Lo specchio. Lacan e il Barocco

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FABRIZIO PALOMBI Lo specchio. Lacan e il Barocco Avrà certamente ricevuto anche lei il grosso volume di Lacan (Écrits). Adesso non ho tempo di leggerne il testo, palesemente barocco. Apprendo, però, che esso suscita a Parigi analogo scalpore di quello suscitato a suo tempo da L’être et le néant di Sartre. MARTIN HEIDEGGER 1 Il brano di questa lettera inviata dal filosofo tedesco allo psichiatra Medard Boss (1903–1990) sul finire del 1966 illumina la posizione occupata da Jacques Lacan (1901–1981) nella cultura europea del dopoguerra: uno snodo teorico nel quale confluiscono e si con- fondono importanti correnti di pensiero filosofiche, artistiche e scien- tifiche. Il passo è dominato da un’intenzione malevola che qualifica lo stile dello psicoanalista con l’aggettivo barocco usato in senso spregiativo come si può facilmente evincere dai lemmi di qualsiasi dizionario tedesco, francese o italiano nei quali viene presentato, non solo come espressione di un’epoca o uno stile, ma anche come sinonimo del cattivo gusto, ampolloso e contorto 2 . Se prescindiamo da questa ostilità crediamo che Heidegger colga inconsapevolmente e sintomalmente 3 un elemento essenziale del sistema di pensiero lacaniano e anticipi i suoi successivi sviluppi 4 . 1 HEIDEGGER (1987), lettera del 4 dicembre 1966, p. 392, nostro corsivo, nel quale si cita SARTRE (1943). Nello stesso epistolario il filosofo tedesco riferendosi a Lacan si spinge ad affermare: «sembra che lo psichiatra abbia bisogno di uno psichiatra» (HEIDEGGER, 1987, p. 394). In proposito cfr. ROUDINESCO (1993), p. 250 e 494 n. 28, WEBER (1991), p. 52 e GRANEL (1991), p. 224. 2 GABRIELLI (1981), p. 89 e MACCHI (1975), parte II, p. 63. Per altro segnaliamo che esiste almeno un’occorrenza di questa accezione dell’aggettivo “barocco” in Lacan. Egli, riferendosi alla psicologia dell’Io di Kris e Loewenstein e alla psichiatria fenomenologica di Jaspers si chiede che cosa abbia «a che fare questa concezione barocca con la psicoanalisi» (LACAN, 1958–1961, p. 647). 3 Cfr. ALTHUSSER, BALIBAR (1965), pp. 28–29 ed ECO (1964–1980), p. V. 4 Lo psicoanalista francese analizza la categoria di Barocco nel suo ventesimo seminario tenuto tra il 1972 e il 1973: cfr. LACAN (1975 b ). Il presente contributo non considera questo testo, frutto maturo dell’ultima fase della riflessione di Lacan, per esaminare retrospettivamente l’influenza del Barocco sulla genesi del suo pensiero. Bollettino Filosofico 22 (2006): 89-111 89 ISBN 978-88-548-1040-2 ISSN 1593-7178-00022 DOI 10.4399/97888548104025

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FABRIZIO PALOMBI

Lo specchio. Lacan e il Barocco

Avrà certamente ricevuto anche lei il grosso volume di Lacan (Écrits). Adesso non ho tempo di leggerne il testo, palesemente barocco. Apprendo, però, che esso

suscita a Parigi analogo scalpore di quello suscitato a suo tempo da L’être et le néant di Sartre.

MARTIN HEIDEGGER1

Il brano di questa lettera inviata dal filosofo tedesco allo psichiatra

Medard Boss (1903–1990) sul finire del 1966 illumina la posizione occupata da Jacques Lacan (1901–1981) nella cultura europea del dopoguerra: uno snodo teorico nel quale confluiscono e si con-fondono importanti correnti di pensiero filosofiche, artistiche e scien-tifiche.

Il passo è dominato da un’intenzione malevola che qualifica lo stile dello psicoanalista con l’aggettivo barocco usato in senso spregiativo come si può facilmente evincere dai lemmi di qualsiasi dizionario tedesco, francese o italiano nei quali viene presentato, non solo come espressione di un’epoca o uno stile, ma anche come sinonimo del cattivo gusto, ampolloso e contorto2.

Se prescindiamo da questa ostilità crediamo che Heidegger colga inconsapevolmente e sintomalmente3 un elemento essenziale del sistema di pensiero lacaniano e anticipi i suoi successivi sviluppi4.

1 HEIDEGGER (1987), lettera del 4 dicembre 1966, p. 392, nostro corsivo, nel quale si cita SARTRE (1943). Nello stesso epistolario il filosofo tedesco riferendosi a Lacan si spinge ad affermare: «sembra che lo psichiatra abbia bisogno di uno psichiatra» (HEIDEGGER, 1987, p. 394). In proposito cfr. ROUDINESCO (1993), p. 250 e 494 n. 28, WEBER (1991), p. 52 e GRANEL (1991), p. 224.

2 GABRIELLI (1981), p. 89 e MACCHI (1975), parte II, p. 63. Per altro segnaliamo che esiste almeno un’occorrenza di questa accezione dell’aggettivo “barocco” in Lacan. Egli, riferendosi alla psicologia dell’Io di Kris e Loewenstein e alla psichiatria fenomenologica di Jaspers si chiede che cosa abbia «a che fare questa concezione barocca con la psicoanalisi» (LACAN, 1958–1961, p. 647).

3 Cfr. ALTHUSSER, BALIBAR (1965), pp. 28–29 ed ECO (1964–1980), p. V. 4 Lo psicoanalista francese analizza la categoria di Barocco nel suo ventesimo

seminario tenuto tra il 1972 e il 1973: cfr. LACAN (1975b). Il presente contributo non considera questo testo, frutto maturo dell’ultima fase della riflessione di Lacan, per esaminare retrospettivamente l’influenza del Barocco sulla genesi del suo pensiero.

Bollettino Filosofico 22 (2006): 89-111 89 ISBN 978-88-548-1040-2ISSN 1593-7178-00022DOI 10.4399/97888548104025

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Per questo proveremo a usare il concetto di Barocco5 come chiave in-terpretativa per comprendere il senso e lo stile delle teorie dello psicoanalista francese, indissolubilmente intrecciati. Il filosofo te-desco non è stato né il primo né l’ultimo a stigmatizzare l’oscurità di Lacan ma noi intendiamo usare questo aneddoto come la cifra di una riflessione di carattere teoretico e genealogico sul testo lacaniano.

