «Ti taglierò la gola. » (Sequenza 1)
In un’intervista realizzata da Dacia Maraini nel 1973, Petri risponde così alla
domanda « Quali sono i mali peggiori che si porta addietro la famiglia secondo te?
» :
« La repressione, l’egoismo, il narcisismo. La libertà sessuale non consiste
affatto nel fare molto l’amore ma nell’avere conoscenza dell’amore,
dell’erotismo. Io sono per la liberazione dell’inconscio. La lotta peggiore
contro l’inconscio collettivo la fanno le istituzioni. Una di queste è la famiglia.
Io sono per la psichiatria prima che per la politica. »128
La biopolitica trova nella sessualità un vero e proprio dispositivo di potere come
125 S. Catucci, p. 102 126 M. Foucault, Sorvegliare e Punire, p. 185 127 S. Catucci, p. 99 128 E tu chi eri? Intervista ad Elio Petri di Dacia Maraini (1973) in D. Mondella, Op. Cit., p. 221
63
istanza di governo e di controllo degli uomini, che avvolge la vita intera nelle sue
tecniche e che invece di rimanere nient’altro che “un fatto di natura”, proprio
grazie alla sua naturalità e alla sua desiderabilità, è diventato la via maestra per
accedere sia alla propria intelligibilità, in quanto “è contemporaneamente
l’elemento nascosto e il principio produttore di senso”, sia alla totalità del proprio
corpo, “poiché ne è una parte reale e minacciata e ne costituisce simbolicamente il
tutto”, sia alla propria identità, “poiché unisce alla forza di una pulsione la
singolarità di una storia”129130.
Foucault distingue storicamente tra due grandi procedure per produrre la verità
del sesso: l’ars erotica delle culture orientali o antiche, e la scientia sexualis
inventata e praticata solo nella nostra civiltà.
Nell’ars erotica il piacere è considerato non per la sua utilità, ma per sé stesso, lo
si indaga nella sua intensità, nelle sue qualità, nei suoi effetti sul corpo e
sull'anima. Esso si fa pratica ed esperienza da raccogliere in un sapere, in un’arte,
appunto, di cui solo pochi sono detentori, i maestri, i quali, a loro volta, lo
trasmettono per mezzo di pratiche esoteriche di iniziazione al piacere, rivolte solo
a pochi eletti.131
La scientia sexualis, al contrario, fa del sesso un oggetto biologico e insieme il
punto di applicazione per una serie di prescrizioni morali.132
Non è vero, secondo il filosofo e storiografo francese, che la nostra società dal
XVII secolo in poi sia stata e continui ad essere dominata dal tema della
repressione in materia di sesso.133
La repressione, il divieto, le occultazioni e le proibizioni non sono che un aspetto
(emerso più di altri, in alcune epoche storiche, come quella vittoriana), una
componente dei meccanismi produttori di sapere e di discorsi, induttori di piacere
e generatori di potere.134
129 M. Foucault, La volontà di sapere, op. cit., p. 138 130 S. Catucci, op. cit., p. 116 131 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 53 132 S. Catucci, op. cit., p. 115. 133 Ivi, pp.54-55. 134 Ibidem.
64
« Non bisogna descrivere la sessualità come una pressione recalcitrante,
estranea per natura e ribelle per necessità ad un potere che, dal canto suo, si
consuma nel tentativo di sottometterla e spesso non riesce a controllarla
completamente. Essa appare piuttosto come un punto di passaggio
particolarmente denso per le relazioni di potere; fra uomini e donne, fra giovani
e vecchi, fra genitori e figli, fra educatori ed alunni, fra sacerdoti e laici, fra
un’amministrazione ed una popolazione. Nelle relazioni di potere la sessualità
non è l’elemento più sordo, ma anzi, uno di quelli dotati della più ampia
strumentalità, che possono essere usati per il maggior numero di manovre e
servire da punto d’appoggio, da cardine alle strategie più svariate. »135
Il dispositivo di sessualità è legato all’economia attraverso punti di scambio
numerosi e sottili, ma il principale dei quali è il corpo – corpo che produce e
che consuma. E’ finalizzato ad una omeostasi del corpo sociale, che ha la
funzione di mantenere: di qui il suo legame privilegiato con il diritto; di qui
anche il fatto che il suo momento forte sia la “riproduzione”136, perché « è il
corpo che porta, nella vita e nella morte, nella forza e nella debolezza, la sanzione
di ogni verità e di ogni errore (...). »137
Possiamo leggere ancora in Nietzsche, la genealogia, la storia:
« […] sul corpo, si trova lo stigma degli avvenimenti passati, così come da esso
nascono i desideri, i cedimenti, e gli errori; (...). Il corpo: superficie d’iscrizione
degli avvenimenti (laddove il linguaggio li distingue e le idee li dissolvono),
luogo di dissociazione dell’Io (al quale cerca di prestare la chimera di un’unità
sostanziale), volume in perpetuo sgretolamento. La genealogia, come analisi
della provenienza, è dunque all’articolazione del corpo e della storia: deve
mostrare il corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo. »138
135 Ivi, pp. 91-92. 136 M. Foucault, La Volonta di Sapere, p. 95. 137 M. Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino 1967, p. 36. 138 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere , Einaudi, Torino 1967, pp.
36-37.
65
Ecco che quindi possiamo affermare come il dispositivo di sessualità stia alla
base della biopolitica come questa sta alla base dell’economia capitalista.
Pertanto la liberazione sessuale, il continuo parlare del e sul sesso, le pratiche
sessuali considerate “trasgressive”, tutti elementi compresi nella “rivoluzione
sessuale” che si veniva ad inscrivere all’interno della rivoluzione culturale
Sessantottesca, sono elementi sempre ambigui, in quanto sotto i rituali di
emancipazione si possono nascondere pratiche che rafforzano gli steccati e le
divisioni del potere tradizionali.139
Collegarci al nostro film in questo caso è facile, in quanto è proprio nel rapporto
tra sessualità e politica che Indagine mostra i collegamenti più forti e durevoli sia
con l’epoca in cui è stato realizzato, sia con il successivo cinema italiano.140
Oltre al piano del textum come intreccio coerente di codici, esiste infatti in
Indagine un testis che gli attribuisce un valore di testimonianza in quanto traccia
che delinea il sapere di una coscienza collettiva intorno a nodi salienti come quello
della sessualità secondo modelli di esibizione e/o dissimulazione delle forme di
espressione dell’erotismo all’inizio degli anni Settanta.141
Erotismo e sessualità che diventano sede di scontri e appropriazioni sul piano
della produzione simbolica, in Italia come anche in tutte le società occidentali del
periodo tardo moderno.
Se, come afferma Grande, l’oggetto del cinema politico italiano è, in linea
generale, lo smascheramento di una verità nascosta e camuffata142, in Indagine
sono presenti più verità nascoste.
Quando nella sequenza 25, ad esempio, il Commissario cerca di convincere i
colleghi del fatto che le prove siano autentiche e che quindi lui sia colpevole, egli
dichiara tre diversi moventi:
139 C. Bisoni, op. cit., p. 123 140 Ivi, p. 103 141 Ivi, p. 126 142 M. Grande, op. cit, p. 25.
66
1- Spiegazione sociologica: « Si prendeva gioco di me e dell’istituzione che
rappresento, quindi di tutti voi » ;
2- Spiegazione esistenziale: « Vicino a lei ogni giorno di più si rivelava il mio
infantilismo, la mia incompetenza umana » ;
3- Spiegazione psicosessuale: « L’ho uccisa per gelosia ».143
Tutte e tre spiegazioni vere, che costituiscono la verità della confessione del
commissario.
Oltre allo smascheramento dei rapporti tra polizia e potere politico144 troviamo
quindi anche, più nello specifico, lo svelamento del movente dell’omicidio.
Un movente doppio: con un lato concettuale (sfidare il potere) e un lato
individuale (vendicarsi dell’umiliazione).145
Oltre all’ambiguità dell’emancipazione sessuale, come ulteriore strumento di
assoggettamento dei corpi , possiamo trovare nei film di Petri altre due idee ben
presenti all’epoca: la prima è che in un ordine alienato, la liberazione dell’eros si
manifesta in forme non autentiche spesso distruttive e/o perverse.146
La seconda, che rappresenta il double bind del rapporto eros/politica così come è
posto in Indagine e in parte del cinema italiano negli anni seguenti, vuole che sia
l’inconscio ad adattarsi alla dinamica sociale, che la sfera sessuale debba essere
socialmente determinata e apparire come la funzione di un quadro più ampio di
rapporti di potere.147
Se dovessimo rispondere alla domanda “il Commissario è un poliziotto
repressivo perché è perverso, o è perverso perché, sulla scena politica, è
repressivo?”, dovremmo dire che, almeno in linea di principio, in Indagine la
condotta “malata” della relazione con Augusta è il riflesso di un ordine sociale di
cui il Commissario è un pilastro fondante.148
Non è dunque un caso che sia proprio dalla ritorsione irridente e beffarda della
donna che scatta la molla dell’omicidio e dell’indagine che costituisce l’asse
143 C. Bisoni, op. cit., p. 126. 144 M. Grande, op. cit., p. 27. 145 C. Bisoni, op. cit., p. 120. 146 Ibidem. 147 Ibidem. 148 Ivi, p. 124.
67
narrativo del film.
Augusta Terzi, fin dal nome viene consacrata quale “imperatrice della camera da
letto”149 , sovrana assoluta nel suo decadente e “dannunziano” regno che è la sua
casa, è quella che incarna la figura della donna benestante e disturbata che
potremmo definire con le parole di Alberto Moravia « la nevrotica erotomane ed
eversiva. »
E’ anche attraverso la mimica del corpo di Augusta che possiamo notare il
progressivo degenerare dei rapporti tra i due amanti: se all’inizio è lei a sottoporsi,
attraverso la finzione del gioco erotico, alle messe in scene dei delitti o agli
interrogatori del commissario, e quindi a recitare il ruolo di vittima (Cfr. sequenza
16) con lo scorrere dei flashback possiamo notare un vero e proprio ribaltamento
dei ruoli in cui da vittima è lei a diventare carnefice attraverso uno strano gioco
frustrante di seduzione e di castrazione.150 Castrazione che si verifica
materialmente nella Sequenza 15 quando Augusta dopo aver detto al Commissario
frasi come « Hai addosso un tanfo di caserma, di archivio, di camera di
sicurezza… » si avvicina e con gesti studiatamente umilianti, taglia la cravatta al
commissario. « Io t’ammazerei. Con le mie mani » « Bel coraggio, sei tu che fai le
indagini » risponde lei cinica.
Scoprendo e letteralmente “mettendo a nudo” le debolezze del Commissario
attraverso umiliazioni verbali e fisiche e, non da ultimo, attraverso il tradimento
con il giovane studente rivoluzionario Antonio Pace – che il commissario descrive
nella Sequenza 6 come “Sovversivo, fanatico, passionale” - ella attua la più
grande e pericolosa sfida possibile, pagando però con la vita il proprio potere di
scelta, il controllo della scena, l’autorità del desiderio.151
Se, come abbiamo detto, essa ricopre lo status di imperatrice nel proprio cupo e
“dannunziano” regno, è proprio nell’unico flashback in cui vediamo i due amanti
all’aperto, in spiaggia, che lei scappa e il Commissario la perde, trovandola dopo
un’angosciosa ricerca, tra le braccia di Antonio Pace.
149 U. Mosca, op. cit., p. 49. 150 C. Bisoni, op. cit., p. 113. 151 C. Bisoni, op. cit., p. 114.
68
Era dunque nelle intenzioni di Petri e Pirro, dipingere Augusta come una donna
sola, vittima della società dei consumi, condannata alla solitudine e all’esercizio
della sessualità che svela come il sesso non sia un contenitore di potenzialità
progressiste e liberatorie in quanto tale.152
E’ in questo rapporto di potere tra i due amanti e quindi tra i loro corpi che si
insidia l’anello di congiunzione, il nodo biopolitico di cui siamo alla ricerca in
questa riflessione, in quanto, nel caso di Augusta, è proprio l’occasione in cui,
sotto l’apparente emancipazione ritornano i rapporti tradizionali di potere.
Augusta si pone nei confronti del commissario in un atteggiamento di voluta
soggezione, non perché veda in lui qualcosa di arcano e sia spinta ad espiare oscuri
complessi di colpa, bensì per farne strumento di soddisfazione del proprio
masochismo. Il suo gioco con il commissario, pur potendo rappresentare il circolo
chiuso dell’oppressione e del servilismo di cui è prigioniero l’individuo nei suoi
rapporti col potere, dimostra che Augusta è perfettamente consapevole
dell’impotenza dell’antagonista, e lo manovra a proprio piacimento, senza
risparmiargli il sarcasmo con cui aveva sempre umiliato il marito omosessuale.153
Proprio come nelle teorie di Foucault, in cui, come abbiamo visto, nella nostra
società nessuno detiene il potere ma ognuno lo subisce ed a sua volta lo esercita
come in una catena, anche in Indagine ogni personaggio è detentore e vittima di
qualche atomo di potere che gli attribuirà una determinata sorte e sarà l'energia
motrice dell'intera vicenda.
Vicenda in cui in primis lo stesso protagonista è descritto da Petri come una
personalità borderline, schizofrenica, speculare e rappresentativa della società .
Nella sfera della sessualità (e quindi, presumibilmente, una sfera extra-
istituzionale) la sua personalità immatura primeggia, mentre in quella pubblica si è
costituita quella paternalistica.
Possiamo osservarlo chiaramente in alcune sequenze, come quando nella numero
3b, durante il loro gioco erotico delle fotografie che riproducono le scene dei
152 Ivi, p. 113. 153 S. Zambetti, op. cit., p. 117.
69
delitti, tra Augusta e il Commissario avviene questo scambio di battute: « Ma non
vi eccitate quando le trovate così? » « Qualche volta. Io mi sono eccitato una volta
per un particolare: un attrezzo…» « Ma che attrezzo? » « E non te lo posso dire,
mi vergogno. » Assumendo immediatamente quell’atteggiamento infantile che
esprime il passaggio alla parte immatura e inconfessabile di sé.
Un esempio ancora più chiaro troviamo nella Sequenza 10 che contiene un altro
significativo e rilevante dialogo tra Augusta e il Commissario:
« Ho capito, fate come coi bambini. »
« Ma tutti ritornano un po’ bambini segnatamente al cospetto dell’autorità
costituita, insomma di fronte a me che rappresento il Potere. La Legge. Tutte le
Leggi, quelle conosciute e quelle sconosciute. L’indiziato ritorna un po’ bambino.
E io divento il padre. Il modello inattaccabile. La mia faccia diventa quella di Dio,
della coscienza. E’ una messa in scena per toccare corde profonde, sentimenti
segreti… no ma… non ti turbare… io ti sto spiegando una mentalità perché, cosa
credi, queste sono le basi sulla quale si poggia l’autorità costituita. Professori
universitari, dirigenti di partito, procuratori delle imposte, capistazione. Poi
finiamo col somigliarci noi poliziotti coi delinquenti… nelle parole, nelle
abitudini… qualche volta persino nei gesti. »
« Sei come un bambino. Più di tutti gli uomini che ho conosciuto. »
« Questo non lo dovevi dire, che sono un bambino… questo non lo dovevi dire!
Gli altri sono bambini. Hai capito? » Dice il Commissario, profondamente scosso
e adirato.
Il “dottore” risulta quindi come un nevrotico minato da un complesso di
impotenza che lo spinge a cercare compensazione nel potere di cui dispone. Già il
suo rapporto con Augusta è caratterizzato da questo rapporto compensativo, che si
esaspera nel momento in cui la donna si sottrae al ruolo che le compete nel gioco
sado-masochistico.
Egli non la uccide per gelosia, ma per riaffermare il proprio potere ribellandosi
furiosamente alla minaccia che questo venga messa in discussione e
autoconvincendosene con una prova decisiva qual è quella di poter disporre della
70
vita di un’altra persona. Nello stesso momento però gli viene a mancare il modello
di compensazione indispensabile e ne cerca quindi un altro: dimostrerà a se stesso
di essere più forte della legge, senza per questo deviare dalla sua natura di rivalsa
nei riguardi di una carenza sessuale.154
Accettando di prendere parte a questo gioco il commissario finisce però per
perdere la sua credibilità, dando modo ad Augusta di approfittarne per umiliarlo e
mortificarlo nelle più diverse maniere.155
2.4 Polizia
“Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile. Scolpita nel tempo."
Dal discorso di insediamento alle Forze dell’Ordine (Sequenza 6).
Perché la genealogia della biopolitica possa manifestarsi in tutta la sua
articolazione manca un ulteriore passaggio – rappresentato dalla scienza di
polizia.156
Non è un caso se il dizionario dei film Mereghetti, definisce Indagine un “trhiller
psicoanalitico sulla cristallizzazione e le aberrazioni del potere, che analizza in
chiave grottesca i metodi e i fini degli apparati polizieschi”.157
Oltre che per il contesto storico specificamente italiano, la scelta di un poliziotto
assassino come protagonista della vicenda, ci porta ad un altro piano d’analisi, in
quanto, nella teoria biopolitica foucaultiana, è proprio la polizia come apparato
istituzionale a ricoprire un ruolo di primo piano non solo nella diffusione delle
discipline, ma anche in tutto l’insieme di tecniche e di apparati che assicurano il
loro effettivo funzionamento.
