Culti della romanizzazione

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Il problema principale nell’affrontare questo argomento, con partico- lare riferimento all’Italia nord-orientale, è quello di circoscrivere corretta- mente l’ambito dell’analisi. Nella maggior parte dei casi, chi si occupa di questi temi tende a considerare “culti di romanizzazione” quelle espres- sioni di devozione religiosa che sembrano alludere ad un sostrato cultura- le precedente all’arrivo, stabile ed istituzionale, dei Romani. Questa prospettiva lascia aperte, tuttavia, molte questioni che devo- no essere meglio definite. Innanzitutto, se con romanizzazione si intende, come generalmente accettato, un fenomeno di assimilazione da parte dell’elemento indigeno della romanità, resta da chiarire, almeno per quanto riguarda i limiti di questo discorso, l’ambito cronologico di applicazione di tale espressione. “Romanizzazione”, infatti, si può adattare ad un lasso di tempo, estrema- mente variabile a seconda del contesto indagato. In una prospettiva più strettamente storico-amministrativa il processo di romanizzazione si intende avviato, per lo più convenzionalmente, intorno al 225 a.C. e si considera concluso nel 42 a.C., con l’estensione del diritto romano all’in- tera Cisalpina. Tali date, utili per una definizione dei margini cronologici complessivi dell’acquisizione romana dell’Italia settentrionale, non rie- scono, tuttavia, a definire in modo persuasivo i passaggi culturali che portarono ad una sostanziale trasformazione delle culture indigene a con- tatto con quella romana e/o latina. In alcuni casi, infatti, come ha fatto notare Hartmut Galsterer, alla “romanità” amministrativa non è consegui- ta una effettiva romanizzazione dei costumi 1 , mentre in altri il processo si è, in qualche modo, concluso ben prima del 42 a.C., come nel caso della colonia latina di Aquileia. Lo studioso che si occupi di culti deve, dunque, scegliere con attenzione la prospettiva di analisi che intende adottare. Se si considera il periodo nel quale le comunità locali incontrano ed assimi- lano la cultura romana, ci si dovrà occupare, sempre per singoli contesti e quindi con scansioni cronologiche specifiche, di culti “in fase di romaniz- zazione” ovvero della storia delle divinità indigene, della loro trasforma- zione a contatto con la cultura romana e/o latina e della loro eventuale 297 Federica Fontana I CULTI DELLA ROMANIZZAZIONE 1 Cfr. GALSTERER 1991, p. 168. In generale, sul concetto di romanizzazione si rimanda ai contributi di Gino Bandelli e di Hartmut Galsterer in questo volume.

Transcript of Culti della romanizzazione

Il problema principale nell’affrontare questo argomento, con partico-lare riferimento all’Italia nord-orientale, è quello di circoscrivere corretta-mente l’ambito dell’analisi. Nella maggior parte dei casi, chi si occupa di questi temi tende a considerare “culti di romanizzazione” quelle espres-sioni di devozione religiosa che sembrano alludere ad un sostrato cultura-le precedente all’arrivo, stabile ed istituzionale, dei Romani.

questa prospettiva lascia aperte, tuttavia, molte questioni che devo-no essere meglio definite.

