Parole infinitamente precise: "Juste la fin du monde" di Jean-Luc Lagarce

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259 VINCENZO RUGGIERO PERRINO PAROLE INFINITAMENTE PRECISE : JUSTE LA FIN DU MONDE DI JEAN-LUC LAGARCE Il nome di Jean-Luc Lagarce si è affermato come uno dei più importanti del teatro francese ed europeo: «Negli ultimi dieci anni […] la sua fama è cresciuta di continuo, tanto che ormai è diventato uno degli autori più rappresentati nei teatri d’oltralpe. Un successo impressionante, a cui ora si aggiunge la consacrazione della Comédie- Française, che ha deciso di includere nel suo repertorio Juste la fin du monde» 1 . La parabola teatrale di Jean-Luc Lagarce si inscrive nel caoti- co ribollire di esperienze drammaturgiche della scena francese di fine millennio. Sono anni in cui, per dirla con Jean-Pierre Thibaudat, «le théâtre ne manque pas de bons auteurs contemporains. On voit apparaître des écritures fortes et décapantes […]. Mais pour un Gabily, un Lagarce, un Koltès ou un Novarina, beaucoup de plumitifs, d’auteurs bientôt oubliables ou de comètes» 2 . Similmente alle vi- cende sceniche italiane, nel teatro francese, dall’inizio degli anni Ottanta in poi, si era avviata una rivalutazione della scrittura drammaturgica, alla quale veniva nuovamente dato uno spazio im- portante accanto alla scrittura scenica, che, nel corso degli anni Ses- santa e Settanta, aveva acquistato un ruolo fondamentale nell’esteti- ca teatrale 3 . 1 Fabio Gambaro, Jean-Luc Lagarce e la fine del mondo, «La Repubblica», 27 maggio 2008, p. 51. 2 Jean-Pierre Thibaudat, Théâtre français contemporain, Paris, Ministère des Affaires étrangères, 2000, p. 23. 3 Cfr. Didier Lassard, Valère Novarina, Didier-Georges Gabily. Pour un potlatch des représentations, in Sieghild Bogumil e Patricia Duquenet-Krämer (dir.), Bernard- Marie Koltès, au carrefour des écritures contemporaines, Louvain-la-Neuve, Centre

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VINCENZO RUGGIERO PERRINO

PAROLE INFINITAMENTE PRECISE :JUSTE LA FIN DU MONDE DI JEAN-LUC LAGARCE

Il nome di Jean-Luc Lagarce si è affermato come uno dei piùimportanti del teatro francese ed europeo: «Negli ultimi dieci anni[…] la sua fama è cresciuta di continuo, tanto che ormai è diventatouno degli autori più rappresentati nei teatri d’oltralpe. Un successoimpressionante, a cui ora si aggiunge la consacrazione della Comédie-Française, che ha deciso di includere nel suo repertorio Juste la findu monde»1.

La parabola teatrale di Jean-Luc Lagarce si inscrive nel caoti-co ribollire di esperienze drammaturgiche della scena francese difine millennio. Sono anni in cui, per dirla con Jean-Pierre Thibaudat,«le théâtre ne manque pas de bons auteurs contemporains. On voitapparaître des écritures fortes et décapantes […]. Mais pour unGabily, un Lagarce, un Koltès ou un Novarina, beaucoup de plumitifs,d’auteurs bientôt oubliables ou de comètes»2. Similmente alle vi-cende sceniche italiane, nel teatro francese, dall’ inizio degli anniOttanta in poi, si era avviata una rivalutazione della scritturadrammaturgica, alla quale veniva nuovamente dato uno spazio im-portante accanto alla scrittura scenica, che, nel corso degli anni Ses-santa e Settanta, aveva acquistato un ruolo fondamentale nell’esteti-ca teatrale3.

1 Fabio Gambaro, Jean-Luc Lagarce e la fine del mondo, «La Repubblica», 27maggio 2008, p. 51.2 Jean-Pierre Thibaudat, Théâtre français contemporain, Paris, Ministère des Affairesétrangères, 2000, p. 23.3 Cfr. Didier Lassard, Valère Novarina, Didier-Georges Gabily. Pour un potlatchdes représentations, in Sieghild Bogumil e Patricia Duquenet-Krämer (dir.), Bernard-Marie Koltès, au carrefour des écritures contemporaines, Louvain-la-Neuve, Centre

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In questo clima così fecondo e stimolante si sviluppano e siprecisano i nuclei fondamentali della poetica drammaturgica di Jean-Luc Lagarce, «qui sut se frayer un parcours original, à la frange desinstitutions ou en rusant avec elles, dans une marginalité subie autantqu’aimée, et surtout actif, fomentant des réseaux de solidarité dontsa maison d’édition fut un bras séculier»4. Partito dalla rivisitazionee dalla personalizzazione dell’estetica e dei motivi dominanti delteatro dell’assurdo con pièces che metterà personalmente in scena(Erreur de construction, 1977 e Carthage, encore, 1978)5, approdaa una scrittura dai modi stratificati e densamente poetica, attraversola quale produrrà opere che possono dividersi in tre grandi filonitematici6.

Un primo gruppo di lavori – gli esiti maggiori dei quali sonoVoyage de Madame Knipper vers la Prusse Orientale, 1980 e Nous,les héros, 1993 – indaga il senso e i modi della narrazione a teatro,strutturandosi con accenni metateatrali, imperniati su una verbalitàcomplessa e materica. Un secondo gruppo di opere affronta il temadei rapporti familiari (intendendo per famiglia non solo quella natu-rale, ma anche quella formata da legami lavorativi, intellettuali osentimentali), sottolineandone la necessità e la inevitabilità, come lacaducità e talora l’ insincerità. Si vedano, per esempio, Derniers

d’études théâtrales de Université catholique de Louvain, 2000, pp. 67-77. Comescrivono Martin Mégevand, Jean-Marie Thomasseau e Jean Verrier: «L’ importancedu texte de théâtre, et partant de l’auteur, semble à nouveau s’affirmer, ne serait-ceque dans le développement soudain des lectures publiques et l’ importance prisedans la vie théâtrale contemporaine par des auteurs comme Michel Vinaver, pourqui la mise en scène court toujours le risque d’être une “mise en trop” , et ValèreNovarina pour qui le texte redevient le pivot de la création théâtrale», MartinMégevand, Jean-Marie Thomasseau, Jean Verrier, Théâtre: le retour du texte?,«Littérature», juin 2005, pp. 3-4.4 Thibaudat, Théâtre français contemporain, cit., p. 25.5 Al teatro dell’assurdo Lagarce si rivolgerà anche come metteur en scène dal mo-mento che realizzerà un’ importante versione di La Cantatrice chauve di Ionesco.Riguardo all’attività di regista di Lagarce, cfr. AA. VV., Traces incertaines, misesen scène de Jean-Luc Lagarce 1981-1995, Besançon, Les Solitaires Intempestifs,2002.6 Cfr. Vincenzo Ruggiero Perrino, Jean-Luc Lagarce: l’impotenza della lingua,«Annali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” – Sez. Romanza», vol.XLIX, n. 2, luglio 2007, pp. 425-459.

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remords avant l’oubli (1987), Les Prétendants (1989) e, soprattutto,Les Règles du savoir-vivre dans la société moderne (1993). Infine,vi è un gruppo di opere, alcune delle quali scritte dopo aver appresodi essere sieropositivo, che vertono sul tema della malattia e dellamorte. Tra esse spiccano per intensità lirica Le Pays lointain (1995)e il monologo Le Voyage à La Haye (1993).

Juste la fin du monde (1990) può essere considerato il capola-voro di Lagarce: il suo stile diventa più pulito e perfezionato; è illavoro in cui tutte le tematiche precedenti si trovano mirabilmenteintrecciate. I fatti sono questi: Louis, partito senza un’apparentemotivazione anni prima, ritorna alla dimora materna per annunciareai familiari che è prossimo a morire. Ha scoperto, infatti, di esseremortalmente malato. La breve permanenza di Louis a casa dimostral’ incapacità dei suoi di stabilire un autentico e sincero contatto uma-no, chiusi come sono in un insormontabile muro di solitudine e do-lore. Al punto che il giovane ripartirà senza aver rivelato nulla dellamalattia e della sua imminente morte.

La pièce, come di consueto in Lagarce, si snoda in lunghi so-liloqui che hanno solo la parvenza del dialogo tra i personaggi. Laproliferazione delle parole conferisce alla “narrazione” una sensa-zione di entropia delle emozioni, nella quale i personaggi sono comeirretiti e impediti a riemergere. Dalle contorsioni verbali affioranole fragilità individuali, l’ impossibilità di comunicazione e uno stri-sciante e silenzioso cinismo: ci si accusa, si rinfacciano responsabi-lità più o meno antiche, alla costante ricerca di una presenza, cheineluttabilmente verrà negata. Scrive Samuel Vigier, recensendo ilvolumetto in cui è stato pubblicato il testo in francese:

Ces longs monologues dialogués cherchent l’autre, et le fontfuir, exposant l’amour sous la forme de la querelle, de l’accusation.Tous ensemble, ils ne peuvent que se battre, s’engueuler, gênés,saturés, épuisés, pointant le doigt sur lui […]. Ils reviennenttoujours, dit la mère à celui-là qui est parti vraiment, lui. Et puis,absurde, cruelle comme on ne l’est jamais que lorsque on necherche pas à l’être : je suis contente, je suis contente que noussoyons tous là tous réunis […]. Un autre retour au désert7.