Discipline fortemente specializzate come quelle che si esercitano nelle prigioni,
nelle scuole, negli ospedali, nei sistemi di produzione, nell’organizzazione
154 S. Zambetti, op. cit., pp. 116-117. 155 U. Mosca, op. cit, p. 49 . 156 R. Esposito, op. cit., p. 30. 157 Paolo Mereghetti (a cura di), Dizionario dei film, Milano, Baldini e Castoldi, 1998.
71
giudiziaria e amministrativa, difficilmente potrebbero esistere senza l’appoggio di
una struttura istituzionale. La polizia però, in special modo, si colloca al crocevia
fra un’istanza di controllo che procede “dall’alto” e un’esigenza di protezione che
proviene “dal basso”, esemplificando con il suo funzionamento la complessità e la
pervasività delle tecniche disciplinari.158
Quando la polizia fu istituita, i contemporanei, spiega Foucault, videro nella
nascita di questa istituzione come la manifestazione più lampante del potere
assoluto, vi riconobbero l’occhio del sovrano che si diffonde fino alle estreme
periferie del corpo sociale.159
Essa cerca infatti di rendersi coestensiva del corpo sociale non solo per
l’ampiezza della sua giurisdizione, ma soprattutto per la sua capacità di mettere
sotto osservazione i dettagli più minuti della vita individuale, per la meticolosità
con cui registra i più piccoli avvenimenti e compila interminabili registri delle
opinioni, delle condotte, delle azioni.160 In Indagine il vero punto traumatico della
storia raccontata non è il fatto che vengano spiate/tracciate le vite dei sospettati
politici, ma come la polizia organizza il visibile socio-politico stesso.161
La polizia si occupa dell’ « infinitamente piccolo del potere politico » sfruttando
al massimo i metodi di sorveglianza messi a sua disposizione dalle relazioni
disciplinari.162
Essa perde lo status riduttivo di specifica tecnica interna all’apparato dello Stato,
per acquistarne invece la più estesa modalità produttiva che assume il suo governo
in tutti i settori dell’esperienza individuale e collettiva – dalla giustizia alla
finanza, al lavoro, alla sanità, al piacere.163 Ovvero: prima ancora che evitare mali,
la polizia deve produrre beni. E’ proprio in questo punto specifico che il processo
di riconversione affermativa dell’antico diritto sovrano di morte tocca il suo
apice.164
158 S. Catucci, op. cit., p. 105. 159 Ibidem. 160 Ibidem. 161 Sulla partizione del sensibile politico, cfr. ancora Jacques Rancière, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007. 162 M. Foucault, Sorvegliare e punire, p. 233. 163 R. Esposito, op. cit., p. 31. 164 Ibidem.
72
2.5 Confessioni
“Non avere paura. Io sono il tuo confessore, qui hanno parlato tutti, non ti
succede niente, io sono una tomba. Tutto questo palazzo è una grande tomba”.
(Sequenza 23)
Risale al 1971 il primo corso di Foucault al Collège de France, il quale si rifaceva
ancora a Nietzsche come all’estrema antitesi di una concezione del sapere il cui
primo riferimento , nel mondo occidentale, è rappresentato dalla posizione di
Aristotele. Se per quest’ultimo la conoscenza è l’estensione naturale della
disposizione umana al piacere e alla felicità, per Nietzsche al contrario è
un’”invenzione” dietro alla quale sta tutta una lotta di istinti, di impulsi, di
desideri, di volontà di potenza e di appropriazione.
Punto stabile di compromesso nel conflitto è perciò la conoscenza che non è un
effetto dell’armonia o dell’equilibrio naturale, ma diventa bensì elemento
rivelatore nella distinzione tra “vero” e “falso”.165
Come abbiamo visto è da questo tema, ovvero dal formarsi di quella che Foucault
chiama volontà di sapere, che si rivolsero i primi passi della sua ricerca
genealogica. Già dalla metà degli anni Settanta infatti, egli riassunse come tutte
queste dinamiche corrispondano ad una precisa strategia politica e ad una specifica
relazione di potere che fa del corpo il « principale bersaglio della repressione
penale. »166
Tale relazione si sviluppa lungo due assi ortogonali: il primo è di tipo giuridico
ed è legato perciò alle istituzioni del diritto, il secondo è di tipo sociale e rimanda
direttamente alla figura del sovrano.
All’epoca della monarchia assoluta, il meccanismo giudiziario dell’inchiesta non
si basava sull’opposizione tra il “vero” e il “falso”, ma su una scala graduata di
colpevolezza che comincia già dal semplice sospetto e che autorizza perciò fin dal
primo momento ad intervenire sul corpo dell’accusato. In questo contesto, la
165 S. Catucci, op. cit., p. 85. 166 M. Foucault, Sorvegliare e Punire, p. 47.
73
tortura è strutturalmente interna alla quaestio giudiziaria, proprio perché questa
mira non ad attestare, ma a produrre una verità che si ottiene coi mezzi
dell’estorsione.167
Tra il XVII e il XVIII secolo, mentre si ridefinisce la geografia dell’illegalità, i
riformatori si ergono contro i supplizi reclamando “umanità” nei confronti del
condannato . Ma la nuova “dolcezza” delle pene ha l’effetto di spostare il luogo
del giudizio e del castigo dal “corpo” all’”anima” del condannato: la vecchia
“anatomia punitiva” si congeda così dal paesaggio alla penalità europea, mentre si
inaugura il tempo dei “castighi incorporei”.168 Se fin dal Medioevo però, la
confessione era rimasta a lungo solidamente incastrata nella pratica della
penitenza, a poco a poco, a partire dal protestantesimo, dalla Controriforma, dalla
pedagogia “anti-onanistica” del XVIII secolo, dalla medicina del XIX secolo,
perse la sua localizzazione rituale ed esclusiva, diffondendosi a tutti i rapporti
sociali.169
La tecnologia politica che ne deriva è perfettamente solidale con i principi del
sapere e con il suo regime di verità; il suo obiettivo è sempre quello di organizzare
la molteplicità sottoponendola a un controllo che la padroneggi: il potere riesce
allora a incidere direttamente sullo “spirito” del criminale proprio nella misura in
cui, attraverso l’analisi delle sue rappresentazioni e delle sue idee, riesce ad
assoggettarne il corpo.170
Se la “polizia dei corpi” che discende da questa tecnica si dimostra più
economica ed efficace dei supplizi, è proprio perché attraverso di essa fanno
ingresso, nel giudizio penale, livelli di verità e metodi di verifica strettamente
imparentati con la conoscenza scientifica.171
« L’individuo si è per molto tempo autenticato in riferimento agli altri e
attraverso la manifestazione del legame con essi (famiglia, rapporto di
vassallaggio, protezione); in seguito lo si è autenticato attraverso il discorso di
167 S. Catucci, op. cit., p. 94. 168 M. Foucault, Sorvegliare e Punire , p. 10. 169 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 58. 170 Ivi, p. 161. 171 Ivi, p. 112.
74
verità che era capace e obbligato a fare su se stesso. La confessione della verità
si è iscritta nel seno delle procedure d’individualizzazione da parte del potere.
»172
A partire da questo momento quindi, l’apparato giudiziario inizia il suo difficile
dialogo con elementi di un sapere nato al di fuori della sua sfera e che esso non
riesce sempre a controllare. Parte del suo potere viene trasferito alle prove
mediche, più avanti alle perizie psichiatriche, ai calcoli delle probabilità, all’analisi
chimica degli indizi. Il risultato è che chi gestisce la giustizia, ormai, non è più in
grado di governare la verità.173
Il castigo diventerà allora funzionale ad un trattamento sociale che fa del crimine
la prova in negativo del contratto sociale e delle sua convenienze. Il criminale non
sarà più annientato ma dovrà essere trasformato in una rappresentazione vivente
dell’ordine e in una lezione per la comunità intera. L’obiettivo della sua
reintegrazione sociale diventa così l’esito ideale di una strategia che elabora nuove
tecniche per produrre cittadini rispettosi, utili ed efficienti.174
« L’uomo in Occidente, è diventato una bestia da confessione. »175 afferma
drasticamente Foucault; da tutte le parti, compreso dall’interno di noi stessi, ci
giungono pressioni che percepiamo come l’effetto di un potere che ci “costringe” a
far emergere questa verità che sembra non “chieda” altro che venire alla luce. « La
confessione rende liberi, il potere riduce al silenzio. »176 Un lavoro immenso
insomma, al quale l’Occidente, mentre con altre forme si assicurava
l’accumulazione del capitale, ha piegato intere generazioni per costituire gli
uomini come “soggetti” (nel duplice senso della parola “soggetti” e “sudditi”) e
quindi produrne il loro “assoggettamento”.177
Le motivazioni e gli effetti che se ne attendono si sono diversificati, così come le
forme che essa assume di volta in volta: interrogatori, consultazioni, racconti
autobiografici, lettere; essi sono registrati, trascritti, riuniti in dossiers, pubblicati e
172 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 54. 173 S. Catucci, op. cit., p. 98. 174 Ibidem. 175 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 55. 176 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 56. 177 Ivi, p. 58.
75
commentati.178 Tutto questo non fa che riportarci a ciò che abbiamo già affrontato
nel paragrafo 1.3.1 del capitolo 1, che abbiamo appositamente deciso di
concludere parlando degli archivi e delle schedature politiche, così come
chiuderemo il secondo parlando di queste pratiche all’interno della teoria di
Foucault.
Nel film il tema della confessione è centrale a partire dai flashback, i quali
risultano essere sotto questo aspetto, momenti di dissonanza causati dal senso di
colpa crescente del personaggio nella pervicace ricerca della confessione del
colpevole, cioè della sua.
Questo meccanismo lo abbiamo già potuto notare nella “confessione al
contrario” durante l’interrogatorio ad Antonio Pace, ma lo si ritrova più e più
volte, anche esplicitato a parole, durante tutto il film.
Ad esempio nella sequenza 10.b, in cui Augusta, dopo aver insistito in modo
impertinente col Commissario per essere interrogata, viene interrogata sul serio
con modi brutali attraverso questo scambio di battute:
Augusta: « Mi piace quando mi interroghi, sembri mio padre […] Ho capito, il
silenzio fa sempre paura. »
Commissario: « Adesso cerca di immaginare che ti aspettano ore tremende,
domande crudeli, inganni, ricatti, tutto! Cerca di ricordare quelle cose della tua
vita che hai dimenticato, cerca di ricordare le immagini più vergognose della tua
vita, e pensa, che io posso sapere tutto di te perché lo Stato mi offre tutti i mezzi
per mettere a nudo un individuo. E io voglio farti credere di sapere tutto di te e
così facendo, faccio scattare in te il meccanismo del complesso di colpa. »
Augusta non è ancora soddisfatta: « Interrogami, interrogami! Fammi delle
domande! »
« Vuoi che ti faccia delle domande eh, che ti interroghi…e allora parla,
parla,dimmi le cose più vergognose, parla. Solo se confessi tutto, la tua debolezza,
le tue piccole vergogne quotidiane tu puoi avere il mio perdono e la mia
protezione. »
Petri non avrebbe potuto rappresentare in maniera più esplicita il meccanismo
178 Ibidem.
76
della confessione a cui Foucault si riferisce. Per accedere allo stato di diritto, alla
protezione del potere sulla nuda vita, bisogna passare attraverso la confessione,
introiettarne le dinamiche di necessità e senso di colpa.
E ancora nella sequenza 4b, Augusta cerca di irretire il Commissario attraverso
svariate telefonate, in cui gli dice frasi come:
« Un poliziotto è pieno di segreti, come un prete. E’ la sua mente che mi eccita. Io
sono un’ammiratrice della polizia, sono un’aspirante confidente. Cosa non farei
per essere interrogata da lei. »
Emblematico è anche il bisogno che il Commissario manifesta durante tutto il
film, di registrare la sua confessione ad alta voce registrandola al registratore e
riascoltandola in modo ossessivo, come per andare contro al muro di silenzio e di
forzata volontà dei suoi colleghi durante le indagini, di non vedere la sua
colpevolezza. La sequenza 11 è quindi molto eloquente: « Alle ore 16 di domenica
24 agosto, io ho ucciso la signora Augusta Terzi […]. Ho una sola attenuante: la
vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi, dappertutto,
non per fuorviare le indagini. Ma per provare la mia insospettabilità. »
Il teorema potrebbe sembrare una follia: un funzionario del potere che testa il
potere stesso. Più si scopre insospettabile più l’autorità si rivela forte. Si fornisce
persino un movente: « la vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. »
« Tuttavia, quando hai fatto condannare un innocente, la tua insospettabilità non è
provata. » continua il Commissario. Il delitto perfetto non è quello dove qualcuno
viene arrestato al posto del vero colpevole, ma quello nel quale l’identità
dell’assassino è nota agli inquirenti che però non hanno prove per procedere
all’arresto.
“Per la prima volta probabilmente una società si è chinata a sollecitare ed
ascoltare la confidenza dei piaceri individuali.”179 possiamo affermare con
Foucault.
Il momento culminante della rappresentazione del “rituale discorsivo”180 di
179 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 59. 180 Ibidem, p. 57.
77
confessione, lo troviamo però nella sequenza finale di Indagine (Sequenza 25), in
cui il commissario si trova in casa propria circondato dai suoi superiori,
sopraggiunti sul luogo dopo che egli ha consegnato loro la confessione della
propria colpevolezza per l’assassinio di Augusta.
Per prima cosa il capo della polizia si avvicina con atteggiamento paternalistico
ma bonario, trattandolo come un bambino e proprio come ad un bambino, gli tira
le orecchie. Il Commissario infatti passa subito al lato infantile della sua
personalità e, dopo che gli viene fatto mangiare il sale (così come faceva lui
durante gli interrogatori in questura, quando invece assumeva il ruolo di “padre”),
la confessione prende subito una strana piega. Appena egli dice « Sono io che l’ho
uccisa » i suoi colleghi smontano una ad una le prove: Antonio Pace, unico
testimone, ha negato tutto ( e noi sappiamo che lo ha fatto per portare avanti il
proprio ricatto nei confronti del Commissario); le scarpe con cui egli aveva
lasciato impronte insanguinate nell’appartamento della vittima sono scarpe comuni
che potrebbero essere di chiunque; la cravatta col filo mancante è stata distrutta e
così via fino a costringere il Commissario, ormai disperato e senza più appigli, ad
un’ abiura: « Faccio quello che voi volete! ». « Bravo, bravo figliuolo - gli dice il
capo della polizia dandogli dei buffetti sulle guance – Hai da dire qualche cosa? »
« Confesso la mia innocenza ».
Subito dopo veniamo a scoprire che si era trattato di un sogno e che i colleghi
stanno realmente arrivando, ma questa volta non ci è dato di sapere come avverrà
davvero la non-confessione; le serrande della casa del Commissario si abbassano e
in sovraimpressione appare una scritta: “Qualunque impressione faccia su di noi,
egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio
umano”.
Perché Petri abbia usato per chiudere il suo film proprio questa significativa frase
di Kafka, tratta dalla parabola Davanti alla Legge contenuta nel Processo, sarà
materia di indagine del nostro prossimo capitolo.
79
3 DAVANTI ALLA LEGGE
“Qualunque impressione faccia su di noi, egli è servo della legge quindi
appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”.
Come abbiamo visto alla fine del secondo capitolo, è con questa citazione
kafkiana che si conclude Indagine.
Perché Petri ha deciso di concludere così il suo film?
Consultando l’Archivio Petri al Museo Nazionale del Cinema di Torino abbiamo
scoperto che nella sceneggiatura egli aveva posto originariamente questa frase
all’inizio e non alla fine della pellicola. Scelta che potremmo definire “wellesiana”
in quanto è ben documentato che Petri si ispirò proprio alla rappresentazione
filmica del Processo che ne aveva fatto Orson Welles nel 1962.
Welles aveva collocato appositamente la parabola Davanti alla Legge all’inizio
del film per darne una chiave di lettura a tutta la vicenda di Josef K.
Noi riteniamo invece che Petri abbia cambiato la sua intenzione iniziale mettendo
la frase subito dopo il “processo al contrario” contenuta nella sequenza 25, come
risposta preventiva alle perplessità che avremmo potuto avanzare al suo termine,
giudicando ciò che è accaduto nel film ingiusto, scorretto, illegittimo, non
rispondente a un principio di verità.
Questa verità corrisponde ad una legittima rimostranza propria di noi individui
moderni, formati dal lungo processo dell’illuminismo181 occidentale, che ha
tentato di sottrarre ed emancipare l’uomo dal giogo mitico del destino, tentando di
dominare e ordinare la realtà secondo i principi universali della ragione.