Innanzitutto, se con romanizzazione si intende, come generalmente accettato, un fenomeno di assimilazione da parte dell’elemento indigeno della romanità, resta da chiarire, almeno per quanto riguarda i limiti di questo discorso, l’ambito cronologico di applicazione di tale espressione. “Romanizzazione”, infatti, si può adattare ad un lasso di tempo, estrema-mente variabile a seconda del contesto indagato. In una prospettiva più strettamente storico-amministrativa il processo di romanizzazione si intende avviato, per lo più convenzionalmente, intorno al 225 a.C. e si considera concluso nel 42 a.C., con l’estensione del diritto romano all’in-tera Cisalpina. Tali date, utili per una definizione dei margini cronologici complessivi dell’acquisizione romana dell’Italia settentrionale, non rie-scono, tuttavia, a definire in modo persuasivo i passaggi culturali che portarono ad una sostanziale trasformazione delle culture indigene a con-tatto con quella romana e/o latina. In alcuni casi, infatti, come ha fatto notare Hartmut Galsterer, alla “romanità” amministrativa non è consegui-ta una effettiva romanizzazione dei costumi 1, mentre in altri il processo si è, in qualche modo, concluso ben prima del 42 a.C., come nel caso della colonia latina di Aquileia. Lo studioso che si occupi di culti deve, dunque, scegliere con attenzione la prospettiva di analisi che intende adottare. se si considera il periodo nel quale le comunità locali incontrano ed assimi-lano la cultura romana, ci si dovrà occupare, sempre per singoli contesti e quindi con scansioni cronologiche specifiche, di culti “in fase di romaniz-zazione” ovvero della storia delle divinità indigene, della loro trasforma-zione a contatto con la cultura romana e/o latina e della loro eventuale

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Federica Fontana

I CuLTI DELLA ROmANIzzAzIONE

1 Cfr. Galsterer 1991, p. 168. In generale, sul concetto di romanizzazione si rimanda ai contributi di Gino bandelli e di Hartmut Galsterer in questo volume.

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convivenza con forme di devozione, per lo più individuale, da parte di romani e italici nei loro santuari. quasi una sorta, se così si può dire, di ‘romanizzazione dei culti’. se, invece, si adotta la prospettiva della roma-nizzazione “compiuta”, almeno sul piano amministrativo, si dovranno prendere in considerazione gli atti fondativi del pantheon collettivo, che i magistrati di un centro, a prescindere dal suo statuto amministrativo, erano incaricati di comporre a vantaggio dell’intero corpo civico 2. In una comunità di diritto latino o romano, infatti, anche la scelta delle feste col-legate alle singole divinità aveva una funzione “politica” e doveva rappre-sentare le caratteristiche e gli interessi specifici dell’insieme dei cittadini. In questo caso, paradossalmente, un ‘culto di romanizzazione’ potrebbe essere anche quello Capitolino 3. La formulazione ‘culti di romanizzazio-ne’ presuppone, dunque, in questa accezione più specifica, che vi sia un rapporto specifico tra l’avvenuta, in senso istituzionale, romanizzazione – a volte considerata tout court una sorta di omologazione alla cultura dominante - e le scelte religiose di una collettività. Va detto, tuttavia, che in tale accezione l’analisi deve forzatamente comprendere non solamente i culti espressi dalle comunità insediate nel territorio, ma anche quelli rappresentanti il potere centrale e quelli riferibili alla cultura religiosa delle singole componenti del corpo civico.

un limite, spesso insormontabile, consiste nella datazione delle testi-monianze, soprattutto quelle archeologiche, che sovente costituiscono i dati più significativi, anche se i meno espliciti, del repertorio “sacro”. A questo riguardo, bisogna considerare che in ogni ambito geografico ed amministrativo, la romanizzazione si compie in momenti e in modi diffe-renti a seconda della storia particolare di ogni sito e della comunità che vi è insediata. Ne consegue che ogni contesto andrà studiato singolarmente e in relazione con la sua storia politica e culturale, alla quale i singoli aspetti della vita religiosa sono strettamente connessi.

se si intende affrontare il processo di lunga durata precedente la roma-nizzazione o la latinizzazione “istituzionale”, è opportuno, quindi, partire da realtà indigene di una certa consistenza, che abbiano avuto una continuità fino alla definitiva presa di possesso del territorio da parte dei romani e che abbiano lasciato un’adeguata quantità di materiale documentario.

un caso del massimo interesse, con queste caratteristiche, è il san-tuario in località Fornace ad Altino, attivo dalla fine dell’VIII sec. a.C. all’età imperiale 4, oggetto di una recente messa a punto da parte di

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2 sulle leggi sacre in ambito municipale, vedi da ultimo raGGi 2006.3 sui Capitolia, cfr. BianCHi 1975, pp. 63-76; landuCCi Gattinoni 1989, pp.

