L'insegnamento della teologia a Roma prima della fondazione dello "studium romanae curiae" (fine XII...

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VALERIA DE FRAJA L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA PRIMA DELLA FONDAZIONE DELLO STUDIUM ROMANAE CURIAE (FINE XII SEC. - 1244). PRIMI SPUNTI DI RICERCA estratto da LE SCRITTURE DELLA STORIA Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio a cura di Fulvio Delle Donne e Giovanni Pesiri ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO 2012

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Valeria De Fraja

L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA PRIMA DELLA FONDAZIONE DELLO STUDIUM

ROMANAE CURIAE (FINE XII SEC. - 1244). PRIMI SPUNTI DI RICERCA

estratto da

LE SCRITTURE DELLA STORIA

Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio

a cura di

Fulvio Delle Donne e Giovanni Pesiri

ROMANELLA SEDE DELL’ISTITUTO

PALAZZO BORROMINIPIAZZA DELL’OROLOGIO

2012

Quaderni della Scuola Nazionale di studi medievali.Fonti, studi e sussidi, 1

I volumi di questa collana sono sottoposti a doppia lettura anonima di espertiCoordinatore scientifico della collana: Fulvio Delle Donne

© Istituto storico italiano per il medio evo 2012

ISSN 2279-6223ISBN 978-88-89190-88-3

Valeria De Fraja

L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA PRIMA DELLA FONDAZIONE DELLO STUDIUM

ROMANAE CURIAE (FINE XII SEC. - 1244). PRIMI SPUNTI DI RICERCA

Risale ormai a una ventina di anni fa la definitiva messa a punto, ad opera di Agostino Paravicini Bagliani, della questione relativa alla fondazione dello Studium Romanae curiae1: l’attribuzione a Innocenzo IV, sulla base di una serie di notizie riportate nella Vita di questo pon-tefice e della cosiddetta «lettera di fondazione», databile ad un perio-do di tempo compreso tra il 29 novembre 1244 e il 28 giugno 12452, smentisce di fatto l’ipotesi che l’istituzione dello Studium risalisse ad un periodo precedente e fosse piuttosto da attribuire all’immediato pre-decessore, Onorio III. Hanno trovato così conferma le intuizioni dei due più importanti studiosi delle vicende dello Studium Curiae, Heinrich Denifle e Raymond Creytens3, e insieme ha trovato smentita la tesi che,

1 A. Paravicini Bagliani, La fondazione dello «Studium Curiae»: una rilettura critica, in Luoghi e metodi di insegnamento nell’Italia medioevale (secoli XII-XIV), Atti del convegno internazionale di studi. Lecce - Otranto 6-8 ottobre 1986, cur. L. Gargan - O. Limone, Galatina 1989 (Saggi e ricerche, s. II, 3), pp. 59-81; il saggio è stato ristampato, con aggiornamenti, in Paravicini Bagliani, Medicina e scienze della natura alla corte dei papi nel Duecento, Spoleto 1991 (Biblioteca di Medioevo latino, 4), pp. 363-390 e in Il pragmati-smo degli intellettuali. Origini e primi sviluppi dell’istituzione universitaria, cur. R. Greci, Torino 1996, pp. 125-145, in linea per Reti Medievali.

2 Gli estremi del documento pontificio sono costituiti dal giorno in cui il pontefice arrivò a Lione, da dove la lettera risulta datata, e l’inizio del terzo anno del pontificato di Innocenzo (la lettera risale al secondo anno).

3 H. Denifle, Die Entstehung der Universitäten des Mittelalters bis 1400, Berlin 1885, rist. anast. Graz 1956, pp. 301-310; R. Creytens, Le “Studium Romanae Curiae” et le maître du Sacré Palais, «Archivum Fratrum Praedicatorum», 12 (1942), pp. 5-83.

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attribuendo a Onorio III l’iniziativa, voleva fare di Domenico di Cale-ruega, istitutore dei Predicatori, il primo Magister sacri palatii operante appunto presso lo Studium pontificio.

La ricerca di Paravicini Bagliani, al tempo stesso, ha chiarito due punti significativi per i possibili fronti di indagine che a partire da essa si aprono – o piuttosto si riaprono. In primo luogo, le sue puntualiz-zazioni indicano chiaramente che l’interesse principale dell’iniziativa di Innocenzo IV fu quello di dare alle scuole della Curia una forma giu-ridica, che giustificasse la concessione dei privilegi legati allo status di Studium generale4. Quindi un riconoscimento formale di una realtà che evidentemente, in qualche forma meno strutturata, pre-esisteva di fat-to; il passo compiuto da Innocenzo IV sarebbe pertanto stato quello di confermare una situazione sfumata ma già attiva e di portare a matura-zione una serie di premesse che a Roma erano già funzionanti, cataliz-zando così le forze e le spinte esistenti sul campo. Del resto, l’“istanza fondativa” non poteva prescindere, anche nel caso della scuola romana e pontificia di teologia, dall’esistenza di un terreno favorevole a inizia-tive in questo campo5.

In secondo luogo, Paravicini Bagliani avanzava le sue perplessità circa l’atteggiamento ipercritico di chi in precedenza si era occupato della questione: a forza di voler sottolineare l’importanza della novità costituita dalla “fondazione” da parte di Innocenzo IV di uno Studium litterarum presso la Sede apostolica, e di volere a un tempo eliminare le tesi storiografiche che attribuivano a Domenico una funzione (quella appunto di Magister sacri palatii) anacronistica per i primi del ‘200, si era finito per sottovalutare e svilire la peculiarità del panorama scolastico precedente e ogni interesse nei suoi confronti.

Di fatto, a Roma una scuola di teologia, negli anni antecedenti la “fondazione” di Innocenzo IV, già funzionava, come in passato aveva riconosciuto lo stesso Raymond Creytens6, che tuttavia non si era occupato della storia dello Studium nella fase anteriore al 1244/45, e aveva anzi sottoposto a una critica serrata gli studiosi che avevano cercato di analizzare la possibile linea di continuità tra la situazione

4 C. Frova - M. Miglio, «Studium Urbis» e «Studium Curiae» nel Trecento e nel Quattrocen-to: linee di politica culturale, in Roma e lo Studium Urbis. Spazio urbano e cultura dal Quattro al Seicento, Atti del Convegno (Roma 7-10 giugno 1989), Roma 1992, pp. 26-39: 28, nota 7.

5 R. Greci, Introduzione, in Il pragmatismo degli intellettuali cit., pp. 7-22: 18.6 Creytens, Le “Studium Romanae Curiae” cit., p. 17: «L’école fonctionne déjà. De-

puis combien de temps? Peu importe».

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precedente il pontificato di Innocenzo IV e la fondazione ufficiale dello Studium curiae.

I. Alle origini di un errore: il caso di Ambrogio Sansedoni

Il Creytens, nella sua basilare ricerca dedicata allo Studium, aveva in effetti criticato duramente due studiosi italiani, Innocenzo Taurisano e Alberto Zucchi7, i quali avevano voluto vedere nella bolla di Innocen-zo IV non tanto un atto di formale fondazione, quanto un documen-to di “restaurazione”: Innocenzo IV – lo abbiamo accennato – non avrebbe fatto altro che ristabilire una scuola già fondata in precedenza da Onorio III, scuola che in seguito avrebbe sospeso la propria atti-vità, scrivevano il Taurisano e lo Zucchi, «ob belli perturbationes». Il domenicano affermava perentoriamente che l’interpretazione del documento di Innocenzo IV era arbitraria e non trovava alcun ap-poggio né nel testo del documento papale, né in circostanze storiche note8. Egli aveva certamente ragione nel rifiutare l’interpretazione dei due storici, in quanto non è possibile fare di Onorio III l’istitutore dello Studium Romanae curiae. Rimane però un sospetto: la frase latina «ob belli perturbationes», che il Creytens contestava, da dove proveni-va? Poteva davvero essere il frutto della fantasia del Taurisano e dello Zucchi, oppure la questione che essi ponevano aveva un pur minimo fondamento documentario?

In effetti, i due storici – e in particolare il Taurisano – non si era-no inventati nulla; semmai, avevano commesso l’ingenuità di non aver sottoposto le fonti a una critica stringente o di non avere tratto fino in fondo le conseguenze dalla loro ricerca. I dati da loro utilizzati infatti si sono dimostrati non tanto infondati, quanto erroneamente collocati nel tempo. Vediamo dunque con ordine.

Il 20 marzo 1287 si spegneva a Siena Ambrogio Sansedoni, frate predicatore dalla brillante carriera, magister formatosi a Parigi alla scuola

7 I. Taurisano, L’insegnamento domenicano in Roma. I maestri del sacro Palazzo, «Memo-rie domenicane», 43 (1926), pp. 527-536, che svolse almeno in parte un buon lavoro, attento e critico; A. Zucchi, Roma domenicana, III, Firenze 1941, pp. 66-86, che invece si limitò a ripetere acriticamente, in forma selettiva – non citò le fonti utilizzate – e per questo alla fine scorretta nei risultati, il lavoro del Taurisano.

8 Creytens, Le “Studium Romanae Curiae” cit., p. 17. Si ha l’impressione che questi non avesse in realtà consultato il lavoro del Taurisano, che riporta correttamente le sue fonti e l’origine della frase ob belli perturbationes, ma si sia limitato a leggere il testo dello Zucchi, che al contrario non rimanda alle fonti.

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di Alberto Magno, inviato a predicare sia in Germania sia in Francia, diplomatico e pacificatore in grado di mediare tra città e città, tra curia e territori caduti sotto l’interdetto papale.

In tempi strettissimi, ci si mosse per la sua canonizzazione: secondo la Vita, giunta fino a noi, sarebbe stato Onorio IV ad affidare ai confra-telli di Ambrogio nel convento senese il compito di raccogliere le noti-zie biografiche su di lui9. Dal momento che questo pontefice si spense quattordici giorni dopo il frate (il 3 aprile 1287), dobbiamo pensare che la sua iniziativa non solo fu uno degli ultimi atti del suo breve pontifica-to, ma fu una mossa dettata da un’urgenza non consueta, cadendo per forza di cose entro le due settimane immediatamente successive alla morte del frate, avvenuta appunto il 20 marzo di quell’anno.

Al di là dell’urgenza della decisione papale, di cui potrebbe essere interessante riuscire a cogliere i motivi, il convento domenicano senese si rivolse a quattro membri della comunità (anche questo fatto, forse, è indice dell’urgenza), i frati Recupero d’Arezzo, Aldobrandino Paparoni, Gisberto d’Alessandria e Olrado Bisdomini, perché si mettessero al la-voro e raccogliessero informazioni riguardo la biografia del confratello defunto. La Vita composta dai quattro domenicani ci è giunta nell’edi-zione degli Acta Sanctorum: i gesuiti che ne hanno curato la stampa (G. Henschens e D. Papebrock) affermavano peraltro di aver tratto il testo non tanto direttamente dallo scritto degli agiografi senesi, quanto «ex Ms. Fr. Ambrosii Taegii Conventus S. Mariae-Gratiarum Ord. Praedi-catorum Mediolani»10.

Ora, tra le molte notizie che i confratelli di Ambrogio – duecente-schi o quattrocenteschi – ci hanno tramandato, una in particolare, nella nostra prospettiva, attira l’attenzione: secondo la Vita, il frate venne chiamato a Roma dal pontefice Innocenzo IV per insegnare teologia. Così infatti riporta il testo:

Dominus Innocentius IV Pontifex maximus, qui in scientia magnus fuit, audita servi Dei Ambrosii fama, ad Episcopales dignitates eum promovere tentavit, sed vir sanctus sancta quadam resistentia omni-no eas acceptare recusavit et quia iam Theologorum scholae in Italia, et praecipue in Romana Urbe, ob proximas belli perturbationes de-fecissent, cupiens dictus Pontifex [Innocentius] Theologiae studium in melius reformare, iussit beatum virum in Urbem commorari ut

9 Acta Sanctorum, Martii, III (20 marzo), Venezia 1736, pp. 180-251.10 Ivi, p. 181. Ambrogio Tegio (Ambrosius Taegius), erudito domenicano, morì

nel 1517.

