Potere, biopolitica e sessualità in "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di...

153
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI Corso di laurea in Italianistica, culture letterarie europee, scienze linguistiche Potere, biopolitica e sessualità in "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di Elio Petri (Italia, 1970) Tesi di laurea in Storia Culturale Relatore Prof. : Fabio Martelli Presentata da: Alice Diacono Correlatore Prof. : Stefano Colangelo Sessione terza Anno accademico 2013-2014

Transcript of Potere, biopolitica e sessualità in "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di...

ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di laurea in Italianistica, culture letterarie europee, scienze linguistiche

Potere, biopolitica e sessualità in "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto"

di Elio Petri (Italia, 1970)

Tesi di laurea in Storia Culturale

Relatore Prof. : Fabio Martelli Presentata da: Alice Diacono Correlatore Prof. : Stefano Colangelo

Sessione terza

Anno accademico 2013-2014

4

5

Noi non abbiamo mai cercato l’affetto,

ma la ragione,

la ragione per correre le strade più difficili.

Gian Maria Volontè

Il capitalismo che si sviluppa alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX, ha

innanzi tutto socializzato un primo oggetto, il corpo, in funzione della forza

produttiva, della forza lavoro. Il controllo della società sugli individui non si

effettua solo attraverso la coscienza o l’ideologia, ma anche nel corpo e con il

corpo. Per la società capitalistica è il bio-politico a essere importante prima di

tutto, il biologico, il somatico, il corporale.

M. Foucault, Nascita della medicina sociale

6

7

Indice

INTRODUZIONE ..................................................................................................... 9

1.CONTESTO STORICO ....................................................................................... 13

1.1. Prodromi: il fiume sotterraneo e lo sgorgare della violenza negli anni

Sessanta ................................................................................................................ 14

1.1.1.Pasolini e la polemica dei “proletari in divisa” ..................................... 19

1.1.2.La portata rivoluzionaria della “festa sessantottesca” e il “No al

processo in piazza” di Moro .............................................................................. 20

1.2 “Io a questa roba preferisco l’omicidio”: dall’Autunno Caldo a Piazza

Fontana. ............................................................................................................... 26

1.2.1 La strage di Piazza Fontana ................................................................ 28

1.2.2 La morte di Pinelli e l’affaire Calabresi .............................................. 32

1.3 "Rumor di sciabole" : la paura dei colpi di stato e il neofascismo ................ 35

1.1.3.Le schedature politiche ............................................................................. 44

2. CORPI E POTERE .......................................................................................... 48

2.1 Nevrosi del potere ......................................................................................... 48

2.2 Biopolitica .................................................................................................... 54

2.3 Dispositivo di sessualità ............................................................................... 62

2.4 Polizia ........................................................................................................... 70

2.5 Confessioni ................................................................................................... 72

3. DAVANTI ALLA LEGGE .................................................................................. 79

3.1 Mito, destino, colpa ...................................................................................... 81

3.2 Crisi sacrificale ............................................................................................. 88

3.3 Individuo ....................................................................................................... 92

CONCLUSIONI ..................................................................................................... 99

8

APPENDICE DOCUMENTARIA ....................................................................... 105

Documento I: Divisione del film in sequenze ............................................... 105

Documento II: Atti giudiziali della Procura di Milano ................................. 124

Documento III: Atti giudiziali della Procura di Milano ............................... 125

Documento IV: Documenti visionati al Fondo Petri (Museo Nazionale del

Cinema di Torino) ............................................................................................. 131

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................. 143

Sitografia ............................................................................................................... 151

Documenti cartacei consultati all’ Archivio del Museo Nazionale del Cinema di

Torino, Fondo Elio Petri ....................................................................................... 152

9

INTRODUZIONE

Con questo mio lavoro intendo investigare i rapporti che intercorrono tra

molteplici discorsi critici sul potere che si vennero a sviluppare nel secondo

dopoguerra del Novecento e un’opera che ne incarnò e ne traspose

cinematograficamente le contraddizioni e le idiosincrasie : Indagine su un

cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un film del 1970 - primo di

una trilogia ideale, definita Trilogia della nevrosi, proseguita con La classe

operaia va in paradiso (1971) e La proprietà non è più un furto (1973) – che offre

spunti di riflessione sul momento storico di grande conflitto politico e sociale in

cui fu realizzato e che ho voluto accostare alla ricerca portata avanti da Michel

Foucault negli ultimi anni della sua vita, quando arrivò ad elaborare il concetto di

biopolitica.

Biopolitica come nuovo orizzonte nel dibattito sul potere e come nuovo modo di

concepire quest’ultimo, che non si applica agli individui bensì circola tra di essi in

un sistema reticolare provocando ad ogni passaggio precise micro-dinamiche,

micro-reazioni che si inscrivono in una osservabile e determinata microfisica.

Nel capitolo centrale dell’elaborato esporrò come negli ultimi tre secoli

dell'epoca moderna tali meccanismi di potere degli Stati si siano attuati sempre più

attraverso istituzioni e discipline che sono passate ad occuparsi e a regolamentare

non più solo la zoè ma anche la bìos, di quelli che da sudditi sono passati ad essere

cittadini. Nei campi della psichiatria, della galera e quindi della giustizia, della

medicalizzazione-ospedalizzazione, nell'educazione scolastica e, infine, nella

sessualità, si sono messe in campo forze e leggi normative che mai come prima

10

nella storia avevano influito così direttamente e peculiarmente sul corpo

dell'uomo.

Mia intenzione è concentrarmi sulla ricerca riguardante la sessualità, che

Foucault ha indagato nella trilogia intitolata Storia della sessualità, scritta nel

1976, poiché proprio la sessualità è il nodo di congiunzione tra le applicazioni

delle discipline corporali che ne hanno fatto uso per un’accumulazione dei corpi e

di capitale, e la morbosa vicenda raccontata in Indagine.

Sei anni prima della pubblicazione della Storia della sessualità, in Italia,

Indagine veniva distribuito nei cinema con enorme successo di pubblico ma con il

rischio di censura per vilipendio delle istituzioni costituzionali: un film che

narrava la storia di un funzionario dello Stato che compiva un delitto

apparentemente passionale, ma con tutti altri moventi reali.

Nel primo capitolo sarà delineato il periodo storico da cui l’opera prese

ispirazione e dei particolari fatti di cronaca in cui venne ad inscriversi.

Questa controversa pellicola usciva infatti nelle sale di un'Italia ancora scioccata

dalla strage di Piazza Fontana, dalla morte violenta dell'anarchico Giuseppe Pinelli

e dall'accusa mossa al commissario Calabresi. Per la prima volta si facevano

spazio all’interno della società civile i concetti di devianze del potere interne alla

democrazia e di strage di Stato: in tutta Italia si verificava una radicalizzazione

degli scontri e un uso deliberato della violenza, sia a destra che a sinistra,

preparando il terreno per quelli che saranno gli anni di piombo. Attraverso una

vera e propria militarizzazione della lotta politica, a cui si accompagnava una

nuova ondata di ideologia fascista, spinte reazionarie e autoritarie miravano a

creare una strategia della tensione per instaurare forme di governo anti-

democratiche sulla scia del colpo di stato in Grecia.

Per la prima volta insomma, la società civile si trovava a doversi porre questioni

sulla processabilità dello Stato, sul controllo dei controllori, sulla legittimità del

potere e sull’esercizio della sua autorità, anche grazie a quel movimento

antisistemico e dirompente che fu il Sessantotto che permise una delocalizzazione

della discussione politica nei luoghi della contestazione, accelerando e

diffondendo nelle democrazie occidentali tardo-capitalistiche un discorso critico

11

sul potere sovrano stesso, percependo un'incrinatura nascente nell'aura che da

secoli lo circondava.

Nella sacralità del potere, relitto della prima modernità, si aprì uno squarcio:

vennero messe a nudo le dinamiche irrazionalistiche della legge, proposta fino ad

allora come assoluta e dettata da regole che si davano per certe e di provenienza

quasi divina.

Sarà compito del terzo capitolo dare un’interpretazione alla scelta di Petri che,

cogliendo appieno lo spirito del tempo, conclude la sua opera con una citazione

tratta dalla parabola intitolata Davanti alla Legge, contenuta nel Processo di Franz

Kafka.

L'accessibilità alla legge è impersonata da guardiani che ci svelano tutto il suo

nulla della rivelazione. Muovendo da questa definizione di Walter Benjamin,

riportata nell’Homo Sacer di Agamben, cercherò di comprendere come il carattere

sovraumano della legge, si riveli in realtà regolato da logiche di violenza

cristallizzata all’interno dell’ordine sociale con lo scopo di mantenerlo immutabile

e sempre uguale a se stesso.

Per fare questo mi sono inoltre avvalsa della concezione di illuminismo come

processo di razionalizzazione, che elaborarono i francofortesi Horkheimer e

Adorno nella Dialettica dell’illuminismo, interpretando il protagonista del film di

Petri e quello del Processo in chiave mitica per arrivare a dimostrare quanto il

mito sia già illuminismo e l’illuminismo torni a rovesciarsi continuamente nel

mito. La colpa del Commissario è quella di aver voluto sfidare il destino e le leggi

umane, e proprio per questo sarà condannato all’innocenza.

Questi sono i filtri che mi propongo di applicare all’opera di Petri ed alla sua

funzione di rinnovato strumento di semantizzazione della Weltanschauung della

sua epoca, della condizione di dissolvimento dell’individuo in essa, e della valenza

quasi profetica che ciò viene ad assumere nella stretta contemporaneità.

Per farlo, ho inoltre visitato la Cineteca di Bologna e il Fondo Petri dell’Archivio

del Museo Nazionale del Cinema di Torino, dove ho potuto consultare e vedere da

vicino documenti cartacei e fotografici appartenenti al regista, come ad esempio

12

gli Atti Giudiziali del Giudice Giovanni Caizzi dove egli nega la censura del film,

che qui vengono riportati per intero1. Ringrazio la Signora Carla Ceresa

dell’Archivio del Museo del Cinema di Torino che ha permesso ed agevolato la

mia ricerca.

1 Li si trova riportati per intero un’unica volta in Giacomo Gambetti, Petri: politico senza

enigmi, in “Cineforum” , XCII, 1970, pp. 112 – 113.

13

1. CONTESTO STORICO

Volevo fare un film sulla polizia. Ma a modo mio.

Elio Petri

Una grande nube fetida si leva dal corpo tumescente delle istituzioni dello Stato.

Elio Petri, in un’intervista di J. Gili2

Imprescindibile, come primo passo nell'analisi dell'opera presa in

considerazione, è delineare il particolare contesto storico in cui essa è

stata ideata, sviluppata, realizzata; ovvero, il periodo che va dalla prima

metà degli anni Sessanta, alle contestazioni del 1968, fino all'apice di

quelli che vengono definiti gli "anni di piombo".

Indagine fu infatti concepito e scritto a ridosso del '68, ma uscì nei

primi mesi del 1970 e può essere considerato a pieno titolo il “prodotto”

di un campo di forze, ma anche un “dispositivo che riarticola le

medesime forze secondo modalità specifiche”3; un vero e proprio

prodotto dell'aria del suo tempo insomma, una trattazione in forma

metaforica del clima di profonda sfiducia nello Stato e una suggestiva

interpretazione di quel clima pesante e minaccioso che avrebbe portato

poi ai bellicosi anni Settanta, e in particolare alla cosiddetta “strategia

della tensione”, e che negli ambienti progressisti e di sinistra

2 J. Gili, Le cinéma italien, ed. 10/18, Paris 1978, p. 199 3 Claudio Bisoni, Elio Petri. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Torino, Lindau, 2011, p.

41

14

sintetizzava la certezza che ampi segmenti dello Stato e delle Forze

dell'Ordine fossero coinvolte in terribili eventi4.

Sul quarantesimo numero della rivista che rappresentava il maggior

punto di riferimento per tutta la cultura dell'area della sinistra extra-

parlamentare, i “Quaderni Piacentini”, nata nel 1962 , Goffredo Fofi

afferma: « Il valore del film consiste nel suo rapporto con un contesto

reale odierno. Senza certi fatti recenti, senza la tensione quotidiana di

una lotta di classe in progresso e le sue contraddizioni […] il film

avrebbe meno rilevanza, meno peso. »5

1.1. Prodromi: il fiume sotterraneo e lo sgorgare della violenza negli

anni Sessanta

Il protagonista di Indagine è un personaggio di cui non veniamo mai a

sapere il nome (sulla sceneggiatura viene chiamato semplicemente “il

dottore” o “l'assassino”, noi lo chiameremo “il Commissario”) perché

non vuole rappresentare se stesso ma un qualsiasi soggetto di potere o,

ancora più in generale e metonimicamente, il Potere tout court. Nella

prima sequenza lo abbiamo visto assassinare Augusta Terzi, ma già

nella seconda sequenza scopriamo che egli è in realtà il capo della

Sezione Omicidi della Polizia di Roma, un personaggio autoritario,

intransigente e carismatico, un poliziotto di stampo scelbiano, che è

appena stato promosso a responsabile dell'Ufficio Politico della

Questura, in quanto, come gli dice subito uno dei suoi colleghi: « Non

si poteva più andare avanti senza un indirizzo preciso. »

Questa allusione ci introduce subito al clima di alta tensione che si era

instaurato in quegli anni tra le forze dell'ordine, costituzionalmente atte

e portate a mantenere lo status quo e a mettere in pratica la cosiddetta

4 Sara Cortellazzo, Massimo Quaglia (a cura di), Cinema e giustizia, Celid, Torino 2009, p. 50 5 Goffredo Fofi, Due film “politici”: Petri e Pontecorvo, in « Quaderni piacentini », XL , aprile 1970 , p.

194

15

“ragion di Stato”, e le istanze innovatrici che a livello sociale e politico

si stavano aprendo varchi e imponendo su tutti i fronti della società.

In tale prospettiva appare evidente come Indagine contenga degli

specifici riferimenti alla cronaca italiana del periodo e ne rappresenti

un’originalissima rappresentazione in chiave grottesca, a partire dal

discorso di insediamento del commissario (sequenza 5), che riassume

gli obiettivi, coincidenti a quelli delle forze dell’ordine dell’epoca ,

raggiungibili attraverso una strategia molto chiara: mettere sullo stesso

piano dell’attività criminosa, tutte le legittime manifestazioni di

dissenso politico.

« […] Ciò è stato deciso poiché tra i reati comuni e i reati politici

sempre più si assottigliano le distinzioni, che tendono addirittura a

scomparire. Questo scrivetevelo bene nella memoria: sotto ogni

criminale può nascondersi un sovversivo; sotto ogni sovversivo può

nascondersi un criminale.

Nella città che ci è stata affidata in custodia, sovversivi e criminali

hanno già steso i loro fili invisibili che spetta a noi di recidere.

Che differenza passa tra una banda di rapinatori che assaltano un

istituto bancario e la sovversione organizzata, istituzionalizzata,

legalizzata? Nessuna. Le due azioni tendono allo stesso obiettivo, sia

pure con mezzi diversi, e cioè al rovesciamento dell’attuale ordine

sociale. » (Sequenza 5)

Non si deve dimenticare che lo scenario internazionale vedeva

schierati il blocco Sovietico e quello Occidentale - Atlantico in uno dei

momenti più critici della Guerra Fredda , così che l’uso della violenza

come strumento di azione politica cominciò sempre di più ad essere

considerato legittimo a tutti i livelli, anche a causa delle dittature e dei

colpi di stato che numerosi stavano avvenendo in Vietnam, Cambogia,

Sud America e soprattutto, Grecia.

In Vietnam, nel 1967 ci fu un'intensificazione del conflitto; nel Medio-

16

Oriente, la guerra arabo-israeliana dei Sei giorni in cui Israele sancì

definitivamente la sua superiorità militare, e si venne a creare

l’Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp, nata nel 1964) che

si diede strutture e organizzazione: ciò porterà ad un escalation di atti

terroristici di portata sempre più grande, fino all’azione del commando

alle Olimpiadi di Monaco del 19726.

In America Latina si stavano diffondendo i movimenti guerriglieri di

matrice anti-imperialista come il Fronte Sandinista di Liberazione

Nazionale in Nicaragua o le FARC.

Se, dunque, fino agli anni Cinquanta, l'estrema sinistra aveva ritenuto

impossibile il realizzarsi di una rivoluzione in Europa, a causa dell’

"equilibrio del terrore" imposto dagli armamenti nucleari di Stati Uniti

e Unione Sovietica, e l'eventuale pericolo di innescare un disastroso

susseguirsi si reazioni a catena a livello internazionale, con il riprodursi

di guerre e crisi in Asia, Africa, Medio Oriente e America Latina, la loro

convinzione cambiò. In modo specifico, la conclusione positiva della

crisi missilistica di Cuba nell'ottobre del '62 aveva dato prova di come

l'antagonismo tra i due blocchi non dovesse risolversi per forza di cose

in un conflitto nucleare7.

L’espandersi delle contestazioni studentesche in America del Nord e

Europa, diedero poi il colpo di grazia all'idea che una rivoluzione non

fosse possibile anche nel cuore dell'Occidente. La tecnologia militare

poteva quindi non essere un fattore così determinante, a fronte di masse

popolari guidate da ideali di giustizia ed eguaglianza che avrebbero

permesso ai vari movimenti di dar vita ad un nuovo internazionalismo

proletario capace di agire unitariamente a livello globale, "creare uno,

due, molti Vietnam", come scrisse Ernesto Che Guevara nel suo

6 Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta. Roma, Donzelli, 2003, p.

152 7 Ibidem

17

testamento politico8.

Quando Indagine uscì nelle sale si trovò al centro dell’interesse

pubblico non per caso, né per la semplice propensione dello spirito

dell’epoca alle letture orientate e tendenziose in quanto il film stesso

richiede e incoraggia un’interpretazione che faccia leva sulla lettura

della situazione politico-sociale9.

In Italia, il crescendo della legittimazione dell'uso della violenza, sia

da parte dei contestatori, sia da parte di chi avrebbe dovuto mantenere

l'ordine, fu come il lento sgorgare di una fonte sotterranea, che non si

era mai prosciugata, sin da quella che è poi passata alla storia, per molta

storia di visione politicizzata marxista o fascista che si voglia, come la

"guerra civile" avvenuta durante la Resistenza contro il nazifascismo10.

Guerra fratricida tra Italiani, unico tentativo di rivolta armata che si

avvicinò a quel fenomeno storico che l'Italia non ha mai sperimentato:

la rivoluzione.

Fiume che fu tentato di sopprimere, ottenendo il risultato contrario, con

quell'amnistia Togliatti che andò ad ingrossare il bacino del

risentimento di quella che veniva considerata la “Resistenza tradita”,

che a sua volta sfociò nella riscoperta ideologica di questo mito da parte

della generazione Sessantottina che aveva nell’antifascismo uno dei

suoi pilastri ideologici portanti.

Mito della Resistenza tradita visto inoltre come giustificazione al

passaggio all’uso delle armi come passaggio simbolico di una

legittimità a difendersi dal nemico fascista per portare a termine la

rivoluzione interrotta anni prima e che ebbe i suoi momenti leggendari,

quali, ad esempio, la celebre pistola tedesca che un partigiano di

Reggio Emilia aveva sottratto durante la guerra ad un nazista e che

8 Ibidem 9 C. Bisoni, op. cit. , p. 44 10 Guido Panvini, Ordine Nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e

Settanta (1966 – 1975). Torino, Einaudi, 2009 , p. 49

18

regalò a Franceschini, futuro fondatore delle Brigate Rosse.

Allo stesso modo, a destra, il “culto della vendetta” per la sconfitta

subita, si riscontra nelle biografie dei terroristi neri con un passaggio

delle armi sistematico, di generazione in generazione11.

Petri non manca di accennare a questa continuità ideologica nel suo

film, con queste due semplici battute contenute nella sequenza 22:

« Dottore, hanno gli stessi nomi di trent’anni fa. »

« La rivoluzione è come la sifilide, ce l’hanno nel sangue. »

Il fiume della violenza però cominciò a (in)filtrare e corrodere da

dentro le fragili pareti con cui era stato arginato, già sul finire degli anni

della “congiuntura” e di “astensionismo legislativo” , che avevano

caratterizzato la prima metà degli anni Sessanta, e che portarono

direttamente allo scoppio delle proteste nelle università e poi nelle

fabbriche, fino alla totale rottura della diga e degli argini , punto

definitivo di non ritorno, ovvero la battaglia di Valle Giulia.

Il 1° marzo 1968, a Roma, successero due cose di enorme portata: in

un’aula di tribunale i giudici condannavano i giornalisti dell’”Espresso”

che avevano rivelato le trame del generale De Lorenzo (cfr par. 1.3);

alla fine di un corteo studentesco, che aveva come scopo quello di

rientrare nella propria Facoltà di Architettura, a Valle Giulia appunto,

gli studenti trovano schierato un cospicuo numero di carabinieri e

polizia che, come da prassi, cominciò a caricare la folla che però, per la

prima volta, non si dileguò, ma reagì alla violenza con quella che fu poi

una vera e propria battaglia, come infatti viene ricordato questo evento.

11 Ibidem

19

1.1.1. Pasolini e la polemica dei “proletari in divisa”

Fu in questa occasione che Pasolini scrisse la sua famosa poesia Il PCI

ai giovani12, che causò una controversa polemica e costò allo scrittore

un ulteriore isolamento all’interno del suo partito, ma servì ad attirare

l’attenzione dell’opinione pubblica sul “movimentismo” che in questa

fase storica stava nascendo proprio con la battaglia.

In Indagine ci sono due palesi accenni alla questione dei cosiddetti

“proletari in divisa” contro gli studenti “figli di papà”e borghesi, che

lasciano intendere la vicinanza di ideali di Petri allo scomodo

intellettuale Pasolini : il primo è nella sequenza 14, quando il

commissario è impegnato ad ascoltare l’intercettazione telefonica di

Antonio Pace il quale, ad un certo punto, cosciente del fatto di essere

sorvegliato telefonicamente, si lancia in un appello pasoliniano al «

brigadiere di turno che sta ascoltando l’intercettazione. Compagno

brigadiere, tu che hai l’ingrato compito di spiare illegalmente la nascita

della rivoluzione italiana, sei anche tu uno sfruttato, un figlio del

popolo! Unisciti a noi! O per lo meno, chiedi un aumento di

stipendio…» Appello, che verrà accolto dall’impiegato, con una

sommessa richiesta di aumento di stipendio al Commissario che gli

risponderà in malo modo minacciandolo di fargli rapporto.

La seconda allusione è contenuta invece nella sequenza 20, quando le

forze dell’ordine rastrellano gli studenti e i contestatori, nella giornata

in cui è scoppiata una bomba in Questura e contemporaneamente altri

due attentati sono stati effettuati alle 18:30, uno alla American Express

e l’altro al Palazzo di Giustizia (ciò è specificato nella sequenza 19). Il

riferimento a giornate di scontri e agitazioni come quella del 1° marzo è

chiara, e a togliere ogni dubbio, il grido di uno degli studenti che

scendendo dalla camionetta urla « Poliziotti siete i nostri fratelli! »

12 Pier Paolo Pasolini, Il PCI ai giovani, in “L’Espresso”, 16 giugno 1968

20

1.1.2. La portata rivoluzionaria della “festa sessantottesca” e il

“No al processo in piazza” di Moro

Secondo alcuni critici, il film di Elio Petri esibiva il deflagrare delle

contraddizioni della nostra società attraverso una metafora che faceva

di Indagine un film sul Sessantotto, e sul suo radicale desiderio di

strappare il velo delle apparenze.13

In questi anni, gli operai sostenevano massicce agitazioni sindacali

(nel ’66 c’erano già stati 115 milioni di ore di sciopero); fiorivano o

stavano per sbocciare molteplici gruppi politici – da Potere Operaio ai

marxisti-leninisti di ispirazione maoista, dal dissenso comunista

espresso dal “Manifesto” a “Lotta Continua”.14

Oltre a Roma, anche a Pisa, Milano, Torino, Trento e Napoli, le

occupazioni delle università dilagavano un po’ ovunque. A tutto questo,

si aggiungeva la crisi e la scomparsa degli organismi rappresentativi

tradizionali nelle università come nel campo operaio; venivano

sostituite dai gruppi di matrice politica “extra-parlamentare” (sia di

destra che di sinistra) nelle prime, e con la nascita di comitati unitari di

base, nelle seconde.15

« In questa città non si uccidono solo puttane: qui si uccide l’ordine,

l’equilibrio sociale. In ventiquattro ore tre occupazioni, baraccati,

studenti e insegnanti… insegnanti italiani… in sei mesi hanno

scioperato ottantuno milioni di ore! » dice il Commissario nella

sequenza numero 15.

Non dobbiamo dimenticare che il film veniva realizzato proprio

durante quello che passò poi alla storia come “autunno caldo”, ovvero,

l’autunno del 1969, il massimo momento di tensione e scontro sociali

che infatti deflagrerà nella strage di Piazza Fontana, come vedremo nel

13 Andrea Minuz, Il doppio Stato e le convergenze parallele. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto e Piazza Fontana, in Christian Uva (a cura di), Strane storie. il cinema e i misteri d’Italia,

Catanzaro, Rubbettino, 2011, p. 37. 14 Walter Tobagi, Storia del movimento studentesco e dei marxisti leninisti in Italia, Sugar, Milano, 1970,

p. 52. 15 Enzo Santarelli, Storia critica della Repubblica, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 146.

21

paragrafo 1.2.1 .

Per quanto riguarda il ’68, Petri analizza una fenomenologia del

“bisogno politico” quale si prefigura a partire dalla “festa

sessattontesca”.

Il ’68 viene inteso come spazio festivo: le piazze e le strade d’Italia

battute da un’onda delirante, conclamantesi Potere .16

Tra le conquiste del movimento studentesco e operaio c’è infatti

sicuramente quella di aver portato in strada, dans la rue (come recitava

appunto uno degli slogan più in voga durante il Maggio parigino), il

dibattito politico.

Questo si delocalizzò, per tutta la durata dell’ “onda lunga”

studentesca (quindi fino alla fine degli anni ’70) in maniera

considerevole. Per la prima volta le istituzione ebbero modo di

preoccuparsi, poichè il dibattito politico si era spostato, appunto, dai

luoghi convenzionali dello Stato ai luoghi della contestazione; tanto che

il presidente della DC, l’onorevole Aldo Moro, arrivò a pronunciare

queste parole, in conseguenza allo scandalo Lockheed che coinvolse sia

il governo, sia l’allora Presidente della Repubblica in persona, Giovanni

Leone:

« Nel Paese vi sono molte opposizioni […]; e quell’opposizione, colleghi

della Democrazia Cristiana, sarà molto più intransigente, sarà molto più

radicale, quando i processi non si faranno più in un’aula come questa, ma si

faranno nelle piazze, e nelle piazze vi saranno le condanne. […] Onorevoli

colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che

noi non ci faremo processare. »17

A questo proposito, nella sequenza 14 di Indagine, troviamo un

giudizio che suona come una sentenza, soprattutto per la caratteristica

16 Domenico Monetti, Polpol/Poppol.Per un approccio teorico e citazionistico a due film eccentrici: Todo

Modo e Il Divo, in Diego Mondella (a cura di), L’ultima trovata. Trent’anni di cinema senza Elio Petri,

Bologna, Pendragon, , 2012 , p. 132. 17 Atti parlamentari, VII legislatura, Parlamento in seduta comune, Resoconto stenografico della seduta dal

3 all’11 marzo 1977, p.455

22

di reazione esagerata che lo contraddistingue: ad un certo punto,

Mangani, un subordinato del commissario, non vuole rilasciare il

marito di Augusta, nonostante sia chiaro che egli sia innocente, al che il

commissario gli dice in tono sprezzante : « Sei un burocrate. Ti fa paura

l’opinione pubblica. »

Troviamo inoltre, nella sequenza 13, un’esilarante lista delle scritte che

in quegli anni comparivano sui muri, elencate come testimonianze più

visibili e reazione immediate degli avvicendamenti storici e politici, e

in cui possiamo trovare il repertorio completo dei miti, dei riferimenti

culturali del ’68 e quindi dei loro slogan:

« Nell’anno 1948 furono cancellate duemila scritte inneggianti a Stalin.

Cinquanta a Lenin. Mille a Togliatti. Trenta al maresciallo Tito.

Trecento al Duce. Quattrocentoquindici all’Uomo Qualunque.

Nel ’56 invece gli Stalin scendono a cento. Un calo enorme. »

« E Togliatti? »

« Stazionario. »

« Nel ’58 un centinaio di Viva Krusciov. Cinquanta Mao Tse. E

spuntarono anche un cinquecento Abbasso Stalin. Che per ordini

superiori non furono cancellati, ovviamente. »

« L’anno scorso i Viva Mao arrivarono a tremila. Ho Chi Minh arrivò a

diecimila. Che Guevara mille. Marcuse undici Viva e Abbasso. »

« Un fatto nuovo: abbiamo notato un paio di Viva un certo SADE »

« Eeh…è il Marchese! »

« Per l’anno in corso, si prevedono diecimila evviva Mao, cinquecento

Viva Trozkij e una decna di Viva Amendola. E forse ancora un cinque-

seicento Viva Stalin. »

Anche nella seconda parte della sequenza 23, quella in cui lo studente

Antonio Pace si trova faccia a faccia con il commissario nella stanza

dell’interrogatorio, possiamo trovare questo tema, in quanto Pace

sembra l’unico a non temere l’autorità del poliziotto e, proprio per

23

questo, svelare la sua debolezza e la sua colpevolezza; è l’unico in

grado di renderlo vulnerabile perché è l’unico a vedere e ad affermare

ad alta voce la verità (dopo Augusta, ovviamente). Petri mette in scena

lo scontro tra i due in un modo che porta lo studente ad assumere i

contorni di un contro-potere rispetto al quale il commissario non può

nulla18.

A darci un’idea della portata del cambiamento che il ’68 portò nel

panorama culturale italiano, basti pensare che nel 1961 Petri aveva

esordito con un lungometraggio dal titolo L’assassino, che venne però

censurato a causa di una scena in cui si vedeva un poliziotto dalle

scarpe sporche di fango, che saliva le scale di un condominio e veniva

quindi ripreso dal portiere del palazzo; soli nove anni dopo egli potè

invece realizzare Indagine che ebbe un enorme successo di pubblico per

cui una censura era del tutto da escludere. Tutto ciò sarebbe stato

impensabile solo nove anni prima.

Nonostante tutto Petri riuscì, suo malgrado, a risultare sgradito

all’intero arco costituzionale: sia alla componente governativa e

all’estrema destra, arroccate nell'aprioristica difesa dell'istituzione

polizia tramite l’accusa dal sapore medievale di “vilipendio delle

istituzioni costituzionali” (quando negli Stati Uniti ad esempio film su

poliziotti, politici e presidenti corrotti erano già da tempo all'ordine del

giorno), sia alla sinistra extra-parlamentare.

