Machiavelli e l'illusione diabolica del potere

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PUBBLICAZIONI DELL ’ISTITUTO SUOR ORSOLA BENINCASA LABORATORIO 54

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PUBBLICAZIONI DELL’ISTITUTO

SUOR ORSOLA BENINCASA

LABORATORIO54

Questa collana risponde all’esigenza di forniread un pubblico più vasto memoria del lavoro culturale e di ricerca

che ha luogo nell’Istituto Suor Orsola Benincasa

Università degli StudîSuor Orsola Benincasa

Giornate di studi«Illusione. Atti del primo Colloquio di Letteratura italiana»

Napoli, 7-9 ottobre 2004

ILLUSIONEATTI DEL PRIMO COLLOQUIO

DI LETTERATURA ITALIANA

A CURA DI

SILVIA ZOPPI GARAMPI

Copyright 2006 CUEN srl Napoli

Questo volume è stato stampato con il contributo del

1 B. CROCE, Logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza, 19477 (Ied. 1909), p. 24.

Ogni vocabolo porta seco, in misura maggiore o minore,l’appicco a equivoci perché si aggira in questo basso mondo,che è pieno di tranelli; e la ricerca di vocaboliche impediscano assolutamente gli equivoci,di quel fissamento dei significati che è il sospiro di molte anime candide,riesce affatto vana, perché bisognerebbe anzitutto tarpare le ali allo spirito umano,fermarlo nella sua opera incessante, progressiva e rivoluzionaria 1.

Nella piena coscienza dell’opportunità di questo scoraggianteammonimento crociano, il tentativo di lettura e comprensione dellemma «illusione» in Machiavelli apre vasti scenari ermeneutici,come campo dei possibili, come nuova chiave interpretativa di unodegli autori più noti e discussi di tutta la cultura mondiale, e forsecome fondamento teorico del passaggio stesso dall’uomo e scrittoreMachiavelli a quel complesso e variegato fenomeno plurisecolareche prende il nome di ‘machiavellismo’.

Purtroppo, necessaria premessa metodologica è che si tratta diun iter in absentia: il termine «illusione» specificamente non com-pare in nessuno scritto machiavelliano. A dispetto di quest’assenza,

MACHIAVELLIE L’ILLUSIONE DIABOLICA DEL POTERE

PAOLA VILLANI

però, Machiavelli insiste molto su questo stesso campo semantico:alla «illusione», per diversi aspetti e con diversi rinvii, in modo di-retto o indiretto, rimandano tutti gli scritti ed il pensiero stesso delSegretario.

Innanzitutto, l’atto stesso di scrivere di politica si riconnette aduna sua radice di «ambiguità», come insegna, tra i primi, il Ritternel noto volume sul Volto demoniaco del potere 2. Questa sferadell’«ambiguità» e dell’«incerto», nel quale si aggirerebbe qualsiasiteorizzazione del potere, e dunque qualsiasi trattato che se ne oc-cupi, viene celebrata a battesimo proprio nel Rinascimento, comeinizio dell’età moderna: il «politico» come sfera della sospensionedel giudizio etico, connaturata ambiguità di bene e male e dunqueterreno ingannevole, diabolico, appunto, secondo l’etimo greco (dia-ballo: inganno, scissione).

C’è dunque, fondato o meno, un tono satanico e demoniaconella figura e negli scritti di Machiavelli, un’anima oscura che sipresenta come chiave interpretativa di questo breve percorso incro-ciato tra il lemma «illusione», il suo vasto campo semantico, ed ilSegretario fiorentino. In fondo, quando Machiavelli dichiara diamare «la patria più dell’anima», sembra quasi proporre un pattofaustiano col diavolo, un baratto della sfera etica, e dunque dell’a-nima, in cambio della sfera politica. L’assioma di fondo, che mu-tiamo dal sia pur superato ma affascinante testo del Ritter, è che«demoniaco» non corrisponde alla negazione del Bene: «non è lasfera della totale oscurità che si contrappone alla piena luce, ma èquella mezza luce crepuscolare, dell’ambiguità, dell’incerto, di ciòche vi è di più profondamente sinistro» 3. La suggestione di Ritter siestende all’essere «posseduti da quella volontà senza di cui non haluogo nessuna grande creazione di potenza» 4; ma forse, almeno per

2 G. RITTER, Il volto demoniaco del potere, Bologna, Il Mulino, ed. it. 1997(I ed. 1958).

3 Ivi, p. 13. Cfr. anche D. MAZZÙ, Mythos e Logos. Due figure dello scisma,in Miti simboli e politica. L’immaginario e il potere, a c. di G.M. Chiodi, Torino,Giappichelli, 1992, pp. 217-223.

4 G. RITTER, Il volto demoniaco del potere, cit., p. 13. Il Ritter continua conuna presa di posizione estrema: «Il fatto che una costruzione politica non sia quasimai possibile senza grandi distruzioni di valori umano-morali, che la potenza cosìspesso sia contro il diritto, che nella volontà di potenza degli antagonisti politici

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Machiavelli, ci si potrebbe fermare alla prima definizione, senza ca-dere nella suggestiva immagine dell’invasamento del Segretario.Diabolon, quindi, come elemento gnosticamente necessario, o comealtro volto del divino, o ancora come elemento assimilabile all’al-chimistico principium individuationis, ossia condizione indispensa-bile al raggiungimento della completezza del divino stesso 5. Il dia-bolico, inoltre, è, insieme, anche il titanico e sprezzante rifiuto dellasocietà borghese laica, emblema del disordine interiore in una so-cietà senza dio eppure volutamente ordinata: è insomma ciò checonnota l’Altro nella società moderna, è il Nulla della società con-temporanea 6.

Questa immagine ‘demoniaca’ del pensatore politico non ècerto nata col Ritter, ma vanta secoli di studi critici su Machiavelliin tutta Europa, spesso nasce come derivazione, strada alternativa,rispetto alla critica ufficiale.

All’interno della sterminata bibliografia machiavelliana restaun punto di partenza di unanime accordo: ed è l’immagine di Ma-chiavelli come fondatore, o almeno alfiere, dell’età moderna, l’im-magine, suggerita da De Sanctis, di colui che respinse gli idealiascetici «di una civiltà al tramonto» 7. Nemico dei miti e fondatoredi una razionalità che non è fedele neppure all’imperante umane-simo, Machiavelli passa alla storia come fiero e forse donchisciot-tiano nemico della «illusione», sia pure sotto la veste di «immagi-nazione» o di «mito», politico o religioso che sia. Afferma un nuovoideale umano dinamico, senza pregiudizi, volto all’azione. Respinge

un’estrema abnegazione (al servizio, per esempio, di un’idea) si accompagni ne-cessariamente al più alto egoismo, se vuole avere successo: tutto questo appartienea quel demoniaco che è insito nel potere. […] Ciò che Machiavelli seppe vederedi demoniaco nel potere, acquista il significato di una scoperta realmente nuova, enon solo di fronte al medioevo. Anche l’antichità non ne ebbe piena cognizione»(ibidem).

5 Cfr. C.G. JUNG, Risposta a Giobbe, in Opere, Torino, Bollati Boringhieri,1992, vol. 11, p. 67 ss.; ID., Prefazione a Z. WERBLOWSKY, Lucifero e Prometeo,in C.G. JUNG, Opere, vol. 11, p. 300; ID., Il problema del quarto, in ID., Opere,vol. 11, pp. 182-183.

6 Cfr. C. BONVECCHIO, Immagine del politico. Saggi su simbolo e mito po-litico, Padova, Cedam, 1995, pp. 177-178. Cfr. anche J.P. SARTRE, L’essere e ilnulla, ed. it. Milano, Mondadori, 1958, pp. 115 ss.

7 F. DE SANCTIS, Saggi critici, Bari, Laterza, 1954 (I ed. 1869), vol. II, p. 315.Cfr. F. DE SANCTIS, Machiavelli, a cura di A. D’Orto, Atripalda, Mephite, 2003.

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i miti politici medievali, dissacra la virtù identificandola con la ca-pacità di servizio nella vita civile. Respinge ogni presenza provvi-denziale e vede nella storia il prodotto dell’agire umano nell’im-menso conflitto delle forze naturali. De Sanctis, forse per primo,loda questo atteggiamento disincantato e realistico, la chiarezza, l’ir-riverenza, l’ironia. La definizione è rinvenuta dal critico nella for-mula di «borghese» 8, inteso come esponente di una classe che neicommerci e nei traffici aveva acquistato una visione cosmopolita epoliedrica del mondo. Già Bacon, d’altronde, nel suo The Advance-ment of Learning, del Segretario fiorentino lodò la capacità di de-scrivere «ciò che gli uomini fanno e non ciò che dovrebbero fare»,quello stesso Bacon che, sulla scorta del Machiavelli, teorizzò il me-todo della «verità effettuale» 9.