32-33; ZeVi 1989, pp. 45-46; GaBBa 2006, p. 577.4 sul contesto archeologico vedi, da ultimi, tirelli, CiPriano 2001, pp. 37-60;

CaPuis, GamBaCurta, tirelli 2009, p. 40; CiPriano, tirelli 2009; Possenti 2009.

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Giovannella Cresci marrone e margherita Tirelli 5. La titolarità del santua-rio subisce una sorta di assimilazione tra la divinità di tradizione venetica altnoi, percepita come entità summa fortemente connotata nella sua dimensione poliadica, e iuppiter, quasi certamente iuppiter altinatis 6. Come è già stato convincentemente sostenuto, la ‘sostituzione’ della tito-larità avvenne dopo un lungo periodo di compresenza di devoti di origine veneta, ma anche latina, greca ed etrusca 7, in una data di difficile defini-zione, ma probabilmente riferibile ad un momento di cambiamento ammi-nistrativo e politico della città che comportò una revisione di tutte le strutture di governo della collettività, comprese le istituzioni relative al sacro 8.

Tra le due proposte avanzate, quella riferibile agli anni successivi alla Guerra sociale e quella del 49 a.C., che avrebbe visto il coinvolgi-mento attivo di Asinio pollione, mi sembra più convincente la prima, per una serie di ragioni già messe in luce da Giovannella Cresci marrone 9. Il santuario in località Fornace, infatti, si caratterizza per la dimensione poliadica, al punto da rappresentare, simbolicamente, la comunità altinate nel suo complesso; l’acquisizione del diritto latino segna per la città un grande cambiamento istituzionale, nell’ambito del quale la collettività adegua le proprie regole al nuovo statuto ed è, probabilmente, in quel momento che la titolarità del santuario più importante viene trasformata, a sottolineare il passaggio – e con esso la continuità – dalla comunità veneta a quella latina. un procedimento di tale livello simbolico non avrebbe, credo, la medesima ragion d’essere nel passaggio dalla comunità latina a quella di diritto romano 10.

Il caso veneto, tuttavia, proprio per la particolare natura del rapporto di alleanza con Roma e del conseguente ‘orgoglio identitario’ che caratte-rizza le espressioni religiose dei Veneti nella fase di romanizzazione, non può costituire un modello di riferimento per l’intera area nord-orientale 11. Non sempre, peraltro, si può avere la certezza di un rapporto di dipenden-za tra culto indigeno e culto romano, pur nella continuità “topografica”

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5 Vedi, in generale, gli atti dell’ultimo Convegno altinate, altnoi 2009.6 Cfr. CresCi marrone 2001, pp. 140-141; Colonna 2005, pp. 318-319; CresCi

marrone 2009, p. 130; marinetti 2009, pp. 101-102 e 104-107; ProsdoCimi 2009, pp. 361-364.

7 Cfr., in particolare, CaPuis, GamBaCurta, tirelli 2009, pp. 43-48.8 sul calendario come atto fondativo delle leggi sacre nei municipia, anche di

diritto latino, cfr. RaGGi 2006; CresCi marrone 2009, pp. 130-131. Vedi, inoltre, ProsdoCimi 2009, pp. 381-384.

9 Cfr. CresCi marrone 2009, pp. 130-132. Vedi, inoltre, ProsdoCimi 1969, pp. 777-802.

10 sulla storia politica e amministrativa di Altino, cfr. CresCi marrone 2001.11 Cfr. Fontana 2009, p. 416.