7 Samuel Vigier, Juste la fin du monde, in www.lelitteraire.com, settembre 2005.Juste la fin du monde è stata pubblicata da Les Solitaires Intempestifs in volume

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Juste la fin du monde appartiene, cronologicamente, all’ulti-ma fase della carriera drammaturgica di Lagarce, comprendente unciclo di lavori, ideati e scritti dopo che l’Autore era venuto a cono-scenza di essere sieropositivo8. Questa circostanza imprime a que-ste opere un impianto tematico imperniato sul motivo della malat-tia. Non mancano tra l’altro ampi e importanti riferimenti al temadella famiglia, che vanno ad intrecciarsi e a sovrapporsi a quellidella morte9.

Eppure, se Juste la fin du monde nasce “ufficialmente” nelluglio del 199010, quando Lagarce è a Berlino, in realtà i prodromi

singolo nel 1999. È stata, poi, inserita nel terzo volume del Théâtre complet, editonello stesso anno. In Italia, è stata tradotta con il titolo Giusto la fine del mondo peril volume antologico Teatro I edito dalle edizioni Ubulibri nel 2009. Per le tradu-zioni nelle altre lingue, cfr. la pagina web http://www.lagarce.net/oeuvre/translations/idtext/12/from/texte. Per le principali messinscena in madrepatria, si rimandaall’esaustiva cronologia contenuta in Bertrand Chauvet, Eric Duchâtel, Juste la findu monde, Nous, les héros, Jean-Luc Lagarce, Paris, Scérén (CNDP), 2008, pp.124-125. Per le messinscena realizzate nel resto d’Europa, cfr. la pagina web http://www.lagarce.net/oeuvre/mes_texte/idtext/12.8 A proposito della sieropositività dell’Autore e delle sue ricadute sulla composi-zione di Juste la fin du monde e di altre opere, sono interessanti le parole di FrançoisBerreur: «Souvent, on voit en Louis la projection de Lagarce, il est le héros, laparole du poète […]. L’ idée du projet, ce n’est pas la maladie. Lagarce le répètedans son Journal : ˝Le sida n’est pas un sujet˝. Et de la même façon, pour Juste lafin du monde : la pièce est un très beau texte sur la résistance, comment on résiste,en l’occurrence à la maladie, mais pas à la maladie du sida, à la maladie en général,et si on élargit un peu, à la mort […]. C’est la grande force de son écriture : sonthéâtre interroge la forme vivante et à partir de là se construisent une expressionphilosophique et une vision du monde», Chauvet, Duchâtel, «Loin dans les méandresde la parole». Entretien avec François Berreur, in Id., Juste la fin du monde, Nous,les héros, Jean-Luc Lagarce, cit., pp. 81.9 Non mancherebbero in Juste la fin du monde momenti metateatrali. Infatti, l’ in-termezzo sembrerebbe avere la forma del teatro nel teatro, «quelque chose qui tiendraitd’un marivaudage, un jeu de colin-maillard onirique», Gilles Scaringi, Une propositionde lecture de Juste la fin du monde, in AA.VV., Lire un classique du XXe siècle: Jean-Luc Lagarce, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2007, p. 127.10 C’è una frase dello stesso Lagarce che sembra una riflessione sulla pièce:«Devrions-nous jamais revenir un jour là où nous avons vécu, où nous étionsauparavant, nos rivages anciens, le lieu de notre jeunesse et de notre apprentissage,le beau secret de nos premières hésitations, ces lieux où nous prétendons toujoursque nous avons été heureux, devrions-nous y retourner, que nous ne pouvons ignorer

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affondano in tempi più remoti. Nell’autunno del 1986 comincia alavorare a un testo, Le combat avec l’enfant, più volte interrotto eripreso, che di lì a poco si trasforma in un tentativo di romanzo, daltitolo Mes deux dernières années. Una serie di preziose informazio-ni vengono offerte dalle annotazioni contenute nel diario dell’auto-re, che nell’agosto del 1987 scrive: «Si je conduis au bout cette affaire,je couperai tellement de choses, je les détruirai. J’en aurai fini. Cesera comme mourir, disparaître. En être capable […]. Difficile, lavérité» 11. Poi, nel febbraio del 1988, Lagarce appunta l’ idea per unabreve pièce, «qui [lui] trotte dans la tête depuis quelque temps. Celas’appelle Les Adieux. Cinq personnages, la mère, le père, la sœur, lefils et l’ami du fils. Le fils XX. Il va mourir, il est encore jeune. Iln’a jamais vraiment parlé. Ils passent une journée là, à ne pas fairegrand-chose. Ils écoutent. La mère parle tout le temps. XX [garde]le silence comme su rien n’était. On ne le dit pas mais on sait quel’on ne se reverra jamais»12.

Nell’aprile del 1988, il romanzo Mes deux dernières annéescambia titolo in Les Adieux; poi viene completato e sottoposto al-l’attenzione di alcuni editori parigini, che però non ne danno giudiziparticolarmente lusinghieri. Per nulla scoraggiato, nel settembre dellostesso anno, Lagarce avvia la stesura di una riduzione teatrale, prov-visoriamente intitolata Quelques éclaircies13. Quella primitiva reda-zione, riaffiora durante il soggiorno berlinese del 199014:

Durant son séjour à Berlin que Lagarce y retravaille et lui don-ne la forme et le titre définitifs : Juste la fin du monde. Rentré a

le danger qui nous guette, que nous ne pouvons, lâchement, ignorer que, déjà, peut-être, nous nous trompons nous-mêmes», Jean-Luc Lagarce, Du luxe et del’impuissance, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 1994, p. 41.11 Jean-Luc Lagarce, Journal (1977-1990), Besançon, Les Solitaires Intempestifs,1990, p. 88.12 Ivi, p. 102.13 Scaringi con la consueta esaustività conferma che in questa versione primitivadella pièce Lagarce aveva pensato anche al personaggio del padre e che lo ha«supprimé un beau matin, ce que tout le monde devrait faire», Scaringi, Uneproposition de lecture de Juste la fin du monde, cit., p. 129.14 L’ idea di Les Adieux e la prima « ébauche » di Juste la fin du monde sono statepubblicate nel numero monografico di «Europe» dedicato a Lagarce (n. 969-970,gennaio-febbraio 2010), p. 153 e pp. 154-156.

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Paris en août 1990, il remet le manuscrit à Lucien Attoun. Contretoute attente, il est refusé par le comité de lecture du NouveauRépertoire. Lucien Attoun demande des modifications. Aprèsquelques vaines tentatives, Lagarce finit par renoncer à retoucherson texte. Il ne le reprendra que dans les années 1994-1995 pourle fondre dans Le Pays lointain […]. On le voit, le thème du retour,déjà présent dans d’ autres œuvres, habite Lagarce depuislongtemps, depuis presque ses débuts, et bien avant qu’ il apprennesa séropositivité15.

Insieme con Juste la fin du monde, altre due pièces scritte inquesti travagliati anni, J’étais dans ma maison et j’attendais que lapluie vienne (1994) e Le Pays lointain (1995), possono essere conside-rate tre momenti di un’unica trilogia, tante sono le connessioni e i ri-mandi che le rendono una sorta di unicum narrativo e stilistico al-l’ interno del corpus lagarciano. Temi fondamentali di questa trilogiasono sostanzialmente due: il ritorno in famiglia e la morte imminente.

A proposito del primo, pienamente condivisibile quanto scri-ve Thibaudat: «La famille traverse le théâtre de Jean-Luc Lagarce»16.Parlare di “famiglia” equivale a mettere in gioco non solo la famiglianaturale, ma anche, e soprattutto, quella d’elezione, «celle des amis,des amants, des amantes, qui forment des fratries intimes»17. Significa-tivamente, anche la trilogia narra storie che si svolgono all’ internodi famiglie. In Juste la fin du monde e in J’étais dans ma maison etj’attendais que la pluie vienne agiscono i componenti di famiglienaturali, mentre in Le Pays lointain, dolente elegia della fine e in-candescente riscrittura di Juste la fin du monde, è inscenata una “ fa-miglia” nella quale figurano amanti, amici e persino dei fantasmi.