Sicuramente il realismo politico non fu una prerogativa né unascoperta di Machiavelli: questo lo ha dimostrato già il Gilbert, stu-diando le idee politiche di Firenze quali emergono dalle Pratiche eConsulte nell’età di Savonarola e Soderini 10. D’altronde è l’autorestesso a definirsi figlio di una «città di parlare avida», ma «che lecose dai successi e non dai consigli giudica» 11; nutre il suo realismodell’avvedutezza spregiudicata degli uomini di cambi e mercature,si avvicina quindi ad ambienti culturali scientifici, della ricerca ri-gorosa e coerente, scettici del metafisico e del soprannaturale e ditutto quanto si discosti dalla verità empirica 12. «In principio era la

8 ID., Storia della letteratura italiana, a c. di B. Croce, Bari, Laterza, 1912,(I ed. 1870), p. 73.

9 Per un approfondimento del parallelo Machiavelli-Bacone in campo epi-stemologico cfr. N. ORSINI, Bacone e Machiavelli, Genova, Degli Orfini, 1936,pp. 36 ss.

10 F. GILBERT, Niccolò Machiavelli e la vita culturale del suo tempo, Bolo-gna, Il Mulino, 1972 (I ed. 1964), p. 106 ss.; G. SASSO, Niccolò Machiavelli, Bo-logna, Il Mulino, 1993, parte I, Il pensiero politico, pp. 431 ss.

11 N. MACHIAVELLI, Istorie fiorentine, VIII, 22, in ID., Tutte le opere, a c. diM. Martelli, Firenze, Sansoni, 1971, p. 833. Da ora, per semplicità, tutti i branimachiavelliani saranno citati da questa edizione indicando soltanto l’autore, il ti-tolo dell’opera ed il numero della pagina di questa edizione Sansoni.

12 Sul «realismo» si direbbe ‘scientifico’ machiavelliano insiste, tra l’altro,la nota analisi del Firpo. Cfr. L. FIRPO, Nel V centenario di Machiavelli, in Il pen-siero politico di Machiavelli e la sua fortuna nel mondo, Atti del convegno inter-nazionale (Sancasciano, 28-29 settembre 1969), Istituto Nazionale di Studi sul Ri-nascimento, Firenze, 1972, p. 4: «I suoi fratelli sono il Brunelleschi, il Leonardo,

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norma», commenta il Martelli mutuando il versetto giovanneo edapplicandolo al «buon geomètra di questo mondo» 13. La figura delSegretario fiorentino, dunque, viene progressivamente accostandosia quella di Tommaso Moro o Erasmo, i quali, proprio nel periododella composizione del Principe, venivano componendo il primoUtopia, e il secondo la Institutio principis christiani e la Querela pa-cis. Fino a giungere ad un Machiavelli «scienziato», seguendo l’ac-costamento a Galilei proposto già da Cassirer 14.

Questo discusso fondatore della politica moderna, però, siapure procedente con metodo non scientifico ma «storico-interpreta-tivo» – secondo alcuni mantenendo una forte impronta classica, tesanon tanto ad affermare l’autonomia della politica, quanto piuttosto arestaurare la classica scientia civilis 15 – è diventato ben presto unodegli autori più citati al mondo, da un lato come il diabolico di-struttore della morale 16, dall’altro però anche come pensatore re-pubblicano difensore della libertà, secondo un’interpretazione chetrova seguito anche nella tradizione repubblicana inglese, come at-testano, tra i primi, gli studi di John Pocock e Quentin Skinner 17.

gente che non appartiene alla casta degli uomini di lettere […]. Si tratta di unmondo laico, scettico, diffidente del metafisico e del soprannaturale, assetato dichiarezza concettuale, di conoscenza concreta».

13 M. MARTELLI, Il buon geomètra di questo mondo, Introduzione a N. MA-CHIAVELLI, Tutte le opere, cit., p. XI ss. L’espressione «buon geomètra» è utilizzatada Machiavelli stesso. Cfr. N. MACHIAVELLI, Decennale primo, p. 947: «E s’alcunda tal ordine s’arretra / per alcuna cagion, essere potrebbe/ di questo mondo nonbuon geomètra».

14 Cfr. E. CASSIRER, The Myth of the State, in «Fortune», XV, giugno 1944,p. 167 ss.

15 M. VIROLI, Niccolò Machiavelli, in Il pensiero politico. Idee, teorie, dot-trine, a c. di A. Andreatta, A.E. Baldini, C. Dolcini, G. Pasquino, 4 voll., Torino,UTET, 1999, vol. II, p. 2.

16 Spesso questa distruzione si affianca all’immagine di un Machiavelli teo-rico del potere forte, antidemocratico, ad un Machiavelli «monarchico». Su questoaspetto complesso della critica machiavelliana, cfr. G. FERRONI, Machiavelli odella contraddizione, in Machiavelli, o dell’incertezza. La politica come arte delrimedio, Roma, Donzelli, 2003, pp. 5-23.

17 Q. SKINNER (L’origine del pensiero politico moderno, I, Bologna, Il Mu-lino, 1989, pp. 230-244) ha messo in evidenza che il machiavelliano De Princi-patibus è una critica alle dottrine umanistiche del buon principe, quelle che si ispi-ravano al De Officiis ciceroniano. Cfr. anche J.G.A. POCOCK, Il momento machia-velliano: il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone,ed. it. Bologna, Il Mulino, 1980, 2 voll. Cfr. anche V. SULLIVAN, Machiavelli,

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Semplice difensore dello stato repubblicano oppure vero anti-cristo, si conviene comunque sulla sostanziale frattura o soluzionedi continuità tra Machiavelli e il pensiero politico classico e ancheumanistico 18.

Questa rottura ha assunto caratteristiche diaboliche già nel pe-riodo rinascimentale, nel quale si è andata formando l’immagine diun Machiavelli satanico distruttore dell’etica tradizionale. È questo,in fondo, il tratto principale e più ricorrente del ‘machiavellismo’.

[…] perché io credo che questo sarebbeil vero modo ad andare in Paradiso:inparare la via dello Inferno per fuggirla 19.

Nato dall’autore, e malgrado l’autore, il ‘machiavellismo’ dia-bolico è un suo figlio degenere, o almeno un erede spirituale che hacercato di compiere un freudiano ‘parricidio’, affrancandosi dal suopadre naturale e rivendicando esistenza autonoma all’interno dellarepubblica delle Lettere e del pensiero moderno di tutta Europa.

Quasi prevedendo quello che sarebbe avvenuto alla sua imma-gine di uomo e di scrittore, Machiavelli osservava la pericolositàdelle «sinistre opinioni» diffuse tra il «popolo» 20; quella «sinistraopinione» che in vita gli ha procurato la disgrazia politica, sarebbestata superata da una «sinistra opinione» che ha colpito Machiavelliletterato e trattatista dopo la sua morte, dando origine ad un ‘ma-chiavellismo’ dai mille risvolti, spesso contraddittori, ma per lo piùnegativi, tesi ad oscurare la personalità del genio e a dipingere

Hobbes, and the formation of a liberal republicanism in England, Cambridge Uni-versity Press, 2004.

18 È questa la tesi già di Delio Cantimori, che è tra i più strenui difensoridell’appartenenza di Machiavelli all’età che fu sua. Cfr. D. CANTIMORI, Retorica epolitica nell’Umanesimo italiano, in ID., Eretici italiani del Cinquecento, a cura diA. Prosperi, Torino, Einaudi, 1992, pp. 483-512.

19 N. MACHIAVELLI, Lettera a F. Guicciardini, 17 maggio 1521, p. 1203.20 Cfr. ID., Arte della guerra, IV, p. 354 [il corsivo è nostro]: «A persuadere

e a dissuadere a’ pochi una cosa è molto facile, perché, se non bastano le parole,tu vi puoi usare l’autorità e la forza; ma la difficultà è rimuovere da una moltitu-dine una sinistra opinione e che sia contraria o al bene comune o all’opinione tua;dove non si può usare se non le parole, le quali conviene che sieno udite da tutti,volendo persuadergli tutti. Per questo gli eccellenti capitani conveniva che fussonooratori, perché, senza sapere parlare a tutto l’esercito con difficultà si può operarecosa buona …».

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l’uomo e lo scrittore come disilluso e perverso ‘anticristo’, o mae-stro di corruzione politica ed etica in generale.

Nella vasta e affollatissima messe bibliografica sull’autore, giàmolto è stato scritto sulla spregiudicatezza o sulla irreligiosità delSegretario fiorentino. I diversi percorsi critici degli ultimi decennidi studi sono tesi talvolta a rivalutare l’immagine del Machiavelli,non senza incorrere nel pericolo di inseguire un dipinto di uomodalla forte moralità e dalla sentita religiosità che, ugualmente, nonrende giustizia all’autore 21. In questa sede, non si vuole ripercorrerequesto lungo e complesso itinerario critico, i cui risultati sono atutt’oggi non unanimi se non contraddittori; piuttosto si cerca di in-dividuare il fondamento di un’immagine nuova dell’autore, per darcorpo al Machiavelli come protagonista di un altro volto del Cin-quecento, quello tragico e non ortodosso. Era, forse, quello stesso fi-lone che alcuni, seguendo Haydn, individuano in un discusso «con-trorinascimento», fondante sulla sostanziale convinzione della in-congruenza tra idealità e realtà. Era il filone della «cultura dellacontraddizione», che talvolta scende in campo contro la «illusione»antropocentrica del rinascimento ‘ufficiale’ 22.