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della devozione: il caso di aponus, divinità legata alle acque termali della zona di Abano/montegrotto Terme, è significativo a questo riguardo 12. si è supposto, infatti, che il latino aponus sia la trasposizione di un teonimo locale venetico, ma di quest’ultimo non esiste una testimonianza esplici-ta 13. Le fonti attestanti il teonimo, infatti, sono, per il momento, tutte latine – e non precedenti alla prima metà del I secolo d.C. – e non c’è la possibilità di stabilire con certezza se sia stato il teonimo a determinare il toponimo o viceversa 14. per quanto, molto probabilmente, la sacralità del luogo, le cui acque sulfuree e i profondi anfratti rocciosi ne avranno ali-mentato la dimensione ctonia e oracolare, possa affondare le proprie radi-ci in ambito pre-romano, non è ovvio che la titolarità del luogo sacro sia rimasta la stessa 15. se poi, come mi è sembrato proponibile, la presenza di Gerione non è da attribuirsi ad una forma di “ideologia traspositiva” dell’originario culto di aponus 16, ma ad una manipolazione culturale di età tiberiana, si dovrebbe, forse, riconoscere come la dimensione pre-romana del culto sia sostazialmente ancora sconosciuta 17. una situazione per certi versi analoga è quella che riguarda l’area sacra al Timavo, laddo-ve l’idronimo in qualità di teonimo compare solamente in iscrizioni della fine del II secolo a.C. 18. In questo caso, l’area sacra, luogo di “mitici” sbarchi greci e troiani la cui tradizione letteraria risale ad Omero, non è caratterizzata da un culto al dio temavus, ma molto probabilmente dalla presenza di un lucus, a titolarità multipla 19. benché l’idronimo di origine venetica Τιµαυον/temavus sia presente nelle fonti antiche, queste stesse non lo considerano “titolare” dell’area sacra e nemmeno una divinità flu-viale: l’uso dell’idronimo come teonimo si ha solamente più tardi, proba-bilmente, in corrispondenza con l’intervento di Tuditano, che nel 129 a.C. rifunzionalizzò l’area sacra presso il Timavo in chiave mitica ed autocele-brativa, con esplicito richiamo alla leggenda antenorea 20.

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12 aponus costituirebbe sia il teonimo sia il toponimo, cfr. laZZaro 1981; marinetti 2009, p. 107.

13 L’unica iscrizione venetica risulta illeggibile e non attribuibile, quindi, con sicu-rezza, cfr. marinetti, ProsdoCimi 2006, pp. 95-111; marinetti 2009, p. 107; ProsdoCimi 2009, pp. 364-365.

14 sulla bivalenza toponimo/teonimo, cfr. ProsdoCimi 2009, p.364.15 per la continuità cultuale, invece, ProsdoCimi 2009, p. 364. Vedi, inoltre,

mastroCinque 1991, p. 221. sulla documentazione relativa ad aponus e all’area termale, cfr. laZZaro 1981; BassiGnano 1987, pp. 326-327; ZanoVello 1998, pp. 311-328.

16 Cfr. ProsdoCimi 2009, p. 364.17 su Gerione ad Abano come tradizione recente di età tiberiana, cfr. Fontana

2009, pp. 418-423, con bibliografia precedente.18 Cfr. Fontana 1997, pp. 136-152 e 189-190, nn. 15-16.19 Cfr. Fontana 1997, pp. 151-153.20 Cfr. Fontana 1997, pp. 151-153 e 189-190, nn. 14-15.

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Alla domanda posta, quindi, da Aldo prosdocimi se “l’ideologia romana contemplava la continuità di un teonimo associato alla continuità del toponimo? O più precisamente: di un teonimo anche toponimo (e viceversa) in funzione politica romana?” 21 la risposta, a mio avviso, non può che essere affermativa, ma diversificata a seconda dei contesti. Il santuario altinate in località Fornace, simbolo “generatore” della città veneta ri-fondata nella latinitas, diviene un luogo di culto latino attraverso l’assimilazione dell’indigeno altnoi con iuppiter, quasi a segnare il pas-saggio di statuto della collettività che vi fa riferimento; nel caso dell’area sacra al Timavo, invece, la continuità del ‘sacro’ resta esclusivamente topografica o funzionale, perché il toponimo venetico diviene teonimo latinizzato, mutando l’originaria natura sacrale del luogo in un culto “flu-viale”, nell’ambito di una volontaria strumentalizzazione politica del mito antenoreo. In questo quadro così articolato, non è del tutto lecito esclude-re che anche nel caso di aponus l’originario toponimo venetico sia dive-nuto teonimo latinizzato in fase di romanizzazione, vincolando la dimen-sione “sacra” al territorio e non più alla realtà divina pre-romana.