Da un punto di vista narrativo, tutte le pièces della trilogiaraccontano di un figlio, che è stato lontano per molto tempo, e che

15 Scaringi, Une proposition de lecture de Juste la fin du monde, cit., p. 124.16 Jean-Pierre Thibaudat, Jean-Luc Lagarce, Paris, Culturesfrance, 2007, p. 45.17 Ivi. Thibaudat continua la sua riflessione, creando un interessante parallelo conaltre opere precendenti: «Les trois amis d’Histoire d’amour, cousins de ceux de DeSaxe, roman, reviendront dans Derniers remords avant l’oubli régler de vieuxcomptes de famille, comme on règle un problème d’héritage dans une famillenaturelle. On peut voir dans les groupes qui constituent la population de certainespièces, réunis au gré des circonstances, les formes éphémères et atténuées d’unefamille. C’est le cas des cinq personnages de Noce», ivi.

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ritorna a casa. In Juste la fin du monde la spinta di questo ritorno èdata dalla volontà (poi frustrata e delusa) di comunicare ai propricongiunti l’ imminente morte; in J’étais dans ma maison et j’attendaisque la pluie vienne la prospettiva è ribaltata, in quanto il figlio appe-na ritornato non compare mai in scena, ma il suo ritorno, e soprattut-to le emozioni e i ricordi che il ritorno provocano nelle donne dicasa, è da esse raccontato in una sorta di monologhi concatenati18; inLe Pays lointain, il figlio ancora una volta torna nel luogo intimo epersonale della famiglia allargata, nella quale egli riunisce tutti isuoi cari, a lui legati da vincoli di sangue o da vincoli affettivi, per isaluti finali, proponendo, attraverso varie narrazioni diegetiche odialogate, storie di un passato, che per quanto lontano, continua airradiare il presente.

La centralità del tema del ritorno in famiglia è rintracciabileanche in altri lavori: «Ce canevas schématique vaut pour plusieurspièces de Lagarce écrites à des périodes différentes : Retour à lacitadelle, J’étais dans ma maison et j’attendais que la pluie vienne,Juste la fin du monde, Le Pays lointain. Ajoutons à cette liste Nous,les héros, où la troupe de théâtre est d’abord une troupe familialedirigée par la Mère»19. Specularmente al tema del ritorno del figlioalla casa natale, si accompagna anche il tema dell’attesa dei familia-ri. Spesso le loro battute sono pervase da una sorta di risentimentoper il vuoto lasciato nelle loro vite. In Juste la fin du monde i fami-liari del protagonista, pur mantenendo all’ inizio una certa affabilitànei suoi confronti, non esitano a rinfacciargli il suo comportamentoindifferente e la lontananza senza dare notizie e senza interessarsi dicosa accadeva loro20.

18 Joël Jouanneau, che ha portato in scena le pièces della trilogia (J’étais dans mamaison et j’attendais que la pluie vienne nel 1997 e nel 2004, Juste la fin du mondenel 1999 e una riduzione di Le pays lointain nel 2001), individua due tipi di mono-loghi nella scrittura lagarciana: «1: Scène à un personnage qui parle seul. 2: Longdiscours d’une personne qui ne laisse pas parler ses interlocuteurs – ou à qui sesinterlocuteurs ne donnent pas la répartie. Les monologues de la première catégoriesont très rares chez Lagarce, et toujours adressés au public», Joseph Danan, L’espacedu sensible. Entretien avec Joël Jouanneau, «Europe», n. 969-970, gennaio-feb-braio 2010, p. 177.19 Thibaudat, Jean-Luc Lagarce, cit., pp. 46-47.20 Cfr. Scaringi, Une proposition de lecture de Juste la fin du monde, cit., p. 129.

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In diversi momenti della pièce, Lagarce racconta gli alterchitra Louis, il fratello ritornato, e Antoine, il fratello minore, del qualeil primo non ha mai nemmeno visto il figlio, che pure porta il suonome. A Louis viene fatto notare di essere partito quando sua sorellaera piccola: «Ce n’ est pas bien que tu sois parti, / parti silongtemps […] petits mots / – les phrases elliptiques – / ces petitsmots, ils sont toujours écrits au dos de cartes postales»21. E, ancora,nella decima scena, sembra serpeggiare una specie di ostilità, am-plificata dal tono di derisione, che scatena quasi una battaglia trafratelli. Louis reagisce alle accuse di Antoine («Je suis mal à l’aise,tu m’as mis mal à l’aise»). Quest’ultimo replica con ironia, nel ten-tativo di screditare il fratello maggiore agli occhi degli altri («C’estun homme passionné par cette description de nostre progéniture»).Pare evidente che il ritorno di Louis abbia risvegliato in Antoine unsenso di frustrazione mai del tutto sopita, che tenta di sconfiggerericorrendo alla derisione del fratello ritornato. Ma Louis è bravo aparare ogni colpo («Il ne me retient pas, et sans le lui dire j’ose l’enaccuser. C’est de cela que je me venge»)22. Scrive, a tal proposito,Catherine Brun: «Chez Lagarce, en effet, le verbe est non seulementune arme redoutée, mais l’origine du conflit interpersonnel […]. Premiermoyen de toucher l’autre […], la parole ne tend pas, comme chez Koltès,à différer le moment des coups physiquement portés, elle suffit àdéclencher les hostilités»23. Insomma, i rapporti familiari, nell’atte-sa di un ritorno che avviene troppo tardi per sanare le antiche feritee recuperare il tempo perduto, sono irrimediabilmente compromes-si. Ognuno è solo, chiuso in un guscio impenetrabile, dal quale siaffaccia solo per accusare gli altri della propria infelicità.

Nelle tre opere tale vuoto è acuito dal fatto che manca un’altrafigura maschile di riferimento: il padre non è mai presente24. Nel

21 Jean-Luc Lagarce, Juste la fin du monde, in Théâtre complet III, Besançon, LesSolitaires Intempestifs, 1999, pp. 218-220.22 Ivi, cit. pp. 260 e ss..23 Catherine Brun, Jean-Luc Lagarce et la poétique du détour : l’exemple de Juste lafin du monde, «Revue d’Histoire Littéraire de la France», n. 1, marzo 2009, p. 191.24 Significativamente un’altra opera di quegli anni, Nous, les héros (1993), cono-scerà una doppia redazione: nella prima, la famiglia è al completo; nella secondamanca il padre. Françoise Dubor, insistendo sulla particolare declinazione che la

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tracciare un parallelo tra Le Pays lointain e Juste la fin du mondeDenis Guénoun evidenzia che «Dans Juste la fin du monde, le père,s’ il est déjà mort, ne revient pas sur scène. La différence entre lesdeux œuvres porte donc […] sur la possibilité de cette revenance»25.Del resto, anche in J’étais dans ma maison et j’attendais que lapluie vienne, il figlio è stato scacciato dal padre e le cinque donne dicasa hanno aspettato il ritorno, condizionate da quest’assenza totalee invecchiando in un’attesa estenuante26.

Il tema dell’attesa dei familiari, similmente a quello del ritor-no del figlio partito anni prima, si ritrova almeno in una delle primepièces di Lagarce. In Ici ou ailleurs (1981), al ritorno del figlio, lamadre, nell’aprire la porta, esclama: «Tu ne viens pas souvent mevoir… Souvent je pensais que tu ne reviendrais jamais…»27.

L’altro grande tema portante della trilogia, legato a quello dellafamiglia, è la morte, affrontata dall’Autore, evitando ogni riferimentoal trascendente. A tal proposito, richiamando gli esordi drammaturgicidi Lagarce, ascrivibili alle tematiche e allo stile dell’assurdo, pur in unaprospettiva assolutamente personalizzata, Martin Mégevand scrive:

“ famiglia” , nelle sue variazioni genealogiche, assume nel teatro lagarciano, tracciaun parallelo tra questa pièce e Le Pays lointain, scrivendo: «La famille constitue unpoint commun entre Nous, les héros et Le Pays lointain. En effet, Nous, les hérosprésente aussi une famille, cette fois constituée par trois générations : le Grand-père, le Père (ou non), la Mère, les trois enfants (Joséphine, Eduardowa et Karl),ainsi que le « fiancé en instance » de Joséphine, Raban, et son meilleur ami Max[…]. On sait bien que le gens de théâtre […] forment une grande famille », FrançoiseDubor, Temps mort, in AA. VV., Problématiques d’une œuvre, Besançon, LesSolitaires Intempestifs, 2007, pp. 159-160. Guénoun aggiunge : «On pourraittoutefois analyser aussi la fonction symbolique du père dans l’homosexualitémasculine de la pièce: par exemple son rapport de connivence remarquable, demort à mort, avec l’Amant», Denis Guénoun, Homosexualité trascendentale, inAA. VV., Regards lointains, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2007, p. 16.25 Guénoun, Homosexualité trascendentale, cit., p. 16. Sul tema ̋ de cette revenance˝,è interessante quanto scrive Jacques Derrida, in particolare sulla funzione del fan-tasma in Amleto. La funzione del fantasma, in un’accezione particolare, è richia-mata in Le Pays lointain, e nel progetto che ne diede il via alla composizione, cfr.Jean-Pierre Thibaudat, Le Roman de Jean-Luc Lagarce, Besançon, Les SolitairesIntempestifs, 2007, in particolare alle pp. 340-343.26 Cfr. Thibaudat, Jean-Luc Lagarce, cit. p. 49.27 Jean-Luc Lagarce, Ici ou ailleurs, in Théâtre complet I, Besançon, Les SolitairesIntempestifs, 2000, pp. 155 e ss..