1. Il concetto di Barocco L’etimologia incrocia due origini della parola “baroco”: la prima è

un termine portoghese che significa perla, usato per indicarne un tipo irregolare e scabro6, la seconda è una formula artificiale con la quale la logica scolastica classificava, anche mnemonicamente, i sillogismi. Pietro Ispano (1205 ca.–1277) nel suo Summulae logicales7 lo usa per illustrare come, attraverso la successione delle singole lettere che lo compongono, sia possibile ricostruire la figura e il modo del sillogi-smo considerato8.

Questa etimologia deve essere filtrata teoreticamente dai nostri interessi e giustificata alla luce del nostro campo di ricerca in quanto «le perle irregolari esistono, ma il Barocco non ha nessuna ragione di esistere senza un concetto che detti questa stessa ragione»9. Prima di giustificare la nostra preferenza teorica10 per la seconda origine ri-cordiamo che, nell’ambito della storia dell’arte, il termine iniziò a essere usato nel secolo XVIII, con riferimento esclusivo «a quelle manifestazioni […] che all’estetica classicheggiante […] apparivano eccessive, confuse, bizzarre»11. Il Barocco viene respinto per la sua irregolarità individuata soprattutto nell’illuminazione considerata

5 Abbiamo tentato d’inseguire Lacan attraverso eterogenei territori del sapere

filosofico, artistico e scientifico grazie all’aiuto di numerosi studiosi, che segnalere-mo di volta in volta. Sin d’ora vogliamo ringraziare Maria Teresa Maiocchi per aver-ci indicato le coordinate teoriche fondamentali del Barocco nell’opera dello psicoa-nalista francese, senza le quali questa ricerca non sarebbe stata possibile.

6 DEVOTO, OLI (1967), p. 288. 7 Si tratta di un testo scritto intorno al 1230. 8 MIGLIORINI (1962), p. 40. 9 DELEUZE (1988), p. 56. In proposito ringraziamo Romeo Bufalo per le sue

preziose indicazioni bibliografiche sul Barocco. 10 Si tratta ovviamente di una scelta teorica non di una dimostrazione di ordine

storico o etimologico. 11 HAUSER (1953), vol. I, p. 458.

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«artificiosa»12 che contribuisce a dissolvere l’ideale simmetria dell’arte13. In particolare Hauser evidenzia una sorta di squilibrio delle opere barocche nelle quali l’accentuarsi di «una parte della composizione» a discapito delle altre conduce l’occhio ad av-venturarsi in prospettive «fortuite» ed «effimere» invece di incontrare «vedute schiette di fronte e di profilo»14.

Lo squilibrio e l’asimmetria barocche sono particolarmente evidenti nelle opere realizzate sulla base dei principi dell’anamorfosi, neologismo seicentesco creato dalla combinazione dei termini greci ana (all’indietro, ritorno verso) e morphé (forma)15. Secondo Jurgis Baltrušaitis (1903–1988), uno dei più accreditati studiosi del feno-meno, tale parola si riferisce a realizzazioni artistiche fondate sulla cosiddetta prospettiva accelerata o rallentata. Esse, note da tempo, in questo secolo conoscono un processo di sistematizzazione geometrica che fornisce «dimostrazioni esaurienti» e sviluppa i loro «rapporti con le altre attività speculative»16. Si tratta di uno spunto estremamente importante sul quale invitiamo, sin d’ora, il lettore a soffermarsi poiché permetterà di comprendere la relazione tra anamorfosi e testualità barocca.

Questo artificio inverte i principi della prospettiva proiettando «le forme fuor di se stesse invece di ridurle ai loro limiti visibili, e le disgrega perché si ricompongano in un secondo tempo, quando siano viste da un punto determinato»17. Per i nostri scopi è importante se-gnalare che il suo sviluppo è coevo a quello della geometria proiettiva desarguesiana18 e che tra il 1615 e il 1625 viene introdotto in queste realizzazioni lo specchio e lo studio della sua ottica geometrica19.

Secondo Deleuze il Barocco «non connota un’essenza, ma una

12 Ivi, pp. 458–459. 13 Ivi, p. 461. 14 Ibidem. 15 BALTRUŠAITIS (1955–1984), p. 13. Ringraziamo Alessandra Anselmi e Stefano

Antonelli per l’aiuto nella ricerca bibliografica sull’anamorfosi e sul rapporto tra poesia e pittura nel Barocco.

16 Ibidem. La prima occorrenza del termine attestata si trova nella prima edizione (1657) di un testo del gesuita Gaspar Schott (1608–1666). Cfr. SCHOTT (1657–1677) e BALTRUŠAITIS, J. (1955–1984), pp. 102, 259.

17 Ivi, p. 15. 18 Girard Desargues (1591–1661) architetto e ingegnere militare di Lione uno dei

primi teorici della geometria proiettiva: cfr. BOYER (1968), pp. 413–417. 19 BALTRUSAITIS, J. (1955–1984), p. 15.

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funzione operativa»20 individuata nella piega reiterata all’infinito come negli algoritmi che sono stati sviluppati nel XX secolo dalla teoria delle catastrofi21. Cerchiamo di seguire, almeno parzialmente, questa indicazione interpretando il Barocco come forma di argomentazione, di geometrizzazione e di testualità complesse che trovano nell’anamorfosi speculare e nel concettismo una delle sue manifestazioni più mature e compiute. La prospettiva barocca diventa il nostro punto di vista privilegiato per esaminare due testi fondamentali di Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io22 e Nota sulla relazione di Daniel Lagache: psicoanalisi e struttura della personalità23. In seguito abbozzeremo alcune considerazioni sulla testualità lacaniana per paragonarla con il concettismo barocco e mostrare come questi due aspetti si articolano e si sostengono reciprocamente.

