L'impatto della politica regionale dell'Unione Europea. Uno studio sulle regioni italiane

34
421 1. Introduzione Negli ultimi anni le disparità di reddito pro capite tra i paesi dell’Unione europea si sono ridotte, ma a tali dinamiche si contrappone il mantenimento di significativi divari tra le regioni (Commissione europea 2007). Sebbene marcate differenze nei livelli di sviluppo regionale siano presenti in molti pa- esi europei (Germania, Francia, Regno Unito, Grecia, Spagna, Belgio), l’Ita- lia rappresenta un caso emblematico a causa della coesistenza di un’area del paese, il Centro-Nord, molto ricca e un’area, il Mezzogiorno d’Italia, in cui i ritardi di crescita sono rilevanti e si perpetuano nel tempo. Il mantenimento di tali divari, in presenza di ingenti risorse finanziarie dedicate alla politica di coesione, pone l’interrogativo sull’efficacia di questi interventi. Gli studi sull’impatto dei Fondi Strutturali sono numerosi 1 . All’interno di questa letteratura, alcuni lavori si sono concentrati sull’analisi della cre- scita regionale come effetto della politica di coesione e gli approcci utiliz- * Università della Calabria, Dipartimento di Economia e Statistica, 87030 Arcavacata di Rende (CS). E-mail: [email protected]; [email protected]. Sebbene l’articolo sia frutto del lavoro comune degli autori, la stesura materiale dei paragrafi 4, 5 e 6 è da attribuire a Francesco Aiello, quella dei paragrafi 1, 2, 3 e dell’Appendice a Valeria Pupo. Gli autori ringraziano Antonio Aquino, Paola Cardamone, Sergio Destefanis, Leone Leo- nida, Mariacristina Piva, Fernanda Ricotta, Vincenzo Scoppa e due anonimi referees della rivista per le utili osservazioni su una precedente versione del lavoro. Eventuali errori ed omissioni sono di responsabilità degli autori. La ricerca i cui risultati sono riportati in questo lavoro ha benefi- ciato del sostegno finanziario del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (programma di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale 2007 «Politiche dell’Unione Europea, processi di integrazione economica e commerciale ed esiti del negoziato WTO»). 1 Per una rassegna si rinvia a Ederveen et al. (2002) e Pupo (2003 e 2004). L’IMPATTO DELLA POLITICA REGIONALE DELL’UNIONE EUROPEA. UNO STUDIO SULLE REGIONI ITALIANE Francesco Aiello, Valeria Pupo* RIVISTA ITALIANA DEGLI ECONOMISTI / a. XIV, n. 3, dicembre 2009

Transcript of L'impatto della politica regionale dell'Unione Europea. Uno studio sulle regioni italiane

421

1. Introduzione

Negli ultimi anni le disparità di reddito pro capite tra i paesi dell’Unione europea si sono ridotte, ma a tali dinamiche si contrappone il mantenimento di significativi divari tra le regioni (Commissione europea 2007). Sebbene marcate differenze nei livelli di sviluppo regionale siano presenti in molti pa-esi europei (Germania, Francia, Regno Unito, Grecia, Spagna, Belgio), l’Ita-lia rappresenta un caso emblematico a causa della coesistenza di un’area del paese, il Centro-Nord, molto ricca e un’area, il Mezzogiorno d’Italia, in cui i ritardi di crescita sono rilevanti e si perpetuano nel tempo. Il mantenimento di tali divari, in presenza di ingenti risorse finanziarie dedicate alla politica di coesione, pone l’interrogativo sull’efficacia di questi interventi.

Gli studi sull’impatto dei Fondi Strutturali sono numerosi1. All’interno di questa letteratura, alcuni lavori si sono concentrati sull’analisi della cre-scita regionale come effetto della politica di coesione e gli approcci utiliz-

* Università della Calabria, Dipartimento di Economia e Statistica, 87030 Arcavacata di Rende (CS). E-mail: [email protected]; [email protected].

Sebbene l’articolo sia frutto del lavoro comune degli autori, la stesura materiale dei paragrafi 4, 5 e 6 è da attribuire a Francesco Aiello, quella dei paragrafi 1, 2, 3 e dell’Appendice a Valeria Pupo. Gli autori ringraziano Antonio Aquino, Paola Cardamone, Sergio Destefanis, Leone Leo-nida, Mariacristina Piva, Fernanda Ricotta, Vincenzo Scoppa e due anonimi referees della rivista per le utili osservazioni su una precedente versione del lavoro. Eventuali errori ed omissioni sono di responsabilità degli autori. La ricerca i cui risultati sono riportati in questo lavoro ha benefi-ciato del sostegno finanziario del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (programma di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale 2007 «Politiche dell’Unione Europea, processi di integrazione economica e commerciale ed esiti del negoziato WTO»).

1 Per una rassegna si rinvia a Ederveen et al. (2002) e Pupo (2003 e 2004).

L’IMPATTO DELLA POLITICA REGIONALE DELL’UNIONE EUROPEA. UNO STUDIO SULLE REGIONI ITALIANE

Francesco Aiello, Valeria Pupo*

RIVISTA ITALIANA DEGLI ECONOMISTI / a. XIV, n. 3, dicembre 2009

422

zati sono sostanzialmente due. Il primo si propone di stimare l’impatto dei Fondi Strutturali utilizzando funzioni di produzione aggregata e funzioni di domanda di lavoro (de la Fuente 2002a; Percoco 2005). Questi modelli per-mettono di ottenere evidenze indirette sul processo di convergenza prodotto dalle politiche regionali europee. Il secondo approccio si propone di analiz-zare direttamente il contributo dei Fondi Strutturali al processo di conver-genza attraverso la stima di equazioni di convergenza condizionata (Boldrin e Canova 2001; Garcìa Solanes e Marìa-Dolores 2002; Cappelen et al. 2003; Ederveen et al. 2002; Puigcerver-Penalver 2007).

Indipendentemente dalla metodologia di riferimento, l’evidenza empirica non permette di trarre delle indicazioni univoche sul ruolo di queste politi-che. Il punto di vista critico sull’efficacia dei fondi è espresso nei lavori di Boldrin e Canova (2001), ISAE (2001), Ederveen et al. (2002), Midelfart-Knarvik e Overman (2002), Cappellen et al. (2001), Dall’erba e Le Gallo (2008) che evidenziano l’effetto sostanzialmente ridistributivo dei fondi in Europa2. Risultati più ottimistici si ottengono dallo studio di de la Fuente (2002a) e di Garcìa Solanes e Marìa-Dolores (2002).

Le conclusioni non concordi di questa letteratura possono dipendere da molte ragioni. Per esempio, l’utilizzo dei dati EUROSTAT a livello NUTS II non consente di tener conto delle variazioni dei confini amministrativi regio-nali che si sono verificate nel corso degli anni3, né di considerare gli effetti sulla composizione delle regioni legati ai vari allargamenti dell’UE4. Il pro-blema della mancanza di una definizione sistematica e continua della delimi-tazione territoriale non ha consentito di disporre di un corpo statistico com-pleto a livello regionale5.

Un altro aspetto critico riguarda la non disponibilità di una base statistica che consenta un’identificazione delle spese su base regionale e per tipologia

2 Per esempio, secondo Boldrin e Canova (2001), «... the regional and structural policies mostly serve a redistribution purpose, motivated by the political equilibria upon which the EU is built, but have little effect in fostering economic growth at the EU level» (p. 211).

3 In Italia la definizione dei confini delle regioni ordinarie si è conclusa negli anni Ses-santa, mentre nella Francia continentale la delimitazione definitiva si è avuta solo all’inizio de-gli anni Ottanta. Inoltre, i confini regionali della Grecia, dell’Irlanda e del Portogallo sono stati soggetti a continue ridefinizioni che, nel caso del Portogallo, si sono protratte fino agli anni Novanta.

4 La definizione e la dimensione di regione contenute nel Secondo Rapporto Periodico (CEC 1984) per i primi dodici paesi della Comunità europea è stata modificata per tenere conto dell’allargamento del 1993 (EUROSTAT 1995).

5 Solo per i primi nove paesi aderenti alla Comunità europea l’EUROSTAT ha raccolto informazioni dal 1970. Per Grecia, Spagna e Portogallo i dati a livello regionale iniziano dagli anni Ottanta, mentre per Austria, Svezia e Finlandia dal 1993. Infine, i dati per i cinque Län-der orientali della Germania sono disponibili solo a partire dal 1990.

423

di intervento. Per esempio, in Italia fino al 1996 non era disponibile un si-stema di contabilità sugli importi ricevuti dalle singole regioni.

Inoltre, si sono considerati in modo non sempre appropriato i contenuti della politica regionale dell’Unione europea, poiché in alcuni lavori non si è tenuto conto dei forti cambiamenti introdotti dalla Riforma del 19886. In-fatti, in precedenza le risorse finanziarie dedicate alla politica regionale erano limitate, non esistevano criteri di selezione dei paesi potenziali beneficiari dell’aiuto e, all’interno dei paesi, gli investimenti non privilegiavano politiche a favore delle aree a ritardo di sviluppo.

Infine, affinché la politica comunitaria possa avere effetti è necessario che la spesa programmata sia pienamente assorbita e che i programmi siano attuati in maniera efficiente. Questo problema rimanda alla capacità di ge-stione delle singole regioni che nelle analisi empiriche per essere adeguata-mente affrontata richiede l’utilizzo delle somme effettivamente spese e non quelle programmate o impegnate (Coppola e Destefanis 2007; Garcìa Solanes e Marìa-Dolores 2002; De la Fuente 2003).

Questo saggio si inserisce nel dibattito sull’efficacia della politica di coe-sione e presenta una valutazione empirica dell’impatto dei Fondi Strutturali sulla crescita delle regioni italiane dal 1996 al 2007. Il lavoro arricchisce i risultati di Percoco (2005), Loddo (2006), Coppola e Destefanis (2007) sul ruolo dei Fondi Strutturali in Italia e supera alcuni dei limiti prima rilevati. Infatti, considera solo le regioni italiane i cui confini amministrativi, a dif-ferenza di ciò che si è verificato in altri paesi, non sono mutati nel tempo, tiene conto delle somme spese e non solo impegnate e concentra l’attenzione al periodo post Riforma (1994-2007). Inoltre, presenta un’analisi articolata dei contenuti della politica regionale, al fine di evidenziare il ruolo che alcuni aspetti «istituzionali» hanno nel determinare l’impatto dei Fondi.

L’analisi empirica è realizzata utilizzando un modello di crescita con dati panel in cui i Fondi Strutturali sono una variabile esplicativa dell’equazione di convergenza. Sebbene questa metodologia sia consolidata in letteratura (per il caso italiano si considerino, per esempio, i lavori di Aiello e Scoppa 2006; Carmeci e Mauro 2004), nessun lavoro focalizza l’attenzione sul ruolo dei Fondi Strutturali utilizzando metodi di stima che affrontano i problemi di ete-rogeneità non osservata tra le regioni d’Italia e di endogeneità dei regressori.

I risultati indicano che se da un lato la distribuzione dei fondi è coerente con i criteri di attribuzione di maggiori risorse alle regioni a ritardo di svi-luppo, dall’altro lato si rilevano performance diverse nella capacità di gestione

6 Ad esempio, Boldrin e Canova (2001) si riferiscono all’intero periodo di operatività del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, quando in realtà si può parlare di politica di coesione europea solo dopo la Riforma del 1988.

424

dei fondi tra le regioni italiane. Il risultato più importante a cui giunge l’ana-lisi empirica è che i Fondi Strutturali hanno esercitato un impatto, seppur limitato, sul processo di convergenza del reddito pro capite delle regioni ita-liane, mentre non hanno influenzato i divari regionali in termini di produtti-vità del lavoro.

Il lavoro è organizzato come segue. Il secondo paragrafo descrive breve-mente la politica regionale dell’UE e le modalità di attuazione in Italia. Il terzo paragrafo presenta un’analisi descrittiva della distribuzione territoriale dei Fondi Strutturali e della loro gestione finanziaria. Il quarto paragrafo in-troduce il problema della presenza dei divari di sviluppo in Italia e il quinto valuta gli effetti della politica strutturale sul processo di convergenza delle regioni italiane. Seguono alcune considerazioni conclusive.