A proposito dell’accusa di vilipendio e del rischio di censura a cui fu

esposto il film, in un’intervista realizzata da Giacomo Gambetti per

“Cineforum” nel 1970, Petri afferma:

« Devo dire che il vero risultato storico del film è il parere della Procura

della Repubblica di Milano che, fra l’altro, esclude nel film significati

“offensivi”, esclude che un ufficiale di polizia – appunto – sia tutelato dalla

prima parte dell’art. 290 C.P. (“Chiunque pubblicamente vilipende la

Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o la

18 C. Bisoni, op. cit. , p. 118

24

Corte Costituzionale, o l’Ordine giudiziario è punito con la reclusione da sei

mesi a tre anni”), ed altresì considera arbitraria l’estensione “personale” a

“funzionari e uffici amministrativi” del capoverso dello stesso art. 290

secondo il quale “la stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le

Forze armate dello Stato o quelle della liberazione”. Un fatto è politico

quando incide sulla sostanza dei rapporti politici, come ho detto sopra: mi

pare che Indagine abbia contribuito ad uno spostamento, o almeno a una

precisazione [… ] » 19

Come possiamo leggere documenti II e III riportati in Appendice, è

indicativo come il Giudice Caizzi faccia, nel primo, una disanima del

film, che pochi critici dell’epoca condussero con tanta chiarezza, e, nel

secondo, notare le conclusioni giuridiche e quindi politiche che trae20.

Nonostante la grande enfasi data dai giornali al tentato sequestro del

film da parte della magistratura, l’operazione alla fine si risolse con un

divieto ai minori di quattordici anni. Fu la prima volta che un film

radicalmente critico nei confronti dell’istituzione della polizia non

veniva colpito dal reato di vilipendio.21

A proposito invece delle antipatie che suscitò anche all’interno della

sinistra extraparlamentare e dei movimenti studenteschi, la causa fu

l’indignazione dovuta alla rappresentazione data del movimento, come

informe, caotico e piuttosto disorganizzato quale effettivamente era22.

Nel film si fa un breve ma significativo accenno al tipico frazionismo

della sinistra italiana, nella sequenza 22: i manifestanti sono rinchiusi in

una cella sotterranea della caserma; c’è chi sventola il libretto rosso, chi

canta slogan e canzoni rivoluzionarie , chi urla “trozkisti”, chi

“spontaneisti”, “fascisti”. La voce parzialmente fuori campo di

un poliziotto commenta: “Vede dottore, nemmeno la galera li unisce. In

due ore si sono già spaccati in quattro gruppetti. E’ come una reazione a

catena. Per fortuna sono divisi, se no per noi sarebbe dura”.

19 Giacomo Gambetti, Petri: politico senza enigmi, in « Cineforum » , XCII, 1970, pp. 106 – 113. 20 Ivi, p. 111 21 A. Minuz, op. cit., p. 5 22 www.filmscoop.it, ultima consultazione: 09/12/2014

25

In questa congiuntura, tra nazionale ed internazionale, la protesta era

ormai innescata, e in Italia, significativamente, sarebbe durata più a

lungo che altrove.

Gli scontri degli studenti romani con la polizia nel marzo del ’68 ne

costituiscono, insieme agli eventi di Parigi, il detonatore più efficace23.

Non deve quindi stupire che il discorso del protagonista dell’opera qui

esaminata, sia così simile ad un comunicato che, in forma di lettera,

venne inviato nel 1966 da parte dei Nuclei di difesa dello Stato (uno dei

gruppi apparteneneti allo stay-behind, operante nell’ambito di Gladio),

a centinaia di ufficiali dell’esercito, esortati a combattere contro la

sovversione interna:

« Ufficiali! La pericolosa situazione della politica italiana esige il vostro

intervento decisivo. Spetta alle forze armate il compito di stroncare

l’infezione prima che essa divenga mortale. Nessun rinvio è possibile: ogni

attesa, ogni inerzia significa vigliaccheria. Subire la banda di volgari

canaglie che pretendono di governarci, significa obbedire alla sovversione

e tradire lo Stato.

Militari di grande prestigio e di autentica fedeltà hanno già costituito in

seno alle forze armate i Nuclei di difesa dello Stato. Voi dovete aderire ai

NDS. O voi aderite alla lotta vittoriosa contro la sovversione, oppure anche

per voi la sovversione alzerà le sue forche. E sarà, in questo caso, la

meritata ricompensa per i traditori. »24

Appello molto significativo, piattaforma di un’aggregazione eversiva

destinata a divenire nei successivi cinque anni – con la benevola

copertura dei servizi segreti – protagonista della cosiddetta strategia

della tensione.25

23 E. Santarelli, op. cit. , p. 147. 24 Giuseppe De Lutiis , I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda repubblica. Roma, Editori

Riuniti, 1998. 25 Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera. Neofascismo e Servizi Segreti da Piazza Fontana a Piazza

della Loggia. Milano, Rizzoli, 2008, p. 24.

26

1.2. “Io a questa roba preferisco l’omicidio”:

dall’Autunno Caldo a Piazza Fontana.

Se dunque già nel ’68 troviamo segnali di radicalizzazione della

violenza in situazioni di scontro aperto, è bene notare che le iniziative

in questo senso, sia quelle dei gruppi della sinistra extra-parlamentare,

sia quelle dei neo-fascisti, furono prese in via preventiva nel clima di

aspra conflittualità sociale che montò nel Paese, pur in un quadro di

sostanziale legalità e rispetto dei diritti civili. Gruppi di estrema destra e

di estrema sinistra cominciarono però ad organizzare la violenza in

previsione dello scontro con il sistema democratico26.

Inizialmente, a muoversi furono piccole minoranze, ancora troppo

marginali per incidere sul quadro politico, ma portatrici di un

messaggio radicale, basato sulla violenza quale mezzo più efficace e più

rapido per modificare i rapporti di potere. Questo messaggio, si diffuse

molto velocemente, riscrivendo alleanze, infrangendo tradizioni ed

esercitando una notevole capacità d’attrazione nei confronti della base

dei partiti, soprattutto il Movimento Sociale e il Partito Comunista.27

La tensione raggiunse il culmine nel novembre del 1969 (sempre

nell’ambito del già citato “autunno caldo”), quando ci fu uno sciopero

generale per il diritto alla casa che registrò manifestazioni ad altissima

partecipazione ma con frequenti episodi di violenza in cui rimase

coinvolto e ucciso , a Milano, il giovanissimo agente di polizia Antonio

Annarumma.

Questo episodio determinò una spaccatura profonda nella società, e

alimentò in maniera dirompente clamorosi gesti d’insubordinazione tra

le forze dell’ordine.

Il dialogo che troviamo nella sequenza numero 15, ci parla di questo:

26 G. Panvini, Op. Cit., p. 20. 27 Ibidem.

27

Biglia vuole parlare dei sui dubbi sul caso Terzi con il Commissario che

intanto cerca di distoglierlo con una delle sue invettive reazionarie « In

questa città non si uccidono solo puttane: qui si uccide l’ordine,

l’equilibrio sociale. In ventiquattro ore tre occupazioni, baraccati,

studenti e insegnanti… insegnanti italiani… in sei mesi hanno

scioperato ottantuno milioni di ore! » Ma Biglia sorvola , insiste

esponendo al Commissario le sue ultime intuizioni sull’omicidio,

escludendo a priori le ipotesi che portano al commissario “che

ovviamente non c’entra.” Il Commissario gli da il via libera per andare

ad indagare anche a casa propria, al che Biglia risponde basito « Ma

allora io posso veramente andare a casa sua? » Il commissario glissa di

nuovo sulla notizia delle occupazioni delle scuole e asserisce

solennemente « Guarda io a questa roba, preferisco l’omicidio.” Biglia

si congeda ma chiede ancora una volta incredulo: “Ma allora se ne ho

bisogno posso proprio andare a casa sua per la cravatta!? »

In questa scena il commissario lo dice palesemente: « Io a questa roba

preferisco l’omicidio », dichiarando in una frase sola sia la propria

colpa (che però non verrà ascoltata dal suo subordinato, incredulo di

poter indagare su un suo superiore), sia l’atteggiamento che molte parti

dello Stato e delle sue istituzioni di difesa assunsero in questo

frangente, in cui si sentirono così drasticamente messe in pericolo e in

discussione.

28

1.2.1 La strage di Piazza Fontana

Tra la fine delle riprese del film e la sua uscita nelle sale, accadde

qualcosa che avrebbe dato a quelle immagini un significato inatteso. La

pellicola uscì infatti in anteprima nei cinema di Milano il 12 febbraio

del 1970, vale a dire a due mesi esatti dalla strage di Piazza Fontana,

avvenuta alle 16:37 di venerdì 12 dicembre 1969, in cui una bomba

esplose alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano.

L’ordigno provocò diciassette vittime e un centinaio di feriti tra clienti

e impiegati.

L’attentato fu solo una parte del piano criminale, che comprendeva

altri tre scoppi, un altro a Milano e altri due nella capitale.

Pluralità e dinamiche degli attentati indicano la volontà di provocare

una strage di proporzioni ancora maggiori di quella alla Banca

Nazionale dell’Agricoltura.28

Se al già tragico bilancio delle vittime si fossero aggiunte quelle

dell’altra banca milanese e di quella romana, senz’altro ci sarebbe stato

un impatto destabilizzante sulla società intera e il governo avrebbe

dichiarato lo stato di emergenza, con il risultato di proiettare i militari

alla ribalta della politica nazionale.29

Fu così che prese il via la stagione della “strategia della tensione” (o

“strategia della sopravvivenza”, come suggerisce invece di chiamarla

Andreotti nel film di Sorrentino Il Divo, del 2008). Lo stesso Francesco

Cossiga affermò: « aveva come fine […] di creare una situazione di

destabilizzazione che rendesse possibili avventure autoritarie o

dittatoriali»30. Di queste “avventure dittatoriali” vedremo più avanti nel

dettaglio (par. 1.3) .

28 Franzinelli, Op. Cit., p. 50. 29 Ivi, p. 51. 30 F. Cossiga, in G. Boatti, Piazza Fontana, Einaudi, Torino 2009, p. 408. (Il testo stenografico completo

dell’audizione di Francesco Cossiga è consultabile all’indirizzo

http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno27a.htm).

29

Affermò invece Norberto Bobbio:

« Nonostante il lungo procedimento giudiziario in più fasi e in più

direzioni, il mistero non è stato svelato, la verità non è stata scoperta, le

tenebre non sono state diradate. Eppure non ci troviamo nella sfera

dell’inconoscibile […] la degenerazione del nostro sistema democratico è

cominciata da lì, cioè dal momento in cui un arcanum, nel senso più

appropriato del termine, è entrato imprevisto e imprevedibile nella nostra

vita collettiva, l’ha sconvolta, ed è stato sconvolto da altri episodi non

meno gravi rimasti altrettanto oscuri. »31

In Indagine Petri prefigura con impressionante precisione le tensioni

originanti e susseguenti la strage, in quanto, anche se concepito in

anticipo rispetto ai tragici fatti del 12 dicembre 1969, il film uscì nelle

sale nei primi mesi del 1970, facendosi specchio distorto e involontario,

dell’affaire piazza Fontana.

La rappresentazione che il film fa del potere, « interamente unificato

nelle mani di chi lo possiede, senza residui, localizzato nell’apparato di

Stato che si esprime attraverso il commissario di polizia e gli altri

funzionari contigui in gerarchia »32, si fa espressione della crescente

insofferenza che la collettività cominciava a nutrire contro le forme di

autoritarismo.

Nel Cinema della nostra vita (Lindau, Torino, 2001 ), Ugo Pirro

afferma che la scena degli studenti portati in questura, nelle sequenze

19 e 20, si potrebbe definire “profetica”, poiché « una bomba scoppia

all’interno della questura e questo attentato provoca une repressione

indiscriminata nei confronti di militanti di estrema sinistra. I cellulari

della polizia scaricano in questura centinaia di giovani che urlano

slogan contro tutti, uno dei fermati viene costretto a mangiare sale come

accadrà allo stesso Commissario nella sequenza finale dl film. E’

quanto accade all’indomani della bomba di Piazza Fontana, i reportage

31 Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1995, p. 108 32 C. Bisoni, op. cit., p. 46

30

dei telegiornali sembravano sequenze strappate al nostro film. La

finzione diventò realtà. »33

La « disgregazione immaginaria e reale dell’idea di Stato »34 aveva

ormai preso il suo avvio e portava con sé conseguenze su due diversi

versanti: l’impunità veniva infatti a sostenere e favorire quei settori o

gruppi dell’esercito, a confermare loro una comunità d’intenti con il

potere politico (o una parte di esso). Essa veniva anche a intaccare in un

sempre maggior numero di cittadini la fiducia nelle istituzioni

democratiche e nella loro capacità di difendersi, alimentando incertezze

e sospetti di collusione tra “potere visibile” e “potere invisibile”.

Poneva di fatto il problema della difesa della legalità democratica nel

caso di una traumatica rottura.35

Con Piazza Fontana nasce infatti il termine “strage di Stato”, figlia

diretta della “strategia della tensione”: un inasprimento forzato dello

scontro sociale, volto a spostare a destra l’opinione pubblica e volto a

costruire “governi d’ordine”, se non presidenzialismi autoritari o aperte

rotture degli assetti costituzionali.

L’elemento di novità rispetto al passato fu proprio la “battaglia di

verità” su Piazza Fontana, in cui gli attori di questa strategia - fatta di

attentati terroristici, aggressioni squadriste e uso illegittimo degli

apparati dello Stato - erano già tutti all’opera. Lo erano anche nella

gestione dell’inchiesta giudiziaria e dei processi, con la funesta

conseguenza che questa sarà anche l’ultima volta in cui la “versione

ufficiale” di questure, magistrature inquirenti e governi, sarà

automaticamente accettata dal Paese, o dalla gran parte di esso. Questa

novità spiega perché si siano introdotte allora modificazioni profonde

negli orizzonti culturali, prima ancora che nello scontro sociale e

politico.36

33 Ugo Pirro, Il cinema della nostra vita, Lindau, Torino, 2001, p.61 34 Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Einaudi, Torino 2003, p.

217 35 G. Crainz,op. cit. , p. 103. 36 Ivi, p. 368.

31

La strage di Stato implicava che gli organizzatori e gli autori materiali

degli atti terroristici fossero, nella quasi totalità dei casi, gruppi

neofascisti che trovavano la attiva copertura di settori significativi degli

apparati dello Stato (servizi segreti, questure, differenti strutture del

ministero dell’Interno – a partire dalla Divisione affari riservati – e così

via).37

La graduale presa di coscienza del fatto che queste tesi avessero un

fondamento reale, ebbe effetti traumatici sulla società italiana. « Per la

prima volta – ha scritto Bocca – gli italiani avevano l’impressione di

essere stati ingannati, traditi dal loro stato. »38

E’ proprio da questo sentimento, da questo trauma collettivo, che Petri

colse l’idea di fondo di Indagine, decidendo come protagonista della

storia un poliziotto assassino e mostrandoci il retroscena, il come si

fosse venuta a creare l’allora paradossale situazione italiana. Lo stesso

carattere ambiguo e schizofrenico del commissario, che prima uccide,

poi , a fasi alterne, cerca di farsi scoprire o di nascondere e distruggere

le prove di quanto ha fatto, è a nostro parere, una perfetta sintesi, e un

riflesso fedele, di ciò che stava accadendo in Italia in quel momento.

« C’è qualcosa che esprime meglio questo clima di paranoia e

incertezza sulle sorti del nostro Paese, e sulle parti in gioco nel conflitto

sociale all’indomani di Piazza Fontana, di un giallo capovolto in cui

l’assassino, custode dell’Ordine, è costretto a confessare, contro ogni

prova evidente della sua colpevolezza, la propria innocenza? » si chiede

Andrea Minuz nel suo articolo « Il doppio Stato e le convergenze

parallele. “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e

Piazza Fontana. ».39

37 Ivi, p. 384. 38 Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano cit., p. 36. 39 A. Minuz, op. cit., p. 23.

32

1.2.2 La morte di Pinelli e l’affaire Calabresi

Indagine fu inoltre implicato, coinvolto in una coincidenza storica che

ha dell'incredibile.

La decisione di Petri di scegliere come protagonista il commissario di

un ufficio politico, andò fortuitamente a sovrapporsi alla funesta

vicenda che seguì immediatamente la strage di piazza Fontana.

La notte del 15 dicembre 1969 infatti, lo stesso giorno in cui si erano

svolti i funerali delle vittime di piazza Fontana, Giuseppe Pinelli, un

ferroviere anarchico fermato per gli attentati dei giorni precedenti,

precipitò da una finestra del palazzo della questura di Milano.40 Erano

presenti quattro sottoufficiali della di Pubblica sicurezza e un tenente

dei carabinieri, ma non Luigi Calabresi, il commissario dell’Ufficio

politico che condusse gli interrogatori, e che sarebbe stato subito

additato dalla sinistra extraparlamentare – e da una parte consistente

dell’opinione pubblica – come il responsabile della morte di Pinelli.41

Comunicata pressoché subito dal questore durante una conferenza

stampa, la morte di Pinelli venne presentata come suicidio seguito

all’ammissione del suo coinvolgimento nell’attentato alla Banca

Nazionale dell’Agricoltura.42

L'attentato coincide con la fine della lavorazione del film.43 Ugo Pirro

dichiara:

« […] Il consenso degli spettatori verso il film veniva alimentato

dall'indignazione montante per quanto avveniva nella questura di Milano e

ovunque. […] A tanta distanza di anni mi chiedo […] come […] fu

possibile che in quella situazione pesante, con le piazze occupate dai

manifestanti e la polizia in difficoltà, lasciassero circolare Indagine su un

cittadino al di sopra di ogni sospetto, ispirato, così sembrava, da quanto

accadeva proprio in quei giorni. »44

40 G. Panvini, op. cit. , p. 82. 41 Ibidem 42 Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Feltrinelli, Milano 1971, p. 52. 43 C. Bisoni, op. cit., p.43 44 U. Pirro, op. cit., , pp. 68-69.

33

Anche se l'effetto di sovrapposizione è fortuito, la morte di Pinelli

legittima un'ulteriore svolta verso una lettura del film in chiave

referenziale, alla ricerca di riferimenti precisi al presente. « Lotta

Continua » appoggia il film suggerendo di identificare il commissario

di Petri e Pirro con Luigi Calabresi, già ritenuto responsabile della

morte di Pinelli.45

Petri e Pirro furono peraltro tra i firmatari della famosa lettera aperta

sul caso Pinelli, pubblicata su L’Espresso il 13 giugno 1971, a cui

settecentocinquantasette personalità del mondo politico e intellettuale

italiano aderirono formulando una serie di accuse a persone che

avrebbero condizionato, a vario titolo, l’iter processuale in favore del

commissario Calabresi. Tra queste persone accusate c’era anche lo

stesso magistrato Giovanni Caizzi che un anno prima aveva negato la

censura di Indagine e che in seguito indagò sulla morte di Pinelli

insieme a Carlo Amati.

Sebbene infatti il film cominci con la dicitura “ Ogni riferimento a

persone o fatti è puramente casuale”, la somiglianza notevole del

protagonista con il commissario Calabresi, mai confermata dagli autori,

proprio nel momento dell'istruttoria sulla morte dell'anarchico Pinelli,

portò ad una richiesta di sequestro della pellicola da parte della questura

di Milano, fortunatamente poi invalidata dal giudice.46 (Per il testo

completo si rinvia ai documenti II e III in Appendice).

Come sappiamo però, la storia non perdonò nulla a nessuno:

l’anarchico Valpreda fu arrestato per poi essere dichiarato innocente ben

dieci anni dopo; il commissario Calabresi fu assassinato da membri di

Lotta continua il 17 maggio del 1972; Adriano Sofri, accusato di essere

il mandante dell’omicidio, passerà ventidue anni in carcere, nonostante

si sia sempre dichiarato innocente.

Non fu quindi un caso che, dopo il successo di Indagine, Petri si

45 C. Bisoni, p.43 46 U. Pirro, op cit., p. 70, cfr. supra par. 1.2.2.

34

impegnò nel progetto Documenti su Giuseppe Pinelli, un documentario

collettivo ideato dal “Comitato dei cineasti contro la repressione” e

distribuito attraverso i canali del PCI e del movimento studentesco,

realizzato all’indomani della misteriosa morte di Pinelli. Con un gruppo

di pochi attori, tra cui Gian Maria Volontè, Petri ricostruiva qui e

metteva a confronto, per mostrarne i paradossi, le diverse spiegazioni

date dalla polizia per giustificare il “suicidio” di Pinelli.47

Gli attentati minarono insomma la credibilità nelle istituzioni

provocando un distacco tra queste e la società civile. Le macchinazioni

che segnarono le indagini degli organi inquirenti sui responsabili degli

attentati, a cui si aggiunge l'episodio gravissimo della morte di Pinelli, e

la presenza di settori dei servizi segreti e delle forze dell'ordine

compromessi con gli attentatori e sfuggiti al controllo istituzionale,

posero il drammatico interrogativo se e come fosse lecito il ricorso alla

violenza e se lo Stato, come sembrò, non fosse più in grado di

esercitarne con sicurezza il monopolio.48

L'invocazione della guerra civile come soluzione per fare uscire l'Italia

dalla crisi e salvarla dal comunismo, già comparsa dall’inizio dei

movimenti studenteschi, si ripropose nuovamente e con più frequenza

dopo la strage di piazza Fontana, a riprova del “pervertimento” delle

relazioni politiche che quel fatto introdusse nella vita pubblica del

Paese.49

Questa analisi della situazione nazionale ed internazionale era

condivisa da larghi settori del neofascismo: l’avanzata su scala globale

del nemico comunista imponeva infatti il “serrate le file” di tutto

l’Occidente50, come approfondiremo nel paragrafo successivo.

47 A. Minuz, op. cit. , p. 24 48 G. Panvini, op. cit., p. 87. 49 G. Panvini, op. cit., p. 122. 50 Ibidem, p. 23.

35

1.3 "Rumor di sciabole" : la paura dei colpi di stato

e il neofascismo

Un ulteriore fattore che caratterizzò la Weltanschauung del periodo

che si sta prendendo in considerazione, fu la paura e l'allarme per un

eventuale colpo di stato in Italia, una vera e propria psicosi che si

diffuse sia nel discorso pubblico, con film come Colpo di Stato di

Luciano Salce, sia a livello politico (soprattutto nella sinistra) come

dimostra il saggio pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli, intitolato

„Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale e

autoritaria a destra di un colpo di stato all’italiana.51

Paura e allarme giustificati, a livello internazionale, dai ben

cinquantasette colpi di stato avvenuti nel mondo tra 1960 e il 1969,

nella maggior parte dei casi in Asia, Africa e Sudamerica.52

Ulteriore giustificazione a questo timore diffuso furono altri tre

fondamentali fatti storici:

il Piano Solo nell'estate del 1964, il golpe dei colonnelli avvenuto in

Grecia il 21 aprile 1967, e il tentato golpe Borghese la notte tra il 7 e l'8

dicembre 1970.

Il Piano Solo (chiamato così in quanto vi avrebbero dovuto agire solo

gli appartenenti all'Arma dei Carabinieri) fu il primo disegno golpista

nella storia della Repubblica. Escogitato nel bel mezzo della crisi di

governo che vedeva Aldo Moro come presidente , e Pietro Nenni come

vicepresidente, dell'altrettanto primo governo di centro-sinistra della

storia dell'Italia repubblicana: il cosiddetto centro-sinistra organico,

formato da DC, PSI, PSDI e PRI.

La crisi di governo fu causata in primis dalle proposte di

51 Giangiacomo Feltrinelli, Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a

destra di un colpo di stato all’italiana, Feltrinelli, Milano, 1969. 52 G. Panvini, op. cit. , pag 61

36

pubblicizzazione parziale dei suoli e lo scontro sul finanziamento

pubblico alla scuola privata, le quali mostrarono una « congenita e

crescente carenza di forze e direttrici strategiche adeguate agli enunciati

in programma. »53

Fu così che, approfittando della crisi politica, il 15 giugno del 1964, il

generale De Lorenzo, comandante dell'arma dei carabinieri ed ex capo

del Sifar (il servizio segreto delle Forze Armate) impartì agli ufficiali

presenti a Roma in occasione del 150° anniversario dell'Arma, una serie

di direttive, quali l'arresto di un certo numero di persone e

l'occupazione di una serie di centri nevralgici.54

In questo drammatico frangente, il presidente Antonio Segni ebbe un

colpo apoplettico che lo portò alla morte.55

E’ solo nel 1967 che, grazie ad un’inchiesta condotta da “L’Espresso”

(cfr. par. 1.1) , venne alla luce quel “rumor di sciabole” come lo definì

Pietro Nenni, che fece pronunciare all’onorevole Luigi Anderlini una

simile frase:

“Abbiamo tutti corso il rischio di vivere, nel 1964, una notte come

quella che hanno vissuto gli uomini politici in Grecia”.56

Una Commissione d'inchiesta nominata nel gennaio 1968, sarebbe

giunta alla conclusione che scopo del Piano Solo era quello di creare

"un particolare stato psicologico atto a favorire la soluzione della

crisi57". La successione degli avvenimenti conferma l'ipotesi che esso

servì soprattutto come strumento di pressione.

Gli umori che fermentavano nell'esercito venivano così a collegarsi ai

processi che attraversavano il movimento neofascista negli anni

sessanta. Si delinearono allora fra i giovani, diverse forme di autonomia

– come l’MSI - e crebbe l'iniziativa dei gruppi più radicali: Ordine

53 E. Santarelli, op. cit., p. 133 54 Aurelio Lepre, Storia della prima Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 207 55 Ibidem 56 Montecitorio, 3 maggio 1967, Atto Parlamentare 57 A. Lepre, op. cit. , p. 208

37

nuovo, Avanguardia Nazionale , Giovane Europa, e così via.58

Nel 1967 il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia fornirà a questa

azione un ulteriore modello e ulteriore convinzione.

Il generale De Lorenzo e i suoi collaboratori godettero di un’impunità

che ebbe come conseguenze dirette il rivelare una scarsa capacità del

potere “visibile”di sventare complotti e congiure, e al tempo stesso

l’assestarsi di una “falda sotterranea di comparti delle forze armate il

cui lealismo istituzionale non riesce a reggere i socialisti al governo e i

comunisti al 25% dei voti”59, e quindi poi la strategia della tensione e le

stragi di stato.

Ad Atene, la notte tra il 20 e il 21 aprile 1967, un gruppo composto da

undici generali guidati da Georgios Spantidakis, comandante

dell'esercito greco, insieme ad un gruppo di ufficiali comandati dal

colonnello Georgios Papadopoulos, con il consenso del re Costantino II,

attaverso l'occupazione del Ministero della Difesa da parte di un

reggimento di paracadutisti con a capo il maggiore Georgios

Kostantopoulos, attuò un colpo di stato il quale sancì ufficialmente

l'inizio della dittatura dei colonnelli, destinata a durare per altri sette

anni, fino al luglio del 1974.

Durante il periodo in cui rimase al potere, la giunta militare soppresse

le normali libertà civili. I partiti politici vennero sciolti e vennero

istituiti tribunali militari speciali. Migliaia di supposti comunisti e di

oppositori politici vennero imprigionati o esiliati in remote isole

dell'arcipelago greco60. Osservatori inviati segretamente in Grecia da

Amnesty International, rilevarono che la tortura era una pratica usata

comunemente sia dalla polizia ordinaria che dalla polizia militare.61

58 G. Crainz, op. cit., p. 103 59 S. Lanaro, Storia dell’Italia Repubblicana, p. 328. 60 Www.osservatoriodemocratico.org, ultima consultazione: 29/10/2014. 61 Ibidem.

38

Scriveva Luca Pavolini su “Rinascita”:

« Migliaia, decine di migliaia di cittadini arrestati e chiusi in campo di

concentramento, le organizzazioni e i partiti di opposizione disciolti, la

costituzione e i diritti civili liquidati, l’ordine imposto con le autoblindo […]

E’ un paese della Nato a liquidare brutalmente tutto ciò per cui la Nato

afferma di esistere: la difesa della libertà, della democrazia, del sistema

elettorale e parlamentare. »62

Per la prima volta dal dopoguerra un paese europeo passava da un

regime parlamentare ad una dittatura. Fattore che destò fin da subito

molto interesse nell'estrema destra italiana che vide nel regime greco

l'esempio e il laboratorio politico dove poter sperimentare tecniche e

strategie per i suoi piani anti-insurrezionalisti da attuare in patria. Pino

Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, si recò in Grecia appena un mese

dopo il golpe, tornandovi a più riprese.

“Atene, Atene, e presto Roma viene”, si griderà a lungo nei cortei e

nei comizi promossi dal Movimento sociale italiano e dalle sue

organizzazioni giovanili63.

Oltre ai campi militari scoperti in Puglia, Friuli Venezia Giulia e

Veneto, ci sono prove di addestramenti di neofascisti italiani avvenuti

ad Atene, addestramenti all’uso di esplosivi e sulle tecniche della

guerriglia urbana.

Particolarmente significativo fu in questo ambito un viaggio di ben

quarantanove esponenti di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale,

Europa Civiltà e Nuova Caravella (l’organizzazione universitaria

dell’MSI), compiuto tra il 18 e il 25 aprile del 1968, nel primo

anniversario del golpe.

Tra loro, oltre a Pino Rauti, Adriano Tilgher, Mario Merlino e Giulio

Maceratini.64

62 Luca Pavolini, Gli alleati colonnelli, in « Rinascita », 5 maggio 1967. 63 G. Crainz, op. cit., pag. 154 64 Giuseppe De Lutiis, op. cit., pag. 9

39

Avvenne così che le cellule terroristiche vicine a Ordine Nuovo,

ricevettero una vera e propria formazione per la guerra civile , grazie

anche al supporto di ex militari della Repubblica sociale e della X MAS

e, persino, di ufficiali dell’esercito e della NATO vicini a Gladio,

disponibili a considerare positivamente l’eventuale ausilio di gruppi

neofascisti armati, in caso di invasione delle truppe sovietiche.65

Risalgono a quegli anni anche i "proficui rapporti" tra il Sid, il

Servizio Informazioni e Difesa italiano, e il Kyp, il servizio segreto dei

colonnelli greci.

Fin dai primi mesi il Sid mandò suoi agenti per stabilire i primi

contatti, e qualche mese dopo ci fu la celebre "crociera di studio" di

duecento fascisti italiani fra i quali troviamo ancora una volta Rauti,

Merlino, e Delle Chiaie, viaggio organizzato in comune accordo dai due

servizi segreti.66

Sarebbe lecito supporre che, dopo il tentato colpo di stato da parte di

De Lorenzo, il Sid avrebbe dovuto agire, per un considerevole periodo,

in maniera più cauta e "pentita": ciò non avvenne per nulla e anzi fu

proprio in questo periodo che le "deviazioni" all'interno del servizio,

assunsero aspetti sempre più gravi, che poi culmineranno nelle stragi e

negli altri torbidi episodi del periodo che va dal 1969 al 1974.67

L’aggettivo “torbido“ se lo merita sicuramente un altro episodio: il

cosiddetto “Golpe Borghese“, ovvero il secondo tentativo di colpo di

stato nell’Italia di quegli anni.

Cosa successe quella notte tra il 7 e l‘8 dicembre 1970 non è mai stato

chiarito veramente, e forse non fu chiaro nemmeno ai protagonisti stessi

della vicenda, primo tra tutti il “Principe Nero“ Junio Valerio Borghese.