Si giunge, così, ad un nuovo senso di humanitas, si direbbe‘protestante’ perché insinua il dubbio, esprime ribellione rispettoalla serena e statica esaltazione dell’uomo magnum miraculum natanella modernità (umanista oltre che rinascimentale) italiana e nutri-tasi alla linfa della religione di Roma. Ne vien fuori un Machiavelli‘riformatore’, antipapale, anticuriale, ma mai completamente demo-niaco e mai completamente credente in Dio. Già De Sanctis ebbe

21 È questa la tesi portante del saggio di Sebastiano De Grazia. Cfr. S. DE

GRAZIA, Machiavelli all’Inferno, Roma-Bari, Laterza, 1990. Su queste linee inter-pretative si era già mosso Alderisio, che è giunto nel suo Machiavelli a sostenereuna religiosità specificamente cattolica dell’autore, conforme alle interpretazioniunilaterali dell’Umanesimo offerte dal noto volume di Toffanin. Cfr. F. ALDERISIO,Machiavelli: l’arte nello stato nell’azione e negli scritti, Torino, Bocca 1930; G.TOFFANIN, Che cosa fu l’Umanesimo?, Firenze, Sansoni, 1929; ID., Storia dell’U-manesimo, Napoli, Città di Castello, 1933.

22 Con il termine «controrinascimento» alcuni traducono il concetto di«Counter Renaissance» avanzato, per primo, da Hiram Haydn nel dopoguerra, edidentificato in un anticlassicismo per lo più legato alle arti visive. Cfr. H. HAYDN,The Counter-Renaissance, New York, 1950, p. 15 ss. Eugenio Battisti preferisceusare il termine di «antirinascimento». Cfr. E. BATTISTI, L’antirinascimento, Mi-lano, Feltrinelli, II ed. 1989 (I ed. 1962).

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modo di osservare, riguardo al Rinascimento italiano, che «il suoLutero fu Machiavelli» 23. Un Machiavelli, quindi, che, novelloFaust, sente la frattura tra sé e il mondo, e interpreta questa fratturacome Streben, spinta all’azione, nella tragicità della opposizionequasi manichea tra ‘bene’ e ‘male’ 24. Un’opposizione che egli in-terpreta – faustianamente – come dualismo tra il limite e la tensioneal superamento del limite stesso, ma che riesce anche a personaliz-zare in una separazione tra ‘ideale’ e ‘reale’, anticipando così legrandi acquisizioni dello storicismo moderno. Il Segretario supera dimolto l’intellettuale ‘laico’ rinascimentale, sia egli Leon Battista Al-berti del Libro della famiglia, Benvenuto Cellini dei Trattati o Bal-dassar Castiglione del Cortegiano. È piuttosto un titanico fondatoredella modernità tragica. Seguendo questo percorso, potrebbe avan-zarsi l’ipotesi che la demonizzazione del mito di Machiavelli, nataproprio nel tardo Cinquecento, possa accostarsi alla demonizzazionedella figura di Faust 25.

Machiavelli e Faust sono i personaggi, storici o mitici pocoimporta, nei quali l’individualismo non ortodosso festeggiava i suoipiù crudeli trionfi. Una strada singolare per la cultura italiana deltempo, per alcuni versi inedita rispetto all’età che fu sua. Questi

23 F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, cit., p. 416.24 Per l’accostamento Machiavelli-Faust si veda già M. DE CORTE, Fenome-

nologia dell’autodistruttore, tr. it. di R. Antonetto, Torino, Borla, 1967, p. 170:«L’uomo rinascimentale di cui Machiavelli analizza il comportamento è il primouomo faustiano: ‘Im Anfang war die Tat!’. […] Con straordinaria acutezza, Ma-chiavelli intuisce questo aspetto nuovo dell’uomo che nasce sotto i suoi occhi sullascena della storia; per questo, egli volge risolutamente la schiena ai filosofi del Ri-nascimento rimasti prigionieri del vecchio schema dell’universo, come Nicola Cu-sano e Campanella, e adotta la nuova visione della natura […]. Per Machiavelli,come per i suoi contemporanei consci dell’avvento dell’uomo nuovo, non c’è piùun universo armonioso, articolato nelle sue parti da Dio creatore e salvatore, maci sono da una parte gli uomini, e dall’altra un mondo che gli uomini possono im-punemente violare, purché siano abbastanza intelligenti e astuti. Per libertà, eglinon intende più, contrariamente al medioevo, la possibilità di fare il bene o il male,ma – vedi i Discorsi – il potere di dominare un mondo divenuto plastico e mal-leabile, banale e profano, e tale che la ragione vi scopre soltanto più materia per-cettibile con i sensi».

25 Sulla demonizzazione di Machiavelli, sull’accostamento Machiavelli-Faust e per una più dettagliata rassegna critico-bibliografica si rimanda ad un li-bro di chi scrive. Cfr. P. VILLANI, La tentazione del moderno. Percorsi critico-let-terari da Machiavelli a Croce, Napoli, La Città del Sole, 2004, capp. I e II.

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aspetti della complessa personalità machiavelliana hanno tenuto abattesimo la nascita del ‘machiavellismo’.

Se il Machiavelli storico ha una sua patria… – anagrafica ed’elezione – …in Firenze, il ‘mito’ di Machiavelli, intorno al qualespesso si riduce a gravitare il ‘machiavellismo’, può avere patria inInghilterra, dopo una breve gestazione francese. Sembra quasi chenell’Inghilterra elisabettiana, Faust e Machiavelli fossero segnati daun comune destino: la condanna alla dannazione e insieme l’eserci-zio di un arcano, irresistibile fascino 26.

Agli occhi degli zelanti della Riforma, in un impeto manicheodi lotta contro il male, Machiavelli, che era già inviso ai calvinistiperché generalmente considerato profeta del libertinismo 27, diventail simbolo dell’Anticristo: «Machiavelli è dunque un ateo, un dia-volo o un nipote del diavolo, un avvelenatore, un assassino, un per-fido, e il suo nome s’accoppia con quelli di sodomia, di tradimento,di menzogna, di seduzione, di crudeltà» 28. Avrà persino il potere dicambiare significato alla parola politics, che progressivamente pergli Inglesi diventa sinonimo non di scienza o attività della vita as-sociata nello Stato, come era per la cultura classica, ma dell’arte diingannare, dell’insegnamento e della pratica di astuzia e frode 29.

Nell’immaginario collettivo, la condanna del Segretario si as-sociava, nella cultura d’Oltralpe, a quella dell’Italia in genere. Ma-chiavelli diventava simbolo del popolo italiano. D’altronde, ancheuno dei più attenti conoscitori e interpreti della fortuna inglese diMachiavelli, Mario Praz, sottolinea che la condanna europea al Se-gretario si inseriva nella generale condanna al Rinascimento ita-liano: la leggenda nera di Machiavelli sorse all’epoca di Caterinade’ Medici, quasi a coronamento dell’italofobia alimentata dal go-verno della sovrana fiorentina e dalle guerre di religione che turba-

26 Ibidem.27 Cfr. G. MURESU, Chierico e libertino, in Letteratura italiana, a c. di A.

Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1986, vol. V, Le questioni, pp. 903-942.28 G. PREZZOLINI, Machiavelli anticristo, cit., p. 335.29 Sul significato del termine politics e sulla sua evoluzione legata all’etica

machiavelliana cfr. M. PRAZ, Machiavelli in Inghilterra ed altri saggi, Firenze,Sansoni, 1962 (I ed. 1942), pp. 89 ss.; ID., Machiavelli e gl’Inglesi dell’epoca eli-sabettiana, in ID., Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, a c. di A. Cane, Milano, Mon-dadori, 2003, p. 227 ss.

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vano quasi tutti i paesi d’Europa 30. Si trattava di una vera persecu-zione, rivolta non già al personaggio storico e autore, quanto al‘mito’ machiavelliano. Il mito era inteso come un indirizzo generaledi pensiero del quale il Segretario fiorentino era supposto essere al-l’origine, ma che successivamente aveva influenzato personalitàcosì diverse come il ‘politico’ Bodin e gli ugonotti Duplessis Mor-nay, La Noue e Bèze, fino alle correnti libertine, al ‘nicodemismo’di cui Machiavelli fu considerato fondamentale premessa 31.

Al politico fiorentino si associavano, in un rapporto quasi dicausalità, tutti i soprusi dei favoriti italiani al potere nell’Europa delCinquecento.

I vari temi di odio, nazionali e religiosi, sono rinvenuti dalPraz in un singolare libello scritto in inglese al principio del regnodi Enrico IV di Francia, probabilmente da un ugonotto francese 32.