2. La politica regionale dell’Unione europea

La dimensione dei divari regionali e gli strumenti di intervento utilizzati per fronteggiare questo problema sono molto cambiati nel corso degli anni, ma è solo con l’adozione del primo pacchetto Delors (Riforma del 1988) che si può parlare di politica di coesione europea.

Infatti, la Riforma del 1988 ha modificato il quadro teorico di riferimento della politica regionale europea, superando l’idea, fino ad allora prevalente, che la riduzione dei divari potesse rappresentare l’esito spontaneo dell’inte-grazione dei mercati e della mobilità dei fattori produttivi conseguente all’in-tegrazione europea.

Questo cambiamento nell’approccio alla politica regionale ha prodotto effetti sia da punto di vista finanziario, con un aumento considerevole di risorse dedicate a questa politica, ma anche da un punto di vista della go-vernance, introducendo nuovi principi su cui impostare il rapporto tra i di-versi livelli di governo (complementarietà, partnership, addizionalità, concen-trazione e programmazione) ed identificando gli obiettivi su cui concentrare l’azione strutturale7.

7 Gli obiettivi possono interessare solo le aree svantaggiate (obiettivi verticali o regionali) o essere comuni a tutta l’Unione (obiettivi orizzontali). Le politiche di intervento relative agli obiettivi regionali sono le seguenti: politiche finalizzate allo sviluppo delle regioni in ritardo di sviluppo rientranti nell’Obiettivo 1; all’interno dell’Obiettivo 2 ricadono gli interventi fina-lizzati alla riconversione industriale nelle regioni caratterizzate dal declino di questo settore; l’Obiettivo 5 ha per scopo lo sviluppo nelle aree rurali. L’Obiettivo 5 comprende l’Obiettivo 5a (orizzontale), relativo all’adeguamento delle strutture agrarie nell’ambito della riforma della politica comune e l’Obiettivo 5b (regionale) che è finalizzato allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle zone rurali. Gli obiettivi orizzontali affrontano, invece, il problema della ri-conversione del mercato del lavoro e della formazione e sono finalizzati a ridurre la disoccupa-

425

Il principale strumento per perseguire tali obiettivi sono i Fondi Struttu-rali. L’idea che sottende a questa politica regionale è di aumentare la produt-tività e la competitività di lungo periodo delle aree meno sviluppate, creando un ambiente favorevole all’attrazione delle attività produttive. A tale scopo, i Fondi Strutturali finanziano soprattutto investimenti in infrastrutture mate-riali e immateriali e in capitale umano, poiché la scarsa presenza di questi in-vestimenti è ritenuta la causa principale di disparità economiche territoriali8.

Rispetto ai precedenti cicli di programmazione, gli interventi previsti nel periodo 2000-2006 sono caratterizzati da alcune novità nei contenuti e nelle modalità di implementazione delle politiche. Si assegna maggiore peso alla partecipazione delle parti economiche e sociali nel processo di definizione degli interventi e si effettua un più ampio decentramento in materia di pro-grammazione, gestione e valutazione. Inoltre, si introduce una maggiore con-centrazione finanziaria, geografica e tematica dei finanziamenti9. Infine, si ri-duce il numero degli obiettivi da 7 a 310 e si introducono criteri alternativi al PIL e al tasso di disoccupazione per definire l’attribuzione dei finanziamenti.

zione di lunga durata (Obiettivo 3) e a promuovere l’adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali (Obiettivo 4). Infine, l’Obiettivo 6, creato nel 1995 con l’adesione della Finlandia e della Svezia, affronta i problemi delle regioni situate all’estrema periferia dell’Unione. Oltre agli obiettivi prioritari, sono previsti i cosiddetti «fuori obiettivo», ossia le Iniziative comuni-tarie volte a risolvere specifici problemi settoriali nelle regioni più svantaggiate dell’UE, e le Azioni Innovative che sono finalizzate a sostenere strategie di sviluppo innovative.

8 Il Fondo Europeo di Sviluppo regionale (FESR) riguarda gli incentivi per gli investi-menti produttivi e per ridurre le disparità regionali; il Fondo Sociale Europeo (FSE) si oc-cupa della valorizzazione delle risorse umane attraverso interventi a sostegno della formazione e dell’occupazione; il Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia (FEOGA) è finalizzato a incrementare la produttività e il reddito del settore agricolo. La sezione Garanzia riguarda po-litiche di sostegno ai prezzi dei prodotti agricoli, mentre la sezione Orientamento si riferisce alle politiche strutturali nel settore agricolo. Infine, lo Strumento Finanziario di Orientamento per la Pesca (SFOP) è finalizzato a migliorare la competitività e la redditività delle aziende che operano in questo settore.

9 Relativamente alla concentrazione finanziaria, è da segnalare la riduzione della quota di popolazione beneficiaria e un aumento (regioni Obiettivo 1) o stazionarietà (regioni Obiettivo 2) del sostegno annuo pro capite. Riguardo alla concentrazione geografica, nel 2006 gli Obiet-tivi 1 e 2 interessano il 41% della popolazione dell’Unione, raggiungendo il più alto grado di concentrazione geografica dopo la riforma strutturale del 1988. Infine, vi è una maggiore con-centrazione tematica sulla spesa infrastrutturale che è pari al 34% circa del totale (30% nel periodo 1994-99), mentre la quota destinata agli investimenti in risorse umane e investimenti produttivi si è ridotta (Commissione europea 2001).

10 Il primo riguarda le regioni a ritardo di sviluppo, il secondo interessa le aree in cui è necessario sostenere processi di riconversione economica e sociale (ex Obiettivi 2 e 5b), mentre l’ultimo è a supporto delle politiche per l’istruzione, la formazione e l’occupazione. L’Obiettivo 5b, che riguardava solo alcune aree a vocazione agricola delle regioni, viene elimi-nato. Le aree rurali sono sostenute attraverso un Piano di Sviluppo Rurale che interessa tutte le aree agricole delle regioni.

426

Passando dallo schema generale a considerazioni più specifiche sull’attua-zione in Italia della politica di coesione, si rileva che l’Obiettivo 1 è rivolto alle aree del Mezzogiorno. La definizione della politica di sviluppo avviene tramite due livelli di programmazione. Il primo è quello del Quadro Comu-nitario di Sostegno (QCS), che è un programma quadro, frutto della nego-ziazione tra la Commissione e lo Stato membro, in cui viene individuata la strategia di intervento e il contributo degli strumenti finanziari. Sulla base del QCS lo Stato membro definisce i Programmi Operativi Regionali (POR), che sono documenti di programma specifici per ciascuna regione Obiettivo 1 la cui responsabilità è del governo regionale, e i Programmi Multiregionali gestiti dalle Amministrazioni Centrali. Relativamente alla programmazione 2000-2006, sono stati elaborati 7 POR e 7 Programmi Operativi Nazionali (PON), rispetto agli 8 POR e 14 Programmi Multiregionali della precedente programmazione.

Tutti gli altri obiettivi riguardano le regioni del Centro-Nord. L’idea è che tali zone, pur presentando contesti di sviluppo complessivamente in linea con la media comunitaria, siano caratterizzate da alcuni elementi di criticità che incidono negativamente sul loro sviluppo economico e occupazionale11.

3. Analisi descrittiva

3.1. Gli investimenti pubblici e il ruolo dei Fondi Strutturali

Un utile indicatore per valutare l’intensità dell’intervento pubblico con riferimento a finalità di sviluppo è la spesa pubblica in conto capitale12 che rappresenta una componente rilevante dello stock di capitale produttivo e,

11 L’Obiettivo 2 viene attuato attraverso i Documenti Unici di Programmazione (uno per ogni regione del Centro-Nord) e lo strumento finanziario utilizzato è il FESR, nel periodo di programmazione 2000-2006, e il FESR e FSE nel ciclo precedente. L’Obiettivo 3 viene attuato in via strategica tramite un QCS e in via operativa tramite i POR a titolarità delle regioni e i Programmi multiregionali direttamente gestiti dal Ministero del Lavoro. Lo strumento finan-ziario utilizzato è il FSE. Infine, per quanto riguarda gli Obiettivi 4 e 5, essi si riferiscono solo al periodo 1994-1999 e sono rivolti esclusivamente alle regioni del Centro-Nord. In par-ticolare, gli interventi dell’Obiettivo 4 sono solo a titolarità regionale e multiregionale e sono finanziati esclusivamente dal FSE; gli interventi dell’Obiettivo 5a presentano un’articolazione in programmi a carattere regionale e multiregionale e utilizzano il FEOGA sezione orienta-mento e lo SFOP. Infine, gli interventi dell’Obiettivo 5b sono solo a carattere regionale e gli strumenti finanziari utilizzati sono il FESR, il FSE e il FEOGA.

12 Per spesa in conto capitale si intende l’aggregato formato dalle seguenti voci: beni e opere immobiliari, beni mobili, macchine e attrezzature, trasferimenti in conto capitale a fami-glie e imprese, somme non attribuibili in conto capitale.

427

quindi, costituisce un elemento chiave per la crescita delle regioni italiane13. L’analisi è basata sulla serie storica dei Conti Pubblici Territoriali (Ministero dello Sviluppo Economico DPS, 2008), a prezzi costanti 2000.

La distribuzione degli investimenti per area geografica è coerente con gli obiettivi di riequilibrio territoriale, poiché è nelle regioni del Mezzogiorno che si concentra la maggiore spesa rispetto al PIL regionale e in termini della popolazione, generando un significativo effetto redistributivo. Infatti, nel periodo 1996-2006, la spesa pro capite nel Mezzogiorno è pari a 876 euro all’anno contro la corrispondente spesa di 780 euro nelle regioni del Centro-Nord (in media, un abitante del Mezzogiorno ha, quindi, ricevuto ogni anno il 12% in più rispetto ad un abitante del Centro-Nord)14. Infine, un ulteriore elemento che segnala la rilevanza dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno è rappresentato dal peso della spesa in conto capitale rispetto al PIL. Dal 1996 al 2006, il Mezzogiorno ha ricevuto, in media, solo il 38,7% della spesa nazionale in conto capitale, ma tali somme rappresentano rispetto al PIL una quota (6,2%) che è il doppio di quella (3,1%) osservata per le regioni del Centro-Nord15 (tab. 1).

13 La teoria della crescita attribuisce un ruolo importante alla spesa in conto capitale (Barro 1990) e la maggior parte dei modelli mostra come questa rafforzi in modo considere-vole il lato dell’offerta dell’economia (Shioji 2001; Chatterjee e Turnvosky 2005). Dal punto di vista empirico, una rassegna dell’effetto degli investimenti pubblici sulla crescita è contenuta in Romp e De Haan (2007).

14 L’analisi dei dati dovrebbe considerare la composizione interna della spesa in conto ca-pitale, poiché le spese per investimento, piuttosto che i trasferimenti, sono quelle che concor-rono maggiormente al riequilibrio territoriale. In realtà, la spesa per trasferimenti è maggiore nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, mentre si osserva un rapporto inverso per le spese per investimento.

15 Se si considerasse il settore pubblico allargato (Conti Pubblici Territoriali, Ministero della Sviluppo Economico, DPS), si avrebbe una maggiore concentrazione delle spese in conto capitale nelle regioni del Centro-Nord. Questo risultato è dovuto alla maggiore presenza di imprese pubbliche in questa area del paese.

TAB. 1. Indicatori sulla distribuzione territoriale degli investimenti (valori medi relativi al periodo 1996-2006)

Popolazione PIL Spese in conto capitale

Spese in conto capitale/POP

Spese in conto capitale/PIL

Centro-Nord 64,2 75,9 61,3 780 3,1Mezzogiorno 35,9 24,1 38,7 876 6,2Italia 100 100 100 815 3,9

Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT (2005, 2008a) e Conti Pubblici Territoriali (Ministero dello Svi-luppo Economico, DPS, 2008).

428

Un significativo sostegno allo sviluppo del Mezzogiorno è stato offerto dalle risorse comunitarie provenienti dai Fondi Strutturali e dal cofinanzia-mento nazionale16. Pur non essendo disponibile la ripartizione dei dati per fonte di finanziamento, è possibile affermare che i fondi comunitari per le regioni del Sud hanno rappresentato una quota elevata della spesa in conto capitale.

La ripartizione dei Fondi Strutturali per area territoriale e per regione è presentata nella tabella 2, in cui si riporta l’ammontare assoluto di risorse de-stinate alle regioni italiane, nonché il loro peso rispetto al PIL, alla popola-zione e agli investimenti regionali17.