Ex comandante della X MAS e promotore del tentato golpe , egli fu

pedina in un gioco più grande di lui, che infatti gli fu

65 M. Franzinelli, op. cit., p. 16 66 G. De Lutiis, op. cit., pag. 10 67 Ibidem

40

programmaticamente tolto di mano al momento dell’attuazione del

piano, quando si rese conto, o fu avvertito, che stava per cadere in una

trappola e che il golpe sarebbe stato utilizzato per mettere fuori gioco

gli ambienti più compromessi della destra eversiva68. Oppure, secondo

la testimonianza di Amos Spiazzi, colonnello dell’esercito che avrebbe

dovuto agire a Milano, fu tutta una grande messa in scena chiamata

Esigenza Triangolo, ideata dal governo democristiano per poter

emanare leggi speciali.69

A dimostrazione dell’esistenza dei suddetti “giochi più grandi”, la

commissione parlamentare d‘inchiesta sulla Loggia P2 (istituita nel

1981), raccolse alcuni indizi secondo cui fu Licio Gelli, capo massone e

eminenza grigia della loggia segreta, ad impartire il contrordine ai

complottisti per farli rientrare nei ranghi.70

Gli obiettivi del Golpe Borghese erano molto simili a quello del Piano

Solo, ovvero gruppi clandestini armati in stretti rapporti con le Forze

Armate, avrebbero dovuto attuare, in accordo con diversi vertici militari

e membri dei Ministeri, l’occupazione del Ministero dell’Interno, del

Ministero della Difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione

(radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel

Parlamento.

Diverse centinaia di congiurati si concentrarono a Roma nella notte tra

il 7 e l’8 dicembre, e con azioni simili in diverse città italiane; il golpe

era in fase avanzata di esecuzione, quando, improvvisamente, Valerio

Borghese ne ordinò l’immediato annullamento.71

Negli anni successivi si tentò insistentemente di avvallare e diffondere

nell’opinione pubblica, l’ipotesi che si fosse trattato solamente

68 Ivi, p. 108 69 Maurizio Dianese, Gianfranco Bettin, La strage. Piazza Fontana. Verità e memoria, Milano, Feltrinelli,

2002, p. 165 70 De Lutiis, op. cit., pag 108 71 Ivi, pp. 108-109-110

41

dell’operazione grottesca di un manipolo di nostalgici vegliardi72,

ipotesi accolta e suggellata nel film di Mario Monicelli del 1973,

“Vogliamo i colonnelli”.

Tuttavia, come si è già visto, ciò non rispecchia affatto la realtà, e,

come quasi sempre è accaduto nella storia della Repubblica, erano

coinvolti organismi, associazioni e poteri ben più grandi e seri, come ad

esempio la Cia, rappresentata in Italia dall’ingegner Hugh Fenwick,

indicato poi durante le successive indagini effettuate dal Sid stesso,

come l’intermediario tra Borghese e Nixon, il quale avrebbe promesso

un tangibile appoggio al golpe.73

Commenta e sintetizza in modo appropriato a questo proposito il

giudice Salvini:

«…il quadro di uno stato parallelo in cui civili, carabinieri e militari italiani

e militari americani, risultano comunemente impegnati nella prima metà

degli ’70 nel progetto di creazione di uno Stato “forte”, deciso ad impedire

in qualsiasi modo una possibile vittoria elettorale della sinistra. Ne esce

quindi il quadro del nostro Paese come uno stato a sovranità limitata in cui

le decisioni vengono concordate d’intesa con gli Alti Comandi di un altro

Stato […] è forse l’esempio più indicativo dell’organicità dei legami che

negli anni ’70 sono stretti fra organizzazioni eversive, alti esponenti

dell’Esercito e dei Carabinieri e addirittura ufficiali della NATO, del loro

ruolo di controllo della politica italiana e dello stretto mantenimento del

nostro Paese nel campo Atlantico e anticomunista. »74

A questo punto ci sembra che il quadro degli eventi che si

susseguirono nei dieci anni che intercorrono tra il 1964 e il 1974, possa

essere ricomposto con sufficiente precisione.

E’ anche a causa delle somiglianze tra i due tentativi di golpe italiani e

quello greco, che si può affermare quindi che quelli che all’epoca

apparivano distinti tentativi eversivi, si dimostrarono invece come

“allertamenti” di gruppi estremisti da parte di organismi che

72 M. Dianese, G. Bettin, op.cit., p. 167 73 De Lutiis, op. cit., p. 109 74 Sentenza ordinanza del Giudice Guido Salvini, 1995, Cap. XXIV, p. 219

42

intendevano serbare sempre pronta la carta del golpe, o per usarla come

estremo rimedio o per agitarla come arma di ricatto.75

L’idea del complotto, l’ipotesi e l’esistenza di “buchi neri” nella storia

nazionale, tipiche delle narrazioni dei film politici italiani dagli anni

Settanta ad oggi76, e specificatamente nell’opera dai noi presa in esame,

si fondano sulla correlazione occulta tra le diverse serie di eventi citati e

e le indagini che nascevano su di esse, che creavano quindi una

giustificazione alla loro esistenza.

Ad esempio, qualche anno dopo l’ultimo tentativo di golpe italiano, le

indagini chiarirono che l’organizzazione della struttura eversiva non

solo non era stata smantellata ma aveva continuato a funzionare,

aggiornando continuamente la data del golpe, come abbiamo già visto,

ma , ancora più fondamentale, portando alla luce l’esistenza di una

struttura parallela all’interno dell’apparato statale che operava d’intesa

con il Sid, e formata da militari e civili per fini sicuramente non

costituzionali.77

Organizzazioni come la Rosa dei Venti, o la Gladio di Licio Gelli,

scoperte solo successivamente, prendevano direttive da questa struttura

parallela mettendo in pratica veri e propri atti eversivi. Esse erano

dirette emanazioni di un servizio segreto sovranazionale della Nato che

si sovrapponeva agli ordini istituzionali dello Stato.78

Questi organismi avevano in comune la psicologia di base di chi vi

aderiva. I suoi adepti si sentivano principalmente membri di una

struttura internazionale in cui un blocco di nazioni – il mondo

occidentale o, se si preferisce, il mondo capitalistico – era in guerra, sia

pure celata, con il mondo comunista79. Essi inoltre non si ponevano

nessun problema di rispetto del giuramento di fedeltà alla repubblica e

75 De Lutiis, op. cit, p. 131 76 Bisoni, op. cit., p. 47 77 De Lutiis, op. cit, p. 114 78 Ibidem 79 Ivi, p. 120

43

alla sua Costituzione, perché la motivazione dello “stato di necessità” o

delle “ragion di Stato” (ecco di nuovo la “strategia della sopravvivenza”

dell’Andreotti Divo di Sorrentino) era assolutamente prioritaria. Anche

le violazioni del codice penale trovavano quindi piena giustificazione.80

Era una logica da guerra fredda, ma era la logica che per decenni

guidò le azioni degli aderenti a questa struttura occulta. I membri delle

organizzazioni erano insomma una strana commistione di militari

militanti e di militanti non giuridicamente militari che erano anch’essi

così addentro all’ambiente delle forze armate da potersi facilmente

mimetizzare in esso.81

In Indagine Petri denuncia chiaramente questo atteggiamento doppio e

deviato delle forze armate italiane, nella sequenza 7, quando il

Commissario si reca dal capo della polizia per avanzare alcune richieste

“straordinarie” in virtù del suo nuovo ruolo di capo dell’Ufficio

politico:

« Questa formazione di centro-sinistra dell’anno in corso potrebbe

anche diventare la Caporetto di chi governa. Nel Paese c’è tensione,

tensione! Io sarei più tranquillo, se l’organico a mia disposizione fosse

più numeroso. Insomma io avrei bisogno di un centinaio di uomini in

più e di più fondi per poter pagare meglio gli informatori. » « Ne

parlerò al Ministro » risponde l’altro. Il commissario avanza altre

proposte poco ortodosse e non legali, per stabilire con suddetti

confidenti un rapporto più “confidenziale”. Il capo della Polizia

acconsente a tutto ma non senza sottolineare « Io però ufficialmente

non ne so niente. »

Subito dopo il Commissario confessa apertamente al superiore di aver

avuto una relazione con Augusta Terzi, proponendogli di informare gli

inquirenti della circostanza, ma ricevendo in cambio solo solidarietà

maschile e ammiccamenti maliziosi.

80 Ibidem 81 Ibidem

44

1.3.1 Le schedature politiche

Utilizzo di infiltrati, intercettazioni illegali, detenzioni irregolari, schedatura

di ogni soggetto sociale: sono gli aspetti su cui la storia di Indagine si

sofferma con forti richiami alle molteplici forme di controllo di cui lo Stato si

serviva.

Numerose sono infatti le scene girate nei sotterranei della questura dove, con

una descrizione in bilico tra inchiesta documentata e visione distopica, viene

mostrato, oltre alle stanze per gli interrogatori, un sistema di spionaggio che

tutto può sapere e registrare della vita degli individui attraverso tre spazi

operativi: l’archivio centrale, la sala delle intercettazioni e “l’elaboratore”

(una sorta di proto-computer)82.

L’archivio centrale è illustrato meticolosamente nella sequenza 6 in cui un

collega mostra al neo-capo dell’Ufficio Politico, come ogni gruppo,

personaggio, attivista politico ha il proprio faldone nell’archivio: « In questa

zona ci sono i comunisti, vengono poi i partigiani, i trotzkisti, i maoisti, fino

agli anarchici. » « E i partiti di governo? » « Di qua. Qui abbiamo le varie

correnti cattoliche, e in fondo i socialisti democratici, fino alle opposizioni di

Destra. »

Insomma, ci sono proprio tutti.

La sala delle intercettazioni viene più volte mostrata come un luogo

kafkiano e sotterraneo dove centinaia di impiegati ascoltano e registrano di

continuo conversazioni telefoniche (come abbiamo già visto nel paragrafo

1.1.1 a proposito della sequenza 14, e come si può vedere ancora nelle

sequenze 6, dove il commissario usa l’ ”elaboratore” per procurarsi i dati di

Antonio Pace dicendo « Supponiamo che l’omicidio Terzi sia a sfondo

politico. »).

Il riferimento è al reale Casellario politico centrale, storico strumento usato

dallo Stato italiano per schedare i “sovversivi” sin dai tempi di Crispi e

82 C. Bisoni, op. cit., p.49

45

divenuto poi uno dei perni della struttura repressiva fascista.83

Negli anni della Repubblica, l’attività del Casellario fu sempre negata dal

ministero degli Interni , fino a tempi recentissimi, anche se è ampiamente

testimoniato che continuò, a discapito delle nuove leggi che tutelavano la

riservatezza dei cittadini.84

Noi crediamo che la rilevanza data nel film a questo strumento di raccolta e

archiviazione delle informazioni private, sia dovuta all’intenzione di Petri di

sottolineare come il controllo organico del passato di ogni individuo sia

imprescindibile e necessario ad ogni forma di potere.

« Cerca di ricordare le cose che hai dimenticato, le cose più vergognose e

pensa che io posso sapere tutto di te. Perché lo Stato mi offre tutti i mezzi per

mettere a nudo un individuo, e io voglio farti credere di sapere tutto di te. E

così facendo, faccio scattare in te il meccanismo del complesso di colpa. […]

Solo se confessi tutto, le tue debolezze, le tue vergogne quotidiane, tu puoi

avere il mio perdono e la mia protezione. » Dice il Commissario ad Augusta

nella sequenza 10b.

Secondo Bisoni in Indagine si possono distinguere due “regimi icnologici”

da cui è possibile analizzare questo fenomeno.

Il primo, palese e scoperto, è dominato dalla logica del “panottico

poliziesco”: chi registra, spia e archivia è sempre in primo piano, ben visibile

e ogni cosa può diventare segno di colpevolezza85.

Il secondo, più nascosto e occulto, ha bisogno che ci si addentri nei

meccanismi del potere, e qui tutto si rovescia: « essere lo strumento del

potere e poter fare del potere uno strumento pienamente disponibile, a portata

di mano, significa collocarsi al di sopra di ogni sospetto, fuori da ogni

possibilità di lasciar traccia, di produrre comportamenti leggibili come indizi.

»86

Fin dalla prima sequenza infatti il commissario cerca in ogni modo di

83 G. Crainz, op. cit., p.107 84 Ibidem 85 C. Bisoni, op. cit., p. 51 86 Ivi, p. 52

46

elaborare prove per decretare la propria responsabilità, attraverso tracce di

tutti i tipi (come le impronte digitali o delle sue scarpe nel sangue della

vittima, le fotografie che ritraggono Augusta a casa sua, il filo della cravatta

azzurra lasciato apposta sotto l’unghia del cadavere) affiancando, di tanto in

tanto, qualche gesto incoerente e contraddittorio di depistamento.

Egli vuole « sancire l’inattaccabilità del potere, vuole archiviarla, e sa che

per farlo deve riuscire a firmare in modo autografo il delitto. »87

E’ esattamente per questo motivo che egli registra la sua confessione su di

un nastro che ascolta in modo ossessivo, quando si ritrova da solo nella sua

austera dimora (sequenza 11) : « Alle ore 16 di domenica 24 agosto, io ho

ucciso la signora Augusta Terzi […]. Ho una sola attenuante: la vittima si

prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi, dappertutto, non

per fuorviare le indagini. Ma per provare la mia insospettabilità. »

Il suo scopo appare però “strutturalmente impossibile” (motivo di grande

eccitazione per Augusta e, da un certo momento in poi, di delirio

autodistruttivo per il Commissario). Colei che pagherà con la vita questo

meccanismo lo esprime chiaramente nella sequenza 16b: « Tu per essere

preso, un delitto lo devi firmare con nome e cognome se no chi ci pensa a te?

» « Augusta, non mi spingere all’illegalità, è così facile nella mia

condizione…» risponde lui88.

I fatti storici fin qui presi in considerazione sono la causa e la materia stessa

di cui si alimentava quindi l’immaginario complottistico degli anni Sessanta

e Settanta; i temi della violazione della privacy, della registrazione e dello

spionaggio dei privati cittadini, si vanno ad aggiungere ed unire a narrazioni

come Indagine, incentrate sul « topos della macchinazione/inganno ai danni

delle istituzioni democratiche. »89

87 C. Bisoni, op. cit., p. 52 88 Ibidem 89 Ivi, p. 50

47

« La polizia della Repubblica italiana - ricorda Elio Petri - nei venticinque

anni successivi alla caduta del fascismo, nonostante l'abolizione della pena

capitale, ha perpetrato nelle strade e nelle piazze decine e decine di condanne

sommarie contro masse indifese di operai e di contadini colpevoli

unicamente di lottare contro la miseria e l'ingiustizia. Nessun poliziotto ha

mai pagato per tutti questi morti. Io provavo, e provo tuttora, un odio

profondo nei confronti dei mandanti - appartenenti alle classi dominanti - e

degli esecutori di questi assassinii. Tuttavia nel film mi interessava

soprattutto descrivere il meccanismo che garantisce l'immunità ai servi del

potere. Volevo fare un film contro la polizia, ma a modo mio. »90

90 J. Gili, Le cinéma italien, ed. 10/18, Paris 1978, p. 190

48

Spirito è la vita che taglia nella propria carne:

nel suo patire essa accresce il suo sapere.

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra

2. CORPI E POTERE

2.1 Nevrosi del potere

Questore: « Una scissione. Una dissociazione. Una nevrosi. »

Commissario: « Comunque una malattia contratta durante l'uso permanente e

prolungato del potere. » (Sequenza 25)

Se nella “trilogia della nevrosi” di Petri Indagine occupa il posto di “nevrosi del

potere”, mentre La classe operaia va in paradiso quella di “nevrosi del lavoro” e

La proprietà non è più un furto quella di “ nevrosi del denaro”, scopo di questo

capitolo sarà quindi quello di esaminare da vicino come il potere entri a muovere

gli ingranaggi della narrazione.

Seguendo questo livello di analisi possiamo affermare che il bipolarismo del

personaggio inventato da Petri è metaforico del bipolarismo che caratterizzava la

società italiana, la giustizia italiana, il potere all'interno dello Stato italiano.

Bipolarismo appunto, come prassi investigativa in tutte le vicende affrontate nel

capitolo 1.

Come dichiarò Petri stesso, in un’intervista su “Cineforum” nel 1970: « La

componente patologica è sostanziale nell’uomo di oggi, c’era fin dal personaggio

de L’assassino, e in qualche modo è presente in tutti noi: lo “sdoppiamento” è la

fase attuale di ciò che ieri era soltanto alienazione o nevrosi, e oggi è quasi

schizofrenia ».91

91 G. Gambetti (Intervista a cura di), op.cit., p. 108.

49

La denuncia è chiave essenziale del film perché, pur senza offrire nulla di nuovo

a quanto emerso da inchieste giornalistiche e processi, stabilisce un rapporto

immediato con la realtà entro cui si inquadra la vicenda, restituendo al pubblico il

senso dell’esperienza diretta.92

Il discorso sugli sconvolgenti aspetti della gestione arbitraria del potere è dunque

chiaro, preciso e convincente; la complessità ambigua del potere in Italia è ben

rappresentata così come quella che si manifestava a livello globale e che il

Sessantotto ha messo in discussione in qualità di movimento antisistemico.

Indipendentemente dalle categorie con cui l’esperienza sessantottesca fu letta ed

elaborata da quanti ne furono i protagonisti, nonché dalla liquidazione da parte dei

carri armati sovietici di un’esperienza come quella della primavera di Praga, la

grande circolazione delle idee e dei comportamenti sociali che caratterizzò i

movimenti di quell’anno, articolò oggettivamente una critica radicale del suddetto

bipolarismo, così come anche di quello che divideva il mondo.93

Anche limitando la nostra analisi ai paesi dell’Occidente capitalistico, occorre

notare che i movimenti degli anni a ridosso del Sessantotto determinarono la crisi

degli equilibri su cui era stato edificato nel ventennio precedente lo Stato sociale

democratico, ponendo al tempo stesso in discussione alcuni dei concetti

fondamentali del pensiero politico moderno: da quello di potere a quello di

soggetto.94

Un nuovo discorso sul potere cominciò ad articolarsi di pari passo con le critiche

portate dalle rivolte studentesche e operaie alla società di massa.

Da questo scenario trasse in primo luogo notevoli spunti innovativi il dibattito

marxista a cui Petri aderiva totalmente come iscritto al PCI fin dalla sua prima

giovinezza, come possiamo leggere in una sua diretta testimonianza:

« Dunque non dimentichiamo che erano anni di guerra e di dopoguerra. Le

strade puzzavano ancora di morte e di fascismo. Sotto le macerie c’erano

92 Sandro Zambetti, Il poliziotto a tre dimensioni, “Cineforum”, n. XCII – XCIII, maggio- agosto 1970,

p. 115. 93 Carlo Galli (a cura di), Manuale di storia del pensiero politico, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 576. 94 Ivi, p. 577.

50

cadaveri e le istituzioni esalavano fascismo. C’erano le scoperte

dell’adolescenza, che per noi erano doppie, poiché alla scoperta di tutto quello

che ci aveva preceduto, si univa la scoperta delle cose che il fascismo aveva

proibito e nascosto. Se feci, quindi, una scuola fu per le strade, nelle cellule del

partito comunista, nei cantieri del genio civile, al cinema, al varietà, nelle

biblioteche comunali, leggendo i giornali e le riviste di partito, amando

Politecnico, facendo scuola di partito, nelle lotte dei disoccupati, in camera di

sicurezza, anche a Regina Coeli, negli scontri con la polizia, nelle sparatorie,

nei linciaggi, nei postriboli, negli studi dei pittori della mia età, in tipografia, da

Rosati a Piazza del Popolo, nei cineclub, nei comizi, tra coloro che a quel

tempo venivano ancora chiamati rivoluzionari di professione. I miei testi li

trovavo nelle sezioni del partito comunista e sui carrettini dei libri usati. »95

Dai film di Petri emergono infatti strati della politica ancora più sotterranei: i suoi

lati ossessivi, i suoi aspetti di dispositivo fantasmatico, le descrizioni della

condizione kafkiana del potere e dei servitori del potere (come vedremo meglio

nel terzo capitolo). Come afferma efficacemente Maurizio Grande, « l’intenzione è

quella di amplificare i fantasmi del potere nella maschera del politico, o nel

politico come maschera del desiderio e delle perversioni, mostrando gli spazi

chiusi e claustrofobici nei quali si celebrano i riti del potere politico ».96

Se da una parte quindi il Sessantotto determinò una forte ripresa di interesse

soprattutto per le correnti eterodosse del marxismo storico (dal giovane Lukács a

Korsch, dai francofortesi a Bloch, da Rosa Luxemburg ai teorici consiliari),97 non

va dimenticato che proprio in quegli anni si manifestò l’influenza di testi chiave

per lo sviluppo di quelli che presero a chiamarsi i neomarxismi occidentali:

L’opera collettanea Leggere il capitale (1965) di Louis Althusser; la prima

edizione de La societé du spectacle (1967) di Guy Debord, manifesto di

quell’Internazionale Situazionista che fu uno dei più importanti movimenti

95 Alfredo Rossi, Elio Petri, in « Il Castoro Cinema », La Nuova Italia, LXVII – LXVIII, 1979, p.3. 96 Maurizio Grande, Eros e politica, sul cinema di Bellocchio Ferreri Petri Bertolucci P. e V. Taviani,

Siena, Protagon Editori Toscani, 1995, p. 28. 97 C. Galli, op. cit., p. 577.

51

rivoluzionari in campo politico e artistico della seconda metà del Novecento;

L’uomo a una dimensione (1964) di Herbert Marcuse rapidamente divenuto un

libro di culto negli ambienti del movimento studentesco sulle due sponde

dell’Atlantico.

Venne a crearsi quindi una critica sociale che aveva come colonne portanti idee

quali l’antiautoritarismo, la rivalutazione del desiderio, la demistificazione

irriverente e il détournement o “sviamento” di tutti i valori estetici e ideologici.

« Una confortevole, levigata, ragionevole democratica non-libertà prevale nella

civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico. »98 scrive Marcuse per

descrivere la società dei consumi o dello spettacolo come invece la definisce

Debord che ne sottolinea ulteriormente l’aspetto di insensatezza mediatica priva di

significato e caratteristica principale della contemporaneità politico-filosofica. Tale

spettacolo «è il sole che mai tramonta sull’impero della passività moderna. Esso

copre l’intera superficie del pianeta e si immerge senza fine nella propria gloria».99

Simili elementi di critica sociale troviamo anche all’interno dell’Anti-Edipo,

primo dei due volumi intitolati Capitalismo e schizofrenia (1972) di Gilles

Deleuze e Felix Guattari, dove trova una sua sistemazione la complessa tematica

di un’antropologia politica del desiderio, che inaugurò la critica della psicoanalisi

attraverso quella che potremmo definire una economia politica del desiderio.

Desiderio, innanzitutto, contro il Capitale, dunque i flussi delle “macchine

desideranti” contro l’asservimento del corpo alla macchina industriale e al

dispositivo psicoanalitico freudiano.100

Se la parola d’ordine del Sessantotto era stata Contestazione, quella degli anni

Settanta è Liberazione, con una conseguente antropologia immaginaria della

liberazione anche nel cinema politico italiano, e legami molto stretti con

l’ideologia della liberazione del desiderio: desiderio sessuale in primo luogo,

desiderio di una comunità senza confini al suo interno e senza separazione dei

98 Herbert Marcuse, L' uomo a una dimensione : l'ideologia della societa industriale avanzata, Torino,

Einaudi, 1967, p. 12. 99 Guy Debord, La Société du Spectacle, Gallimard, Paris, 1992, af. 13, p. 21 100 M. Grande, op. cit., p. 29

52

linguaggi, in secondo luogo.101

Le “cattive” passioni, le pulsioni deviate, vengono individuate alla base di

istituzioni come la famiglia, l’esercito e la polizia.102

All’interno di questo panorama politico filosofico si venne a formare quella che

crediamo la teoria più appropriata per analizzare ed interpretare la vicenda narrata

in Indagine, ovvero quella dell’intellettuale e filosofo francese Michel Foucault.

Nella biografia intellettuale e politica di Foucault la contestazione francese del

maggio del Sessantotto, il punto più alto della contestazione studentesca in

Europa, fu un decisivo momento di svolta.103

Fin dalla pubblicazione di La storia della follia nell’età classica (1961), egli si

era imposto come uno dei più brillanti giovani intellettuali francesi. Nel clima

culturale determinato dalla crescente diffusione dello strutturalismo, Foucault

aveva avviato proprio nel ’61 quella “storia critica del presente” a cui avrebbe

successivamente ricondotto l’intero sviluppo della propria ricerca.104

Considerando l’intima essenza del film di Petri possiamo affermare come esso si

presti ad essere letto come una divagazione foucaultiana intorno alle coordinate di

una microfisica del potere, in quanto la posta in gioco non è solo la repressione o

l’eccesso anti-democratico, ma più specificatamente, l’allucinazione del

desiderio.105

Desiderio e sessualità divennero infatti, con il passare del tempo, temi centrali

della ricerca di Foucault che si concentrò sullo studio delle dinamiche che il potere

usa direttamente sul corpo degli individui, il quale divenne per il filosofo il luogo

privilegiato di un’”anatomia politica” come « insieme di elementi materiali e di

tecniche che servono da armi, collegamenti, vie di comunicazione e punti

d’appoggio alle relazioni di potere e di sapere che investono i corpi umani e li

assoggettano facendone oggetti di sapere. »106

E’ infatti proprio alla fine della Volontà di sapere (1976), primo dei tre volumi che

101 Ibidem 102 C. Bisoni, op. cit., p. 103 103 C. Galli, op. cit., p.579. 104 Ibidem. 105 M. Grande, op.. cit., p. 30. 106 Michel Foucault, Sorvegliare e punire, tr. it.di A. Tarchetti, Einaudi, Torino, 1993 , p. 33.

53

compongono la Storia della sessualità , che egli riassume il processo attraverso il

quale, alle soglie dell’età moderna, la vita naturale cominciò ad essere inclusa nei

meccanismi e nei calcoli del potere statuale e la politica si trasformò in

biopolitica,107 concetto che approfondiremo nel paragrafo 2.2.

La Storia della sessualità rimarrà incompiuta a causa della morte del filosofo nel

1984, anno in cui escono contemporaneamente gli altri due volumi che la

compongono, ovvero L’uso dei piaceri e La cura di sé (un quarto volume Le

confessioni della carne, non venne mai pubblicato in osservanza della sua volontà

di non pubblicare niente dopo la sua morte), e dimostra come la sua ricerca si

orientò sempre più verso lo studio dei processi di normalizzazione, cioè delle varie

forme tramite le quali il potere ha tentato, nell’Occidente moderno, di controllare

gli individui e i loro corpi nel tentativo di contenere tutte le forme di devianza

rispetto alla norma costituita e specificatamente a come i comportamenti sessuali

siano diventati oggetto di sapere, come e per quali ragioni questo campo di

conoscenza si sia organizzato.

Cosa intenda Foucault per potere, lo possiamo leggere in questa definizione che

ce ne dà nella Volontà di sapere:

« Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la

molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e

costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e scontri

incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di

forza trovano gli uni negli altri, in modo da formare una catena o un sistema, o,

al contrario, le differenze, le contraddizioni che li isolano gli uni dagli altri; le

strategie infine in cui realizzano i loro effetti, ed il cui disegno generale o la cui

cristallizzazione istituzionale prendono corpo negli apparati statali, nella

formulazione della legge, nelle egemonie sociali. »108

Muovendo da questa definizione ci pare di poter affermare ancora una volta come

Indagine si presti per una lettura dal punto di vista delle teorie foucaultiane , oltre

107 Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995, p.5. 108 Michel Foucault, La volontà di sapere, Storia della sessualità 1, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 82.

54

che per il dato cronologico e il contesto storico in cui le due opere si svilupparono,

anche per via degli elementi che sono coinvolti nella storia stessa e per gli intenti

dichiarati dal regista, quali appunto il disvelamento del rapporto e delle devianze

tra potere e corpi, tra potere e sessualità, tra potere e apparati statali/polizia.

Come ci conferma Minuz:

« Certo, quasi tutte le letture del film fanno leva sulle derive dell’autoritarismo,

sulle perversioni che può indurre il potere, sui limiti e i paradossi del controllo e

della tutela dell’ordine. Tuttavia questi sono elementi che, anche quando

direttamente evocati, sembrano sganciati dalla concreta realtà italiana e dislocati in

un altrove immaginario (il Potere metafisico, con la “P” maiuscola) […]. »109

2.2 Biopolitica

« Facciamo una prova – dice il commissario mentre si trova nell’archivio della

polizia – Immaginiamo che il delitto Terzi abbia uno sfondo politico. » (Sequenza

6)

Michel Foucault è considerato uno dei più importanti filosofi e storici del XX

secolo in special modo per aver sviluppato il progetto storico-genealogico ideato

da Nietzsche che aveva, a suo tempo, fatto notare come ancora mancasse una

storia della criminalità, della follia, della sessualità.

Partendo da questo presupposto, l’intellettuale francese si dedicò con particolare

attenzione allo studio di ospedali, prigioni e scuole e di altri grandi istituzioni

sociali.

Una delle principali conclusioni a cui arrivò fu che nulla più della vita - delle

linee di sviluppo in cui si inscrive o dei vortici in cui si contrae – è, fin nelle intime

fibre, toccata, traversata, modificata dalla storia. Era questa la lezione che Foucault

aveva tratto dalla genealogia nietzscheana entro una cornice teoretica che

109 A. Minuz, op. cit., p. 7.

55

sostituiva alla ricerca dell’origine, o alla prefigurazione del fine, un campo di forze

sprigionato dal succedersi degli eventi e dallo scontro dei corpi.110

« Se possiamo chiamare “bio-storia” le pressioni attraverso le quali i movimenti della vita

e i processi della storia interferiscono gli uni con gli altri, bisognerà parlare di “bio-

politica” per designare quel che fa entrare la vita ed i suoi meccanismi nel campo dei

calcoli espliciti e fa del potere-sapere un agente di trasformazione della vita umana. »111

Si sta parlando insomma, nientemeno che dell’ingresso nella storia e nel campo

delle tecniche politiche, dei fenomeni propri alla vita umana nell’ordine del sapere

e del potere112.

La biopolitica è intesa in questo senso come il terreno in cui è possibile studiare e

comprendere tre enigmi del novecento: il campo di concentramento, lo stato

totalitario e la società dello spettacolo. Se lo spazio della “nuda vita”, come lo

definisce Agamben nel suo Homo Sacer, era situato in origine al margine

dell’ordinamento, con la democrazia esso viene a coincidere con lo spazio politico.

Solo la modernità fa dell’autoconservazione dell’individuo il presupposto di ogni

altra categoria politica, da quella di sovranità a quella di libertà. Quando la vita è

incasellata nella norma, quando il corpo viene “sorvegliato”, quando la nascita viene

anticipatamente soppressa, la biopolitica si trasforma nel suo opposto speculare: la

tanatopolitica.

Evidenziando lo scarto che si produce nella storia della politica occidentale verso la

fine del XVIII secolo, quando il corpo su cui il potere esercita la propria presa cessa

di essere in primo luogo quello individuale per diventare invece quello dalla

popolazione tutta, egli cercò di mostrare come da quel momento in avanti il principio

cardine della sovranità (il “poter far morire”) sia stato superato e sostituito da quello

di un nuovo potere di regolazione e di governo “il quale consiste proprio nel far

vivere e nel lasciar morire”.113

« Il Diciottesimo secolo ha senza dubbio inventato la libertà, ma ha dato loro una

base profonda e solida, la società disciplinare, da cui dipendiamo ancora oggi ».114

110 Roberto Esposito, Bìos, Biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi, 2004, p. 22. 111 M. Faucault, La Volontà di Sapere, cit., p. 126. 112 Ivi, p. 125. 113 Michel Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 33. 114 Michel Foucault, Sorvegliare e punire, p. 15.