Con queste parole il regista intendeva perciò mettere l’accento su due elementi la
cui presenza ha scandito tutto il procedere del film: il carattere sovraumano della
legge, lontano da ogni possibile comprensione razionale e il carattere servile del
Commissario, incarnazione di quella legge che si rivela essere regolata da logiche
che restano anche per lui oscure e inconoscibili.
181 Illuminismo è qui inteso nel senso in cui ne parlano Adorno e Horkheimer in Dialettica
dell’illuminismo.
80
Nel romanzo kafkiano dopo aver ascoltato la parabola Davanti alla legge, Josef
K reagisce esclamando: « Dunque il guardiano ha ingannato quell’uomo. »182
Il motivo di tale impossibilità a capire il significato del racconto la si potrebbe
rintracciare nell’affermazione che segue all’interno della parabola kafkiana. Nel
dialogo tra il sacerdote e Josef K, questi avanza le sue perplessità riguardo al
racconto. Ragionando sulle possibili interpretazioni della parabola, Josef K
continua a giudicare il contenuto di questa, ingannevole, sia per il contadino e sia
per il guardiano, quindi privo di senso. Non riesce a condurre il suo messaggio ad
un discorso coerente e razionale e ad accettare che si debba prendere il contenuto
della parabola per vero, nonostante risulti incoerente e irrazionale. Ma a questo
punto, dopo aver analizzato tutte le possibili interpretazioni il sacerdote sposta
bruscamente tutto il piano del discorso su un livello diverso rispetto a quello del
discorso coerente e razionale: « Non si deve prendere tutto per vero, si deve
prenderlo solo per necessario »183. Infatti Josef K continuando a ragionare in
termini “illuministici” traduce la fredda constatazione del sacerdote, in una
considerazione carica di pessimismo: « è un’opinione ben triste [...] la menzogna
viene elevata a ordine del mondo »184. Infatti, sembra essere lo stesso sacerdote ad
aver giustificato il pessimismo di Josef K, quando afferma: « non devi tenere
troppo conto delle opinioni. La Scrittura è immutabile e spesso le opinioni
esprimono solo la disperazione che ne deriva »185.
Questa frase ci riporta alla memoria il più volte citato discorso di insediamento
che il Commissario fa alle forze dell’ordine nella sequenza 5 in cui egli dice « Noi
siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo ».
E’ il « nulla della rivelazione», quella « vigenza senza significato» di cui Walter
Benjamin e Gershom Scholem parlano nel carteggio riportato da Agamben in
Homo Sacer.186 «Nulla meglio di questa formula, in cui Scholem caratterizza lo
stato della legge nel romanzo di Kafka, definisce il bando di cui il nostro tempo
182 F. Kafka, Il processo, trad. it. di C. Morena, Milano, Garzanti, 2010, p. 177 183 Ivi, p. 181. 184 Ibidem 185 Ivi, p. 179. 186 Forma di legge, in G. Agamben, op.cit., p.57-71.
81
non riesce a venire a capo. »187
L’ineluttabilità di tale definizione ci fa considerare come il protagonista del
Processo e quello di Indagine possano essere messi in relazione dalla loro
condizione di eroi mitici.
La loro individualità illuminista, fondata sulla ragione, deve scontrarsi con la
forza travolgente e indecifrabile, fondata non sulla ragione, ma sulla necessità del
destino.
3.1 Mito, destino, colpa
Nel racconto mitico l’azione dell’eroe non è la disgrazia fatale che gli dei inviano
a colui che si è macchiato di una colpa religiosa. La condanna dell’eroe è la
condanna alla colpa, egli è condannato a essere colpevole, secondo « un ordine i
cui soli concetti costitutivi sono infelicità e colpa e per entro il quale non è
concepibile alcuna via di liberazione ».
L’eroe mitico non può non soccombere, non è ammessa la sua innocenza. Anzi,
la felicità dell’innocente nel mito « non è affatto concepita come la conferma della
sua condotta di vita, ma come la tentazione alla colpa più grave, all’hybris ». Nella
vita dominata dal destino, quindi, la condanna non è conseguenza, ma la causa
stessa della colpa. « Nella misura in cui qualcosa è destinato, è infelicità e colpa
»188.
Benjamin afferma che l’origine della concezione del destino non andrebbe
ricercata nell’ambito religioso, bensì in quello del diritto.
Il diritto, prima ancora della elaborazione della nozione di destino mitico, è un
ordine nel quale contano solo infelicità e colpa, una bilancia « su cui beatitudine e
innocenza risultano troppo leggere e si librano in alto [...]. Le leggi del destino,
infelicità e colpa, sono poste dal diritto a criteri della persona »189. E’ da
187 Ivi, p. 59. 188 W. Benjamin, Angelus novus, Torino, Einaudi, 1995, pp. 31-33. 189 Ibidem
82
considerare che per Benjamin il diritto non è quella importante conquista culturale
delle società umane, bensì « un residuo dello stadio demoniaco di esistenza degli
uomini, in cui statuti giuridici non regolavano solo le loro relazioni, ma anche il
rapporto con gli dei »190. Solo per errore l’ordine del diritto è stato confuso e
identificato col « regno della giustizia ». Questo ordine preistorico dove sia le
relazioni tra uomini, sia quelle tra uomini e divinità sono sottoposte a norme, si è
tradotto nel diritto e nel mito. È il diritto, ancor prima del destino, che « non
condanna al castigo, ma alla colpa »191.
In Per la critica della violenza, Benjamin considera il diritto « violenza
oggettivata »192. La violenza è l’elemento fondante del diritto, la sua sostanza.
Ogni contratto giuridico è tale in quanto « conferisce ad ogni parte il diritto di
ricorrere, in qualche forma alla violenza contro l’altra parte, nel caso che questa
dovesse violare il contratto » anche se la violenza non è « immediatamente
presente nel contratto come violenza creatrice di diritti, vi è pur tuttavia pur
sempre rappresentata, in quanto il potere che garantisce il contratto è a sua volta di
origine violenta, quando non è insediato giuridicamente con la violenza in quello
stesso contratto. Se viene meno la consapevolezza della presenza della violenza in
un istituto giuridico, esso decade »193. La violenza cristallizzata nel mito è la
violenza mitica, che non castiga, ma condanna alla colpa schiacciando l’uomo «
sotto la ruota del destino »194.
Il punto da cui partire per trovare l’origine mitica della violenza del diritto è la
relazione di pretesa eguaglianza che esso stabilisce tra soggetti diversi. Nelle
guerre dell’età “mitica”, « l’avversario non viene semplicemente distrutto; anzi, gli
vengono riconosciuti certi diritti: è la stessa linea che non deve essere superata dai
due contraenti. Dove appare, nella sua forma più terribile e originaria, la stessa
mitica ambiguità delle leggi che non possono essere ‘trasgredite’, e di cui Anatole
France dice satiricamente che vietano del pari ai ricchi e ai poveri di pernottare
190 Ibidem 191 Ibidem 192 Stefano Petrucciani, Ragione e dominio, Roma, Salerno, 1984, p. 225. 193 W. Benjamin, op. cit. , p. 16. 194 S. Petrucciani, Ragione e dominio, p. 225.
83
sotto i ponti »195.
Dunque, il diritto implica e richiede eguaglianza di comportamenti da tutte le
parti coinvolte, ma essendo determinato da rapporti fondati e regolati da possibile
violenza, presuppone una differenza di potere tra i diversi soggetti che nega solo
apparentemente. La violenza del diritto è quindi la « costrizione del diseguale
all’uguaglianza o meglio, data la problematicità di questa, la condanna al delitto,
in cui in estrema analisi il diritto consiste »196.
È nel principio per cui, dall’epoca arcaica della legge non scritta ad oggi,
l’ignoranza non protegge dalla pena, e chiunque può incorrere in essa anche
infrangendo una legge in maniera inconsapevole, che mito e diritto tornano a
coincidere.
« Ma quanto più scompare l'illusione magica, e tanto più spietatamente la
ripetizione, sotto il nome di legalità. fissa l'uomo nel ciclo avendo oggettivato il
quale nella legge di natura egli si crede garantito come libero soggetto. Il
principio di immanenza, la spiegazione di ogni accadere come ripetizione, che
l'illuminismo sostiene contro la fantasia mitica, è quello stesso del mito. »197
Mito e diritto sono dunque ambiti dominati dal destino e dalla colpa, dai quali è
assente ogni speranza di riscatto. Il diritto mette in pratica l’idea fondamentale del
mito della vita come intrinsecamente colpevole, quindi condannata alla colpa.198.
Ma il racconto mitico, lo scontro tra individuo e destino che viene rappresentato
e raccontato in Indagine e nel Processo, è ambientato non in una qualche era
arcaica premoderna, bensì nella contemporaneità delle moderne società borghesi e
liberali del Novecento.
A questo proposito potrebbe essere utile riprendere la critica fatta da Adorno e
Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo.
Uno dei temi centrali della critica rivolta alle società totalitarie presenti
nell’epoca in cui il testo è stato scritto - regime nazista, regime sovietico e società
195 W. Benjamin, op. cit., pp. 23-24. 196 S. Petrucciani, op. cit., p. 225. 197 T. W. Adorno e M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1997, p. 20 198 Ivi, p. 33.
84
dei consumi – è quello della « ricaduta nel mito ».
Per comprendere pienamente cosa intendono i due filosofi francofortesi con
questa espressione, è necessario avere presente innanzitutto cosa intendano per
mito: il mito, secondo la definizione contenuta in Dialettica dell’illuminismo, è la
riconduzione della realtà ad un evento originario posto in un passato remoto. Le
spiegazioni mitiche si svolgono sempre intrecciando società e natura, tendendo
così a dare un aspetto sociomorfico e antropomorfico della natura e, viceversa, a
considerare la società con le sue regole come fondata su leggi naturali. Così la
natura sarebbe un sistema di forze e potenze organizzate secondo una precisa
gerarchia, mentre le leggi che regolano la comunità sociale vengono riferite ad un
evento originario o alla similitudine con eventi naturali, per cui ciò che in realtà è
storicamente determinato, è sottratto ad ogni discussione critica e presentato come
assolutamente necessario ed immutabile199.
Riferendosi chiaramente ai saggi di Benjamin, il mito viene descritto come
dominato da una rigida ciclicità di destino e colpa, nella quale è l’intera realtà ad
essere coinvolta. È quello che Adorno e Horkheimer chiamano il « processo fatale
della rappresaglia », secondo il quale, « nei miti ogni evento deve pagare per il
fatto di essere accaduto »200. La storia, per il mito, si svolge sotto il segno della
equivalenza e della ripetizione. Tutto ciò che accade deve essere necessariamente
bilanciato da un evento di valore uguale e contrario, in modo che tutto possa essere
sempre ripristinato così come era in precedenza.
Le figure mitiche, contro cui dovrà scontrarsi Odisseo, primo esempio di
individuo autonomo borghese, sono le rappresentazioni di questo meccanismo.
Anche se dotate di incredibile potenza, le forze mitiche sono tuttavia impotenti
perché condannati ad agire sempre allo stesso modo: « sono immagini di coazione:
le atrocità che commettono sono la maledizione che pesa su di esse.
L’ineluttabilità mitica è definita dall’equivalenza fra quella maledizione, il delitto
che la paga e la colpa che ne deriva e che riproduce la maledizione. Ogni diritto
della storia passata reca i segni di questo schema. Nel mito ogni momento del ciclo
199 Ivi, pp. 216-217. 200 T. W. Adorno e M. Horkheimer, op. cit. , , pp. 19-20.
85
ripaga quello che lo precede e collabora così a insediare come legge il nesso della
colpa »201.
Come abbiamo già detto, nel mito vi è uno stretto intrecciarsi di eventi naturali e
realtà sociale, una diretta corrispondenza tra costrizione naturale e dominio
sociale; « i processi naturali, eternamente uguali e ricorrenti, vengono inculcati ai
sudditi – da tribù straniere o dalle proprie cricche dirigenti – come tempo o
cadenza lavorativa, al ritmo della clava o del randello, che rimbomba in ogni
tamburo barbarico, in ogni monotono rituale. I simboli prendono l’aspetto di
feticci. Il loro contenuto, la ripetizione della natura, si rivela poi sempre, in
seguito, come la permanenza – da essi in qualche modo rappresentata – della
costrizione sociale. Il brivido oggettivato in un’immagine fissa diventa l’emblema
del dominio consolidato dei gruppi privilegiati »202.
L’intenzione dei due autori è chiara sin dal titolo. Dialettica dell’illuminismo è il
tentativo di mostrare la corrispondenza dell’illuminismo col suo opposto: natura e
mito. La pretesa dell’illuminismo di considerare il mito e la natura come qualcosa
di radicalmente altro da sé, come qualcosa a cui l’illuminismo si sarebbe potuto
contrapporre in maniera frontale e liberarsene, viene svelata dai due autori della
Dialettica come pretesa infondata. La forza liberatrice con cui l’illuminismo
dovrebbe spezzare le catene della cieca naturalità e delle credenze mitiche, diventa
forza repressiva che si impone come naturale e mitica.
« L’uomo si emancipa dal cieco contesto naturale, da cui esce egli medesimo, e
ottiene il potere sulla natura, in ultima istanza, per soccombere ad essa ». È questa
la dinamica fondamentale della dialettica dell’illuminismo, della ricaduta nel mito:
« l’unità tra il dominio della natura e la resa alla natura »203.
A causa di ciò vi sarebbe una sorta di malinteso, una valutazione errata del mito:
« alla base del mito esso [l’illuminismo] ha sempre visto l’antropomorfismo, la
proiezione del soggettivo nella natura. Il soprannaturale, spiriti e demoni,
sarebbero immagini riflesse degli uomini, che si lasciano spaventare dalla natura.
Le varie figure mitiche sono tutte riducibili, secondo l’illuminismo, allo stesso
201 Ivi, pp. 65-66. 202 Ivi, p. 29. 203 Theodor W. Adorno, Wagner. Mahler. Due studi, Torino, Einaudi, 1975, p. 122.
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denominatore, e cioè al soggetto »204.
Dall’analisi di questa erronea valutazione possono essere dedotti i due elementi
fondamentali che hanno determinato il capovolgimento delle intenzioni
inizialmente emancipatorie dell’illuminismo, nel loro opposto: la ipostasi del
soggetto, l’assenza di ogni considerazione storica della questione della
soggettività, da cui consegue la rigida divisione tra soggetto e oggetto, e la
convinzione che il mito sia circoscrivibile in uno spazio determinato, il cui
annientamento dipenderebbe semplicemente dall’avanzamento dell’illuminismo.
Ma i due campi non sono delimitati da un confine così netto come l’illuminismo
ha creduto. Il mito, col suo intento di spiegare e fissare gli eventi cercando
un’origine su cui potesse fondarli, era già illuminismo, aveva già cominciato il
processo di rischiaramento.
È quindi la stessa dinamica interna all’illuminismo a farlo ricadere ad ogni passo
nel mito. Dinamica identica a quel « principio di rappresaglia » proprio del mito. «
Il principio di immanenza, la spiegazione di ogni accadere come ripetizione, che
l’illuminismo sostiene sotto la fantasia mitica, è quello stesso del mito. L’arida
saggezza per cui non c’è nulla di nuovo sotto il sole, perché tutte le carte
dell’assurdo gioco sono state giocate, tutti i grandi pensieri sono stati già pensati,
le scoperte possibili si possono costruire a priori, e gli uomini sono condannati
all’autoconservazione per adattamento, quest’arida saggezza non fa che riprodurre
la fantastica che respinge: la ratifica del destino, che ripristina continuamente, per
contrappasso, ciò che già era »205. Il destino voluto dall’illuminismo tuttavia non è
più condanna alla colpa, ma alla cieca e irrazionale autoconservazione costretta nel
chiuso circolo dell’immanenza.
La ricaduta dell’illuminismo nel mito avrebbe la sua causa principale nel
considerarsi come qualcosa di totalmente altro rispetto alla natura. La natura che
dall’illuminismo è trattata solo come « natura morta », semplice oggetto al quale
approcciarsi con distacco razionale , continua a sussistere nell’illuminismo stesso,
nonostante sia continuamente rinnegata e spacciata come spiritualità, quindi
204 T. W. Adorno e M. Horkheimer, op.cit., p. 14-15. 205 Ivi, p. 20.
87
assolutamente distante dalla natura206.
La natura è presente nell’illuminismo e nelle sua idea di spirito come ciò a cui
bisogna necessariamente far riferimento. L’uomo, che l’illuminismo tenterà in tutti
i modi di emancipare dalla natura, resta, nonostante gli elevati gradi d’astrazione
raggiunti dalla filosofia, un ente naturale.