30 M. PRAZ, Machiavelli e gl’inglesi …, cit., p. 220.31 A sottolineare che la condanna si estendeva più al Machiavellismo che

non a Machiavelli è stato anche R. DE MATTEI, Dal premachiavellismo all’anti-machiavellismo, Firenze, Sansoni, 1969, p. 239 ss. Sul tema, cfr. S. MASTELLONE,L’antimachiavellismo dell’«intransigente» Tommaso Bozio, in «Il pensiero poli-tico», 1969, pp. 488-490; ID., Tommasio Bozio, teorico dell’ordine, in «Il pensieropolitico», 1980, pp. 186-194.

32 Il titolo completo: A Discovery of the great subtiltie and wonderful wise-dome of the Italians, whereby they beare sway over the most part of Christendomeand cunninglie behave themselves to fetch the Quintescence out of the peoples pur-ses: Discoursing at large the meanes, howe they prosecute and continue the same:and last of all, convenient remedies to prevent all their pollicies herein (Scopri-mento della gran sottilità e mirabil sagacia degl’italiani, per le quali essi hannoil dominio sulla maggior parte della cristianità, e accortamente s’industriano dispremer la quintessenza dalle borse dei popoli: ove si discorre ampiamente de’mezzi da loro adoperati a perseguire e continuare la loro arte, e, finalmente, de’rimedi acconci a frustrarla), stampato da J. Wolfe, London 1591. Dedicato ad En-rico IV e firmato con le iniziali G.B.A.F., l’autore mostra di conoscere i Discorsidi Machiavelli. Il libello riprende Romolo e Numa Pompilio. Romolo, passato allastoria come fondatore omicida di Roma, viene considerato da Machiavelli il primoordinatore della futura potenza; Numa Pompilio, invece, viene considerato il fon-datore della religione romana. Cfr. N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 9, p. 90: «… dicoche molti per avventura giudicheranno di cattivo esemplo, che un fondatore d’unvivere civile, quale fu Romolo, abbia prima morto un suo fratello, dipoi consen-tito alla morte di Tito Tazio Sabino, eletto da lui compagno nel regno […]. Laquale opinione sarebbe vera, quando non si considerasse che fine lo avesse indottoa fare tal omicidio». Cfr. anche ID., Discorsi, I, 11, p. 93: «… giudicando i cieliche gli ordini di Romolo non bastassero a tanto imperio, inspirarono nel petto delSenato romano di eleggere Numa Pompilio per successore a Romolo […]. Il quale,

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Il tipo del machiavellico elisabettiano, però, avrebbe origineufficiale con la pubblicazione del noto testo Discours contre Ma-chiavel 33, scritto dall’ugonotto francese Innocent Gentillet, che fuedito in Latino nel 1572, ebbe una grande fortuna editoriale e cir-colò in diverse redazioni in tutta Europa (tra il 1576 e il 1655 se necontano ventiquattro in diverse lingue), arrivando naturalmente an-che Oltremanica. Contemporaneamente al Contre Machiavel diGentillet, intriso di echi machiavelliani sembra il Prince nécessairedi Jean de La Faille de Bondaroy, poema inedito che doveva essereofferto al futuro Enrico IV nel 1573 34. I Francesi, quindi, sembre-rebbero i patrioti dell’antimachiavellismo, un po’ per il loro spiritoantistorico ed un po’ per il loro nazionalismo anti-italiano. Eppurelo stesso Machiavelli anima in Francia la nascita di ragionamenti in-torno alla «Ragion di Stato» e alla «sovranità».

In effetti, il processo di ‘demonizzazione’ dell’autore e del-l’opera poteva dirsi compiuto già con il Cardinal Reginald Pole, au-tore del più citato e famoso fra tutti gli interventi antimachiavellicidel primo Cinquecento. Nel suo Epistolario, apparso postumo maredatto nel 1539, Machiavelli viene definito «nemico del genere uma-no» e soprattutto il Principe un libro «scritto col dito del diavolo» 35.

trovando uno popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con learti della pace, si volse alla religione, come cosa al tutto necessaria a volere man-tenere una civiltà; e la costituì in modo, che per più secoli non fu mai tanto timoredi Dio quanto in quella republica; il che facilitò qualunque impresa che il Senatoo quelli grandi uomini romani disegnassero fare».

33 Cfr. I. GENTILLET, Contra-Machiavel, edito in latino nel 1572, pubblicatonel 1602 (riedito a c. di P.D. Stewart e Antonio D’Andrea, Firenze, Casalini, 1974,da cui si cita). Su Gentillet cfr. P.D. STEWART, Innocent Gentillet e la sua polemicaantimachiavellica, Firenze, La Nuova Italia, 1969. L’opera fu tradotta in ingleseda Simon Patericke soltanto nel 1677. I riferimenti al diabolico Machiavelli deldrammaturgo inglese Christopher Marlowe, quindi, potrebbero derivare dalla let-tura della versione latina del saggio. A sostenere questa tesi è Praz (Machiavelli egl’Inglesi, cit., p. 222) sulla scorta del notissimo saggio del Meyer: E. MEYER, Ma-chiavelli and the Elizabethan Drama, New York, Franklin 1964, I ed. 1897). De-riva da Meyer lo studio di Clarence Valentine Boyer. Cfr. C.V. BOYER, The Villianas Hero in Elizabethan Tragedy, London 1914. Deriva pure dal Meyer le fonda-menta per la sua «fantastica» costruzione Wyndham Lewis. Cfr. W. LEWIS, TheLion and the Fox. The role of the Hero in the Plays of Shakespeare, London 1927.

34 G. PREZZOLINI, Machiavelli anticristo, cit., pp. 327 ss.35 Epistolarum Reginaldi Poli S.R.E. Cardinali set aliorum ad ipsum pars I

Machiavelli e l’illusione diabolica del potere 147

Tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta,già compaiono segni di condanna che precedono la pubblicazionenell’Indice, avvenuta ufficialmente soltanto nel 1557 36. La con-danna non coinvolgeva le opere, si direbbe, anzi più la persona chei suoi scritti 37. Di lì a poco, nel 1562, proprio il Muzio pose manoall’opera di pulitura dei Discorsi e dell’Arte della guerra.

Machiavelli compare quasi come novello Faust, venditore del-l’anima in nome del successo mondano, per sé e per il suo principe.Se, però, il Faust risponde ad una teologia dell’insicurezza radicalenel segno dell’incertezza e dell’imprevedibilità 38, dalla quale na-scerebbe la «scommessa» con Dio e la «teologia del gioco» 39, que-sta incertezza e imprevedibilità sono invece estranee alla Weltan-schauung di Machiavelli. Qui c’è poco posto per la imprevedibilità:dalla consapevolezza del limite l’accesso all’imprevedibilità ètutt’altro che scontato. Domina, anzi, un ferreo razionalismo che si

quae scripta, complectitur ab anno MDXX usque ad an. MDXXXVI, excudebatJoannes Maria Rizzardi, Brixiae, 1744, p. 137.

36 Il nome di Machiavelli, infatti, non figura né nell’Indice veneziano del1549 né in quelli milanese e veneziano del 1554. La fine degli indugi è segnatadall’avvento al soglio pontificio del Cardinal Carafa, Paolo IV. Cfr. G. PROCACCI,Machiavelli nella cultura dell’età moderna, Roma, Laterza, 1995, p. 98.

37 A confermare questa tesi è anche il Procacci, che cita una lettera inviatadall’ambasciatore fiorentino Giovanni Piccolini al Granduca nel dicembre 1596.La lettera è significativa dimostrazione che ormai il nome di Machiavelli, più delleopere, era segnato da infamia: «Conforme al comandamento di V.A. ho fatto offi-tio col cardinale Santaseverina [G.A. Santorio] perché quelli della famiglia Ma-chiavelli possino far ristampare l’opere del Machiavelli, ma S.S.Ill.ma m’ha ri-sposto, che se fussero dannate solamente l’opere di quell’autore, questo potrebbeforsi succedere, ma che essendo dannato insieme con l’opere il nome et la memo-ria di detto autore quest’è una cosa che non si concederà mai …» (ASF. Mediceo,3312, in G. PROCACCI, Machiavelli …, cit., pp. 113-114).

38 Spiega Neher: «Creando l’uomo libero, Dio ha introdotto nell’universoun fattore radicale di incertezza che nessuna Saggezza divina o divinatoria, chenessuna matematica e neppure nessuna preghiera possono né prevedere, né preve-nire, né integrare in un momento prestabilito: l’uomo libero è l’imprevedibile as-soluto, è il limite contro il quale vengono a urtarsi le forze direttrici del piano crea-tore …» (A. NEHER, Faust e Golem: realtà e mito del doktor Johannes Faustus edel Maharal di Praga, tr. it. di V. Lucattini Vogelmann, Firenze, Sansoni, 1989,p. 121).

39 Nei termini della teologia dell’ironia e del gioco si muoveva l’interpreta-zione del Faust da parte di Schelling, insistendo sulla definizione del Faust come«commedia». Cfr. F.W.J. SCHELLING, Filosofia dell’arte, a c. di A. Klein, Milano,Fabbri, 2001, pp. 352-354.

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fonda proprio sullo stesso presupposto di Faust: l’uomo peccatore,che in Machiavelli diventa l’uomo egoista, simulatore 40. Esiti di-versi, dunque, di considerazioni antropologiche in parte affini.