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theologiam legeret. Per triennium itaque Theologiam Romae legit, et vacationum tempore populo cum magno Praelatorum et Cardina-lium concursu gratiose praedicavit11.

Il passaggio della Vita citato a sostegno dell’ipotesi di una ‘riforma’ da parte di Innocenzo IV – qui infatti ritroviamo proprio la frase «ob belli perturbationes» e il termine “reformare” cui erano ricorsi il Taurisano e lo Zucchi – presenta tuttavia qualche aspetto di debolezza. Innanzi-tutto, non data in alcun modo l’iniziativa di Innocenzo IV e l’incarico di docenza a Roma conferito ad Ambrogio; essi andrebbero comunque posti o prima del 1244, quando il pontefice si recò a Lione, o dopo il suo rientro a Roma, nel 1251. Ma certamente, come riconosceva anche il Taurisano, dal momento che la nascita di Ambrogio va probabilmen-te posta nel 1220, una datazione del suo insegnamento romano agli anni di Innocenzo IV, in particolare alla fase iniziale del pontificato, sarebbe in ogni caso prematura: il frate avrebbe avuto 23 anni, cer-tamente pochi per aver già completato tutto il cursus studiorum e aver ottenuto la licentia docendi12.

Tuttavia, è un altro aspetto a destare le maggiori perplessità. Secon-do gli agiografi, la predicazione romana di Ambrogio, rivolta a prelati e cardinali, intendeva riprendere e fustigare le discordie tra ecclesiastici e principi cristiani, che impedivano di giungere a una serena elezione papale, provocando gravi ripercussioni sulla vita interna della Chiesa e sull’intero Occidente cristiano. Si stava infatti attraversando una lunga (haud parvo tempore) vacanza del pontificato. Ecco come si esprimono in merito i quattro domenicani:

Reprehendebat maxime praelatorum et Principum Christianorum discordias, et praecipue in summorum Pontificum creatione, prop-ter quas Apostolicam sedem haud parvo tempore vacare contigebat, cum maxima Dei offensa et gravi detrimento Ecclesiae sanctae Dei et totius reipublicae Christianae13.

Ora, la sede apostolica rimase vacante per due periodi nel corso nel XIII secolo: dal 1241 (dopo la morte di Celestino IV – Goffre-do Castiglioni) al 1243, con l’elezione proprio di Innocenzo IV, e dal

11 Ivi, p. 189.12 Già il Taurisano aveva in effetti escluso che Ambrogio avesse ricevuto l’incari-

co di insegnamento da parte di Innocenzo IV: cfr. Taurisano, L’insegnamento domenicano cit., p. 533.

13 Acta Sanctorum, Martii, III (20 marzo), p. 189.

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1268 (dopo la morte di Clemente IV – Guido Faucois) al 1271, con l’elezione di Gregorio X – Tedaldo Visconti. La datazione dell’incarico di insegnamento teologico e di predicazione conferito ad Ambrogio da Innocenzo IV mostra dunque un’evidente incongruenza, che mina l’attendibilità della notizia stessa, o almeno di una sua datazione al pon-tificato di questo papa, dopo il quale non vi fu affatto un periodo di sede papale vacante.

Il più recente profilo biografico di Ambrogio Sansedoni è dovuto alla penna di Odile Redon. La studiosa, negli anni a ridosso della sua scomparsa, si era occupata a lungo del frate predicatore, sia ricostruen-do l’ambito familiare senese che ne vide i natali, sia rinvenendo la do-cumentazione notarile, in parte già nota, che attesta le testimonianze di miracoli raccolte in vista della canonizzazione14. Pur senza sottolineare le numerose incongruenze cronologiche presenti nella Vita scritta dai confratelli di Ambrogio come riportata negli Acta Sanctorum (altre ve ne sono, infatti, oltre a quella relativa all’insegnamento e alla predicazione romana), la Redon ha datato l’incarico di docenza romana agli anni in-torno al 1260 (neppure questa data, in realtà, è coerente con un periodo di sede vacante) rifacendosi alle informazioni biografiche fornite da due eruditi domenicani, Quetif e Echard15.

In realtà, il periodo che potrebbe essere più calzante per l’inse-gnamento romano del Sansedoni, posto che sia vera la notizia di una predicazione contro le discordie che impedivano l’elezione di un nuovo pontefice, non potrebbe che cadere tra il 1268 e il 1271, a seguito di un incarico conferito da Clemente IV prima della sua morte (29 novembre

14 O. Redon, Miracles authentifiés et archivés a Sienne depuis 1287, in Notai, miracoli e culto dei santi. Pubblicità, autentificazione del sacro tra XII e XV secolo, Atti del seminario in-ternazionale, Roma, 5-7 dicembre 2002, Roma 2004 (Studi storici sul notariato italiano, 12), pp. 155-182; Ead., Costruire una famiglia nel Medioevo. Cavalieri, banchieri e un santo, in Il Palazzo Sansedoni, cur. F. Gabbrielli, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Siena 2004, pp. 19-55 (ringrazio Michele Pellegrini, dell’Università di Siena, per avermi segnalato questo contributo e per averlo messo a mia disposizione); Ead., Le bienheureux qui aimait les femmes. Ambrogio Sansedoni, in La famille, les femmes et le quotidien (XIVe - XVIIIe siècle). Textes offerts à Christiane Clapisch-Zuber, Paris 2006, pp. 239-250; Ead., Un culte civique ou familial, du XIIIe au XVIIIe siècle: Ambrogio de Sienne, in Monaci, ebrei, santi. Studi per Sofia Boesch Gajano, Atti delle Giornate di studio «Sophia kai historia» Roma, 17-19 febbraio 2005, cur. A. Volpato, Roma 2008 (Studi e ricerche. Università di Roma Tre, 16) pp. 195-223.

15 J. Questif - J. Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, Paris 1719, pp. 401-403.

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1268)16. Solo emendando il nome di Innocenzo IV in Clemente IV, in effetti, i dati relativi all’incarico di docenza e alla predicazione contro le discordie che impedivano la pacifica elezione di un nuovo pontefice tornano a quadrare, superando le incongruenze e gli anacronismi.

Ambrogio Sansedoni non fu dunque uno dei magistri delle scuole di teologia in funzione a Roma prima dell’istituzione ufficiale dello Stu-dium curiae, scuole che, come ammetteva lo stesso Creytens, certamente esistevano, così come Innocenzo IV non fu il semplice restauratore di uno Studium curiae già fondato dal suo predecessore.

II. Premesse alla fondazione

II. 1. Scuole a Roma nel XII secolo

In merito al retroterra dell’iniziativa di papa Fieschi, la pista di un Ambrogio Sansedoni maestro di teologia nel periodo anteriore al 1244/1245 si è dunque rivelata inconsistente. Di quel periodo vale tut-tavia la pena di riprendere alcuni esili fili, per comporre un quadro frammentario – perché solo di frammenti documentari si tratta – ma comunque un quadro, che mostra un disegno sì sfumato e dai contorni imprecisi, ma che tuttavia possiede una propria linea di coerenza. Si tratta di notizie in parte già molto note, ma che vale la pena riordina-re, nel tentativo di farle parlare in modo diverso. Esse sono infatti un chiaro esempio del fatto che la capacità della Chiesa di valutare il ruolo potenziale dell’istruzione superiore ai propri fini politico-religiosi non nasceva all’improvviso, ma si era costruita nel corso di diversi decenni. Insieme a questo solido zoccolo di notizie già ben conosciute e vagliate dagli studiosi, è inoltre possibile inserire nel quadro frammentario delle scuole operanti a Roma una serie di particolari, che presi singolarmente dicono assai poco, ma diventano eloquenti se si riesce a collocarli in un disegno più ampio.

Partiamo da lontano, risalendo fino alla prima metà del XII secolo. Per questo periodo (come del resto per il successivo protrarsi del se-colo), mancano notizie documentarie riguardo la generale situazione degli studi a Roma. L’indagine di Donald Boullogh dedicata alle scuo-le cattedrali in Italia, indagine che «nonostante l’età, [...] sembra una sintesi ancora funzionante»17, non riserva in effetti spazio alla situa-

16 In questo senso, cfr. anche Taurisano, L’insegnamento domenicano cit., p. 533.17 Greci, Introduzione cit., p. 10.

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zione romana, se non con qualche minimo cenno alle scholae cantorum in cui probabilmente si insegnava anche a leggere (i limiti geografici e cronologici di quella ricerca del resto non includevano l’area che ora ci interessa)18; nello stesso tempo, sembra molto difficile credere che scuole, presso una delle numerose chiese della città se non presso la cattedrale di Roma (San Giovanni in Laterano) non esistessero affatto, e qualche indizio della presenza di un sistema educativo, di base o an-che di livello superiore, si rintraccia, pur in modo indiretto, nelle fonti del tempo.

Nel tentativo di mettere a fuoco le possibili piste di indagine sulle relazioni, i nessi e i contatti tra lo Studium curiae e lo Studium Urbis della città, Carla Frova e Massimo Miglio hanno suggerito anche un percor-so “trasversale”, rilevando la necessità di prestare attenzione alla pro-duzione letteraria lasciataci da chi le scuole le frequentava, sia in quanto allievo, sia in quanto maestro19.

Questa pista, come vedremo, si è rivelata fruttuosa. Un primo esempio è quello della produzione letteraria di una particolare, ed ecce-zionale, figura della prima metà del XII secolo cresciuta in ambiente ro-mano, Nicola Maniacutia: i testi di questo fine filologo e attento tradut-tore dimostrano come le scuole della città intanto dovessero esistere, e fossero anche di un livello piuttosto alto, considerata proprio la cultura che le opere di Nicola lasciano intravedere. Questi era un chierico for-matosi nei primi decenni del XII secolo, diacono presso la basilica di San Lorenzo in Damaso, che in seguito, senz’altro dopo il 1140, diven-ne monaco cistercense presso l’abbazia delle Tre Fontane – è appunto intorno al 1140 che l’abbazia fu inglobata nell’ordine di Cîteaux. La formazione di Nicola denota in modo piuttosto chiaro la frequenza di una scuola, dove egli non solo avrebbe posto le basi per la sua passione di filologo e di critico testuale, ma avrebbe anche affinato un metodo

18 D. A. Bullough, Le scuole cattedrali e la cultura dell’Italia settentrionale prima dei Co-muni, in Vescovi e diocesi in Italia nel Medioevo (sec. IX-XIII), Atti del II Convegno di storia della Chiesa in Italia, Roma, 5-9 settembre 1961, Padova 1964, pp. 135-143, ripubblica-to in Il pragmatismo degli intellettuali cit., pp. 23-46: 24-26.

19 Frova - Miglio, «Studium Urbis» e «Studium Curiae» cit., p. 37: «Bisognerebbe studiare approfonditamente, anche sulla base della produzione letteraria di quei per-sonaggi che risultano come lettori nello Studio – e che a questo punto diventa forse la fonte principale – le condizioni in cui nello “Studium Urbis” si compie la riduzione ad unità delle due esperienze romane di insegnamento universitario».

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di tipo dialettico20. Il Libellus de corruptione et correptione psalmorum, come anche gli altri scritti di Nicola, dimostrano infatti che a Roma era attiva, nella prima metà del XII secolo, una scuola grammaticale di buon livel-lo, contrassegnata da uno sviluppato grado di organizzazione superiore – con le analisi testuali, le quaestiones da disputare o le dubitationes da risolvere, secondo il metodo dialogico e dialettico in uso anche altrove nelle scuole del tempo – e di una certa rilevanza, viva ed originale.