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Ce point fonde l’une des originalités fortes de la dramaturgiede Lagarce : à la dramaturgie beckettienne de l’attente, il substituecelle de la vigilance […]. Choisissant d’ inscrire ouvertement sapièce dans un horizon grec (il y fait allusion dans son synopsis),Lagarce en évacue toutefois la dimension de transcendance, annullecruellement l’altérité en la réduisant à un objet muet. Il conservecependant la dimension de déploration lyrique propre à la tragédieattique et n’en conserve même que cela. L’attitude de déplorationne fige pas les choreutes dans un intemporel mythique, mais aucontraire, les situe dans un nœud du temps28.

Nelle opere della trilogia, la morte è avvertita come una spari-zione dal mondo, fine assoluta del corpo materico. Una fine chelascia tuttavia la possibilità di una permanenza: non a caso, in LePays lointain appaiono personaggi sotto forma di fantasma. Segnoche la paventata “ fine del mondo” è sì fine assoluta, ma anche viaticoper una nuova avventura nello spazio della famiglia29. La morte,allora, potrebbe essere quel paese lontano che si profila giusto dopola fine del mondo:

Le Pays lointain est au-delà, dans l’après de toute fin du monde– et à cet égard, son geste irréductible s’ institue sans doute dansl’écart avec la pièce apocalyptique – Juste la fin du monde – dontil est la reprise et le commentaire. Mais, dira-t-on, le rapport entreles vivants et les morts ne s’y limite pas à l’amour entre hommes :

28 Martin Mégevand, Esthétiques chorales de la disparition, «Littérature», juin2005, pp. 89-90. Sul rapporto tra la drammaturgia lagarciana e gli stilemi dellatragedia greca, cfr. Gaëlle Glin, Jean-Luc Lagarce et la tragédie, mémoire de DEAsous la direction de Denis Guénoun, Université Paris IV-Sorbonne, UFR de littératurefrançaise et comparée, 2004.29 In Juste la fin du monde, c’è un passaggio che autorizza a parlare della mortecome sparizione dal mondo e interruzione della possibilità che tra i morti e i vivi siinstaurino rapporti materiali. Dice Louis: «On l’espère, c’est que le reste du mondedisparaitra avec soi […]. Tous partir avec moi […]. Que je les emporte et que je nesois pas seul», Lagarce, Juste la fin du monde, in Théâtre complet III, cit., p. 243.Inoltre, l’orizzonte della morte e la riviviscenza nelle forme fantasmatiche dischiudeanche un’altra ipotesi semantica: l’uso della parola e della verbalità come metodoper la creazione di un intervallo temporale “altro” , cfr. Adèle Chaniolleau, Le théâtrede Jean-Luc Lagarce: à la recherche de l’infinie précision, mémoire de DEA sousla direction de Jean-Pierre Ryngaert, Université Paris III-Sorbonne nouvelle, UFRde théâtre, 2002, pp. 17-24.

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puisque par exemple le père est mort déjà, lui aussi, et présent.Mais il se trouve que la différence instituée par la réécriture deJuste la fin du monde porte exactement sur ce double point : lerapport avec les morts, et l’homosexualité30.

Sul tema dell’omosessualità, che sotterraneamente attraversala trilogia, un elemento decisivo è portato dall’analisi condotta daThibaudat: il progetto iniziale di Juste la fin du monde prevedevache, nel ritornare in famiglia alla vigilia della morte, il figlio fosseaccompagnato dal suo amante31. Va notato che in Juste la fin dumonde l’omosessualità è un argomento ancora da tacere e da nonpoter dichiarare apertamente; in Le Pays lointain il tabù cade e ilLouis che sta morendo è finalmente libero di esprimere, nell’ambitodella “ famiglia” la propria omosessualità. In entrambi i casi il desi-derio di essere amati e di amare è destinato allo scacco e all’ insuc-cesso, nel primo perché all’amore è negata persino l’espressioneverbale dal clima astioso che serpeggia in famiglia, nel secondo per-ché esso viene dichiarato quando ormai è troppo tardi. Del restol’ insuccesso e la frustrazione in campo affettivo costituisce un temanon episodico nell’opera lagarciana: «L’échec, tant dans l’écritureque dans l’amour, est un motif récurrent, presque le leitmotiv (“monéternel échec” ) du Journal de Lagarce. L’auteur y met en scène sonattente insatisfaite de l’amour fusionnel avec certains de ses amantsou avec sa sœur, son père, sa mère. Mais […], l’échec n’est iciqu’apparent et dissimule mal une quête ardente»32.

Le tematiche toccate nei tre lavori (ritorno in famiglia e sensodi vuoto per l’assenza del figlio, morte imminente), hanno due illu-stri ascendenti: il racconto evangelico del figliuol prodigo e la nar-razione omerica del viaggio ad Itaca di Ulisse33. A proposito di que-

30 Guénoun, Homosexualité trascendentale, cit., p. 16.31 Cfr. Thibaudat, Le Roman de Jean-Luc Lagarce, cit., p. 224.32 Sarrazac, Jean-Luc Lagarce, le sens de l’humain, cit., p. 3.33 All’epoca dei suoi primi tentativi drammaturgici, Lagarce aveva messo in cantie-re due progetti. Il primo era una Clytemnestre, il secondo una riduzione teatraledell’Odissea, che in un appunto del diario datato 3 aprile 1978, Lagarce nominasotto il titolo di Elles disent... L’adattamento da Omero (di cui resta un manoscrittodi 38 pagine con annesse note per la messinscena) è incentrato sul triplo temalagarciano della partenza, dell’attesa e del ritorno, ed è tutto concentrato in scene

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st’ultimo, facciamo nostra un’ interessante nota di Thibaudat, pun-tuale esegeta dell’opera di Lagarce, che rintraccia in vari momentidel corpus lagarciano assonanze con la storia di Ulisse:

Absent, silencieux, ne donnant pas signe de vie, le fils décidede revenir au pays natal. Parce qu’ il est nommé gouverneur, parcequ’ il va mourir. Il n’est plus le fils qu’ il fut, le temps à passé, c’estun autre homme, « une sorte de visage étrange de vieillard ou lecorps d’un homme jeune comme devenu vieux trop tot ». C’estpresque, oui, un étranger, un spectre qui ne parle pas ou peu, unrevenant, « revenu de ses guerres » comme Ulysse. La fils revientmais, comme ce dernier, et, selon la formule de Jean-Pierre Vernantà propos du héros d’Homère, il fait retour sur lui-même. Il redevientl’enfant qu’ il fut, qu’ il n’est plus mais qu’ il est encore : un enfantvieux. Louis, dans Le pays lointain : « Je suis auprès d’eux commelorsque j’étais enfant, comme enfant à nouveau, ou, pareilexactement, comme lorsque je serai vieux à mon tour »; et dansJ’étais dans ma maison et j’attendais que la pluie vienne, « LaPlus Vieille » le transporte comme un enfant ou un vieillard, danssa chambre « celle-là, la même que lorsqu’ il était enfant »34.

Riguardo alla somiglianza con la parabola del figliuol prodi-go, il Louis di Juste la fin du monde e il Louis di Le Pays lointain el’anonimo figlio di J’étais dans ma maison et j’attendais que la pluievienne sono riammessi in casa dopo una lunga assenza (volontariaper i primi due, forzata per il terzo), ma il loro ritorno è di brevedurata: disillusi nella possibilità di un’autentica riconciliazione coni familiari, e precipitati in una solitudine incolmabile e senza rime-dio, essi riprendono il loro peregrinare, che presto – s’ intuisce chia-ramente – terminerà nel paese lontano della morte. Per altro, J’étaisdans ma maison et j’attendais que la pluie vienne è «la pièce la plusemblématique de ce ̋ retour de l’enfant prodigue˝, car la plus simpledans sa structure avec son chœur de cinq femmes […]. Revient-ilvraiment ? Entre ̋ serait lui˝ et ̋ c’était lui˝, puis le ̋ toujours imaginé ,̋

dialogate che si svolgono in ambienti domestici. Si tratta della «vraie premièrepièce de Jean-Luc Lagarce, bien plus personnelle que les pièces antérieures écritesdans le sillage de Ionesco», Jean-Pierre Thibaudat, Lagarce, de Clytemnestre àUlysse, «Europe», n. 969-970, gennaio-febbraio 2010, p. 102.34 Thibaudat, Jean-Luc Lagarce, cit. pp. 50-51.