2. Lo stadio dello specchio Bisogna sottolineare che già nel suo primo libro, Della psicosi

paranoica nei suoi rapporti con la personalità (1932), Lacan para-gona il rapporto esistente tra il soggetto e la sua immagine idealizzata con quella che intercorre tra un oggetto e la sua immagine speculare capovolta24. Questa sorta di preistoria dello stadio dello specchio rap-presenta un elemento importante nella genesi della teoria lacaniana fondata sulla natura scissa della soggettività.

Si tratta di una generalizzazione della lacerazione insanabile del-l’esperienza paranoica, tesa tra la propria condizione e il proprio de-siderio, che viene espressa nel lessico psicoanalitico come scissione tra Io e Ideale dell’Io. La tesi viene originariamente proposta in una comunicazione letta nel 1936 al XIV congresso dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi (I.P.A.) svoltosi a Marienbad che viene perduta e sostituita negli Scritti da un testo redatto per il XVI, tenutosi anni dopo a Zurigo.

Bisogna sottolineare che Lacan, diversamente da Freud, sostiene che non solo l’Io del soggetto paranoico ma quello di ognuno si fonda

20 DELEUZE (1988), p. 5 21 TARIZZO (2004), pp. XIV–XXVII. 22 LACAN (1932–1966). 23 LACAN (1958–1961). 24 LACAN (1932), p. 209.

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sulla «identificazione con una immagine idealizzata di sé, e quindi l’Io come tale si costituisce all’origine» in questa modalità.25

Si tratta di un’esperienza originaria rappresentata dalle manifesta-zioni di gioia e giubilo di un bambino di età compresa tra i sei e i diciotto mesi innanzi alla propria immagine riprodotta in uno spec-chio. Lacan condensa in poche righe il «seducente spettacolo»26 rap-presentato da

un bambinetto davanti allo specchio, incapace ancora di padroneggiare i suoi passi o addirittura di stare in piedi […] abbracciato da un sostegno umano o artificiale […] supera in un traffichio giubilatorio gli impicci di questo appoggio, per sospendere il suo atteggiamento in una posizione […] inclinata e ricondurre, per fissarlo, un aspetto istantaneo dell’immagine27.

Si tratta di una dinamica di sguardi estremamente complessa che

merita di essere esaminata dettagliatamente. Uno degli elementi costi-tutivi della nostra soggettività è rappresentata dal volto tanto che que-sto viene riprodotto fotograficamente sui documenti d’identità mentre le altre caratteristiche corporee sono ridotte all’altezza ed even-tualmente a qualche tratto caratteristico28. Possiamo vedere il volto di tutti gli altri ma non il nostro che si trova in una zona cieca orlata dal contorno del naso e delle labbra, una cornice dello sguardo che può essere colta tramite qualche contorsione. Il volto è dunque sempre quello dell’altro e il bambino sino all’età indicata da Lacan non co-nosce letteralmente il proprio29.

In questa fase della sua vita il bambino non riesce a camminare, o a stare in piedi, e per questo giunge innanzi alla superficie riflettente accompagnato e sostenuto nella postura da un adulto oppure da un girello. Egli vede nello specchio l’immagine di un altro bambino che cerca di raggiungere, di toccare, senza riuscirci in quanto viene bloc-cato dalla resistenza della superficie dello specchio quale soglia invalicabile. Allora inizia a voltarsi per assumere quello sguardo obli-quo, quella posizione inclinata, fondamentale per i nostri scopi, che abbiamo evidenziato con il corsivo. Si tratta di un atto che

25 TARIZZO (2003), p. 13. 26 LACAN (1932–1966), p. 88. 27 Ibidem, corsivo nostro. 28 Almeno allo stato attuale della legislazione italiana. 29 Infatti «l’essere umano non vede la sua forma realizzata […] se non fuori di se

stesso» (LACAN, 1975a, p. 175).

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rimbalza […] in una serie di gesti in cui […] mette alla prova […] la relazione fra […] questo complesso virtuale e la realtà che raddoppia […] il proprio corpo e le persone, o gli oggetti, che gli stanno a lato30.

Tale inclinazione non è tanto del corpo quanto dello sguardo che

cerca dietro lo specchio, se questo può essere aggirato, ma soprattutto si indirizza verso l’adulto o il girello che può cogliere duplicati as-sumendo un’opportuna angolazione rispetto alla superficie riflettente. Tale raddoppiamento della realtà gli restituisce un volto che riesce a riconoscere per la prima volta come il proprio.

A questo punto nel bambino si è già compiuto il destino alienante dell’io31 che, impotente a muoversi e a coordinare i propri gesti, an-ticipa visivamente «l’unità e la padronanza del suo corpo, scor-gendolo riflesso come un tutto nello specchio»32. Da questo momento in poi il soggetto si trova in una sorta di ritardo originario33 che gli impone di rincorrere perennemente tale totalità anticipata, definita da Lacan come io–ideale34. Questo ulteriore concetto si distingue dal-l’ideale dell’io in quanto rappresenta l’«onnipotenza narcisistica» che supporta l’«identificazione eroica […] con personaggi eccezionali e prestigiosi»35. Se la considerazione in sé non è originale36 è estre-mamente innovativa l’interpretazione proposta da Lacan, secondo il quale

l’assunzione giubilatoria della propria immagine speculare da parte di quell’essere […] immerso nell’impotenza motrice […] sembra manifestare in una situazione esemplare la matrice simbolica in cui l’Io si precipita in una forma primordiale37.

In questo modo Lacan teorizza una soggettività strutturata dal

narcisismo e dalla paranoia che non rappresenta più la classificazione di un tipo di ‘personalità’, ma la costituzione del soggetto in quanto tale, scisso tra un io privo di unità e un’immagine idealizzata di se

30 LACAN (1932–1966), p. 87, corsivo nostro. 31 Ivi, p. 89. 32 TARIZZO (2003), pp. 13–14. 33 In questo senso ci ricolleghiamo al Nachträglichkeit freudiano esaminato in

DERRIDA (1966), p. 263 e alla relazione tra questo e l’après coup lacaniano: cfr. LACAN (1966), p. 682 e nota 1 di traduzione.

34 LACAN (1932–1966), p. 89. 35 LAPLANCHE, PONTALIS (1967), p. 294. 36 TARIZZO (2003), p. 14. 37 LACAN (1932–1966), p. 88.