Nel periodo considerato, l’importo stanziato dai Fondi Strutturali in Italia, ad esclusione dei fondi «fuori obiettivo», è stato più di 110 MLD di euro (quasi 78 MLD nelle regioni del Mezzogiorno e poco più di 32 MLD in quelle del Centro-Nord). Queste somme rappresentano nel Mezzogiorno circa l’11% degli investimenti totali e il 40% degli investimenti pubblici, mentre nel Centro-Nord equivalgono, rispettivamente, all’1,4% e al 9,5%. Ne consegue che il sostegno dei Fondi Strutturali rappresenta una quota molto più ampia nell’area meno sviluppata del paese, segnalando una forte dipendenza di queste economie dagli investimenti attivati dall’Europa. La Basilicata è la regione in cui la percentuale di Fondi Strutturali sugli inve-stimenti totali e pubblici assume il valore più elevato. In termini relativi le regioni che hanno avuto una maggiore quota di risorse pro capite sono la Basilicata, la Sardegna e il Molise. In termini assoluti, la Sicilia è, invece, la regione che beneficia dell’importo più elevato di finanziamenti, seguita dalla Campania e dalla Puglia. Da notare, infine, l’importanza delle risorse riser-vate ai programmi gestiti dalle Amministrazioni Centrali (Fondi Multiregio-nali o Programmi Nazionali) soprattutto nel Mezzogiorno e, contemporane-amente, una riduzione del loro peso, a segnalare il decentramento della poli-tica regionale che si è verificato nel passaggio da un periodo di programma-zione all’altro (tab. 2).

16 La politica regionale in Italia è finanziata, oltre che dalle risorse comunitarie (Fondi Strutturali e cofinanziamento nazionale), da quelle del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS) che dovrebbe destinare l’85% delle proprie risorse al Mezzogiorno.

17 Da notare il caso dell’Abruzzo che compare in entrambe le aree territoriali, sebbene con etichette diverse. Ciò dipende dal fatto che con il passaggio da un periodo di program-mazione all’altro, l’Abruzzo è uscito dalle regioni Obiettivo 1 per entrare a far parte delle regioni Obiettivo 2 e 3. È da sottolineare, inoltre, il caso del Molise, che nel periodo di pro-grammazione 2000-2006 beneficia di un sostegno transitorio (phasing out) per evitare l’im-provvisa interruzione degli aiuti e facilitare il consolidamento dei risultati dei precedenti in-terventi strutturali.

429

3.2. La gestione finanziaria dei Fondi Strutturali

Affinché la politica comunitaria possa essere efficace, è necessario che la spesa programmata nei Quadri Comunitari di Sostegno sia pienamente assorbita dalle singole regioni e che i programmi siano attuati in maniera efficiente.

Una rappresentazione dell’attuazione finanziaria degli interventi è de-scritta nella figura 1, in cui si confrontano le performance nelle due aree del

TAB. 2. Ripartizione territoriale delle risorse nei due cicli di programmazione (milioni di euro)

Ciclo1994-1999*

Ciclo2000-2006**

1994-2006 Fondi/PIL(%)

Fondi/POP

Fondi/INV Totali(%)

Fondi/INV Pubblici

(%)

Mezzogiorno 31.818,99 46.019,33 77.838,32 2,2 211,0 10,7 39,9Abruzzo (94-96) 551,53 551,53 1,0 43,7 5,4 0,4Basilicata 1.272,69 1.696,07 2.968,76 2,7 495,2 10,0 28,1Calabria 1.900,95 4.036,4 5.937,35 1,8 292,7 7,8 23,1Campania 3.260,48 7.748,17 11.008,65 1,1 191,1 5,6 21,1Molise 616,83 469,48 1.086,31 1,7 335,1 7,2 20,6Puglia 2.645,94 5.232,35 7.878,29 1,1 194,1 5,7 27,8Sardegna 1.816,03 4.258,56 6.074,59 1,8 369,3 7,5 22,4Sicilia 3.305,01 8.459,91 11.764,92 1,3 233,6 6,6 26,2Totale Regionali 15.369,46 31.900,94 47.270,4 1,4 128,1 6,5 24,2Tot. Multiregionali 16.449,53 14.118,39 30.567,92 0,9 82,8 4,2 15,7

Centro-Nord 16.196,43 16.280,25 32.476,68 0,3 156,6 1,4 9,5Abruzzo (97-99) 61,75 953,17 1.014,92 0,4 79,3 2,0 8,2Emilia Romagna 847,43 1.588 2.435,43 0,2 60,6 0,9 7,3Friuli Venezia Giulia 502,38 707,59 1.209,97 0,3 102,0 1,7 7,8Lazio 1.088,72 1.786,48 2.875,2 0,2 54,9 1,0 6,6Liguria 794,8 1.065,86 1.860,66 0,4 115,8 2,5 11,4Lombardia 912,35 2.003,9 2.916,25 0,1 32,0 0,5 4,7Marche 1.071,76 638,93 1.710,69 0,4 115,9 2,2 13,3Trentino Alto Adige 431,27 564,58 995,85 0,3 105,8 1,1 3,4Piemonte 2.154,85 2.356,3 4.511,15 0,4 105,7 1,7 12,3Toscana 1.719,27 1.938,26 3.657,53 0,4 103,4 2,0 12,5Umbria 1.355,57 632,37 1.987,94 0,9 236,8 4,5 17,6Valle D’Aosta 78,33 135,12 213,45 0,5 177,7 2,2 4,5Veneto 636,89 1.469,26 3.106,15 0,2 68,3 1,0 8,9Totale Regionali 12.655,37 15.839,81 28.495,18 0,2 137,4 1,2 8,3Tot. Multiregionali 3.541,06 440,44 3.981,5 0,0 19,2 0,2 1,2

Italia 48.015,42 62.299,58 110.315 0,7 191,4 3,6 20,5

* Al 31/12/2003; ** Al 31/12/2007. Si tratta dell’importo stanziato nei periodi di programmazione indicati, risultante dalla somma della quota comunitaria, nazionale e privata prevista nel Piano finanziario dei Programmi.

Per Investimenti pubblici si intende le spese in conto capitale della Pubblica Amministrazione.

Fonte: Elaborazioni su dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (1996-2007), ISTAT (2005, 2008a) e Conti Pubblici Territoriali (Ministero dello Sviluppo Economico, DPS, 2008).

430

paese e nei due cicli di programmazione, in termini di capacità di impegno (impegni sul contributo totale I/CT) e di spesa (pagamenti sul contributo to-tale P/CT) dei fondi.

Relativamente al ciclo 1994-1999, occorre sottolineare che l’avvio della programmazione è stato lento, sicché a fine 1996 (a tre anni dall’avvio) era stato impegnato solo il 41% delle risorse e speso il 16% delle previsioni di

FIG. 1. Capacità di impegno e di spesa nei due cicli di Programmazione.

Fonte: Elaborazioni su dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (1996-2007).

1996

140

120

100

80

60

40

20

01997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

I/CT Mezzogiorno

P/CT Mezzogiorno P/CT Centro-Nord

I/CT Centro-Nord

2000

120

100

80

60

40

20

02001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

I/CT Mezzogiorno

P/CT Mezzogiorno P/CT Centro-Nord

I/CT Centro-Nord

431

programma. La figura 1 evidenzia, inoltre, uno sfasamento temporale tra l’as-sunzione degli impegni, la cui conclusione era fissata per la fine del 1999, e il termine ultimo per la loro regolazione contabile, che avrebbe dovuto coinci-dere con la fine del 2001. Pertanto, dal 1999 al 2001 non si registrano signi-ficative variazioni negli impegni se non lievi assestamenti dovuti a rettifiche e alla ritardata comunicazione di impegni precedentemente assunti, mentre più consistente è stata la variazione registrata dai pagamenti, legata proprio allo scadere dei termini previsti per la loro attuazione.

Infatti, i pagamenti dopo aver registrato una percentuale ridotta nei primi anni (come prevedibile, vista la sequenza logico-temporale che lega i pagamenti agli impegni), in seguito hanno registrato un trend sempre cre-scente che avrebbe dovuto raggiungere nel 2001 il 100%. In realtà, la per-centuale di pagamento si è fermata all’89,7% nel 2001 per raggiungere il 91,7% dell’importo disponibile nel 2003 (a questa data risultano pagati 44,029 MLN di euro dei 48,015 disponibili)18. Da segnalare la diversa ca-pacità di attuazione finanziaria degli interventi nelle due aree del paese con il Mezzogiorno che mostra indici di performance migliori rispetto al Centro-Nord (la capacità di impegno e di spesa è nel Mezzogiorno è pari al 115% e 94%, rispettivamente, mentre nel Centro-Nord le corrispondenti percentuali sono 104% e 87%).

Relativamente al ciclo di programmazione 2000-2006, la figura 1 mostra nel Centro-Nord una crescita contenuta degli impegni e dei pagamenti nei primi due anni, segnale delle difficoltà incontrate nell’avvio della program-mazione19. Superata la fase di avvio, tutti gli indici mostrano una performance migliore del Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno d’Italia. Da un punto di vista generale, a fine 2007 tutte le risorse disponibili sono state impegnate sia nel Mezzogiorno che nel Centro-Nord, mentre i pagamenti effettivamente sostenuti ammontano a quasi l’82% del totale delle risorse stanziate (72% nel Mezzogiorno e 87% nel Centro-Nord) e al 74% delle risorse impegnate (72% nel Mezzogiorno e del 82% nel Centro-Nord)20.

18 Tale risultato appare meno negativo se si considera che al 31/12/1999 la capacità di spesa media era intorno al 60%.

19 Occorre sottolineare che solo per gli interventi condotti nell’ambito dell’Obiettivo 1 e dell’Obiettivo 3 vi è stato uno stanziamento di contributi a partire dal 2000, mentre per gli al-tri interventi i primi stanziamenti si sono avuti nel 2001 e, nel caso dei DOCUP dell’Obiettivo 2 solo nel 2002 (cioè a due anni dall’inizio del periodo di programmazione). Di conseguenza, risulta ampliata l’entità delle risorse finanziarie spendibili, ma non di quelle impegnate con tutto quello che ne consegue in termini di scarsa capacità di impegno registrata nei primi anni relativamente nelle regioni del Centro-Nord.

20 Si tenga conto che la chiusura del ciclo 2000-2006 è prevista per il 30/06/2009.

432

I dati per macroaree non permettono di cogliere appieno le differenze interregionali in termini di gestione ed utilizzazione delle risorse. L’analisi disaggregata è sintetizzata nella tabella 3 che confronta le performance delle regioni italiane nei due cicli di programmazione. Se si considera il periodo 1994-1999, è utile osservare che i risultati più soddisfacenti conseguiti nel Mezzogiorno, in termini di gestione della spesa, debbano essere valutatati con cautela, poiché dipendono dalla buona performance di quattro regioni su otto dell’area meridionale del paese (Abruzzo, Basilicata, Molise e Sardegna) e dalla bassa capacità di spesa di cinque regioni del Centro-Nord (Lazio, Marche, Piemonte, Umbria e Veneto). Peraltro, occorre evidenziare che la maggior parte delle regioni non ha utilizzato gli stanziamenti disponibili: solo 8 regioni hanno utilizzato la totalità dei fondi programmati21.

Relativamente al ciclo di programmazione 2000-2006, se da un lato quasi tutte le regioni presentano un overbooking di risorse, dall’altro lato si rileva una maggiore uniformità di risultati rispetto al precedente periodo. Infatti, nel Mezzogiorno solo il Molise (84%) presenta una capacità di spesa supe-riore alla media nazionale (81,7%) e, nel Centro-Nord, solo la Liguria (74%) e l’Umbria (80%) una performance peggiore22.

Un’importante conseguenza di questi risultati è il legame tra la capacità di gestione dei Fondi Strutturali e il loro impatto sulle economie regionali. È evidente che una condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché una politica sia pienamente efficace è che la spesa prevista sia utilizzata. La precedente analisi indica che non tutte le risorse sono state impiegate e che vi è stata una concentrazione della spesa nel triennio 2000-03, un periodo relativamente recente affinché la spesa possa avere manifestato tutti i suoi effetti.