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se glisse le mirage du retour»35. Gilles Scaringi concorda nel rin-tracciare, nella struttura narrativa della trilogia, assonanze con l’epi-sodio biblico:

Revenons d’abord à la parabole du fils prodigue et n’oublionspas le fils aîné, resté par soumission auprès de son père vieillissant[…]. La parabole illustre le rachat de la faute par la réintégrationdu fils dans le giron familial. Dès qu’on s’ intéresse de plus près àLouis et à Antoine, c’est à la réactivation de ce mythe que l’onsonge. Tout oppose les deux hommes. L’aîné est l’ intellectuel, lecréateur. Épris de liberté et de voyages, il a largué les amarrespour aller vivre sa vie, loin de ce coin-ci. Malgré le chagrin queson départ a causé, son retour était depuis longtemps attendu […].Le cadet est ouvrier, il s’est marié, il a fondé un foyer. Il n’a jamaisquitté le pays natal. En outre, pendant la longue absence de Louis,il a cru devoir assumer les responsabilités de la famille à la mortdu père. Le retour de son frère lui apparaît donc suspect. C’est uneintrusion dans l’ordre qu’ il a instauré36.

A unire le pièces della trilogia non sono solo motivi narrativie consonanze nei nuclei tematici, ma anche motivi stilistici. Le ope-re lagarciane vengono attraversate da un profluvio di parole, chesembrano tradire una generale impotenza a manifestare pienamentele psicologie dei personaggi che le esprimono. Si racconta di ritorniin famiglia, di assenze lungamente sofferte, di girovaghi e di attori,di malattie e di morte, di potere, ma c’è sempre qualcosa che manca,una parola conclusiva che faccia definitivamente luce sull’ intero.La peculiarità dello stile di Lagarce è tale che la si potrebbe definireuna drammaturgia di montaggio, non tanto alla maniera di Brecht,quanto piuttosto nel senso che il drammaturgo taglia e incolla bran-delli linguistici, creando una rete di relazioni tra i personaggi. Spes-so, in diversi momenti della trilogia, Lagarce ricorre all’ ironia, chelungi dal suscitare un riso liberatorio, acuisce ancor più il senso dismarrimento e di disperata impossibilità di scioglimento del dram-ma. In Juste la fin du monde, la battuta della madre che esclama: «Jesuis contente, je ne l’ai pas dit, je suis contente que nous soyons tous

35 Ivi, p. 52.36 Scaringi, Une proposition de lecture de Juste la fin du monde, cit., pp. 132-133.

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là réunis»37. Ma è un’antifrase: la sorella e il fratello minore si sonoappena scontrati e sono usciti; subito dopo la battuta anche Louisabbandona la scena. Poi la madre stessa si alza e se ne va, lasciandola cognata sola sul palcoscenico!

Un ultimo cenno merita il rapporto di riscrittura che intercor-re tra Juste la fin du monde e Le Pays lointain; Gilles Scaringi pro-pone una lunghissima sequenza di somiglianze e di esempi diriscrittura38. Le Pays lointain amplia la narrazione di Juste la fin dumonde in un progetto teatrale più vasto e ambizioso. Conclusa pochigiorni prima della morte dell’Autore, Le Pays lointain è un’operaintimista, nella quale Lagarce riassume le linee tematiche dei lavoriprecedenti. Rispetto alla prima redazione, in questa scompaiono ledidascalie e ogni riferimento di tempo e di luogo. Inoltre, il ritornodi Louis (stavolta accompagnato da un amico di infanzia, LongueDate) non avviene più solo presso la sua vera famiglia. In Le Payslointain agiscono tre nuclei “ familiari” : la famiglia biologica, la fa-miglia d’elezione e la famiglia degli amanti. È, altresì, confermatala struttura metateatrale della storia: i personaggi convocati (tra cuianche il padre e un amante, entrambi già morti e figure allegoriche),si comportano come se fossero consapevoli di trovarsi su un palco-scenico e dentro la finzione di una rappresentazione39.

37 Lagarce, Juste la fin du monde, in Théâtre complet III, cit., p. 242.38 La tavola delle corrispondenze e della concordanze tra le due pièces riguarda diversiaspetti: i personaggi, la paura, il rischio del ritorno, la decisione del viaggio, il tempoche è passato, i ricordi materni, l’assenza dei bambini, l’abbandono della città natale edei parenti, le passeggiate domenicali in macchina, la decisione di Louis di ritornareper annunciare la propria morte, la solitudine, la fine del mondo, la “querelle” familia-re, cfr. Scaringi, Une proposition de lecture de Juste la fin du monde, cit., pp. 171-182.39 Sull’argomento, è interessante riportare una riflessione di Françoise Dubor: «Le casde la réécriture qu’est Le Pays lointain est sensiblement différent. C’est cette fois unespace qui est immédiatement désigné par le titre, mais un espace qui modifie notreperception immédiate de la pièce […]. Cette fois, c’est une référence temporelle quinous est proposée, et une référence forte puisqu’elle désigne l’Apocalypse – une finabsolue. Pourtant, si l’on veut considérer la trace d’une permanence, d’une pièce àl’autre, toujours par le seul examen des titres, il s’agit de prendre ̋ fin du monde˝ dansun sens spatial, qui détourne par conséquent, le sens figé de l’expression vers un ̋ boutdu monde˝, qui permet alors de considérer Le Pays lointain, quoique par euphémisme,comme une réécriture par transposition de Juste la fin du monde», Dubor, Temps mort,cit., pp. 158-159.

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Da un punto di vista drammaturgico, non poche sono le pecu-liarità compositive e stilistiche in Juste la fin du monde. LucaRonconi, autore di una messinscena della pièce al Piccolo Teatro diMilano nel marzo del 2009, in un’ intervista afferma che:

È possibile offrire un’ immagine più precisa e completa delladrammaturgia di Lagarce, al cui centro c’è sempre la ricerca sullinguaggio. Egli, infatti, definisce i suoi personaggi non tanto at-traverso il carattere e la psicologia, quanto attraverso il linguag-gio, un linguaggio quotidiano semplice e diretto che però con iltrascorrere del tempo acquista risonanze letterarie. La ricerca lin-guistica consente ai suoi testi di occupare il territorio vuoto chec’è tra il teatro e la letteratura40.

In Juste la fin du monde, la parola è la sorgente della costru-zione diegetica e narrativa41; l’apparente semplicità del linguaggio –che a taluno può erroneamente apparire segno di esilità compositiva42

– in realtà è attraversata da una fitta rete di rimandi alla parlata quo-tidiana e domestica. I personaggi s’ interrompono vicendevolmente,oppure complicano essi stessi la propria espressività con ripetizioni,incidentali, balbettii, ripensamenti, in modo che il senso ultimo deidiscorsi è inevitabilmente oscurato. Tale particolarissimo uso dellinguaggio, che, nel rendere frammentario il procedere dei dialoghi,mostra la sua complessa matrice, costituisce però il mezzo miglioreper esprimere le fragili solitudini delle personae, che s’ incontranonon tanto per esperire il tentativo di ricostruire (e giustificare) ilproprio passato o di porre rimedio al loro dolore, quanto piuttostoper affermare definitivamente un’ incapacità di amare e di condivi-dere la propria esistenza finanche con i congiunti.

Jean-Michel Potiron, riportando lunghi estratti inediti di un’ in-tervista a Jean-Luc Lagarce, realizzata nel luglio del 1994, offre lapossibilità di conoscere i propositi dell’autore e le sue riflessioniriguardanti il linguaggio:

40 Gambaro, Jean-Luc Lagarce e la fine del mondo, cit., p. 51.41 Cfr. Chaniolleau, Le théâtre de Jean-Luc Lagarce: à la recherche de l’infinieprécision, cit., pp. 6-16.

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Je suis au service de ce que je veux raconter, de ce que, selonmoi, l’œuvre raconte. Pour la raconter, je m’appuie sur la langue,sur la structure de la pièce. Le sujet le plus important, c’est lalangue. Ce sont les mots. Le sujet : c’est d’en parler. L’histoireracontée ne m’ intéresse pas beaucoup, en revanche, la façon dontelle est racontée me passionne […]. Il faut défendre la langue contrel’ image. Nous vivons aujourd’hui dans l’absence de la langue.Dans l’absence du verbe43.

Juste la fin du monde è una pièce in cui si fa un uso dellaparola talmente nuovo che essa è fonte di fascino quasi poetico. Illinguaggio assume un fluire musicale, benché celi in sé un’ impoten-za di fondo, negando al lettore-spettatore la possibilità di un chiari-mento finale. Si tratta di una scrittura capace di raggiungere un veroafflato tragico, attraverso il ritmo sincopato, la lunga serie di incidenta-li e di ripetizioni, con cui vengono espressi i silenzi di Louis, gli attac-chi rancorosi di chi lo ha troppo atteso, l’ incombere di una morte allaquale è negata persino la possibilità di essere comunicata44.