In questa immagine cupa dell’umano – nella necessaria infe-riorità dell’uomo rispetto a Dio – l’antropologia machiavellianasembra condurre ad una Sehnsucht tutta ‘protestante’. Non c’è certocoincidenza con le note dottrine luterane in merito alla natura lapsa,al servo arbitrio o alla giustificazione per fede; è vero, però, chel’individualismo luterano, che secondo alcuni diverrebbe martire nelmito faustiano, è sì l’individualismo della libertà, ma non quello dellibero arbitrio; non coincide pienamente con quello di marca rina-scimentale. Non è infatti un individualismo hybrico (che nei secolisuccessivi diventerà titanico e superomistico), piuttosto tragico, cheesalta il singolo solo per accentuare la necessità di un rapporto conDio senza intermediari, nell’affermazione della potenza del divino edella incommensurabilità tra immanente e trascendente. Il tutto,nella continua visione della vita, tipicamente luterana, come conti-nua lotta con Satana, che spesso, seguendo l’impeto riformista diquella prima metà del Cinquecento, si identificava nella corruzionedella Chiesa.

Il Segretario, in qualche modo, partecipa all’ansia di renovatioluterana, erasmiana e ‘protestante’ in genere. D’altronde, i suoiscritti spesso rivelano il tentativo di svelare la «illusione» dellaChiesa, il suo «illusorio» potere e ruolo all’interno della identità na-zionale italiana. Il potere temporale del pontefice era inteso comefonte e insieme espressione della corruzione stessa. Si trattava diuna questione innanzitutto tecnico-storiografica, ma quella que-stione non poteva non coinvolgere anche la sfera etica in modo piùvasto. D’altronde, l’interesse di Machiavelli per la religione si pre-senta già nel Libro I dei Discorsi 41. Poco dopo Machiavelli colloca

40 Ormai noto è il capitolo del Principe dedicato alla crudeltà, in cui l’au-tore espone la sua triste antropologia. Cfr. N. MACHIAVELLI, Principe, XVII, p.284: «Perché degli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, vo-lubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno: e men-tre fai loro bene, sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e’ figliuoli […]quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano».

41 Cfr. N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 11, p. 94: «E veramente mai fu alcunoordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio […]. Per-

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un gruppo di Discorsi dedicati alla religione romana, esaltando que-st’ultima nella precisa distinzione tra «religione» e «Chiesa»; il capi-tolo 12 infatti s’intitola «Di quanta importanza sia tenere conto dellareligione, e come la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesaromana, è rovinata». In molti punti, inoltre, la trattazione dello StatoPontificio e dei suoi reggitori sembra voler dichiaratamente confu-tare i toni trionfalistici che qualche anno prima Paolo Cortesi, amicocomune dei Soderini, aveva firmato nel suo De cardinalatu 42 e que-sta posizione l’autore manterrà anche nell’opera commissionata, inquelle Istorie fiorentine dedicate a Clemente VII 43.

Machiavelli, quindi, sembra rispondere alla posizione ‘antiro-mana’. Si aggiunga che la sua Weltanschauung è retta dalla neces-sità, in un meccanicismo di impronta lucreziana nella quale c’è unagrande costante: la malvagità dell’uomo. In questo il Segretario è ilvero incendiario: l’«illusione» sta dalla parte del Rinascimento, inquel trionfalistico inno all’uomo come creatura centrale dell’uni-verso. Questo, per Machiavelli, era «illusione». Dunque Machiavellicontro la «illusione» rinascimentale, contro il lusus di un uomo checelebra i suoi trionfi e del quale invece Machiavelli svela la tragicavanità.

È questa convinzione della natura corrotta dell’uomo che giu-stifica e dà senso al rifiuto dell’etica tradizionale, e fonda la tradi-zione di un Machiavelli spietato dissacratore, profeta di ferocia ecrudeltà. Tenendo fisso l’obiettivo ultimo del politico, che non è unordinamento repubblicano, ma uno stato ben governato, Machiavelligiunge a giustificare i mezzi con cui ottenere questo obiettivo. Silegge infatti nei Discorsi:

[…] la patria è bene difesa in qualunque modo la si difende,o con ignominia o con gloria: […] dove si delibera al tutto della sa-

ché dove manca il timore di Dio conviene o che quel regno rovini, o che sia so-stenuto dal timore di uno principe che sopperisca a’difetti della religione».

42 Sul frontespizio dell’edizione a stampa dell’opera compare la dicitura Decardinalatu ad Iulium Secondum pont. Max. per Paulum Cortesium, Castro Corte-sio, Symeon Nicolai Nardi alias Rufus calcographus imprimebat, 1510.

43 Cfr. N. MACHIAVELLI, Istorie fiorentine, I, p. 640: «Di modo che tutte leguerre che […] furono da’ barbari fatte in Italia furono in maggior parte dai pon-tefici causate; e tutti i barbari che quella inundorono furono il più delle volte daquegli chiamati. Il quale modo di procedere dura ancora in questi nostri tempi; ilche ha tenuto e tiene la Italia disunita e inferma».

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lute della patria, non vi debbe cadere alcuna considerazione né digiusto né d’ingiusto, né di piatoso né di crudele, né di laudabile néd’ignominioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tuttoquel partito che le salvi la vita e mantenghile la libertà 44.

In questo intento, innovatore e restauratore ad un tempo, lostudioso si sofferma spesso a delineare le linee programmatiche delsuo metodo: lo studioso di «cose di Stato», infatti, crede sia utile an-dare innanzitutto contro gli «errori» della mente, e dunque le suecreazioni, che sono «imaginazioni» o, diremmo, «illusioni», che eglicontrappone alla «verità effettuale». Espone, infatti, nel noto capi-tolo XV del Principe i termini chiave del suo pensiero:

Resta ora a vedere quali debbano essere e’ modi e governi diuno principe con i sudditi e con gli amici. […] Ma sendo l’intentomio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più convenienteandare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazionedi essa. E molti si sono imaginati republiche e principati che non sisono mai visti né conosciuti essere in vero; perché egli è tanto di-scosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che la-scia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare impara piut-tosto la ruina che la preservazione sua […] 45.

Sono qui, in nuce, i pilastri del pensiero machiavelliano. In-nanzitutto i criteri di discernimento sono l’«utile» e il «conve-niente», e dunque la «verità effettuale» contro la «imaginazione» 46,

44 ID., Discorsi, III, p. 249.45 ID., Principe, XV, p. 280.46 Per la definizione del termine si utilizza quella offerta dal Dizionario Uni-

versale UTET: «Particolare forma del pensiero, che non segue regole fisse né le-gami logici, ma si presenta come riduzione ed elaborazione libera del contenutosensibile, legata ad un determinato stato affettivo e, spesso, orientata intorno ad untema fisso». Nella psicologia aristotelica, l’immaginazione è la facoltà di produrreimmagini sensibili, fantavsmata, connessa ai sensi ma non limitata ad essi, di-stinta dall’intelletto e intesa come movimento (kinesis). A separare il concetto di«idea» da ogni rapporto con il mondo della «estensione» e dunque dall’evidenzaempirica, è stato, in genere, anche il rigorismo scientifico illuminista; si veda lavoce «idee» del Dizionario filosofico di Voltaire. Cfr. VOLTAIRE (FRANÇOIS-MARIE

AROUET), Dizionario filosofico, a c. di M. Bonfantini, Torino, Einaudi, 1969, p.244-245. Husserl, in Ideen, distingue nettamente immaginazione da fantasia, efonda sull’immaginazione creativa il concetto di genio. Cfr. E. HUSSERL, Idee per

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che egli intende appunto nella accezione di «errore dei sensi», edunque come sinonimo di «illusione». È interessante notare che perMachiavelli la «imaginazione» corrisponde sempre ad un’idealeaspettazione di positività, è il «dovere» secondo l’etica tradizionale,contrapposto alla lezione dei fatti («quello che si fa», contro quelloche «si doverrebbe fare»). Insiste nel distinguere tra «le cose […]imaginate» e «quelle che sono vere» 47, sulla distinzione dunque traoggetti della mente ed oggetti della realtà storica:

Lasciando, adunque, indrieto le cose circa uno principe ima-ginate, e discorrendo di quelle che sono vere, dico che gli uomini,quando se ne parla, e massime e’ principi, per essere posti più alti,sono notati in alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimoo laude 48.

***

[…] sarebbe laudabilissima cosa in uno principe trovarsi, ditutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone; ma per-ché le non si possono avere né interamente osservare, per le condi-zione umane che non lo consentono, gli è necessario essere tantoprudente che sappia fuggire l’infamia di quelli vizii che li torreb-bano lo stato, e da quelli che non gnene tolgano, guardarsi, se gli èpossibile; ma, non possendo, vi si può con meno respetto lasciareandare 49.