« Lo spirito diventa mitico in quanto si pone come autonomo di contro alla
natura e, obliata la sua base naturale, si presenta in forme naturali che vengono
spacciate come spirituali, e perciò diventano mitiche. Mitici sono dunque, se
abbiamo inteso bene, tutti quei fantasmi del logos che il pensiero occidentale ha
prodotto, dalle idee platoniche alla soggettività trascendentale attiva di Kant,
fino al puro io religioso di Kierkegaard. Mito perciò è quella forma di
soggezione alla cieca naturalità che non si avvede di se stessa come tale, ma
anzi, quanto più pretende di essersi emancipata dalla natura, tanto più mostra di
esser ricaduta in essa »207.
Ci si è illusi che lo spirito, potesse essere considerato l’assolutamente
trascendente rispetto alla natura. Tuttavia esso resta sempre e comunque « un
frammento della storia della natura ». Con l’autocompiacimento per la perfezione
delle sue forme, forme logiche in primis, identiche a se stesse e immutabili, si
impone allo spirito quel momento di rigidità dal quale ci si vorrebbe emancipare.
Ma la natura sopravvive nell’illuminismo non solo come natura coatta, ma anche
secondo un’altra modalità. L’illuminismo, esattamente come il mito, è
trasfigurazione del ciclo naturale. Ciò che viene trasfigurato de,l ciclo naturale dal
mito come dall’illuminismo, è la « cieca ripetizione, il chiuso ciclo
dell’immanenza da cui nulla conduce fuori »208. Nelle società borghesi il ciclo
dell’immanenza è costruito tutto su quel principio di equivalenza di cui si è già
parlato. Nel ciclo dell’immanenza vige il principio della fungibilità assoluta: tutto
deve poter essere scambiabile e sostituibile con tutto: è il principio base delle
206 S. Petrucciani, op.cit., p. 229. 207 Ibidem 208 Ibidem
88
società borghesi fondate sullo scambio delle merci. Il risultato è quello che Adorno
chiama « nesso d’accecamento ».
Il decreto che viene emesso in Indagine ha un carattere mitico, ma nel senso
“moderno”, secondo le modalità descritte da Adorno e Horkheimer: il
Commissario, nonostante il delitto commesso, è condannato non alla colpa, bensì
all’innocenza. In questo modo il destino assume i caratteri di una condanna « alla
cieca e irrazionale autoconservazione costretta nel chiuso circolo dell’immanenza
»209.
Questa dinamica è resa ancora più evidente ed efficace dalla struttura narrativa
del film, che crea la perfetta e diretta identificazione dell’autorità, colui che
condanna e punisce e che conserva il diritto con la violenza, con il criminale, colui
che usa la violenza contro il diritto e perciò dovrebbe essere condannato e punito
dall’autorità.
Nel rapporto giuridico del diritto, che secondo quanto affermato da Benjamin
assegna solo apparentemente pari valore a tutti i soggetti coinvolti, il commissario
porta all’estremo la contraddizione insita in esso, infrangendo la norma
fondamentale del divieto a commettere omicidio, e cercando invano in tutti modi
di mostrarsi come colpevole. L’azione del commissario stressa a tal punto il
sistema giuridico di diritto, tanto da smascherarne la contraddizione immanente.
3.2 Crisi sacrificale
Il commissario, eroe tragico della sclerotizzata società tardo-borghese, si ritrova a
dover affrontare, come accade in ogni tragedia, quella che Girard chiama una
“crisi sacrificale”. Gli elementi che secondo il filosofo francese denotano una crisi
sacrificale all’interno di un racconto mitico sono essenzialmente tre: « 1) la
descrizione di una crisi sociale e culturale, ovvero la descrizione di una
209 Cfr. supra, p. 7.
89
indifferenziazione generalizzata – primo stereotipo; 2) certi crimini
“indifferenziatori” – secondo stereotipo; 3) se gli autori designati di questi crimini
posseggano segni di selezione vittimaria, tratti paradossali di indifferenziazione –
terzo stereotipo »210.
Se si analizzasse il film utilizzando queste tre categorie, si giungerebbe alla
conclusione che Indagine può essere identificato come racconto mitico.
Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, il periodo in cui si svolge il racconto
è un periodo di forte crisi sociale, culturale e istituzionale. Vi è un livello di
tensione politica e la sensazione diffusa, sia da parte di chi contesta che da parte di
chi reprime, che il sistema giuridico e di diritto vigente sia profondamente
inadeguato.
Vengono compiuti numerosi crimini indifferenziatori, il primo fra tutti
l’assassinio commesso dal commissario, poi le violenze fortemente destabilizzanti
tra polizia e contestatori. Ma è la stessa istituzione di cui il commissario fa parte a
contenere un alto tasso di indifferenziazione. Secondo l’analisi di Benjamin, la
polizia si pone al di là della rigida distinzione tra violenza che crea diritto e
violenza che conserva il diritto. La polizia « è bensì un potere a fini giuridici (con
potere di disporre), ma anche con la facoltà di stabilire essa stessa entro vasti
limiti, questi fini (potere di ordinare) »211. La polizia si ritrova ad operare
all’interno di un pericoloso cortocircuito: « essa è potere che pone - poiché la
funzione specifica di quest’ultimo non è di promulgare le leggi, ma qualunque
decreto emanato con forza di legge - , ed è potere che conserva il diritto, poiché si
pone a disposizione di quegli scopi »212. In questo modo la polizia è « emancipata
» dalle due condizioni fondamentali che legittimano i due tipi di violenza, quello
che pone la legge e quello che la conserva. Infatti se dalla prima « si esige che
mostri i suoi titoli nella vittoria », nella fondazione e affermazione di un nuovo
sistema di diritto, « la seconda è soggetta alla limitazione di non doversi porre
nuovi fini »213.
210 R. Girard, Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, 2011, p. 45. 211 W. Benjamin, op. cit., p. 15. 212 Ibid. 213 Ibid.
90
La forte caratterizzazione del personaggio, i tratti di indifferenziazione palesi
nelle frequenti oscillazioni tra comportamento severo ed autoritario e
atteggiamenti infantili, il suo mimetizzarsi e travestirsi, denotano sicuramente il
commissario come il soggetto ideale da identificare e selezionare come vittima.
La crisi sacrificale sarebbe il frutto di una crisi profonda del tessuto sociale,
istituzionale e culturale, che arriva a scuoterne le fondamenta. Ne La violenza e il
sacro, la crisi sacrificale è definita come « perdita della differenza tra violenza
impura e violenza purificatrice. Una volta perduta tale differenza non c’è più
purificazione possibile, e la violenza impura, contagiosa, cioè reciproca, si
diffonde nella comunità. La differenza sacrificale, la differenza tra il puro e
l’impuro non può cancellarsi senza trascinarsi dietro tutte le altre differenze. [...]
Quando va in sfacelo il momento religioso [del sacrificio], non più soltanto , o non
subito, la sicurezza fisica a essere minacciata, bensì l’ordine culturale stesso. Le
istituzioni perdono la loro vitalità; l’armatura della società si allenta e si dissolve;
dapprima lenta, l’erosione di tutti i valori si fa precipitosa; tutta la cultura rischia
di crollare, e un giorno o l’altro crolla come un castello di carta »214.
L’unico modo per superare la crisi sacrificale, per arrestare il processo di
indifferenziazione e il dilagare della violenza che travolgerebbe fino a distruggerla
l’intera comunità, è rifondare il rito sacrificale concentrando e dirigendo la
violenza su una vittima espiatoria che risponda a determinate caratteristiche, il cui
sacrificio riporterebbe un nuovo equilibrio all’interno della comunità.
Ma in Indagine la crisi sacrificale viene congelata, la frantumata e instabile
società liberale tardo borghese viene immobilizzata e tenuta forzatamente e
faticosamente in piedi.
Si è realizzata la legge così come è rappresentata nella leggenda kafkiana,
Davanti alla legge, « in cui essa si afferma proprio nel punto in cui non prescrive
più nulla, cioè come puro bando. Il contadino è consegnato alla potenza della
legge, perché questa non esige nulla da lui, non gli propone altro che la propria
214 R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2011, pp. 76 – 77.
91
apertura. Secondo lo schema dell’eccezione sovrana, la legge gli si applica
disapplicandosi, lo tiene nel suo bando abbandonandolo fuori di sé. la porta aperta,
che è destinata soltanto a lui, lo include escludendolo e lo esclude includendolo. È
questo il fastigio supremo e la radice di ogni legge »215. È la forma pura della
legge, che vige senza significare: « vigenza senza significato »216, come scrive
Scholem in una lettera a Benjamin sull’interpretazione della parabola kafkiana.
Per chiarire il concetto di “forma pura della legge” Agamben si rifà alla
definizione kantiana di « semplice forma della legge » contenuta nella Critica
della ragion pratica. Questa sarebbe « una legge ridotta al punto zero del suo
significato e che, tuttavia, vige come tale. “Ora, di una legge – egli scrive – se si
astrae da essa ogni materia, cioè ogni oggetto della volontà (come motivo
determinante), non rimane che la semplice forma di una legislazione unversale”.
Una volontà pura cioè determinata soltanto mediante una tale forma della legge,
non è “né libera né non libera”, esattamente come il contadino kafkiano »217.
La questione però si complica nel momento in cui si cerca di applicare la “forma
di legge” alla vita degli individui. È impossibile individuare la giusta condotta che
il singolo dovrebbe tenere di fronte ad essa. « Qual è, cioè, la forma di vita che
corrisponde alla forma di legge? » si chiede Agamben in Homo sacer « Non
diventa così la legge morale qualcosa come una “facoltà imperscrutabile”? Kant
chiama rispetto (Achtung, attenzione reverenziale), la condizione di chi si trova a
vivere sotto una legge che vige senza significare, senza cioè né prescrivere né
vietare alcun fine determinato [...] La legge, in rapporto all’elemento formale del
libero arbitrio, è la sola cosa che resta, una volta che ha eliminato la materia del
libero arbitrio. » Il filosofo italiano vede nell’impostazione dell’etica kantiana una
lucida anticipazione di quella che sarà una condizione materiale nel periodo dei
regimi totalitari e delle società di massa. «La vita sotto una legge che vige senza
significare assomiglia alla vita nello stato di eccezione, in cui il gesto più
innocente o la più piccola dimenticanza possono avere le conseguenze più
estreme. Ed è esattamente una vita di questo genere, in cui la legge è tanto più
215 G. Agamben, op.cit., pp. 57 – 58. 216 Ivi, p. 59. 217 Ivi, p. 60.
92
pervasiva in quanto manca di qualsiasi contenuto e un colpo battuto distrattamente
su un portone scatena processi incontrollabili, quella che Kafka descrive »218.
La presenza pervasiva della legge dovuta alla suo essere assolutamente vigente,
la pretesa universalità della legge formale che deve quindi essere applicata e messa
in pratica in ogni situazione e la Achtung incondizionata che questa legge esige,
arriva a rendere la legge « indiscernibile dalla vita »219.
3.3 Individuo
Diventa quindi estremamente problematico il rapporto tra l’individuo
determinato e particolare e la legge indeterminata e universale, in un sistema
sociale borghese e liberale che viene considerato fondato sull’individuo, sulle sue
libertà e diritti imprescindibili.
A riguardo può tornarci utile l’analisi che fa Adorno della condizione materiale
dell’individuo nel determinato contesto storico e sociale in cui il film di Petri è
ambientato.
È necessario legare la crisi dell’individuo alle profonde mutazioni storiche e
sociali della contemporaneità; «se da un lato è ovvio che l’individuo come unità
biologica continua a esistere, insieme a tutte quelle caratteristiche che servono alla
sua riproduzione, dall’altro esso ha fatto il suo ingresso in una costellazione
sociale al cui interno la riproduzione della sua vita non può più essere realizzata.
L’individuo sembra ormai condannato a potersi mantenere in vita soltanto a patto
di abdicare alla sua individualità, di cancellare i confini dall’ambiente, di
rinunciare a una parte consistente della propria autonomia e indipendenza. In ampi
strati della popolazione non esiste più alcun ‘io’ in senso tradizionale»220; tanto che
«in molti individui appare già come una sfrontatezza che abbiano il coraggio di
pronunciare la parola “io”»221.
218 Ivi, p, 61. 219 Ibidem 220 Theodor W. Adorno, Individuo e società, in I. Testa (a cura di), La Crisi dell’individuo, Diabasis,
Parma, 2010, p. 57. 221 Theodor W. Adorno, Minima moralia, Torino, Einaudi, 1995. p. 48.
93
I mutamenti in atto sono così radicali da spingere Adorno a parlare di «un nuovo
tipo umano in corso di formazione», arrivando a porre la necessità di elaborare una
«nuova antropologia»222. I caratteri principali dell’‘uomo nuovo’ sarebbero tutti
legati alla sua integrale e assoluta determinazione sociale. Ciò implica un
ridimensionamento di quella che viene considerata la sfera privata dell’individuo:
la famiglia perde il compito assegnato nelle società borghesi di mediazione tra il
singolo e l’apparato sociale; il repertorio di ‘immagini’ è atrofizzato e così come la
capacità linguistica dei singoli individui, interamente costituito dal gergo sintetico
proprio del linguaggio pubblicitario.
Si delinea così «il tipo dell’uomo la cui essenza è definita dall’incapacità di
compiere esperienze personali, un uomo che si lascia imbandire le esperienze
dall’apparato sociale, fattosi strapotente e impenetrabile, che proprio per questo
non riesce a spingersi fino allo stadio della formazione dell’io»223. Un profilo del
genere sarebbe da considerare, secondo la psicanalisi, malato, da classificare come
soggetto nevrotico. Adorno infatti utilizza spesso termini “medici” quali
mutilazione, storpiamento, danneggiamento per descrivere i processi di
formazione dei nuovi individui.
La malattia ha però carattere costitutivo, ciò è dovuto al fatto che gli individui
“malati” sono tali in quanto prodotti da una società malata che produce i propri
membri «gravandoli di tare ereditarie». In questo modo si spiega l’elevato tasso di
integrazione degli individui nell’organizzazione, dovuta alla mancanza di uno
strato specificatamente umano che andrebbe ad opporsi alla violenta integrazione;
l’uomo non è quindi da considerare come « un ente statico sottoposto a certe
deformazioni ad opera di un “influsso”, non c’è un’interiorità sostanziale su cui
opererebbero – dall’esterno – determinati meccanismi sociali » 224.
Quindi, questa malattia di cui l’individuo sarebbe afflitto viene subita in maniera
inconsapevole « l’odierna malattia consiste proprio nella normalità. Gli atti
libidinosi richiesti all’individuo che appare sano nel corpo e nell’anima, sono tali
da poter essere eseguiti solo a prezzo della più profonda mutilazione, di una
222 T. W. Adorno La Crisi dell’individuo, p. 66. 223 Ivi, p. 61. 224 Ivi, p. 279.
94
interiorizzazione della castrazione negli estrovertiti, [...] la salute interiore
dell’epoca non fa che vietare la fuga nella malattia senza toccare per nulla le sue
cause ». É quindi uno degli aspetti della Malattia mortale l’inconsapevolezza della
propria condizione reale, inconsapevolezza generata dalla portata universale del «
sacrificio socialmente richiesto », che « si rivela solo nella società nel suo
complesso, e non nel singolo »225.
Il paradosso che sta alla base di questo malinteso è dovuto alla dialetticità
dell’illuminismo « che si capovolge in oscuramento. »226
Questo malinteso ne crea di conseguenza un altro:
« […] la dialettica del processo di civilizzazione – dell’illuminismo che si
rovescia in oscurità, trasforma il suo scopo, il soggetto autonomo, in un mezzo,
in un oggetto determinato eteronomamente da condizioni alle quali gli è
imposto di adattarsi, condizioni che quindi formano colui che dovrebbe
formare e infine lo conducono alla sua auto dissoluzione »227.
Sono gli stessi conflitti interni all’io ad essere posti tra i concetti stereotipati della
psicologia, concetti che si rivelano assolutamente inadeguati alla comprensione
delle problematiche reali legate all’io. Così « i conflitti perdono quel che
avrebbero di minaccioso. Vengono accettati: non però guariti, ma semplicemente
inquadrati – come pezzi o componenti indispensabili – nella superficie della vita
regolamentata »; in questo modo « vengono assorbiti dal meccanismo
dell’identificazione immediata del singolo con l’istanza sociale, che ha afferrato da
tempo i modi di condotta che passano per normali »228. A questa dinamica sarebbe
dovuta l’incomprensibile accettazione da parte delle autorità superiori al
commissario del delitto da lui commesso, che lo costringe a tenere il suo posto nel
sistema di potere, soffocando così la portata destabilizzante della sua azione
criminale. Ciò che importa alla sovranità, non è mai garantire la giusta
225 Theodor W. Adorno, Minima moralia, Torino, Einaudi, 1995, p. 59. 226 Ibidem. 227 H. Schweppenhauser, Das Individuum im Zeitalter seiner Liquidation, «Archiv für Rechts und
Sozialphilosophie», Kassel, Franz Steiner, 1971, p. 97. 228 T. W. Adorno, Minima moralia, p. 67.
95
applicazione delle leggi, ma solo la propria sopravvivenza. E in questa fase storica,
sembra che abbia i mezzi per farlo, nonostante risulti ormai completamente
irrazionale e inadeguata.