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stesso, con la quale stabilisce delle relazioni di identificazione. In questi termini lo psicoanalista francese sviluppa una tesi originale che riformula il sistema freudiano teorizzando la genesi contemporanea di Io e Super–Io.38 Si tratta di una complessa riflessione sulla struttura della psiche pervasa da riferimenti a tipi di prospettive eccentriche e oblique che possiede non poche similitudini con quella barocca descritta da Hauser.

3. Il vaso di fiori rovesciato Le relazioni psicoanalitiche sullo stadio dello specchio vengono

ulteriormente articolate nella seconda parte della Nota sulla relazione di Daniel Lagache dove Lacan propone di strutturare la personalità nella prospettiva psicoanalitica usando un modello ottico, noto con il nome di schema del vaso di fiori rovesciato, che serve per «far funzionare […] le relazioni dell’Io ideale con l’ideale dell’Io»39. Riproduciamo di seguito la figura, che Lacan estrapola da un testo di ottica geometrica40, per facilitare i nostri riferimenti al testo41.

Il dispositivo è costituito da uno specchio sferico e una scatola,

aperta nel lato rivolto verso la superficie speculare, nella quale è

38 TARIZZO (2003), p. 15. 39 LACAN (1958–1961), p. 668. La prima occorrenza di questo modello è in

LACAN (1975a); esso viene successivamente sviluppato in (1958–1961) e in (2004). 40 BOUASSE (1934). 41 LACAN (1958–1961), p. 669, fig. 1

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inserito un mazzo di fiori capovolto e sopra la quale è collocato un vaso. All’occhio di un osservatore, collocato nello spazio interno al cono βB′γ42, il mazzo appare illusoriamente infilato in quest’ultimo43.

Lacan, per fare funzionare tale congegno come modello teorico in grado di rappresentare analogicamente la struttura della personalità44, introduce alcune modifiche che vengono puntualmente segnalate nella successiva figura45.

Viene aggiunto uno specchio piano e sono scambiate le posizioni

del vaso e dei fiori rispetto al lato superiore della scatola in modo che il primo sia inserito rovesciato dentro e il secondo sopra. Inoltre l’osservatore non deve più guardare direttamente nello specchio sferico ma in quello piano dove, se collocato in posizione ortogonale rispetto a esso (retta $–S) potrà vedere la propria immagine. Quando tale osservatore assume una prospettiva leggermente obliqua rispetto alla superficie dello specchio piano potrà focalizzare nuovamente su di esso l’immagine (illusoria) del vaso con i fiori appoggiato sopra la scatola. Lacan sostiene che «il gioco di questo modello corrisponde alla funzione di misconoscimento che la […] concezione dello stadio

42 Tale cono è «formato da una generatrice che unisce ciascuno dei punti

dell’immagine B’ al contorno dello specchio sferico» (Ivi, p. 669). 43 «Malgrado qualche deformazione che la forma non regolare dell’oggetto deve

rendere assai tollerabile» (Ibidem). 44 Ivi, p. 670. 45 Ivi, p. 671, fig. 2.

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dello specchio pone alla base della formazione dell’Io. Esso permette di enunciarla in una forma […] generalizzata»46. In questo modo viene mostrata l’impossibilità di cogliere direttamente l’immagine del vaso o del proprio corpo e la necessità di una triangolazione attraverso la quale si apre lo spazio della psicoanalisi.

L’osservatore è un soggetto scisso, diviso, che per questo viene indicato con $ (S barrato) mentre il vaso rovesciato indica la posizione del corpo del soggetto nello stato di frammentazione e dipendenza infantile47. S (privo di barra) rappresenta l’immagine ortopedizzata e anticipata del bambino nello specchio che concorre alla formazione dell’Io–ideale che in una prospettiva obliqua viene assunta da i’(a)48. Il vaso nascosto nella scatola indica il limitato «accesso che il soggetto ha nella realtà di quel corpo»49 mentre i suoi fiori indicati da a rappresentano i cosiddetti oggetti parziali50 della teoria psicoanalitica che sono in generale parti del corpo quali il seno, le feci o il pene oppure i loro analoghi simbolici51.

L’Io ideale così rappresentato aliena il soggetto in una falsa padronanza e rappresenta una tappa decisiva per la sua costituzione anche se una soggettività non psicotica non può essere costituita solo da relazioni di identificazione. Questo spiega perché una delle funzioni principali della psicoanalisi sia rappresentata dalla disar-ticolazione della logica chiusa della relazione immaginaria. In tale prospettiva Lacan sottolinea l’importanza di interrogare il modello del vaso rovesciato all’interno della situazione analitica ovvero se l’Altro è l’analista52. Si tratta di un’ulteriore tappa che viene rag-giunta introducendo ulteriori modifiche nel modello ottico che vo-gliamo proporre all’attenzione del lettore53.

46 Ivi, p. 671. 47 Ivi, p. 672. 48 Ivi, p. 671. 49 Ivi, p. 672. 50 Ibidem, p. 672. 51 LAPLANCHE, PONTALIS (1967), p. 400. 52 LACAN (1958–1961), p. 676 53 Ivi, fig. 3.

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Lo specchio piano compie una rotazione di 90° intorno al proprio asse, sovrapponendosi al piano individuato dal prolungamento del lato superiore della scatola, e lo sguardo dell’osservatore di 180°, passando da $1

a $2. La nuova collocazione di quest’ultimo permette di accedere alla prospettiva che svela le reali posizioni dei fiori, vaso e scatola e di comprendere la natura illusoria dell’immagine prodotta sullo specchio piano in verticale. Inoltre questa stessa posizione permette di cogliere, in una nuova prospettiva obliqua, il riprodursi dell’immagine illusoria sullo specchio in orizzontale. Lacan allude al riprodursi in una nuova posizione dell’illusione come a «giochi della riva con l’onda» alludendo al mito sul quale è stato modellato il concetto psicoanalitico di narcisismo54.