Nel suo linguaggio, il modo dell’indicativo si oppone netta-mente al modo condizionale del dovere: quello che si dovrebbe nonè quello che è necessario fare. C’è inoltre un’aspra nota polemica:«molti si sono imaginati…». Contro chi se la prende Machiavelli?Certamente, tra i suoi bersagli polemici è Platone politico, ma an-che gli umanisti, le cui posizioni sono considerate «idealistiche» 50.

una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, a c. di E. Filippini,vol. I, Introduzione generale alla fenomenologia pura, Einaudi, Torino 1976(1958), pp. 155 ss. Cfr. anche J.P. SARTRE, L’immaginazione: idee per una teoriadelle emozioni, a c. di A. Bonomi, Milano, Bompiani, 1972 (1936); ID., Immaginee coscienza; psicologia fenomenologica dell’immaginazione, Milano, I.S.U. Uni-versità Cattolica, 2003 (1940).

47 N. MACHIAVELLI, Principe, XV, p. 280.48 Ibidem.49 ID., Principe, XV, p. 280.50 Cfr. F. GILBERT, Il concetto umanistico di principe e «Il Principe» di Nic-

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Dunque, Machiavelli contro l’idealismo umanistico di marca stoico-platonica. Le posizioni umanistiche sul principe, infatti, dal Petrarcaal Pontano, continuano a consistere in una raffigurazione ‘ideale’, edunque illusoria perché lontana dalla realtà. L’orientamento reli-gioso della vita politica ha sì perduto, rispetto alla trattazione me-dievale, il suo predominio, e se per Egidio Colonna il compenso delbuon principe rientrava nella rosa di premi ultraterreni, per gli uma-nisti sarà dato dalla fama e da una posizione di rilievo tra i beati, se-condo l’insegnamento ciceroniano del Somnium Scipionis 51. Gliumanisti, quindi, introdussero una nuova argomentazione distantedalla teorica deduttiva medievale, ma «non uscirono dalla posizionetradizionale dell’etica, per la quale essa si fondava ed era costituitada proprietà innate ed ontologiche dell’essenza umana» 52. È veroche gli umanisti si rivolgevano a un principe reale – Petrarca a Fran-cesco da Carrara e Pontano al Duca di Calabria –, ma mancava an-cora una scienza o comunque un orientamento ideologico che co-

colò Machiavelli, in ID., Niccolò Machiavelli e la cultura del suo tempo, cit., pp.109-146. Cfr. anche U. DOTTI, Niccolò Machiavelli. La fenomenologia del potere,Milano, Feltrinelli, 1979, passim.

51 Tra i testi più citati dell’umanesimo ‘civile’ è il racconto che Cicerone in-serisce nel suo De republica, Scipione Africano Maggiore, l’eroico vincitore diAnnibale, che appare in sogno a Publio Cornelio Scipione Emiliano per rafforzarein lui il senso dello Stato: «per tutti coloro che hanno conservato, aiutato, ingran-dito la patria è assicurato in cielo un posto particolare, dove i beati si godono l’e-ternità; nulla infatti è più gradito a quel primo dio che governa tutto il mondo, al-meno di ciò che accade in terra, delle riunioni e dei sodalizi degli uomini associatinel diritto, i quali sono chiamati Stati; ed i loro governanti e conservatori, di quipartiti, qui ritornano» (M.T. CICERONE, De Republica, in Opere politiche e filoso-fiche, a c. Leonardo Ferrero, Torino, UTET, vol. I, p. 233).

52 U. DOTTI, Niccolò Machiavelli …, cit., p. 87. In effetti, però, già in Ci-cerone è introdotto il criterio della «circostanza» che può mutare il giusto in in-giusto. La «circostanza» può anche spingere a venire meno alla parola data. Cfr.M.T. CICERONE, I doveri, I, X, in Opere politiche e filosofiche, cit., vol. II, pp. 358-359: «Si verificano tuttavia spesso delle circostanze in cui, proprio ciò che sembradegno di un giusto e di chi chiamiamo un galantuomo, muta e si capovolge, comenel restituire un deposito, nel mantenere una promessa; e per quanto attiene allaveracità ed alla lealtà, talvolta è giustizia l’ometterlo e il non mantenerlo. […] Puòaccadere che mantenere una promessa od un patto diventi inutile o a colui al qualeè stato promesso o a chi ha promesso. […] Non si debbono dunque mantenerequelle promesse che siano inutili a coloro cui tu le abbia fatte, né osta al tuo do-vere che il dovere maggiore venga anteposto al minore allorché la promessa nuoc-cia più a te di quanto giovi a colui cui hai promesso qualcosa …».

Machiavelli e l’illusione diabolica del potere 153

minciasse a studiare i fenomeni della realtà come essi veramentesono. Soprattutto, non si credeva che questi fenomeni potessero di-rigere le azioni future. Machiavelli, invece, si fonda proprio sui fatti.Si veda Il Principe a proposito dell’essere amati o temuti; è unachiara polemica contro quanto affermato dal Petrarca e in generedall’umanesimo di marca ciceroniana 53: «Nasce da questo una di-sputa: s’egli è meglio essere amato che temuto, o e converso. Ri-spondesi che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché egli è dif-ficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto cheamato, quando si abbia a mancare dell’uno dei dua» 54. È così chela liviana «inhumana crudelitas» di Annibale 55 diventa virtù 56.

Dopo Aristotele ed Epicuro, bene e male non vengono deter-minati in astratto ma in riferimento alla prassi del volgo, secondo lamassima «nel mundo non è se non vulgo». Al mito del dover esseresi contrappone l’essere storico:

Cominciandomi, a dunque, alle prime soprascritte qualità,dico come sarebbe bene essere tenuto liberale: nondimanco la libe-ralità, usata in modo che tu sia tenuto, ti offende; perché se la si usavirtuosamente e come la si debbe usare, la non fia conosciuta, e nonti cascherà la infamia del suo contrario. E però, a volersi mantenereinfra gli uomini el nome del liberale, è necessario non lasciare in-drieto alcuna qualità di sontuosità; talmente che sempre uno prin-cipe così fatto consumerà in simili opere tutte le sue facultà, e sarànecessitato alla fine, se si vorrà mantenere el nome del liberale, gra-vare e’ populi estraordinariamente ad essere fiscale, e fare tuttequelle cose che si possano fare per avere danari. Il che comincerà afarlo odioso con sudditi, e poco stimare da nessuno […]. Uno prin-

53 Cfr. F. PETRARCA, Seniles, XIV, 1, in ID., Prose, a c. di G. Martellotti, P.G.Ricci, E. Bianchi ed E. Carrara, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954, p. 1128: «L’es-sere temuti si oppone tanto alla durata quanto alla sicurezza del regno mentre adambedue dà forza l’essere benvoluti …».

54 N. MACHIAVELLI, Principe, XVII, p. 282.55 Cfr. TITO LIVIO, Storie, Libri XXI-XXV, a cura di P. Ramondetti, Torino,

UTET, 1989, Libro XXI, 4, p. 64.56 Sulla crudeltà si era soffermato anche Cicerone. Nel De officiis (III, IX,

4, in ID., Opere politiche e filosofiche, cit., vol. II, p. 351): «… nulla di crudelepuò mai essere utile». Machiavelli, invece, distingue tra «crudeltà mal usate» e«bene usate» (N. MACHIAVELLI, Principe, VIII, p. 270).

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cipe, adunque, […] debbe, s’egli è prudente, non si curare del nomedel misero: perché col tempo sarà tenuto sempre più liberale, veg-gendo che con la sua parsimonia le sua intrate li bastano, può di-fendersi da chi li fa guerra, può fare imprese sanza gravare e’populi[…] 57.

Si giunge, così, ad un altro campo semantico della illusione inMachiavelli. Il nemico della «illusione» dell’uomo rinascimentalegiunge infatti a difendere un altro tipo di illusione: rifiuta la illu-sione antropologica, ma giustifica la illusione politica. È la illusionedel potere, appunto, o la «menzogna del potere» per mutuare un’e-spressione di Giulio Maria Chiodi 58, quella già adombrata o almenoconcepita in età classica nella Repubblica platonica 59, ma che in etàmoderna trova piena elaborazione (si pensi al Seicento e alla «si-mulazione» dell’Oracolo manuale di Gracián) e in Machiavelli as-sume connotati diabolici: è cioè l’inganno. Anche in questo si fondala demonizzazione di Machiavelli, non tanto nella spregiudicatezzaetica della sua vita, quanto piuttosto nell’aver semplicemente mo-strato la utilità della spregiudicatezza politica; la illusione del po-tere, l’inganno, la macchinazione diabolica del principe necessari afarlo rimanere tale e a giustificare se stesso ed il suo operato. È dun-que una illusione come «menzogna consapevole, necessaria a creareuno scompenso informativo tra detentore del potere e sudditi che ènecessario a conservare il potere stesso» 60.

57 N. MACHIAVELLI, Principe, XVI, pp. 280-281 [il corsivo è nostro].58 Cfr. G.M. CHIODI, La menzogna del potere. La struttura elementare del

potere nel sistema politico, Milano, Giuffrè, 1979.59 Platone riconosce ai filosofi-re il diritto, e talvolta la necessità pratica, di

mentire ai sudditi, e tale inganno è definito «nobile menzogna»: «Se c’è qualcunoche ha diritto di dire il falso, questi sono i governanti, per ingannare nemici o con-cittadini nell’interesse dello stato» (PLATONE, La Repubblica, 389 b, tr. it. di F. Sar-tori, Bari, Laterza, 1967.