56

Se, come afferma ancora Agamben « la vita umana si politicizza solo attraverso

l’abbandono a un potere incondizionato di morte »115 non possiamo non vedere in

questo come il soggetto inventato da Petri e Pirro diventi un paradigma della

relazione tra uomo del potere, portatore e veicolo delle tecniche disciplinari, e nuda

vita, corpo, come è quello della sua vittima. Co lo scopo, o il “mandato” di garantire

la vita egli finisce col decretare la sua morte.

Il capitalismo stesso ha come elemento fondante il bio-potere, in quanto non

avrebbe potuto consolidarsi senza « l’inserimento controllato dei corpi

nell’apparato di produzione, e grazie ad un adattamento dei fenomeni di

popolazione ai processi economici ».116 Anzi, attraverso questi due strumenti e la

loro necessaria crescita, esso ha richiesto ben di più da questi corpi: ne ha richiesto

il rafforzamento con lo scopo di renderli più utilizzabili, più docili. Per fare questo

il capitalismo ha dovuto usarsi di metodi di potere capaci di maggiorare le forze, le

attitudini, la vita in generale, rendendole semplici all’assoggettamento.117

« Se lo sviluppo dei grandi apparati di Stato, come istituzioni di potere, ha

assicurato il mantenimento dei rapporti di produzione, i rudimenti di anatomo-

e di bio-politica, inventati nel XVIII secolo come tecniche di potere presenti a

tutti i livelli del corpo sociale ed usati da istituzioni molto diverse (la famiglia,

come l’esercito, la scuola o la polizia, la medicina individuale o

l’amministrazione delle collettività), hanno agito a livello dei processi

economici, del loro sviluppo, delle forze che vi sono all’opera e che li

sostengono; hanno operato come fattori di segregazione e di gerarchizzazione

sociale, agendo sulle forze rispettive degli uni e degli altri, garantendo rapporti

di dominazione ed effetti di egemonia; l’adeguarsi dell’accumulazione degli

uomini a quella del capitale, l’articolazione della crescita dei gruppi umani con

l’espansione delle forze produttive e la ripartizione differenziale del profitto,

sono stati resi possibili dall’esercizio del bio-potere nelle sue forme e con i suoi

procedimenti svariati. L’investimento del corpo vivente, la sua valorizzazione e

115 G. Agamben, op. cit. , p. 94 116 Michel Foucault, La Volontà di Sapere, p. 124 117 Ibidem

57

la gestione distributiva delle sue forze sono stati in quel momento

indispensabili. »118

Questa affermazione ci sembra centrale all’interno della nostra tesi per

dimostrare come il carattere politico delle teorie di Foucault, coincida con

l’ideologia radicale del regista Petri, trovandosi ad essere profondamente critica

verso quella che è diventata la forma di potere più totalizzante del periodo storico

in questione, ovvero il capitalismo.

Leggiamo ancora nella Nascita della medicina sociale:

« Il capitalismo che si sviluppa alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX,

ha innanzi tutto socializzato un primo oggetto, il corpo, in funzione della forza

produttiva, della forza lavoro. Il controllo della società sugli individui non si

effettua solo attraverso la coscienza o l’ideologia, ma anche nel corpo e con il

corpo. Per la società capitalistica è il bio-politico a essere importante prima di

tutto, il biologico, il somatico, il corporale. » 119

Se già l’essenza e la nascita del capitalismo coincidono quindi con quell’

“accumulazione dei corpi” che è arrivata ad assumere in tempi recenti, termini

inquietanti come “Risorse umane” o “Capitale umano”, non possiamo non

desumere che proprio contro questo genere di prospettiva sociale, si rivolgeva la

critica presente in Indagine, come anche in tutte le altre pellicole di Petri, volte a

mostrare nel dettaglio queste minime o massime relazioni di potere.

Se l’obiettivo al quale Foucault mira è quello di fornire concreti strumenti

metodologici a un’analitica del potere che si concentri su singole ricerche e

critiche “locali”120, quello di Petri è di metterle in scena e di mostrarle al grande

pubblico.

« Se il potere è sparso dappertutto - scrive Foucault - non è perché inglobi tutto,

ma perché viene da ogni dove, perché è immanente a ogni altra forma di relazione

118 Ivi, p. 125 119 M. Foucault, Nascita della medicina sociale, in Archivio Foucault 2, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 222. 120 Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Bari, Laterza, 2008, p. 88.

58

sociale, e perché anche la resistenza che gli si oppone fa parte dei giochi che lo

costituiscono. »121

Vediamo circolare il potere, scena per scena, incessantemente, dall’alto verso il

basso, dalla questura verso gli studenti, dagli organi di controllo della polizia agli

uomini di polizia stessi, dal Commissario alla sua amante e dalla sua amante al

Commissario, dal Commissario ai suoi subordinati, dal Commissario allo stagnaro,

dai superiori al Commissario, dalla polizia agli interrogati, dal Commissario allo

studente Pace e poi da Pace al Commissario.

Ci occuperemo dettagliatamente del rapporto tra il Commissario e Augusta nel

paragrafo 2.2 , che proprio per il suo carattere sessuale occupa un posto

privilegiato all’interno della nostra analisi delle tecnologie politiche del corpo

presenti nel film.

Per ora vorremmo portare come esempio, l’incontro tra lo stagnaro, interpretato

da Salvo Randone, e il Commissario, nella sequenza 16 in cui il primo costringe il

secondo a comprare per suo conto, tutte le cravatte di seta azzurra presenti in un

negozio nei pressi del Pantheon. Dopo di chè, lo invita a recarsi in questura per

consegnare le cravatte, tranne una che tiene per sé, affermando di essere

l’assassino della giovane donna di via del Tempio. In questa situazione il

Commissario lo incalza con tono inquisitorio: « Che mestiere fa lei? » o « Per chi

vota lei!? » e lo stagnaro gli risponde a tono, senza alcun timore, ma anzi

sentendosi offeso da quell’arrogante e indiscreta invasione della propria privacy;

poi però subito dopo, nella sequenza 13 i due si rincontrano in questura,

nell’ufficio di Mangani, in una scena di confronto in cui però questa volta il

rapporto di potere tra loro è totalmente cambiato: lo stagnaro realizza che

l’impresario teatrale/assassino è in realtà un pezzo grosso della polizia e ne ha

paura, dice di non riconoscerlo, assume toni sottomessi e servili, e forse veramente

non riconosce nello stesso volto la stessa persona, proprio a causa del contesto. La

relazione di potere interviene a cambiare la fisicità, la mimica dei due personaggi

e a sottolineare ulteriormente questo cambiamento contribuisce uno stratagemma

registico per cui Volontè è ripreso dal basso mentre Randone dall’alto (mentre

121 M. Foucault, La volontà di sapere, p. 82.

59

prima, nella piazza davanti al Pantheon, Petri sta schiacciato sui loro volti,

volontariamente persecutorio).

La sottomissione è poi palesata anche attraverso i dialoghi: « Mi scusi, mi scusi

dottore, ma io forse, ma che dico, senza forse, io, io mi sono sbagliato » (e di

nuovo l’inquadratura si fa vicinissima ai volti dei due interlocutori) «In rapporto a

quale argomento? » risponde il Commissario. « Devo averla confusa con un altro,

ecco tutto ». Poi di nuovo il commissario gli chiede « Ma lei che mestiere fa? » e

l’altro tutto timoroso « Faccio l’idraulico ». I poliziotti lo incalzano con tono

denigratorio « Lo stagnaro. Dica, dica che fa lo stagnaro », e lui, quasi

confessando una colpa « Sì sì faccio lo stagnaro ». Il commissario infierisce «

Come ha detto? » «Come giustamente dice lei giustamente faccio lo stagnaro »

«Ma lei non si deve preoccupare - comincia il maresciallo in tono palesemente

derisorio - lei è un cittadino, e noi dobbiamo rispettare il cittadino» e quello con

gesti di devozione religiosa come chi è stato graziato « Me lo assicura lei eh?

Grazie grazie, bravo bravo, grazie dottore. » Tant’è che infatti, nella sequenza

finale (25), durante il suo “processo” , il Commissario afferma: « Ma tra noi

possiamo dirlo: ha negato per paura, quando ha cominciato a capire chi ero, e cioè

un poliziotto. » E i suoi colleghi gli risponderanno: « Non ti permettere giudizi e

illazioni insultanti per tutti noi, per i colleghi, per il Corpo, per le istituzioni! »

Esattamente il contrario avviene invece in un’altra scena in cui lo scambio di

potere tra due corpi viene nuovamente riprodotto in modo efficace e dettagliato:

quella dell’”interrogatorio” di Antonio Pace nella sequenza 23. Come già

accennato nel paragrafo 1.1.2, lo studente Antonio Pace, proprio perché mosso da

ideali rivoluzionari, è l’unico a non temere il Commissario e il potere che egli

esercita, annullando così da subito la sua autorità (e la sua pulsione sadica) e

ponendosi in maniera nettamente orizzontale nei suoi confronti, così da ribaltare la

dinamica presupposta del potere verticale tra funzionario dello stato e cittadino

sotto accusa. E’ la resa dei conti, l’incontro tra protagonista e antagonista della

vicenda, i due si vengono incontro a muso duro, come in un duello:

« Pace Antonio, nato a Ravenna nel 1946, ex studente di chimica, anarchico

60

individualista, condannato a tre mesi di prigione nel 1968 per resistenza alla forza

pubblica. »

« Ma che gridi? Lo sai chi sono io? »

«Per me tu eri l’amante della signora del piano di sotto. Quella che hanno

assassinato. »

« Da chi e quando? »

« Per me la signora l’hai ammazzata tu, il pomeriggio di domenica 24 agosto. »

« A che ora? »

« Per me puoi averla ammazzata tra le 17:00 e le 19:00. Ora in cui ci siamo

incontrati al cancello, come sai. »

Il Commissario non crede alle proprie orecchie. Le battute pronunciate da Pace

ricalcano appositamente la confessione che egli registrava e ascoltava su nastro,

così che si viene a creare un affetto liberatorio dato dal fatto di sentire finalmente

la verità pronunciata ed affermata ad alta voce da un altro essere umano che non si

fa accecare dalla sua autorità ma vede in lui un cittadino sospettabile come tutti gli

altri.

« Visto che per te è tutto così chiaro, denunciami. » Il corpo e il viso sono ad un

estremo di tensione, il nodo in gola del commissario diventa quasi percepibile.

Tira uno schiaffo a Pace ma questo non si scompone per nulla. E qui avviene il

ribaltamento vero e proprio.

Lo studente lo sfida: « Ti piacerebbe eh?! »

Il tono del Commissario cambia, improvvisamente la tensione del corpo si scioglie

in una supplica ed egli implora: « Denunciami! »

« Qui ci sei e qui ci rimani. Un criminale a dirigere la repressione. E’ perfetto! »

« Tu mi devi denunciare! Tu mi devi denunciare! Io ho sbagliato, ma io voglio

pagare capisci? E non gridare! » Ormai il Commissario sta piangendo, assumendo

lo stesso atteggiamento infantile e piagnucoloso che aveva quando Augusta lo

aggrediva verbalmente. Ma Pace non si fa impietosire e anzi lo ricatta: « Fai il tuo

lavoro! E alla prossima azione, ti telefono. Ti tengo in pugno! »

A questo punto, il Commissario lo fa rilasciare, prende un foglio e firma la

confessione della propria colpevolezza.

61

Non rispettando il ruolo tra subordinato e sovraordinato, la dimostrazione

sovversiva del giovane Pace fa rimbalzare finalmente quell’eccesso di potere

all’interno della macchina statale, di cui il Commissario è portatore non sano.

Lo Stato dovrebbe essere antagonista del potere, usarne solo la quantità minima

che necessita per far funzionare i propri ingranaggi. Ma in questo momento

storico, la situazione è drasticamente opposta e lo Stato si fa invece accumulatore e

custode di una quantità inusitata di potere che va a creare devianze e perversioni

interne ad esso. E mostri come il protagonista di Indagine.

L’apparato giudiziario, che fino agli anni Sessanta aveva funzionato in modo

abbastanza “docile e silenzioso”, si trovò, sia in Italia che in Francia, così come in

tutti i Paesi dove avvenne la contestazione, improvvisamente esposto ad una

pressione che lo sovraccaricava.122 Prima le vicende d’Algeria, e le lotte operaie e

studentesche del Sessantotto poi, avevano portato nelle carceri francesi e italiane

una popolazione numerosa e nuova, altamente politicizzata, con obiettivi e metodi

di rivendicazione fino ad allora sconosciuti per un’istituzione apparentemente

immobile: resistenza passiva, rifiuto di obbedire, scioperi della fame123. Fu per

questo motivo che Foucault formò il G.I.P., “Group d’Information sur le Prisons”,

attraverso cui ebbe modo di osservare da vicino questi fenomeni di potere locale.

Attraverso inchieste e questionari fatti circolare all’interno delle prigioni, in

molti casi all’insaputa delle autorità, si rese conto di come l’obiettivo dell’apparato

disciplinare della giustizia non era più solo quello di reprimere il crimine ma era

diventato bensì l’esito ideale di una strategia che elabora nuove tecniche per

produrre cittadini rispettosi, utili e, soprattutto, efficienti.

La capillarità e la “velocità” con cui il modello carcerario si impose, è il segno

della sua intrinseca aderenza ad un progetto sociale che ha attraversato tutta l’età

classica.124 Il regime disciplinare comporta così la diffusione generalizzata di un

principio di sorveglianza che nelle istituzioni più chiuse – prigioni, ospedali,

fabbriche, scuole – prende la forma di una funzione specializzata, ma che nel

122 M. Foucault, Préface a Enquéte dans vingt prisons, Champ libre, Paris, 1971. 123 S. Catucci, op. cit., p. 92. 124 Ivi, p. 99

62

campo aperto della società si traduce in un controllo reciproco dei sorvegliati e dei

sorveglianti, in un reticolo di relazioni che non funziona a senso unico, ma si

diffonde in tutte le direzioni.125

« L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità

costituite. La libertà […] ci impedisce di espletare le nostre sacrosante funzioni. »

Sentenzia il Commissario durante il suo discorso di insediamento all’Ufficio

Politico.

E’ il sogno di una società perfetta così come fu coltivato dagli apparati militari:

non il riferimento ad un ipotetico stato di natura, ma “agli ingranaggi

accuratamente subordinati di una macchina”.126 E’ questo a grandi linee il profilo

di un potere che funziona attraverso discipline tendenti al controllo minuzioso

della vita degli individui.127

2.3 Dispositivo di sessualità

« Stavolta come mi ammazzerai ? » «Ti taglierò la gola. » (Sequenza 1)

In un’intervista realizzata da Dacia Maraini nel 1973, Petri risponde così alla

domanda « Quali sono i mali peggiori che si porta addietro la famiglia secondo te?

» :

« La repressione, l’egoismo, il narcisismo. La libertà sessuale non consiste

affatto nel fare molto l’amore ma nell’avere conoscenza dell’amore,

dell’erotismo. Io sono per la liberazione dell’inconscio. La lotta peggiore

contro l’inconscio collettivo la fanno le istituzioni. Una di queste è la famiglia.

Io sono per la psichiatria prima che per la politica. »128

La biopolitica trova nella sessualità un vero e proprio dispositivo di potere come

125 S. Catucci, p. 102 126 M. Foucault, Sorvegliare e Punire, p. 185 127 S. Catucci, p. 99 128 E tu chi eri? Intervista ad Elio Petri di Dacia Maraini (1973) in D. Mondella, Op. Cit., p. 221

63

istanza di governo e di controllo degli uomini, che avvolge la vita intera nelle sue

tecniche e che invece di rimanere nient’altro che “un fatto di natura”, proprio

grazie alla sua naturalità e alla sua desiderabilità, è diventato la via maestra per

accedere sia alla propria intelligibilità, in quanto “è contemporaneamente

l’elemento nascosto e il principio produttore di senso”, sia alla totalità del proprio

corpo, “poiché ne è una parte reale e minacciata e ne costituisce simbolicamente il

tutto”, sia alla propria identità, “poiché unisce alla forza di una pulsione la

singolarità di una storia”129130.

Foucault distingue storicamente tra due grandi procedure per produrre la verità

del sesso: l’ars erotica delle culture orientali o antiche, e la scientia sexualis

inventata e praticata solo nella nostra civiltà.

Nell’ars erotica il piacere è considerato non per la sua utilità, ma per sé stesso, lo

si indaga nella sua intensità, nelle sue qualità, nei suoi effetti sul corpo e

sull'anima. Esso si fa pratica ed esperienza da raccogliere in un sapere, in un’arte,

appunto, di cui solo pochi sono detentori, i maestri, i quali, a loro volta, lo

trasmettono per mezzo di pratiche esoteriche di iniziazione al piacere, rivolte solo

a pochi eletti.131

La scientia sexualis, al contrario, fa del sesso un oggetto biologico e insieme il

punto di applicazione per una serie di prescrizioni morali.132

Non è vero, secondo il filosofo e storiografo francese, che la nostra società dal

XVII secolo in poi sia stata e continui ad essere dominata dal tema della

repressione in materia di sesso.133

La repressione, il divieto, le occultazioni e le proibizioni non sono che un aspetto

(emerso più di altri, in alcune epoche storiche, come quella vittoriana), una

componente dei meccanismi produttori di sapere e di discorsi, induttori di piacere

e generatori di potere.134

129 M. Foucault, La volontà di sapere, op. cit., p. 138 130 S. Catucci, op. cit., p. 116 131 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 53 132 S. Catucci, op. cit., p. 115. 133 Ivi, pp.54-55. 134 Ibidem.

64

« Non bisogna descrivere la sessualità come una pressione recalcitrante,

estranea per natura e ribelle per necessità ad un potere che, dal canto suo, si

consuma nel tentativo di sottometterla e spesso non riesce a controllarla

completamente. Essa appare piuttosto come un punto di passaggio

particolarmente denso per le relazioni di potere; fra uomini e donne, fra giovani

e vecchi, fra genitori e figli, fra educatori ed alunni, fra sacerdoti e laici, fra

un’amministrazione ed una popolazione. Nelle relazioni di potere la sessualità

non è l’elemento più sordo, ma anzi, uno di quelli dotati della più ampia

strumentalità, che possono essere usati per il maggior numero di manovre e

servire da punto d’appoggio, da cardine alle strategie più svariate. »135

Il dispositivo di sessualità è legato all’economia attraverso punti di scambio

numerosi e sottili, ma il principale dei quali è il corpo – corpo che produce e

che consuma. E’ finalizzato ad una omeostasi del corpo sociale, che ha la

funzione di mantenere: di qui il suo legame privilegiato con il diritto; di qui

anche il fatto che il suo momento forte sia la “riproduzione”136, perché « è il

corpo che porta, nella vita e nella morte, nella forza e nella debolezza, la sanzione

di ogni verità e di ogni errore (...). »137

Possiamo leggere ancora in Nietzsche, la genealogia, la storia:

« […] sul corpo, si trova lo stigma degli avvenimenti passati, così come da esso

nascono i desideri, i cedimenti, e gli errori; (...). Il corpo: superficie d’iscrizione

degli avvenimenti (laddove il linguaggio li distingue e le idee li dissolvono),

luogo di dissociazione dell’Io (al quale cerca di prestare la chimera di un’unità

sostanziale), volume in perpetuo sgretolamento. La genealogia, come analisi

della provenienza, è dunque all’articolazione del corpo e della storia: deve

mostrare il corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo. »138

135 Ivi, pp. 91-92. 136 M. Foucault, La Volonta di Sapere, p. 95. 137 M. Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino 1967, p. 36. 138 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere , Einaudi, Torino 1967, pp.

36-37.

65

Ecco che quindi possiamo affermare come il dispositivo di sessualità stia alla

base della biopolitica come questa sta alla base dell’economia capitalista.

Pertanto la liberazione sessuale, il continuo parlare del e sul sesso, le pratiche

sessuali considerate “trasgressive”, tutti elementi compresi nella “rivoluzione

sessuale” che si veniva ad inscrivere all’interno della rivoluzione culturale

Sessantottesca, sono elementi sempre ambigui, in quanto sotto i rituali di

emancipazione si possono nascondere pratiche che rafforzano gli steccati e le

divisioni del potere tradizionali.139

Collegarci al nostro film in questo caso è facile, in quanto è proprio nel rapporto

tra sessualità e politica che Indagine mostra i collegamenti più forti e durevoli sia

con l’epoca in cui è stato realizzato, sia con il successivo cinema italiano.140

Oltre al piano del textum come intreccio coerente di codici, esiste infatti in

Indagine un testis che gli attribuisce un valore di testimonianza in quanto traccia

che delinea il sapere di una coscienza collettiva intorno a nodi salienti come quello

della sessualità secondo modelli di esibizione e/o dissimulazione delle forme di

espressione dell’erotismo all’inizio degli anni Settanta.141

Erotismo e sessualità che diventano sede di scontri e appropriazioni sul piano

della produzione simbolica, in Italia come anche in tutte le società occidentali del

periodo tardo moderno.

Se, come afferma Grande, l’oggetto del cinema politico italiano è, in linea

generale, lo smascheramento di una verità nascosta e camuffata142, in Indagine

sono presenti più verità nascoste.

Quando nella sequenza 25, ad esempio, il Commissario cerca di convincere i

colleghi del fatto che le prove siano autentiche e che quindi lui sia colpevole, egli

dichiara tre diversi moventi:

139 C. Bisoni, op. cit., p. 123 140 Ivi, p. 103 141 Ivi, p. 126 142 M. Grande, op. cit, p. 25.

66

1- Spiegazione sociologica: « Si prendeva gioco di me e dell’istituzione che

rappresento, quindi di tutti voi » ;

2- Spiegazione esistenziale: « Vicino a lei ogni giorno di più si rivelava il mio

infantilismo, la mia incompetenza umana » ;

3- Spiegazione psicosessuale: « L’ho uccisa per gelosia ».143

Tutte e tre spiegazioni vere, che costituiscono la verità della confessione del

commissario.

Oltre allo smascheramento dei rapporti tra polizia e potere politico144 troviamo

quindi anche, più nello specifico, lo svelamento del movente dell’omicidio.

Un movente doppio: con un lato concettuale (sfidare il potere) e un lato

individuale (vendicarsi dell’umiliazione).145

Oltre all’ambiguità dell’emancipazione sessuale, come ulteriore strumento di

assoggettamento dei corpi , possiamo trovare nei film di Petri altre due idee ben

presenti all’epoca: la prima è che in un ordine alienato, la liberazione dell’eros si

manifesta in forme non autentiche spesso distruttive e/o perverse.146

La seconda, che rappresenta il double bind del rapporto eros/politica così come è

posto in Indagine e in parte del cinema italiano negli anni seguenti, vuole che sia

l’inconscio ad adattarsi alla dinamica sociale, che la sfera sessuale debba essere

socialmente determinata e apparire come la funzione di un quadro più ampio di

rapporti di potere.147

Se dovessimo rispondere alla domanda “il Commissario è un poliziotto

repressivo perché è perverso, o è perverso perché, sulla scena politica, è

repressivo?”, dovremmo dire che, almeno in linea di principio, in Indagine la

condotta “malata” della relazione con Augusta è il riflesso di un ordine sociale di

cui il Commissario è un pilastro fondante.148

Non è dunque un caso che sia proprio dalla ritorsione irridente e beffarda della

donna che scatta la molla dell’omicidio e dell’indagine che costituisce l’asse

143 C. Bisoni, op. cit., p. 126. 144 M. Grande, op. cit., p. 27. 145 C. Bisoni, op. cit., p. 120. 146 Ibidem. 147 Ibidem. 148 Ivi, p. 124.

67

narrativo del film.

Augusta Terzi, fin dal nome viene consacrata quale “imperatrice della camera da

letto”149 , sovrana assoluta nel suo decadente e “dannunziano” regno che è la sua

casa, è quella che incarna la figura della donna benestante e disturbata che

potremmo definire con le parole di Alberto Moravia « la nevrotica erotomane ed

eversiva. »

E’ anche attraverso la mimica del corpo di Augusta che possiamo notare il

progressivo degenerare dei rapporti tra i due amanti: se all’inizio è lei a sottoporsi,

attraverso la finzione del gioco erotico, alle messe in scene dei delitti o agli

interrogatori del commissario, e quindi a recitare il ruolo di vittima (Cfr. sequenza

16) con lo scorrere dei flashback possiamo notare un vero e proprio ribaltamento

dei ruoli in cui da vittima è lei a diventare carnefice attraverso uno strano gioco

frustrante di seduzione e di castrazione.150 Castrazione che si verifica

materialmente nella Sequenza 15 quando Augusta dopo aver detto al Commissario

frasi come « Hai addosso un tanfo di caserma, di archivio, di camera di

sicurezza… » si avvicina e con gesti studiatamente umilianti, taglia la cravatta al

commissario. « Io t’ammazerei. Con le mie mani » « Bel coraggio, sei tu che fai le

indagini » risponde lei cinica.

Scoprendo e letteralmente “mettendo a nudo” le debolezze del Commissario

attraverso umiliazioni verbali e fisiche e, non da ultimo, attraverso il tradimento

con il giovane studente rivoluzionario Antonio Pace – che il commissario descrive

nella Sequenza 6 come “Sovversivo, fanatico, passionale” - ella attua la più

grande e pericolosa sfida possibile, pagando però con la vita il proprio potere di

scelta, il controllo della scena, l’autorità del desiderio.151

Se, come abbiamo detto, essa ricopre lo status di imperatrice nel proprio cupo e

“dannunziano” regno, è proprio nell’unico flashback in cui vediamo i due amanti

all’aperto, in spiaggia, che lei scappa e il Commissario la perde, trovandola dopo

un’angosciosa ricerca, tra le braccia di Antonio Pace.

149 U. Mosca, op. cit., p. 49. 150 C. Bisoni, op. cit., p. 113. 151 C. Bisoni, op. cit., p. 114.

68

Era dunque nelle intenzioni di Petri e Pirro, dipingere Augusta come una donna

sola, vittima della società dei consumi, condannata alla solitudine e all’esercizio

della sessualità che svela come il sesso non sia un contenitore di potenzialità

progressiste e liberatorie in quanto tale.152

E’ in questo rapporto di potere tra i due amanti e quindi tra i loro corpi che si

insidia l’anello di congiunzione, il nodo biopolitico di cui siamo alla ricerca in

questa riflessione, in quanto, nel caso di Augusta, è proprio l’occasione in cui,

sotto l’apparente emancipazione ritornano i rapporti tradizionali di potere.

Augusta si pone nei confronti del commissario in un atteggiamento di voluta

soggezione, non perché veda in lui qualcosa di arcano e sia spinta ad espiare oscuri

complessi di colpa, bensì per farne strumento di soddisfazione del proprio

masochismo. Il suo gioco con il commissario, pur potendo rappresentare il circolo

chiuso dell’oppressione e del servilismo di cui è prigioniero l’individuo nei suoi

rapporti col potere, dimostra che Augusta è perfettamente consapevole

dell’impotenza dell’antagonista, e lo manovra a proprio piacimento, senza

risparmiargli il sarcasmo con cui aveva sempre umiliato il marito omosessuale.153

Proprio come nelle teorie di Foucault, in cui, come abbiamo visto, nella nostra

società nessuno detiene il potere ma ognuno lo subisce ed a sua volta lo esercita

come in una catena, anche in Indagine ogni personaggio è detentore e vittima di

qualche atomo di potere che gli attribuirà una determinata sorte e sarà l'energia

motrice dell'intera vicenda.

Vicenda in cui in primis lo stesso protagonista è descritto da Petri come una

personalità borderline, schizofrenica, speculare e rappresentativa della società .

Nella sfera della sessualità (e quindi, presumibilmente, una sfera extra-

istituzionale) la sua personalità immatura primeggia, mentre in quella pubblica si è

costituita quella paternalistica.

Possiamo osservarlo chiaramente in alcune sequenze, come quando nella numero

3b, durante il loro gioco erotico delle fotografie che riproducono le scene dei

152 Ivi, p. 113. 153 S. Zambetti, op. cit., p. 117.

69

delitti, tra Augusta e il Commissario avviene questo scambio di battute: « Ma non

vi eccitate quando le trovate così? » « Qualche volta. Io mi sono eccitato una volta

per un particolare: un attrezzo…» « Ma che attrezzo? » « E non te lo posso dire,

mi vergogno. » Assumendo immediatamente quell’atteggiamento infantile che

esprime il passaggio alla parte immatura e inconfessabile di sé.

Un esempio ancora più chiaro troviamo nella Sequenza 10 che contiene un altro

significativo e rilevante dialogo tra Augusta e il Commissario:

« Ho capito, fate come coi bambini. »

« Ma tutti ritornano un po’ bambini segnatamente al cospetto dell’autorità

costituita, insomma di fronte a me che rappresento il Potere. La Legge. Tutte le

Leggi, quelle conosciute e quelle sconosciute. L’indiziato ritorna un po’ bambino.

E io divento il padre. Il modello inattaccabile. La mia faccia diventa quella di Dio,

della coscienza. E’ una messa in scena per toccare corde profonde, sentimenti

segreti… no ma… non ti turbare… io ti sto spiegando una mentalità perché, cosa

credi, queste sono le basi sulla quale si poggia l’autorità costituita. Professori

universitari, dirigenti di partito, procuratori delle imposte, capistazione. Poi

finiamo col somigliarci noi poliziotti coi delinquenti… nelle parole, nelle

abitudini… qualche volta persino nei gesti. »

« Sei come un bambino. Più di tutti gli uomini che ho conosciuto. »

« Questo non lo dovevi dire, che sono un bambino… questo non lo dovevi dire!

Gli altri sono bambini. Hai capito? » Dice il Commissario, profondamente scosso

e adirato.

Il “dottore” risulta quindi come un nevrotico minato da un complesso di

impotenza che lo spinge a cercare compensazione nel potere di cui dispone. Già il

suo rapporto con Augusta è caratterizzato da questo rapporto compensativo, che si

esaspera nel momento in cui la donna si sottrae al ruolo che le compete nel gioco

sado-masochistico.

Egli non la uccide per gelosia, ma per riaffermare il proprio potere ribellandosi

furiosamente alla minaccia che questo venga messa in discussione e

autoconvincendosene con una prova decisiva qual è quella di poter disporre della

70

vita di un’altra persona. Nello stesso momento però gli viene a mancare il modello

di compensazione indispensabile e ne cerca quindi un altro: dimostrerà a se stesso

di essere più forte della legge, senza per questo deviare dalla sua natura di rivalsa

nei riguardi di una carenza sessuale.154

Accettando di prendere parte a questo gioco il commissario finisce però per

perdere la sua credibilità, dando modo ad Augusta di approfittarne per umiliarlo e

mortificarlo nelle più diverse maniere.155

2.4 Polizia

“Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile. Scolpita nel tempo."

Dal discorso di insediamento alle Forze dell’Ordine (Sequenza 6).