La brutale integrazione degli individui nel sistema sociale, porta gli individui a
perdere i caratteri propri dell’umano. Gli uomini diventano simili alle cose 229.
Assimilazione degli uomini alle cose, freddezza sono i caratteri che assumerebbe
il singolo integrato nell’organizzazione. È lo stesso termine ‘organizzazione’ che
sembra riferirsi alla trasformazione dei suoi membri in organi, strumenti, e quindi
cose. Differentemente dalle associazioni « quasi-naturali », come la famiglia o la
tribù, e della « totalità non pianificata del processo sociale », l’organizzazione
integra i suoi membri per utilizzarli come strumenti utili per la realizzazione di
uno scopo determinato, così che i rapporti e le relazioni tra gli uomini membri
dell’organizzazione sono mediati. La mediatezza costituirebbe il « carattere
strumentale del singolo per l’organizzazione e dell’organizzazione per il singolo »,
cosa che non porterebbe semplicemente a un irrigidimento di tali rapporti, ma
arriverebbe a renderli addirittura violenti. L’organizzazione è stata elevata dalle
società tardo-capitalistiche a modello sociale. Diventa così chiara l’irrazionalità
mascherata del proprio ordinamento a scopi. L’organizzazione è spinta ad
espandersi seguendo unicamente « i binari del funzionamento ». Così « sempre
nuovi settori vengono inglobati nel meccanismo e resi controllabili.
L’organizzazione, che fagocita quel che sempre le è dato di ottenere, persegue in
ciò l’unificazione tecnica, dunque anche la propria potenza. Essa riflette tuttavia
assai poco sul senso del suo esserci e della sua estensione nel tutto sociale. [...]
Separata dallo scopo al di fuori di lei, essa diviene scopo a se stessa. Quanto più
ampia è la sua spinta alla totalità, tanto più essa – sistema degli strumenti –
rafforza la parvenza di essere la cosa stessa »230.
L’organizzazione, quindi, lo strumento con cui gli uomini hanno potuto
emanciparsi dal dominio della natura e modificarla in base ai propri bisogni,
229 T. W. Adorno, La Crisi dell’individuo, p. 62. 230 T. W. Adorno, Individuo e organizzazion, p. 125.
96
diverrebbe irrazionale nel momento in cui perde il momento autoconservativo. La
funzionalità dell’organizzazione per l’emancipazione umana si trasforma in
‘destino’ nel momento in cui « sotterra sotto di sé gli uomini ».
É così che l’impotenza degli uomini di fronte alle istituzioni, la loro incapacità di
arrestare o semplicemente di indirizzare e controllare le forze del progresso
dell’organizzazione, « trasformano magicamente questo progresso nella parvenza
di ciò che viene decretato metafisicamente. In questo decreto è impressa la
tendenza universale di tutti i rapporti sociali, nella presente fase storica, a
presentarsi come validi in modo evidente, assoluto: ciò che è diviene oggi
l’ideologia stessa »231.
L’elemento che rende difficoltoso riportare la dinamica tra singoli e
organizzazione fuori dall’irrazionalità nella quale sembra ormai versare, è il
confondersi dei due piani: soggettivo e oggettivo. L’organizzazione, considerata un
elemento oggettivo, lo è solo apparentemente. Questa è in realtà il « prodotto del
calcolo dei soggetti che l’organizzano », quindi, non determinata da interessi
‘collettivi’, bensì particolari e quindi soggettivi. Gli uomini, al contrario, anche
quando sono convinti di agire e pensare autonomamente e soggettivamente,
essendo determinati integralmente dall’organizzazione di cui sono parte, agiscono
e pensano esattamente seguendo le modalità con cui ciò che essi credono
oggettivo, li ha determinati. Ai singoli individui viene così impedita ogni
possibilità di essere consapevoli dei propri bisogni reali, poiché soggetti all’ «
arbitrio dei potenti, che vogliono l’impotenza dei soggetti per timore
dell’oggettività che è conservata solo presso di essi »232. Ciò è reso possibile
dall’accrescimento smisurato della « possibilità tecnica di dominare gli uomini ».
Gli spazi di movimento sono sempre più compressi rispetto al passato, fintanto che
« il massimo di costrizione reale nel lavoro che si realizza appare al tempo stesso
come risultato dell’applicazione di regole tecnico-economiche neutrali, e non
invece per ciò che realmente è, dominio sugli uomini da parte di altri uomini.
Questo processo si prolunga dalla fabbrica alla società intera: anche qui la
231 Ivi, p. 128-129. 232 T. W. Adorno, Minima moralia, p. 73.
97
progressiva burocratizzazione e tecnicizzazione (calcolabilità) dei modi della
convivenza sociale fa sì che strutture e istituzioni assumano sempre più
l’apparenza di necessità oggettive neutrali e impenetrabili ». Dunque, a tal
proposito Petrucciani fa notare, vi sarebbe un cambiamento qualitativo nella «
feticizzazione dei rapporti sociali che caratterizza da sempre l’ordine capitalistico:
l’organizzazione gerarchica, l’ineguaglianza e lo sfruttamento non appaiono più
solo come il risultato di leggi economiche fraintese come naturali (in realtà
storicamente determinate), ma anche o soprattutto come frutti del perseguimento
neutrale e scientifizzato dell’obbiettivo del massimo benessere per il maggior
numero »233.
Quindi, potrebbe non essere del tutto esatto definire la posizione dell’individuo
in questa determinata situazione storico-sociale col termine ‘liquidazione’. Nelle
società tardo-capitalistiche l’individuo « continua a vegetare », esso viene fatto
tramontare « a poco a poco nell’ignominia »234.
233 S. Petrucciani, Ragione e dominio, pp. 334-335. 234 T. W. Adorno, Minima moralia, p. 157.
99
CONCLUSIONI
La rivisitazione di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ci ha
permesso di rileggere quest’opera come strumento ermeneutico per un contesto
culturale come quello dell’Italia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, già
indicato, ma con una prospettiva metodica che può essere un contributo ulteriore
alla non abbondante letteratura esistente su Petri e sulla sua opera cinematografica.
Dall’epoca del film ad oggi, la storiografia ha subito un’evoluzione negli schemi
interpretativi del rapporto tra produzione capitalista e produzione culturale che
però non ha intaccato il valore intellettuale dell’ opera di Petri che ha assunto la
funzione di documento della sua epoca, diventando mezzo espressivo per indagare
la realtà senza scivolare nell’operazione documentaristica, dando voce alle istanze
e alle esigenze di un segmento della società.
Il film diventa infatti la silloge di tutti i processi mancati e mancanti che la
società civile sa che non verranno mai fatti.
In questa epoca di angoscia si cela perfettamente la sensibilità del regista Petri, a
metà strada tra neo-realismo ed espressionismo, che supera però, sino a pervenire
ad esiti surrealisti.
Al termine di una proiezione privata tenuta da Petri prima dell’uscita nelle sale
(alla quale parteciparono anche Zavattini, Monicelli e Scola) i presenti dapprima
sbigottiti esclamarono: “Andrete in galera”.
In galera non ci andarono né Petri né Pirro, ma avvicinandomi e studiando da
vicino, l’uomo Petri, l’artista Petri, toccando con mano i suoi manoscritti, i suoi
documenti personali, mi sono potuta rendere conto della vera e propria damnatio
memoriae a cui è stato condannato per le sue opere di portata quasi profetica.
Ciò che egli disse rimase un tabù inaudito nell’Italia degli anni di piombo e
ancora di più nei decenni successivi in cui quegli anni si vollero forzatamente
superare e dimenticare attraverso un’ondata di falso ottimismo consumista.
La societè du spectacle ha trionfato su ogni tentativo di rivolta, ad ogni proposta
culturale che al di là del mero intrattenimento, abbia provato a squarciare il velo di
100
omertà che, soprattutto in Italia, ha sempre aleggiato sul potere e le sue istituzioni.
Ci si è venuti a trovare insomma davanti a una cultura funzionale al sistema, una
cultura affermativa e non critica che distrugge l’autonomia del singolo ridotto a
fruitore passivo. L’arte, nell’era della riproducibilità tecnica, serve solamente a
riconciliare il pubblico di massa allo status quo.
Per decenni i film di Petri sono stati pressoché introvabili e fuori commercio; in
pochi ricordano che è stato lui il vincitore dell’Oscar come migliore film straniero
prima di Sorrentino, Benigni e Tornatore (ma che, ricordiamo, lui e Gian Maria
Volontè si rifiutarono di andare a ritirare , in quanto espressione di una cultura
imperialista da entrambi tenacemente contestata), oltre che aver vinto la Palma
d’oro al Festival di Cannes.
Viene da chiedersi dunque come tutto ciò sia stato possibile, e soprattutto, a
provare di trovare una risposta plausibile, come spero e credo di aver fatto in
questo mio lavoro.
E’ stato un onore per me avvicinarmi e poter far luce sui fatti e le idee che stanno
alla base di questa rimozione dalla memoria collettiva di un autore che a mio
avviso, insieme ad un incommensurabile Gian Maria Volontè, ha saputo dare un
volto e soprattutto un corpo al potere.
La corporalità, la fisicità, la visceralità intenzionalmente espresse dalla vicenda di
Indagine mi hanno permesso un accostamento alle teorie di Foucault che potrebbe
forse apparire non del tutto appropriata e persino forzata ma che, andando avanti
nella mia ricerca si è dimostrata un’intuizione corretta poiché ben argomentata e
molto presente nella pur esigua bibliografia esistente.
Petri usa infatti Foucault senza citarlo, in un discorso che può essere totalitario
ma non totalizzante. Proprio come nelle teorie di Foucault, le quali affermano che
nella nostra società nessuno detiene il potere ma ognuno lo subisce ed a sua volta
lo esercita come in una catena, anche in Indagine ogni personaggio è detentore e
vittima di qualche atomo di potere che gli attribuisce una determinata sorte ed è
l'energia motrice dell'intera narrazione.
Desiderio ed eros in primis si confermano fisiologicamente centrali all’interno di
una storia basata sul sadismo di un gioco erotico macabro che vede un poliziotto
101
eccitarsi fotografando la sua amante nelle pose in cui ha trovato le sue vittime, per
poi farne una vittima lei stessa. Poliziotto dal cinismo estremo che non viene
intaccato in nessun altro lato della propria personalità, se non in quello sessuale in
cui perde la maschera paternalista datagli dal potere, per tornare bambino
capriccioso e vulnerabile.
Con la parabola di questo moderno Josef K. coincide, a grandi linee, uno dei temi
caratteristici di Petri, che gli procurerà i primi problemi con la censura: quello
della forza pubblica che agisce con metodi illeciti.
Infatti, come premesso all’inizio del mio elaborato e dimostrato attraverso
molteplici analisi, Indagine verte proprio su questo: la denuncia di una nevrosi,
tipica del potere, che la cornice storica ha portato ad estreme conseguenze. La
deformazione mentale e morale alla quale conduce un esercizio del potere privo di
controllo.
Il forte parallelismo di tutta l’opera cinematografica di Petri con quella di Kafka,
cominciato fin dall’ esordio nell’Assassino in cui un Marcello Mastroianni
antiquario attraversa un’odissea giudiziaria senza conoscerne bene neppure il
motivo e scoprendo poi molte colpe che gravano sulla sua esistenza, ha trovato,
come ho avuto modo di dimostrare nell’ultimo capitolo del mio elaborato, il suo
apice in Indagine.
In una filmografia di una dozzina di titoli, serpeggia continuamente il riferimento
culturale a Franz Kafka. Con il gigante boemo della letteratura, il regista condivide
l’ossessione per i temi dell’immensa solitudine dell’individuo schiacciato nella
massa, dell’alienazione derivante dalla modernità, del diverso incapace di adattarsi
all’ambiente circostante e destinato a soccombere. Uno sguardo “kafkiano”
appunto, coniugato, soprattutto nella seconda parte della carriera, con un gusto
deformante per il grottesco e per storie pessimistiche, straziate, nerissime.
Basterebbe Agamben per comprendere come fecondamente questo processo di
rimetabolizzazione del rapporto tra individui e potere nelle società tardo-
capitilistiche, ci porti oggi a vedere una nuova istanza di storicizzazione che
sovverte molti degli schemi precedenti.
102
Nell’ultimo ventennio in particolare possiamo notare come nella società dello
spettacolo sia avvenuta una perdita considerevole dell’estetica del potere che tenta
di darsi un volto amichevole nei confronti dei cittadini con il proposito di essere
amato e non più temuto.
L’arcanum imperii si è dissolto, la società dello spettacolo non celebra più riti ma
è l’economia a celebrarli. Il “capitalismo come religione”, parafrasando Benjamin,
è un culto celebrato ininterrottamente.
Dopo gli anni in cui la società percepì che l’instabilità e l’insicurezza erano di
Stato e che i crimini di Stato vennero effettivamente alla luce, nell’Italia della
Seconda Repubblica il potere si fa letteralmente il lifting, scendendo in campo con
un’inedita ricerca del consenso del tutto sconosciuta alle classi dirigenti degli anni
precedenti le quali non avevano alcun interesse a spiegarsi e a farsi capire dalle
masse.
Lo Stato, che dovrebbe essere antagonista del potere, e usarne solo la quantità
minima necessaria a far muovere i suoi ingranaggi, si è svelato essere invece il
primo agente di cieca accumulazione ed autoconservazione di esso, e ben lungi dal
pentirsi o dal fermare certi processi , si è reso immagine e spettacolo socialmente
accettabili.
I leader politici di oggi non accedono alle sacre sacche dell’aura imperiale, ma ne
perpetuano e imitano i privilegi, in una grottesca parodia. Come infatti possiamo
leggere in un’intervista a Licio Gelli235 , Maestro Venerabile della Loggia P2 e
protagonista di molti dei più controversi episodi trattati nel primo capitolo, che
definisce l’attuale premier Renzi un “bambinone circondato dai lacchè di
Berlusconi”.
La risposta che ho trovato alla fine di questa ricerca sa dunque di ineluttabilità:
sarà rimosso dalla memoria, sia dalle istituzioni sia da chi si proclama portatore di
istanze anticonformiste, chi voglia sfidare o cercare di capire con la ragione le
235 Dolcetta Marco, Licio Gelli al Fatto: “Il bambinone Renzi e gli ex lacchè di Berlusconi ; in « Il Fatto
Quotidiano », 23 maggio 2014.
103
regole del potere e delle leggi che gli uomini si sono dati. Esiste una sorta di
malattia della ragione che la inquina sin dalle origini, perché sin dalle origini
l’umanità ha concepito la ragione non come un modo per giungere alla verità ma
come uno strumento di dominio.
Il principio d’immanenza della società in cui viviamo e a cui siamo del tutto
assuefatti, non lascia spazio a chi abbia voluto proporre delle opere non sempre
gradevoli ma intellettualmente lucide e libere da ogni dogma:
“Nell’ultimo periodo della mia vita, io ho fatto film sgradevoli. Sì, film
sgradevoli in una società che ormai chiede la gradevolezza a tutto, persino
all’impegno: se l’impegno è gradevole, e quindi non dà fastidio a nessuno, lo si
accetta. Altrimenti no. I miei film, al contrario, oltrepassano addirittura il segno
della sgradevolezza”236. - Elio Petri -
236 Elio Petri, in Faldini Franca, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano
raccontata dai suoi protagonisti 1935-1959, Milano, Feltrinelli, 1979.
105
3.4 APPENDICE DOCUMENTARIA
Documento I: Divisione del film in sequenze
Ci si avvarrà della divisione in sequenze effettuata da Claudio Bisoni in
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Lindau, Torino,
2011) unendolo alla trama e con alcune aggiunte e considerazioni
personali.
Sequenza 1 (12’ 13’’)
In un caldo pomeriggio di agosto, il capo della sezione omicidi della
questura di Roma, si aggira sospettoso fuori dall’appartamento
dell’amante , Augusta Terzi, che lo attende dietro la finestra per la
realizzazione dell’ennesimo gioco erotico. Sarà l’ultimo. Il
commissario entra in casa e lei gli chiede “Stavolta, come mi
ammazzerai?”- “Ti taglierò la gola”, risponde lui. I due si uniscono in
amplesso in cui un urlo finale di lei lascia intendere un orgasmo, ma
nella scena successiva scopriamo subito che non è così: il commissario
ha ucciso la donna tagliandole la gola con una lametta da barba.
Lo vediamo mentre si lava. Poi si assopisce. Al risveglio guarda fuori
dalla finestra: siamo in Via del Tempio 1, a pochi metri dalla sinagoga.
Di fronte all’assassino si stagliano le tavole della legge scritte in
ebraico.
L’uomo dissemina l’appartamento di prove della propria colpevolezza (
impronte digitali, lascia un filo della cravatta tra le unghie della vittima,
segna il corridoio con le scarpe insanguinate). Poi chiama la polizia per
denunciare l’omicidio, prende delle bottiglie di vino in frigo e se ne va.