La presenza a Roma di una scuola di alto livello, già metodologi-camente organizzata secondo le tecniche della dialettica utilizzate an-che altrove – e pensiamo specialmente alla Francia, il territorio meglio studiato in questa prospettiva – permette di ipotizzare che essa fosse il punto (o almeno uno dei punti) di riferimento per le grandi famiglie ro-mane che vedevano nella cultura una delle vie di carriera più proficue, in particolare se si cercava una carica prestigiosa presso la curia papa-le. Come ha sottolineato Vittorio Peri, non è infatti detto, come pure si è fatto, che i giovani appartenenti ai ceti eminenti nella Roma del XII secolo fossero indirizzati esclusivamente e sempre verso le scuole d’Oltralpe, e in particolare verso Parigi, per una formazione nelle artes e in teologia: scuole per acquisire una formazione utile a un percorso di successo dovevano ben esserci nella stessa Roma, se da esse uscì un personaggio dal profilo intellettuale di Nicola Maniacutia21.

II. 2. Alessandro III: i magistri in curia

Una seconda possibile via di indagine, data dalla peculiare situa-zione di una città come Roma, è quella di prendere ad oggetto della ricerca i componenti della curia pontificia e le loro opere teologiche e giuridiche: è attorno ed entro la curia, infatti, che ruota una serie di personaggi culturalmente preparati, i cui percorsi formativi e per così dire professionali possono gettare un po’ di luce anche sulla situazione scolastica urbana. Anche in questo caso si tratta di notizie frammenta-

20 Cfr. V. Peri, “Correctores immo corruptores”. Un saggio di critica testuale nella Roma del XII secolo, «Italia medioevale e umanistica» , 20 (1977), pp. 19-125: 46-47. Vd. anche p. 81. Cfr. inoltre B. Chiesa, Filologia storica della Bibbia ebraica, II, Brescia 2002, pp. 282-297 e, per una sintesi sulla figura e l’opera, Id., Nicola Maniacutia, in Dizionario Biografico degli Italiani, 69, Roma 2007, pp. 30-32.

21 Peri, “Correctores immo corruptores” cit., p. 47: «Una figura e un’opera come quella di Nicola Maniacutia possono tuttavia moderare la convinzione che per i figli delle famiglie romane, aspiranti alle alte cariche, debba necessariamente trattarsi solo ‘di una cultura che non ci si può formare a Roma’».

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rie, ma in grado di fornire comunque elementi utili a definire meglio un quadro di per sé sfumato e certamente lacunoso.

In primo luogo, a sfondo del nostro panorama, è necessario non assolutizzare – come pure mi pare sia stato fatto in passato – un’inizia-tiva pontificia che si colloca ormai nella seconda metà del XII secolo. Nel 1178, Alessandro III richiese al suo legato in Francia, il cardinale Pietro di San Crisogono, di segnalargli il nome di chierici che potessero essere candidati al cardinalato, in quanto si distinguevano nella scientia litterarum22. La lettera del pontefice in realtà non ci è giunta: si può de-durre tuttavia il contenuto della richiesta dal tenore della risposta del cardinale Pietro, databile al luglio del 1178. Il legato infatti rispose al pontefice segnalandogli una serie di magistri attivi nelle scuole d’Oltral-pe: Pietro Manducator – ossia Pietro Comestore, il magister Historiarum, già cancelliere a Parigi fino al 1178-118023 –, il magister Gherardo Pu-cella24, che all’epoca insegnava a Parigi, Ivo, arcidiacono di Rouen, e il magister Herbertus Medecius – forse Herbert Bosham25, già segretario di Thomas Becket e suo biografo, in seguito docente a Parigi – (l’atten-zione del legato Pietro per le rive della Senna è dunque ben evidente), oltre a una serie di nomi di abati di monasteri francesi.

In più di un’occasione, l’episodio è stato preso a dimostrazione del fatto che la ricerca di persone colte, da parte della curia, fosse rivolta prevalentemente verso il territorio francese, percepito come una sorta di serbatoio da cui attingere uomini di cultura, adatti a un ruolo curiale di alto profilo26, e verso il mondo delle scuole, appunto francesi, su cui iniziava ad emergere il ruolo crescente di Parigi. In realtà, la sensi-

22 Cfr. P. Glorieux, Candidats à la pourpre en 1178, «Mélanges de science religieuse», 11 (1954), pp. 5-30. Una snella sintesi sulla questione è messa a punto da M. Rainini, Mutamenti del modello teologico e riflessi istituzionali: tra il concilio di Soissons del 1121 e il Late-ranense IV, «Divus Thomas», 108/1 (2005), pp. 108-129.

23 J. Longère, Pierre le Mangeur, in Dictionnaire de Spiritualité, XII, p. 2, Paris 1985, col. 1615. Cf. anche D. Luscombe, Peter Comestor, in The Bible in the Medieval World. Essays in Honor of Beryl Smalley, cur. K. Walsh - D. Wood, Oxford 1985, pp. 109-129.

24 Sul personaggio, cfr. C. Donahue, Pucelle, Gerard (d. 1184), in Oxford Dictionary of National Biography. Oxford 2004. Cfr. anche F. Barlow, Thomas Becket, Berkeley 1986, pp. 78; 127-135.

25 Notizie in B. Smalley, The Becket Conflict and the Schools. A Study of Intellectuals in Politics, Oxford 1973, pp. 59-86.

26 Glorieux, Candidats à la pourpre cit.; P. Classen, Studium und Gesellschaft im Mit-telalter, cur. J. Fried, Stuttgart 1983 (Schriften der Monumenta Germaniae Historica, 29), pp. 143-145; vd. anche W. Maleczek, Das Pappstum und die Anfänge der Universität im Mittelal-ter, «Römische Historische Mitteilungen», 27 (1985), pp. 85-86.

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bilità e l’attenzione verso gli ambienti intellettuali scolastici transalpini sembrano più una prerogativa del legato pontificio Pietro, piuttosto che del papa. Le scelte di Alessandro III in effetti non si orientarono, per quel che riguarda i magistri francesi chiamati in curia, sui nomi se-gnalati da Pietro in quanto insegnanti attivi nelle scuole: furono elevati al cardinalato, piuttosto, Enrico di Marcy, abate di Clairvaux27, e Odo, abate di Ourscamp28, entrambi cistercensi e rispettivamente cardinali vescovi di Albano e di Tuscolo, e Berneredus, abate di Saint-Crépin-le-Grand (Soissons), cardinale vescovo di Preneste29, considerati teologi di prestigio; l’unica eccezione sembra essere quella del magister in di-ritto, Matteo d’Angers30. Le scelte del pontefice sono certo indicative della volontà di accrescere, in curia, il numero – e il peso politico – dei magistri e di coloro che avevano alle spalle una formazione dottrinale di livello superiore, in campo giuridico e teologico, a spia del fatto che in misura sempre maggiore la curia si stava configurando come centro di potere anche intellettuale. Tuttavia, almeno per quell’occasione, va sottolineato che le scelte del papa riguardo ai magistri provenienti dai territori al di là delle Alpi diedero maggiormente spazio a personaggi legati a contesti ancora tutto sommato tradizionali, dal momento che

27 In merito, ancora valido Y. Congar, Henry de Marcy, abbé de Clairvaux, cardinal-évêque d’Albano et légat pontifical, in Analecta monastica. Textes et études sur la vie des moines au Moyen Age. Cinquième série, cur. Y. M. J. Congar - H. Farmer - R. Gelsomino - J. Leclercq - C. H. Talbot, Roma 1958 (Studia Anselmiana, 43), pp. 1-90.

28 Questi invero, prima di entrare nelle fila cistercensi, era stato un maestro affer-mato, cancelliere della scuola cattedrale di Notre-Dame a Parigi tra 1153 e il 1165 circa. In merito, cfr. L. Hödl, Die theologische Auseinandersetzung zwischen Petrus Lombardus und Odo von Ourscamp nach dem Zeugnis der frühen Quästionen- und Glossenliteratur, «Scholastik», 33 (1958), pp. 62-80; Id., Die Sentenzen des Petrus Lombardus in der Diskussione seiner Schule, in Mediaeval Commentaries in the Sentences of Peter Lombard, cur. G. R. Evans, I, Leiden 2002, pp. 25-40, e la sintesi di J. Longère, Odon de Soissons (ou d’Ourscamp), in Dictionnaire de spiritualité, 11, Paris 1982, coll. 628-631. Ringrazio Francesco Siri, dell’Università La Sapienza di Roma, per le indicazioni bibliografiche che mi ha generosamente dato. Cfr. anche L. Valente, Logique et théologie: les écoles parisiennes entre 1150 et 1220, Paris 2008, p. 30.

29 Era uno degli amici più stretti di Pietro di Celle, che gli indirizza numerose lette-re (cfr. Petrus Cellensis, Epistulae, in PL 202, nn. 93-95; 97-99; 101-102, coll. 540-554), e conosciuto anche da Giovanni di Salisbury: cfr. Letters of John of Salisbury, ed. Millor, II, n. 304 (dic. 1170), p. 722. In merito, cfr. anche J. Haseldine, Thomas Becket: Martyr, Saint - and Friend?, in Belief and Culture in the Middle Age. Studies presented to Henry Mayr-Harting, cur. R. Gameson - H. Geyser, Oxford - New York 2001, pp. 305-317: 313-314.

30 A. Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro. L’universalità del papato da Alessandro III a Bonifacio VIII, Roma 1996, p. 62.

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erano abati e religiosi, certo esperti di teologia ma, almeno nel caso di Enrico e di Berneredus, lontani dal mondo delle scuole.

Oltretutto, a ben guardare, il bacino cui Alessandro III preferì in-dirizzare la sua ricerca di “personale specializzato” per il concistoro fu non tanto quello dei magistri transalpini (furono in effetti in numero limitato, considerata la durata del suo pontificato), quanto verso magistri provenienti da territori della penisola.

Nel momento infatti in cui si prendono in esame i nomi dei prelati che Alessandro III chiamò nel collegio cardinalizio e che portavano il titolo di magister, troviamo in maggioranza personaggi provenienti dall’Italia: Raniero parvus, cardinale diacono di San Giorgio al Velabro dal 1175, era di Pavia; Lombardo, cardinale prete di San Ciriaco dal 1171, proveniva da Piacenza31; Graziano, cardinale diacono dei Santi Cosma e Damiano dal 1178, nipote di Eugenio III, era originario di Pisa32; Laborante, cardinale diacono di Santa Maria in Portico dal 1173, poi di S. Maria in Trastevere dal 1179, era nato nei pressi di Firenze33; Viviano, cardinale diacono di San Nicola in Carcere Tulliano dal 1175, era arcidiacono di Orvieto34.

Rimane da chiedersi se questi cinque magistri fossero italici solo per provenienza, o anche per formazione e per una specifica attività di insegnamento nelle scuole della penisola. In qualche sporadico caso, siamo a conoscenza di una formazione avvenuta almeno in parte in Francia (Laborante, ad esempio, aveva studiato teologia in Francia, alla scuola di Gilberto di Poitiers, e in seguito diritto a Bologna); per gli

31 Cfr. F. Panarelli, Lombardo da Piacenza, in Dizionario Biografico degli Italiani, 65, Roma 2005, pp. 498-499. Canonista, fu per un periodo (tra il 1164 e il 1169) in Francia, in contatto con Thomas Becket.

32 Cfr. T. di Carpegna Falconieri, Graziano da Pisa, in Dizionario Biografico degli Italia-ni, 59, Roma 2002, pp. 7-9; maestro in diritto, studiò a Bologna con Stefano di Tournai. Non è da confondere con il Graziano autore del Decretum.