Perché la genealogia della biopolitica possa manifestarsi in tutta la sua

articolazione manca un ulteriore passaggio – rappresentato dalla scienza di

polizia.156

Non è un caso se il dizionario dei film Mereghetti, definisce Indagine un “trhiller

psicoanalitico sulla cristallizzazione e le aberrazioni del potere, che analizza in

chiave grottesca i metodi e i fini degli apparati polizieschi”.157

Oltre che per il contesto storico specificamente italiano, la scelta di un poliziotto

assassino come protagonista della vicenda, ci porta ad un altro piano d’analisi, in

quanto, nella teoria biopolitica foucaultiana, è proprio la polizia come apparato

istituzionale a ricoprire un ruolo di primo piano non solo nella diffusione delle

discipline, ma anche in tutto l’insieme di tecniche e di apparati che assicurano il

loro effettivo funzionamento.

Discipline fortemente specializzate come quelle che si esercitano nelle prigioni,

nelle scuole, negli ospedali, nei sistemi di produzione, nell’organizzazione

154 S. Zambetti, op. cit., pp. 116-117. 155 U. Mosca, op. cit, p. 49 . 156 R. Esposito, op. cit., p. 30. 157 Paolo Mereghetti (a cura di), Dizionario dei film, Milano, Baldini e Castoldi, 1998.

71

giudiziaria e amministrativa, difficilmente potrebbero esistere senza l’appoggio di

una struttura istituzionale. La polizia però, in special modo, si colloca al crocevia

fra un’istanza di controllo che procede “dall’alto” e un’esigenza di protezione che

proviene “dal basso”, esemplificando con il suo funzionamento la complessità e la

pervasività delle tecniche disciplinari.158

Quando la polizia fu istituita, i contemporanei, spiega Foucault, videro nella

nascita di questa istituzione come la manifestazione più lampante del potere

assoluto, vi riconobbero l’occhio del sovrano che si diffonde fino alle estreme

periferie del corpo sociale.159

Essa cerca infatti di rendersi coestensiva del corpo sociale non solo per

l’ampiezza della sua giurisdizione, ma soprattutto per la sua capacità di mettere

sotto osservazione i dettagli più minuti della vita individuale, per la meticolosità

con cui registra i più piccoli avvenimenti e compila interminabili registri delle

opinioni, delle condotte, delle azioni.160 In Indagine il vero punto traumatico della

storia raccontata non è il fatto che vengano spiate/tracciate le vite dei sospettati

politici, ma come la polizia organizza il visibile socio-politico stesso.161

La polizia si occupa dell’ « infinitamente piccolo del potere politico » sfruttando

al massimo i metodi di sorveglianza messi a sua disposizione dalle relazioni

disciplinari.162

Essa perde lo status riduttivo di specifica tecnica interna all’apparato dello Stato,

per acquistarne invece la più estesa modalità produttiva che assume il suo governo

in tutti i settori dell’esperienza individuale e collettiva – dalla giustizia alla

finanza, al lavoro, alla sanità, al piacere.163 Ovvero: prima ancora che evitare mali,

la polizia deve produrre beni. E’ proprio in questo punto specifico che il processo

di riconversione affermativa dell’antico diritto sovrano di morte tocca il suo

apice.164

158 S. Catucci, op. cit., p. 105. 159 Ibidem. 160 Ibidem. 161 Sulla partizione del sensibile politico, cfr. ancora Jacques Rancière, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007. 162 M. Foucault, Sorvegliare e punire, p. 233. 163 R. Esposito, op. cit., p. 31. 164 Ibidem.

72

2.5 Confessioni

“Non avere paura. Io sono il tuo confessore, qui hanno parlato tutti, non ti

succede niente, io sono una tomba. Tutto questo palazzo è una grande tomba”.

(Sequenza 23)

Risale al 1971 il primo corso di Foucault al Collège de France, il quale si rifaceva

ancora a Nietzsche come all’estrema antitesi di una concezione del sapere il cui

primo riferimento , nel mondo occidentale, è rappresentato dalla posizione di

Aristotele. Se per quest’ultimo la conoscenza è l’estensione naturale della

disposizione umana al piacere e alla felicità, per Nietzsche al contrario è

un’”invenzione” dietro alla quale sta tutta una lotta di istinti, di impulsi, di

desideri, di volontà di potenza e di appropriazione.

Punto stabile di compromesso nel conflitto è perciò la conoscenza che non è un

effetto dell’armonia o dell’equilibrio naturale, ma diventa bensì elemento

rivelatore nella distinzione tra “vero” e “falso”.165

Come abbiamo visto è da questo tema, ovvero dal formarsi di quella che Foucault

chiama volontà di sapere, che si rivolsero i primi passi della sua ricerca

genealogica. Già dalla metà degli anni Settanta infatti, egli riassunse come tutte

queste dinamiche corrispondano ad una precisa strategia politica e ad una specifica

relazione di potere che fa del corpo il « principale bersaglio della repressione

penale. »166

Tale relazione si sviluppa lungo due assi ortogonali: il primo è di tipo giuridico

ed è legato perciò alle istituzioni del diritto, il secondo è di tipo sociale e rimanda

direttamente alla figura del sovrano.

All’epoca della monarchia assoluta, il meccanismo giudiziario dell’inchiesta non

si basava sull’opposizione tra il “vero” e il “falso”, ma su una scala graduata di

colpevolezza che comincia già dal semplice sospetto e che autorizza perciò fin dal

primo momento ad intervenire sul corpo dell’accusato. In questo contesto, la

165 S. Catucci, op. cit., p. 85. 166 M. Foucault, Sorvegliare e Punire, p. 47.

73

tortura è strutturalmente interna alla quaestio giudiziaria, proprio perché questa

mira non ad attestare, ma a produrre una verità che si ottiene coi mezzi

dell’estorsione.167

Tra il XVII e il XVIII secolo, mentre si ridefinisce la geografia dell’illegalità, i

riformatori si ergono contro i supplizi reclamando “umanità” nei confronti del

condannato . Ma la nuova “dolcezza” delle pene ha l’effetto di spostare il luogo

del giudizio e del castigo dal “corpo” all’”anima” del condannato: la vecchia

“anatomia punitiva” si congeda così dal paesaggio alla penalità europea, mentre si

inaugura il tempo dei “castighi incorporei”.168 Se fin dal Medioevo però, la

confessione era rimasta a lungo solidamente incastrata nella pratica della

penitenza, a poco a poco, a partire dal protestantesimo, dalla Controriforma, dalla

pedagogia “anti-onanistica” del XVIII secolo, dalla medicina del XIX secolo,

perse la sua localizzazione rituale ed esclusiva, diffondendosi a tutti i rapporti

sociali.169

La tecnologia politica che ne deriva è perfettamente solidale con i principi del

sapere e con il suo regime di verità; il suo obiettivo è sempre quello di organizzare

la molteplicità sottoponendola a un controllo che la padroneggi: il potere riesce

allora a incidere direttamente sullo “spirito” del criminale proprio nella misura in

cui, attraverso l’analisi delle sue rappresentazioni e delle sue idee, riesce ad

assoggettarne il corpo.170

Se la “polizia dei corpi” che discende da questa tecnica si dimostra più

economica ed efficace dei supplizi, è proprio perché attraverso di essa fanno

ingresso, nel giudizio penale, livelli di verità e metodi di verifica strettamente

imparentati con la conoscenza scientifica.171

« L’individuo si è per molto tempo autenticato in riferimento agli altri e

attraverso la manifestazione del legame con essi (famiglia, rapporto di

vassallaggio, protezione); in seguito lo si è autenticato attraverso il discorso di

167 S. Catucci, op. cit., p. 94. 168 M. Foucault, Sorvegliare e Punire , p. 10. 169 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 58. 170 Ivi, p. 161. 171 Ivi, p. 112.

74

verità che era capace e obbligato a fare su se stesso. La confessione della verità

si è iscritta nel seno delle procedure d’individualizzazione da parte del potere.

»172

A partire da questo momento quindi, l’apparato giudiziario inizia il suo difficile

dialogo con elementi di un sapere nato al di fuori della sua sfera e che esso non

riesce sempre a controllare. Parte del suo potere viene trasferito alle prove

mediche, più avanti alle perizie psichiatriche, ai calcoli delle probabilità, all’analisi

chimica degli indizi. Il risultato è che chi gestisce la giustizia, ormai, non è più in

grado di governare la verità.173

Il castigo diventerà allora funzionale ad un trattamento sociale che fa del crimine

la prova in negativo del contratto sociale e delle sua convenienze. Il criminale non

sarà più annientato ma dovrà essere trasformato in una rappresentazione vivente

dell’ordine e in una lezione per la comunità intera. L’obiettivo della sua

reintegrazione sociale diventa così l’esito ideale di una strategia che elabora nuove

tecniche per produrre cittadini rispettosi, utili ed efficienti.174

« L’uomo in Occidente, è diventato una bestia da confessione. »175 afferma

drasticamente Foucault; da tutte le parti, compreso dall’interno di noi stessi, ci

giungono pressioni che percepiamo come l’effetto di un potere che ci “costringe” a

far emergere questa verità che sembra non “chieda” altro che venire alla luce. « La

confessione rende liberi, il potere riduce al silenzio. »176 Un lavoro immenso

insomma, al quale l’Occidente, mentre con altre forme si assicurava

l’accumulazione del capitale, ha piegato intere generazioni per costituire gli

uomini come “soggetti” (nel duplice senso della parola “soggetti” e “sudditi”) e

quindi produrne il loro “assoggettamento”.177

Le motivazioni e gli effetti che se ne attendono si sono diversificati, così come le

forme che essa assume di volta in volta: interrogatori, consultazioni, racconti

autobiografici, lettere; essi sono registrati, trascritti, riuniti in dossiers, pubblicati e

172 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 54. 173 S. Catucci, op. cit., p. 98. 174 Ibidem. 175 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 55. 176 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 56. 177 Ivi, p. 58.

75

commentati.178 Tutto questo non fa che riportarci a ciò che abbiamo già affrontato

nel paragrafo 1.3.1 del capitolo 1, che abbiamo appositamente deciso di

concludere parlando degli archivi e delle schedature politiche, così come

chiuderemo il secondo parlando di queste pratiche all’interno della teoria di

Foucault.

Nel film il tema della confessione è centrale a partire dai flashback, i quali

risultano essere sotto questo aspetto, momenti di dissonanza causati dal senso di

colpa crescente del personaggio nella pervicace ricerca della confessione del

colpevole, cioè della sua.

Questo meccanismo lo abbiamo già potuto notare nella “confessione al

contrario” durante l’interrogatorio ad Antonio Pace, ma lo si ritrova più e più

volte, anche esplicitato a parole, durante tutto il film.

Ad esempio nella sequenza 10.b, in cui Augusta, dopo aver insistito in modo

impertinente col Commissario per essere interrogata, viene interrogata sul serio

con modi brutali attraverso questo scambio di battute:

Augusta: « Mi piace quando mi interroghi, sembri mio padre […] Ho capito, il

silenzio fa sempre paura. »

Commissario: « Adesso cerca di immaginare che ti aspettano ore tremende,

domande crudeli, inganni, ricatti, tutto! Cerca di ricordare quelle cose della tua

vita che hai dimenticato, cerca di ricordare le immagini più vergognose della tua

vita, e pensa, che io posso sapere tutto di te perché lo Stato mi offre tutti i mezzi

per mettere a nudo un individuo. E io voglio farti credere di sapere tutto di te e

così facendo, faccio scattare in te il meccanismo del complesso di colpa. »

Augusta non è ancora soddisfatta: « Interrogami, interrogami! Fammi delle

domande! »

« Vuoi che ti faccia delle domande eh, che ti interroghi…e allora parla,

parla,dimmi le cose più vergognose, parla. Solo se confessi tutto, la tua debolezza,

le tue piccole vergogne quotidiane tu puoi avere il mio perdono e la mia

protezione. »

Petri non avrebbe potuto rappresentare in maniera più esplicita il meccanismo

178 Ibidem.

76

della confessione a cui Foucault si riferisce. Per accedere allo stato di diritto, alla

protezione del potere sulla nuda vita, bisogna passare attraverso la confessione,

introiettarne le dinamiche di necessità e senso di colpa.

E ancora nella sequenza 4b, Augusta cerca di irretire il Commissario attraverso

svariate telefonate, in cui gli dice frasi come:

« Un poliziotto è pieno di segreti, come un prete. E’ la sua mente che mi eccita. Io

sono un’ammiratrice della polizia, sono un’aspirante confidente. Cosa non farei

per essere interrogata da lei. »

Emblematico è anche il bisogno che il Commissario manifesta durante tutto il

film, di registrare la sua confessione ad alta voce registrandola al registratore e

riascoltandola in modo ossessivo, come per andare contro al muro di silenzio e di

forzata volontà dei suoi colleghi durante le indagini, di non vedere la sua

colpevolezza. La sequenza 11 è quindi molto eloquente: « Alle ore 16 di domenica

24 agosto, io ho ucciso la signora Augusta Terzi […]. Ho una sola attenuante: la

vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi, dappertutto,

non per fuorviare le indagini. Ma per provare la mia insospettabilità. »

Il teorema potrebbe sembrare una follia: un funzionario del potere che testa il

potere stesso. Più si scopre insospettabile più l’autorità si rivela forte. Si fornisce

persino un movente: « la vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. »

« Tuttavia, quando hai fatto condannare un innocente, la tua insospettabilità non è

provata. » continua il Commissario. Il delitto perfetto non è quello dove qualcuno

viene arrestato al posto del vero colpevole, ma quello nel quale l’identità

dell’assassino è nota agli inquirenti che però non hanno prove per procedere

all’arresto.

“Per la prima volta probabilmente una società si è chinata a sollecitare ed

ascoltare la confidenza dei piaceri individuali.”179 possiamo affermare con

Foucault.

Il momento culminante della rappresentazione del “rituale discorsivo”180 di

179 M. Foucault, La Volontà di Sapere, p. 59. 180 Ibidem, p. 57.

77

confessione, lo troviamo però nella sequenza finale di Indagine (Sequenza 25), in

cui il commissario si trova in casa propria circondato dai suoi superiori,

sopraggiunti sul luogo dopo che egli ha consegnato loro la confessione della

propria colpevolezza per l’assassinio di Augusta.

Per prima cosa il capo della polizia si avvicina con atteggiamento paternalistico

ma bonario, trattandolo come un bambino e proprio come ad un bambino, gli tira

le orecchie. Il Commissario infatti passa subito al lato infantile della sua

personalità e, dopo che gli viene fatto mangiare il sale (così come faceva lui

durante gli interrogatori in questura, quando invece assumeva il ruolo di “padre”),

la confessione prende subito una strana piega. Appena egli dice « Sono io che l’ho

uccisa » i suoi colleghi smontano una ad una le prove: Antonio Pace, unico

testimone, ha negato tutto ( e noi sappiamo che lo ha fatto per portare avanti il

proprio ricatto nei confronti del Commissario); le scarpe con cui egli aveva

lasciato impronte insanguinate nell’appartamento della vittima sono scarpe comuni

che potrebbero essere di chiunque; la cravatta col filo mancante è stata distrutta e

così via fino a costringere il Commissario, ormai disperato e senza più appigli, ad

un’ abiura: « Faccio quello che voi volete! ». « Bravo, bravo figliuolo - gli dice il

capo della polizia dandogli dei buffetti sulle guance – Hai da dire qualche cosa? »

« Confesso la mia innocenza ».

Subito dopo veniamo a scoprire che si era trattato di un sogno e che i colleghi

stanno realmente arrivando, ma questa volta non ci è dato di sapere come avverrà

davvero la non-confessione; le serrande della casa del Commissario si abbassano e

in sovraimpressione appare una scritta: “Qualunque impressione faccia su di noi,

egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio

umano”.

Perché Petri abbia usato per chiudere il suo film proprio questa significativa frase

di Kafka, tratta dalla parabola Davanti alla Legge contenuta nel Processo, sarà

materia di indagine del nostro prossimo capitolo.

78

79

3 DAVANTI ALLA LEGGE

“Qualunque impressione faccia su di noi, egli è servo della legge quindi

appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”.

Come abbiamo visto alla fine del secondo capitolo, è con questa citazione

kafkiana che si conclude Indagine.

Perché Petri ha deciso di concludere così il suo film?

Consultando l’Archivio Petri al Museo Nazionale del Cinema di Torino abbiamo

scoperto che nella sceneggiatura egli aveva posto originariamente questa frase

all’inizio e non alla fine della pellicola. Scelta che potremmo definire “wellesiana”

in quanto è ben documentato che Petri si ispirò proprio alla rappresentazione

filmica del Processo che ne aveva fatto Orson Welles nel 1962.

Welles aveva collocato appositamente la parabola Davanti alla Legge all’inizio

del film per darne una chiave di lettura a tutta la vicenda di Josef K.

Noi riteniamo invece che Petri abbia cambiato la sua intenzione iniziale mettendo

la frase subito dopo il “processo al contrario” contenuta nella sequenza 25, come

risposta preventiva alle perplessità che avremmo potuto avanzare al suo termine,

giudicando ciò che è accaduto nel film ingiusto, scorretto, illegittimo, non

rispondente a un principio di verità.

Questa verità corrisponde ad una legittima rimostranza propria di noi individui

moderni, formati dal lungo processo dell’illuminismo181 occidentale, che ha

tentato di sottrarre ed emancipare l’uomo dal giogo mitico del destino, tentando di

dominare e ordinare la realtà secondo i principi universali della ragione.

Con queste parole il regista intendeva perciò mettere l’accento su due elementi la

cui presenza ha scandito tutto il procedere del film: il carattere sovraumano della

legge, lontano da ogni possibile comprensione razionale e il carattere servile del

Commissario, incarnazione di quella legge che si rivela essere regolata da logiche

che restano anche per lui oscure e inconoscibili.

181 Illuminismo è qui inteso nel senso in cui ne parlano Adorno e Horkheimer in Dialettica

dell’illuminismo.

80

Nel romanzo kafkiano dopo aver ascoltato la parabola Davanti alla legge, Josef

K reagisce esclamando: « Dunque il guardiano ha ingannato quell’uomo. »182

Il motivo di tale impossibilità a capire il significato del racconto la si potrebbe

rintracciare nell’affermazione che segue all’interno della parabola kafkiana. Nel

dialogo tra il sacerdote e Josef K, questi avanza le sue perplessità riguardo al

racconto. Ragionando sulle possibili interpretazioni della parabola, Josef K

continua a giudicare il contenuto di questa, ingannevole, sia per il contadino e sia

per il guardiano, quindi privo di senso. Non riesce a condurre il suo messaggio ad

un discorso coerente e razionale e ad accettare che si debba prendere il contenuto

della parabola per vero, nonostante risulti incoerente e irrazionale. Ma a questo

punto, dopo aver analizzato tutte le possibili interpretazioni il sacerdote sposta

bruscamente tutto il piano del discorso su un livello diverso rispetto a quello del

discorso coerente e razionale: « Non si deve prendere tutto per vero, si deve

prenderlo solo per necessario »183. Infatti Josef K continuando a ragionare in

termini “illuministici” traduce la fredda constatazione del sacerdote, in una

considerazione carica di pessimismo: « è un’opinione ben triste [...] la menzogna

viene elevata a ordine del mondo »184. Infatti, sembra essere lo stesso sacerdote ad

aver giustificato il pessimismo di Josef K, quando afferma: « non devi tenere

troppo conto delle opinioni. La Scrittura è immutabile e spesso le opinioni

esprimono solo la disperazione che ne deriva »185.

Questa frase ci riporta alla memoria il più volte citato discorso di insediamento

che il Commissario fa alle forze dell’ordine nella sequenza 5 in cui egli dice « Noi

siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo ».

E’ il « nulla della rivelazione», quella « vigenza senza significato» di cui Walter

Benjamin e Gershom Scholem parlano nel carteggio riportato da Agamben in

Homo Sacer.186 «Nulla meglio di questa formula, in cui Scholem caratterizza lo

stato della legge nel romanzo di Kafka, definisce il bando di cui il nostro tempo

182 F. Kafka, Il processo, trad. it. di C. Morena, Milano, Garzanti, 2010, p. 177 183 Ivi, p. 181. 184 Ibidem 185 Ivi, p. 179. 186 Forma di legge, in G. Agamben, op.cit., p.57-71.

81

non riesce a venire a capo. »187

L’ineluttabilità di tale definizione ci fa considerare come il protagonista del

Processo e quello di Indagine possano essere messi in relazione dalla loro

condizione di eroi mitici.

La loro individualità illuminista, fondata sulla ragione, deve scontrarsi con la

forza travolgente e indecifrabile, fondata non sulla ragione, ma sulla necessità del

destino.

3.1 Mito, destino, colpa

Nel racconto mitico l’azione dell’eroe non è la disgrazia fatale che gli dei inviano

a colui che si è macchiato di una colpa religiosa. La condanna dell’eroe è la

condanna alla colpa, egli è condannato a essere colpevole, secondo « un ordine i

cui soli concetti costitutivi sono infelicità e colpa e per entro il quale non è

concepibile alcuna via di liberazione ».

L’eroe mitico non può non soccombere, non è ammessa la sua innocenza. Anzi,

la felicità dell’innocente nel mito « non è affatto concepita come la conferma della

sua condotta di vita, ma come la tentazione alla colpa più grave, all’hybris ». Nella

vita dominata dal destino, quindi, la condanna non è conseguenza, ma la causa

stessa della colpa. « Nella misura in cui qualcosa è destinato, è infelicità e colpa

»188.

Benjamin afferma che l’origine della concezione del destino non andrebbe

ricercata nell’ambito religioso, bensì in quello del diritto.

Il diritto, prima ancora della elaborazione della nozione di destino mitico, è un

ordine nel quale contano solo infelicità e colpa, una bilancia « su cui beatitudine e

innocenza risultano troppo leggere e si librano in alto [...]. Le leggi del destino,

infelicità e colpa, sono poste dal diritto a criteri della persona »189. E’ da

187 Ivi, p. 59. 188 W. Benjamin, Angelus novus, Torino, Einaudi, 1995, pp. 31-33. 189 Ibidem

82

considerare che per Benjamin il diritto non è quella importante conquista culturale

delle società umane, bensì « un residuo dello stadio demoniaco di esistenza degli

uomini, in cui statuti giuridici non regolavano solo le loro relazioni, ma anche il

rapporto con gli dei »190. Solo per errore l’ordine del diritto è stato confuso e

identificato col « regno della giustizia ». Questo ordine preistorico dove sia le

relazioni tra uomini, sia quelle tra uomini e divinità sono sottoposte a norme, si è

tradotto nel diritto e nel mito. È il diritto, ancor prima del destino, che « non

condanna al castigo, ma alla colpa »191.

In Per la critica della violenza, Benjamin considera il diritto « violenza

oggettivata »192. La violenza è l’elemento fondante del diritto, la sua sostanza.

Ogni contratto giuridico è tale in quanto « conferisce ad ogni parte il diritto di

ricorrere, in qualche forma alla violenza contro l’altra parte, nel caso che questa

dovesse violare il contratto » anche se la violenza non è « immediatamente

presente nel contratto come violenza creatrice di diritti, vi è pur tuttavia pur

sempre rappresentata, in quanto il potere che garantisce il contratto è a sua volta di

origine violenta, quando non è insediato giuridicamente con la violenza in quello

stesso contratto. Se viene meno la consapevolezza della presenza della violenza in

un istituto giuridico, esso decade »193. La violenza cristallizzata nel mito è la

violenza mitica, che non castiga, ma condanna alla colpa schiacciando l’uomo «

sotto la ruota del destino »194.

Il punto da cui partire per trovare l’origine mitica della violenza del diritto è la

relazione di pretesa eguaglianza che esso stabilisce tra soggetti diversi. Nelle

guerre dell’età “mitica”, « l’avversario non viene semplicemente distrutto; anzi, gli

vengono riconosciuti certi diritti: è la stessa linea che non deve essere superata dai

due contraenti. Dove appare, nella sua forma più terribile e originaria, la stessa

mitica ambiguità delle leggi che non possono essere ‘trasgredite’, e di cui Anatole

France dice satiricamente che vietano del pari ai ricchi e ai poveri di pernottare

190 Ibidem 191 Ibidem 192 Stefano Petrucciani, Ragione e dominio, Roma, Salerno, 1984, p. 225. 193 W. Benjamin, op. cit. , p. 16. 194 S. Petrucciani, Ragione e dominio, p. 225.

83

sotto i ponti »195.

Dunque, il diritto implica e richiede eguaglianza di comportamenti da tutte le

parti coinvolte, ma essendo determinato da rapporti fondati e regolati da possibile

violenza, presuppone una differenza di potere tra i diversi soggetti che nega solo

apparentemente. La violenza del diritto è quindi la « costrizione del diseguale

all’uguaglianza o meglio, data la problematicità di questa, la condanna al delitto,

in cui in estrema analisi il diritto consiste »196.

È nel principio per cui, dall’epoca arcaica della legge non scritta ad oggi,

l’ignoranza non protegge dalla pena, e chiunque può incorrere in essa anche

infrangendo una legge in maniera inconsapevole, che mito e diritto tornano a

coincidere.

« Ma quanto più scompare l'illusione magica, e tanto più spietatamente la

ripetizione, sotto il nome di legalità. fissa l'uomo nel ciclo avendo oggettivato il

quale nella legge di natura egli si crede garantito come libero soggetto. Il

principio di immanenza, la spiegazione di ogni accadere come ripetizione, che

l'illuminismo sostiene contro la fantasia mitica, è quello stesso del mito. »197

Mito e diritto sono dunque ambiti dominati dal destino e dalla colpa, dai quali è

assente ogni speranza di riscatto. Il diritto mette in pratica l’idea fondamentale del

mito della vita come intrinsecamente colpevole, quindi condannata alla colpa.198.

Ma il racconto mitico, lo scontro tra individuo e destino che viene rappresentato

e raccontato in Indagine e nel Processo, è ambientato non in una qualche era

arcaica premoderna, bensì nella contemporaneità delle moderne società borghesi e

liberali del Novecento.

A questo proposito potrebbe essere utile riprendere la critica fatta da Adorno e

Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo.

Uno dei temi centrali della critica rivolta alle società totalitarie presenti

nell’epoca in cui il testo è stato scritto - regime nazista, regime sovietico e società

195 W. Benjamin, op. cit., pp. 23-24. 196 S. Petrucciani, op. cit., p. 225. 197 T. W. Adorno e M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1997, p. 20 198 Ivi, p. 33.

84

dei consumi – è quello della « ricaduta nel mito ».

Per comprendere pienamente cosa intendono i due filosofi francofortesi con

questa espressione, è necessario avere presente innanzitutto cosa intendano per

mito: il mito, secondo la definizione contenuta in Dialettica dell’illuminismo, è la

riconduzione della realtà ad un evento originario posto in un passato remoto. Le

spiegazioni mitiche si svolgono sempre intrecciando società e natura, tendendo

così a dare un aspetto sociomorfico e antropomorfico della natura e, viceversa, a

considerare la società con le sue regole come fondata su leggi naturali. Così la

natura sarebbe un sistema di forze e potenze organizzate secondo una precisa

gerarchia, mentre le leggi che regolano la comunità sociale vengono riferite ad un

evento originario o alla similitudine con eventi naturali, per cui ciò che in realtà è

storicamente determinato, è sottratto ad ogni discussione critica e presentato come

assolutamente necessario ed immutabile199.

Riferendosi chiaramente ai saggi di Benjamin, il mito viene descritto come

dominato da una rigida ciclicità di destino e colpa, nella quale è l’intera realtà ad

essere coinvolta. È quello che Adorno e Horkheimer chiamano il « processo fatale

della rappresaglia », secondo il quale, « nei miti ogni evento deve pagare per il

fatto di essere accaduto »200. La storia, per il mito, si svolge sotto il segno della

equivalenza e della ripetizione. Tutto ciò che accade deve essere necessariamente

bilanciato da un evento di valore uguale e contrario, in modo che tutto possa essere

sempre ripristinato così come era in precedenza.

Le figure mitiche, contro cui dovrà scontrarsi Odisseo, primo esempio di

individuo autonomo borghese, sono le rappresentazioni di questo meccanismo.

Anche se dotate di incredibile potenza, le forze mitiche sono tuttavia impotenti

perché condannati ad agire sempre allo stesso modo: « sono immagini di coazione:

le atrocità che commettono sono la maledizione che pesa su di esse.

L’ineluttabilità mitica è definita dall’equivalenza fra quella maledizione, il delitto

che la paga e la colpa che ne deriva e che riproduce la maledizione. Ogni diritto

della storia passata reca i segni di questo schema. Nel mito ogni momento del ciclo

199 Ivi, pp. 216-217. 200 T. W. Adorno e M. Horkheimer, op. cit. , , pp. 19-20.

85

ripaga quello che lo precede e collabora così a insediare come legge il nesso della

colpa »201.

Come abbiamo già detto, nel mito vi è uno stretto intrecciarsi di eventi naturali e

realtà sociale, una diretta corrispondenza tra costrizione naturale e dominio

sociale; « i processi naturali, eternamente uguali e ricorrenti, vengono inculcati ai

sudditi – da tribù straniere o dalle proprie cricche dirigenti – come tempo o

cadenza lavorativa, al ritmo della clava o del randello, che rimbomba in ogni

tamburo barbarico, in ogni monotono rituale. I simboli prendono l’aspetto di

feticci. Il loro contenuto, la ripetizione della natura, si rivela poi sempre, in

seguito, come la permanenza – da essi in qualche modo rappresentata – della

costrizione sociale. Il brivido oggettivato in un’immagine fissa diventa l’emblema

del dominio consolidato dei gruppi privilegiati »202.

L’intenzione dei due autori è chiara sin dal titolo. Dialettica dell’illuminismo è il

tentativo di mostrare la corrispondenza dell’illuminismo col suo opposto: natura e

mito. La pretesa dell’illuminismo di considerare il mito e la natura come qualcosa

di radicalmente altro da sé, come qualcosa a cui l’illuminismo si sarebbe potuto

contrapporre in maniera frontale e liberarsene, viene svelata dai due autori della

Dialettica come pretesa infondata. La forza liberatrice con cui l’illuminismo

dovrebbe spezzare le catene della cieca naturalità e delle credenze mitiche, diventa

forza repressiva che si impone come naturale e mitica.

« L’uomo si emancipa dal cieco contesto naturale, da cui esce egli medesimo, e

ottiene il potere sulla natura, in ultima istanza, per soccombere ad essa ». È questa

la dinamica fondamentale della dialettica dell’illuminismo, della ricaduta nel mito:

« l’unità tra il dominio della natura e la resa alla natura »203.

A causa di ciò vi sarebbe una sorta di malinteso, una valutazione errata del mito:

« alla base del mito esso [l’illuminismo] ha sempre visto l’antropomorfismo, la

proiezione del soggettivo nella natura. Il soprannaturale, spiriti e demoni,

sarebbero immagini riflesse degli uomini, che si lasciano spaventare dalla natura.

Le varie figure mitiche sono tutte riducibili, secondo l’illuminismo, allo stesso

201 Ivi, pp. 65-66. 202 Ivi, p. 29. 203 Theodor W. Adorno, Wagner. Mahler. Due studi, Torino, Einaudi, 1975, p. 122.

86

denominatore, e cioè al soggetto »204.

Dall’analisi di questa erronea valutazione possono essere dedotti i due elementi

fondamentali che hanno determinato il capovolgimento delle intenzioni

inizialmente emancipatorie dell’illuminismo, nel loro opposto: la ipostasi del

soggetto, l’assenza di ogni considerazione storica della questione della

soggettività, da cui consegue la rigida divisione tra soggetto e oggetto, e la

convinzione che il mito sia circoscrivibile in uno spazio determinato, il cui

annientamento dipenderebbe semplicemente dall’avanzamento dell’illuminismo.