L’immagine illusoria in orizzontale rappresenta il costituirsi, at-traverso il processo edipico, dell’ideale dell’io quale «punto ideale–esterno o infinitamente distante»55 che consente lo sviluppo e la ma-turazione di un soggetto che si coglie non più come identità compiuta ma come processo in continua evoluzione. Quando questo processo non si compie autonomamente l’intervento del trattamento analitico viene ricondotto

a una traslazione di $ ai significanti dello spazio ‘dietro lo specchio’. La fun-zione del modello è allora quella di far immaginare come il rapporto con lo specchio, cioè la relazione immaginaria con l’altro e la cattura dell’Io ideale, servano ad attirare il soggetto nel campo in cui esso si ipostatizza nell’ideale dell’Io .56

54 Ivi, p. 677. 55 MILNER (1991), p. 335 56 LACAN (1958–1961), p. 676.

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In questo snodo fondamentale della soggettività si colloca anche la

posizione dello psicoanalista che, assumendo la funzione paterna, deve riportare il soggetto sul cammino interrotto dell’Edipo e delle sue relazioni di identificazione57.

4. Anamorfosi Verso la fine del saggio viene indicata, quasi di sfuggita, l’origine

del dispositivo ottico che deve essere ricondotto «agli artifizi del-l’anamorfosi» capaci di installare «nel supporto stesso della prospet-tiva un’immagine nascosta che vi si è perduta»58.

Si tratta di un punto estremamente importante per i nostri interessi in quanto la tecnica evocata rappresenta il compimento delle com-plesse analisi lacaniane sulla prospettiva eccentrica, sullo sguardo in-clinato e obliquo, iniziate nella formulazione dello stadio dello spec-chio e sviluppate nel modello del vaso di fiori. Nelle pagine pre-.cedenti abbiamo puntualmente segnalato in corsivo termini e locu-zioni riferiti a questo tema poiché, come abbiamo sottolineato nella nostra analisi preliminare, rappresentano uno dei caratteri specifici del Barocco.

Segnaliamo inoltre le lezioni seminariali del 1959–1960 nelle quali Lacan, riprendendo il modello del vaso di fiori59, analizza dettagliatamente le figure anamorfiche che consentono di evidenziare la «funzione dello specchio […] al di là del quale […] si proietta l’ideale del soggetto»60. La loro importanza si può desumere dal-l’esordio della lezione del 10 febbraio 1960, nel quale lo psicoanalista francese afferma che «questa anamorfosi sta […] su questo tavolo […] per illustrare il mio pensiero»61.

Segnaliamo, tra i tanti esempi di opere d’arte citate nel settimo seminario, l’affresco realizzato da Emmanuel Maignan (1601–1676)62 sulle pareti del chiostro dei Minimi63 situato nel complesso

57 TARIZZO (2003), p. 72. 58 LACAN (1958–1961), p. 677. 59 LACAN (1986), p. 374. 60 Ivi, p. 192. 61 LACAN (1986), p. 177. Purtroppo dalla lettura della lezione XI non siamo

riusciti a evincere di quale tipo di anamorfosi si tratti. 62 Emmanuel Maignan (1601–1676) membro dell’ordine dei Minimi, fondato da

S. Francesco da Paola, fu docente di matematica e Roma e Tolosa. Gran parte della

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della chiesa di Trinità dei Monti a Roma, nel quale viene ritratto anamorficamente S. Francesco da Paola64, e il celebre quadro di Holbein, intitolato Gli ambasciatori, conservato alla National Gallery di Londra. L’analisi di quest’ultimo impegna numerose pagine dell’undicesimo seminario, tenutosi nel 1964, nel corso del quale Lacan ricorda di aver largamente impiegato la funzione anamorfica per il valore esemplare della sua struttura65.

Queste considerazioni ci permettono di sostenere che l’ana-morfosi, e in particolare quella barocca, si ritrovano in uno degli sno-di fondamentali della ricerca di Lacan e fungono da sintesi e model-lizzazione del suo pensiero.

5. Concettismo e rebus L’interpretazione di una pratica di scrittura attraverso una forma di

espressione eterogenea, costituita dalle particolari tecniche anamor-fiche di rappresentazione pittorica e grafica, potrebbe sembrare una sorta di forzatura, di appiattimento della testualità di Lacan. Si po-trebbe sostenere che riconduciamo e riduciamo il complesso della sua opera a specifici brani di determinati testi e che i riferimenti al-l’anamorfosi, per quanto significativi e diffusi, dimostrano solo indi-rettamente il suo carattere barocco.

A una simile obiezione potremmo rispondere che Lacan mette in pratica un’identica operazione sul testo freudiano quando afferma che in esso «nulla è caduco, nel senso […] che non sarebbe marcato da quella possente necessità articolatoria che distingue il suo discorso»66. Potremmo allora giustificare la nostra interpretazione come una sorta di autoapplicazione del metodo di lettura lacaniano ai testi di Lacan, una sorta di caso particolare del suo «ritorno a Freud».

Tuttavia, questa replica risolve solo parzialmente il problema in quanto lo sprezzante giudizio heideggeriano, dal quale abbiamo preso sue ricerca viene raccolta in MAIGNAN (1648). Le significative relazioni tra gli esponenti di quest’ordine e il cartesianesimo sono esaminate in BONICALZI (1987), pp. 40–48

63 DI MATTEO (2004), pp. 46–49. 64 LACAN (1986), p. 179. 65 LACAN (1973), p. 87. Segnaliamo inoltre che in entrambi i seminari viene citato

BALTRUŠAITIS (1955–1984) nel quale un intero capitolo è dedicato alle anamorfosi speculari (pp. 149–170).

66 LACAN (1986), p. 127.

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le mosse, toccava non tanto il contenuto teorico della ricerca laca-niana quanto il suo stile espositivo. Si tratta, allora, di riprendere la nostra analisi in una diversa prospettiva impostando un sommario confronto stilistico tra la testualità barocca e quella lacaniana allo scopo di trovare alcuni comuni denominatori.

Uno degli aspetti più caratteristici della prima è costituito dalla mancanza di univocità nell’argomentazione e nella definizione dei termini usati in quanto nel testo barocco le «idee si moltiplicano […], si contraddicono e si cancellano, sfidando chi ne vorrebbe fare una sintesi»67. Questi ricchi contenuti sono spesso articolati attraverso l’uso di alcune figure retoriche tra le quali segnaliamo la metafora che possiede un ruolo particolarmente significativo anche per la psico-analisi68.