60 G.M. CHIODI, La menzogna del potere …, cit., p. 76. Continua Chiodi:«Posto che la finzione ideologica stabilisca un sistema di comunicazione tra il de-tentore e i dominati, di questo sistema di comunicazione fa parte l’impossibilitàpiù radicale ed assoluta di comunicare ai dominati i messaggi nel contesto, nellaforma e nel grado di verità che essi posseggono all’interno dell’orizzonte del de-tentore del potere. E tra le condizioni di mantenimento della linea di dominio edella sua invalicabilità è da contemplare il possesso, da parte del soggetto o deisoggetti detentori, di elementi di conoscenza o qualità di conoscenza che non siano

Machiavelli e l’illusione diabolica del potere 155

Non a caso, fuori d’Italia il ‘machiavellismo’ veniva vistocome sinonimo della finzione, dell’inganno, ed accomunava Ma-chiavelli ai cattolici italiani.

È, appunto, la citata finzione ideologica del potere stesso, ilquale per sopravvivere deve vivere sulla finzione, su una immagineche sempre più si discosta dal mondo reale e avvicina lo spazio dellapolitica ad una scena teatrale 61. I precetti che Machiavelli lascia alsuo Principe sono appunto il ritratto di come il Principe non «deveessere» ma «deve mostrarsi», e dunque «illudere».

In alcuni passi machiavelliani «mostrarsi» è utilizzato come si-nonimo di ‘dimostrarsi’, dunque dimostrazione veridica della realtà:«nobilissimi scrittori […] se ne ingannarono, e mostrorono di co-gnoscere poco l’ambizione degli uomini» 62. Ma nel Principe spesso«mostrarsi» equivale ad «apparire in modo fallace»: ciò che appare,per Machiavelli, spesso inganna, ‘illude’ appunto:

[…] se si considera bene tutto, si trova qualche cosa che parràvirtù, e, seguendola, sarebbe la ruina sua; e qualcuna altra che parràvizio, e, seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo 63.

Si prospetta, quindi, la necessità di un occultamento del realeda parte del Principe, avanza la giustificazione razionale degli «ar-cana imperii» sui quali si sarebbe fondata la trattatistica politicadella «Ragion di Stato» tra Cinquecento e Seicento. Strettamentecollegato al ‘machiavellismo’, infatti, è la teorizzazione politicadella «Ragion di Stato», secondo un’espressione che, per primo, uti-lizzò Guicciardini nei Ricordi (a lungo inediti e conosciuti solo nel1576) nel 1523. In effetti, si trattava di una necessità «di dare unafisionomia presentabile al machiavellismo operante nella pratica macombattuto nei proclami teorici, di dare una legalità sovrana al

assolutamente trasmissibili ai dominati. Questa è un’altra regola del potere asso-lutamente inderogabile» (ibidem).

61 Per questo aspetto i precetti al Principe si accostano a quelli rivolti alcortigiano da Castiglione. Cfr. G. FERRONI, Sprezzatura e simulazione, in La cortee il «Cortegiano», I, La scena del testo, a c. di C. Ossola, Roma, Bulzoni, 1980,pp. 119-147.

62 N. MACHIAVELLI, Istorie fiorentine, Proemio, p. 618.63 ID., Principe, XV, p. 280. Cfr. L. VISSING, Machiavel et la politique de

l’apparence, Paris, Presses Universitaires, 1986.

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nuovo potere pratico con la formulazione dei suoi limiti» 64. Ancheil noto trattato Della ragion di Stato di Botero (edito a Venezia nel1589) dà una validità giuridica al potere politico e fissa una sua mi-sura: l’ubbidienza alla Chiesa della Controriforma. In effetti, se-guendo l’interpretazione di Reinhard, «Ragion di Stato» significa ra-zionalizzazione e legittimazione dei fenomeni politici di crescita os-servati da Machiavelli e da Guicciardini. Conformemente a essi ilgovernante è giustificato, addirittura obbligato, a porsi in caso di ne-cessità al di sopra del diritto e della morale nell’interesse della col-lettività politica 65. Del resto, all’inizio dell’età moderna, il potere indivenire dello Stato ascriveva espressamente a se stesso il diritto difar uccidere in caso di bisogno i sudditi e gli avversari senza unaprocedura giudiziaria ordinaria 66.

I fondamenti teorici di questo potere forte erano già nel me-dioevo: sin dal tardo medioevo le dottrine del diritto romano e ca-nonico sulla posizione del princeps e del papa erano state applicateanche al re, ivi compresa la prerogativa di disporre del diritto. NelRinascimento, all’interno della animata discussione sulla forma po-litica del Principato, che spesso trovava giustificazione grazie al co-

64 A. FONTANA e J.-L. FOURNEL, Piazza, Corte, Salotto, Caffè, in Letteraturaitaliana, a c. di A. Asor Rosa, cit., vol. V, Le questioni, p. 666.

65 Cfr. W. REINHARD, Il pensiero politico moderno, Bologna, Il Mulino,2000, p. 19. Si veda già F. MEINECKE, La idea di ragion di Stato nella storia mo-derna, ed. it. a c. di D. Scolari, Firenze, Sanosni, 1970 (I ed. 1942), pp. 119 ss.

66 Cfr. L. FIRPO, Il pensiero politico del rinascimento e della controriforma,Milano, Marzorati, 1966, pp. 416 ss. Spesso la teorizzazione della ragion di Statosi univa alla ricezione di Tacito, al ‘tacitismo’. In effetti il vero creatore di «Ra-gion di Stato», Giovanni Botero, appunto, utilizza Tacito per esporre le teorie diMachiavelli. Dopo che Giusto Lipsio presentò Tacito come pensatore politico, siaprì una schiera di tacitisti. In Italia il primo fu forse Scipione Ammirato, con isuoi Discorsi sopra Cornelio Tacito (1594), Bernardo Davanzati tradusse Tacito infiorentino. Più interessante Traiano Boccalini (1556-1613), con i suoi Ragguaglidi Parnaso (1612-1623), Boccalini descrive le leggi della politica, che sono in con-trasto con tutte le leggi e smaschera l’ipocrisia dei politici. Molti anni prima, nellalontana Polonia, Jan Ostroròg (1436-1501) nel suo Monumentum pro Reipublicaeordinatione (1475-77), insieme all’umanista italiano attivo in Polonia Filippo Cal-limaco Buonaccorsi, annunciava almeno il programma di una forte monarchia. Cfr.A.E. BALDINI, Ragion di Stato, Tacitismo, Machiavellismo e Antimachiavellismotra Italia ed Europa nell’età della Controriforma, Genova, Name 1999; G. TOF-FANIN, Machiavelli e il tacitismo: la politica storica al tempo della controriforma,Napoli, Guida, II ed. 1972 (I ed. 1921).

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siddetto ‘tacitismo’, si individuava la capacità di ‘finzione’ comeprerogativa necessaria, prerogativa che spesso fondava la criticastessa al principato da parte dei difensori degli ideali repubblicani 67.

Il Botero inaugura una messe sterminata di testi sulla «Ragiondi Stato» che si chiuderà solo alla fine della prima metà del Sei-cento. Si tratta di una delle ultime grandi dottrine politiche elaboratein Italia, capace di estendere la propria egemonia su tutta l’Europa,una vasta corrente intellettuale unificata ai suoi esordi dalla volontàdi mediare tra due istanze insopprimibili dell’età barocca: che la po-litica non abbandoni il riferimento ai princìpi religiosi, ma anche cheda questo legame con la religione non tragga motivi di debolezza,ma anzi di forza ed efficacia pratica, sapendo unire l’interesse conl’onestà, il successo con la giustizia. Per Botero la virtù del Principeè la «prudenza politica». La «Ragion di Stato» definisce se stessacome «conoscenza», come «dritta regola», come una «contravven-zione alle ragioni ordinarie in vista del Pubblico Bene», miraall’«interesse» dello Stato 68.

La parabola di studi sulla «Ragion di Stato», attraverso autoricome Ludovico Zuccolo o Ludovico Settala, può considerarsi con-clusa con Scipione Chiaramonti. Nel suo Della ragion di stato 69, del1635, viene finalmente distinta una «ratio status» ordinaria ed unastraordinaria. Non si mette in discussione la legittimità di un potereassoluto, è la definitiva ammissione, da parte dei governati, dellaloro estromissione dallo spazio dei governanti. Si comprende che al-tro è la «politica vera e buona» altro è la «politica mascherata» 70.

Con Chiaramonti gli scritti sulla «Ragion di Stato» si esauri-scono perché sembrano prevalere gli «arcana imperii», o meglio la

67 Già Savonarola, infatti, individuava gli «arcana imperii» come condi-zione necessaria al tiranno per l’esercizio del suo potere. Cfr. G. SAVONAROLA,Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, a c. di L. Firpo, To-rino, Bottega d’Erasmo, 1963, pp. 114 ss.