Ma i due campi non sono delimitati da un confine così netto come l’illuminismo

ha creduto. Il mito, col suo intento di spiegare e fissare gli eventi cercando

un’origine su cui potesse fondarli, era già illuminismo, aveva già cominciato il

processo di rischiaramento.

È quindi la stessa dinamica interna all’illuminismo a farlo ricadere ad ogni passo

nel mito. Dinamica identica a quel « principio di rappresaglia » proprio del mito. «

Il principio di immanenza, la spiegazione di ogni accadere come ripetizione, che

l’illuminismo sostiene sotto la fantasia mitica, è quello stesso del mito. L’arida

saggezza per cui non c’è nulla di nuovo sotto il sole, perché tutte le carte

dell’assurdo gioco sono state giocate, tutti i grandi pensieri sono stati già pensati,

le scoperte possibili si possono costruire a priori, e gli uomini sono condannati

all’autoconservazione per adattamento, quest’arida saggezza non fa che riprodurre

la fantastica che respinge: la ratifica del destino, che ripristina continuamente, per

contrappasso, ciò che già era »205. Il destino voluto dall’illuminismo tuttavia non è

più condanna alla colpa, ma alla cieca e irrazionale autoconservazione costretta nel

chiuso circolo dell’immanenza.

La ricaduta dell’illuminismo nel mito avrebbe la sua causa principale nel

considerarsi come qualcosa di totalmente altro rispetto alla natura. La natura che

dall’illuminismo è trattata solo come « natura morta », semplice oggetto al quale

approcciarsi con distacco razionale , continua a sussistere nell’illuminismo stesso,

nonostante sia continuamente rinnegata e spacciata come spiritualità, quindi

204 T. W. Adorno e M. Horkheimer, op.cit., p. 14-15. 205 Ivi, p. 20.

87

assolutamente distante dalla natura206.

La natura è presente nell’illuminismo e nelle sua idea di spirito come ciò a cui

bisogna necessariamente far riferimento. L’uomo, che l’illuminismo tenterà in tutti

i modi di emancipare dalla natura, resta, nonostante gli elevati gradi d’astrazione

raggiunti dalla filosofia, un ente naturale.

« Lo spirito diventa mitico in quanto si pone come autonomo di contro alla

natura e, obliata la sua base naturale, si presenta in forme naturali che vengono

spacciate come spirituali, e perciò diventano mitiche. Mitici sono dunque, se

abbiamo inteso bene, tutti quei fantasmi del logos che il pensiero occidentale ha

prodotto, dalle idee platoniche alla soggettività trascendentale attiva di Kant,

fino al puro io religioso di Kierkegaard. Mito perciò è quella forma di

soggezione alla cieca naturalità che non si avvede di se stessa come tale, ma

anzi, quanto più pretende di essersi emancipata dalla natura, tanto più mostra di

esser ricaduta in essa »207.

Ci si è illusi che lo spirito, potesse essere considerato l’assolutamente

trascendente rispetto alla natura. Tuttavia esso resta sempre e comunque « un

frammento della storia della natura ». Con l’autocompiacimento per la perfezione

delle sue forme, forme logiche in primis, identiche a se stesse e immutabili, si

impone allo spirito quel momento di rigidità dal quale ci si vorrebbe emancipare.

Ma la natura sopravvive nell’illuminismo non solo come natura coatta, ma anche

secondo un’altra modalità. L’illuminismo, esattamente come il mito, è

trasfigurazione del ciclo naturale. Ciò che viene trasfigurato de,l ciclo naturale dal

mito come dall’illuminismo, è la « cieca ripetizione, il chiuso ciclo

dell’immanenza da cui nulla conduce fuori »208. Nelle società borghesi il ciclo

dell’immanenza è costruito tutto su quel principio di equivalenza di cui si è già

parlato. Nel ciclo dell’immanenza vige il principio della fungibilità assoluta: tutto

deve poter essere scambiabile e sostituibile con tutto: è il principio base delle

206 S. Petrucciani, op.cit., p. 229. 207 Ibidem 208 Ibidem

88

società borghesi fondate sullo scambio delle merci. Il risultato è quello che Adorno

chiama « nesso d’accecamento ».

Il decreto che viene emesso in Indagine ha un carattere mitico, ma nel senso

“moderno”, secondo le modalità descritte da Adorno e Horkheimer: il

Commissario, nonostante il delitto commesso, è condannato non alla colpa, bensì

all’innocenza. In questo modo il destino assume i caratteri di una condanna « alla

cieca e irrazionale autoconservazione costretta nel chiuso circolo dell’immanenza

»209.

Questa dinamica è resa ancora più evidente ed efficace dalla struttura narrativa

del film, che crea la perfetta e diretta identificazione dell’autorità, colui che

condanna e punisce e che conserva il diritto con la violenza, con il criminale, colui

che usa la violenza contro il diritto e perciò dovrebbe essere condannato e punito

dall’autorità.

Nel rapporto giuridico del diritto, che secondo quanto affermato da Benjamin

assegna solo apparentemente pari valore a tutti i soggetti coinvolti, il commissario

porta all’estremo la contraddizione insita in esso, infrangendo la norma

fondamentale del divieto a commettere omicidio, e cercando invano in tutti modi

di mostrarsi come colpevole. L’azione del commissario stressa a tal punto il

sistema giuridico di diritto, tanto da smascherarne la contraddizione immanente.

3.2 Crisi sacrificale

Il commissario, eroe tragico della sclerotizzata società tardo-borghese, si ritrova a

dover affrontare, come accade in ogni tragedia, quella che Girard chiama una

“crisi sacrificale”. Gli elementi che secondo il filosofo francese denotano una crisi

sacrificale all’interno di un racconto mitico sono essenzialmente tre: « 1) la

descrizione di una crisi sociale e culturale, ovvero la descrizione di una

209 Cfr. supra, p. 7.

89

indifferenziazione generalizzata – primo stereotipo; 2) certi crimini

“indifferenziatori” – secondo stereotipo; 3) se gli autori designati di questi crimini

posseggano segni di selezione vittimaria, tratti paradossali di indifferenziazione –

terzo stereotipo »210.

Se si analizzasse il film utilizzando queste tre categorie, si giungerebbe alla

conclusione che Indagine può essere identificato come racconto mitico.

Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, il periodo in cui si svolge il racconto

è un periodo di forte crisi sociale, culturale e istituzionale. Vi è un livello di

tensione politica e la sensazione diffusa, sia da parte di chi contesta che da parte di

chi reprime, che il sistema giuridico e di diritto vigente sia profondamente

inadeguato.

Vengono compiuti numerosi crimini indifferenziatori, il primo fra tutti

l’assassinio commesso dal commissario, poi le violenze fortemente destabilizzanti

tra polizia e contestatori. Ma è la stessa istituzione di cui il commissario fa parte a

contenere un alto tasso di indifferenziazione. Secondo l’analisi di Benjamin, la

polizia si pone al di là della rigida distinzione tra violenza che crea diritto e

violenza che conserva il diritto. La polizia « è bensì un potere a fini giuridici (con

potere di disporre), ma anche con la facoltà di stabilire essa stessa entro vasti

limiti, questi fini (potere di ordinare) »211. La polizia si ritrova ad operare

all’interno di un pericoloso cortocircuito: « essa è potere che pone - poiché la

funzione specifica di quest’ultimo non è di promulgare le leggi, ma qualunque

decreto emanato con forza di legge - , ed è potere che conserva il diritto, poiché si

pone a disposizione di quegli scopi »212. In questo modo la polizia è « emancipata

» dalle due condizioni fondamentali che legittimano i due tipi di violenza, quello

che pone la legge e quello che la conserva. Infatti se dalla prima « si esige che

mostri i suoi titoli nella vittoria », nella fondazione e affermazione di un nuovo

sistema di diritto, « la seconda è soggetta alla limitazione di non doversi porre

nuovi fini »213.

210 R. Girard, Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, 2011, p. 45. 211 W. Benjamin, op. cit., p. 15. 212 Ibid. 213 Ibid.

90

La forte caratterizzazione del personaggio, i tratti di indifferenziazione palesi

nelle frequenti oscillazioni tra comportamento severo ed autoritario e

atteggiamenti infantili, il suo mimetizzarsi e travestirsi, denotano sicuramente il

commissario come il soggetto ideale da identificare e selezionare come vittima.

La crisi sacrificale sarebbe il frutto di una crisi profonda del tessuto sociale,

istituzionale e culturale, che arriva a scuoterne le fondamenta. Ne La violenza e il

sacro, la crisi sacrificale è definita come « perdita della differenza tra violenza

impura e violenza purificatrice. Una volta perduta tale differenza non c’è più

purificazione possibile, e la violenza impura, contagiosa, cioè reciproca, si

diffonde nella comunità. La differenza sacrificale, la differenza tra il puro e

l’impuro non può cancellarsi senza trascinarsi dietro tutte le altre differenze. [...]

Quando va in sfacelo il momento religioso [del sacrificio], non più soltanto , o non

subito, la sicurezza fisica a essere minacciata, bensì l’ordine culturale stesso. Le

istituzioni perdono la loro vitalità; l’armatura della società si allenta e si dissolve;

dapprima lenta, l’erosione di tutti i valori si fa precipitosa; tutta la cultura rischia

di crollare, e un giorno o l’altro crolla come un castello di carta »214.

L’unico modo per superare la crisi sacrificale, per arrestare il processo di

indifferenziazione e il dilagare della violenza che travolgerebbe fino a distruggerla

l’intera comunità, è rifondare il rito sacrificale concentrando e dirigendo la

violenza su una vittima espiatoria che risponda a determinate caratteristiche, il cui

sacrificio riporterebbe un nuovo equilibrio all’interno della comunità.

Ma in Indagine la crisi sacrificale viene congelata, la frantumata e instabile

società liberale tardo borghese viene immobilizzata e tenuta forzatamente e

faticosamente in piedi.

Si è realizzata la legge così come è rappresentata nella leggenda kafkiana,

Davanti alla legge, « in cui essa si afferma proprio nel punto in cui non prescrive

più nulla, cioè come puro bando. Il contadino è consegnato alla potenza della

legge, perché questa non esige nulla da lui, non gli propone altro che la propria

214 R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2011, pp. 76 – 77.

91

apertura. Secondo lo schema dell’eccezione sovrana, la legge gli si applica

disapplicandosi, lo tiene nel suo bando abbandonandolo fuori di sé. la porta aperta,

che è destinata soltanto a lui, lo include escludendolo e lo esclude includendolo. È

questo il fastigio supremo e la radice di ogni legge »215. È la forma pura della

legge, che vige senza significare: « vigenza senza significato »216, come scrive

Scholem in una lettera a Benjamin sull’interpretazione della parabola kafkiana.

Per chiarire il concetto di “forma pura della legge” Agamben si rifà alla

definizione kantiana di « semplice forma della legge » contenuta nella Critica

della ragion pratica. Questa sarebbe « una legge ridotta al punto zero del suo

significato e che, tuttavia, vige come tale. “Ora, di una legge – egli scrive – se si

astrae da essa ogni materia, cioè ogni oggetto della volontà (come motivo

determinante), non rimane che la semplice forma di una legislazione unversale”.

Una volontà pura cioè determinata soltanto mediante una tale forma della legge,

non è “né libera né non libera”, esattamente come il contadino kafkiano »217.

La questione però si complica nel momento in cui si cerca di applicare la “forma

di legge” alla vita degli individui. È impossibile individuare la giusta condotta che

il singolo dovrebbe tenere di fronte ad essa. « Qual è, cioè, la forma di vita che

corrisponde alla forma di legge? » si chiede Agamben in Homo sacer « Non

diventa così la legge morale qualcosa come una “facoltà imperscrutabile”? Kant

chiama rispetto (Achtung, attenzione reverenziale), la condizione di chi si trova a

vivere sotto una legge che vige senza significare, senza cioè né prescrivere né

vietare alcun fine determinato [...] La legge, in rapporto all’elemento formale del

libero arbitrio, è la sola cosa che resta, una volta che ha eliminato la materia del

libero arbitrio. » Il filosofo italiano vede nell’impostazione dell’etica kantiana una

lucida anticipazione di quella che sarà una condizione materiale nel periodo dei

regimi totalitari e delle società di massa. «La vita sotto una legge che vige senza

significare assomiglia alla vita nello stato di eccezione, in cui il gesto più

innocente o la più piccola dimenticanza possono avere le conseguenze più

estreme. Ed è esattamente una vita di questo genere, in cui la legge è tanto più

215 G. Agamben, op.cit., pp. 57 – 58. 216 Ivi, p. 59. 217 Ivi, p. 60.

92

pervasiva in quanto manca di qualsiasi contenuto e un colpo battuto distrattamente

su un portone scatena processi incontrollabili, quella che Kafka descrive »218.

La presenza pervasiva della legge dovuta alla suo essere assolutamente vigente,

la pretesa universalità della legge formale che deve quindi essere applicata e messa

in pratica in ogni situazione e la Achtung incondizionata che questa legge esige,

arriva a rendere la legge « indiscernibile dalla vita »219.

3.3 Individuo

Diventa quindi estremamente problematico il rapporto tra l’individuo

determinato e particolare e la legge indeterminata e universale, in un sistema

sociale borghese e liberale che viene considerato fondato sull’individuo, sulle sue

libertà e diritti imprescindibili.

A riguardo può tornarci utile l’analisi che fa Adorno della condizione materiale

dell’individuo nel determinato contesto storico e sociale in cui il film di Petri è

ambientato.

È necessario legare la crisi dell’individuo alle profonde mutazioni storiche e

sociali della contemporaneità; «se da un lato è ovvio che l’individuo come unità

biologica continua a esistere, insieme a tutte quelle caratteristiche che servono alla

sua riproduzione, dall’altro esso ha fatto il suo ingresso in una costellazione

sociale al cui interno la riproduzione della sua vita non può più essere realizzata.

L’individuo sembra ormai condannato a potersi mantenere in vita soltanto a patto

di abdicare alla sua individualità, di cancellare i confini dall’ambiente, di

rinunciare a una parte consistente della propria autonomia e indipendenza. In ampi

strati della popolazione non esiste più alcun ‘io’ in senso tradizionale»220; tanto che

«in molti individui appare già come una sfrontatezza che abbiano il coraggio di

pronunciare la parola “io”»221.

218 Ivi, p, 61. 219 Ibidem 220 Theodor W. Adorno, Individuo e società, in I. Testa (a cura di), La Crisi dell’individuo, Diabasis,

Parma, 2010, p. 57. 221 Theodor W. Adorno, Minima moralia, Torino, Einaudi, 1995. p. 48.

93

I mutamenti in atto sono così radicali da spingere Adorno a parlare di «un nuovo

tipo umano in corso di formazione», arrivando a porre la necessità di elaborare una

«nuova antropologia»222. I caratteri principali dell’‘uomo nuovo’ sarebbero tutti

legati alla sua integrale e assoluta determinazione sociale. Ciò implica un

ridimensionamento di quella che viene considerata la sfera privata dell’individuo:

la famiglia perde il compito assegnato nelle società borghesi di mediazione tra il

singolo e l’apparato sociale; il repertorio di ‘immagini’ è atrofizzato e così come la

capacità linguistica dei singoli individui, interamente costituito dal gergo sintetico

proprio del linguaggio pubblicitario.

Si delinea così «il tipo dell’uomo la cui essenza è definita dall’incapacità di

compiere esperienze personali, un uomo che si lascia imbandire le esperienze

dall’apparato sociale, fattosi strapotente e impenetrabile, che proprio per questo

non riesce a spingersi fino allo stadio della formazione dell’io»223. Un profilo del

genere sarebbe da considerare, secondo la psicanalisi, malato, da classificare come

soggetto nevrotico. Adorno infatti utilizza spesso termini “medici” quali

mutilazione, storpiamento, danneggiamento per descrivere i processi di

formazione dei nuovi individui.

La malattia ha però carattere costitutivo, ciò è dovuto al fatto che gli individui

“malati” sono tali in quanto prodotti da una società malata che produce i propri

membri «gravandoli di tare ereditarie». In questo modo si spiega l’elevato tasso di

integrazione degli individui nell’organizzazione, dovuta alla mancanza di uno

strato specificatamente umano che andrebbe ad opporsi alla violenta integrazione;

l’uomo non è quindi da considerare come « un ente statico sottoposto a certe

deformazioni ad opera di un “influsso”, non c’è un’interiorità sostanziale su cui

opererebbero – dall’esterno – determinati meccanismi sociali » 224.

Quindi, questa malattia di cui l’individuo sarebbe afflitto viene subita in maniera

inconsapevole « l’odierna malattia consiste proprio nella normalità. Gli atti

libidinosi richiesti all’individuo che appare sano nel corpo e nell’anima, sono tali

da poter essere eseguiti solo a prezzo della più profonda mutilazione, di una

222 T. W. Adorno La Crisi dell’individuo, p. 66. 223 Ivi, p. 61. 224 Ivi, p. 279.

94

interiorizzazione della castrazione negli estrovertiti, [...] la salute interiore

dell’epoca non fa che vietare la fuga nella malattia senza toccare per nulla le sue

cause ». É quindi uno degli aspetti della Malattia mortale l’inconsapevolezza della

propria condizione reale, inconsapevolezza generata dalla portata universale del «

sacrificio socialmente richiesto », che « si rivela solo nella società nel suo

complesso, e non nel singolo »225.

Il paradosso che sta alla base di questo malinteso è dovuto alla dialetticità

dell’illuminismo « che si capovolge in oscuramento. »226

Questo malinteso ne crea di conseguenza un altro:

« […] la dialettica del processo di civilizzazione – dell’illuminismo che si

rovescia in oscurità, trasforma il suo scopo, il soggetto autonomo, in un mezzo,

in un oggetto determinato eteronomamente da condizioni alle quali gli è

imposto di adattarsi, condizioni che quindi formano colui che dovrebbe

formare e infine lo conducono alla sua auto dissoluzione »227.

Sono gli stessi conflitti interni all’io ad essere posti tra i concetti stereotipati della

psicologia, concetti che si rivelano assolutamente inadeguati alla comprensione

delle problematiche reali legate all’io. Così « i conflitti perdono quel che

avrebbero di minaccioso. Vengono accettati: non però guariti, ma semplicemente

inquadrati – come pezzi o componenti indispensabili – nella superficie della vita

regolamentata »; in questo modo « vengono assorbiti dal meccanismo

dell’identificazione immediata del singolo con l’istanza sociale, che ha afferrato da

tempo i modi di condotta che passano per normali »228. A questa dinamica sarebbe

dovuta l’incomprensibile accettazione da parte delle autorità superiori al

commissario del delitto da lui commesso, che lo costringe a tenere il suo posto nel

sistema di potere, soffocando così la portata destabilizzante della sua azione

criminale. Ciò che importa alla sovranità, non è mai garantire la giusta

225 Theodor W. Adorno, Minima moralia, Torino, Einaudi, 1995, p. 59. 226 Ibidem. 227 H. Schweppenhauser, Das Individuum im Zeitalter seiner Liquidation, «Archiv für Rechts und

Sozialphilosophie», Kassel, Franz Steiner, 1971, p. 97. 228 T. W. Adorno, Minima moralia, p. 67.

95

applicazione delle leggi, ma solo la propria sopravvivenza. E in questa fase storica,

sembra che abbia i mezzi per farlo, nonostante risulti ormai completamente

irrazionale e inadeguata.

La brutale integrazione degli individui nel sistema sociale, porta gli individui a

perdere i caratteri propri dell’umano. Gli uomini diventano simili alle cose 229.

Assimilazione degli uomini alle cose, freddezza sono i caratteri che assumerebbe

il singolo integrato nell’organizzazione. È lo stesso termine ‘organizzazione’ che

sembra riferirsi alla trasformazione dei suoi membri in organi, strumenti, e quindi

cose. Differentemente dalle associazioni « quasi-naturali », come la famiglia o la

tribù, e della « totalità non pianificata del processo sociale », l’organizzazione

integra i suoi membri per utilizzarli come strumenti utili per la realizzazione di

uno scopo determinato, così che i rapporti e le relazioni tra gli uomini membri

dell’organizzazione sono mediati. La mediatezza costituirebbe il « carattere

strumentale del singolo per l’organizzazione e dell’organizzazione per il singolo »,

cosa che non porterebbe semplicemente a un irrigidimento di tali rapporti, ma

arriverebbe a renderli addirittura violenti. L’organizzazione è stata elevata dalle

società tardo-capitalistiche a modello sociale. Diventa così chiara l’irrazionalità

mascherata del proprio ordinamento a scopi. L’organizzazione è spinta ad

espandersi seguendo unicamente « i binari del funzionamento ». Così « sempre

nuovi settori vengono inglobati nel meccanismo e resi controllabili.

L’organizzazione, che fagocita quel che sempre le è dato di ottenere, persegue in

ciò l’unificazione tecnica, dunque anche la propria potenza. Essa riflette tuttavia

assai poco sul senso del suo esserci e della sua estensione nel tutto sociale. [...]

Separata dallo scopo al di fuori di lei, essa diviene scopo a se stessa. Quanto più

ampia è la sua spinta alla totalità, tanto più essa – sistema degli strumenti –

rafforza la parvenza di essere la cosa stessa »230.

L’organizzazione, quindi, lo strumento con cui gli uomini hanno potuto

emanciparsi dal dominio della natura e modificarla in base ai propri bisogni,

229 T. W. Adorno, La Crisi dell’individuo, p. 62. 230 T. W. Adorno, Individuo e organizzazion, p. 125.

96

diverrebbe irrazionale nel momento in cui perde il momento autoconservativo. La

funzionalità dell’organizzazione per l’emancipazione umana si trasforma in

‘destino’ nel momento in cui « sotterra sotto di sé gli uomini ».

É così che l’impotenza degli uomini di fronte alle istituzioni, la loro incapacità di

arrestare o semplicemente di indirizzare e controllare le forze del progresso

dell’organizzazione, « trasformano magicamente questo progresso nella parvenza

di ciò che viene decretato metafisicamente. In questo decreto è impressa la

tendenza universale di tutti i rapporti sociali, nella presente fase storica, a

presentarsi come validi in modo evidente, assoluto: ciò che è diviene oggi

l’ideologia stessa »231.

L’elemento che rende difficoltoso riportare la dinamica tra singoli e

organizzazione fuori dall’irrazionalità nella quale sembra ormai versare, è il

confondersi dei due piani: soggettivo e oggettivo. L’organizzazione, considerata un

elemento oggettivo, lo è solo apparentemente. Questa è in realtà il « prodotto del

calcolo dei soggetti che l’organizzano », quindi, non determinata da interessi

‘collettivi’, bensì particolari e quindi soggettivi. Gli uomini, al contrario, anche

quando sono convinti di agire e pensare autonomamente e soggettivamente,

essendo determinati integralmente dall’organizzazione di cui sono parte, agiscono

e pensano esattamente seguendo le modalità con cui ciò che essi credono

oggettivo, li ha determinati. Ai singoli individui viene così impedita ogni

possibilità di essere consapevoli dei propri bisogni reali, poiché soggetti all’ «

arbitrio dei potenti, che vogliono l’impotenza dei soggetti per timore

dell’oggettività che è conservata solo presso di essi »232. Ciò è reso possibile

dall’accrescimento smisurato della « possibilità tecnica di dominare gli uomini ».

Gli spazi di movimento sono sempre più compressi rispetto al passato, fintanto che

« il massimo di costrizione reale nel lavoro che si realizza appare al tempo stesso

come risultato dell’applicazione di regole tecnico-economiche neutrali, e non

invece per ciò che realmente è, dominio sugli uomini da parte di altri uomini.

Questo processo si prolunga dalla fabbrica alla società intera: anche qui la

231 Ivi, p. 128-129. 232 T. W. Adorno, Minima moralia, p. 73.

97

progressiva burocratizzazione e tecnicizzazione (calcolabilità) dei modi della

convivenza sociale fa sì che strutture e istituzioni assumano sempre più

l’apparenza di necessità oggettive neutrali e impenetrabili ». Dunque, a tal

proposito Petrucciani fa notare, vi sarebbe un cambiamento qualitativo nella «

feticizzazione dei rapporti sociali che caratterizza da sempre l’ordine capitalistico:

l’organizzazione gerarchica, l’ineguaglianza e lo sfruttamento non appaiono più

solo come il risultato di leggi economiche fraintese come naturali (in realtà

storicamente determinate), ma anche o soprattutto come frutti del perseguimento

neutrale e scientifizzato dell’obbiettivo del massimo benessere per il maggior

numero »233.

Quindi, potrebbe non essere del tutto esatto definire la posizione dell’individuo

in questa determinata situazione storico-sociale col termine ‘liquidazione’. Nelle

società tardo-capitalistiche l’individuo « continua a vegetare », esso viene fatto

tramontare « a poco a poco nell’ignominia »234.

233 S. Petrucciani, Ragione e dominio, pp. 334-335. 234 T. W. Adorno, Minima moralia, p. 157.

98

99

CONCLUSIONI

La rivisitazione di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ci ha

permesso di rileggere quest’opera come strumento ermeneutico per un contesto

culturale come quello dell’Italia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, già

indicato, ma con una prospettiva metodica che può essere un contributo ulteriore

alla non abbondante letteratura esistente su Petri e sulla sua opera cinematografica.

Dall’epoca del film ad oggi, la storiografia ha subito un’evoluzione negli schemi

interpretativi del rapporto tra produzione capitalista e produzione culturale che

però non ha intaccato il valore intellettuale dell’ opera di Petri che ha assunto la

funzione di documento della sua epoca, diventando mezzo espressivo per indagare

la realtà senza scivolare nell’operazione documentaristica, dando voce alle istanze

e alle esigenze di un segmento della società.

Il film diventa infatti la silloge di tutti i processi mancati e mancanti che la

società civile sa che non verranno mai fatti.

In questa epoca di angoscia si cela perfettamente la sensibilità del regista Petri, a

metà strada tra neo-realismo ed espressionismo, che supera però, sino a pervenire

ad esiti surrealisti.

Al termine di una proiezione privata tenuta da Petri prima dell’uscita nelle sale

(alla quale parteciparono anche Zavattini, Monicelli e Scola) i presenti dapprima

sbigottiti esclamarono: “Andrete in galera”.

In galera non ci andarono né Petri né Pirro, ma avvicinandomi e studiando da

vicino, l’uomo Petri, l’artista Petri, toccando con mano i suoi manoscritti, i suoi

documenti personali, mi sono potuta rendere conto della vera e propria damnatio

memoriae a cui è stato condannato per le sue opere di portata quasi profetica.

Ciò che egli disse rimase un tabù inaudito nell’Italia degli anni di piombo e

ancora di più nei decenni successivi in cui quegli anni si vollero forzatamente

superare e dimenticare attraverso un’ondata di falso ottimismo consumista.

La societè du spectacle ha trionfato su ogni tentativo di rivolta, ad ogni proposta

culturale che al di là del mero intrattenimento, abbia provato a squarciare il velo di

100

omertà che, soprattutto in Italia, ha sempre aleggiato sul potere e le sue istituzioni.

Ci si è venuti a trovare insomma davanti a una cultura funzionale al sistema, una

cultura affermativa e non critica che distrugge l’autonomia del singolo ridotto a

fruitore passivo. L’arte, nell’era della riproducibilità tecnica, serve solamente a

riconciliare il pubblico di massa allo status quo.

Per decenni i film di Petri sono stati pressoché introvabili e fuori commercio; in

pochi ricordano che è stato lui il vincitore dell’Oscar come migliore film straniero

prima di Sorrentino, Benigni e Tornatore (ma che, ricordiamo, lui e Gian Maria

Volontè si rifiutarono di andare a ritirare , in quanto espressione di una cultura

imperialista da entrambi tenacemente contestata), oltre che aver vinto la Palma

d’oro al Festival di Cannes.

Viene da chiedersi dunque come tutto ciò sia stato possibile, e soprattutto, a

provare di trovare una risposta plausibile, come spero e credo di aver fatto in

questo mio lavoro.

E’ stato un onore per me avvicinarmi e poter far luce sui fatti e le idee che stanno

alla base di questa rimozione dalla memoria collettiva di un autore che a mio

avviso, insieme ad un incommensurabile Gian Maria Volontè, ha saputo dare un

volto e soprattutto un corpo al potere.

La corporalità, la fisicità, la visceralità intenzionalmente espresse dalla vicenda di

Indagine mi hanno permesso un accostamento alle teorie di Foucault che potrebbe

forse apparire non del tutto appropriata e persino forzata ma che, andando avanti

nella mia ricerca si è dimostrata un’intuizione corretta poiché ben argomentata e

molto presente nella pur esigua bibliografia esistente.

Petri usa infatti Foucault senza citarlo, in un discorso che può essere totalitario

ma non totalizzante. Proprio come nelle teorie di Foucault, le quali affermano che

nella nostra società nessuno detiene il potere ma ognuno lo subisce ed a sua volta

lo esercita come in una catena, anche in Indagine ogni personaggio è detentore e

vittima di qualche atomo di potere che gli attribuisce una determinata sorte ed è

l'energia motrice dell'intera narrazione.

Desiderio ed eros in primis si confermano fisiologicamente centrali all’interno di

una storia basata sul sadismo di un gioco erotico macabro che vede un poliziotto

101

eccitarsi fotografando la sua amante nelle pose in cui ha trovato le sue vittime, per

poi farne una vittima lei stessa. Poliziotto dal cinismo estremo che non viene

intaccato in nessun altro lato della propria personalità, se non in quello sessuale in

cui perde la maschera paternalista datagli dal potere, per tornare bambino

capriccioso e vulnerabile.

Con la parabola di questo moderno Josef K. coincide, a grandi linee, uno dei temi

caratteristici di Petri, che gli procurerà i primi problemi con la censura: quello

della forza pubblica che agisce con metodi illeciti.

Infatti, come premesso all’inizio del mio elaborato e dimostrato attraverso

molteplici analisi, Indagine verte proprio su questo: la denuncia di una nevrosi,

tipica del potere, che la cornice storica ha portato ad estreme conseguenze. La

deformazione mentale e morale alla quale conduce un esercizio del potere privo di

controllo.

Il forte parallelismo di tutta l’opera cinematografica di Petri con quella di Kafka,

cominciato fin dall’ esordio nell’Assassino in cui un Marcello Mastroianni

antiquario attraversa un’odissea giudiziaria senza conoscerne bene neppure il

motivo e scoprendo poi molte colpe che gravano sulla sua esistenza, ha trovato,

come ho avuto modo di dimostrare nell’ultimo capitolo del mio elaborato, il suo

apice in Indagine.

In una filmografia di una dozzina di titoli, serpeggia continuamente il riferimento

culturale a Franz Kafka. Con il gigante boemo della letteratura, il regista condivide

l’ossessione per i temi dell’immensa solitudine dell’individuo schiacciato nella

massa, dell’alienazione derivante dalla modernità, del diverso incapace di adattarsi

all’ambiente circostante e destinato a soccombere. Uno sguardo “kafkiano”

appunto, coniugato, soprattutto nella seconda parte della carriera, con un gusto

deformante per il grottesco e per storie pessimistiche, straziate, nerissime.

Basterebbe Agamben per comprendere come fecondamente questo processo di

rimetabolizzazione del rapporto tra individui e potere nelle società tardo-

capitilistiche, ci porti oggi a vedere una nuova istanza di storicizzazione che

sovverte molti degli schemi precedenti.