Questo aspetto è manifesto nella corrente del concettismo, «espressione radicale e originale del fenomeno barocco»69, alla quale possono essere correlati (direttamente o indirettamente) esponenti di spicco della cultura seicentesca quali Pietro Sforza Pallavicino (1607–1667), Baltasar Gracián (1601–1658) ed Emanuele Tesauro (1592–1675).

Il primo è autore di un’interessante analisi del concetto barocco definito come una «osservazione maravigliosa raccolta in un detto breve»70. Tale condensazione e compressione dei significati è una delle cause della profonda trasformazione della testualità barocca che passa dalla classica argomentazione sillogistica a quella parasillogi-stica, dalle definizioni univoche a quelle equivoche basate sull’ana-gramma, l’allitterazione e la sillabazione71.

Una delle più chiare esemplificazioni del funzionamento del testo concettista viene proposta da Gracián, per mezzo del verso attribuito al poeta latino Ovidio: «O, nix, flamma mea»72. Il gioco linguistico si articola tra le espressioni “Onix” e “O, nix” che si riferiscono rispettivamente all’onice e alla neve per sussumere paradossalmente pietra, fenomeno atmosferico e fiamma. Secondo Snyder, la sovrap-posizione tra i tre termini funziona in quanto quest’ultima richiama

67 SNYDER (2005), p. 23. 68 In proposito cfr. Ivi, 58–60, 114–116, 131–132. 69 Ivi, p. 19 70 SFORZA PALLAVICINO (1662), p. 79. 71 SNYDER (2005), p. 58. 72 Il passo è commentato in GRACIÁN (1642–1648), vol. I, p. 37. Si tratta di un’at-

tribuzione oltremodo dubbia.

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l’origine vulcanica della prima che, divenuta «fredda e incombu-stibile» con il suo consolidamento, si lega con la seconda per sostituirla nella «versione paradossale del detto» prodotta dal sem-plice inserimento di virgola e spaziatura73. Riteniamo che la polisemia del verso possa essere ulteriormente ampliata se ricordiamo che l’onice è una gemma caratterizzata da striature bianche e nere74. In questo modo la fatticità di questo minerale diventa una sorta di anello di congiunzione tra il bianco e il nero, tra il freddo e il caldo e dunque tra colore e calore. Attraverso queste considerazioni possiamo comprendere perché Gracián possa individuare nell’equivocità, nell’ambiguità e nella polivalenza dei significati del verso ovidiano la cifra del concetto barocco.

Un altro aspetto caratteristico dei trattati estetici concettisti è la loro l’identificazione «con il proprio oggetto» che li rende una sorta di «metaletteratura che replica e amplia le qualità delle opere che intende analizzare»75. La mancanza di distanza e differenza stilistica rispetto al tema trattato si manifesta soprattutto in parentesi che restano aperte e in «lunghe digressioni che sovvertono l’ordine argo-mentativo»76.

Tutti questi aspetti, che abbiamo sommariamente esposto, sono presenti anche nella testualità lacaniana caratterizzata da un periodare complesso, da lunghissimi incisi che disorientano il lettore e capo-volgono il rapporto tra proposizioni principali e subordinate, da un’aggettivazione magniloquente. Lacan sfoggia una grande varietà di figure retoriche con particolare valorizzazione di metafora e meto-nimia che, come noto, vengono ricondotte ai processi inconsci della condensazione e dello spostamento77.

Anagrammi, allitterazioni e sillabazioni inconsuete rappresentano spesso i cardini del testo dello psicoanalista francese in un elenco che non sarebbe né possibile, né proficuo, redigere in questa sede. Per questo ci appelliamo a un caso esemplare rappresentato dalla formula

73 SNYDER (2005), p. 75. 74 Il termine onice deriva dal termine greco ónyks che significa “unghia”

probabilmente in virtù del carattere traslucido della pietra. È interessante segnalare che la moderna classificazione gemmologica dell’onice possiede un significato strettamente cromatico (in questo caso riguardante la stratificazione bianca e nera) e non composizionale. Cfr. SCHUMAN (2002), p. 158. Ringraziamo Domenico Miriello per la consulenza scientifica e Raffaele Agujaro per quella letteraria.

75 SNYDER (2005), p. 24. 76 Ibidem. 77 Cfr. CHEMAMA, VANDERMERSCH (1998), pp. 206–207.

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del «pas–de–sens» che potremmo pensare come il corrispettivo di Onix nella testualità lacaniana.

In particolare consideriamo l’occorrenza di tale locuzione contenuta nel quinto seminario dove il commento all’analisi freudiana del motto di spirito viene reinterpretato alla luce della metafora. In questo testo Lacan afferma che

il pas–de–sens è […] ciò che si realizza nella metafora […]. Soggettività è la parola alla quale giungo adesso, poiché […] parlando con voi dei cammini del significante qualcosa continua a mancare […]. Quando dico soggettività, voglio dire che da nessuna parte si può afferrare l’oggetto del motto di spirito […] perfino il suo carattere di allusione essenziale […] non fa qui allusione a nulla fuorché alla necessità del pas–de–sens78.

Abbiamo scelto questa formula perché riguarda l’analisi lacaniana

della struttura del senso e, dunque, possiede un valore estremamente generale. Lo psicoanalista sceglie sapientemente il termine pas il cui lemma occupa almeno mezza pagina di un buon dizionario francese e la cui area semantica si articola tra una serie di sostantivi e un avverbio di negazione. L’elenco dei primi contempla il passo della gamba, l’impronta del piede, il gradino, la soglia, il valico di montagna e lo stretto marino che consentono metafore antropo-morfiche, architettoniche e geografiche. Il secondo può esprimere ampie sfumature del negativo tra le quali spiccano la carenza, l’as-senza e il fallimento.

In questo modo Lacan usa l’ambiguità della parola per mostrare la vicinanza tra la «mancanza» e il «passo» del senso e teorizza espli-citamente il valore di questa operazione79. Nel brano citato viene sfruttata la metafora del viandante per esprimere che ogni tappa del percorso psicoanalitico del senso consiste nel dire di no, nel sottrarsi alle identificazioni immaginarie del soggetto evidenziate dalla fase dello specchio e dal vaso di fiori rovesciato. La metafora può essere ulteriormente sviluppata affermando che il senso analitico si mani-festa quando il discorso inciampa nella dimenticanza e nel lapsus80.