33 Cfr. L. Loschiavo, Laborante, in Dizionario Biografico degli Italiani, 62, Roma 2004, pp. 798-800. Avrebbe studiato teologia in Francia, alla scuola di Gilberto di Poitiers, e in seguito diritto a Bologna.

34 Riguardo a tutti questi personaggi, oltre alle voci e agli eventuali aggiornamenti in Dizionario Biografico degli Italiani, cfr. il volume prosopografico di W. Maleczek, Papst und Kardinals-Kolleg von 1191 bis 1216, Wien 1984, p. 247, nota 273, e ad indicem. Erano magistri d’Oltralpe, creati cardinali da Alessandro III, il tedesco Corrado, arcivescovo di Magonza, cardinale vescovo di Sabina, e Matteo d’Angers, maestro di diritto; di Ermanno, dal 1159 domini papae subdiaconus et scriptor, poi S. R. E. subdiaconus et notarius, cardinale diacono di S. Angelo dal 1165, cardinale prete di S. Susanna dal 1166, non si conosce la provenienza.

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altri, possiamo invece ipotizzare che la loro formazione fosse avvenuta presso le scuole delle città di origine (città in cui era attiva una scuola cattedrale), ma anche immaginare una certa itineranza nell’ambito della penisola, o anche all’“estero”, ma privi, per quanto ne sappiamo, di un’esperienza di insegnamento in scuole d’Oltralpe.

Dunque: ad accedere al collegio cardinalizio sotto Alessandro III furono magistri in prevalenza italici, di formazione sostanzialmente itali-ca, di cui non conosciamo alcuna attività di insegnamento lontano dalla penisola; se di “stranieri” si trattava, i casi documentati si orientano maggiormente verso teologi appartenenti a ordini monastici o abati di rinomati monasteri, più che verso esponenti di scuole cattedrali france-si o più specificamente parigine.

II. 3. Il concilio lateranense III

Contemporaneamente alla crescita del profilo intellettuale della curia quale elemento fondamentale dell’acquisizione della plenitudo po-testatis cui mirava il papato, cresceva anche, come diretta conseguenza, l’attenzione al mondo delle scuole da un punto di vista istituzionale, con una politica sempre più attenta e scaltrita nei suoi confronti. Non pare infatti una semplice coincidenza il fatto che a un maggior numero di magistri nel collegio cardinalizio coincida una nuova attenzione verso l’insegnamento, dimostrata dal concilio generale celebrato al termine del lungo scisma durante il pontificato di Alessandro III. Nel concilio lateranense III, nel 1179, si presero in effetti importanti decisioni in ordine a una attenta diffusione della cultura: come recita il canone 5 De magistris35, ogni diocesi era tenuta ad avere, presso la cattedrale, una scuola, in cui il maestro impartisse gratuitamente le sue lezioni sia ai chierici sia agli scholares poveri; al docente dovevano essere assicurati benefici che dessero entrate sufficienti al suo mantenimento. Si sanci-va così, a corollario della lotta contro la simonia, il fatto che anche la scientia è un dono di Dio, che non poteva essere venduto36; nello stesso tempo, si tentava di raggiungere una capillare presenza di scuole in

35 Concilio Lateranenese III (1179), can. 18 (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cur. J. Alberigo et al., Bologna 19733, p. 220; in seguito: COD): «Per unamquamque eccle-siam cathedralem magistro, qui clericos eiusdem ecclesiae et scholares pauperes gratis doceat, competens aliquod beneficium assignetur, quo docentis necessitas sublevetur et discentibus via pateat ad doctrinam».

36 Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro cit., p. 200.

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tutto l’Occidente latino, attraverso la richiesta che ogni diocesi provve-desse all’istruzione dei propri chierici. E ci si potrebbe anche chiedere se in tale iniziativa avesse giocato un peso il fatto che la maggioranza dei magistri cardinali fosse di provenienza italica: proprio nei territori della penisola si doveva sentire la necessità di una maggiore diffusione delle scuole cattedrali e dunque della cultura, anche teologica, rispetto ad esempio ai territori della Francia, dove le scuole erano certamente presenti sul territorio in misura più capillare.

II. 4. Magistri in curia sotto Lucio III, Clemente III e Celestino III

Gli indirizzi delle scelte di Alessandro III riguardo ai cardinali magi-stri furono confermate dai suoi successori: Lucio III creò complessiva-mente quindici cardinali, di cui nove sono attestati nei documenti con il titolo di magister: troviamo Albino, cardinale diacono di Santa Maria Nova, cardinale prete di Santa Croce in Gerusalemme, poi cardinale vescovo di Albano (proveniva forse dalla canonica di Santa Maria di Crescenzago, vicino a Milano, e apparteneva forse al ramo pisano della famiglia Caetani, o ancora in forma dubitativa, proveniva da Gaeta37); Melior, cardinale prete dei Santi Giovanni e Paolo dal 1185, proveniva da Pisa, ma aveva avuto anche molti trascorsi in Francia, sia a Laon, sia a Reims38; Pandolfo, cardinale prete dei XII Apostoli dal 1182, era na-tivo di Lucca; Pietro Dianus, cardinale diacono di San Nicola in Carcere Tulliano dal 1185, poi cardinale prete di Santa Cecilia dal 1188, prove-niva da Piacenza; Soffredo, cardinale diacono di S. Maria in Vialata dal 1182, cardinale prete di Santa Prassede dal 1193, era nato a Pistoia; Ge-rardo, cardinale diacono di Sant’Adriano dal 1182, proveniva da Lucca; Rolando, cardinale diacono di Santa Maria in Portico dal 1185, era forse pisano; Uberto Crivelli, cardinale prete di S. Lorenzo in Damaso dal 1182, era milanese (nel 1185 arcivescovo di Milano prima di divenire pontefice con il nome di Urbano III); ad essi si aggiunge Rodolfo Ni-gellus, cardinale diacono di San Giorgio al Velabro dal 1185, cardinale

37 Cfr. V. Fenicchia, Albino di Albano, in Dizionario Biografico degli Italiani, 2, Roma 1960, p. 12, che lo dice nato a Milano; ma vd. il più recente e molto informato Y. R. Blumenthal, Cardinal Albinus of Albano and the «Digesta pauperis scolaris Albini». Ms. Ottob. lat. 3057, «Archivum Historiae Pontificiae», 20 (1982), pp. 7-49: 19-20.

38 Cfr. F. Roversi Monaco, Migliore da Pisa, in Dizionario Biografico degli Italiani, 74, Roma 2010, pp. 381-383; era stato arcidiacono della cattedrale di Laon.

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prete di Santa Prassede dal 118839. Di questi nove, dunque, otto sono sicuramente di provenienza italica; solo del nono, Rodolfo, non è nota invece la provenienza.

Così ancora sotto Clemente III: questo papa chiamò a far parte del collegio cardinalizio i magistri Lotario de Comitibus Signae, cardinale diacono dei Santi Sergio e Bacco dal 1190 (il futuro Innocenzo III), Iohannes Felix, cardinale diacono di Sant’Eustachio dal 1188, cardina-le prete di Santa Susanna dal 1189, di provenienza romana40; Egidio, cardinale diacono di San Nicola in Carcere Tulliano dal 1190, nativo di Anagni; Cinzio, cardinale prete di San Lorenzo in Lucina dal 1191, anch’egli romano; Giovanni Salernitano, monaco di Montecassino, car-dinale prete di Santo Stefano in Celiomonte dal 1190, nativo di Saler-no41. Cinque cardinali magistri, dunque, tutti dei territori della penisola; di questi cinque, ben quattro, e si tratta di un dato nuovo e di notevole interesse nella nostra prospettiva, provenivano da Roma o da zone del Patrimonium, comunque assai vicine a Roma.

Sotto Celestino III le cose non cambiarono: dei pochi cardinali da lui creati, i due che portavano il titolo di magister erano entrambi italici. Troviamo infatti Fidanzio, cardinale prete di San Marcello dal 1193, canonico di Civita Castellana, e Pietro Capuano, cardinale diacono di Santa Maria in Via Lata nel 1193, cardinale prete di San Marcello dal 1200, appartenente a una nobile famiglia di Amalfi42.

Ma anche Innocenzo III, cui pure, in genere, si attribuisce una gran-de attenzione per il mondo scolastico parigino, non mutò la politica dei suoi predecessori in merito alla scelta dei nuovi cardinali: dei tredici cardinali con il titolo di magister entrati a far parte del concistoro sotto il suo pontificato, dieci sono certamente di provenienza dalle varie zone della penisola. Abbiamo infatti Giovanni de Columpna, magister, cardi-nale diacono di Santi Cosma e Damiano dal 1206, poi cardinale prete di Santa Prassede dal 1217, romano; Gregorio de Crescentio, cardinale

39 In merito ai profili biografici di tutti i cardinali sopra citati, cfr. Maleczek, Papst und Kardinals-Kolleg cit., p. 248, nota 280 e ad indicem.

40 Questi aveva studiato a Parigi: cfr. W. Maleczek, Pietro Capuano, patrizio amalfita-no, cardinale, legato alla Quarta Crociata, teologo († 1214), cur. F. Delle Donne, Amalfi 1997 (ed. or. Wien 1988), p. 34-35.

41 In merito a questi personaggi, vd. Maleczek, Papst und Kardinals-Kolleg cit., p. 248, nota 281. Per Giovanni Salernitano, cfr. S. Raveggi, Giovanni da Salerno, in Dizionario Biografico degli Italiani, 56, Roma 2001, pp. 202-204. Aveva studiato diritto a Bologna.

42 Ivi, pp. 111-124.

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diacono di San Teodoro dal 1216, forse magister – aveva comunque stu-diato a Parigi – anch’egli appartenente a un’importante famiglia roma-na; Romano, cardinale diacono di Sant’Angelo dal 1216, eletto di Porto nel 1231, cardinale vescovo di Porto e di Santa Rufina dal 1236, che secondo Ruggero di Wendover aveva il titolo di magister, forse anch’egli romano – di nome e di fatto –; Ugo, dei Conti di Segni, cardinale diaco-no di Sant’Eustachio dal 1198, poi cardinale vescovo di Ostia e Velletri dal 1206 (infine papa Gregorio IX), proveniente da Anagni; Giovanni, cardinale diacono di Santa Maria in Via Lata dal 1204, cardinale prete di Santa Prassede dal 1212, forse magister, nativo di Ferentino43; Raniero (poi sarà detto Capocci), cardinale diacono di Santa Maria in Cosmedin dal 1216, proveniva da Viterbo44; Pietro Collivaccinus, cardinale diacono di Santa Maria di Aquiro dal 1212, cardinale prete di San Lorenzo in Damaso dal 1216, cardinale vescovo di Sabina dal 1217, proveniva da Benevento (aveva studiato e insegnato diritto a Bologna); Tommaso de Ebulo, eletto di Napoli nel 1215, cardinale diacono di Santa Maria in Vialata nel 1216, cardinale prete di Santa Sabina dal 1216, apparteneva a una famiglia di Capua; Guala Bicchieri, cardinale diacono di Santa Maria in Portico dal 1204, cardinale prete di San Martino dal 1211, defi-nito iuris peritus et civilis et legis doctrina maximus inter magnos (aveva studiato forse a Bologna), proveniva da Vercelli45; Uberto de Pirovano, cardi-nale diacono di Sant’Angelo nel 1206, arcivescovo di Milano dal 1206, magister e theologus (formatosi a quanto sembra a Parigi), era appunto milanese46. Dunque tre cardinali romani, tre dei territori nelle vicinanze (Anagni, Ferentino, Viterbo), cui si aggiunge uno proveniente dall’en-clave pontificia di Benevento, e uno dal Regno di Sicilia (Capua); due infine sono i cardinali provenienti da città centro-settentrionali, in una percentuale dunque decisamente invertita rispetto a qualche decennio prima, quando i cardinali magistri provenienti dal Centro-Nord erano la buona maggioranza se non la totalità.