102

Nell’ultimo ventennio in particolare possiamo notare come nella società dello

spettacolo sia avvenuta una perdita considerevole dell’estetica del potere che tenta

di darsi un volto amichevole nei confronti dei cittadini con il proposito di essere

amato e non più temuto.

L’arcanum imperii si è dissolto, la società dello spettacolo non celebra più riti ma

è l’economia a celebrarli. Il “capitalismo come religione”, parafrasando Benjamin,

è un culto celebrato ininterrottamente.

Dopo gli anni in cui la società percepì che l’instabilità e l’insicurezza erano di

Stato e che i crimini di Stato vennero effettivamente alla luce, nell’Italia della

Seconda Repubblica il potere si fa letteralmente il lifting, scendendo in campo con

un’inedita ricerca del consenso del tutto sconosciuta alle classi dirigenti degli anni

precedenti le quali non avevano alcun interesse a spiegarsi e a farsi capire dalle

masse.

Lo Stato, che dovrebbe essere antagonista del potere, e usarne solo la quantità

minima necessaria a far muovere i suoi ingranaggi, si è svelato essere invece il

primo agente di cieca accumulazione ed autoconservazione di esso, e ben lungi dal

pentirsi o dal fermare certi processi , si è reso immagine e spettacolo socialmente

accettabili.

I leader politici di oggi non accedono alle sacre sacche dell’aura imperiale, ma ne

perpetuano e imitano i privilegi, in una grottesca parodia. Come infatti possiamo

leggere in un’intervista a Licio Gelli235 , Maestro Venerabile della Loggia P2 e

protagonista di molti dei più controversi episodi trattati nel primo capitolo, che

definisce l’attuale premier Renzi un “bambinone circondato dai lacchè di

Berlusconi”.

La risposta che ho trovato alla fine di questa ricerca sa dunque di ineluttabilità:

sarà rimosso dalla memoria, sia dalle istituzioni sia da chi si proclama portatore di

istanze anticonformiste, chi voglia sfidare o cercare di capire con la ragione le

235 Dolcetta Marco, Licio Gelli al Fatto: “Il bambinone Renzi e gli ex lacchè di Berlusconi ; in « Il Fatto

Quotidiano », 23 maggio 2014.

103

regole del potere e delle leggi che gli uomini si sono dati. Esiste una sorta di

malattia della ragione che la inquina sin dalle origini, perché sin dalle origini

l’umanità ha concepito la ragione non come un modo per giungere alla verità ma

come uno strumento di dominio.

Il principio d’immanenza della società in cui viviamo e a cui siamo del tutto

assuefatti, non lascia spazio a chi abbia voluto proporre delle opere non sempre

gradevoli ma intellettualmente lucide e libere da ogni dogma:

“Nell’ultimo periodo della mia vita, io ho fatto film sgradevoli. Sì, film

sgradevoli in una società che ormai chiede la gradevolezza a tutto, persino

all’impegno: se l’impegno è gradevole, e quindi non dà fastidio a nessuno, lo si

accetta. Altrimenti no. I miei film, al contrario, oltrepassano addirittura il segno

della sgradevolezza”236. - Elio Petri -

236 Elio Petri, in Faldini Franca, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano

raccontata dai suoi protagonisti 1935-1959, Milano, Feltrinelli, 1979.

104

105

3.4 APPENDICE DOCUMENTARIA

Documento I: Divisione del film in sequenze

Ci si avvarrà della divisione in sequenze effettuata da Claudio Bisoni in

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Lindau, Torino,

2011) unendolo alla trama e con alcune aggiunte e considerazioni

personali.

Sequenza 1 (12’ 13’’)

In un caldo pomeriggio di agosto, il capo della sezione omicidi della

questura di Roma, si aggira sospettoso fuori dall’appartamento

dell’amante , Augusta Terzi, che lo attende dietro la finestra per la

realizzazione dell’ennesimo gioco erotico. Sarà l’ultimo. Il

commissario entra in casa e lei gli chiede “Stavolta, come mi

ammazzerai?”- “Ti taglierò la gola”, risponde lui. I due si uniscono in

amplesso in cui un urlo finale di lei lascia intendere un orgasmo, ma

nella scena successiva scopriamo subito che non è così: il commissario

ha ucciso la donna tagliandole la gola con una lametta da barba.

Lo vediamo mentre si lava. Poi si assopisce. Al risveglio guarda fuori

dalla finestra: siamo in Via del Tempio 1, a pochi metri dalla sinagoga.

Di fronte all’assassino si stagliano le tavole della legge scritte in

ebraico.

L’uomo dissemina l’appartamento di prove della propria colpevolezza (

impronte digitali, lascia un filo della cravatta tra le unghie della vittima,

segna il corridoio con le scarpe insanguinate). Poi chiama la polizia per

denunciare l’omicidio, prende delle bottiglie di vino in frigo e se ne va.

Sul portone, un testimone lo vede. Si tratta di un giovane ragazzo che

vive al piano di sopra.

106

Sequenza 2 (4’53’’)

2a. Attraverso un camera-car dalla vettura del commissario ci

avviciniamo alla centrale di polizia.

2b. Il commissario entra nel suo ufficio con un suo subordinato e sulla

prima pagina di un quotidiano che prende in mano si legge il titolo

“Agente spara, ferisce un operaio”

“Naturalmente gli è partita la pistola e gli è partito un colpo” Dice il

commissario ammiccando al suo subordinato. “Questa è la versione più

probabile”, risponde l’altro. Escono dalla stanza.

2c. Il commissario raggiunge i colleghi per festeggiare. Assieme ai

colleghi si intrattiene con un sospettato di omicidio, Proietti, che non

vuole confessare. “Qui dentro l’unico colpevole sono io “ afferma il

commissario. Poco dopo arriva per le congratulazioni anche il suo

sostituto, Mangani. Il commissario però non è in vena di smancerie:

“Finiamola con queste leccate. Il carnevale è finito”.

Sequenza 3 (7’26’’)

3a. La squadra omicidi va sul luogo del delitto Terzi, in via del Tempio.

Il commissario torna per la seconda volta negli stessi luoghi. Biglia

vede le trecentomila lire intonse sul mobile e sentenzia: “Libertino…

dannunziano”. Il commissario fa domande su chi siano i dirimpettai e

Biglia risponde auto citando il titolo del film: “Un famoso chirurgo. Un

individuo al di sopra di ogni sospetto”. Viene ritrovato un album di

foto della vittima in posa da cronaca nera.

3b. Primo flashback che ci porta alla realizzazione di quella foto,

nell’appartamento del commissario. Ci viene svelata così la fantasia

trasgressiva su cui si reggeva la relazione tra l’uomo e la donna:

Augusta, appassionata di romanzi gialli, rotocalchi e racconti di cronaca

nera, ha ottenuto le attenzioni del commissario dopo aver visto le sue

foto sui giornali. Ogni incontro fino a quel pomeriggio, si svolgerà

107

secondo un rituale blandamente perverso: la donna provoca l’uomo e

stimola la sua fantasia giocando a fare la vittima del Potere poliziesco.

“Facciamo quella della giovane rivoluzionaria?” dice lei. “Giovane

studentessa rivoluzionaria. Trento. Viene soffocata dall’ordinario della

Facoltà di Sociologia e soffocata con dei biglietti da diecimila e

violentata dopo il decesso”.

3C. Si torna al presente. Biglia insiste: l’assassino deve essere un

cretino, un superficiale, un presuntuoso. Lascia i soldi, si veste, si lava

con il sapone francese della vittima, finge la rapina, fa il gagà. Lascia

orme preziose per noi. Il commissario se ne va e all’esterno

dell’appartamento si trattiene con Patanè, un giornalista di sinistra suo

confidente. Il poliziotto ricama: “Si respira un’aria di sesso, di piacere,

morbosa, dannunziana, e poi sangue, sangue, sangue […]. Una pelle di

velluto, da vera cortigiana di questa capitale da basso impero. Un

dettaglio per i tuoi consumatori di sinistra: nella casa non ci sono tracce

di indumenti intimi”.

Sequenza 4 (3’35’’)

4a. Il commissario arriva in auto a casa propria. L’ambiente è spoglio, i

giochi d’ombra geometrici. L’uomo nasconde alcune prove e si siede in

poltrona. Comincia a sentire la voce fuori campo dell’amante che lo

riporta al momento del primo incontro.

4b. Attraverso un secondo flashback costruito come una sequenza a

episodi vengono ripercorse le quattro telefonate con cui Augusta riesce

a irretire il commissario. Lei lo provoca per telefono : “Guardi, non si

illuda. […] Fa troppo italiano medio. Ha troppi capelli. Si capisce che

suda molto. Sono sicura che manda un odore di ludico da scarpe, come

tutti i poliziotti, dica la verità.”

Poi finalmente si incontrano. Lui entra in casa sua improvvisamente e

alla risposta della domanda di lei “Chi è?” lui risponde “Polizia”. “E chi

poteva essere: un ladro o un poliziotto.”

108

Lui mette subito le cose in chiaro: ha raccolto informazioni su di lei. Sa

che è uscita con molti uomini ricchi. La donna lo ammette ma

aggiunge: “C’è un errore: io nel 1966 ero sola… come un cane.”

Sequenza 5 (3’ 47’’)

Secondo giorno. Un carrello a retrocedere anticipa l’entrata del

commissario nel salone della questura dove deve tenere il discorso di

insediamento alla sezione politica. Le parole vengono scandite forti e

chiare:

“Vi dico subito che per il lavoro che ci attende siamo in pochi, che

dovremmo essere molti di più!

Da oggi assumo la direzione dell’ufficio politico. Voi saprete tutti che io

fino a ieri mi sono occupato di assassinii, e con un certo successo.

Non è senza significato che abbiano destinato proprio me, in questo

momento, alla direzione dell’Ufficio Politico.

Ciò è stato deciso poiché tra i reati comuni e i reati politici sempre più

si assottigliano le distinzioni, che tendono addirittura a scomparire.

Questo scrivetevelo bene nella memoria: sotto ogni criminale può

nascondersi un sovversivo; sotto ogni sovversivo può nascondersi un

criminale.

Nella città che ci è stata affidata in custodia, sovversivi e criminali

hanno già steso i loro fili invisibili che spetta a noi di recidere.

Che differenza passa tra una banda di rapinatori che assaltano un

istituto bancario e la sovversione organizzata, istituzionalizzata,

legalizzata? Nessuna. Le due azioni tendono allo stesso obiettivo, sia

pure con mezzi diversi, e cioè al rovesciamento dell’attuale ordine

sociale.

Seimila prostitute schedate. Un aumento del 20% di scioperi e di

occupazioni di edifici pubblici e privati. Duemila case d’appuntamento

accertate. In un anno trenta attentati dimostrativi contro la proprietà

dello stato. Duecento stupri in un anno. Cinquantamila studenti delle

109

scuole medie in corteo per le vie delle città. Un aumento del 30% delle

rapine e degli assalti alle banche. Diecimila schedati in più fra le file dei

sovversivi. Seicento omosessuali schedati. Più di settanta gruppi di

giovani sovversivi che agiscono al di fuori dei limiti parlamentari. Un

aumento del 50% delle bancarotte fraudolente e dei protesti cambiari.

Un numero indescrivibile di riviste politiche che invitano alla rivolta.

L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le

autorità costituite. L’uso della libertà che tende a fare di qualsiasi

cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente le nostre

sacrosante funzioni.

Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel

tempo…

Il popolo è minorenne. La città è malata. Ad altri spetta il compito di

curare e di educare. A noi il dovere di reprimere.

La repressione è il nostro vaccino!

Repressione è civiltà!»

Segue standing ovation del pubblico.

Sequenza 6 (2’06’’)

Siamo negli archivi della questura. Ogni appartenente a un movimento

politico viene schedato: partigiani, trotzkisti, comunisti, “fino agli

anarchici”. Ma non solo, tutti i dati degli archivi vengono trasmessi ad

un elaboratore. Basta inserire i dati disponibili e il proto-computer li

incrocia tra loro. Si fa un esperimento inserendo i dati relativi a Via del

Tempio 1. L’elaboratore risponde fornendo il nome di Antonio Pace, lo

studente che ha visto il commissario sul luogo del delitto. Mentre

scorrono le foto del giovane, la voce del poliziotto scandisce:

“Passionale, fanatico, pericoloso, nato a Ravenna nel 1946, membro del

Consiglio di Facoltà”. Ovviamente il soggetto è sotto controllo

telefonico dal maggio del 1968 “Naturalmente, previa autorizzazione”.

110

Sequenza 7 (2’30’’)

Il commissario è atteso dal capo della polizia. L’ambiente è raffinato:

molti quadri e una foto di D’Annunzio alle pareti. Viene avanzata una

richiesta per avere più uomini, per pagare più confidenti.

“Questa formazione di centro-sinistra dell’anno in corso potrebbe anche

diventare la Caporetto di chi governa. Nel Paese c’è tensione, tensione!

Io sarei più tranquillo, se l’organico a mia disposizione fosse più

numeroso. Insomma io avrei bisogno di un centinaio di uomini in più e

di più fondi per poter pagare meglio gli informatori.” “Ne parlerò al

Ministro” risponde l’altro. Il commissario avanza altre proposte poco

ortodosse per stabilire con suddetti confidenti un rapporto più

“confidenziale”. Il capo della Polizia acconsente a tutto ma non senza

sottolineare “Io pero ufficialmente non ne so niente”.

Poi, disinvoltamente, il commissario informa il superiore della

relazione con Augusta Terzi, proponendo di informare gli inquirenti

della circostanza, ma ricevendo in cambio solo solidarietà maschile in

forma di ammicco.

Sequenza 8 (2’41”)

Sul tavolo del commissario, ben in vista, si trova il fascicolo di Nicola

Panunzio. L’uomo entra e si accorge subito del dossier. Arrossisce

imbarazzato. Ha un cugino comunista e contestatore. Teme di essere

trasferito per questo motivo, proprio poco prima della pensione.

Dopo di chè il commissario interroga Panunzio a proposito del delitto

Terzi chiedendo se hanno trovato degli indizi, delle impronte digitali.

“Ci sono solo le sue Dottore”. “Le mie!?” Risponde il commissario

visibilmente irritato.

Sequenza 9 (49’’)

Panunzio porta quindi il Dottore in uno stanzino che dove sono appese

le gigantografie delle impronte del commissario, elencando uno ad uno

111

gli oggetti sulle quali sono state rilevate e aggiungendo un alibi per

ognuna di queste: “Sarà stato per distrazione, avrà avuto sete, lì siamo

entrati tutti” e via dicendo.

Il commissario si sente male.

Sequenza 10 (8’ 20’’)

10a. Nei sotterranei della questura viene interrogato l’ex-marito della

Terzi. I poliziotti lo insultano umiliandolo sul lato personale ma

soprattutto sessuale .

“Allora ti decidi?Artista, capellone, finocchione che non sei altro, vuoi

parlare?”

Il commissario assiste impassibile al di là di un vetro che lo protegge.

10b. Terzo flashback: un altro momento con Augusta. La donna vuole

essere interrogata come una colpevole qualsiasi. Lui la asseconda e, per

gioco, la maltratta: “Cerca di ricordare le cose che hai dimenticato, le

cose più vergognose e pensa che io posso sapere tutto di te. Perché lo

Stato mi offre tutti i mezzi per mettere a nudo un individuo

E io voglio farti credere di sapere tutto di te. E così facendo, faccio

scattare in te il meccanismo del complesso di colpa. […] Solo se

confessi tutto, le tue debolezze, le tue vergogne quotidiane, tu puoi

avere il mio perdono e la mia protezione”

“Ho capito, fate come coi bambini.”

“Ma tutti ritornano un po’ bambini segnatamente al cospetto

dell’autorità costituita, insomma di fronte a me che rappresento il

Potere. La Legge. Tutte le Leggi, quelle conosciute e quelle

sconosciute. L’indiziato ritorna un po’ bambino. E io divento il padre. Il

modello inattaccabile. La mia faccia diventa quella di Dio, della

coscienza. E’ una messa in scena per toccare corde profonde, sentimenti

segreti… no ma… non ti turbare… io ti sto spiegando una mentalità

perché, cosa credi, queste sono le basi sulla quale si poggia l’autorità

costituita. Professori universitari, dirigenti di partito, procuratori delle

112

imposte, capistazione. Poi finiamo col somigliarci noi poliziotti coi

delinquenti… nelle parole, nelle abitudini… qualche volta persino nei

gesti.”

“Sei come un bambino. Più di tutti gli uomini che ho conosciuto.”

“Questo non lo dovevi dire, che sono un bambino… questo non lo

dovevi dire! Gli altri sono bambini. Hai capito?”

10c. Si torna all’interrogatorio. Il commissario pretende di condurre la

frase finale. E quando esce sentenzia con voce effemminata “Per me è

innocente” . L’uomo comunque non verrà subito rilasciato.

Sequenza 11 (1’ 19’’)

Nel proprio appartamento il protagonista registra e riregistra

ossessivamente una confessione: “Alle ore 16 di domenica 24 agosto, io

ho ucciso la signora Augusta Terzi […]. Ho una sola attenuante: la

vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi,

dappertutto, non per fuorviare le indagini. Ma per provare la mia

insospettabilità.”

Sequenza 12 (1’9’’)

Il poliziotto va in posta con una busta che spedisce alla sezione omicidi:

dentro ci sono i gioielli della vittima, la scarpa dell’assassino e la

lametta da barba. Poi, fingendo di parlare in un improbabile romanesco,

avverte Patanè (il quale lo riconosce) dell’esistenza di nuove prove che

scagionano definitivamente l’ex-marito della vittima.

Sequenza 13 (2’ 43’’)

Durante una riunione della sezione politica in questura, un funzionario

elenca le scritte comparse sui muri negli ultimi anni.

“Nell’anno 1948 furono cancellate duemila scritte inneggianti a Stalin.

Cinquanta a Lenin. Mille a Togliatti. Trenta al maresciallo Tito.

Trecento al Duce. Quattrocentoquindici all’Uomo Qualunque.

113

Nel ’56 invece gli Stalin scendono a cento. Un calo enorme.”

“E Togliatti?”

“Stazionario.”

“Nel ’58 un centinaio di Viva Krusciov. Cinquanta Mao Tse. E

spuntarono anche un cinquencento Abbasso Stalin. Che per ordini

superiori non furono cancellati, ovviamente.”

“L’anno scorso i Viva Mao arrivarono a tremila. Ho Chi Minh arrivò a

diecimila. Che Guevara mille. Marcuse undici Viva e Abbasso.”

“Un fatto nuovo: abbiamo notato un paio di Viva un certo SADE”

“Eeh…è il Marchese!”

“Per l’anno in corso, si prevedono diecimila evviva Mao, cinquecento

Viva Trozkij e una decna di Viva Amendola. E forse ancora un cinque-

seicento Viva Stalin.”

A questo punto i poliziotti si accorgono che due studenti , tra cui Pace,

si aggirano con fare minaccioso nei pressi degli uffici di polizia.

L’episodio dà spunto al commissario per fare un altro discorso

repressivo, questa volta contro le giovani generazioni, ma viene

interrotto da un suo collega che gli riferisce che Pace è andato alla

sessione omicidi per parlare con Mangani.

Conclude dicendo: “I nostri giovani colleghi devono tornare a scuola,

nelle università, nelle fabbriche devono entrare! E si facciano crescere

la barba, i capelli, indossino tute sporche di grasso! Noi dobbiamo

sapere tutto. Dobbiamo controllare tutto! Servendoci anche dei nostri

figli se necessario.”

Sequenza 14 (3’21’’)

Sala intercettazioni. Centinaia di impiegati ascoltano conversazioni

telefoniche. Il commissario ha di fronte il nastro di intercettazione di

Antonio Pace da cui si capisce che lo studente è stato l’amante della

Terzi e che ad un certo punto, cosciente del fatto di essere sorvegliato

telefonicamente, si lancia in un appello pasoliniano al “brigadiere di

114

turno che sta ascoltando l’intercettazione. Compagno brigadiere, tu che

hai l’ingrato compito di spiace illegalmente la nascita della rivoluzione

italiana, sei anche tu uno sfruttato, un figlio del popolo! Unisciti a noi!

O per lo meno, chiedi un aumento di stipendio…”. La scena si

conclude, con l’impiegato della Polizia, che chiede un aumento di

stipendio al “Dottore”. Uscendo dalla stanza il commissario passa in

mezzo alla stanza delle intercettazioni e per caso sente la propria

telefonata effettuata a Patanè. La stessa telefonata che i suoi colleghi

della squadra Omicidi stanno ascoltando quando lui li raggiunge. Biglia

vorrebbe fare rilasciare il marito della vittima. Ma Mangani decide di

trattenerlo ancora. “A noi il marito ci conviene tenerlo, almeno fino a

quando l’opinione pubblica se ne sarà dimenticata.” dice Mangani. “Sei

un burocrate. Ti fa paura l’opinione pubblica” Gli dice sprezzantemente

il commissario.

Sequenza 15 (6’21’’)

15a. Biglia si lamenta di Mangani con il commissario. Intanto

quest’ultimo parla di persona con Patanè e nega fermamente di avergli

telefonato. Biglia vuole parlare dei sui dubbi sul caso Terzi con il

commissario che intanto cerca di distoglierlo con una delle sue invettive

reazionarie “In questa città non ci uccidono solo puttane: qui si uccide

l’ordine, l’equilibrio sociale. In ventiquattro ore tre occupazioni,

baraccati, studenti e insegnanti… insegnanti italiani… in sei masi

hanno scioperato ottantuno milioni di ore!”. Ma Biglia insiste

esponendo al commissario le sue ultime intuizioni sull’omicidio,

escludendo ovviamente le ipotesi che portano al commissario “che

ovviamente non c’entra.” Il commissario gli da il via libera per andare

ad indagare anche a casa propria, al che Biglia risponde basito “Ma

allora io posso veramente andare a casa sua?”. Il commissario glissa di

nuovo sulla notizia delle occupazioni delle scuole e asserisce

solennemente “Guarda io a questa roba, preferisco l’omicidio.” Biglia

115

si congeda ma chiede ancora una volta incredulo: “Ma allora se ne ho

bisogno posso proprio andare a casa sua per la cravatta!?”.

Rimasto solo, il commissario ricorda nuovamente.

15b. Quarto flashback. Augusta si trucca il viso e intanto umilia

verbalmente il commissario, insultandolo:

”Che schifo, levati quella canottiera, tanto tua madre non lo verrà mai a

sapere. E poi quei calzini corti, neri… da prete, da seminarista, da

sacrestano. Non hai un vestito più chiaro? Più allegro.” – No – dice lui

amaro – ma lei continua imperterrita: “ Se passa per la strada uno

vestito come te la gente si scansa, perché capisce che sei un poliziotto.

Hai addosso un tanfo di caserma, di archivio, di camera di

sicurezza…”. Si avvicina a lui con un paio di forbici e con gesto

emblematico gli taglia la cravatta.

“Io t’ammazerei. Con le mie mani”

“Hm…bel coraggio” – risponde lei sardonica – “ sei tu che fai le

indagini.”

Sequenza 16 (8’29’’)

16a. Ci troviamo all’aperto, nel centro di Roma. Il commissario,

fingendosi un impresario teatrale, cerca di convincere uno stagnaro a

comperare tutte le cravatte azzurre in vetrina nel negozio del centro

dove aveva comprato anche la propria, adesso divenuta un indizio.

L’uomo, perplesso, acconsente. Ma terminata la missione, il poliziotto

lo invita a denunciarlo come assassino del caso Terzi. I toni della

richiesta sono incongrui e inquisitori: “Non faccia il buffone, faccia il

cittadino”.

16b. Mentre il poliziotto è ad un semaforo, si mette la cravatta e ricorda

nuovamente, attraverso un quinto flashback, un altro momento in cui si

trovava in auto con Augusta. La donna lo sprona ad attraversare un

incrocio con l rosso per provare la propria inattaccabilità. “Tu puoi

commettere qualunque delitto, te lo dico io.” - dice la donna.

116

Altro ricordo: i due sono in spiaggia perpetuando sempre il loro gioco

erotico e Augusta allora propone un nuovo tema: “come un poliziotto

commette un omicidio su una spiaggia affollata senza farsi scoprire.”

“Dai, prepara un bel delitto.”

“Mi ha visto il guardiamacchine, l’impiegato che stacca il biglietto, le

bagnine, i vicini di cabina…a prima vista il guardiamacchine mi

sembrava il più pericoloso” “Ma figurati, un guardiamacchine che

denuncia un pezzo grosso come te…! Impossibile! Tu per essere preso

un delitto lo devi firmare nome e cognome, se no chi ci pensa a te!?”

“Augusta, non mi spingere nell’illegalità, è così facile nella mia

condizione…” “Dai…prepara un bel delitto.” “Io ti taglierei la testa e la

nasconderei, anzi, la butterei in mare, ai pesci. Il tuo corpo verrebbe

trovato al tramonto, in cabina, da una bagnina. Il magistrato che viene

da Latina ti troverebbe solo il giorno dopo in stato di avanzata

decomposizione.”

A questo punto Augusta si turba e gli infila della sabbia nella bocca e lui

per tutta risposta le urla “Stronza!”. Lei se ne va. Lui allora la va a

cercare portandosi con sé una radio che da notizie apocalittiche , ma ad

un certo punto, tra i bungalow, la trova e la scopre nuda abbracciata ad

un giovane: Antonio Pace.

Sequenza 17 (1’43’’)

Il poliziotto torna a casa. La donna di servizio racconta di avere

ricevuto una visita di Biglia, il quale voleva vedere le scarpe e la

cravatta del commissario (segno inequivocabile del fatto che ne ha

inteso la colpevolezza). L’uomo fa a pezzi la cravatta e la getta nel wc.

Sequenza 18 (6’36’’)

Il commissario torna alla Sezione Omicidi e, salutando tutti

cerimoniosamente, porta la propria cravatta ai colleghi allibiti, che

proprio in quel momento stanno interrogando lo stagnaro. Il quale viene

preso per un mitomane. Poi il commissario chiede di parlare con

117

Mangani e si mette a strillare nei corridoi: “Che scherzi sono questi?

[…]. Mangani fammi capire, questo nelle tue intenzioni vorrebbe essere

un confronto? Senza nessuna garanzia di carattere procedurale?

Mangani io ti frego. Io ti siluro”. Rientrato nel proprio ufficio, si mette

in contatto con il Questore, al quale chiede un’inchiesta sull’intera

squadra omicidi. Il superiore, riluttante, accetta.

Sequenza 19 (2’35’’)

Il Questore in persona ha disposto che non si possano più prelevare

nastri dalla sezione registrazioni. Proprio mentre il commissario riceve

questa notizia scoppia una bomba in questura. Nel frattempo il

commissario riceve la comunicazione che altri due attentati sono stati

effettuati alle 18:30, uno alla American Express e l’altro al Palazzo di

Giustizia. Si crea la necessità di reagire con fermezza. Basta con la

tolleranza: è il capo della polizia in persona a dirlo.

Sequenza 20 (1’27’’)

Si vedono arrivare cellulari della polizia e si sentono cori provenire da

dentro di essi. Gli arrestati scendono dalle camionette cantando

l’Internazionale e urlando “Viva Oh Chi Min!” “Il potere alla classe

operaia!” “Guerra no, guerriglia sì!”. Qualcuno azzarda, di nuovo

pasoliniano: “Poliziotti siete i nostri fratelli”.

Le forze dell’ordine hanno rastrellato studenti e contestatori, portandoli

nelle celle di sicurezza, dove verrano piazzati anche degli infiltrati per

raccogliere confidenze. Tra gli arrestati c’è anche Pace, il quale appena

vede il commissario gli si para davanti in gesto di sfida.

Sequenza 21 (2’57’’)

21a. Il commissario si allontana dalla questura e si siede sulla panchina

di un giardino pubblico, visibilmente in difficoltà.

21b. Nel sesto e ultimo flashback del film il protagonista ricorda la fine

118

della relazione con Augusta. La donna ha scritto una lettera di congedo.

Il commissario arriva con la stessa tra le mani, fingendo di non voler

fare una scenata di gelosia, pi però sbotta e comincia un duro scambio

di battute tra i due:

“ Puoi farti sbattere da chi vuoi. Ma io le cose le voglio sapere […] io

sono una persona rispettabile, io rappresento qualcuno, io rappresento il

potere. Tu dovresti baciare la terra dove io metto i piedi. L’hai capito?

Stronza! Ma chi è questo Pace? Stronza!”.

“Se lo vuoi sapere è un ragazzo amico mio che abita proprio quassù.

Giovane, bello e anche rivoluzionario!”

Lui alla parola rivoluzionario la aggredisce fisicamente e lei risponde

con toni sempre più drammatici:

“E metti giù le mani deficiente! Tu qui non sei alla centrale! […] Tu fai

l’amore come un bambino, perché non sei che un bambino! Magari la

fai ancora a letto, perché tu non sei nessuno! Tu sei un incompetente, tu

sei sessualmente incompetente! Sei un incompetente! Sei un Bambino!”

In questo crescendo di umiliazioni il commissario comincia davvero a

piagnucolare come un bambino cercando di proteggersi dalle accuse.

Sequenza 22 (1’28’’)

Il commissario torna alla centrale di polizia, si intrattiene con i suoi

uomini e poi scende a controllare la situazione dei detenuti nelle celle

prima di iniziare gli interrogatori.

“Dottore, hanno gli stessi nomi di trent’anni fa”

“La rivoluzione è come la sifilide, ce l’hanno nel sangue”

“Vede Dottore, nemmeno la galera li unisce, in due ore si sono già

spaccati in quattro gruppetti. E’ come una reazione a catena. Per fortuna

sono divisi, se no per noi sarebbe dura.”

Il commissario si decide ad interrogare Pace, ma non prima di avere

ottenuto una confessione da un altro giovane che gli siede affianco.

119

Sequenza 23 (6’59’’)

Il giovane, dopo un interrogatorio si presuppone lungo (ne vediamo

solo l’ultima parte, grazie a un’ellissi), ha perso ogni aspetto

battagliero. Giace piegato sulle ginocchia. Gli è stata fatta bere acqua

con sale. E’ esausto. Il commissario fa uno dei suoi monologhi ironico-

surreali: “ Io non ti voglio mandare sotto processo. Noi non siamo la

GBU, noi non siamo le SS, noi siamo la polizia di un Paese

democratico. Noi siamo ben felici quando possiamo evitare ad un

cittadino una dura condanna. […] Tu sei un cittadino democratico, tu

puoi fare tutto quello che vuoi, e io ti devo rispettare. Ma i botti

terroristici, le intimidazioni, le bombe… che minchia c’entrano con la

democrazia!? Noi non ti vogliamo far fare una delazione. Vogliamo che

ti comporti da democratico. Perché, parliamo da uomini moderni,

avanzati: che cosa è questa democrazia? E diciamolo: è l’anticamera del

socialismo. Io per esempio, voto socialista. Non avere paura. Io sono il

tuo confessore, qui hanno parlato tutti, non ti succede niente, io sono

una tomba. Tutto questo palazzo è una grande tomba”.