Indipendentemente dalle performance gestionali della spesa, è utile ricor-dare che le risorse assegnate al Mezzogiorno sono maggiori di quelle di cui hanno beneficiato le regioni del Centro-Nord. Questo è vero sia in termini assoluti sia in termini relativi (rispetto al PIL, popolazione ed investimenti) (tab. 2) e pertanto, ci si attende che, a parità di altre condizioni, l’impatto

21 Le regioni più virtuose sono state il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia, la Toscana, la Valle d’Aosta, l’Abruzzo nel periodo 1994-1996, la Basilicata e la Sardegna. All’estremo opposto le regioni con una minore capacità di spesa sono state il Lazio (65%), l’Abruzzo nel periodo 1997-99 (68%), l’Umbria (79%), le Marche (81%) e il Piemonte (82%) (tab. 3).

22 La Sicilia e la Sardegna sono le regioni con i livelli di avanzamento finanziari inferiori, avendo pagato solo il 75% delle risorse stanziate per l’intero periodo di programmazione. Per quanto riguarda il Centro-Nord, le regioni che hanno avuto il più alto indice di avanzamento finanziario sono l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, il Lazio, la Toscana e la Valle d’Aosta (tab. 3).

TAB. 3

. C

apac

ità

di i

mpe

gno

e di

spe

sa d

el f

ondi

com

unit

ari

nel

cicl

o di

pro

gram

maz

ione

199

4-19

99 e

200

0-20

06 (

mili

oni

di e

uro)

1994

-199

9 (d

ati a

l 31/

12/2

003)

2000

-200

6 (d

ati a

l 31/

12/2

007)

Con

trib

uto

Tota

le (

CT

)Im

pegn

i (I)

Pag

amen

ti (P

)C

apac

ità d

i im

pegn

o(I

/CT

)

Cap

acità

di

spes

a(P

/CT

)

Con

trib

uto

Tota

le (

CT

)Im

pegn

i (I)

Pag

amen

ti (P

)C

apac

ità d

i im

pegn

o(I

/CT

)

Cap

acità

di

spes

a(P

/CT

)

Mez

zogi

orno

31.8

1936

.705

29.9

7711

594

46.0

1951

.093

36.7

0311

172

Abr

uzzo

(19

94-9

6)55

268

556

912

410

3–

––

––

Bas

ilica

ta1.

273

1.58

11.

305

124

103

1.69

62.

036

1.33

112

078

Cal

abri

a1.

901

2.02

31.

716

106

904.

036

4.09

83.

221

102

80C

ampa

nia

3.26

03.

570

2.89

210

989

7.74

88.

231

5.88

710

676

Mol

ise

617

733

608

119

9946

954

339

711

684

Pug

lia2.

646

3.01

52.

363

114

895.

232

6.00

43.

962

115

76Sa

rdeg

na1.

816

2.16

31.

854

119

102

4.25

94.

056

3.20

295

75Si

cilia

3.30

53.

740

2.99

511

391

8.46

09.

560

6.38

111

375

Tota

le R

egio

nali

15.3

6917

.511

14.3

0311

493

31.9

0134

.529

24.3

8010

876

Tota

le M

ulti

regi

onal

i16

.450

19.1

9415

.674

117

9514

.118

16.5

6512

.323

117

87

Cen

tro-

Nor

d16

.196

16.8

7414

.052

104

8716

.280

17.3

1414

.210

106

87A

bruz

zo (

1997

-99)

6247

4276

6895

31.

027

729

108

76E

mili

a R

omag

na84

793

882

311

197

1.58

832

026

611

697

Fri

uli V

enez

ia G

iulia

502

562

522

112

104

708

1.77

31.

530

112

96L

azio

1.08

91.

134

713

104

651.

786

825

681

117

96L

igur

ia79

579

672

710

091

1.06

61.

876

1.41

910

579

Lom

bard

ia91

294

589

010

497

2.00

41.

102

896

103

84M

arch

e1.

072

1.09

086

410

281

639

1.98

41.

792

9989

PA B

olza

no25

227

525

110

910

027

660

853

695

84PA

Tre

nto

180

227

191

126

106

289

2.44

11.

984

104

84P

iem

onte

2.15

52.

228

1.77

210

382

2.35

62.

083

1.75

210

790

Tosc

ana

1.71

91.

844

1.77

010

710

31.

938

350

286

121

99U

mbr

ia1.

356

1.45

51.

075

107

7963

262

950

899

80V

alle

D’A

osta

7888

8011

310

313

516

913

012

596

Ven

eto

1.63

71.

649

1.44

910

188

1.46

91.

701

1.34

611

692

Tota

le R

egio

nali

12.6

5513

.277

11.1

6710

588

15.8

4016

.889

13.8

5610

787

Tota

le M

ulti

regi

onal

i3.

541

3.59

72.

885

102

8144

042

635

497

80

Tota

le48

.015

53.5

7944

.029

112

9262

.300

68.4

0850

.913

109,

8081

,72

Font

e: E

labo

razi

oni s

u da

ti de

l Min

iste

ro d

ell’E

cono

mia

e d

elle

Fin

anze

(19

96-2

007)

.

434

finale della politica sia maggiore nel Sud d’Italia. In realtà, la questione della quantità della spesa non può essere disgiunta dal problema della qualità della stessa. Questo aspetto, però, non può essere colto da questo studio, così come l’analisi di questi dati non consente di capire se il raggiungimento di elevati livelli di spesa abbia rappresentato un obiettivo in sé e non il mezzo per conseguire gli obiettivi della politica regionale.

4. Convergenza regionale in Italia

I precedenti paragrafi indicano che la programmazione comunitaria è stata una significativa fonte di finanziamento delle politiche regionali attivate in Italia nel corso degli ultimi 20 anni. Accanto alle valutazioni sulla gestione dei fondi è utile capire l’effetto di queste politiche sulla crescita economica delle regioni italiane. Questo tipo di valutazione è cruciale per l’Italia, in quanto la differenziazione dei livelli di sviluppo regionale è un fenomeno che da decenni caratterizza il modello economico del paese. In questo paragrafo se ne riassumono le questioni chiave.

Utilizzando i dati dell’ISTAT (2005 e 2008a) è possibile ricostruire le se-rie storiche dei conti economici regionali dal 1980 al 2007 (si rimanda all’Ap-pendice per la procedura utilizzata nella costruzione della banca dati). Se si confronta il reddito pro capite regionale negli anni 1980-1981 e 2006-2007, si nota come, nel corso di questo periodo, non si sia verificata alcuna varia-zione nell’ordinamento regionale del reddito pro capite: le regioni il cui red-dito pro capite era, ad inizio periodo, al di sotto della media nazionale occu-pano la stessa posizione relativa a fine periodo (la correlazione tra la serie del reddito pro capite ad inizio e fine periodo è pari a 0,95). Questa persistenza dei divari di sviluppo è osservabile anche se si considerano diversi periodi temporali, tra cui quello (1996-2007) scelto nell’analisi di valutazione dell’im-patto dei Fondi Strutturali.

Da un punto di vista analitico, l’approccio maggiormente utilizzato per studiare l’esistenza di un processo di riduzione dei divari regionali è l’ana-lisi di convergenza, in base alla quale il reddito delle regioni più povere con-verge nel lungo periodo verso quello delle regioni più ricche (Solow, 1956)23. La presenza di convergenza può essere verificata attraverso un’equazione di

23 Negli ultimi dieci anni, in Italia, si è avuta una leggera riduzione dei divari regionali con comportamenti differenziati tra Centro-Nord e Mezzogiorno: i redditi pro capite sono più variabili tra le regioni del Mezzogiorno e la convergenza sigma è meno rilevante in questa area del paese (i risultati sono disponibili su richiesta).

435

crescita in cui si analizza l’esistenza di una relazione negativa tra il livello ini-ziale del reddito pro capite e il suo tasso di crescita (convergenza b)24.

La specificazione econometrica del modello utilizzato in questo lavoro è la seguente:

(1) ln(yit) = bln(yi,t – t) + gln(sit) + fln(nit + g + d) + aln(hit) + mi + ht + eit

dove yit è il reddito pro capite della regione i al tempo t, yi,t – t è il reddito pro capite nell’anno t – t, sit è il rapporto tra investimenti e PIL della regione i al tempo t, nit è il tasso di crescita della popolazione, g indica il tasso di cre-scita del progresso tecnico esogeno, d rappresenta il tasso di ammortamento, mentre hit è un indicatore del capitale umano. La variabile ht indica l’effetto fisso temporale che controlla per shock esogeni della funzione di produzione, mente mi sono gli effetti fissi regionali che permettono di tener conto dell’im-patto sulle stime determinato dall’eterogeneità regionale legata a fattori non osservabili. Infine, eit rappresenta l’errore casuale. Si rinvia all’Appendice per la descrizione della struttura del panel e delle variabili utilizzate.

L’ipotesi di base dell’eq. (1) è che le regioni siano diverse in termini dei fattori (osservabili e non osservabili) che, nell’estensione del modello di So-low, condizionano la posizione di equilibrio di lungo periodo (si vedano, tra gli altri, i lavori di Mankiw, Romer e Weil 1992).

La regressione (1) può essere stimata per diversi intervalli temporali, os-sia per diversi valori di t. Al fine di limitare gli effetti sulle stime legati al ciclo economico molti studi considerano intervalli di cinque anni (Carmeci e Mauro 2002; Di Liberto et al. 2008), di quattro (Aiello e Scoppa 2006) o di tre (de la Fuente 2002b). Le scelte effettuate in questo lavoro sui possibili valori di t sono due.

La prima scelta è di considerare sottoperiodi di tre anni ed è legata all’obiettivo di massimizzare il numero delle osservazioni, dato il vincolo sui dati dei Fondi Strutturali disponibili solo a partire dal 1996 (cfr. Appendice). Pertanto, se si effettua l’analisi di convergenza sul periodo 1980-2007, T è pari a 9 osservazioni per ogni regione (1980-83; 1984-86; 1987-89; 1990-92; 1993-95; 1996-98; 1999-01; 2002-04, 2005-07), mentre la dimensione tempo-

24 La prima applicazione del modello di crescita di Solow ai divari regionali in Italia è quella di Barro e Sala-i-Martin (1991), in cui si mostra che nel periodo 1950-1985 tra le re-gioni italiane si è verificato un processo di convergenza assoluta del 2% annuo. Molti studi che hanno approfondito il problema della convergenza dell’economia italiana tendono, invece, ad escludere la presenza in Italia di convergenza assoluta e dimostrano che tale processo si è avuto fino alla metà degli anni Settanta, mentre la tendenza di crescita si è invertita negli ul-timi 25-30 anni (Aiello e Scoppa 2000; Mauro e Podrecca 1994).

436

rale del panel si riduce a T = 4 quando il periodo considerato è quello relativo alla valutazione dell’impatto dei Fondi Strutturali (1996-2007). Il rischio di scegliere sottoperiodi di tre è che i risultati possono essere influenzati dagli effetti ciclici di breve periodo, ma questo rischio, sembra essere empirica-mente non fondato nel caso analizzato in questo saggio (cfr. nota 30). Inol-tre, le stime dell’eq. (1) non sono diverse da quelle ottenute considerando intervalli di 5 anni (i risultati sono disponibili su richiesta) e da quelle effet-tuate da altri autori, che utilizzano sottoperiodi di 5 anni (Carmeci e Mauro 2002; Di Liberto et al. 2008) o di 4 anni (Aiello e Scoppa 2006).

La seconda scelta è di stimare l’equazione di crescita considerando valori annuali, i quali, se da un lato, determinano un aumento della dimensione del panel, dall’altro lato incorporano componenti di breve periodo di cui occorre tener conto nelle stime. A tal fine, si è considerato il seguente modello a cor-rezione dell’errore:

(2) ln(yit) = bln(yi,t – t) + g ln(sit) + f ln(nit + g + d) + aln(hit) + + q ln(fit) + mi + ht + p1D ln(sit) + p2D ln(hit) + p3D ln(nit) + eit

in cui T = 1996, 1997,... 200725.Le eq. (1) e (2) sono state stimate utilizzando diversi stimatori, i cui ri-

sultati sono riportati nella tabella 4. Le prime 4 colonne si riferiscono al pe-riodo 1980-2007 e l’eq. (1) è stimata utilizzando il metodo OLS (colonna 1), lo stimatore LSDV (colonna 2), lo stimatore LSDV corretto da Kiviet (1995) (colonna 3) e il metodo GMM-SYS (colonna 4). Le ultime tre colonne si ri-feriscono del periodo 1996-2007 e i risultati sono ottenuti considerando l’eq. (1) e il metodo LSDV-corretto (colonna 5), nonché l’eq. (2) e gli stimatori LSDV-corretto (colonna 6) e GMM-SYS (colonna 7).