Tra i magistri che Innocenzo chiamò nel collegio cardinalizio sono in realtà solo due quelli provenienti da territori al di là delle Alpi: Ste-

43 Cfr. L. Gaffuri, Giovanni da Ferentino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 56, Roma 2001, pp. 25-27.

44 In merito, N. Kamp, Capocci, Raniero, in Dizionario Biografico degli Italiani, 18, Roma 1975, pp. 608-616. Avrebbe studiato retorica alla scuola di Tommaso di Capua.

45 Cfr. C. D. Fonseca, Bicchieri, Guala, in Dizionario Biografico degli Italiani, 10, Roma 1968, pp. 314-324. Studiò a Vercelli, poi forse a Bologna.

46 Sui diversi personaggi, cfr. Maleczek, Papst und Kardinals-Kolleg cit., ad indicem.

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fano Langton, cardinale prete di San Crisogono nel 1206, eletto arcive-scovo di Canterbury alla fine dello stesso anno, consacrato a Viterbo nel giugno 1207, e Roberto di Courson, cardinale prete di Santo Ste-fano in Celiomonte dal 1212, entrambi inglesi, ma formatisi a Parigi e a Parigi maestri affermati47. Infine, solo in un caso, quello di Ruggero, cardinale diacono di Santa Maria in Domnica dal 1204, cardinale prete di S. Anastasia dal 1205, chiamato magister in una lettera di Gregorio, abate del monastero benedettino di SS. Trinità in Monte Sacro sul Gar-gano, si ignora la provenienza.

II. 5. Il concilio lateranense IV

Come in molti altri campi, anche la politica culturale, nel senso più ampio del termine, condotta da Innocenzo III a partire dalla sua ele-zione al soglio papale prosegue e radica le scelte e le linee già abbozzate da Alessandro III.

Secondo quanto era già avvenuto quattro decenni prima, anche con il concilio lateranense IV infatti l’orientamento della curia a favore del mondo delle scuole trovò modo di esprimersi e di ribadire l’importanza che esso aveva per la politica papale. Nel canone XI del concilio, gli estensori vollero ripetere le prescrizioni del 1179, in quanto in molte diocesi non si era in realtà provveduto all’istituzione di un scuola; si cercò inoltre di imprimere, a queste linee direttive, una maggiore at-tenzione anche agli studi di tipo superiore, quindi in particolare agli studi teologici, con la prescrizione che ogni sede metropolitica istituisse presso la cattedrale una scuola di teologia, con un teologo che istruisse i chierici sulla parola di Dio; il teologo doveva ricevere una prebenda, senza che questo significasse che egli dovesse entrare a far parte del capitolo; piuttosto, la dipendenza dalla cattedrale durava il tempo del suo insegnamento presso di essa. Alle singole diocesi rimaneva la com-petenza di istituire le scuole di livello inferiore48.

47 Ivi, pp. 125-203. Sulla figura del primo, quale maestro, teologo, cardinale, arci-vescovo, cfr. ora il volume collettivo Étienne Langton prédicateur, bibliste, théologien, Études réunies par Loius-Jacques Bataillon † , Nicole Bériou, Gilbert Dahan et Riccardo Quinto, Turn-hout 2010 (Bibliothèque d’histoire culturelle du Moyen Âge, 9).

48 Concilio lateranense IV (1215), can. 11 De magistris scolarum (COD p. 240): «Quia nonnullis propter inopiam et legendi studium et opportunitas proficiendi subtrahitur, in Lateranensi concilio pia fuit institutione provisum, ut ‘per unamquamque cathedra-lem [...] ad doctrinam’. Verum quoniam in multis ecclesiis id minime observatur, nos praedictum roborantes statutum, adicimus ut non solum in qualibet cathedrali ecclesia

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Anche nel 1215, è molto probabile che la volontà di intervento a favore di un più ampio e profondo radicamento delle strutture scola-stiche nella vita delle diocesi e una serie di accorgimenti per facilitare il pagamento dei maestri fossero una diretta conseguenza della sempre maggiore e più rilevante presenza di maestri all’interno del collegio car-dinalizio: in altri campi, sono ben riconoscibili l’intervento e le linee strategiche dettate da singoli cardinali nei canoni finali del concilio49.

III. Scuole legate alla curia?

A questo punto possiamo domandarci se questa analisi, che mette in risalto il peso che la formazione superiore, in campo giuridico e teologico, ebbe a Roma, in curia, a partire almeno dalla seconda metà del XII secolo, abbia davvero qualche significato per una storia dell’in-segnamento della teologia e del diritto a Roma.

Al momento, abbiamo sottolineato tre fenomeni. Da un lato, la più volte richiamata crescita del numero di cardinali in possesso del titolo di magister all’interno del collegio; la significativa presenza di magistri provenienti dal territorio italico; tra questi, la crescita degli esponenti di famiglie romane, inizialmente assenti o quasi, di fronte a cardinali pro-venienti in misura preponderante dalle città dell’Italia centro-setten-trionale: a partire dal pontificato di Clemente III (egli stesso romano)

sed etiam in aliis, quarum sufficere poterunt facultates, constituatur magister idoneus a praelato, cum capitulo seu maiori ac saniori parte capituli eligendus, qui clericos eccle-siarum ipsarum et aliarum gratis in grammaticae facultate ac aliis instruat iuxta posse. Sane metropolitana ecclesia theologum nihilominus habeat, qui sacerdotes et alios in sacra pagina doceat et in his praesertim informet, quae ad curam animarum spec-tare noscuntur. Assignetur autem cuilibet magistrorum a capitulo unius praebendae proventus, et pro theologo a metropolitano tantundem, non quod per hoc efficiatur canonicus, sed tamdiu redditus ipsius percipiat, quamdiu perstiterit in docendo. Quod si forte de duobus magistris metropolitana ecclesia gravetur, theologo iuxta modum praedictum ipsa provideat, grammatico vero in alia ecclesia suae civitatis sive dioecesis, quod sufficere valeat, faciat provideri». Le ricadute del canone 11 a livello locale sono studiate solo per l’ambito tedesco: cfr. P. P. Pixton, Pope Innocent III and the German Schools: the impact of Canon 11 of the Fourth Lateran Council upon the cathedral and other schools 1216-1272, in Innocenzo III. Urbs et Orbis. Atti del Congresso Internazionale, Roma, 9-15 settembre 1998, cur. A. Sommerlechner, II, Roma 2003 (Nuovi studi storici, 55), pp. 101-132.

49 J. W. Baldwin, The Intellectual Preparation for the Canon of 1215 against Ordeals, «Speculum», 36 (1961), pp. 613-666 e Id., Paris et Rome en 1215: les réformes du IVe Concile de Latran, «Journal des Savants » (1997), pp. 99-124.

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i magistri provenienti da Roma o dal Patrimonium acquistano un certo peso, confermato poi dalle scelte di Innocenzo III.

Ora, certamente i magistri attivi in curia erano interessati al mondo delle scuole, e – lo abbiamo visto – presumibilmente si deve alle loro direttive l’attenzione che i due concili lateranensi del 1179 e del 1215 dedicarono appunto all’universo scolastico; diverso è invece il discorso relativo a un loro diretto coinvolgimento, in qualità di insegnanti, nelle scuole che proprio a partire dai due concili si vollero far nascere o quantomeno irrobustire.

Sappiamo che il titolo di magister da un lato non indicava necessa-riamente una formazione teologica, in quanto in realtà poteva essere indice di una carriera anche in ambito giuridico (erano canonisti, tra gli altri, i cardinali Alberto, Graziano, Laborante, Guala Bicchieri) o, più semplicemente, di una carriera curiale ad alti livelli, che comun-que non escludeva necessariamente una certa preparazione teologica50; dall’altro non era detto che fosse indice per forza di cose di un’attività di insegnamento che coinvolgesse personalmente i personaggi che si fregiavano di tale titolo. Poteva indicare, forse, il conseguimento di una licentia docendi, ma altro è parlare di licentia, altro di esercizio attivo della professione di insegnante51.

Ora, se per alcuni cardinali italiani conosciamo almeno in parte la formazione e la “carriera accademica”, per molti altri invece le fonti sono avare di notizie, lasciando nell’ombra il cursus studiorum e l’even-tuale attività di insegnamento, che pure il titolo di magister potrebbe indicare. Diversi tra i personaggi che abbiamo nominato provenivano, lo abbiamo visto, da diocesi dell’Italia centro-settentrionale, in cui vi era certamente una scuola cattedrale, anche di fama (è il caso di Lucca, di Milano, di Pavia...).

Per Roma, abbiamo già accennato che non è da escludere che vi fosse una scuola di insegnamento superiore di buon livello, considerata la formazione anche dialettica del diacono Nicola Maniacutia, e che non è necessario ipotizzare per tutti i cardinali magistri di origine roma-na una formazione acquisita solo Oltralpe, nelle rinomate scuole catte-

50 È il caso, ad esempio, del magister Michael, notarius domini papae, che scrive un testo teologico, il Liber de dulia et latria (dedicato alla questione del culto dovuto all’umanità di Cristo), che volle dedicare al cardinale Albino di Albano (in data dunque successiva al 1189). Cfr. Blumenthal, Cardinal Albinus cit., pp. 32-33.

51 Cfr. Maleczek, Pietro Capuano cit., pp. 35-36 e note corrispondenti.

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drali francesi o a Parigi: se per alcuni casi di cardinali, di Roma o del suo territorio, sappiamo infatti che studiarono a Parigi o in Francia e che con esse mantennero buoni legami (Lotario dei Conti di Segni, Iohannes Felix, Gregorio de Crescentio, Ugo dei Conti di Segni), per gli altri pos-siamo anche ipotizzare una formazione e forse anche un insegnamento a Roma, secondo quanto il titolo di magister potrebbe indicare52.

Prima di verificare nelle fonti come questa ipotesi possa trovare almeno parziali conferme, è necessario sottolineare un ulteriore aspetto che la “professione” di magister spesso implicava: si tratta dell’attività di predicazione. Per molti magistri di questo periodo, infatti, troviamo atte-stato l’abbinamento di insegnamento e predicazione, come attività com-plementari, sia perché i maestri di teologia erano tenuti quotidianamen-te a commentare passi biblici ai loro scolari, sia perché spesso venivano affidate loro anche incombenze pastorali. È pertanto possibile che, nei casi in cui per un cardinale si parla di predicazione, questo implichi che possa trattarsi di un’indicazione per un’attività di insegnamento, svolta parallelamente a un’attività di pastorale nei confronti dei fedeli.

IV. Cardinali insegnanti

Indicazioni contenute sia nelle notizie biografiche di alcuni maestri di teologia, sia nelle loro opere – e in particolare nei Prologhi che aprono tali opere – ci segnalano che, in particolare tra le fila dei cardinali attivi in curia tra la fine del XII e i primi decenni del XIII secolo, alcuni magi-stri insigniti della carica cardinalizia si dedicarono effettivamente anche alla didattica.