per quanto riguarda le istituzioni religiose di comunità di diritto lati-no o romano, infine, l’aspetto più significativo è proprio quello del valore politico della definizione di un calendario comune delle feste, intese come dies festi stabiliti in piena autonomia dalle comunità locali 22. Già nel corso del II secolo a.C. il governo centrale aveva per lo più cercato di mantenere nelle comunità alleate la “continuità dei ceti politici detentori del potere locale”, contribuendo a mantenere le distinzioni censitarie, sociali e politiche all’interno delle varie comunità 23. Come questo atteg-giamento si sia riverberato nello specifico ambito dei singoli centri non è sempre definibile con sicurezza, ma in alcuni casi, come ad esempio la colonia latina di Aquileia, si concorda sul fatto che all’interno del corpo civico coloniario, in posizione non subalterna, siano stati inseriti membri delle aristocrazie indigene 24. Ciò che sarebbe utile analizzare è se nella documentazione ‘sacra’ sia possibile intuire le diverse tradizioni culturali e religiose.

purtroppo non disponiamo di attestazioni illuminanti in tal senso, ma il caso aquileiese di atamenti sembrerebbe rappresentare, almeno verso la fine del II secolo a.C., la dedica ad una divinità latina, in questo caso Bona

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21 Cfr. ProsdoCimi 2009, p.362.22 su questa distinzione vedi sCHeid 1999, pp. 392-393; raGGi 2006, p. 704. Vedi,

inoltre, CrawFord 1996, p. 401, n. 25 (art. 64 della lex Ursonensis); Galsterer 2006 (art. 72 della lex irnitana); raGGi 2006, pp. 701-710; CresCi marrone 2009, pp. 131-132.

23 questa tendenza si conferma anche in seguito alla Guerra sociale, dopo l’89 a.C., cfr. GaBBa 2006, p. 575.

24 su questi aspetti, da ultima, vedi il contributo di monica Chiabà in questo volu-me.

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Mens, da parte di un dedicante di probabile origine celtica, che sembra segnalare una sorta di volontà di “mimetismo” religioso, quasi agli anti-podi di quell’orgoglio identitario che sembra, invece, caratterizzare l’at-teggiamento degli alleati veneti nel processo di latinizzazione/romanizza-zione 25. molto esplicite risultano, peraltro, anche le manifestazioni reli-giose della componente centro-italica della colonia latina, a cui si possono ascrivere i luoghi di culto a Fortuna, Hercules e minerva 26.

La più significativa attestazione di un culto pubblico, tuttavia, fra i primi atti fondativi della colonia latina di Aquileia, è documentata dalle due dediche de doneis, delle quali si è recentemente ridiscusso 27. La più antica delle due iscrizioni 28, datata entro la metà del II secolo a.C., è stata rinvenuta nel 1929 nel letto del fiume Aussa, in località ponte Orlando, in un punto centrale della viabilità aquileiese, fra il ponte tramite il quale la via Annia attraversava il fiume e la strada per Terzo di Aquileia 29. Non è chiaro a quale tipo di monumento appartenessero entrambi i blocchi, per i quali si è pensato ad un altare, un donario o il podio di un tempio 30. I punti più controversi sono stati, però, altri: da un lato, il significato dell’espressione de doneis 31, dall’altro, il luogo sacro oggetto dell’inter-

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25 sul caso del culto di Bona Mens ad Aquileia, cfr. Fontana 1997, pp. 65-76, con bibliografia precedente.

26 Cfr. Fontana 1997, pp. 98-105 (Diovis), pp. 105-114 (Hercules), pp. 115-124 (minerva), pp.124-136 (Fortuna), Zenarolla 2008, pp. 108-130. su Fortuna ad Aquileia vedi anche Fontana c.s., pp. 101-119.