La scelta dello stimatore più appropriato dipende da molti elementi (cor-relazione tra effetti fissi e le altre variabili esplicative, endogeneità dei regres-sori, dimensione del panel) che, nel caso specifico dell’analisi riguardante il periodo 1980-2007, consentono di attribuire una cauta preferenza al metodo proposto da Kiviet (1995). Si tratta di un metodo che introduce nelle stime LSDV una correzione della distorsione dovuta alla limitata numerosità del campione26 e che è preferibile alle stime GMM quando T è piccolo (T ≤ 10)

25 La specificazione del modello a correzione dell’errore è uguale a quella proposta da Arnold, Bassanini e Scarpetta (2007) che utilizzano i dati annuali dei paesi OECD dal 1971 al 2004 per confrontare i modelli di Lucas e Solow. In letteratura, la scelta di considerare dati annuali per stimare equazioni di crescita à la Solow è seguita, per esempio, anche da Benos e Karagiannis (2008), Lanzafame (2005), Loddo (2006) e Presbitero (2005).

26 La presenza di effetti fissi e del valore ritardato della variabile dipendente rende le

437

(Bruno 2005; Kiviet 1995; Judson e Owen 1999)27. Nel caso del periodo 1996-2007 ed utilizzando medie triennali, la dimensione temporale del panel si riduce da T = 9 a T = 4, pregiudicando la possibilità di utilizzare lo stimatore GMM-SYS e lasciando come unica alternativa metodologica il metodo LSDV nella versione corretta da Kiviet (1995) (colonna 5, tab. 4). Se, invece, si uti-lizzano dati annuali, è possibile stimare l’eq. (2) con i metodi LSDV-corretto (colonna 6) e GMM-SYS (colonna 7)28.

Per quanto riguarda i risultati ottenuti29 si osservi che il valore stimato di b nel modello pooled è pari a 0,988 ed implica, quindi, una velocità di convergenza condizionata dello 0,4% all’anno30. Rispetto al modello pooled, lo stimatore LSDV introduce nelle stime la correzione dovuta alla presenza

stime LSDV distorte. Nickel (1981) ha dimostrato che la distorsione è inversamente propor-zionale alla dimensione temporale del panel e tende a zero con T → ∞.

27 Gli effetti fissi regionali [var (mi > 0)] introducono correlazione tra un regressore e il ter-mine di errore. In tal caso, si ottiene una sottostima del tasso di convergenza verso lo stato stazionario, che può essere corretta, sotto l’ipotesi di stretta esogeneità dei regressori, utiliz-zando un modello ad effetti fissi. Se, al contrario, tale assunzione non è valida, allora gli sti-matori ad effetti fissi generano stime non consistenti e la soluzione è di l’utilizzare i metodi delle variabili strumentali e GMM (Anderson e Hsiao 1982; Arellano e Bond 1991; Arellano e Bover 1995). Tuttavia, gli stimatori IV-GMM sono efficienti solo asintoticamemente, ossia non sono appropriati per stime su piccoli campioni, per i quali lo stimatore solitamente utilizzato è l’LSDV-corretto (Bruno 2005; Kiviet 1995) che prevede una stima a due stadi. Nel primo sta-dio si utilizza uno stimatore IV consistente (Anderson e Hsiao 1982; Arellano e Bond 1991), mentre nel secondo stadio si utilizzano i residui ottenuti nel primo stadio per correggere la distorsione delle stime LSDV (Kiviet 1995).

28 La tabella 4 riporta i risultati di alcuni test di diagnostica dei modelli. Il test di Sargan non permette di rigettare l’ipotesi nulla sulla validità degli strumenti. Inoltre, i p-value dei test proposti da Arellano e Bond (1991) indicano che i residui in differenza I mostrano autocor-relazione di I ordine ed assenza di autocorrelazione di II ordine. Ciò implica che gli errori eit non sono serialmente autocorrelati. Inoltre, si sottopone a test l’assunzione che gli errori del modello panel siano indipendenti tra le regioni. In base ai risultati relativi al test di Pesaran, l’ipotesi di cross sectional independence non può essere rigettata. Il test di Pesaran, riportato nelle colonne 4 e 7, è quello ottenuto utilizzando lo stimatore within. Ciò è dovuto al fatto che il test di Pesaran è valido per verificare l’assunzione di indipendenza sezionale degli errori anche nelle specificazioni dinamiche del modello di crescita (Sarafidis e De Hoyos 2006).

29 Sebbene il principale commento riguardi il coefficiente associato al ritardo della va-riabile dipendente, è utile osservare che in tutti i modelli considerati si ottiene un impatto positivo del capitale umano sulla crescita regionale, mentre i fattori che determinano il livello di investimenti di crescita bilanciata sono, come atteso, negativamente correlati con la crescita, così come negativo, sebbene non significativo, è l’effetto della quota degli investimenti totali sul PIL regionale (cfr. § 5).

30 Questo risultato non è diverso da quello (0,28%) che si otterrebbe con una regressione su dati cross section, ad indicare che la suddivisione del periodo di analisi (1980-2007) in sot-toperiodi di tre anni non introduce particolari distorsioni legate al ciclo economico.

438

di eterogeneità non osservata (l’ipotesi nulla H0{mi = 0} è rifiutata ad livello di significatività dell’1%) e genera un valore del coefficiente b pari a 0,81, de-terminando una velocità di convergenza condizionata pari al 6,94% annuo. La principale indicazione che deriva dalle stime LSDVC (colonna 3) è che la correzione di Kiviet, considerata la ridotta dimensione del nostro panel, determina, come atteso, un aumento da 0,81 a 0,83 del coefficiente associato al valore ritardato del reddito pro capite e, quindi, una riduzione al 6,21% della velocità di convergenza. Nel caso dello stimatore GMM-SYS (colonna

TAB. 4. Convergenza del reddito pro capite in Italia (1980-2007 e 1996-2007)

Variabile dipenden te:logaritmo del PIL procapite al tempo t

1980-2007 1996-2007

Medietriennali

(t = 3)

Medie triennali

(t = 3)

Valori annuali(t = 1)

Valori annuali(t = 1)

Variabili esplicative Pooled LSDV LSDVC Kiviet

GMM-SYS

LSDVC Kiviet

LSDVC Kiviet

GMM-SYS

(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7)

ln(yi,t – t) 0,988 0,812 0,83 0,787 0,795 0,943 0,951(2,21) (2,34) (2,33) (3,32) (4,12) (12,19) (3,61)

ln(si,t) –0,051 –0,007 –0,0055 –0,008 –0,04 –0,022 –0,001(–1,54) (–1,36) (–1,276) (–1,66) (–0,98) (–1,21) (–1,71)

ln(ni,t + g + d) –0,0006 –0,0012 –0,0012 –0,22 –0,021 –0,001 –0,0138(–1,79) (–1,84) (–2,08) (–1,67) (–2,56) (–1,43) (–2,98)

ln(hi,t) 0,02 0,98 0,76 0,72 0,332 0,293 0,448(1,51) (1,52) (2,98) (1,88) (1,79) (3,21) (1,84)

Dln(si,t) 1E-06 7.6E-08(0,87) (0,23)

Dln(ni,t) –8.1E-08 –4.5E-09(–1,67) (–1,79)

Dln(hi,t) 5E-09 1.22E-08(0,021) (0,81)

R2 0,33 0,54F-fisher 16,95 18,34F test (mi = 0) F(19,129) = 2,12

P-value = 0,0072Test di Sargan(p-value) 0,39 0,87AR(1) (p-value) 0,018 0,09AR(2) (p-value) 0,825 0,45Test di Pesaran(p-value) 0,100 0,16 0,09Osservazioni 160 160 160 160 60 220 220Velocità di conver-genza

0,040% 6,94% 6,21% 7,98% 7,65% 5,87% 5,02%

Note: In parentesi i valori robusti della t-student, tranne le stime Kiviet in cui la statistica z è otte-nuta effettuando, con la procedura boostrap, 100 iterazioni. Nelle stime GMM-SYS tutti i regressori sono endogeni e gli strumenti sono tutti i valori ritardati delle variabili esplicative. In tutte le regressioni sono inclusi gli effetti fissi temporali e gli effetti fissi regionali (ad eccezione del modello pooled).

439

4) il valore del parametro associato al reddito pro capite ritardato di un pe-riodo è pari a 0,787 e, quindi, la velocità di convergenza condizionata è pari a 7,98%.

Queste stime indicano che, dopo aver tenuto conto degli effetti fissi re-gionali, le regioni italiane convergono più velocemente al proprio equilibrio di lungo periodo. Analoghi risultati sono ottenuti in altri lavori (Aiello e Scoppa 2006; Carmeci e Mauro 2002; Di Liberto et al. 2008) che utilizzano la stessa metodologia adoperata in questo lavoro.

Questi risultati sono sostanzialmente confermati in tutte le stime effet-tuate considerando il periodo 1996-2007, sebbene emergano alcune diffe-renze dovute alla persistenza delle serie storiche annuali che, tuttavia, non alterano le indicazioni del modello di Solow. In particolare, si osservi che, stimando l’eq. (2), il parametro associato al reddito pro capite ritardato di un periodo è di poco superiore a quello ottenuto considerando il periodo 1980-2007, determinando una velocità di convergenza pari a 5,87% nel caso delle stime LSDV-corretto e a 5,02% con il metodo GMM-SYS (colonne 6 e 7). Infine, si rileva che i parametri di aggiustamento di breve periodo relativi al capitale umano e al rapporto investimenti/PIL sono non significativi, mentre è negativo e significativo al 10% quello relativo al tasso di crescita della po-polazione.

La tabella 5 riporta i risultati relativi alla convergenza della produttività del lavoro. In estrema sintesi, i principali risultati sono i seguenti. Nella re-gressione pooled la velocità di convergenza è pari a 1,89%, in linea con il ri-sultato (2%) che si ottiene nelle regressioni in cui non si tiene conto dell’ete-rogeneità non osservata delle regioni (cfr. nota 24). Nel caso in cui si cor-regge l’errore legato all’omissione degli effetti fissi regionali, emerge che il tasso di convergenza passa a 10,06% utilizzando lo stimatore LSDV (colonna 2), mentre si riduce a 9,77% (colonna 3) quando a queste stime si applica la correzione di Kiviet per piccoli campioni. Le stime GMM-SYS indicano che la velocità di convergenza è pari a 10,95%, che è un risultato simile a quello ottenuto in altri lavori (Aiello e Scoppa, 2006; Carmeci e Mauro, 2002; Di Liberto et al. 2008). Quando si limita l’analisi al periodo 1996-2007, la stima dell’eq. (2) rileva la presenza di un minore tasso di convergenza della pro-duttività del lavoro, che è pari al 7,04% applicando la procedura di Kiviet (colonna 6) e al 6,08% nel caso dello stimatore GMM-SYS (colonna 7).

La principale conclusione di questo paragrafo è la conferma che tra le re-gioni italiane è in atto un processo di convergenza condizionata che si rileva anche quando si limita l’analisi al periodo di utilizzo dei Fondi Strutturali.

440

5. L’impatto dei Fondi Strutturali

La letteratura che in Italia ha analizzato l’impatto dei Fondi è limitata e, tranne un caso (Loddo 2006), ha utilizzato metodi di stima diversi dal nostro (Coppola e Destefanis 2007; Percoco 2005).