Sul portone, un testimone lo vede. Si tratta di un giovane ragazzo che
vive al piano di sopra.
106
Sequenza 2 (4’53’’)
2a. Attraverso un camera-car dalla vettura del commissario ci
avviciniamo alla centrale di polizia.
2b. Il commissario entra nel suo ufficio con un suo subordinato e sulla
prima pagina di un quotidiano che prende in mano si legge il titolo
“Agente spara, ferisce un operaio”
“Naturalmente gli è partita la pistola e gli è partito un colpo” Dice il
commissario ammiccando al suo subordinato. “Questa è la versione più
probabile”, risponde l’altro. Escono dalla stanza.
2c. Il commissario raggiunge i colleghi per festeggiare. Assieme ai
colleghi si intrattiene con un sospettato di omicidio, Proietti, che non
vuole confessare. “Qui dentro l’unico colpevole sono io “ afferma il
commissario. Poco dopo arriva per le congratulazioni anche il suo
sostituto, Mangani. Il commissario però non è in vena di smancerie:
“Finiamola con queste leccate. Il carnevale è finito”.
Sequenza 3 (7’26’’)
3a. La squadra omicidi va sul luogo del delitto Terzi, in via del Tempio.
Il commissario torna per la seconda volta negli stessi luoghi. Biglia
vede le trecentomila lire intonse sul mobile e sentenzia: “Libertino…
dannunziano”. Il commissario fa domande su chi siano i dirimpettai e
Biglia risponde auto citando il titolo del film: “Un famoso chirurgo. Un
individuo al di sopra di ogni sospetto”. Viene ritrovato un album di
foto della vittima in posa da cronaca nera.
3b. Primo flashback che ci porta alla realizzazione di quella foto,
nell’appartamento del commissario. Ci viene svelata così la fantasia
trasgressiva su cui si reggeva la relazione tra l’uomo e la donna:
Augusta, appassionata di romanzi gialli, rotocalchi e racconti di cronaca
nera, ha ottenuto le attenzioni del commissario dopo aver visto le sue
foto sui giornali. Ogni incontro fino a quel pomeriggio, si svolgerà
107
secondo un rituale blandamente perverso: la donna provoca l’uomo e
stimola la sua fantasia giocando a fare la vittima del Potere poliziesco.
“Facciamo quella della giovane rivoluzionaria?” dice lei. “Giovane
studentessa rivoluzionaria. Trento. Viene soffocata dall’ordinario della
Facoltà di Sociologia e soffocata con dei biglietti da diecimila e
violentata dopo il decesso”.
3C. Si torna al presente. Biglia insiste: l’assassino deve essere un
cretino, un superficiale, un presuntuoso. Lascia i soldi, si veste, si lava
con il sapone francese della vittima, finge la rapina, fa il gagà. Lascia
orme preziose per noi. Il commissario se ne va e all’esterno
dell’appartamento si trattiene con Patanè, un giornalista di sinistra suo
confidente. Il poliziotto ricama: “Si respira un’aria di sesso, di piacere,
morbosa, dannunziana, e poi sangue, sangue, sangue […]. Una pelle di
velluto, da vera cortigiana di questa capitale da basso impero. Un
dettaglio per i tuoi consumatori di sinistra: nella casa non ci sono tracce
di indumenti intimi”.
Sequenza 4 (3’35’’)
4a. Il commissario arriva in auto a casa propria. L’ambiente è spoglio, i
giochi d’ombra geometrici. L’uomo nasconde alcune prove e si siede in
poltrona. Comincia a sentire la voce fuori campo dell’amante che lo
riporta al momento del primo incontro.
4b. Attraverso un secondo flashback costruito come una sequenza a
episodi vengono ripercorse le quattro telefonate con cui Augusta riesce
a irretire il commissario. Lei lo provoca per telefono : “Guardi, non si
illuda. […] Fa troppo italiano medio. Ha troppi capelli. Si capisce che
suda molto. Sono sicura che manda un odore di ludico da scarpe, come
tutti i poliziotti, dica la verità.”
Poi finalmente si incontrano. Lui entra in casa sua improvvisamente e
alla risposta della domanda di lei “Chi è?” lui risponde “Polizia”. “E chi
poteva essere: un ladro o un poliziotto.”
108
Lui mette subito le cose in chiaro: ha raccolto informazioni su di lei. Sa
che è uscita con molti uomini ricchi. La donna lo ammette ma
aggiunge: “C’è un errore: io nel 1966 ero sola… come un cane.”
Sequenza 5 (3’ 47’’)
Secondo giorno. Un carrello a retrocedere anticipa l’entrata del
commissario nel salone della questura dove deve tenere il discorso di
insediamento alla sezione politica. Le parole vengono scandite forti e
chiare:
“Vi dico subito che per il lavoro che ci attende siamo in pochi, che
dovremmo essere molti di più!
Da oggi assumo la direzione dell’ufficio politico. Voi saprete tutti che io
fino a ieri mi sono occupato di assassinii, e con un certo successo.
Non è senza significato che abbiano destinato proprio me, in questo
momento, alla direzione dell’Ufficio Politico.
Ciò è stato deciso poiché tra i reati comuni e i reati politici sempre più
si assottigliano le distinzioni, che tendono addirittura a scomparire.
Questo scrivetevelo bene nella memoria: sotto ogni criminale può
nascondersi un sovversivo; sotto ogni sovversivo può nascondersi un
criminale.
Nella città che ci è stata affidata in custodia, sovversivi e criminali
hanno già steso i loro fili invisibili che spetta a noi di recidere.
Che differenza passa tra una banda di rapinatori che assaltano un
istituto bancario e la sovversione organizzata, istituzionalizzata,
legalizzata? Nessuna. Le due azioni tendono allo stesso obiettivo, sia
pure con mezzi diversi, e cioè al rovesciamento dell’attuale ordine
sociale.
Seimila prostitute schedate. Un aumento del 20% di scioperi e di
occupazioni di edifici pubblici e privati. Duemila case d’appuntamento
accertate. In un anno trenta attentati dimostrativi contro la proprietà
dello stato. Duecento stupri in un anno. Cinquantamila studenti delle
109
scuole medie in corteo per le vie delle città. Un aumento del 30% delle
rapine e degli assalti alle banche. Diecimila schedati in più fra le file dei
sovversivi. Seicento omosessuali schedati. Più di settanta gruppi di
giovani sovversivi che agiscono al di fuori dei limiti parlamentari. Un
aumento del 50% delle bancarotte fraudolente e dei protesti cambiari.
Un numero indescrivibile di riviste politiche che invitano alla rivolta.
L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le
autorità costituite. L’uso della libertà che tende a fare di qualsiasi
cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente le nostre
sacrosante funzioni.
Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel
tempo…
Il popolo è minorenne. La città è malata. Ad altri spetta il compito di
curare e di educare. A noi il dovere di reprimere.
La repressione è il nostro vaccino!
Repressione è civiltà!»
Segue standing ovation del pubblico.
Sequenza 6 (2’06’’)
Siamo negli archivi della questura. Ogni appartenente a un movimento
politico viene schedato: partigiani, trotzkisti, comunisti, “fino agli
anarchici”. Ma non solo, tutti i dati degli archivi vengono trasmessi ad
un elaboratore. Basta inserire i dati disponibili e il proto-computer li
incrocia tra loro. Si fa un esperimento inserendo i dati relativi a Via del
Tempio 1. L’elaboratore risponde fornendo il nome di Antonio Pace, lo
studente che ha visto il commissario sul luogo del delitto. Mentre
scorrono le foto del giovane, la voce del poliziotto scandisce:
“Passionale, fanatico, pericoloso, nato a Ravenna nel 1946, membro del
Consiglio di Facoltà”. Ovviamente il soggetto è sotto controllo
telefonico dal maggio del 1968 “Naturalmente, previa autorizzazione”.
110
Sequenza 7 (2’30’’)
Il commissario è atteso dal capo della polizia. L’ambiente è raffinato:
molti quadri e una foto di D’Annunzio alle pareti. Viene avanzata una
richiesta per avere più uomini, per pagare più confidenti.
“Questa formazione di centro-sinistra dell’anno in corso potrebbe anche
diventare la Caporetto di chi governa. Nel Paese c’è tensione, tensione!
Io sarei più tranquillo, se l’organico a mia disposizione fosse più
numeroso. Insomma io avrei bisogno di un centinaio di uomini in più e
di più fondi per poter pagare meglio gli informatori.” “Ne parlerò al
Ministro” risponde l’altro. Il commissario avanza altre proposte poco
ortodosse per stabilire con suddetti confidenti un rapporto più
“confidenziale”. Il capo della Polizia acconsente a tutto ma non senza
sottolineare “Io pero ufficialmente non ne so niente”.
Poi, disinvoltamente, il commissario informa il superiore della
relazione con Augusta Terzi, proponendo di informare gli inquirenti
della circostanza, ma ricevendo in cambio solo solidarietà maschile in
forma di ammicco.
Sequenza 8 (2’41”)
Sul tavolo del commissario, ben in vista, si trova il fascicolo di Nicola
Panunzio. L’uomo entra e si accorge subito del dossier. Arrossisce
imbarazzato. Ha un cugino comunista e contestatore. Teme di essere
trasferito per questo motivo, proprio poco prima della pensione.
Dopo di chè il commissario interroga Panunzio a proposito del delitto
Terzi chiedendo se hanno trovato degli indizi, delle impronte digitali.
“Ci sono solo le sue Dottore”. “Le mie!?” Risponde il commissario
visibilmente irritato.
Sequenza 9 (49’’)
Panunzio porta quindi il Dottore in uno stanzino che dove sono appese
le gigantografie delle impronte del commissario, elencando uno ad uno
111
gli oggetti sulle quali sono state rilevate e aggiungendo un alibi per
ognuna di queste: “Sarà stato per distrazione, avrà avuto sete, lì siamo
entrati tutti” e via dicendo.
Il commissario si sente male.
Sequenza 10 (8’ 20’’)
10a. Nei sotterranei della questura viene interrogato l’ex-marito della
Terzi. I poliziotti lo insultano umiliandolo sul lato personale ma
soprattutto sessuale .
“Allora ti decidi?Artista, capellone, finocchione che non sei altro, vuoi
parlare?”
Il commissario assiste impassibile al di là di un vetro che lo protegge.
10b. Terzo flashback: un altro momento con Augusta. La donna vuole
essere interrogata come una colpevole qualsiasi. Lui la asseconda e, per
gioco, la maltratta: “Cerca di ricordare le cose che hai dimenticato, le
cose più vergognose e pensa che io posso sapere tutto di te. Perché lo
Stato mi offre tutti i mezzi per mettere a nudo un individuo
E io voglio farti credere di sapere tutto di te. E così facendo, faccio
scattare in te il meccanismo del complesso di colpa. […] Solo se
confessi tutto, le tue debolezze, le tue vergogne quotidiane, tu puoi
avere il mio perdono e la mia protezione”
“Ho capito, fate come coi bambini.”
“Ma tutti ritornano un po’ bambini segnatamente al cospetto
dell’autorità costituita, insomma di fronte a me che rappresento il
Potere. La Legge. Tutte le Leggi, quelle conosciute e quelle
sconosciute. L’indiziato ritorna un po’ bambino. E io divento il padre. Il
modello inattaccabile. La mia faccia diventa quella di Dio, della
coscienza. E’ una messa in scena per toccare corde profonde, sentimenti
segreti… no ma… non ti turbare… io ti sto spiegando una mentalità
perché, cosa credi, queste sono le basi sulla quale si poggia l’autorità
costituita. Professori universitari, dirigenti di partito, procuratori delle
112
imposte, capistazione. Poi finiamo col somigliarci noi poliziotti coi
delinquenti… nelle parole, nelle abitudini… qualche volta persino nei
gesti.”
“Sei come un bambino. Più di tutti gli uomini che ho conosciuto.”
“Questo non lo dovevi dire, che sono un bambino… questo non lo
dovevi dire! Gli altri sono bambini. Hai capito?”
10c. Si torna all’interrogatorio. Il commissario pretende di condurre la
frase finale. E quando esce sentenzia con voce effemminata “Per me è
innocente” . L’uomo comunque non verrà subito rilasciato.
Sequenza 11 (1’ 19’’)
Nel proprio appartamento il protagonista registra e riregistra
ossessivamente una confessione: “Alle ore 16 di domenica 24 agosto, io
ho ucciso la signora Augusta Terzi […]. Ho una sola attenuante: la
vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi,
dappertutto, non per fuorviare le indagini. Ma per provare la mia
insospettabilità.”
Sequenza 12 (1’9’’)
Il poliziotto va in posta con una busta che spedisce alla sezione omicidi:
dentro ci sono i gioielli della vittima, la scarpa dell’assassino e la
lametta da barba. Poi, fingendo di parlare in un improbabile romanesco,
avverte Patanè (il quale lo riconosce) dell’esistenza di nuove prove che
scagionano definitivamente l’ex-marito della vittima.
Sequenza 13 (2’ 43’’)
Durante una riunione della sezione politica in questura, un funzionario
elenca le scritte comparse sui muri negli ultimi anni.
“Nell’anno 1948 furono cancellate duemila scritte inneggianti a Stalin.
Cinquanta a Lenin. Mille a Togliatti. Trenta al maresciallo Tito.
Trecento al Duce. Quattrocentoquindici all’Uomo Qualunque.
113
Nel ’56 invece gli Stalin scendono a cento. Un calo enorme.”
“E Togliatti?”
“Stazionario.”
“Nel ’58 un centinaio di Viva Krusciov. Cinquanta Mao Tse. E
spuntarono anche un cinquencento Abbasso Stalin. Che per ordini
superiori non furono cancellati, ovviamente.”
“L’anno scorso i Viva Mao arrivarono a tremila. Ho Chi Minh arrivò a
diecimila. Che Guevara mille. Marcuse undici Viva e Abbasso.”
“Un fatto nuovo: abbiamo notato un paio di Viva un certo SADE”
“Eeh…è il Marchese!”
“Per l’anno in corso, si prevedono diecimila evviva Mao, cinquecento
Viva Trozkij e una decna di Viva Amendola. E forse ancora un cinque-
seicento Viva Stalin.”
A questo punto i poliziotti si accorgono che due studenti , tra cui Pace,
si aggirano con fare minaccioso nei pressi degli uffici di polizia.
L’episodio dà spunto al commissario per fare un altro discorso
repressivo, questa volta contro le giovani generazioni, ma viene
interrotto da un suo collega che gli riferisce che Pace è andato alla
sessione omicidi per parlare con Mangani.
Conclude dicendo: “I nostri giovani colleghi devono tornare a scuola,
nelle università, nelle fabbriche devono entrare! E si facciano crescere
la barba, i capelli, indossino tute sporche di grasso! Noi dobbiamo
sapere tutto. Dobbiamo controllare tutto! Servendoci anche dei nostri
figli se necessario.”
Sequenza 14 (3’21’’)
Sala intercettazioni. Centinaia di impiegati ascoltano conversazioni
telefoniche. Il commissario ha di fronte il nastro di intercettazione di
Antonio Pace da cui si capisce che lo studente è stato l’amante della
Terzi e che ad un certo punto, cosciente del fatto di essere sorvegliato
telefonicamente, si lancia in un appello pasoliniano al “brigadiere di
114
turno che sta ascoltando l’intercettazione. Compagno brigadiere, tu che
hai l’ingrato compito di spiace illegalmente la nascita della rivoluzione
italiana, sei anche tu uno sfruttato, un figlio del popolo! Unisciti a noi!
O per lo meno, chiedi un aumento di stipendio…”. La scena si
conclude, con l’impiegato della Polizia, che chiede un aumento di
stipendio al “Dottore”. Uscendo dalla stanza il commissario passa in
mezzo alla stanza delle intercettazioni e per caso sente la propria
telefonata effettuata a Patanè. La stessa telefonata che i suoi colleghi
della squadra Omicidi stanno ascoltando quando lui li raggiunge. Biglia
vorrebbe fare rilasciare il marito della vittima. Ma Mangani decide di
trattenerlo ancora. “A noi il marito ci conviene tenerlo, almeno fino a
quando l’opinione pubblica se ne sarà dimenticata.” dice Mangani. “Sei
un burocrate. Ti fa paura l’opinione pubblica” Gli dice sprezzantemente
il commissario.
Sequenza 15 (6’21’’)
15a. Biglia si lamenta di Mangani con il commissario. Intanto
quest’ultimo parla di persona con Patanè e nega fermamente di avergli
telefonato. Biglia vuole parlare dei sui dubbi sul caso Terzi con il
commissario che intanto cerca di distoglierlo con una delle sue invettive
reazionarie “In questa città non ci uccidono solo puttane: qui si uccide
l’ordine, l’equilibrio sociale. In ventiquattro ore tre occupazioni,
baraccati, studenti e insegnanti… insegnanti italiani… in sei masi
hanno scioperato ottantuno milioni di ore!”. Ma Biglia insiste
esponendo al commissario le sue ultime intuizioni sull’omicidio,
escludendo ovviamente le ipotesi che portano al commissario “che
ovviamente non c’entra.” Il commissario gli da il via libera per andare
ad indagare anche a casa propria, al che Biglia risponde basito “Ma
allora io posso veramente andare a casa sua?”. Il commissario glissa di
nuovo sulla notizia delle occupazioni delle scuole e asserisce
solennemente “Guarda io a questa roba, preferisco l’omicidio.” Biglia
115
si congeda ma chiede ancora una volta incredulo: “Ma allora se ne ho
bisogno posso proprio andare a casa sua per la cravatta!?”.