Nonostante il tema affrontato, Juste la fin du monde ha anchemomenti di humour, tant’è che in molte scene i personaggi rivesto-no un ruolo quasi comico45. È questa una peculiarità compositivache non dovrebbe sorprendere più di tanto i conoscitori del Nostro.Vale la pena ricordare che come metteur en scène, Lagarce ha spes-so prediletto testi comici: On purge bebé di Feydeau (1990), La

42 Cfr. Filippo Bruschi, Il teatro intimo di Jean-Luc Lagarce, «Hystrio», n. 1, gen-naio-marzo 2009, pp. 8-9.43 Jean-Luc Lagarce, Atteindre le centre. Entretien avec Jean-Michel Potiron,«Europe», n. 969-970, gennaio-febbraio 2010, pp. 147-149.44 Cfr. Cathrine Arnaud, Lagarce de vie, «Le Magazine Littéraire», n. 494, febbra-io 2010, p. 85 e Véronique Hotte, La fin du monde a Combs-la-Ville, «La Terrasse»,5 novembre 2003, p. 12.45 Philippe Minyana scrive: «Je me souviens d’une représentation de Juste la fin dumonde mise en scène par Jouanneau au théâtre d’Aix-en-Provence, un samedi soir,et le public riait, échangeait des regards ; certains se poussaient du coude», PhilippeMinyana, [senza titolo], «Bulletin du théâtre de Dijon-Bourgogne», 9 dicembre2004. Anche Thibaudat testimonia di una messa in scena di Jean-Charles Mouveaux:«Le metteur en scène dirige ses acteurs […] dans un phrasé à haut débit, provoquant,si l’on peut dire, un comique de précipitation», Jean-Pierre Thibaudat, Juste la findu monde, «Libération», 27 settembre 2005, p. 19.

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Cantatrice chauve di Ionesco (1991), Le Malade imaginaire diMolière (1993) e La Cagnotte di Labiche (1995).

Qui si fa uso di varie forme del “comico” , e generalmente lebattute riguardano le tappe fondamentali della vita: la nascita, il bat-tesimo, il matrimonio, la famiglia, il lavoro, i soldi, la malattia e lamorte. Del resto, questi stessi argomenti saranno affrontati con irri-verente sberleffo in una pièce di poco posteriore, Les Règles dusavoir-vivre dans la société moderne (1994). Allora, Antoine accusaironicamente Louis di essere un ipocrita; lo stesso Antoine assumeun tono derisorio riferendosi alla primogenitura di Louis; alcuni per-sonaggi fanno dei lapsus; tra una scena e l’altra non sembra essercialcun nesso di causalità, provocando un’atmosfera da teatro dell’as-surdo; accanto a un involontario umorismo nero, troviamo una seriedi quiproquo e malintesi che generano quasi un clima di leggerezza.

L’operazione drammaturgica di Lagarce si inserisce pienamen-te nella riscoperta del valore fondante del testo teatrale nella Franciadi fine Novecento. Patrice Pavis, con eccezionale precisione e com-pletezza, partendo dall’esempio fornito dalle opere di alcuni autoricontemporanei (tra i quali Koltès, Vinaver, Novarina e lo stessoLagarce), ha tracciato le linee guida che uniformano la drammatur-gia francese46. Innanzitutto, la scrittura teatrale assume tonalità qua-si poetiche e i testi una veste letteraria, apparendo fortemente orga-nici, e del tutto diversi dai prodotti teatrali degli anni Settanta e Ot-tanta del secolo scorso, strutturati più come raccolte di brani sparsi,come canovacci usa e getta. L’andamento poetico conferisce allarecente drammaturgia francese un’espressività classicheggiante. Ciònon esclude l’autenticità del dettato narrativo, reso ancor più “vero”dal fatto che viene utilizzata una parlata vicino all’oralità.

La struttura drammaturgica di Juste la fin du monde, nella suapregnanza stilistica, lungi dall’apparire come una raccolta di fram-menti letterari sparsi, costituisce un testo leggibile e letterariamentecoeso. Coerentemente con il resto della produzione lagarciana, lapièce ha un andamento linguistico della quotidianità, impreziositoperò di contorsioni retoriche dentro le quali il Nostro imbriglia la

46 Cfr. Patrice Pavis, Sintesi prematura, ovvero: chiusura provvisoria per inventa-rio di fine secolo, «Culture teatrali», n. 4, primavera 2001, pp. 121-132.

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parlata dei personaggi, decisamente lontana dal teatro convenziona-le borghese. Pur riconoscendo in Louis il protagonista del plot, inrealtà agisce una polifonia di voci, che si intrecciano, si echeggianol’un l’altra, si interrompono vicendevolmente, creando una densitàlinguistica, che tende all’ infinitezza della perfezione, pur senza maigiungervi compiutamente.

La drammaturgia crea un oratorio connotato da un lirismoelegiacamente logorroico. Il dialogo c’è, ma non è più un dialetticoscambio risolutore. Sembra, anzi, che la storia emerga dallagiustapposizione di momenti fonologici, che si dilatano in intermi-nabili repliche. Questi lunghi soliloqui (storie, ricordi, riflessioni avoce alta), più che ambire allo svolgimento narrativo (scambi di puntidi vista o di argomentazioni), sembrano avere un’autonoma funzio-ne narrativa. Nonostante ciò, lo stile di Lagarce è tale da renderequeste monadi solitarie e monologanti, capaci di interagire e di ma-nifestare la volontà di recuperare un’alterità, anche solo per poterfar ricadere sull’altro la responsabilità della propria solitudine e delproprio dolore esistenziale.

In sede di messinscena, questa densità drammaturgica, tende«a prendere il posto della teatralità, a non accontentarsi più di unospazio o di un’ immagine scenica spettacolare. Essa si affida per na-tura allo scambio e al conflitto indipendentemente dalle formediscorsive che, a prima vista, sembrano invece allontanarsene (mo-nologo, linguaggio poetico)»47.

Juste la fin du monde presenta diversi motivi di interesse, acominciare dal titolo, che cela un doppio senso. L’avverbio “ juste” èimpiegato con la doppia funzione sia di alleggerire ironicamente lasituazione che verrà raccontata nella storia (è soltanto la fine delmondo, dopotutto!), sia di sottolineare la necessità di quella fine (èla giusta e inevitabile fine del mondo). Mondo che non va certoidentificato con l’ intera umanità: è il mondo di Louis che sta perfinire, ma anche il resto del mondo che sta per staccarsidefinitivamente dal Louis che muore.

Il dramma è strutturato in una maniera articolata ed estrema-mente precisa, e in realtà si intuisce che esso è fondamentalmente il

47 Ivi, p. 123.

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racconto che Louis fa del suo ritorno a casa. Quindi tutto è già suc-cesso: a noi viene solo raccontato dal punto di vista del protagonista(che mentre racconta, probabilmente ha già assunto quella formafantasmatica che sembra essere l’unica possibile dopo la morte)48,che si smarca sovente dall’azione, per ritagliarsi dei momenti narra-tivi di raccordo tra le varie scene, confermando che anche in Juste lafin du monde si riflettono le prospettive metateatrali che erano pro-prie di alcune pièce precedenti.

A un prologo, che espone la ragione per cui Louis decide diritornare dai suoi, segue una prima parte di undici scene (esse rac-contano l’arrivo del giovane, l’ imbarazzata accoglienza dei familia-ri che si esprimono per frasi fatte, i ricordi del passato, la difficoltàdi comunicare e la crescente ostilità di Antoine verso il fratello mag-giore), il cui fluire è come spezzato da due lunghi monologhi diLouis, che ricoprono quasi la funzione del coro della tragedia greca,dal momento che sospendono l’azione, introducendo momentidiegetici di riflessione sull’azione. Segue, poi, un intermezzo di novebrevi scene, che aprono una specie di situazione onirica: qui i perso-naggi si cercano, si incontrano, si perdono, in una continua confusionedi entrate e uscite di scena. La seconda parte, che si apre su un monolo-go del protagonista, che racconta le condizioni della sua partenzasenza confessare nulla della sua prossima morte, si compone di trescene, incentrate sui tentativi di Antoine di screditare Louis agli occhidei familiari. Nell’epilogo, Louis lascia la sensazione di un fortissimorimpianto: egli è in una valle solitaria, in marcia lungo i binari di unaferrovia, con la voglia di lanciare «un grand et beau cri»49.

Abbiamo detto che il tema del ritorno e dell’attesa, dal puntodi vista drammatico si risolve in una costante riduzione al silenziodi Louis, a fronte di una crescente logorrea degli altri. Davanti alfiume di parole che i suoi gli rivolgono, costringendolo a un muti-

48 A tal proposito, scrive Hélène Kunts : «Dès lors, l’ensemble de Juste la fin dumonde semble orienté par le point de vue d’un personnage déjà mort, qui vientfrapper d’ irréalité les événements précédents. Le dialogue qui s’est noué avec lesmembres de sa famille pourrait n’être que l’extériorisation d’une scène intérieur, laprojection de fantasmes», Hélène Kuntz, Compagnons de langage égalementfaillibles, «Europe», n. 969-970, gennaio-febbraio 2010, p. 200.49 Lagarce, Juste la fin du monde, in Théâtre complet III, cit., p. 279.

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smo triste e solitario, Louis sembra diventare spettatore della vicen-da, la quale man mano che procede lo vede sempre più straniarsi daessa, fino a che il cerchio si chiude e lui ritorna da dov’era venutosenza aver detto nulla. I monologhi del protagonista assumono allo-ra la funzione di sospensioni dal tempo dell’azione. Invece, le lun-ghe battute dei suoi sembrano costruire una sorta di sinfonia verba-le, che s’apparenta a una concezione quasi musicale della scritturateatrale.