Coppola e Destefanis (2007) valutano gli effetti dei Fondi Strutturali sul processo di convergenza delle regioni italiane nel periodo 1989-2003 utiliz-zando un approccio parametrico che consente di individuare il contributo

TAB. 5. Convergenza della produttività del lavoro in Italia (1980-2007 e 1996-2007)

Variabile dipenden te:logaritmo della pro-duttività del lavoro al tempo t

1980-2007 1996-2007

Medietriennali

(t = 3)

Medie triennali

(t = 3)

Valori annuali(t = 1)

Valori annuali(t = 1)

Variabili esplicative Pooled LSDV LSDVC Kiviet

GMM-SYS

LSDVC Kiviet

LSDVC Kiviet

GMM-SYS

(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7)

ln(yi,t – t) 0,945 0,7395 0,746 0,72 0,83 0,932 0,941(2,4) (4,01) (6,01) (3,71) (5,21) (11,42) (3,61)

ln(si,t) –0,0011 –0,0053 –0,0031 –0,06 –0,000032 –0,21 –0,08(–1,32) (–1,61) (–1,61) (–1,15) (–2,66) (–1,98) (–1,54)

ln(ni,t + g + d) –0,0006 –0,0069 –0,0061 –0,019 –0,13 –0,09 –0,065(–2,24) (–2,56) (–2,56) (–1,53) (–1,89) (–3,89) (–2,07)

ln(hi,t) 0,0019 0,98 0,87 0,544 0,32 0,41 0,37(1,57) (1,91) (1,91) (2,78) (3,08) (6,78) (1,84)

Dln(si,t) 5.4E-08 4.1E-08(1,2) (1,56)

Dln(ni,t) –7.6E-08 –6.3E-08(–1,27) (–1,89)

Dln(hi,t) 1.3E-09 8.9E-08(1,89) (1,48)

R2 0,36 0,64F-fisher 26,76 34,2F test (mi = 0) F(19,129) = 2,56

P-value = 0,001Test di Sargan(p-value)

0,76 0,43

AR(1) (p-value) 0,087 0,04AR(2) (p-value) 0,54 0,53Test di Pesaran(p-value)

0,090 0,112 0,12

Osservazioni 160 160 160 160 60 220 220Velocità di conver-genza

1,89% 10,6% 9,77% 10,95% 6,21% 7,04% 6,08%

Note: In parentesi i valori robusti della t-student, tranne le stime Kiviet in cui la statistica z è otte-nuta effettuando, con la procedura boostrap, 100 iterazioni. Nelle stime GMM-SYS tutti i regressori sono endogeni e gli strumenti sono tutti i valori ritardati delle variabili esplicative. In tutte le regressioni sono inclusi gli effetti fissi temporali e gli effetti fissi regionali (ad eccezione del modello pooled).

441

alla crescita del reddito pro capite determinato dall’accumulazione di capitale, della produttività totale dei fattori (TFP) e delle sue componenti. L’analisi em-pirica è effettuata considerando quattro macrosettori (agricoltura, industria in senso stretto, servizi e costruzioni) e i risultati mostrano che i Fondi Struttu-rali hanno avuto un impatto debole, ma significativo sull’accumulazione di ca-pitale e sulle componenti della variazione della TFP. Generalmente il FESR e il FSE hanno un impatto più forte di quello del FEOGA. Meno significativo è l’impatto sull’occupazione, anche se per l’industria in senso stretto si otten-gono stime dell’elasticità relativamente alte per tutti i tipi di fondi.

Percoco (2005) stima il livello del tasso di crescita indotto dal QCS 1994-1999 relativamente alle regioni dell’Obiettivo 1, utilizzando un mo-dello di tipo supply-side proposto da De la Fuente (2002a). I risultati otte-nuti mostrano un’elevata variabilità nei livelli dei tassi di crescita indotti dai Fondi Strutturali nelle sei regioni del Mezzogiorno incluse nello studio (sono escluse dall’analisi l’Abruzzo e la Sicilia). Tali differenze sono attribuite al diverso comportamento delle amministrazioni regionali relativamente all’al-locazione delle risorse tra i fattori produttivi: le regioni (Puglia, Basilicata e Sardegna) che hanno allocato la spesa tra i fattori produttivi in base alla re-gola della produttività marginale sono quelle che hanno ottenuto la migliore performance in termini di aumento dell’output.

Infine, Loddo (2006) stima un modello di crescita regionale utilizzando un panel bilanciato di dati annuali dal 1994 al 2004, in cui la variabile dipen-dente è il tasso di variazione annuo del prodotto pro capite e l’impatto delle politiche di coesione è ottenuto inserendo nell’equazione di crescita i Fondi Strutturali.

Il nostro lavoro utilizza lo stesso approccio, ma, a differenza del lavoro di Loddo (2006), tiene conto delle distorsioni associate alla limitata numerosità del campione, della potenziale endogeneità dei regressori e degli effetti del ciclo economico. Più in dettaglio, si analizza il contributo dei Fondi Strut-turali al processo di convergenza stimando una versione estesa delle equa-zioni (1) e (2), ottenuta inserendo tra le variabili esplicative la spesa in Fondi Strutturali di ciascuna regione.

Le regressioni utilizzate sono le seguenti:

(3) ln(yit) = b ln(yi,t – t) + g ln(sit) + f ln(nit + g + d) + a ln(hit) + q fit + mi + ht + eit

(4) ln(yit) = b ln(yi,t – t) + g ln(sit) + f ln(nit + g + d) + a ln(hit) + q ln(fit) + mi + ht ++ p1D ln(sit) + p2D ln(hit) + p3D ln(nit) + p4D ln(fit) + eit

Nelle equazioni (3) e (4), la variabile fit indica i Fondi Strutturali spesi dalla regione i nel periodo t, espressi in termini di quota rispetto al PIL re-

442

gionale (nell’eq. (3), fit è calcolata come media geometrica triennale, mentre nell’eq. (4) i dati sono annuali)31.

Come già indicato nel precedente paragrafo, se si considerano medie triennali, la variabile fit assume valori positivi in quattro sottoperiodi (1996-98; 1999-2001; 2002-2004; 2005-2007) e, pertanto, l’unico stimatore utiliz-zabile è l’LSDV-corretto. Se, invece, si considerano dati annuali, è possibile stimare l’equazione (4) utilizzando gli stimatori LSDV corretto (Kiviet) e GMM-SYS.

I risultati relativi al periodo 1996-2007 sono presentati nella tabella 6. La prima colonna si riferisce alle stime ottenute considerando le medie triennali del reddito pro capite (colonna 1), mentre le colonne 3 e 5 riportano i risul-tati ottenuti con i metodi LSDVC e GMM-SYS su dati annuali. Infine, le colonne 2, 4 e 6 riguardano i risultati che si ottengono quando le stime ven-gono replicate includendo la variabile dicotomica «Sud». La tabella 7 ha la stessa struttura, ma riporta le stime del modello di crescita in cui la variabile dipendente è la produttività del lavoro.

Un primo risultato che si riscontra dalla tabella 6 è che il segno del pa-rametro delle variabili (n + g + d) e h è quello atteso. Una differenza rispetto alle precedenti stime riguarda il fatto che il coefficiente degli investimenti privati32 è positivo e statisticamente significativo, sebbene il valore stimato sia relativamente molto basso. Questo risultato sembrerebbe indicare che nelle applicazioni alle regioni italiane del modello di crescita di Solow, la va-lutazione del ruolo degli investimenti totali (cfr. tabb. 4 e 5) sia fortemente condizionata dal fatto che l’intervento pubblico ha introdotto distorsioni nei processi di accumulazione dei fattori e ha favorito la formazione di capitale

31 La scelta di limitare le stime al periodo 1996-2007 evita di commettere un errore di specificazione del modello. Infatti, se si considerasse il periodo 1980-2007 si attribuirebbe va-lore (zero) ai Fondi Strutturali nel periodo precedente il 1996, quando, in realtà, si tratta di un dato mancante. Questo errore genera stime distorte e non efficienti, in particolare se, a causa di qualche variabile non osservata, i tassi di crescita sono più elevati nel periodo 1980-1996. In effetti, poiché il tasso di crescita della produttività in Italia diminuisce intorno alla metà degli anni Novanta, se si considera il periodo 1980-2007 si ottiene una sottostima del parametro associato ai Fondi Strutturali (i risultati delle stime relative al periodo 1980-2007 sono disponibili su richiesta).

32 Rispetto alle precedenti specificazioni dell’equazione di crescita (tabb. 4 e 5), gli in-vestimenti totali sono stati sostituiti con gli investimenti effettuati dal settore privato. Questa sostituzione è dovuta all’esigenza di giungere ad una misura del processo di accumulazione in capitale fisico che distingua la componente proveniente dal settore privato da quella pubblica. Utilizzando i dati dei conti economici regionali pubblicati dall’ISTAT, è possibile ottenere gli investimenti privati sottraendo dagli investimenti totali quelli effettuati dalla pubblica ammini-strazione e quelli relativi alla sanità, all’istruzione e ai servizi pubblici.

443

pubblico improduttivo (Carmeci e Mauro 2004; Del Monte e Giannola 1996; Golden e Picci 2005; Scoppa 2007).

Per quanto riguarda l’obiettivo specifico di questo lavoro, i risultati ripor-tati nella tabella 6 consentono di interpretare l’impatto dei Fondi Strutturali in due modi.

Il primo modo è legato alla stima coefficiente q. Il segno di questo pa-rametro è sempre positivo, sebbene il valore stimato vari a seconda dei dati (medie triennali o annuali) e degli stimatori utilizzati. Il valore minimo (0,054) si ha nel caso delle stime Kiviet su dati triennali (colonna 1), men-tre il valore massimo (0,09) si riferisce alle stime GMM-SYS su dati annuali (colonna 5).

Questi risultati forniscono una valutazione quantitativa della relazione tra Fondi Strutturali e crescita regionale ed indicano che una variazione della spesa comunitaria pro capite, per esempio, del 10% determina, in me-dia, un aumento del reddito pro capite di circa lo 0,9% quando si conside-rano le stime GMM-SYS e di circa lo 0,82% nel caso delle stime Kiviet su dati annuali33.

Ulteriori indicazioni emergono quando si considera l’impatto della poli-tica strutturale separatamente nelle due aree del paese. Questi risultati sono riportati nelle colonne 2, 4 e 6 della tabella 6 e sono ottenuti inserendo nelle equazioni 3 e 4 la variabile interazione fit*DSUD, con DSUD pari a uno per le regioni del Mezzogiorno d’Italia (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basi-licata, Calabria, Sicilia e Sardegna) e zero per le regioni del Centro-Nord. Il coefficiente associato alla variabile interazione è sempre positivo ed altamente significativo: rispetto alle regioni del Centro-Nord, il differenziale di impatto nel Mezzogiorno fluttua intono allo 0,06 (0,049 nel caso delle stime Kiviet su dati triennali, 0,061 quando si considerano i dati annuali e le stime Kiviet e 0,058 per le stime GMM-SYS). Questa analisi fornisce un contributo al di-battito sull’efficacia delle politiche di riequilibrio territoriale, indicando non solo che i Fondi Strutturali esercitano un maggiore ruolo nel Mezzogiorno, ma anche che la dimensione dell’impatto nelle regioni del Centro-Nord è molto ridotta (nelle colonne 2, 4 e 6, i coefficienti della variabile fit variano

33 Un analogo legame positivo tra i Fondi Strutturali e la crescita regionale in Italia è ottenuto da Loddo (2006), in cui il coefficiente associato al rapporto Fondi Strutturali/PIL è pari a 1,11 ed è, pertanto, significativamente più elevato di quello ottenuta in questo studio. Questa differenza dipende, non solo dal fatto che i Fondi Strutturali sono espressi in termini logaritmici, ma soprattutto perché le specificazioni econometriche tengono conto delle distor-sioni associate alla ridotta dimensione temporale del campione, dell’endogeneità dei regres-sori e degli effetti di breve periodo legati al ciclo economico. Aspetti trascurati nello studio di Loddo (2006).

444

da 0,007 a 0,029). In realtà, l’effetto positivo è atteso ed è legato alla distri-buzione dei fondi comunitari tra le regioni italiane: le regioni più povere hanno beneficiato in misura maggiore dei trasferimenti di reddito di fonte comunitaria e questo ha generato un aumento del tasso medio di crescita del reddito pro capite.