Rimasto solo, il commissario ricorda nuovamente.
15b. Quarto flashback. Augusta si trucca il viso e intanto umilia
verbalmente il commissario, insultandolo:
”Che schifo, levati quella canottiera, tanto tua madre non lo verrà mai a
sapere. E poi quei calzini corti, neri… da prete, da seminarista, da
sacrestano. Non hai un vestito più chiaro? Più allegro.” – No – dice lui
amaro – ma lei continua imperterrita: “ Se passa per la strada uno
vestito come te la gente si scansa, perché capisce che sei un poliziotto.
Hai addosso un tanfo di caserma, di archivio, di camera di
sicurezza…”. Si avvicina a lui con un paio di forbici e con gesto
emblematico gli taglia la cravatta.
“Io t’ammazerei. Con le mie mani”
“Hm…bel coraggio” – risponde lei sardonica – “ sei tu che fai le
indagini.”
Sequenza 16 (8’29’’)
16a. Ci troviamo all’aperto, nel centro di Roma. Il commissario,
fingendosi un impresario teatrale, cerca di convincere uno stagnaro a
comperare tutte le cravatte azzurre in vetrina nel negozio del centro
dove aveva comprato anche la propria, adesso divenuta un indizio.
L’uomo, perplesso, acconsente. Ma terminata la missione, il poliziotto
lo invita a denunciarlo come assassino del caso Terzi. I toni della
richiesta sono incongrui e inquisitori: “Non faccia il buffone, faccia il
cittadino”.
16b. Mentre il poliziotto è ad un semaforo, si mette la cravatta e ricorda
nuovamente, attraverso un quinto flashback, un altro momento in cui si
trovava in auto con Augusta. La donna lo sprona ad attraversare un
incrocio con l rosso per provare la propria inattaccabilità. “Tu puoi
commettere qualunque delitto, te lo dico io.” - dice la donna.
116
Altro ricordo: i due sono in spiaggia perpetuando sempre il loro gioco
erotico e Augusta allora propone un nuovo tema: “come un poliziotto
commette un omicidio su una spiaggia affollata senza farsi scoprire.”
“Dai, prepara un bel delitto.”
“Mi ha visto il guardiamacchine, l’impiegato che stacca il biglietto, le
bagnine, i vicini di cabina…a prima vista il guardiamacchine mi
sembrava il più pericoloso” “Ma figurati, un guardiamacchine che
denuncia un pezzo grosso come te…! Impossibile! Tu per essere preso
un delitto lo devi firmare nome e cognome, se no chi ci pensa a te!?”
“Augusta, non mi spingere nell’illegalità, è così facile nella mia
condizione…” “Dai…prepara un bel delitto.” “Io ti taglierei la testa e la
nasconderei, anzi, la butterei in mare, ai pesci. Il tuo corpo verrebbe
trovato al tramonto, in cabina, da una bagnina. Il magistrato che viene
da Latina ti troverebbe solo il giorno dopo in stato di avanzata
decomposizione.”
A questo punto Augusta si turba e gli infila della sabbia nella bocca e lui
per tutta risposta le urla “Stronza!”. Lei se ne va. Lui allora la va a
cercare portandosi con sé una radio che da notizie apocalittiche , ma ad
un certo punto, tra i bungalow, la trova e la scopre nuda abbracciata ad
un giovane: Antonio Pace.
Sequenza 17 (1’43’’)
Il poliziotto torna a casa. La donna di servizio racconta di avere
ricevuto una visita di Biglia, il quale voleva vedere le scarpe e la
cravatta del commissario (segno inequivocabile del fatto che ne ha
inteso la colpevolezza). L’uomo fa a pezzi la cravatta e la getta nel wc.
Sequenza 18 (6’36’’)
Il commissario torna alla Sezione Omicidi e, salutando tutti
cerimoniosamente, porta la propria cravatta ai colleghi allibiti, che
proprio in quel momento stanno interrogando lo stagnaro. Il quale viene
preso per un mitomane. Poi il commissario chiede di parlare con
117
Mangani e si mette a strillare nei corridoi: “Che scherzi sono questi?
[…]. Mangani fammi capire, questo nelle tue intenzioni vorrebbe essere
un confronto? Senza nessuna garanzia di carattere procedurale?
Mangani io ti frego. Io ti siluro”. Rientrato nel proprio ufficio, si mette
in contatto con il Questore, al quale chiede un’inchiesta sull’intera
squadra omicidi. Il superiore, riluttante, accetta.
Sequenza 19 (2’35’’)
Il Questore in persona ha disposto che non si possano più prelevare
nastri dalla sezione registrazioni. Proprio mentre il commissario riceve
questa notizia scoppia una bomba in questura. Nel frattempo il
commissario riceve la comunicazione che altri due attentati sono stati
effettuati alle 18:30, uno alla American Express e l’altro al Palazzo di
Giustizia. Si crea la necessità di reagire con fermezza. Basta con la
tolleranza: è il capo della polizia in persona a dirlo.
Sequenza 20 (1’27’’)
Si vedono arrivare cellulari della polizia e si sentono cori provenire da
dentro di essi. Gli arrestati scendono dalle camionette cantando
l’Internazionale e urlando “Viva Oh Chi Min!” “Il potere alla classe
operaia!” “Guerra no, guerriglia sì!”. Qualcuno azzarda, di nuovo
pasoliniano: “Poliziotti siete i nostri fratelli”.
Le forze dell’ordine hanno rastrellato studenti e contestatori, portandoli
nelle celle di sicurezza, dove verrano piazzati anche degli infiltrati per
raccogliere confidenze. Tra gli arrestati c’è anche Pace, il quale appena
vede il commissario gli si para davanti in gesto di sfida.
Sequenza 21 (2’57’’)
21a. Il commissario si allontana dalla questura e si siede sulla panchina
di un giardino pubblico, visibilmente in difficoltà.
21b. Nel sesto e ultimo flashback del film il protagonista ricorda la fine
118
della relazione con Augusta. La donna ha scritto una lettera di congedo.
Il commissario arriva con la stessa tra le mani, fingendo di non voler
fare una scenata di gelosia, pi però sbotta e comincia un duro scambio
di battute tra i due:
“ Puoi farti sbattere da chi vuoi. Ma io le cose le voglio sapere […] io
sono una persona rispettabile, io rappresento qualcuno, io rappresento il
potere. Tu dovresti baciare la terra dove io metto i piedi. L’hai capito?
Stronza! Ma chi è questo Pace? Stronza!”.
“Se lo vuoi sapere è un ragazzo amico mio che abita proprio quassù.
Giovane, bello e anche rivoluzionario!”
Lui alla parola rivoluzionario la aggredisce fisicamente e lei risponde
con toni sempre più drammatici:
“E metti giù le mani deficiente! Tu qui non sei alla centrale! […] Tu fai
l’amore come un bambino, perché non sei che un bambino! Magari la
fai ancora a letto, perché tu non sei nessuno! Tu sei un incompetente, tu
sei sessualmente incompetente! Sei un incompetente! Sei un Bambino!”
In questo crescendo di umiliazioni il commissario comincia davvero a
piagnucolare come un bambino cercando di proteggersi dalle accuse.
Sequenza 22 (1’28’’)
Il commissario torna alla centrale di polizia, si intrattiene con i suoi
uomini e poi scende a controllare la situazione dei detenuti nelle celle
prima di iniziare gli interrogatori.
“Dottore, hanno gli stessi nomi di trent’anni fa”
“La rivoluzione è come la sifilide, ce l’hanno nel sangue”
“Vede Dottore, nemmeno la galera li unisce, in due ore si sono già
spaccati in quattro gruppetti. E’ come una reazione a catena. Per fortuna
sono divisi, se no per noi sarebbe dura.”
Il commissario si decide ad interrogare Pace, ma non prima di avere
ottenuto una confessione da un altro giovane che gli siede affianco.
119
Sequenza 23 (6’59’’)
Il giovane, dopo un interrogatorio si presuppone lungo (ne vediamo
solo l’ultima parte, grazie a un’ellissi), ha perso ogni aspetto
battagliero. Giace piegato sulle ginocchia. Gli è stata fatta bere acqua
con sale. E’ esausto. Il commissario fa uno dei suoi monologhi ironico-
surreali: “ Io non ti voglio mandare sotto processo. Noi non siamo la
GBU, noi non siamo le SS, noi siamo la polizia di un Paese
democratico. Noi siamo ben felici quando possiamo evitare ad un
cittadino una dura condanna. […] Tu sei un cittadino democratico, tu
puoi fare tutto quello che vuoi, e io ti devo rispettare. Ma i botti
terroristici, le intimidazioni, le bombe… che minchia c’entrano con la
democrazia!? Noi non ti vogliamo far fare una delazione. Vogliamo che
ti comporti da democratico. Perché, parliamo da uomini moderni,
avanzati: che cosa è questa democrazia? E diciamolo: è l’anticamera del
socialismo. Io per esempio, voto socialista. Non avere paura. Io sono il
tuo confessore, qui hanno parlato tutti, non ti succede niente, io sono
una tomba. Tutto questo palazzo è una grande tomba”.
Lo studente, sotto forte pressione del commissario, fa il nome di Pace
come possibile responsabile dell’esplosione dell’ordigno. Poco dopo
entra Antonio.Il ragazzo avanza verso il commissario, per nulla
intimorito, scandendo le proprie generalità. Il commissario gli va
incontro. Dopo un breve ma estremamente significativo scambio di
battute, lo scontro cessa di essere paritario:
“Pace Antonio, nato a Ravenna nel 1946, ex studente di chimica,
anarchico individualista, condannato a tre mesi di prigione nel 1968 per
resistenza alla forza pubblica”.
“Ma che gridi? Lo sai chi sono io?”
“Per me tu eri l’amante della signora del piano di sotto. Quella che
hanno assassinato.”
“Da chi e quando?”
“Per me la signora l’hai ammazzata tu, i pomeriggio di domenica 24
120
agosto.”
“A che ora?”
“Per me puoi averla ammazzata tra le 17:00 e le 19:00. Ora in cui ci
siamo incontrati al cancello, come sai.”
“Visto che per te è tutto così chiaro, denunciami.”
“Ti piacerebbe eh?!”
“Denunciami!”
“Qui ci sei e qui ci rimani. Un criminale a dirigere la repressione. E’
perfetto!”.
“Tu mi devi denunciare! Tu mi devi denunciare!Io ho sbagliato, ma io
voglio pagare capisci? E non gridare!” lo supplica il commissario, di
nuovo assumendo lo stesso atteggiamento infantile che aveva quando
Augusta lo aggredì verbalmente nell’ultimo flashback.
“Fai il tuo lavoro!” Insiste Pace “E alla prossima azione, ti telefono. Ti
tengo in pugno!”
Il commissario lo fa rilasciare, prende un foglio e firma la confessione
della propria colpevolezza.
Sequenza 24 (3’2’’)
Il commissario va a costituirsi in un ufficio dove si trovano
“normali”delinquenti, papponi, prostitute, che lo schifano e lo guardano
con un atteggiamento che va tra il sospettoso e l’intimorito.
Il commissario entra nell’ufficio di Mangani, che, non alzando lo
sguardo e quindi non riconoscendolo, lo tratta come un delinquente
qualsiasi, appellandolo con epiteti poco rispettosi che si interrompono
subito quando, con riverenza si accorge di chi invece ha davanti.
Il commissario quindi gli consegna la lettera, con il solito commento
sarcastico: “Piccolo funzionario, questurino, questurino, tu non riuscirai
mai a comprendere fino in fondo il significato del mio gesto, del mio
sacrificio, con il quale io intendo affermare in tutta la sua purezza il
concetto di autorità. Incapaci!
121
L’assassino di Augusta Terzi ve lo consegno io. Da questo momento
sono a disposizione della giustizia. Quando vorrete interrogarmi mi
troverete a casa.”
Il commissario, andandosene, incontra lo stagnaro il quale, benché
invitato ora a riconoscerlo, fugge terrorizzato. I colleghi che intanto
hanno letto la confessione , escono in corridoio e chiedono mortificati:
“Ma cosa hai fatto? Non ci hai pensato a noi?”
“Fate il vostro dovere.” Sentenzia infine lui.
Sequenza 25 (11’52’’)
Nella sua abitazione il protagonista attende l’arrivo dei superiori in
missione per arrestarlo. Intanto recita gli articoli del Codice che
consentono gli arresti domiciliari. Si siede sul letto stravolto, guarda il
certificato di laurea, le foto con i colleghi.
Inquadratura del dettaglio del calzino nero corto. Ad un certo punto
viene richiamato da Biglia: i colleghi sono all’entrata ad aspettarlo. Il
capo della polizia sgrida il protagonista con espressione rimproverante
ma bonaria. Gli tira le orecchie, come a un bambino. Gli viene fatto
mangiare del sale.
“Mi dispiace aver incomodato tante personalità.”
Dopo di chè il commissario viene sottoposto ad un interrogatorio al
contrario, in cui ogni domanda è formulata in modo da dimostrare la
sua innocenza.
“Eccellenza, dottori. Ero lì: perché io l’ho uccisa.”
“Puoi provare che eri a casa sua?”
Il commissario dice sì, perché c’è un testimone: lo studente Antonio
Pace.
Ma ovviamente, lo studente Antonio Pace non ha dichiarato niente, a
causa delle sue posizioni, come si è visto nella sequenza
dell’interrogatorio.
Tutti sono d’accordo nello smentire una ad una le prove che il
122
commissario porta in nome della sua colpevolezza, e quando gli viene
chiesto di dare la cravatta che lui nomina come ulteriore prova lui
ammette di averla distrutta, e quando gli viene chiesto perché egli
risponde:
“Perché in quel momento ero combattuto tra il confessare la mia colpa e
mettervi sulle mie tracce, oppure usare il mio piccolo potere per
coprirle.”
“Una scissione, una dissociazione, una nevrosi.” Dice il capo della
Polizia. Come a voler usare questo elemento per insinuare e dimostrare
l’incapacità d’intendere e di volere del commissario.
“Comunque una malattia contratta durante l’uso permanente e
prolungato del potere. Una malattia professionale, comune a molte
personalità che hanno in pugno le redini della nostra piccola società.”
“Io sto benissimo.” Risponde il capo della Polizia.
“Basta con la psicologia! Ci vogliono prove per dimostrare la propria
colpevolezza, dottore. Non solo parole, ci vogliono i fatti.”
Il commissario avanza quindi la prova delle cravatte fatte comprare allo
stagnaro, ma in effetti, nemmeno questo lo ha voluto riconoscere.
“Ma tra noi possiamo dirlo: ha negato per paura, quando ha cominciato
a capire chi ero, e cioè un poliziotto.”si “difende” al contrario il
commissario.
“Non ti permettere giudizi e illazioni insultanti per tutti noi, per i
colleghi, per il Corpo, per le istituzioni!”
“Andiamo al concreto – interrompe Mangani – Il movente. Quale
sarebbe il movente?”
“Si prendeva gioco di me! - sbotta il commissario – Si prendeva gioco
di me e dell’istituzione! E quindi di tutti voi signori!”
“Non è un movente dimostrabile” gli viene risposto.
Al chè il commissario, prende il capo della Polizia da parte e sottovoce
gli confida: “ Vicino a lei, ogni giorno di più, si rivelava il mio
infantilismo, la mia incompetenza umana.”
123
“Assurdo, improbabile, fantascientifico!” gli risponde quello.
Il commissario allora chiede di andare a prendere nella propria stanza la
prova inequivocabile della sua colpevolezza, ma appena solo, gli appare
Augusta che anch’essa lo assolve con le sue parole: “Tu hai ucciso una
persona inutile. Qualcun altro mi avrebbe ucciso, prima o poi ero
destinata a morire così. Fa quello che ti dicono, pensa ai tuoi colleghi,
pensa alla tua carriera.” Ma il commissario non la ascolta e mostra ai
colleghi le fotografie di Augusta nel suo solito gioco erotico, ritratta nel
proprio appartamento. Gli uomini strappano le foto e, ignorando
totalmente il commissario, vanno a brindare. A questo punto il
commissario abiura: “Faccio quello che voi volete”.
“Bravo, bravo figliuolo - gli dice il capo della polizia in tono
paternalistico – hai da dire qualche cosa?”
“Confesso la mia innocenza.”
Lo fanno firmare e ripartono. Sulla porta il commissario sembra tornato
in sé e scandisce: “Non dimentichiamoci che c’è un nemico in libertà,
che conosce i fatti e che non li userà soltanto contro di me. Ma contro
tutti noi. Contro il potere. Contro Dio.”