Infine ricordiamo che il testo lacaniano si differenzia in modo

78 LACAN (1998), pp. 98–100. La traduzione italiana proposta è contenuta in

TARIZZO (2003), p. 55. 79 LACAN (1991), p. 64. Inoltre cfr. DERRIDA (1980), p. 2. 80 In FREUD (1901), pp. 190, n. 2, 207, 280 si commentano alcuni aspetti

autobiografici proposti da Ferenczi per mezzo di un paragone tra l’incespicare e il passo falso della cura.

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assai debole rispetto ai temi psicoanalitici che tratta confondendosi con essi in base all’impossibilità di trattare l’inconscio in termini metalinguistici ovvero di «dire il vero sul vero»81.

Questi elementi comuni alla trama del testo barocco e di quello lacaniano non devono oscurare la diversità degli scopi per i quali rispettivi tessuti sono prodotti: nel primo caso si tratta di soddisfare le esigenze di ordine estetico, conoscitivo o didattico dell’intelletto82, nel secondo quelle di tipo psicopatologico od onirico dell’inconscio. Il linguaggio che struttura quest’ultimo si esprime innanzitutto nella quotidianità del sintomo e del sogno e trova nel rebus il suo modello di riferimento83. Il testo lacaniano non riproduce l’acutezza dell’in-gegno barocco ma quella dell’inconscio e della sua sovradeter-minazione fondata sulla «duplicità fondamentale di significante e si-gnificato»84.

6. Il cannocchiale aristotelico A questo punto possiamo riprendere nuovamente il problema ri-

guardante l’eterogeneità della scrittura e della rappresentazione gra-fica in funzione dell’interpretazione del testo lacaniano per risolverlo mostrando la loro profonda correlazione barocca.

Per comprenderla dobbiamo evocare Il cannocchiale aristotelico, una delle opere più significative di Tesauro, menzionato anche nel te-sto di Baltrušaitis .85 L’antiporta dell’edizione pubblicata nel 1663 contiene una complessa iconografia, estremamente significativa per i nostri scopi, nella quale sono rappresentate due donne e uomo che

81 LACAN (1966), p. 872. Inoltre cfr. LACAN (1991), p. 70 e (1975b). Rimandiamo inoltre il lettore al nostro PALOMBI (2004), pp. 359–362, 366.

82 «Si vive con l’intelletto, e tanto più si vive quanto più si conosce» (GRACIÁN, 1642–1648, II vol., p. 380). Cfr. SNYDER (2005), p. 61.

83 Ricordiamo in proposito che Freud, concludendo l’analisi del suo celebre lapsus riguardante il pittore Signorelli, afferma che «i nomi […] sono stati trattati in questo processo in maniera analoga agli ideogrammi di una frase da trasformarsi in rebus» (FREUD, 1901, p. 61).

84 LACAN (1981), p. 141. 85 BALTRUŠAITIS (1955–1984), pp. 185–186. I riferimenti sono contenuti nella

terza edizione (1984) ma non nella seconda (1969) e quindi non avrebbe potuto essere conosciuti da Lacan. Manteniamo il condizionale perché la prima edizione (1955), che dovrebbe corrispondere a quella citata dallo psicoanalista francese, non è nella nostra disponibilità. Inoltre sulla relazione tra pittura e poesia cfr. LEE (1940–1967).

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simboleggiano rispettivamente la Poesia, la Pittura e Aristotele. La prima osserva un sole cosparso di macchie per mezzo di un can-nocchiale che viene sorretto dalla sua mano sinistra e da quelle del terzo mentre la seconda dipinge uno specchio conico. Sulla superficie di quest’ultimo viene riprodotto anamorficamente il motto «omnis in unum» dell’Accademia torinese dei Solitari della quale Tesauro era membro86. Questo cono di Bettini87 trasforma gli incomprensibili se-gni disposti intorno a esso in una formula che riassume come la totalità del mondo, enigmatica e caotica, possa essere ricostituita nel-l’unità dallo specchio che «simboleggia un ordine superiore»88. L’an-tiporta rappresenta il rapporto esistente tra le due arti che viene significativamente mediato dai dispositivi ottici in quanto «è l’atto di vedere anziché di parlare o di scrivere che consente alla Poesia di perfezionarsi»89.

Il complesso progetto iconografico di Tesauro crea una sorta di osmosi nella quale le immagini e parole si scambiano condizione e funzione90 per individuare una «corrispondenza […] tra le qualità ottiche dell’anamorfosi e quelle della figura poetica stessa»91. In questo contesto si ripropone la particolare importanza della metafora che accelera spazio e tempo per rendere possibile al lettore di scor-gere «più di un oggetto in questa figura compressa, veloce e inattesa […], effettua un cortocircuito nell’ordine […] delle cose e delle parole, comprimendole per generare un nuovo nesso tra di loro»92. Segnaliamo che Tesauro spesso usa il termine «metafora» come l’equivalente semantico di un’immagine prodotta da una prospettiva di scorcio che rappresenta più oggetti contemporaneamente tra loro

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86 Ivi, p. 186. 87 Mario Bettini (1582–1657), gesuita bolognese, docente di scienze e

matematica a Parma, al quale venne dedicato nel 1651 un cratere lunare (Bettinus) come riconoscimento delle sue ricerche astronomiche. È autore di opere teatrali e di un testo nel quale sono riprodotti dispositivi anamorfici; cfr. BETTINI (1642). Secondo lo studioso piemontese «questo Specchio miraculoso» sarebbe stato inventato a Parigi nel 1627 (TESAURO, 1654–1670, p. 679). In proposito cfr. SNYDER (2005), p. 136, n. 12.

88 BALTRUŠAITIS (1955–1984), p. 185. 89 SNYDER (2005), p. 104, corsivo dell’autore. 90 In quanto vengono «riflesse nello specchio, […] raffigurate nel quadro, e […]

incluse […] nell’antiporta stessa […] che trasforma i lettori del trattato in spettatori» (Ivi, p. 105). Cfr. TESAURO (1654–1670), p. 405.

91 SNYDER (2005), p. 106. 92 Ivi, pp. 117–120. 93 Ivi, p. 138, n.25. Cfr. TESAURO (1654–1670), p. 405.

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compenetrati . In questo modo vengono esplicitati alcuni correlati ottici e anamorfici della metaforizzazione attraverso i quali lo scrittore piemontese chiama in causa i dispositivi seicenteschi usati per indagare la prospettiva e le sue regole geometriche .