Juste la fin du monde, presentandosi in una veste classica,obbedisce alla regola delle tre unità aristoteliche; tutto si svolge inun unico luogo (la casa di famiglia), in un brevissimo lasso di tempo(per quanto la didascalia iniziale avverta che tutta la storia può svol-gersi in una domenica o durante un intero anno), e l’azione è unica.

Il tempo subisce un trattamento complesso: «Passé et présentse télescopent, s’enchevêtrent, sans cesse. Il nous fait faire un travailminutieux et des choix très précis pour non pas démêler l’écheveaumais comprendre depuis quand ça parle. De quand ça parle. Quandça parle. En général ces questions obligent à comprendre aussi dequoi ça parle»50. La storia della pièce sembra null’altro che il rac-conto che Louis ne fa, il che conferisce a Juste la fin du monde unatemporalità oscillante tra i ricordi del passato e il realismo del pre-sente. Infatti, si apre su un tempo all’ imperfetto («Plus tard, l’annéed’après – j’allais mourir à mon tour – […] je décidai de retourner lesvoir»), e poi prosegue al presente («J’ai près de trente-quatre ansmaintenant et c’ est à cet âge que je mourrai»). Il fluire degliaccadimenti si basa sulla riemersione di frammenti di un passatoreale o immaginario, e sui tentativi dei personaggi di riorganizzareil proprio vissuto, sottraendolo all’oblio, attraverso la continua emartellante rievocazione di brani della storia personale e collettiva.

Per quanto riguarda lo spazio, esso è costituito dalla casa abi-tata dalla madre e dalla sorella. Una casa, luogo fisico nel qualevivono le persone della famiglia, e luogo della memoria: c’è unospazio fisico dove si vive o si ritorna, e uno spazio immaginario,quello dei ricordi, degli affetti, delle emozioni. Purtroppo, tra i due

50 Jean-Claude Fall, Le voyage immobile, «Europe», n. 969-970, gennaio-febbraio2010, p. 169.

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spazi non si riesce a stabilire un legame e l’universo della pièce,viene disegnato e organizzato architettonicamente dalle parole. Atal proposito, sembra utile riportare una riflessione di Eric Duchâtel:

[La maison] est le lieu des retrouvailles, ou de la tentative deretrouvaille […]. Et un territoire, le territoire familial, mais d’unfamille bouleversée, déséquilibrée […]. Quelques signes sontévoqués, uniquement par la parole : les cartes postalescollectionnées mais trop banales pour être affichées […]. L’espacescénique se dessine donc en creux comme domaine de la mère. Encreux et en vide : aucune didascalie, aucun indice, aucuneperspective scénographique […]. L’autre caractéristique, plusdynamique, de cet espace dramatique est signalée par un systèmede didascalies internes qui fonctionne comme un gag récurrent :on ne peut pas y rester51.

Siamo di fronte a un linguaggio scenico assolutamente inno-vativo, capace di creare soluzioni visuali e scenografiche.

Passando ad analizzare i modi in cui Juste la fin du mondepuò trovare (o ha trovato) realizzazione scenica, partiamo ancorauna volta da una riflessione di Luca Ronconi:

Nelle opere di Lagarce, aldilà della trama e dei contesti in cuisi svolgono le azioni, la tematica dominante è quasi sempre quelladella riflessione sulla lingua e sulle possibilità della comunicazio-ne […]. I suoi personaggi parlano di continuo, ma sentendosi par-lare, si domandano se stiano dicendo ciò che avrebbero veramen-te voluto dire. E quindi modificano il linguaggio di conseguenza.I giochi di parole di Lagarce non sono mai gratuiti52.

Dal momento che è la parola a creare lo spazio della recitazio-ne, in sede di messinscena ne scaturisce la più completa libertà ri-guardo all’allestimento. Si può optare per un interno borghese, comeper un palcoscenico spoglio e chiaroscurale, a seconda che si vogliaprivilegiare l’aspetto realistico o quello del libero fluire di ricordi edi emozioni che la vicenda propone. Pertanto, mancando precise

51 Eric Duchâtel, Espaces incertains, in Chauvet, Duchâtel, Juste la fin du monde,Nous, les héros, Jean-Luc Lagarce, cit., pp. 70-71.52 Gambaro, Jean-Luc Lagarce e la fine del mondo, cit., p. 51.

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indicazioni autoriali, la singolarità della costruzione drammatica dellapièce, e la teatralità insita nella coralità e nel linguaggio stesso dellafabula, possono porre delle difficoltà nella realizzazione scenica.

Intervistato a tal proposito, il regista Philippe Delaigue ha di-chiarato:

On peut toujours regarder le spectacle, entendre le texte,travailler le jeu à l’aune d’une réalité qui est la réalité d’une journéeà la campagne, le réalité d’une famille, d’un rapport fraternel. Maison peut lire aussi ce texte avec une autre perspective, comme s’ ily avait deux plans de théâtre : un théâtre « réaliste », donc (etsurtout pas naturaliste) et sur un plan – qui appartient plusprobablement au personnage de Louis – qui est à la fois oniriqueet épique, c’est-à-dire traversant le temps d’une manière beaucoupplus large que l’espace de la simple journée. Le moment du rêveest même clairement présent dans la pièce. Du coup, on est tout letemps, sur toutes les questions que l’on est conduit à se poser surcette pièce et sur cette écriture, dans une sorte d’« entre-deux » oùl’ on peut toujours se référer à un réel, mais où le réel estconstamment « débordé »; la langue elle-même traverse ces deuxperspectives53.

È la parola stessa, la forza del linguaggio lagarciano a crearela scena, e pertanto Juste la fin du monde può benissimo vivere nel-lo spazio mentale dello spettatore, senza bisogno di una scenografiaparticolarmente elaborata per poter comprendere la vicenda. Que-st’ultima necessita piuttosto di un dispositivo di enunciazione neu-tra, una sorta di forma non figurativa, per rendere compiutamente lastruttura oratoriale e corale che la pervade. È dunque all’attore chespetta il ruolo di “aprire” il testo: «Oltre ad acconsentire di recitareun personaggio, egli gioca a fare l’attore, lo si vede costruire per noiil proprio jeu, situarsi in quanto enunciatore in rapporto a un testoche non scompare nella finzione»54. Quindi per Juste la fin du mondepiù che di mise en scene sarebbe più opportuno parlare di mise enjeu.

53 Denys Laboutière, Entretien avec Philippe Delaigue, in www.theatre-contemporain.net, gennaio 2002.54 Pavis, Sintesi prematura, ovvero: chiusura provvisoria per inventario di finesecolo, cit.

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Del resto, anche l’analisi di alcune importanti messinscenaconferma queste intuizioni. Joël Jouanneau nel 1999-2000 fu il re-gista di una fortunata edizione di Juste la fin du monde al Théâtre dela Colline di Parigi. Recensendo lo spettacolo, Jean-Pierre Bourcierscriveva:

Dans sa mise en scène, Jouanneau prend le parti de faireentendre le plus clairement et simplement possible ce texte, cephrasé si particulier de l’écriture de Lagarce […]. Rien de l’artifice[…]. L’écoute de la pièce est encore renforcée par la scénographieet le jeu de comédiens. Joël Jouanneau et son scénographe JacquesGabel installent cette journée de retrouvailles dans le plus simpledes décors: trois murs nus, un banc et un petit sac à dos posé dansun coin […]. Par un jeu de lumière sobre et efficace, on passe del’ intérieur à l’extérieur, du plein jour à la pénombre avec le plusgrand naturel55.

Interrogato sul valore della parola nel testo di Lagarce,Jouanneau ha dichiarato : «C’est pour moi très simplement une pièceoù c’est la langue qui construit les personnages et fait avancer l’action.L’ inverse fait du verbe un ustensile, et pourquoi pas, au service dupersonnage et d’une histoire qui lui préexistent […]. Et c’est la languequi va tout induire, dès le monologue d’exposition […]. C’est là lepoème»56.

Il già ricordato Philippe Delaigue sembra aver preferito untaglio diverso per la sua realizzazione scenica del 2002. Infatti, insi-stendo maggiormente sul valore metatetrale e autobiografico dellavicenda, ha cercato di sottolineare il rapporto feroce che s’ instauratra Louis e i suoi familiari, fino a giungere ad una sorta dicannibalismo dell’ intimità familiare57.

Bernard Lévy sottolinea la quasi maniacale ossessione per laperfezione del linguaggio lagarciano, una parola capace di trascen-dere formalmente e sostanzialmente la stessa vicenda, una scrittura

55 Jean-Pierre Burcier, Juste la fin du monde, «La Tribune», 23 novembre 2000, p. 18.56 Chauvet, Duchâtel, Juste la fin du monde. Entretien avec Joël Jouanneau, in Id.,Juste la fin du monde, Nous, les héros, Jean-Luc Lagarce, cit., p. 48.57 Cfr. Philippe Delaigue, Notes, programma di sala, Théâtre de la Fabrique diValence, 2002.