Di nuovo inquadratura del calzino nero corto. Il commissario è di
nuovo sul letto e si sveglia.
Ora le auto dei funzionari stanno arrivando realmente.
Il padrone di casa li fa accomodare. Le serrande della finestra vengono
abbassate. Appare una citazione
“Qualunque imposizione faccia su di voi, egli è servo della legge,
quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”.
Fine.
124
Documento II: Atti giudiziali della Procura di Milano
Fonte: Fondo Petri, Archivio del Museo Nazionale del cinema di Torino.
PROCURA DELLA REPUBBLICA DI MILANO
Al Signor procuratore della Repubblica – Sede.
A seguito di segnalazione della questura di Milano e su richiesta
della S.V. il giorno 13 corrente mese ho preso visione del Film di
Elio Petri, in programmazione presso il locale cinema
Ambasciatori, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto”. A mio avviso, l’opera in questione non presenta aspetti
che possano integrare gli stremi del reato di vilipendio delle
istituzioni costituzionali, di cui all’art. 290 cod. pen., o di altri
reati per i quali si debba procedere d’ufficio.
Milano, 18 Febbraio 1970
Il S. Procuratore della Repubblica (Dott. Giovanni Caizzi)
125
Documento III: Atti giudiziali della Procura di Milano
Fonte: Fondo Petri, Archivio del Museo Nazionale del cinema di Torino.
Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica Giovanni Caizzi al
giudice istruttore di non promuovere l’azione penale, Milano 21 febbraio
1970 (4 ff.).
Milano 21 Febbraio 1970
Il P. M.
In ordine alla programmazione del film “Indagine su un cittadino
al di sopra di ogni sospetto” .
Osserva: il film è la storia di un commissario di polizia che dirige
la squadra omicidi. L’obiettivo coglie anche il suo ambiente e se
in pratica tutto, mentalità, tecnica di indagini, rapporti gerachici,
sembra osservato attraverso una lente deformante, in realtà appare
chiaro che sono le deformazioni proprie di tali rapporti e attività
che acquistano consistenza e si materializzano in forza di un
procedimento critico di rappresentazione che ne fa risaltare i vizi
segreti altrimenti celati sotto la pesante e mimetizzante cortina
dell’apparato.
Il protagonista si muove con grande disinvoltura tra gli ingranaggi
ben oleati della macchina burocratica sfoggiando sorrisi che non
riescono a mascherarne la sostanza autoritaria. Egli tutt’uno con il
sistema di cui sembra individuare le finalità nella repressione,
nella riduzione di tutto e atti a un disciplinato, indifferenziato e
anonimo ordine sociale privo di assulti. Insomma compito suo e
del Moloch che serve è amministrare corpi senz’anima,
classificati, soppesati, schedati, controllati, utilizzati e sfruttati per
le finalità del potere , con questa particolarità, data la logica del
sistema, che è relativamente facile per chi ne manovra le leve,
126
servirsene a scopi personali: cioè, concepire così l’esercizio del
potere vuol dire mantenere corretto servirsene per fini particolari,
con la conseguenza che una siffatta concezione autoritaria apre la
strada ad ogni sorta di abusi.
La deviazione del personaggio, non è solo morale ma anche
patologica. Infatti la sua virilità affievolita aumenta il suo
autoritarismo. E cioè usare violenza agli altri è un modo di
compensare la propria scarsa virilità. In una mistica quasi del
fumetto nero, egli, evocato, si direbbe dal regno di superman del
poliziesco, si affaccia dal grassetto della cronaca nera e intreccia
una strana relazione con una donna anch’essa deviata
sessualmente. L’uomo trasferisce in questo rapporto il
funzionario.
Egli cioè non smette mai tale veste e nell’intimità, a letto è ancora
un poliziotto. La donna è attirata dalla sua violenza e dal potere
che la giustifica.
Lo provoca quindi a rievocare i vari crimini sui quali è indagato,
interpreta anche la parte della vittima ed egli infierisce su di lei
simulandone l’uccisione.
Il rapporto sadico-masochista si fa più incalzante. Alla fine la
finzione diviene realtà e lui le recide la gola con una lametta,
dopodiché il funzionario rientra tranquillamente nella parte sicuro
dell’impunità. La tesi del film cioè è anche questa: il sistema pone
chi ne fa parte al di là di ogni sospetto e di possibilità di
punizione. Vediamo così il protagonista disseminare la scena del
delitto di prove della propria colpevolezza, mettere sotto il naos
dei colleghi vistosi indizi, con lo scopo evidentemente e con il
risultato soltanto di constatare il perfetto funzionamento del
sistema. Ogni pista che giunga fino a lui devia miracolosamente.
Le indagini insomma, non lo riguardano, i sospetti non possono
raggiungerlo le prove sono lette in chiave diversa: egli non può
127
avere commesso il delitto solo perché è quello che è. E allora,
poiché un responsabile ci vuole, perché non sospettare del marito
della vittima? E se il commissario lo salva per celebrare il suo
giuoco, perché non incolpare un capellone contestatore. Qui però
il giuoco si rovescia perchè, obbedendo alla logica inversa il
giovane, che lo ha visto uscire dalla casa della donna dopo il
delitto, sfidato da lui dice che non lo denuncerà perché gli fa
comodo pensare che un assassino diriga la polizia criminale.
Solo a questo punto, quando qualche congegno dell’oppressivo
meccanismo si inceppa, il protagonista si dichiara responsabile del
delitto. In sogno vede quindi capi e colleghi, schierati a difesa
dell’intangibilità del sistema, accomodare la cosa in famiglia,
capovolgere le prove, convincerlo a negare l’evidenza a
“confessarsi innocente”. Il film è un processo all’autorità, un
apologo sulle deviazioni del potere, osservate sul funzionamento
di un ingranaggio che va per suo conto senza alcun reale rapporto
con la società reale, con gli amministrati – se non nella misura in
cui ne fa degli inquisiti.
L’autore sembra voler dire che nella misura in cui ci sentiamo
investiti di un potere assoluto irrevocabile, non soggetto a
controlli e depositari di esso, ci sembra di essere degli iniziati, di
godere delle facoltà non comuni, nella sicurezza dell’intangibilità.
Viene a mancare quindi la disponibilità al servizio, la convinzione
dell’utilità sociale e ci si erige a guardiani e giudici della moralità.
Provi il singolo ad opporsi al sistema, a renderlo consapevole
delle proprie ragioni, a farsi ascoltare: verrà trascurato o vilipeso o
stritolato: il rapporto è sempre prevaricazione dal momento che la
sua verità viene manipolata, violentata. In questa misura il film
riflette il dramma esistenziale dell’uomo moderno solo con il suo
senso di colpa. Il racconto abbonda di nozioni psicologiche
d’ambiente ed offre spunti pungenti per un’alisi critica del
128
costume burocratico. Il conformismo, lo strisciante ossequio dei
vari personaggi che cela paura, sospetto e gelosia in una ballata
del burocrate che li vede concordi solo nel reprimere. Su tutti
emerge il personaggio scisso, schizofrenico, del protagonista che
giuoca a rimpiattino con se stesso.
La misura della democrazia è quella di accettare e tollerare un
atteggiamento critico e quindi di controllo dell’operato degli
organi del potere. La forma dell’apologo non deve trarre in
inganno sugli obiettivi della feroce satira che sono quelli di
descrivere in forma grottesca certe attendibili del potere. Non a
caso l’epigrafe del film è tratto dal “Processo” di Kafka, che ha
rappresentato in modo angoscioso il dibattersi senza speranza
dell’individuo nelle spire della legge, intesa veramente dallo
scrittore come destino, come forza che governa le cose umane cui
non ci si può sottrarre e di fronte alla quale bisogna soccombere.
Viene appunto alla mente la scena del film in cui il commissario
coinvolge nell’indagine “lo stagnaro”, del tutto estraneo alla
vicenda, dicendogli pressappoco che la sua colpa è di averlo
incontrato.
Su un piano più concreto è ravvisibile lo scontro fatale per i
singoli con il mostruoso meccanismo livellatore dello Stato. Serve
certo ricordare le conseguenze funeste dei recenti e più lontani
roghi di libri: la forza della “Cosa”, del potere burocratico
dispensatore, e depositario delle verità evocato dall’ultimo Sartre;
l’analogo e camuffato totalitarismo dell’apparato tecnologico che
determina “non soltanto le occupazioni, le abilità e gli
atteggiamenti socialmente richiesti; ma anche i bisogni e le
aspirazioni individuali”.
Il film si è detto prende a modello l’apparato poliziesco e ne
indica tutti i connotati di congegno repressivo manovrati dal
potere. Così gli schedari, i controlli telefonici,il disprezzo dei
129
diritti degli inquisiti, la violenza per estorcere confessioni. Tutto
ciò potrebbe sostanziare il sospetto sul carattere denigratorio
dell’opera. Bisogna tuttavia porre mente alla continua grottesca
alterazione di situazioni e personaggi. Non si può pensare ad una
città sotto lo stretto controllo poliziesco senza intravedere
l’obiettivo di portare figurativamente alle estreme conseguenze la
invadenza del pubblico potere nella sfera della libertà privata.
Così le scene di violenza esemplificano e combattono ogni azione
diretta all’annullamento della personalità dell’individuo, di cui la
storia di ogni tempo offre ragguardevoli esempi. I melliflui e falsi
rapporti di una comunità burocratica cementata dall’asservimento
al potere e da una solidarietà interessata sono prorpi di un mondo
dove tutto viene sacrificato sull’altare della carriera e
dell’ambizione personale dove si è concordi nell’escludere forme
di controllo, attraverso la critica, del potere gestito in nome della
società.
Tenuto conto della indicazione per esigenza narrativa di un
determinato ufficio di polizia, ed esclusa la coincidenza di
particolari e di espisodi che certamente non gli sono propri deve
ritenersi necessariamente che trattasi di opera di fantasia di
particolare espressività che svolge con rigore e ad un livello
stilistico elevato un esame critico delle possibili deviazioni del
potere e che si risolve in solenne ammonimento per tutti. Ciò
detto appare chiaro che non si può cogliere una intenzione
offensiva o di dileggio poiché il grottesco è la forma scelta perché
la critica, anche se graffiante, si esprima comprensibilmente ad un
livello fantastico. Tale obiettivo e la serietà dell’indagine critica
svuotano evidentemente il film del significato offensivo che vi si
volesse scorgere. D’altronde si deve senz’altro escludere che un
ufficiale di polizia possa trovare tutela nell’art. 290 prima parte
C.P. che riguarda tassativamente gli organi costituzionali in esso
130
elencati. Esplicita in questo senso la relazione al progetto
definitivo del codice penale che rimanda ai delitti contro la
pubblica amministrazione nell’ipotesi di offesa rivolta a singole
parti della medesima. Nello stesso senso si è espressa la
giurisprudenza che ha visto tutelati dalla norma solo gli organi
immediati o primari i quali traggono ragion di essere direttamente
dalla costituzione dello stato, escludendone quelli immediati
subordinati, disposti secondo un ordine gerarchico, che dai primi
dipendono.
La tutela di questi infatti va ricercata in altre disposizioni del
codice penale (art. 341/342). Analgoa conclusione deve giungersi
per ipotesi prevista del capoverso dell’art. 290 C.P. : se tra le
Forze Armate può essere compreso il Corpo delle Guardie di P.S.,
appare arbitraria ogni estensione e uffici amministrativi.
Visto l’art. 74 C.P.P. chiede che il Giudice Istruttore con decreto
dichiari non doversi promuovere l’azione penale. Il S. Procuratore
della Repubblica (Dottor Giovanni Caizzi).
131
Documento IV: Documenti visionati al Fondo Petri (Museo
Nazionale del Cinema di Torino)
a Frontespizio della sceneggiatura originale di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto.
132
b. Citazione da Davanti alla Legge, parabola all’interno del Processo di Kafka. Qui la troviamo
all’inizio della sceneggiatura, ma nel film sarà la scena conclusiva, appena prima dei titoli di coda.
c. Prime battute pronunciate dal Commissario ed Augusta.
133
d. Tessere del P.C.I. di Elio Petri 1951 – 1953 – 1954 – 1955.
e. Tessera del P.C.I. DI Elio Petri, 1954.
134
f. Tessera del P.C.I. di Elio Petri, 1955.
g. Scaletta e prima bozza del soggetto di Indagine, inviata da Pirro a Petri.
135
h. Lettera di invito alla presentazione del primo numero de il manifesto, 28 aprile 1969.
i. Lettera personale di Petri
136
j. Telegramma della Academy of Motion Pictures di annuncio della nomination di Indagine all’Oscar
come miglior film straniero.
k. Telegramma dalla Academy of Motion Pictures di annuncio della vittoria dell’Oscar come miglior
film straniero.
137
l.Telegramma di congratulazioni per la vincita dell’Oscar del Direttivo Nazionale Produttori Film.
m. Telegramma di congratulazioni per la vincita dell’Oscar da parte di Luchino Visconti.
138
n. Telegramma di auguri da parte di Francesco Rosi.
o. Telegramma da Gian Maria Volontè a Elio Petri.
139
p. Telegramma di congratulazione per la vittoria al Festival di Cannes, 1970, da parte di Giorgio
Napolitano.
q.Telegramma di congratulazioni da parte di Giovanni Berlinguer.
140
r. Comunicazione del Sostituto Procuratore della Repubblica Caizzi al Procuratore della Repubblica,
Milano 18 febbraio 1970, dopo la visione del film di Petri ritiene non vi siano “gli estremi del reato di
vilipendio delle istituzioni costituzionali”
s. Atto giudiziale. Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica di non promuovere l’azione
penale, Milano 21 febbraio 1970.
141
t. Atto giudiziale. Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica di non
promuovere l’azione penale, Milano 21 febbraio 1970.
143
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152
3.6 Documenti cartacei consultati all’ Archivio
del Museo Nazionale del Cinema di Torino,
Fondo Elio Petri
Donazione Paola Pegoraro Petri, Torino 4 gennaio 2007, n. ingresso
1/2007, Donazione Paola Pegoraro Petri, Torino 23 marzo 2010, n.
ingresso 16/2010.
a. b. c. AMNCTO ELPE024 - “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto”. Sceneggiatura.
Sceneggiatura di: Elio Petri e Ugo Pirro. 1969.
Brochure, ff. 1-295, formato cm 21, cm 27, fotocopia, rilegatura a spirale, lingua
Italiano, scrittura dattiloscritta.
d. e. F. AMNCTO ELPE0595 – Tessere del PCI di Elio Petri, 1951, 1953,
1954, 1955.
4 documenti, formato cm 7,5, cm 10, a stampa, lingua Italiano.
g. AMNCTO ELPE022 - “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto”. Appunti e scaletta.
Scaletta desunta dal soggetto di Ugo Pirro, 10 aprile 1969 (filza, 1-6). 2 filze, cm 22,
copia carbone, lingua Italiano, scrittura dattiloscritta.
153
h. AMNCTO ELPE0598 - Lettera di Michele Melillo per il Collettivo de
Il Manifesto a Elio [Petri, ante 27 aprile 1971].
“Il 28 aprile uscirà il primo numero de Il Manifesto quotidiano ...” invito all'incontro
che si terrà martedì 27 aprile nella sede del giornale.
Data desunta dalle carte; carta intestata: “il manifesto quotidiano comunista”; 1f,
formato cm 22, cm 28, lingua Italiano, scrittura dattiloscritta.
i. AMNCTO ELPE0602 – Lettera privata Marzo 1975.
1 f formato cm 22, cm 28, lingua Italiano, scrittura manoscritta.
l. m. n. o. p. q. r . Telegrammi in corrispondenza privata di Elio Petri.
ELPE0379: Telegramma di Luchino [Visconti] a Elio Petri, Roma 19 aprile 1971
ELPE0418: Telegramma di Franco Rosi a Elio Petri, Roma 15 maggio 1972
ELPE0420: Telegramma di Mariangela [Melato] a Elio Petri, Roma 16 maggio 1972
ELPE0422: Telegramma di Gianmaria [Volonté] a Elio Petri, Roma 20 maggio 1972
ELPE0424: Telegramma di Giorgio Napolitano a Elio Petri, Roma 20 maggio 1972
s. t. u. AMNCTO ELPE0324 - Atti giudiziali relativi alla programmazione
del film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” – 1970.
- Comunicazione del Sostituto Procuratore della Repubblica Caizzi al
Procuratore della Repubblica, Milano 18 febbraio 1970, dopo la
visione del film di Petri ritiene non vi siano “gli estremi del reato di
vilipendio delle istituzioni costituzionali” (1f.)
8 ff.; 9 ff. (all.) filza, formato cm 21, cm 28,
fotocopia, lingua Italiano, scrittura dattiloscritta.
154
- Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica Giovanni
Caizzi al giudice istruttore di non promuovere l’azione penale,
Milano 21 febbraio 1970 (4 ff.).