27 Cfr. FaCCHinetti 2006, cc. 105-108; VerZár-Bass 2006, pp. 433-438; tiussi 2009a, pp. 398-399.

28 sulla dedica più antica, vedi Brusin 1933, p. 115=CiL I2 2822=iLLrP 306=imagines 127=inscraq 22. Cfr., inoltre, Bandelli 1983, p. 194, n. 4; Bandelli 1984, pp. 192-193, n. 24; Bandelli 1988, pp. 146-147; Fontana 1997, pp. 165-167 e 180-182, n. 6; lettiCH 2003, n. 52. sulla seconda dedica, vedi CiL I 1456 [b]=CIL V 840 [b]=CiL I2 2196 [b]; inscraq 21. Cfr., inoltre, Bandelli 1983, p. 193; Bandelli 1984, pp. 192-193; Bandelli 1988, p. 146; Fontana 1997, pp. 165-167 e 182-183, n. 7.

29 sulla situazione topografica cfr. maGGi, oriolo 2004, p. 228; FaCCHinetti 2006, c. 105; tiussi 2009a, p. 398. per il luogo di rinvenimento della seconda iscrizione, legger-mente più recente, cfr. FaCCHinetti 2006, cc. 105-107, con bibliografia precedente. Anche se la prima iscrizione risultasse effettivamente reimpiegata nella struttura del ponte, è lecito supporre che il luogo del suo impiego primario non fosse di molto distante. Cfr. tiussi 2009a, p. 398, nt. 75, e p. 399.

30 sulle varie ipotesi, altare, donario o podio di un tempio, cfr. VerZár-Bass1983, p. 206; VerZár-Bass 1984, p. 228; VerZár-Bass 1991, p. 271; ZaCCaria 1999, p. 197, nt. 36; VerZár-Bass 2006, p. 431; FaCCHinetti 2006, cc. 107 e 109; tiussi 2009a, pp. 399-400.

31 sulla questione vedi l’esauriente discussione in FaCCHinetti 2006, con biblio-grafia precedente.

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vento 32. Le due questioni sono, peraltro, solo apparentemente distinte, visto che dalla natura di questi dona si è tentato di dedurre la natura dell’eventuale santuario.

penso che si possa, in ogni caso, escludere l’ipotesi che i dona in questione costituissero i proventi della vendita di beni pertinenti ad un santuario pre-romano 33. Nella quasi totalità dei casi, infatti, come dimo-stra l’aggiornata tabella presentata da Grazia Facchinetti, la provenienza dei beni di un santuario, da alienare per essere re-investiti nei sacra 34, è indicata tramite la segnalazione della proprietà del denaro o della stipe 35 e, almeno in un caso, è limitata a quei beni giudicati oggetti preziosi ormai rovinati dal tempo 36. L’espressione de doneis, in un certo senso generica, sembrerebbe qualificare diversamente il finanziamento dell’opera 37. L’acquisizione dei beni di un santuario pre-coloniale, inoltre, qualora non si fosse trattato di un saccheggio – nel qual caso la formulazione non sarebbe stata questa – presupporrebbe una sorta di assunzione di respon-sabilità, da parte dei magistrati della colonia, anche del luogo sacro in quanto tale che, “latinizzato” o meno, avrebbe dovuto ricevere i benefici della vendita dei sacra 38. Non esiste traccia, tuttavia, di un luogo sacro pre-coloniale così significativo da essere formalmente assunto tra le opere pubbliche della neo-istituita comunità 39. Difficilmente, peraltro, la formu-la potrebbe indicare i dona provenienti dai beni di un santuario fondato nel corso dell’impostazione urbanistica della colonia nei primi decenni del II secolo a.C.; nelle condizioni estreme in cui visse la giovane colonia

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32 Cfr. FaCCHinetti 2006, c. 111., con bibliografia precedente.33 Vedi VerZár-Bass 1983, pp. 206-207; VerZár-Bass 2006, pp.432 e 437 (culto

pre-romano); Bandelli 1984, pp. 203-204; Bandelli 1988, p. 86; adam 1991, p. 66; ZaCCaria 1999, p. 209 (culto epicorico).