IV. 1. Albino, cardinale di Albano

Il primo cardinale, in ordine di tempo, di cui possediamo qual-che frammentaria notizia riguardo a un ruolo di insegnamento, forse teologico, è Albino, cardinale di Albano fino al 1196/7. È egli stesso ad affermare di aver svolto qualche forma di docenza, anche se non è esplicito né riguardo al luogo, né riguardo al tempo in cui avrebbe tenuto le sue lezioni: nel Prologo dei suoi Eglogarum digesta pauperis scola-ris Albini afferma infatti non solo di aver studiato, ma anche di avere insegnato («[...] indoctus docens et inexpertus expertos presumptuose

52 Sottolinea l’importanza degli studi in terra aliena Maleczek, Pietro Capuano cit., p. 36.

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facere gliscens [...]»53). Fin dal 1186, in effetti, compare con il titolo di magister54. Inoltre, già con la sua figura troviamo l’abbinamento, lo abbiamo accennato, tra insegnamento della teologia e la predicazione. Sappiamo infatti che Michael, anch’egli magister, che in curia svolgeva il ruolo di notarius, elaborò un breve testo teologico, intitolato Liber de dulia et latria, che volle dedicare proprio al cardinale Albino. L’autore, all’inizio del suo scritto, dichiara di averlo composto per poter essere di qualche utilità ad Albino, in quanto questi aveva ricevuto l’incarico di predicare a Roma. Il mittente infatti gli si rivolge dicendo:

Incipit prologus libri Magistri Michaelis, notarii domini papae, de du-lia et latria. Reverendo patri et domino Albino, Albanesi episcopo, domini pape uicario, Michael, notarius domini pape, hoc compen-dium salutare.

Nuper ab officio notandi uacans in Sacro Triduo Septimane pe-nose quedam de latria et dulia que tempori et loco necessaria occur-runt (et) in locis multis legi possunt que respersa sub quodam com-pendio colligere studui et uobis, quibus datum est offitium predican-di, si qua hic utilia uideritis ea tempore opportuno Romanis ciuibus et aliis intimetis55.

Siamo certamente ancora alla fine del XII secolo, dal momento che Albino si spense probabilmente tra il 1196 e il 1197: la sua ultima sottoscrizione in documenti pontifici cade il 9 luglio 1196. Inoltre, il fatto che il magister Michael si rivolga ad Albino chiamandolo cardinale di Albano, riporta il suo breve compendium al periodo compreso tra il maggio 1189 (quando appunto Albino divenne cardinale vescovo di Albano) e il 9 luglio 1196. Come cardinale, fu presente in curia, sotto-scrivendo i documenti che da essa uscivano, dal 20 aprile del 1191 al 23 maggio dell’anno seguente; poi ancora dal 3 agosto di quell’anno fino al 9 luglio 1196.

La materia del trattato, e dunque della possibile predicazione di Albino, cui Michael intendeva essere di aiuto, farebbero pensare ad una predicazione di taglio teologico, e dunque a una particolare tipologia

53 Il Prologo dei Digesta è edito in Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, ed. P. Fabre - L. Duchesne, II, Paris 1910 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, 2e série), pp. 86-89.

54 In un documento del 29 giugno 1186, rilasciato a Verona, dove allora si trovava la curia di Urbano III: cfr. Blumenthal, Cardinal Albinus cit. pp. 20-21.

55 Ivi, p. 32. Cfr. l’edizione del testo, in N. M. Häring, «Liber de dulia et latria» of Master Michael, Papal Notary, «Mediaeval Studies», 33 (1971), pp. 188-200.

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di pubblico, almeno in parte avvezzo a certi temi teologici. Ci si può chiedere infine se il ruolo di magister di teologia e quello di predicatore potessero essere stati contemporanei e che dunque l’insegnamento di Albino si svolgesse a Roma, parallelamente al suo ufficium predicandi56.

IV. 2. Pietro Capuano

Se le notizie riguardo al cardinale Albino sono molto confuse e non ci danno, circa la possibilità di un suo insegnamento a Roma, alcuna notizia certa, più significativo si fa il caso di un secondo cardinale attivo in curia a cavallo tra XII e XIII secolo.

Si tratta di Pietro Capuano - detto “il vecchio” per distinguerlo da un omonimo parente, vissuto in pieno XIII secolo - originario di Amalfi e chiamato in curia dapprima come cardinale diacono di Santa Maria in Via Lata nel 1193, poi come cardinale prete di San Marcello dal 1200. Il suo profilo biografico e la sua intensa attività in curia gli hanno meritato una monografia, in quanto si tratta di un personaggio chiave per le questioni di ordine politico-religioso di quel periodo57. In particolare, centrale (anche se alla fine perdente) fu il suo ruolo nella IV crociata, dal momento che fu coinvolto sia nella ben nota devia-zione di Zara sia nella successiva conquista latina di Costantinopoli. L’attento e puntuale studio di Werner Maleczek, peraltro, ha lasciato di proposito da parte il ruolo giocato da Pietro Capuano da un punto di vista intellettuale e teologico, quale autore di una summa e di un’ampia raccolta di distinctiones (comprende 1133 voci), intitolata Alphabetum in artem sermocinandi58.

Pietro aveva studiato teologia a Parigi, e sembra avesse anch’egli fatto parte del cosiddetto “circolo” di Pietro Cantore, un gruppo di chierici, maestri e allievi in stretto rapporto con il Cantor Parisiensis verso

56 L’ufficium predicationis nei confronti dei Romani cives (cfr. la citazione riportata so-pra) svolto da Albino pare in connessione con il suo ruolo di vicarius domini papae (ossia di vicarius Urbis): questi era il governatore ecclesiastico di Roma che, essendo spesso un cardinale vescovo, sostituiva il pontefice nella cura spirituale della città e nella guida del clero diocesano. In merito, cfr. T. di Carpegna Falconieri, Il clero di Roma nel medioevo. Istituzioni e politica cittadina, Roma 2002, p. 80.

57 Maleczek, Pietro Capuano cit.58 Lo studioso dedica comunque un capitolo alle notizie relative all’opera teologi-

ca di Pietro: cfr. ivi, pp. 255-276. In merito, cfr. anche Valente, Logique et théologie cit., pp. 32-33, e la bibliografia sul personaggio e sulla Summa qui indicata.

203L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA

gli anni ’80 del secolo59; nella città della Senna era stato discepolo di Pietro di Poitiers e/o di Stefano Langton60, e a Parigi aveva forse anche insegnato: la sua Summa ‘Vetustissima veterum’ – un genere letterario che in genere presuppone un’esperienza di insegnamento da parte dell’au-tore – è anteriore al 1193, dal momento che nella lettera dedicatoria non compare il titolo di cardinale, ma solamente quello di maestro («Petrus, licet indignus magister dictus»61); inoltre, poiché l’opera è dedicata a Gualtiero, arcivescovo di Palermo appunto fino al 119062, la sua stesura va anticipata a una data anteriore appunto al 1190.

Tuttavia, è anche vero che non conosciamo esattamente la data del rientro di Pietro in Italia da Parigi: l’unico dato certo di questo periodo è che nel 1193 fu nominato cardinale e che pertanto da allora fu con certezza a Roma, per diversi periodi, a seconda degli impegni che in qualità di legato gli furono assegnati. Quindi, a rigore, potrebbe anche essere che, dopo aver studiato a Parigi sotto Pietro di Poitiers (cancel-liere di Notre Dame dal 1169) e Stefano Langton (che iniziò il suo inse-gnamento verso la metà degli anni ’7063), Pietro fosse rientrato in Italia anteriormente al 1190, qui avesse già insegnato per un periodo – dove, non lo sappiamo – e avesse composto la sua prima opera, la Summa

59 J. W. Baldwin, Masters, Princes and Merchants. The Social Views of Peter the Chanter and His Circle, 2 voll., Princeton 1970.

60 R. Quinto, Bonté divine, toute-puissance divine et existence du mal: la discussion autour d’Augustin, Ench. 24-26 d’Anselme de Laon à Étienne Langton, in Réceptions des Pères et de leurs écrits au Moyen Âge. Le devenir de la tradition ecclésiale, Actes du Congrès de la Société inter-nationale pour l’Étude de la Théologie médiévale, Paris 11-14 juin 2008, éd. M. Fédou, Münster (Archa Verbi, Subsidia) (Annexe: Étienne Langton et Petrus Capuanus), in corso di stampa (ringrazio l’autore per aver messo a mia disposizione il testo prima della pubblicazione). La dipendenza tra i due teologi (e nello specifico di Pietro da Stefano) è confermata da una serie di passi presenti nella Summa del Capuano, che sembrano deri-vare da quanto espresso dal Langton nelle sue Questiones theologiae, come sta emergendo dal lavoro di edizione (ormai in fase avanzata per l’edizione del l. I) portato avanti dal prof. Riccardo Quinto e la sua equipe.

61 Cfr. Petrus Capuanus, Summa ‘Vetustissima veterum’, Epistula, in C. Pioppi, La dottrina sui nomi essenziali di Dio nella Summa Theologiae di Pietro Capuano. Edizione critica delle quaestiones I-XXIV, Roma 2003 (Dissertationes, Series teologica, 14), p. 87.

62 Così Maleczek, Pietro Capuano cit., p. 256. 63 Cfr. M. Clark, Peter Comestor and Stephen Langton: master and student, and co-makers

of the Historia Scholastica, «Medioevo», 35 (2010), pp. 123-149: 123-125; cfr. anche nota 10 («For my purposes, however, it is sufficient to know for certain that Langton was already teaching on theology at Paris in the mid-1170s»).

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‘Vetustissima veterum’, dedicandola all’arcivescovo Gualtiero prima della sua morte, avvenuta nel 119064.

Dal nostro punto di vista, comunque, si rivela più significativa una sua seconda opera, l’Alphabetum in artem sermocinandi. Questa è una sorta di dizionario biblico, che raccoglie nomi e lemmi scritturistici e ne dà i significati esegetici secondo i quattro tradizionali sensi della Scrittura. Si tratta di un genere letterario che tra la fine del XII secolo e l’inizio del successivo, sulla scia delle distinctiones raccolte da Pietro Cantore e intitolate Distinctiones Abel, o Summa “Abel” (dal primo lemma del-la raccolta), riscosse molto successo quale strumento di lavoro per i predicatori, come lascia intuire il titolo del lavoro del Capuano: offri-va infatti in modo rapido e funzionale indicazioni e suggerimenti per l’interpretazione di passi biblici ed evangelici, in base ai singoli lemmi contenuti nella Scrittura. Proprio quest’opera, che raccolse un discreto successo tra i contemporanei, tanto da stimolare imitazioni65 e da avere una tradizione manoscritta abbastanza ampia (costituita da almeno 29 testimoni noti più un certo numero di perduti66), ci fornisce alcuni in-dizi riguardo l’attività scolastica di Pietro. All’inizio del suo Alphabetum, infatti, è lo stesso autore a parlare di un’attività di insegnamento da lui svolta. Si rivolge infatti ai viri scolastici, cui dedica il suo scritto; il testo inizia poi con le parole, assai eloquenti:

Responsio magistri Petri facta scolaribus in ipsis scolis insistentibus pro presenti opere inchoando: Parvuli petierunt panem et non erat qui frangeret eis (Lam. 4, 4)67.

Appare dunque chiaro che Pietro aveva ricoperto il ruolo di magister nel senso più pieno del termine, non solo come titolo onorifico ma in

64 Una parte della Summa è edita in Petrus Capuanus, Summa‘Vetustissima veterum’ cit. A favore di una composizione in Italia pesa anche la tradizione manoscritta della Summa: dei nove codici ancora conservati, due sono alla Vaticana, due a Montecassino, uno a Todi, mentre uno solo è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi (gli altri sono a Monaco di Baviera, a Admont e a Melk).

65 È il caso delle distinctiones raccolte da Durando di Huesca, compagno di Valdo di Lione, poi rientrato nell’ortodossia e posto a capo dei Poveri Cattolici. La sua raccolta, in versi, è dedicata appunto a Pietro Capuano e si rifà al modello del dotto cardinale. In merito, cfr. M. A. Rouse - R. H. Rouse, The schools and the Waldensians: a new work by Durand of Huesca, in Christendom and its discontents. Exclusion, persecution, and rebellion, 1000-1500, ed. S. L. Waugh - P. D. Diehl, Cambridge, 1996, p. 86-111.