In secondo luogo, è possibile effettuare un’ulteriore valutazione del ruolo delle politiche di coesione confrontando la velocità di convergenza condizio-nata che si ottiene in presenza ed in assenza dei Fondi Strutturali. L’idea è che se la spesa in Fondi Strutturali ha determinato un incremento dell’in-

TAB. 6. L’impatto dei Fondi Strutturali sulla crescita del PIL pro capite delle regioni italiane. Stime GMM-SYS e LSDVC-Kiviet (1996-2007)

Variabile dipendente: logaritmo del PIL pro capite al tempo t

1996-2007 1996-2007

Medie triennali (t = 3) Valori annuali (t = 1)

Variabili esplicative LSDVC Kiviet

(1)

LSDVC Kiviet

(2)

LSDVC Kiviet

(3)

LSDVC Kiviet

(4)

GMM-SYS (5)

GMM-SYS (6)

ln(yi,t – t) 0,7897 0,7902 0,9401 0,94 0,9472 0,947(5,35) (3,98) (11,22) (9,07) (2,78) (2,56)

ln(si,t) 0,0000921 0,000087 2E-06 1.9E-06 9E-06 9E-06(1,82) (1,7) (2,43) (2,16) (1,63) (1,81)

ln(ni,t + g + d) –0,04 –0,041 –0,001 –0,001 –0,0136 –0,0136(–2,14) (–1,97) (–1,56) (–1,78) (–2,16) (–2,21)

ln(hi,t) 0,34 0,336 0,197 0,1966 0,349 0,349(1,82) (1,93) (2,43) (2,28) (1,75) (1,8)

ln(fi,t)Pagamenti 0,054 0,007 0,081 0,017 0,09 0,029(2,16) (2,02) (3,01) (2,43) (2,49) (1,98)

Dln(fi,t)Pagamenti 0,049 0,061 0,058(6,01) (3,76) (5,61)

Dln(si,t) 3E-07 3E-07 1E-07 1E-08(1,47) (1,01) (1,67) (1,73)

Dln(ni,t) –8E-07 –8E-07 –5E-08 –7E-08(–1,51) (–1,81) (–1,82) (–1,8)

Dln(hi,t) 5E-05 0,00005 2E-07 2E-07(0,5) (1,01) (1,14) (1,22)

Dln(fi,t) 2E-05 0,00002 4E-06 5E-06(1,5) (1,54) (1,12) (1,34)

Test di Sargan(p-value) 0,49 0,49AR(1) (p-value) 0,02 0,02AR(2) (p-value) 0,53 0,53Osservazioni 60 60 220 220 220 220Velocità di convergenza 7,8% 7,85% 6,18% 6,19% 5,42% 5,45%

Note: In parentesi i valori robusti della t-student, tranne le stime Kiviet in cui la statistica z è otte-nuta effettuando, con la procedura boostrap, 100 iterazioni. Nelle stime GMM-SYS tutti i regressori sono endogeni e gli strumenti sono tutti i valori ritardati delle variabili esplicative. In tutte le regressioni sono inclusi gli effetti fissi temporali e gli effetti fissi regionali (ad eccezione del modello pooled).

445

tensità fattoriale e/o ha migliorato, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, l’organizzazione della produzione nelle regioni beneficiarie dei trasferimenti comunitari, ci si attende che queste economie osservino non solo un miglioramento dell’equilibrio di stato stazionario, ma anche un au-mento della velocità con cui esse convergono verso di esso34. Per quanto ri-guarda le regioni italiane, emerge che la velocità di convergenza condizionata stimata senza fondi comunitari è pari, nel caso delle stime GMM-SYS su dati annuali, a 5,1%35, mentre considerando i fondi essa aumenta in media dello 0,32% annuo, passando al 5,42% (tab. 6, colonna 5).

Infine, gli effetti dei Fondi Strutturali sulla convergenza della produtti-vità del lavoro sono riportati nella tabella 7. I risultati indicano che in tutti i modelli considerati il coefficiente associato alla variabile fit non è econo-micamente interpretabile, non essendo statisticamente significativo. Inoltre, si osservi come la presenza di questa variabile (fit) non abbia alterato né il segno né la significatività degli altri parametri. In particolare, il coefficiente associato alla variabile della produttività del lavoro ritardata di un periodo nelle stime GMM-SYS, per esempio, è pari a 0,95 (colonna 5) ed indica che l’inclusione dei Fondi Strutturali non ha determinato alcuna variazione della velocità di convergenza della produttività del lavoro (che rimane a livello del 5,1% all’anno circa). Analoghi risultati si ottengono quando si considera la variabile interazione fit*DSUD, che è debolmente significativa nelle stime su dati annuali.

La principale conclusione a cui perviene questo paragrafo è il legame po-sitivo tra Fondi Strutturali e convergenza del reddito pro capite, mentre l’an-damento della produttività del lavoro non sembra esserne in alcun modo in-fluenzato. Inoltre, l’analisi proposta consente di ottenere una prima evidenza empirica sugli effetti territoriali della spesa comunitaria, mostrando, nel caso del reddito pro capite, un impatto maggiore nel Mezzogiorno.

Questo risultato non è di immediata interpretazione, né il riferimento alla letteratura esistente è agevole. L’impatto territoriale delle politiche non è stato sviluppato in Italia con esplicito riferimento alla spesa comunitaria, ma è stato trattato principalmente con riferimento al ruolo del capitale pubblico (tra gli altri si considerino Bonaglia et al. 2000; Destefanis e Sena 2005; Mar-rocu e Paci 2008; Picci 1999). Questa letteratura indica che gli investimenti

34 Per un’analoga interpretazione degli effetti dei Fondi Strutturali si rimanda al lavoro di Garcia Solanes e Maria-Dolores (2002), in cui si analizza il processo di convergenza tra le regioni europee.

35 Questo valore (5,1%) è diverso da quello (5,02%) riportato nella colonna 7 della ta-bella 4 e si ottiene includendo gli investimenti privati invece degli investimenti totali nella re-gressione (1). Questa sostituzione garantisce la confrontabilità dei risultati.

446

in infrastrutture core esercitano un impatto significativamente maggiore nel Sud d’Italia e, a parere di questi autori, a tale risultato contribuirebbe la mi-nore dotazione iniziale di infrastrutture che caratterizza le regioni del Mezzo-giorno. Nel caso del nostro saggio, però, l’utilizzo di dati aggregati non con-sente di dare una spiegazione puntuale a questo risultato, se non rilevando che gran parte della spesa in Fondi Strutturali è di tipo infrastrutturale.

TAB. 7. L’impatto dei Fondi Strutturali sulla crescita del PIL produttività del lavoro delle regioni italiane. Stime GMM-SYS e LSDVC-Kiviet (1996-2007)

Variabile dipendente: lo-garitmo della produttivi-tà del lavoro al tempo t

1996-2007 1996-2007

Medie triennali (t = 3) Valori annuali (t = 1)

Variabili esplicative LSDVC Kiviet

(1)

LSDVC Kiviet

(2)

LSDVC Kiviet

(3)

LSDVC Kiviet

(4)

GMM-SYS (5)

GMM-SYS (6)

ln(yi,t – t) 0,7435 0,7428 0,9408 0,9406 0,95 0,951(3,11) (3,11) (5,71) (5,71) (1,98) (2,01)

ln(si,t) –1.9E-06 –1.9E-06 –1E-05 –1.4E-05 0.0008 0,0008(–1,82) (–1,82) (1,49) (1,65) (1,83) (1,79)

ln(ni,t + g + d) –0,0053 –0,0053 –0,004 –0,004 –0,071 –0,071(–2,1) (–2,1) (–2,89) (–2,32) (–4,01) (–3,74)

ln(hi,t) 0,65 0,646 0,39 0,392 0,361 0,356(1,78) (1,8) (2) (2,09) (1,85) (1,78)

ln(fi,t)Pagamenti 0,0087 0,0021 0,001 0,00001 0,007 0,00001(1,21) (0,56) (1,56) (1,26) (1,45) (1,28)

DSUD*ln(fi,t)Pagamenti 0,0049 0,0009 0,0039(1,35) (1,61) (1,59)

Dln(si,t) 3E-07 5.4E-07 2E-08 3.2E-08(1,47) (1,4) (1,58) (1,66)

Dln(ni,t) –8E-07 –1E-06 –5E-08 –8E-08(–1,51) (–1,35) (–1,92) (–1,96)

Dln(hi,t) 5E-05 7.1E-05 2E-06 2E-06(0,32) (0,75) (1,321) (1,39)

Dln(fi,t) 0,0003 0,00002 8E-06 8.4E-06(1,11) (1,31) (1,46) (–1,8)

Test di Sargan(p-value) 0,51 0,51AR(1) (p-value) 0,07 0,51AR(2) (p-value) 0,61 0,592Osservazioni 60 60 220 220 220 220Velocità di convergenza 9,88% 9,91% 6,10% 6,12% 5,13% 5,02%

Note: In parentesi i valori robusti della t-student, tranne le stime Kiviet in cui la statistica z è otte-nuta effettuando, con la procedura boostrap, 100 iterazioni. Nelle stime GMM-SYS tutti i regressori sono endogeni e gli strumenti sono tutti i valori ritardati delle variabili esplicative. In tutte le regressioni sono inclusi gli effetti fissi temporali e gli effetti fissi regionali (ad eccezione del modello pooled).

447

6. Discussione e conclusioni

Questo saggio si inserisce nel dibattito sull’efficacia della politica di coe-sione dell’Unione europea, presentando una valutazione quantitativa della re-lazione tra Fondi Strutturali e crescita regionale in Italia. La principale con-clusione cui si giunge è che dal 1996 al 2007 i Fondi Strutturali hanno con-tributo positivamente, ma in misura limitata, al processo di convergenza del reddito pro capite tra le regioni italiane, mentre non hanno in alcun modo influenzato la dinamica della produttività del lavoro. Si tratta di un esito non atteso, considerato che i Fondi Strutturali rappresentano una quota rilevante degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno e che il loro obiettivo è di au-mentare la produttività e la competitività di lungo periodo delle aree meno sviluppate.

Gli elementi che possono aver condizionato questi risultati sono molteplici, alcuni dei quali legati a meccanismi interni alla politica comunitaria, mentre altri riguardano aspetti di carattere più generale relativi al sistema paese.

Relativamente a questi ultimi, si consideri che nel periodo in esame l’eco-nomia italiana ha mostrato un rallentamento della crescita sulle cui cause si è ampiamente dibattuto. Molti studi attribuiscono questo risultato ad al-cune caratteristiche del modello di sviluppo dell’economia italiana, quali il posizionamento internazionale, la struttura proprietaria e la dimensione delle imprese, la propensione ad innovare, la quantità e qualità delle infrastrut-ture materiali ed immateriali, la regolazione economica e l’inefficienza della pubblica amministrazione (per una tassonomia delle determinanti del rallen-tamento dell’economia italiana, si consideri, tra gli altri, Ciocca 2004). Altri autori fanno riferimento ai cambiamenti del mercato del lavoro che avreb-bero spinto le imprese verso l’occupazione a bassa specializzazione (Saltari e Travaglini 2008; Brandolini et al. 2007) o alla contrazione della produtti-vità totale dei fattori (tra gli altri, si rimanda a Aiello et al. 2009; Daveri e Jona Lasinio 2005; ISTAT 2008b). In tutti questi casi si tratta di vincoli allo sviluppo difficilmente modificabili con gli strumenti tipici della politica re-gionale. Si può argomentare, quindi, che l’insoddisfacente andamento della produttività del lavoro osservata in Italia nel corso dell’ultimo decennio sia legato non solo all’insuccesso della politica regionale strictu sensu, ma anche al ruolo delle politiche nazionali, in particolare a quelle con rilevanti effetti regionali (su questo punto si rimanda, tra gli altri, a Cannari et al. 2009). Seguendo questa linea interpretativa sulla rilevanza dei fattori esterni alla po-litica regionale, è ragionevole pensare che i Fondi Strutturali non hanno ge-nerato gli effetti desiderati in termini di stimolo alla convergenza a causa non solo di un dualismo di natura economica, ma anche socio-istituzionale (buon governo della pubblica amministrazione, efficienza nel settore della giustizia e

448

nell’offerta di servizi pubblici) che ha certamente ostacolato il conseguimento degli obiettivi delle politica economica (si vedano, tra i molti, Arpaia et al. 2009; Carmignani e Giacomelli 2009; Pigliaru 2009).

Per quanto riguarda, invece, le criticità interne che possono avere influen-zato l’efficacia dell’intervento comunitario, esse riguardano principalmente la gestione della spesa, i meccanismi di allocazione delle risorse, nonché la defi-nizione e l’attuazione delle strategie di sviluppo delle politiche.