34 Cfr. laFFi 2001, p. 542; FaCCHinetti 2006, cc. 111-112 e 127, nt. 49.35 Cfr. FaCCHinetti 2006, cc. 117-118.36 Iscrizione di Lanuvium, CiL XIV, 2088=iLs 316. Cfr. FaCCHinetti 2006, c. 115.37 Anche se con dona si intendono le offerte votive, ciò non significa che tali offer-

te dovessero essere già conservate in precedenza nel tesoro del tempio – e alienate in seguito; le offerte potevano anche essere appositamente acquisite allo scopo di effettuare un intervento “sacro”. sul significato di dona, cfr. PanCiera 1997, p. 257, nt. 35 (lex aedis Furfensis). Vedi, inoltre, FaCCHinetti 2006, c. 111.

38 Risulta di assoluta chiarezza nelle leges sacrae l’obbligatorietà da parte dei magistrati locali, in questo caso edili, del re-investimento del ricavato dalla vendita di beni sacri nelle celebrazioni religiose o nelle strutture santuariali, cfr. FaCCHinetti 2006, cc. 111-112; raGGi 2006, p. 710.

39 pur trattandosi di un argumentum ex silentio, questa considerazione pare suppor-tata dall’assenza di materiale “sacro” pre-coloniale di contro ad una cospicua presenza di elementi decorativi datati tra II e I secolo a.C., cfr. BertaCCHi 1979, p. 271; VerZár-Bass 2006, p. 433; tiussi 2009a, pp. 399-401. sulla pertinenza delle due iscrizioni al medesimo luogo sacro vedi le considerazioni in FaCCHinetti 2006, c. 119.

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e che portarono al supplementum del 169 a.C. un luogo sacro posto fuori dalle mura cittadine non avrebbe avuto facile vita 40. L’ipotesi più persua-siva, in effetti, appare quella già avanzata da maria José strazzulla, ovve-ro che il finanziamento dell’opera pubblica sia il frutto di una contribuzio-ne volontaria collettiva, affidata ai magistrati della colonia per l’esecuzio-ne di un monumento sacro di un chiaro valore rappresentativo per la comunità 41. un’operazione di questa importanza simbolica si colloche-rebbe bene proprio nell’ambito della ri-fondazione della città latina nel 169 a.C., nel corso della quale furono, molto probabilmente, effettuati interventi urbanistici ed amministrativi di tipo strutturale e in seguito alla quale la città prese possesso più sicuro anche dell’area periurbana 42. se poi si accetta la cronologia proposta per il tempio “trionfale” di monastero 43, eretto in quegli anni, potremmo avere un’idea più vivida della consistenza degli interventi successivi al supplementum e della por-tata della ri-pianificazione urbana che questo comportò per Aquileia pochi decenni dopo la fondazione; è possibile, come è già stato proposto, che le dediche siano riferibili all’edificazione, in due tempi, di un luogo sacro, collegabile all’area periurbana della colonia latina, interessata dal comple-tamento della via Annia avvenuto in quegli anni 44.

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40 per una struttura “all’indomani della fondazione coloniaria”, cfr. FaCCHinetti 2006, c. 108; tiussi 2009a, p. 401. sul supplementum, cfr. Bandelli 2003, PP. 63-68.

41 Cfr. straZZulla 1990, p. 299. Tale ipotesi è stata proposta anche per la formula ex donis della dedica di novae, iGLnovae, 16.

42 sullo sviluppo urbanistico della colonia latina cfr, da ultimo, tiussi 2009b, pp. 61-66.

43 A prescindere dalla questione iconografica, si concorda oggi sulla cronologia alta del frontone fittile, cfr. Fontana 1997, pp. 27-51; Känel 2004, pp. 71-92. Diversamente, straZZulla 1987, p. 85.

44 Cfr. ZaCCaria 1999, p. 193; FaCCHinetti 2006, c. 125, nt. 24; VerZár-Bass 2006, pp. 437-438.

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