66 Maleczek, Pietro Capuano cit., pp. 267-274.67 Ivi, p. 274.

205L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA

quanto effettivo maestro di teologia in una scuola, e che stese la sua raccolta di distinctiones proprio su richiesta dei suoi discepoli.

Il prologo ci fornisce qualche ulteriore dettaglio. Così scrive infatti il Capuano:

Dilectis plurimum et diligendis semper in visceribus Iesu Christi ve-nerando clero Romano et viris scolasticis, prophetarum filiis, epu-lantibus in domo calvi Elysei pulmentum et vase fictili, Petrus divina permissione sancte Romane ecclesie cardinalis indignus [...]»68.

Siamo certamente in data posteriore al periodo parigino, in quanto Pietro riporta il suo titolo cardinalizio, ottenuto nel 1193: fu Celestino III a nominarlo cardinale diacono di Santa Maria in Via Lata. È stato ipotizzato che Pietro avesse iniziato questa sua opera ancora a Parigi, dedicandola pertanto, in un primo momento, ai viri scolastici che avreb-bero seguito le sue lezioni parigine, e che solo in un secondo tempo, una volta ritornato in Italia, divenuto cardinale e dunque trasferitosi a Roma, l’avrebbe completata, unendo solo allora una dedica anche al clero romano69. In realtà, mi pare più lineare e coerente l’ipotesi che l’intera stesura dell’Alphabetum risalga al periodo romano: il fatto che nella sua dedica Pietro, con il titolo di cardinale, associ al clero romano i viris scolasticis, lascerebbe pensare che anche questi ultimi siano di Roma, e che dunque il cardinale avesse esercitato la sua attività di maestro pro-prio sulle rive del Tevere. Qui potrebbe aver svolto il suo insegnamento in diversi periodi: o appena nominato cardinale, nel 1193 (restò a Roma fino all’estate del 1195), o al ritorno dalla sua legazione in Francia, per la predicazione della crociata (fu a Roma tra il 1200 e l’estate del 1202, poi ancora tra il novembre 1202 e la primavera dell’anno successivo) o ancora a partire dal 1207, al rientro dall’Oriente, dopo la fallimentare legazione che lo vide muoversi tra la Terra Santa e Costantinopoli, fino al 1214, anno della sua morte. O naturalmente, anche in più periodi, uno successivo all’altro, interrompendo l’attività scolastica per gli altri impegni assegnatigli dal pontefice.

È ancora il suo Alphabetum in artem sermocinandi a dimostrarci una volta di più il legame stretto tra insegnamento teologico e predicazione,

68 Ibidem.69 Ivi, p. 267, ripreso da Pioppi, La dottrina sui nomi essenziali cit., p. 39. Diver-

samente, secondo N. Kamp, Capuano, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, 19, Roma 1976, pp. 258-266, l’Alphabetum sarebbe stato scritto a Roma (dunque dopo il 1193), e non a Parigi.

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già forse riconoscibile nell’attività del cardinale Albino: nato forse dalla sua stessa attività di magister-predicatore, lo strumento messo a punto dal Capuano poteva infatti essere di utilità anche ai suoi scolari, nel mo-mento in cui si fossero dedicati essi stessi a questa attività pastorale (e la dedica al “clero romano” sembra andare proprio in questa direzione).

IV. 3. Stefano Langton

A conferma del fatto che a Roma esisteva una scuola di teologia attiva già all’inizio del XIII secolo (se non prima), abbiamo la notizia di un’attività di insegnamento svolta da un altro magister cardinale di formazione parigina, l’inglese Stefano Langton70.

Se riguardo ai due casi precedenti di cardinali magistri possono per-durare i dubbi sia in merito al luogo in cui avrebbero svolto la loro docenza, sia riguardo al periodo preciso, la fonte che ci parla dell’inse-gnamento scolastico del cardinale Stefano è, riguardo a questi aspetti, esplicita: il Langton avrebbe insegnato teologia a Roma nel 1206, dopo la nomina a cardinale ma prima dell’elezione ad arcivescovo di Can-terbury, nel periodo in cui fu presente in curia (sottoscrive documenti pontifici, dieci sui quindici del periodo, dall’8 giugno1206 al 10 maggio 1207).

Così infatti ci informa il Memoriale dell’inglese Walter di Coventry:

Ad annum 1206: Stephanus cardinalis presbyter ad titulum sanc ti Gri-sogoni, Anglicus natione, sed a domino papa ad Ecclesiam Roma-nam, ubi prebendatus erat et theologiam docebat, accitus, Romae ad Cantuariensem episcopatum eligitur71.

In questa testimonianza si è voluto vedere la prova che Stefano insegnò teologia in una scuola, fondata in San Giovanni in Laterano, in osservanza ai decreti emanati nel 1179 dal III concilio lateranense: egli percepiva una prebenda, a ricompensa del suo lavoro a servizio del clero della diocesi72. Al di là dell’ipotesi riguardo al luogo esatto in cui la scuola funzionava, rimane il fatto che la testimonianza del cronista in-

70 Sulla sua figura di maestro, teologo, cardinale, arcivescovo, cfr. il volume Étienne Langton cit.

71 Walter of Coventry, Memoriale fratris Walteri de Coventria, ed. W. Stubbs, II, Lon-don 1873, p. 198 (Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, 58).

72 J. A. Weisheipl, Tommaso d’Aquino. Vita Pensiero Opere, Milano 1994 (ed. or. New York 1983), pp. 160-161 e nota 45.

207L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA

glese dà maggiore consistenza alle frammentarie informazioni sull’inse-gnamento nel periodo precedente e sui magistri colleghi di Stefano all’in-terno del concistoro. Tutto infatti, a questo punto, sembra indicare che a cavallo dei due secoli a Roma fosse attiva una scuola di teologia colle-gata in qualche forma alla curia, in cui furono chiamati ad esercitare la professione di magistri alcuni cardinali, tra cui possiamo collocare forse Albino di Albano e Pietro Capuano, con certezza Stefano Langton. Se così fosse, è presumibile che, come Stefano, anche Albino e Pietro per il loro lavoro percepissero una prebenda, come prevedevano appunto i canoni del concilio lateranense del 1179. È inoltre da sottolineare come l’insegnamento di Stefano Langton si sia svolto nel 1206/1207, un mo-mento in cui Pietro Capuano era assente da Roma, perché impegnato in Terrasanta per una sua legazione: Stefano potrebbe essere dunque stato una sorta di “supplente” durante l’assenza del Capuano.

I diversi particolari testimoniati dalle fonti sembrerebbero negare l’ipotesi a suo tempo avanzata dal Creytens, ripresa anche da J. A. Wei-sheipl, relativa all’esistenza di due diverse scuole di teologia a Roma, una legata alla diocesi della città, con sede presso la cattedrale (cioè San Giovanni in Laterano), istituita a seguito dei decreti del concilio latera-nense III del 1179 e rivolta al clerus Urbis, l’altra invece dipendente dalla curia, legata all’entourage del pontefice e dunque alla chiesa universale73. Questa divisione può essere entrata effettivamente in funzione dopo la fondazione, nel 1244/45, dello Studium curiae, ma a mio parere non nel periodo precedente. Il fatto che Pietro Capuano, cardinale attivo in curia, abbia dedicato la sua opera ai suoi scolari, che da quanto che possiamo capire comprendevano persone del clero romano e indeter-minati viri scolastici (evidentemente non romani), lascerebbe pensare che non vi fosse distinzione, almeno nel caso dell’insegnamento teologico, tra i due ambiti, locale e universale, della chiesa di Roma.

L’accostamento di due cardinali della levatura di Pietro Capuano e di Stefano Langton sembra indicare che, per il campo dell’insegna-mento, si cercasse di optare per magistri dall’approfondita preparazione teologica, maturata, in questo caso sì, nelle scuole parigine, frequentate sia da Stefano sia da Pietro. Rimane da sottolineare, in ogni caso, che la scelta in questo senso non pare un’iniziativa originale di Innocenzo

73 In merito all’ipotesi di una “doppia” scuola di teologia a Roma, cfr. Creytens, Le “Studium Romanae Curiae” cit., pp. 18-22; Weisheipl, Tommaso d’Aquino cit., pp. 160-161. Sulla questione della divisione del clero di Roma in Clerus Urbis e Romana Curia, cfr. di Carpegna Falconieri, Il clero di Roma cit.

VALERIA DE FRAJA208

III, a favore dei suoi antichi compagni di studio, quanto di Celestino III: fu quest’ultimo papa a scegliere ed elevare al cardinalato Pietro Capuano, e risale già forse agli anni del suo pontificato l’insegnamento romano. La scelta di Celestino è indubbiamente significativa, perché proveniente da un personaggio che già in passato si era segnalato per la spiccata attenzione verso gli ambienti delle scuole parigine (che egli stesso forse aveva frequentato), per i legami con Pietro Abelardo e per l’autonomia di giudizio mantenuta nei processi teologici che videro protagonista Bernardo di Clairvaux. Innocenzo III avrebbe semmai confermato, chiamando in curia Stefano Langton e facendone un car-dinale magister nella scuola romana di teologia, la linea intrapresa già dal suo predecessore.

Più incerto, lo abbiamo visto, l’ambiente della formazione di Albi-no: da un lato appare piuttosto sicuro un legame con le scuole dell’Ita-lia centro-settentrionale, in quanto appartenne probabilmente alla co-munità canonicale di S. Maria di Crescenzago; dall’altra, la Blumenthal ha segnalato come il suo stile di scrittura mostri notevoli legami con il dictamen seguito nella scuola di grammatica di Orleans74.

IV. 4. Domenico di Caleruega?

Abbiamo visto che in passato, prima del chiarimento definitivo sul-la questione da parte di Paravicini Bagliani, la datazione dell’ufficiale fondazione dello Studium Curiae fosse stata anticipata agli anni ’20 del XIII secolo, durante il pontificato di Onorio III, anche per fare di Do-menico di Caleruega, fondatore dei frati Predicatori, il primo Magister sacri palatii, ossia l’insegnante di teologia stipendiato dalla curia, proprio presso lo Studium pontificio. Se la datazione al 1244/1245 sfata defini-tivamente tale mito, rimane tuttavia aperta la questione di un’attività di insegnamento da parte di Domenico a Roma, negli anni da lui trascorsi in stretto collegamento con la curia e con alcuni dei personaggi di spic-co legati o facenti parte della curia stessa.

Alcune fonti, in effetti (in seguito divenute il fondamento per l’ipo-tesi di un Domenico primus magister Sacri Palatii), parlano di un ruolo del fondatore dell’ordo Praedicatorum proprio in quanto praedicator. Il frate Predicatore galiziano Pietro Ferrandi, infatti, nella Vita di san Domeni-co da lui redatta, ricorda che «Magister quoque ipsius ordinis in hac Ro-

74 Blumenthal, Cardinal Albinus cit., pp. 11-18; 23.

209L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA

mana Urbe, praedicationis insistens officio, demoratur»75. Nei periodi (qui imprecisati) trascorsi a Roma76, dunque, Domenico avrebbe svolto un incarico di predicazione; il Ferrandi peraltro passa sotto silenzio l’eventuale “mandante”, anche se indubbiamente il nesso “praedicatio-nis officio” lascerebbe intravedere un incarico di tipo ufficiale.

Diversi anni più tardi, verso il 1340, Giovanni Colonna, frate Pre-dicatore romano, componendo l’opera De viris illustribus, una raccolta di sommarie biografie di scrittori dell’antichità pagana e del passato cristiano, inserì anche il fondatore del suo ordine, Domenico (di cui in realtà non ci sono pervenuti scritti teologici, ma solo uno sparuto corpus di lettere77), presentandolo con queste parole:

Cum autem esset vir Dei [Domenico] Romae multi ad eius sanam doctrinam undique convolabant. Legebat enim tunc in publicis scho-lis Paulum. Ad cuius scholas confluebat non modica turba schola-rium et etiam praelatorum et magister ab omnibus vocabatur78.