68 Cfr. G. BOTERO, Della Ragion di Stato, a c. di C. Morandi, Bologna, Cap-pelli, 1930, pp. 9 ss. Simili convinzioni Botero esprime anche in altre sue opere:Delle cause della grandezza e magnificenza delle città (1588) e Relazioni Univer-sali (1590). Cfr. Botero e la ragion di Stato, Atti del Convegno in onore di LuigiFirpo (8-10 marzo 1990), a c. di A.E. Baldini, Firenze, Olschki, 1992.

69 S. CHIARAMONTI, Della Ragion di Stato, Venezia, 1635.70 Ibidem, p. 408.

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asimettria informativa tra governanti e governati 71: la «illusione»del potere appunto.

Machiavelli inaugura questa corrente di teorizzazione della«Ragion di Stato» e la fonda appunto sulla necessità del Principe dinon svelarsi, di «parere» come apparire in modo fallace o ‘illusorio’,cioè distante dal vero. Dopo aver elencato tutte le caratteristiche cheper il principe «è necessario» avere, infatti, il Segretario spiega:

Alessandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad altro, cheingannare gli uomini: e sempre trovò subietto da poterlo fare. E nonfu mai uomo che avessi maggiore efficacia in asseverare, e conmaggiori giuramenti affermassi una cosa, che la osservassi meno:nondimeno sempre li succederono gli inganni ad votum, perché co-nosceva bene questa parte del mondo.

A uno principe, adunque, non è necessario avere in fatto tuttele soprascritte qualità, ma è bene necessario parere di averle. Anziardirò di dire questo, che, avendole e osservandole sempre, sonodannose; e parendo di averle, sono utili; come parere pietoso, fe-dele, umano, intero, religioso, ed essere; ma stare in modo edificatocon l’animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare elcontrario […]. E però bisogna che egli abbia uno animo disposto avolgersi secondo ch’e’ venti della fortuna e le variazioni delle coseli comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo,ma sapere intrare nel male, necessitato. […] E gli uomini, in uni-versali, iudicano più agli occhi che alle mani; perché tocca a vederea ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochisentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscano opporsi allaopinione di molti che abbino la maestà dello stato che li defenda; enelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ principi, dove non èiudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno prin-cipe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi saranno sempre iudi-cati onorevoli e da ciascuno laudati 72.

71 Cfr. A. FONTANA e J.L. FOURNEL, Piazza, Corte, Salotto, Caffè, cit., p.666: «Gli arcana imperii non sono solo una necessità tecnica, ma fondano unanuova società politica, nella quale, in un circolo vizioso, il monopolio del poteretrova sia la sua origine sia la sua legittimazione nel sottrarre informazioni al sud-dito. La discorsività originale che sarebbe potuta essere la trattatistica della ragiondi stato si esaurisce dopo l’opera del Chiaramonti. Cortina di fumo tra ministri esudditi la ratio status, valvola di sfogo degli intellettuali della Controriforma, nonpuò raccontare il governare e l’ammaestrare della corte di decisione».

72 N. MACHIAVELLI, Principe, XVIII, pp. 283-284 [il corsivo è nostro].

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C’è, infine, un altro risvolto di questo intricato, quanto affa-scinante, rapporto tra Machiavelli e la «illusione». Questo studiosodi «cose di Stato», infatti, profonde grande energia nel dipingere af-freschi di vita civile che ancora non riesce a vedere realizzabili neitempi suoi. Le sue «verità» sono per lo più difficili da raggiungersi.Sembra quindi di intravedere non semplicemente un’anti-utopia, maanzi una strana assonanza con la letteratura utopica che proprio inquegli anni stava per essere tenuta a battesimo dall’umanista ingleseMore nella sua Utopia. Il precettore del perfetto Principe e delloStato repubblicano perfetto stava cedendo all’utopista, come haavuto modo di osservare già Gramsci nell’accostamento del libro«vivente» del Principe al pensiero utopico 73. Si affaccia quindi, pro-prio nell’antidealista per eccellenza, un mal celato sostenitore di una«illusione» politica e cioè l’illusione di uno ‘Stato senza illusioni’ esenza errori di immaginazione. In fondo, il filone dell’utopia po-trebbe intendersi come momento precedente – o forse successivo –rispetto alla illusione; l’insieme di rappresentazioni non rispondentialla realtà, perché migliori o ideali, frutto della mente, precede (oforse succede come elaborazione volontaria) rispetto alla fase di di-svelamento del vero e dunque disvelamento della «illusione» inquanto tale. In questa prospettiva, il profeta della «verità effettuale»è nemico dell’una come dell’altra, dell’utopia come della illusione.Non in modo assoluto, però.

Difficile qui ripercorrere il lungo cammino critico ermeneuticodella utopia. Se però lo si intende come «progetto della ragione,espresso nelle forme fantastiche del romanzo o in quelle argomen-tate del trattato oppure in quelle sistematiche del codice, […] orien-tato all’azione» 74, allora si comprende la vicinanza della trattatisticamachiavelliana a quella dell’utopia. Il Segretario fiorentino, infatti,non si ferma alla mera constatazione della falsità dell’illusione, nonsi fa solo leopardiano profeta del vero e del disvelamento dell’illu-sione. Il suo progetto è più ambizioso, perché a quella idealità chenon ha luogo oppone una verità effettuale che neppure ha mai avuto

73 Cfr. A. GRAMSCI, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato mo-derno, Torino, Einaudi 1949, pp. 3-4.

74 A. ANDREATTA, Il pensiero utopico in età moderna, in Il pensiero politico.Idee, teorie, dottrine, cit., p. 21.

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realizzazione se non, ma solo in parte, nel mondo antico. Il fattostesso di proporre un trattato, il fatto stesso di farsi precettore indicache si crede in una illusione, si crede nella realizzabilità della pro-pria «illusione», al contrario di quanto farà, di lì a poco, il vero ‘ci-nico’ e relativista del Cinquecento, Francesco Guicciardini. In que-sto senso, Machiavelli non può essere ascritto al filone dell’utopiainteso in senso marcusiano (quella che prevede come requisito fon-damentale della utopia la sua impossibilità a realizzarsi) 75, ma piut-tosto sarebbe un utopista secondo la definizione del Maffey che, neldistinguere la utopia dagli utopisti, definisce questi ultimi solo co-loro che credono che «il migliore dei mondi […] sia possibile o ad-dirittura certo» 76. Contro un’accezione ristretta dell’utopia, chevede nella contraddizione una condizione necessaria, Andreatta pro-pone una definizione ben più ampia, che sembra potersi adattare alpensiero politico machiavelliano: «Sembra di poter dire che il pen-sare politica in modo utopico esprima, in ogni caso, il disagio di chiscrive rispetto all’ordine sociale in cui si trova immerso, e che con-tenga la sua protesta contro di esso. Disagio e protesta si sviluppano,per lo più, secondo il modulo seguente: l’utopista mette a nudo glipesudo-valori su cui l’ordine sociale che ha di mira si fonda e neesplora gli effetti perversi che ricadono sui consociati; egli oppone,quindi, a quegli pseudo-valori i valori da lui ritenuti giusti; massi-mizza tendenzialmente il contenuto di ciascuno di questi; analizzaed esibisce gli effetti benefici che dalla loro realizzazione ricadonosui consociati» 77. Ora attenzione: considerando che per Machiavellila scala di valori e pseudovalori non si fonda sull’etica tradizionale,

75 Cfr. H. MARCUSE, La fine dell’utopia, Bari, Laterza, 1968, p. 11.76 A. MAFFEY, L’utopia della ragione, Napoli, Bibliopolis, 1987, p. 17.

L’ambiguità è già insita nel termine: è noto che il prefisso «u» è inteso sia comenegazione (nessun-luogo) che come contrazione di «eu» (ottimo-luogo). Ma forseè proprio quest’ambiguità che va salvaguardata, come contraddizione che deter-mina il carattere dell’utopia, insieme «ottimo-luogo in nessun luogo» (A. AN-DREATTA, Il pensiero utopico in età moderna, cit., p. 23). Sulla «contraddizione»intesa come condizione necessaria per l’utopia insiste anche Marcuse. Cfr. H.MARCUSE, La fine dell’utopia, cit., p. 11: «Io credo che si possa parlare di utopia[…] quando un progetto di trasformazione sociale si trova in contraddizione conleggi scientifiche realmente determinate e determinabili. In senso stretto solo iprogetti di questo genere sono utopistici».

77 A. ANDREATTA, Il pensiero utopico in età moderna, cit., p. 23.

Machiavelli e l’illusione diabolica del potere 161

né tanto meno sulla religione rivelata, allora Machiavelli, secondoquesta definizione, è scrittore utopico, o almeno al confine tra Uto-pia e Mito.

Il suo inseguire la «verità effettuale» finisce col costruire unarealtà alternativa, un altro dover essere che, però, risulta anch’essofondato proprio su una, affascinante quanto diabolica, «illusione».

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