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esigente e precisa58. Anche Jean-Charles Mouveaux insiste sullapeculiarità di un testo autarchico che non necessita di grandi sforziscenografici, dal momento che il teatro di Lagarce si fonda sul par-ticolare ritmo del linguaggio che a seconda delle circostanze si fapiù rapido o più lento, permettendo allo spettatore di crearsi delleimmagini mentali della storia raccontata sulla scena59. RealizzandoJuste la fin du monde al Théâtre du Marais, nel 2005, questi ha riba-dito il valore metateatrale dell’ intera operazione, presentando Louisnelle vesti di un direttore artistico, impegnato nella messinscena dellapropria storia60.

Dal canto suo, un altro regista, Cédric Revollon, evidenziache il linguaggio di Lagarce è vicino a quello della quotidianità del-le mura domestiche, e che l’uso che l’autore fa di questa parola cosìdensa rende l’ insieme preciso e chiaro:

Mettre en scène le merveilleux de nos petites vies c’est icifouiller l’extraordinaire de notre quotidien au-delà des lieuxcommuns, par le rythme, le mouvement, le symbolique, et la languede Jean-Luc Lagarce […]. L’écriture […] est d’une précisiond’orfèvre, d’une clarté cristalline. Cependant, pour les personnages,ce qui est dit, même avec limpidité, ne reflète jamais véritablementla force de leur ressenti, et leur langage devient alorsparadoxalement un obstacle au partage de leurs sentiments et deleurs émotions, un emballage odieux pour un cadeau sublime61.

Ancora diversa la prospettiva interpretativa di FrançoisBerreur, che, ricollegandosi a una visione metateatrale in cui Justela fin du monde ci verrebbe raccontato da Louis quando ormai tuttoè compiuto, e proponendo una spettacolarità da varietà (e quindileggera e ironica): «Je pense que la structure de la pièce a à voiravec le music hall. Pour moi, c’est comme si toutes les scènes qui

58 Cfr. Bernard Lévy, Juste la fin du monde, programma di sala, La Coupole, Comb-la-Ville, 2003.59 Cfr. Jean-Charles Mouveaux, Notes, programma di sala, Théâtre du Marais, Pa-rigi, 2005.60 Cfr. Chauvet, Duchâtel, Trouver le bon cadrage. Entretien avec Jean-CharlesMouveaux, in Id., Juste la fin du monde, Nous, les héros, Jean-Luc Lagarce, cit., p. 24.61 Cédric Revollon, Juste la fin du monde, programma di sala, Théâtre de la Semeuse,Nizza, 2005.

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suivent le prologue étaient des numéros […]. Et les intermèdes sontfaits comme au music-hall. Je suis mort et puis, hop !, je reviens»62.Non a caso, si ricorderà, che Lagarce aveva dedicato al music halluna delle sue prime pièces63.

Juste la fin du monde è stata messa in scena anche dallaComédie-Française tra l’ottobre del 2009 e il gennaio del 2010. PerMuriel Mayette, amministratore generale della compagnia: «Justela fin du monde nous entraîne dans les méandres des liens familiaux[…]. J’ai proposé au metteur en scène Michel Raskine de tenterl’utilisation d’un langage scénique plus contemporain : le gros plan[…]. Il est essentiel de trouver chaque fois le lieu juste du langage»64.A sua volta, riferendosi al particolare linguaggio del testo e alle ri-cadute sull’allestimento scenico, il regista afferma: «La paroles’ inscrit dans un présent immédiat, la pensée arrive à la seconde oùle mot est dit, et les personnages réajustent à chaque instant la penséeet le mot […]. Nous travaillons sans relâche à réduire l’écart quisépare la personne qui joue du personnage qu’elle interprète»65.

In Italia, Juste la fin du monde, con il titolo Giusto la fine delmondo, è stata messa in scena da Luca Ronconi al Piccolo di Milanonel marzo del 2009. Il regista italiano raccontava le sue impressioniin un’ intervista:

62 Chauvet, Duchâtel, «Loin dans les méandres de la parole». Entretien avecFrançois Berreur, in Id., Juste la fin du monde, Nous, les héros, Jean-Luc Lagarce,cit., pp. 85.63 Cfr. Jean-Luc Lagarce, Music-hall, in Théâtre complet III, Besançon, Les SolitairesIntempestifs, 1999, p. 60. Questa commedia è andata in scena anche in Italia,nel’ambito del Napoli Teatro Festival Italia, nel giugno 2009. Recensendo lo spet-tacolo, Assunta Petrosillo scrive: «Music hall […] è una riflessione sul teatro esulla vita, e descrive la storia di una vedette e dei suoi due coristi che provano unospettacolo interpretato molte volte, ma di cui non ricordano i dettagli, in una salabuia presumibilmente vuota. I tre andranno alla ricerca delle scene dimenticate edelle loro identità perdute – in una spirale di ripetizioni senza senso – che nonritroveranno fino alla fine», Assunta Petrosillo, Uno spettacolo precario, inwww.drammaturgia.it/recensioni/recensione1.php?id=4092, giugno 2009.64 Muriel Mayette, Juste la fin du monde, la pièce « qui fait du chagrin », program-ma di sala, Salle Richielieu, 2009, p. 6.65 Michel Raskine, Juste la fin du monde, programma di sala, Salle Richielieu,2009, pp. 8-9.

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Sì, è un autore che sento vicino. Oltre alla lingua mi colpiscela delicatezza dei suoi lavori, l’umanità disarmata. In particolarequesta commedia che definirei la storia di un addio impossibile[…]. Storia di una reticenza […]. A cominciare dall’assenza d’amo-re. Si va dal sospetto della non corrispondenza amorosa […] alrifiuto dell’amore tout court, come quando il protagonista dice ase stesso che se le persone finiscono per lasciarlo perché è lui achiedere l’abbandono […]. Anche quando parla di morte, non c’èniente di funebre e lo fa in modo vitale, perché c’è una veritàprofonda dietro le sue parole66.

Riguardo alle difficoltà di trasferire sulla scena il profluvio diparole che scorre nel testo, il regista ha scelto un approccio attraver-so il quale la complessità verbale svelasse la semplicità dei senti-menti, che i personaggi sembrano incapaci di esprimere l’un l’al-tro67. Ronconi ha adottato un allestimento spartano, rinunciando «aglisplendori scenografici da artefice magico e opta per una messa inscena di essenziale semplicità un interno borghese con un paio dipoltrone e poc’altro»68. Tale decisione ha creato una sorta di spazio“altro” nel quale la vicenda sembra svolgersi (anche se in apparenzasiamo in un interno domestico). Per contro, l’ interpretazione degliattori risulta come ingabbiata in modalità distanti dalla quiete concui ci si immagina parlino i personaggi.

Ci sentiamo di concordare pienamente con quanto scrive, re-censendo lo spettacolo, Alessandro Santi:

Lo spettacolo di Luca Ronconi […] si concentra […] sullacomplessa struttura linguistica dilatando, fin troppo, il tempo del-la recitazione e portando così gli attori verso una retorica artifi-ciosa e analitica, allontanandoli da una certa naturalezza quotidia-na. Il regista immerge i cinque personaggi in uno spazio grigio,spoglio, desolato, anti-naturalistico […]. La divisione in scene chela pièce prevede è ben sottolineata da Ronconi oltreché da repen-

66 Anna Bandettini, “Porto a teatro la storia di un addio impossibile”, «La Repub-blica», 6 marzo 2009, p. 50.67 Cfr. Eleonora Vasta, Parole per sentimenti impossibili. Conversazione con LucaRonconi, programma di sala, Teatro Piccolo, 2009, p. 7.68 Sara Chiappori, Ronconi: “La lingua di Lagarce rivela l’abisso delle emozioni”,«La Repubblica», edizione di Milano, 28 marzo 2009, p. XIX.

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tini cambi di luce anche dall’uso di didascalie proiettate sulla par-te superiore della cornice scenica, questa frammentazione cosìevidente provoca una sorta di straniamento e una mancataimmedesimazione da parte dello spettatore69.

Juste la fine du monde è un’opera in cui il linguaggio, fondan-dosi su uno stile fatto di singhiozzi, balbettii, ripetizioni, lunghe in-cidentali, riesce a fornire il codice interpretativo dell’ intera opera-zione teatrale. Inoltre, conferendo un taglio quasi anti-naturalisticoe a tratti metateatrale alla vicenda, dà luogo a soluzioni scenograficheessenziali e spoglie, in cui il racconto di Louis può giungere allospettatore in tutte la sua dolente malinconia e in tutto il suo fascinopoetico.

69 Alessandro Santi, Recensione a Juste la fin du monde, in www.teatroteatro.it/scheda.asp?idscheda=2235, aprile 2009. Altra recensione interessante, ma non deltutto condivisibile è Franco Cordelli, Ronconi, misteri di famiglia, «Corriere dellaSera», 29 marzo 2009, p. 34.