Non è chiaro da dove frate Giovanni avesse attinto le sue infor-mazioni: se fosse partito dalla notizia riportata da Pietro Ferrandi nella sua Vita (o Legenda), decorandola secondo la sua personale fantasia, o se si fosse basato invece su di un ipotetico perduto catalogo di scrittori

75 Petri Ferrandi Legenda sancti Dominici, ed. M. H. Laurent, in Monumenta S. P. N. Dominici, II, (MOPH, XVI), p. 234, n. 33 (rec. pristina). Il Ferrandi compose la Vita all’indomani della canonizzazione di Domenico (1234), probabilmente senza aver rice-vuto alcun incarico ufficiale. In un secondo tempo, dopo il 1235, il testo fu rivisto, forse da una commissione incaricata dal Capitolo generale, in vista di un suo impiego litur-gico. La revisione definitiva dell’opera fu approvata con ogni probabilità dal Capitolo generale del 1238. In merito, cfr. M. Rainini, I Predicatori dei tempi ultimi. La rielaborazione di un tema escatologico nel costituirsi dell’identità profetica dell’Ordine domenicano, «Cristianesimo nella storia», 23 (2002), pp. 307-343: 323, e nota 64, che fa riferimento a L. Canetti, L’invenzione della memoria. Il culto e l’immagine di Domenico nella storia dei primi frati Predicatori, Spoleto 1996 (Biblioteca di «Medioevo Latino», 19), pp. 325-399; cfr., in sintesi, H. C. Scheeben, Petrus Ferrandi, «Archivum Fratrum Praedicatorum», 2 (1932), pp. 329-347.

76 Cfr. S. Tugwell, Schéma chronologique de la vie de Saint Dominique, in Domenico di Caleruega e la nascita dell’ordine dei frati predicatori, Atti del XLI Convegno storico interna-zionale, Todi, 10-12 ottobre 2004, Spoleto 2005, (Atti dei Convegni del Centro Italiano di Studi sul basso medio evo - Accademia Tudertina, nuova ser, 18), pp. 1-24.

77 Cfr. E. Montanari, Gli scritti di Domenico, in Domenico di Caleruega cit., pp. 181-259.78 R. Loenertz, Saint Dominique écrivain, maître en théologie, professeur à Rome et Maître

du Sacré palais, d’après quelques auteurs du XIVe et XVe siècle, «Archivum Fratrum Prae-dicatorum», 12 (1942), pp. 84-97: 88-90, che cita da Th. M. Mamachi, Annales Ordinis Praedicatorum, Romae 1756, Appendix, pp. 359-362.

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dell’ordine, da cui sembrano dipendere anche altri tre cataloghi, quello di Uppsala, quello di Praga, e quello composto da Lorenzo Pignon. Questo primo, ipotetico catalogo avrebbe fornito notizie che oggi a noi rimangono impossibili da determinare con maggiore esattezza79.

Un ulteriore indizio che potrebbe avvalorare un ruolo preciso svol-to da Domenico a favore delle scuole e dell’insegnamento teologico in generale – dunque forse sulla spinta di quanto egli stesso faceva a Roma – è la coincidenza di date tra la redazione della bolla di Onorio III Super speculam80, emessa a Viterbo (un documento di grande impor-tanza per il mondo delle scuole) e la presenza proprio a Viterbo, in quei giorni, di Domenico, oltre ad altri importanti magistri quali Filippo il Cancelliere e il cardinale Pietro Capuano (“il giovane”, questa volta), che si era occupato dello Studium parigino in qualità di legato81.

V. Tra conclusioni e nuove prospettive

A conclusione di questo percorso, vale la pena di sottolineare al-cune linee di ricerca che si potrebbero percorrere per definire meglio questo quadro, di cui abbiamo individuato alcune coordinate, ma che rimane ancora tutto sommato piuttosto sfumato.

Il vuoto degli studi complessivi sulle scuole cattedrali italiane è una lacuna che pesa in modo considerevole nel panorama della medievisti-ca; in qualche caso, si hanno studi relativi ai capitoli cattedrali di singole città italiane, ma manca il più delle volte attenzione specifica all’esisten-za della scuola cattedrale, al suo funzionamento, al suo livello, a chi la frequentasse (il numero di cardinali provenienti da diocesi italiche do-vrebbe far pensare), al tipo di studi che vi si conducevano, e soprattutto manca un panorama aggiornato in grado di gettare uno sguardo sulle scuole cattedrali come istituzione specifica, considerata di per sé82. Si tratta dunque di un ambito, piuttosto vasto, tutto da esplorare, per il quale inoltre sarebbe importante almeno tentare di coniugare in modo fruttuoso la dimensione locale con le ricerche di più ampio respiro, in

79 Loenertz, Saint Dominique écrivain cit., pp. 84-97. 80 In merito alla bolla Super speculam, cfr. Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro cit.,

pp. 201-202; 218.81 Ibidem (dove si trovano i principali rimandi bibliografici). 82 Sui capitoli cattedrali, si può vedere il volume dei «Quaderni di storia religiosa»

dedicato al tema: Canonici delle cattedrali nel medioevo, «Quaderni di storia religiosa» 10 (2003), e in particolare il contributo di E. Curzel, Le quinte e il palcoscenico. Appunti storio-grafici sui capitoli delle cattedrali italiani, pp. 39-67.

211L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA

grado di abbracciare almeno un livello regionale o sovraregionale (le scuole cattedrali della Lombardia, o della Tuscia, o del Regno di Sicilia).

Campo di ulteriore indagine potrebbe prendere come oggetto la Roma della prima metà e del pieno XII secolo, per capire se vi furono altri personaggi colti, accanto al diacono e monaco Nicola Maniacutia, che ci abbiamo lasciato i loro scritti e che possano, tramite le tracce della loro formazione e cultura, confermare l’esistenza di scuole di un certo livello, grammaticali e teologiche, sulle rive del Tevere.

Spostandoci cronologicamente nel periodo a cavallo tra XII e XIII secolo, dal pontificato di Alessandro III in poi, la curia papale fu certa-mente espressione di un ambiente particolarmente preparato, dal punto di vista teologico. Considerata la presenza crescente di cardinali magistri in curia, di provenienza perlopiù italica – e da un certo momento in poi anche romana – sarebbe interessante capire se altri cardinali, oltre ad Albino di Albano, a Pietro Capuano, a Stefano Langton, possano aver insegnato teologia a Roma. Come nel caso dei tre cardinali di cui abbiamo valutato la possibilità di un insegnamento, la pista di indagine più utile sembra essere quella costituita dagli scritti, per verificare se all’interno di essi esistano indizi in grado di farci capire se al titolo di magister corrispondesse un’effettiva attività di docenza o meno.

Una possibile ricerca in questa direzione dovrebbe tenere in con-siderazione necessariamente non solo i cardinali, ma anche altri perso-naggi di rilievo, come nel caso di Domenico, che cardinale non era: il Creytens, ad esempio, a questo proposito aveva fatto il nome anche di Giacomo di Vitry, come un possibile maestro di teologia a Roma, dal momento che a suo parere Innocenzo III lo avrebbe chiamato a Roma per predicare (e, come abbiamo visto, predicazione e insegnamento teologico erano spesso due attività parallele)83.

Infine, per il periodo successivo, quando in realtà lo Studium Roma-nae curiae era già funzionante, colpisce la figura del magister e frate Predi-catore Ambrogio Sansedoni: rimane tutta da chiarire la tradizione della Vita, e da capire se fosse stato l’erudito domenicano Ambrogio Tegio a confondere le date, poi accolte negli Acta Sanctorum, non riportando esattamente le notizie degli agiografi del Sansedoni, o se invece gli er-rori nella cronologia della Vita risalgano agli stessi quattro domenicani senesi. Varrebbe inoltre la pena di interrogarsi sui motivi di un tentativo di canonizzazione così rapido da parte di un pontefice – sempre che,

83 Creytens, Le “Studium Romanae Curiae” cit., p. 7.

VALERIA DE FRAJA212

anche in questo caso, le notizie riportate nella Vita siano effettivamente corrette e che quanto la Vita attribuisce all’azione di Onorio IV, il papa che avrebbe esortato la comunità domenicana di Siena a raccogliere il dossier agiografico sul confratello, sia effettivamente dovuto a questo pontefice.

213L’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA A ROMA

appenDice

Cardinali magistri di provenienza italica tra il 1170 e il 1216

Nome Cardinale Anno nomina

Prove-nienza

1. Raniero parvus CD di San Giorgio al Velabro 1175 Pavia

2. Lombardo CP di San Ciriaco 1171 Piacenza

3. Graziano CD dei Santi Cosma e Damiano 1178 Pisa

4. Laborante CD di Santa Maria in Portico, poi di S. Maria in Trastevere

1173 1179

pressi di Firenze

5. Viviano CD di San Nicola in Carcere Tulliano

1175 Orvieto

6. Albino CD di Santa Maria Nova CP di Santa Croce in Gerusalemme CV di Albano

1182 1185 1189

Milano? Pisa? Gaeta?

7. Melior CP dei Santi Giovanni e Paolo 1185 Pisa

8. Pandolfo CP dei XII Apostoli 1182 Lucca

9. Pietro Dianus CD di San Nicola in Carcere Tulliano CP di Santa Cecilia

1185

1188

Piacenza

10. Soffredo CD di S. Maria in Via Lata CP di Santa Prassede

1182 1193

Pistoia

11. Gerardo CD di Sant’Adriano 1182 Lucca

12. Rolando CD di Santa Maria in Portico 1185 Pisa?

13. Uberto Crivelli CP di S. Lorenzo in Damaso 1182 Milano

VALERIA DE FRAJA214

14. Lotario dei Conti di Segni

CD dei Santi Sergio e Bacco 1190 Anagni

15. Iohannes Felix CD di Sant’Eustachio CP di Santa Susanna

1188 1189

Roma

16. Egidio CD di San Nicola in Carcere Tulliano

1190 Anagni

17. Cinzio CP di San Lorenzo in Lucina 1191 Roma

18. Giovanni Salernitano CP di Santo Stefano in Celiomonte 1190 Salerno

19. Fidanzio CP di San Marcello 1193 Civita Castellana

20. Pietro Capuano CD di Santa Maria in Via Lata CP di San Marcello

1193 1200

Amalfi

21. Giovanni de Colum pna CD di Santi Cosma e Damiano CP di Santa Prassede

1206 1217

Roma

22. Gregorio de Cre scen-tio, forse ma gi ster

CD di San Teodoro 1216 Roma

23. Romano CD di Sant’Angelo CV di Porto e di Santa Rufina

1216 1236

Roma?

24. Ugo dei Conti di Segni

CD di Sant’Eustachio CV di Ostia e Velletri

1198 1206

Anagni

25. Giovanni, forse ma-gister

CD di Santa Maria in Via Lata CP di Santa Prassede

1204 1212

Ferentino

26. Raniero (poi Capocci) CD di Santa Maria in Cosmedin 1216 Viterbo

27. Pietro Collivaccinus CD di Santa Maria di AquiroCP di San Lorenzo in Damaso CV di Sabina

1212 1216 1217

Benevento

28. Tommaso de Ebulo CD di Santa Maria in Via Lata CP di Santa Sabina

1216 Capua

29. Guala Bicchieri CD di Santa Maria in Portico CP di San Martino

1204 1211

Vercelli

30. Uberto de Pirovano CD di Sant’Angelo 1206 Milano