Lo studente, sotto forte pressione del commissario, fa il nome di Pace

come possibile responsabile dell’esplosione dell’ordigno. Poco dopo

entra Antonio.Il ragazzo avanza verso il commissario, per nulla

intimorito, scandendo le proprie generalità. Il commissario gli va

incontro. Dopo un breve ma estremamente significativo scambio di

battute, lo scontro cessa di essere paritario:

“Pace Antonio, nato a Ravenna nel 1946, ex studente di chimica,

anarchico individualista, condannato a tre mesi di prigione nel 1968 per

resistenza alla forza pubblica”.

“Ma che gridi? Lo sai chi sono io?”

“Per me tu eri l’amante della signora del piano di sotto. Quella che

hanno assassinato.”

“Da chi e quando?”

“Per me la signora l’hai ammazzata tu, i pomeriggio di domenica 24

120

agosto.”

“A che ora?”

“Per me puoi averla ammazzata tra le 17:00 e le 19:00. Ora in cui ci

siamo incontrati al cancello, come sai.”

“Visto che per te è tutto così chiaro, denunciami.”

“Ti piacerebbe eh?!”

“Denunciami!”

“Qui ci sei e qui ci rimani. Un criminale a dirigere la repressione. E’

perfetto!”.

“Tu mi devi denunciare! Tu mi devi denunciare!Io ho sbagliato, ma io

voglio pagare capisci? E non gridare!” lo supplica il commissario, di

nuovo assumendo lo stesso atteggiamento infantile che aveva quando

Augusta lo aggredì verbalmente nell’ultimo flashback.

“Fai il tuo lavoro!” Insiste Pace “E alla prossima azione, ti telefono. Ti

tengo in pugno!”

Il commissario lo fa rilasciare, prende un foglio e firma la confessione

della propria colpevolezza.

Sequenza 24 (3’2’’)

Il commissario va a costituirsi in un ufficio dove si trovano

“normali”delinquenti, papponi, prostitute, che lo schifano e lo guardano

con un atteggiamento che va tra il sospettoso e l’intimorito.

Il commissario entra nell’ufficio di Mangani, che, non alzando lo

sguardo e quindi non riconoscendolo, lo tratta come un delinquente

qualsiasi, appellandolo con epiteti poco rispettosi che si interrompono

subito quando, con riverenza si accorge di chi invece ha davanti.

Il commissario quindi gli consegna la lettera, con il solito commento

sarcastico: “Piccolo funzionario, questurino, questurino, tu non riuscirai

mai a comprendere fino in fondo il significato del mio gesto, del mio

sacrificio, con il quale io intendo affermare in tutta la sua purezza il

concetto di autorità. Incapaci!

121

L’assassino di Augusta Terzi ve lo consegno io. Da questo momento

sono a disposizione della giustizia. Quando vorrete interrogarmi mi

troverete a casa.”

Il commissario, andandosene, incontra lo stagnaro il quale, benché

invitato ora a riconoscerlo, fugge terrorizzato. I colleghi che intanto

hanno letto la confessione , escono in corridoio e chiedono mortificati:

“Ma cosa hai fatto? Non ci hai pensato a noi?”

“Fate il vostro dovere.” Sentenzia infine lui.

Sequenza 25 (11’52’’)

Nella sua abitazione il protagonista attende l’arrivo dei superiori in

missione per arrestarlo. Intanto recita gli articoli del Codice che

consentono gli arresti domiciliari. Si siede sul letto stravolto, guarda il

certificato di laurea, le foto con i colleghi.

Inquadratura del dettaglio del calzino nero corto. Ad un certo punto

viene richiamato da Biglia: i colleghi sono all’entrata ad aspettarlo. Il

capo della polizia sgrida il protagonista con espressione rimproverante

ma bonaria. Gli tira le orecchie, come a un bambino. Gli viene fatto

mangiare del sale.

“Mi dispiace aver incomodato tante personalità.”

Dopo di chè il commissario viene sottoposto ad un interrogatorio al

contrario, in cui ogni domanda è formulata in modo da dimostrare la

sua innocenza.

“Eccellenza, dottori. Ero lì: perché io l’ho uccisa.”

“Puoi provare che eri a casa sua?”

Il commissario dice sì, perché c’è un testimone: lo studente Antonio

Pace.

Ma ovviamente, lo studente Antonio Pace non ha dichiarato niente, a

causa delle sue posizioni, come si è visto nella sequenza

dell’interrogatorio.

Tutti sono d’accordo nello smentire una ad una le prove che il

122

commissario porta in nome della sua colpevolezza, e quando gli viene

chiesto di dare la cravatta che lui nomina come ulteriore prova lui

ammette di averla distrutta, e quando gli viene chiesto perché egli

risponde:

“Perché in quel momento ero combattuto tra il confessare la mia colpa e

mettervi sulle mie tracce, oppure usare il mio piccolo potere per

coprirle.”

“Una scissione, una dissociazione, una nevrosi.” Dice il capo della

Polizia. Come a voler usare questo elemento per insinuare e dimostrare

l’incapacità d’intendere e di volere del commissario.

“Comunque una malattia contratta durante l’uso permanente e

prolungato del potere. Una malattia professionale, comune a molte

personalità che hanno in pugno le redini della nostra piccola società.”

“Io sto benissimo.” Risponde il capo della Polizia.

“Basta con la psicologia! Ci vogliono prove per dimostrare la propria

colpevolezza, dottore. Non solo parole, ci vogliono i fatti.”

Il commissario avanza quindi la prova delle cravatte fatte comprare allo

stagnaro, ma in effetti, nemmeno questo lo ha voluto riconoscere.

“Ma tra noi possiamo dirlo: ha negato per paura, quando ha cominciato

a capire chi ero, e cioè un poliziotto.”si “difende” al contrario il

commissario.

“Non ti permettere giudizi e illazioni insultanti per tutti noi, per i

colleghi, per il Corpo, per le istituzioni!”

“Andiamo al concreto – interrompe Mangani – Il movente. Quale

sarebbe il movente?”

“Si prendeva gioco di me! - sbotta il commissario – Si prendeva gioco

di me e dell’istituzione! E quindi di tutti voi signori!”

“Non è un movente dimostrabile” gli viene risposto.

Al chè il commissario, prende il capo della Polizia da parte e sottovoce

gli confida: “ Vicino a lei, ogni giorno di più, si rivelava il mio

infantilismo, la mia incompetenza umana.”

123

“Assurdo, improbabile, fantascientifico!” gli risponde quello.

Il commissario allora chiede di andare a prendere nella propria stanza la

prova inequivocabile della sua colpevolezza, ma appena solo, gli appare

Augusta che anch’essa lo assolve con le sue parole: “Tu hai ucciso una

persona inutile. Qualcun altro mi avrebbe ucciso, prima o poi ero

destinata a morire così. Fa quello che ti dicono, pensa ai tuoi colleghi,

pensa alla tua carriera.” Ma il commissario non la ascolta e mostra ai

colleghi le fotografie di Augusta nel suo solito gioco erotico, ritratta nel

proprio appartamento. Gli uomini strappano le foto e, ignorando

totalmente il commissario, vanno a brindare. A questo punto il

commissario abiura: “Faccio quello che voi volete”.

“Bravo, bravo figliuolo - gli dice il capo della polizia in tono

paternalistico – hai da dire qualche cosa?”

“Confesso la mia innocenza.”

Lo fanno firmare e ripartono. Sulla porta il commissario sembra tornato

in sé e scandisce: “Non dimentichiamoci che c’è un nemico in libertà,

che conosce i fatti e che non li userà soltanto contro di me. Ma contro

tutti noi. Contro il potere. Contro Dio.”

Di nuovo inquadratura del calzino nero corto. Il commissario è di

nuovo sul letto e si sveglia.

Ora le auto dei funzionari stanno arrivando realmente.

Il padrone di casa li fa accomodare. Le serrande della finestra vengono

abbassate. Appare una citazione

“Qualunque imposizione faccia su di voi, egli è servo della legge,

quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”.

Fine.

124

Documento II: Atti giudiziali della Procura di Milano

Fonte: Fondo Petri, Archivio del Museo Nazionale del cinema di Torino.

PROCURA DELLA REPUBBLICA DI MILANO

Al Signor procuratore della Repubblica – Sede.

A seguito di segnalazione della questura di Milano e su richiesta

della S.V. il giorno 13 corrente mese ho preso visione del Film di

Elio Petri, in programmazione presso il locale cinema

Ambasciatori, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto”. A mio avviso, l’opera in questione non presenta aspetti

che possano integrare gli stremi del reato di vilipendio delle

istituzioni costituzionali, di cui all’art. 290 cod. pen., o di altri

reati per i quali si debba procedere d’ufficio.

Milano, 18 Febbraio 1970

Il S. Procuratore della Repubblica (Dott. Giovanni Caizzi)

125

Documento III: Atti giudiziali della Procura di Milano

Fonte: Fondo Petri, Archivio del Museo Nazionale del cinema di Torino.

Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica Giovanni Caizzi al

giudice istruttore di non promuovere l’azione penale, Milano 21 febbraio

1970 (4 ff.).

Milano 21 Febbraio 1970

Il P. M.

In ordine alla programmazione del film “Indagine su un cittadino

al di sopra di ogni sospetto” .

Osserva: il film è la storia di un commissario di polizia che dirige

la squadra omicidi. L’obiettivo coglie anche il suo ambiente e se

in pratica tutto, mentalità, tecnica di indagini, rapporti gerachici,

sembra osservato attraverso una lente deformante, in realtà appare

chiaro che sono le deformazioni proprie di tali rapporti e attività

che acquistano consistenza e si materializzano in forza di un

procedimento critico di rappresentazione che ne fa risaltare i vizi

segreti altrimenti celati sotto la pesante e mimetizzante cortina

dell’apparato.

Il protagonista si muove con grande disinvoltura tra gli ingranaggi

ben oleati della macchina burocratica sfoggiando sorrisi che non

riescono a mascherarne la sostanza autoritaria. Egli tutt’uno con il

sistema di cui sembra individuare le finalità nella repressione,

nella riduzione di tutto e atti a un disciplinato, indifferenziato e

anonimo ordine sociale privo di assulti. Insomma compito suo e

del Moloch che serve è amministrare corpi senz’anima,

classificati, soppesati, schedati, controllati, utilizzati e sfruttati per

le finalità del potere , con questa particolarità, data la logica del

sistema, che è relativamente facile per chi ne manovra le leve,

126

servirsene a scopi personali: cioè, concepire così l’esercizio del

potere vuol dire mantenere corretto servirsene per fini particolari,

con la conseguenza che una siffatta concezione autoritaria apre la

strada ad ogni sorta di abusi.

La deviazione del personaggio, non è solo morale ma anche

patologica. Infatti la sua virilità affievolita aumenta il suo

autoritarismo. E cioè usare violenza agli altri è un modo di

compensare la propria scarsa virilità. In una mistica quasi del

fumetto nero, egli, evocato, si direbbe dal regno di superman del

poliziesco, si affaccia dal grassetto della cronaca nera e intreccia

una strana relazione con una donna anch’essa deviata

sessualmente. L’uomo trasferisce in questo rapporto il

funzionario.

Egli cioè non smette mai tale veste e nell’intimità, a letto è ancora

un poliziotto. La donna è attirata dalla sua violenza e dal potere

che la giustifica.

Lo provoca quindi a rievocare i vari crimini sui quali è indagato,

interpreta anche la parte della vittima ed egli infierisce su di lei

simulandone l’uccisione.

Il rapporto sadico-masochista si fa più incalzante. Alla fine la

finzione diviene realtà e lui le recide la gola con una lametta,

dopodiché il funzionario rientra tranquillamente nella parte sicuro

dell’impunità. La tesi del film cioè è anche questa: il sistema pone

chi ne fa parte al di là di ogni sospetto e di possibilità di

punizione. Vediamo così il protagonista disseminare la scena del

delitto di prove della propria colpevolezza, mettere sotto il naos

dei colleghi vistosi indizi, con lo scopo evidentemente e con il

risultato soltanto di constatare il perfetto funzionamento del

sistema. Ogni pista che giunga fino a lui devia miracolosamente.

Le indagini insomma, non lo riguardano, i sospetti non possono

raggiungerlo le prove sono lette in chiave diversa: egli non può

127

avere commesso il delitto solo perché è quello che è. E allora,

poiché un responsabile ci vuole, perché non sospettare del marito

della vittima? E se il commissario lo salva per celebrare il suo

giuoco, perché non incolpare un capellone contestatore. Qui però

il giuoco si rovescia perchè, obbedendo alla logica inversa il

giovane, che lo ha visto uscire dalla casa della donna dopo il

delitto, sfidato da lui dice che non lo denuncerà perché gli fa

comodo pensare che un assassino diriga la polizia criminale.

Solo a questo punto, quando qualche congegno dell’oppressivo

meccanismo si inceppa, il protagonista si dichiara responsabile del

delitto. In sogno vede quindi capi e colleghi, schierati a difesa

dell’intangibilità del sistema, accomodare la cosa in famiglia,

capovolgere le prove, convincerlo a negare l’evidenza a

“confessarsi innocente”. Il film è un processo all’autorità, un

apologo sulle deviazioni del potere, osservate sul funzionamento

di un ingranaggio che va per suo conto senza alcun reale rapporto

con la società reale, con gli amministrati – se non nella misura in

cui ne fa degli inquisiti.

L’autore sembra voler dire che nella misura in cui ci sentiamo

investiti di un potere assoluto irrevocabile, non soggetto a

controlli e depositari di esso, ci sembra di essere degli iniziati, di

godere delle facoltà non comuni, nella sicurezza dell’intangibilità.

Viene a mancare quindi la disponibilità al servizio, la convinzione

dell’utilità sociale e ci si erige a guardiani e giudici della moralità.

Provi il singolo ad opporsi al sistema, a renderlo consapevole

delle proprie ragioni, a farsi ascoltare: verrà trascurato o vilipeso o

stritolato: il rapporto è sempre prevaricazione dal momento che la

sua verità viene manipolata, violentata. In questa misura il film

riflette il dramma esistenziale dell’uomo moderno solo con il suo

senso di colpa. Il racconto abbonda di nozioni psicologiche

d’ambiente ed offre spunti pungenti per un’alisi critica del

128

costume burocratico. Il conformismo, lo strisciante ossequio dei

vari personaggi che cela paura, sospetto e gelosia in una ballata

del burocrate che li vede concordi solo nel reprimere. Su tutti

emerge il personaggio scisso, schizofrenico, del protagonista che

giuoca a rimpiattino con se stesso.

La misura della democrazia è quella di accettare e tollerare un

atteggiamento critico e quindi di controllo dell’operato degli

organi del potere. La forma dell’apologo non deve trarre in

inganno sugli obiettivi della feroce satira che sono quelli di

descrivere in forma grottesca certe attendibili del potere. Non a

caso l’epigrafe del film è tratto dal “Processo” di Kafka, che ha

rappresentato in modo angoscioso il dibattersi senza speranza

dell’individuo nelle spire della legge, intesa veramente dallo

scrittore come destino, come forza che governa le cose umane cui

non ci si può sottrarre e di fronte alla quale bisogna soccombere.

Viene appunto alla mente la scena del film in cui il commissario

coinvolge nell’indagine “lo stagnaro”, del tutto estraneo alla

vicenda, dicendogli pressappoco che la sua colpa è di averlo

incontrato.

Su un piano più concreto è ravvisibile lo scontro fatale per i

singoli con il mostruoso meccanismo livellatore dello Stato. Serve

certo ricordare le conseguenze funeste dei recenti e più lontani

roghi di libri: la forza della “Cosa”, del potere burocratico

dispensatore, e depositario delle verità evocato dall’ultimo Sartre;

l’analogo e camuffato totalitarismo dell’apparato tecnologico che

determina “non soltanto le occupazioni, le abilità e gli

atteggiamenti socialmente richiesti; ma anche i bisogni e le

aspirazioni individuali”.

Il film si è detto prende a modello l’apparato poliziesco e ne

indica tutti i connotati di congegno repressivo manovrati dal

potere. Così gli schedari, i controlli telefonici,il disprezzo dei

129

diritti degli inquisiti, la violenza per estorcere confessioni. Tutto

ciò potrebbe sostanziare il sospetto sul carattere denigratorio

dell’opera. Bisogna tuttavia porre mente alla continua grottesca

alterazione di situazioni e personaggi. Non si può pensare ad una

città sotto lo stretto controllo poliziesco senza intravedere

l’obiettivo di portare figurativamente alle estreme conseguenze la

invadenza del pubblico potere nella sfera della libertà privata.

Così le scene di violenza esemplificano e combattono ogni azione

diretta all’annullamento della personalità dell’individuo, di cui la

storia di ogni tempo offre ragguardevoli esempi. I melliflui e falsi

rapporti di una comunità burocratica cementata dall’asservimento

al potere e da una solidarietà interessata sono prorpi di un mondo

dove tutto viene sacrificato sull’altare della carriera e

dell’ambizione personale dove si è concordi nell’escludere forme

di controllo, attraverso la critica, del potere gestito in nome della

società.

Tenuto conto della indicazione per esigenza narrativa di un

determinato ufficio di polizia, ed esclusa la coincidenza di

particolari e di espisodi che certamente non gli sono propri deve

ritenersi necessariamente che trattasi di opera di fantasia di

particolare espressività che svolge con rigore e ad un livello

stilistico elevato un esame critico delle possibili deviazioni del

potere e che si risolve in solenne ammonimento per tutti. Ciò

detto appare chiaro che non si può cogliere una intenzione

offensiva o di dileggio poiché il grottesco è la forma scelta perché

la critica, anche se graffiante, si esprima comprensibilmente ad un

livello fantastico. Tale obiettivo e la serietà dell’indagine critica

svuotano evidentemente il film del significato offensivo che vi si

volesse scorgere. D’altronde si deve senz’altro escludere che un

ufficiale di polizia possa trovare tutela nell’art. 290 prima parte

C.P. che riguarda tassativamente gli organi costituzionali in esso

130

elencati. Esplicita in questo senso la relazione al progetto

definitivo del codice penale che rimanda ai delitti contro la

pubblica amministrazione nell’ipotesi di offesa rivolta a singole

parti della medesima. Nello stesso senso si è espressa la

giurisprudenza che ha visto tutelati dalla norma solo gli organi

immediati o primari i quali traggono ragion di essere direttamente

dalla costituzione dello stato, escludendone quelli immediati

subordinati, disposti secondo un ordine gerarchico, che dai primi

dipendono.

La tutela di questi infatti va ricercata in altre disposizioni del

codice penale (art. 341/342). Analgoa conclusione deve giungersi

per ipotesi prevista del capoverso dell’art. 290 C.P. : se tra le

Forze Armate può essere compreso il Corpo delle Guardie di P.S.,

appare arbitraria ogni estensione e uffici amministrativi.

Visto l’art. 74 C.P.P. chiede che il Giudice Istruttore con decreto

dichiari non doversi promuovere l’azione penale. Il S. Procuratore

della Repubblica (Dottor Giovanni Caizzi).

131

Documento IV: Documenti visionati al Fondo Petri (Museo

Nazionale del Cinema di Torino)

a Frontespizio della sceneggiatura originale di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto.

132

b. Citazione da Davanti alla Legge, parabola all’interno del Processo di Kafka. Qui la troviamo

all’inizio della sceneggiatura, ma nel film sarà la scena conclusiva, appena prima dei titoli di coda.

c. Prime battute pronunciate dal Commissario ed Augusta.

133

d. Tessere del P.C.I. di Elio Petri 1951 – 1953 – 1954 – 1955.

e. Tessera del P.C.I. DI Elio Petri, 1954.

134

f. Tessera del P.C.I. di Elio Petri, 1955.

g. Scaletta e prima bozza del soggetto di Indagine, inviata da Pirro a Petri.

135

h. Lettera di invito alla presentazione del primo numero de il manifesto, 28 aprile 1969.

i. Lettera personale di Petri

136

j. Telegramma della Academy of Motion Pictures di annuncio della nomination di Indagine all’Oscar

come miglior film straniero.

k. Telegramma dalla Academy of Motion Pictures di annuncio della vittoria dell’Oscar come miglior

film straniero.

137

l.Telegramma di congratulazioni per la vincita dell’Oscar del Direttivo Nazionale Produttori Film.

m. Telegramma di congratulazioni per la vincita dell’Oscar da parte di Luchino Visconti.

138

n. Telegramma di auguri da parte di Francesco Rosi.

o. Telegramma da Gian Maria Volontè a Elio Petri.

139

p. Telegramma di congratulazione per la vittoria al Festival di Cannes, 1970, da parte di Giorgio

Napolitano.

q.Telegramma di congratulazioni da parte di Giovanni Berlinguer.

140

r. Comunicazione del Sostituto Procuratore della Repubblica Caizzi al Procuratore della Repubblica,

Milano 18 febbraio 1970, dopo la visione del film di Petri ritiene non vi siano “gli estremi del reato di

vilipendio delle istituzioni costituzionali”

s. Atto giudiziale. Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica di non promuovere l’azione

penale, Milano 21 febbraio 1970.

141

t. Atto giudiziale. Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica di non

promuovere l’azione penale, Milano 21 febbraio 1970.

142

143

BIBLIOGRAFIA

- Theodor W. Adorno, Wagner. Mahler. Due studi, Torino, Einaudi, 1975.

- Theodor W. Adorno, Minima moralia, Torino, Einaudi, 1995.

- Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, Torino,

Einaudi, 1997.

- Theodor W. Adorno, Individuo e società, in I. Testa (a cura di), La Crisi

dell’individuo, Diabasis, Parma, 2010.

- Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino,

Einaudi, 1995.

- Walter Benjamin, Angelus novus, Torino, Einaudi, 1995.

- Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità

tecnica, Torino, Einaudi, 2000.

- Stefano Berni , Nietzsche e Foucault. Corporeità e potere in una critica

radicale della modernità, Studi Senesi. Quaderni; Giuffrè, 2005.

144

- Claudio Bisoni, Elio Petri. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto. Torino, Lindau, 2011.

- Giorgio Boatti, Piazza Fontana, Torino, Einaudi, 2009.

- Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1995.

- Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003,

Torino, Einaudi, 2003.

- Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Bari, Laterza, 2008.

- Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Milano, Feltrinelli,

1971.

- Sara Cortellazzo, Massimo Quaglia (a cura di), Cinema e giustizia, Torino,

Celid, 2009.

- Guido Crainz, Il Paese mancato. Dal miracolo economico agli anni

Ottanta. Roma, Donzelli editore, 2003.

- Guy Debord, La Société du Spectacle, Gallimard, Paris, 1992.

145

- Giuseppe De Lutiis , I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda

repubblica. Roma, Editori Riuniti, 1998.

- Pierre Della Vigna (a cura di), Michel Foucault, Poteri e strategie, Milano

– Udine, Mimesis Edizioni, 2014.

- Maurizio Dianese, Gianfranco Bettin, La strage. Piazza Fontana. Verità e

memoria, Milano, Feltrinelli, 2002.

- Dolcetta Marco, Licio Gelli al Fatto: “Il bambinone Renzi e gli ex lacchè di

Berlusconi ; in « Il Fatto Quotidiano », 23 maggio 2014.

- Roberto Esposito, Bìos, Biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi, 2004.

- Faldini Franca, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema

italiano raccontata dai suoi protagonisti 1935-1959, Milano, Feltrinelli,

1979.

- Giangiacomo Feltrinelli, Estate 1969. La minaccia incombente di una

svolta radicale e autoritaria a destra di un colpo di stato all’italiana,

Milano,Feltrinelli, 1969.

- Adelio Ferrero, Indagine su un film al di sotto di ogni sospetto, in «

Cinema nuovo », CCIV, marzo-aprile 1970.

146

- Goffredo Fofi, Due film “politici”: Petri e Pontecorvo, in « Quaderni

Piacentini » , XL, aprile 1970.

- Goffredo Fofi, Il cinema italiano: servi e padroni. Milano, Feltrinelli, 1971.

- Goffredo Fofi, Capire con il cinema, 200 film prima e dopo il ’68, Milano,

Feltrinelli, 1977.

- Michel Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino 1967.

- Michel Foucault, Préface a Enquéte dans vingt prisons, Champ libre, Paris,

1971.

- Michel Foucault, Sorvegliare e Punire: nascita della prigione, Torino,

Einaudi, 1993.

- Michel Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 1997.

- Michel Foucault, L’uso dei piaceri, Storia della sessualità 2, Milano,

Feltrinelli, 2011.

147

- Michel Foucault, La volontà di sapere, Storia della sessualità 1, Milano,

Feltrinelli, 2013.

- Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera. Neofascismo e servizi segreti da

Piazza Fontana a Piazza della Loggia. Milano, Rizzoli, 2008.

- Carlo Galli (a cura di), Manuale di storia del pensiero politico, Bologna, Il

Mulino, 2006.

- Giacomo Gambetti, Petri: politico senza enigmi, in « Cineforum », XCII,

1970.

- Jean Gili , Elio Petri, Roma, Cinecittà Holding, Roma, 1974.

- Jean Gili, Le cinéma italien, Paris, ed. 10/18, 1978.

- R. Girard, Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 2011.

- R. Girard, La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 2011.

- Maurizio Grande, Eros e politica, sul cinema di Bellocchio Ferreri Petri

Bertolucci P. e V. Taviani, Siena, Protagon Editori Toscani, 1995.

148

- Franz Kafka, Il processo, Milano, Garzanti, 2010.

- Aurelio Lepre, Storia della Prima Repubblica. L’italia dal 1942 al 1992.

Bologna, Il Mulino, 1993.

- Luigi Quitadamo, Il potere insindacabile. Indagine su un cittadino al di

sopra di ogni sospetto di Elio Petri, in « Cinema 60 », LXXV- LXXVI,

1970.

- Mauro Mancini , Il cinema autoritario. Note sui nuovi amerikani e i vecchi

ispettori, in « Filmcritica », CCXLII, marzo 1973.

- Herbert Marcuse, L' uomo a una dimensione : l'ideologia della societa

industriale avanzata, Torino, Einaudi, 1967.

- Andrea Minuz, Il doppio Stato e le convergenze parallele. Indagine su un

cittadino al di sopra di ogni sospetto e Piazza Fontana, in Christian Uva (a

cura di), Strane storie. il cinema e i misteri d’Italia, Catanzaro, Rubbettino,

2011.

- Paolo Mereghetti (a cura di), Dizionario dei film, Milano, Baldini e

Castoldi, 1998.

149

- Diego Mondella (a cura di), L’ultima trovata. Trent’anni di cinema senza

Elio Petri, Bologna, Pendragon, 2012.

- Franco Montini, Piero Spila (a cura di), Gian Maria Volontè. Un attore

contro, Milano, BUR, 2005.

- Guido Panvini, Ordine Nero, guerriglia rossa. La violenza politica

nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966 – 1975). Torino, Einaudi,

2009.

- Elio Petri , Ugo Pirro , Sceneggiatura di Indagine di un cittadino al di sopra

di ogni sospetto, Roma, Tindalo, 1970.

- Pier Paolo Pasolini, Il PCI ai giovani, in « L’Espresso », 16 giugno 1968.

- Luca Pavolini, Gli alleati colonnelli, in « Rinascita », 5 maggio 1967.

- Stefano Petrucciani, Ragione e dominio, Roma, Salerno, 1984.

- Ugo Pirro, Il cinema della nostra vita, Torino, Lindau, 2001.

150

- Alfredo Rossi , Elio Petri, in « Il Castoro Cinema », n. LXVII/LXVIII,

Luglio/Agosto 1979.

- Enzo Santarelli, Storia critica della Repubblica, Milano, Feltrinelli, 1996.

- Hermann Schweppenhauser , Das Individuum im Zeitalter seiner

Liquidation, «Archiv für Rechts und Sozialphilosophie», Kassel, Franz

Steiner, 1971.

- Walter Tobagi, Storia del movimento studentesco e dei marxisti-leninisti in

Italia, Milano, Sugar, 1970.

- Sandro Zambetti, Il poliziotto a tre dimensioni, “Cineforum”, n. XCII –

XCIII, maggio- agosto 1970.

- Sandro Zambetti , Il film "politico" si vende bene, in « Presente Imperfetto»

1972, Guaraldi, 1972.

151

3.5 Sitografia

- www.filmscoop.it, ultima consultazione: 09/12/2014.

- www.osservatoriodemocratico.org, ultima consultazione: 29/10/2014.

- www.openmag.it, Bill Carson, Elio Petri: l’Oscar rinnegato. Identikit di un

regista cancellato dal nostro cinema. Ultima consultazione 27/02/2015.

152

3.6 Documenti cartacei consultati all’ Archivio

del Museo Nazionale del Cinema di Torino,

Fondo Elio Petri

Donazione Paola Pegoraro Petri, Torino 4 gennaio 2007, n. ingresso

1/2007, Donazione Paola Pegoraro Petri, Torino 23 marzo 2010, n.

ingresso 16/2010.

a. b. c. AMNCTO ELPE024 - “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto”. Sceneggiatura.

Sceneggiatura di: Elio Petri e Ugo Pirro. 1969.

Brochure, ff. 1-295, formato cm 21, cm 27, fotocopia, rilegatura a spirale, lingua

Italiano, scrittura dattiloscritta.

d. e. F. AMNCTO ELPE0595 – Tessere del PCI di Elio Petri, 1951, 1953,

1954, 1955.

4 documenti, formato cm 7,5, cm 10, a stampa, lingua Italiano.

g. AMNCTO ELPE022 - “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto”. Appunti e scaletta.

Scaletta desunta dal soggetto di Ugo Pirro, 10 aprile 1969 (filza, 1-6). 2 filze, cm 22,

copia carbone, lingua Italiano, scrittura dattiloscritta.

153

h. AMNCTO ELPE0598 - Lettera di Michele Melillo per il Collettivo de

Il Manifesto a Elio [Petri, ante 27 aprile 1971].

“Il 28 aprile uscirà il primo numero de Il Manifesto quotidiano ...” invito all'incontro

che si terrà martedì 27 aprile nella sede del giornale.

Data desunta dalle carte; carta intestata: “il manifesto quotidiano comunista”; 1f,

formato cm 22, cm 28, lingua Italiano, scrittura dattiloscritta.

i. AMNCTO ELPE0602 – Lettera privata Marzo 1975.

1 f formato cm 22, cm 28, lingua Italiano, scrittura manoscritta.

l. m. n. o. p. q. r . Telegrammi in corrispondenza privata di Elio Petri.

ELPE0379: Telegramma di Luchino [Visconti] a Elio Petri, Roma 19 aprile 1971

ELPE0418: Telegramma di Franco Rosi a Elio Petri, Roma 15 maggio 1972

ELPE0420: Telegramma di Mariangela [Melato] a Elio Petri, Roma 16 maggio 1972

ELPE0422: Telegramma di Gianmaria [Volonté] a Elio Petri, Roma 20 maggio 1972

ELPE0424: Telegramma di Giorgio Napolitano a Elio Petri, Roma 20 maggio 1972

s. t. u. AMNCTO ELPE0324 - Atti giudiziali relativi alla programmazione

del film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” – 1970.

- Comunicazione del Sostituto Procuratore della Repubblica Caizzi al

Procuratore della Repubblica, Milano 18 febbraio 1970, dopo la

visione del film di Petri ritiene non vi siano “gli estremi del reato di

vilipendio delle istituzioni costituzionali” (1f.)

8 ff.; 9 ff. (all.) filza, formato cm 21, cm 28,

fotocopia, lingua Italiano, scrittura dattiloscritta.

154

- Richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica Giovanni

Caizzi al giudice istruttore di non promuovere l’azione penale,

Milano 21 febbraio 1970 (4 ff.).

155