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Se rammentiamo quanto abbiamo esposto nei precedenti paragrafi possiamo rilevare la somiglianza di alcuni aspetti stilistici e teorici della testualità tesauriana e di quella lacaniana. Più in particolare sono evidenti le similitudini che esistono tra la «superiore unità» prodotta dalla specularità conica alla quale l’antiporta allude e la riflessione di Lacan sulla fase dello specchio e sul dispositivo anamorfico del vaso di fiori. Crediamo che queste ultime considerazioni permettono di dissipare le obiezioni sulla validità di un’interpretazione anamorfica e barocca del testo lacaniano.

7. L’eredità surrealista In termini genealogici potrebbe essere interessante riflettere sul-

l’origine di questa passione lacaniana per l’anamorfosi barocca che attraversa gran parte della sua opera. In questa sede ci limitiamo a in-dicare, anche sotto questo profilo, il debito della riflessione di Lacan nei confronti del Surrealismo e, in particolare, di Salvador Dalì, legato da rapporti di amicizia con lo psicoanalista francese.

Questa corrente artistica, dopo aver pubblicato sulle proprie riviste le prime traduzioni francesi di Freud96, contribuisce a riscoprire l’anamorfosi barocca come attesta la mostra organizzata nel 1936 presso il Museum of Modern Art di New York97. Si tratta di un’in-fluenza così significativa che un’altra importante esposizione dedicata alla storia di questa corrente, ospitata dalla Biblioteca Nazionale di Francia nel 1965, individua tra i suoi antenati le realizzazioni ana-morfiche.

In questo contesto si evidenzia la produzione artistica di Dalì for-temente influenzata sia dall’anamorfosi barocca sia dalla psicoana-lisi98 come dimostrano alcune sue opere che ci hanno particolarmente

94 SNYDER (2005), p. 118. 95 KEMP (1990), tavv. 365–368, 372–373. 96 Cfr. FRANCIONI (1982), pp. 111–115. In merito alla freddezza di Freud nei

confronti di Breton cfr. MISTURA (2001b), pp. 133–142. 97 BALTRUŠAITIS (1955–1984), p. 205. 98 Ibidem e MISTURA (2001 ), p. 135.b

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colpito. Il quadro, programmaticamente intitolata Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana, un attimo prima del risveglio99, è capace di tenere prodigiosamente insieme le teorie freudiane con il Barocco. Le prime sono evocate dalla funzione di guardiano del sonno propria del sogno proposto dal titolo e rap-presentate nel quadro dalle immagini dell’insetto, del frutto e dalla baionetta minacciosa. Il secondo è richiamato dalla curiosa meta-morfosi della scultura dell’elefante del Bernini collocata nella piazza romana di Santa Maria sopra Minerva. Si tratta di un’immagine ri-corrente nella produzione del grande artista spagnolo che, nel quadro intitolato La tentazione di S. Antonio, viene reiterata in una proces-sione di pachidermi che sorreggono sul dorso obelischi, edifici e una figura femminile100. Due altre opere dal titolo particolarmente si-gnificativo per i nostri interessi sono Gala e l’Angelus di Millet prima dell’arrivo imminente delle anamorfosi coniche101 e Viso pa-ranoico102 nei quali sono evocate le tecniche di deformazione pro-spettica e i paesaggi antropomorfici103 ampiamente descritti nel testo di Baltrušaitis.

Inoltre il titolo dell’ultima opera richiama la sua tecnica della paranoia critica104 che ha fortemente influenzato la genesi della teoria di Lacan sulla Spaltung, la sua prima produzione e in particolare un saggio dedicato al problema dello stile105, che tematicamente ci ri-conduce al punto dal quale avevamo preso le mosse.

8. Conclusioni: la prospettiva barocca del soggetto In questo modo crediamo di aver variamente suffragato la nostra

tesi che ora cerchiamo di riassumere e articolare diversamente a modo di conclusione.

99 1944, Olio su tela, Madrid, Museo Thyssen–Bornemisza. Ringraziamo

Gianluca Vigna per l’aiuto nella ricerca iconografica. 100 1946, Olio su tela, Bruxelles, Musées Royaux des beaux–Arts de Belgique. 101 1933, Olio su tavola, Ottawa, The National Gallery of Canada. 102 1935, Olio su supporto sconosciuto, probabilmente distrutto. 103 Anche questa produzione possiede un correlato nella letteratura barocca: cfr.

SNYDER (2005), p. 117. 104 ROUDINESCO (1993), p. 33. 105 Viene individuato, nell’ambito dell’arte, il «conflitto […] tra la creazione

realistica basata sulla conoscenza oggettiva, da un lato, e la superiore creazione detta stilizzata, dall’altro» (LACAN, 1933, p. 351).

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Il testo di Lacan è costruito con stile concettista e procedimento anamorfico in modo che il suo senso possa essere colto solo da una certa prospettiva teoretica schiacciata e obliqua in grado di dilatare parti del discorso apparentemente ridotte e minori e ridurne altre estese e ridondanti, confusive piuttosto che confuse. Esso obbedisce a una sorta di geometrizzazione proiettiva106 che impone di disegnare immagini deformate in modo che esse possano essere ortopedizzate da prospettive laterali o superfici curve. Questo aspetto è la controparte stilistica di una necessità psicoanalitica con la quale La-can deve confrontarsi quando espone i contenuti del discorso in-conscio in uno pubblico, intessuto di riferimenti artistici e filosofici.

Le conseguenze di questo discorso ci sembrano sintetizzate dalla riflessione di Deleuze sul prospettivismo barocco che non si può ridurre al relativismo proprio della

dipendenza da un soggetto definito […]: al contrario sarà soggetto solo ciò che viene al punto di vista […]. Non è il punto di vista che varia col soggetto […] il punto di vista è al contrario la condizione nella quale un eventuale soggetto coglie una […] metamorfosi o […] anamorfosi. È questa l’idea di fondo della prospettiva barocca107.

106 Aggettivo che possiede una duplice accezione geometrica e psicoanalitica. 107 DELEUZE (1988), p. 32.

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