Relativamente al primo aspetto, l’analisi della gestione della spesa mostra che non tutte le risorse sono state utilizzate e che vi è stata una concentra-zione dell’intervento nel periodo 2000-03, un periodo relativamente recente affinché la spesa abbia manifestato tutti i suoi effetti. Ciò potrebbe essere in-terpretato come la ragione del limitato impatto dei fondi. In realtà, la que-stione della quantità della spesa non può essere disgiunta dal problema della qualità della stessa. Rispetto a quest’ultimo aspetto, si osservi che la spesa da rendicontare a titolo di cofinanziamento ha riguardato anche interventi già realizzati (i cosiddetti progetti sponda) e, in quanto tali, non necessariamente coerenti con le strategie di sviluppo indicate nei programmi comunitari. Pe-raltro, dal momento che i meccanismi di assegnazione delle risorse non pre-vedono una competizione tra Regioni sulla base dei progetti proposti, le au-torità regionali non hanno avuto alcun incentivo a utilizzare i Fondi Struttu-rali per realizzare progetti produttivi, generando problemi di moral hazard e rent seeking.

Un ulteriore elemento di valutazione riguarda le continue riprogramma-zioni dei Fondi Strutturali che si sono succedute nel corso del tempo, ge-nerando interventi disarticolati e diversi da quelli inizialmente programmati. Queste continue revisioni legate agli obblighi di spesa previste dalle regole comunitarie potrebbero segnalare una semplice adesione formale a tali re-gole con l’unico scopo di ottenere risorse finanziare aggiuntive, indipen-dentemente da un’analisi dei bisogni del territorio. D’altra parte, la lettura dei Programmi Operativi Regionali evidenzia una sistematica uniformità nell’identificazione degli ambiti di intervento e della distribuzione della spesa per assi prioritari. L’allineamento delle strategie di sviluppo implicitamente sottenderebbe una omogeneità tra le regioni in termini di vincoli allo svi-luppo, quando in realtà le differenze strutturali che si osservano tra le re-gioni richiederebbero una strategia differenziata. Una possibile implicazione di questa indifferenziata politica è che i fondi comunitari invece di accelerare la convergenza tra le regioni, possono aver ridotto l’effetto dei meccanismi automatici di crescita economica, riducendo, per esempio, la mobilità del la-voro e spiazzando gli investimenti privati.

Tutti questi elementi consentono di meglio interpretare i risultati ottenuti nell’analisi econometrica presentata in questo articolo. Infatti, l’impatto della

449

politica comunitaria sulle dinamiche del reddito pro capite sembra essere le-gato prevalentemente alla distribuzione dei finanziamenti: qualsiasi sia la na-tura del progetto, si verifica un aumento del reddito nelle regioni beneficiarie degli aiuti. D’altra parte, questi trasferimenti non hanno inciso sulla produtti-vità del lavoro, poiché in molti casi non hanno migliorato le variabili di con-testo in cui le imprese operano, pur essendo questo l’obiettivo delle politiche. A titolo di esempio, si considerino le infrastrutture il cui finanziamento in teoria potrebbe contribuire a rimuovere i vincoli dal lato dell’offerta, ma che, se non completate, di fatto non determinano alcun cambiamento strutturale del sistema produttivo. Un altro esempio ben documentato riguarda le politi-che a sostegno del capitale umano, quali quelle finalizzate alla formazione su larga scala di figure professionali in settori marginali per le economie regio-nali, oppure in settori a bassa capacità di assorbimento di forza lavoro quali-ficata ed orientati alla produzione di beni a domanda locale.

Più in generale, in questi anni in Italia si è osservato un miglioramento dell’efficienza istituzionale degli enti regionali, ma che ha manifestato i suoi effetti principalmente nel mero raggiungimento degli obiettivi di spesa, mentre non ha favorito la selettività degli interventi orientati a rafforzare la competitività territoriale delle economie regionali. Ne discende che que-ste politiche hanno avuto, in qualche misura, effetti di breve periodo legati alla riduzione del divario del reddito pro capite tra le regioni del Centro-Nord d’Italia e quelle del Mezzogiorno, ma non sono riuscite a determinare un cambiamento di tendenza relativamente al rallentamento della produtti-vità del lavoro. È evidente che i fattori di crescita richiedono tempi lunghi per produrre i propri effetti e, pertanto, occorre manifestare qualche forma di prudenza prima di radicalizzare il giudizio sulla politica. Tuttavia, è anche evidente che nel corso del periodo 1996-2007 i divari di sviluppo tra le re-gioni italiane non si sono ridotti, nonostante il cospicuo ammontare di risorse destinate alle aree meno sviluppate del paese.

Appendice

I dati relativi ai Fondi Strutturali utilizzati in questo lavoro sono tratti dal sito della Ragioneria Generale dello Stato e dalle relazioni semestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze (anni 1996-2007). Tali dati sono disponibli solo a partire dal 1996, anno in cui ha avuto inizio la ren-dicontazione dei Fondi per il periodo di programmazione 1994-1999 e sono aggiornati al 31/12/2003, relativamente al ciclo 1994-99, e al 31/12/2007 per il ciclo 2000-2006.

450

I dati si riferiscono al totale delle risorse investite senza effettuare alcuna distinzione tra la quota erogata dall’Unione europea, dallo Stato e dai privati. I fondi multiregionali sono stati suddivisi in parti uguali tra le regioni, men-tre non è stata considerata la spesa per programmi di Assistenza Tecnica e i fondi cosiddetti «fuori obiettivo», quali le Iniziative Comunitarie e le Azioni Innovative, poiché non sono a carattere regionale e, rappresentano una quota minima del totale dei fondi disponibili.

Relativamente all’analisi sulla convergenza, le serie storiche delle variabili di interesse dal 1980 al 2007 sono state costruite utilizzando i dati dei conti economici regionali (ISTAT 2005 e 2008a) e sono state ottenute calcolando un fattore di proporzionalità tra gli anni comuni (2000-2004) alle informa-zioni disponibili in ISTAT (2005) e ISTAT (2008a). Il fattore di proporziona-lità è stato utilizzato per allungare le serie 1980-2004 (ISTAT 2005) con i dati del 2005, 2006 e 2007 disponibili in ISTAT (2008a). Una simile procedura è stata utilizzata da Acemoglu et al. (2002).

Tutte le variabili sono calcolate come media geometrica di ogni sottope-riodo (yit e sit sono espresse a prezzi costanti 2000). Il tasso di progresso tec-nico (g) e il tasso di ammortamento (d) sono ipotizzati uguali tra le regioni e costanti nel tempo. La variabile g corrisponde al tasso di crescita medio annuo della produttività del lavoro osservata in Italia dal 1980 al 2007 ed è pari all’1,38%. La variabile d è data dalla media geometrica del rapporto «Ammortamento del capitale/Stock del Capitale» osservato in Italia nel pe-riodo analizzato ed è pari a 4,21%.

La variabile hi è ottenuta seguendo l’approccio di Mincer (1974), in cui lo stock di capitale umano della regione i, hi, è pari a i ir S

ih e , dove Si è livello medio di scolarizzazione in ciascuna regione e ri è il tasso di rendi-mento dell’istruzione, i cui valori sono quelli stimati per ciascuna regione da Ciccone (2005). La scolarizzazione media (Si) della forza lavoro dell’i-esima regione è data dalla seguente relazione: Si = [5Ei + 8*MEi + 11*Qi + 13*DMi + 16*DUi + 18*Li] / FLi, dove Ei indica la forza lavoro in possesso del titolo di scuola elementare, MEi indica coloro che hanno conseguito la licenza me-dia inferiore, Qi si riferisce alla qualifiche professionali, DMi è la forza di lavoro con il diploma di maturità, DUi indica coloro che sono in possesso di un diploma universitario, Li è il numero di laureati, mentre FLi è la forza lavoro totale dell’i-esima regione. La scolarizzazione, pertanto, è una media degli anni di istruzione (5, 8, 11, 13, 16 e 18) della forza lavoro, le cui fre-quenze sono rappresentate dalla forza lavoro per grado di istruzione. I dati sono tratti dalle rilevazioni trimestrali delle forze lavoro dell’ISTAT.

451

Riferimenti bibliografici

Acemoglu D. - Johnson S. - Robinson J.A. (2002), Reversal of Fortune: Geography and Institution in the Making of the Modern World Income Distribution, in Quarterly Journal of Economics, 117 (4), pp. 1231-1294.

Aiello F. - Pupo V. - Ricotta F. (2009), Sulla dinamica della produttività totale dei fattori in Italia. Un’analisi settoriale, in L’industria, Rivista di Economia e Politica Industriale, XXX (3), pp. 413-435.

Aiello F. - Scoppa V. (2006), Convergence and Regional Productivity Divide in Italy: Evidence from Panel Data, in Atti della XXVII Conferenza italiana di Scienze Re-gionali, Pisa, 12/14 ottobre 2006, ISBN 88-87788-07-3.

Aiello F. - Scoppa V. (2000), Uneven Regional Development in Italy: Explaining Dif-ferences in Productivity Levels, in Giornale degli Economisti e Annali di Econo-mia, 60 (2), pp. 270-98.

Anderson T.W. - Hsiao C. (1982), Formulation and Estimation on Dymemic Models using Panel Data, in Journal of Econometrics, 18, pp. 47-82.

Arellano M. - Bond S. (1991), Some Tests of Specification for Panel Data: Monte Carlo Evidence and an Application to Employment Equations, in Review of Eco-nomic Studies, 58, pp. 277-297.

Arellano M. - Bover O. (1995), Another Look at the Instrumental Variables Estima-tion of Error Component Models, in Journal of Econometrics, 68 (1), pp. 29-52.

Arnold J. - Bassanini A. - Scarpetta S. (2007), Solow or Lucas? Testing Growth Mod-els using Panel Data from OECD Country, OECD, ECO/WKP, 52.

Arpaia C.M. - Doronzo R. - Ferro P. (2009), Informatizzazione, trasparenza e com-petitività della Pubblica Amministrazione: un’analisi a livello regionale, in Que-stioni di Economia e Finanza, 48, Roma, Banca d’Italia.

Barro R. (1990), Government spending in a simple model of endogenous growth, in Journal of Political Economy, 98 (5), pp. 103-117.

Barro R. - Sala I. -Martin X. (1991), Convergence Across States and Regions, in Bro-oking Papers on Economic Activity, 1, pp. 107-158.

Benos N. - Karagiannis S. (2008), Convergence and Economic Performance in Gree-ce: Evidence at Regional and Prefecture Level, in RURDS, 20, 1, pp. 52-69.

Boldrin M. - Canova F. (2001), Inequality and Convergence: Reconsidering Europe-an Regional Policies, in Economic Policy, 32, pp. 207-53.

Bonaglia F. - La Ferrara E. - Marcellino M. (2000), Public Capital and Economic Performance: Evidence from Italy, in Giornale degli Economisti e Annali di Eco-nomia, 59, pp. 221-244.

Brandolini A. - Casadio P. - Cipollone P. - Magnani M. - Rosolia A. - Torrini R. (2007), Employment Growth in Italy in the 1990s: Institutional Arrangements and Market Forces, in N. Acocella e R. Leoni (a cura di), Social Pacts, Em-ployment and Growth. A Reappraisal of Ezio Tarantelli’s Thought, Heidelberg, Pysyca-Velag.

Bruno G.S.F. (2005), Approximating the Bias of the LSDV estimator for Dynamic Unbalanced Panel Data Models, in Economics Letters, 87, pp. 361-366.

452

Cannari L. - Magnani M. - Pellegrini G. (2009), Quali politiche per il Sud? Il ruolo delle politiche nazionali e regionali nell’ultimo decennio, in Questioni di Econo-mia e Finanza, 50, Roma, Banca d’Italia.

Cappelen A. - Castellaci F. - Fagerberg J. - Verspagen B. (2003), The impact of re-gional support on growth and convergence in the European Union, in Journal of Common Market Studies, 41 (4), pp. 621-644.

Carmeci G. - Mauro L. (2004), A positive effect of investment on Italian regional growth, in International Review of Economics and Business (RISEC), 51 (3), pp. 423-445.

Carmeci G. - Mauro L. (2002), The Convergence of the Italian Regions and Un-employment. Theory and Evidence, in Journal of Regional Science, 42 (3), pp. 509-32.

Carmignani A. - Giacomelli S. (2009), La giustizia civile in Italia: i divari territoriali, in Questioni di Economia e Finanza, 40, Roma, Banca d’Italia.

CEC (1984), The Regions of Europe: Second Periodic Report on the Social and Eco-nomic Situation of the Regions of the Community, Together with a State of the Regional Policy Committee, Lussemburgo, Ufficio delle Pubblicazioni Ufficiali dell’Unione europea.

Ciocca P. (2004), L’economia Italia: un problema di crescita, in Rivista Italiana degli Economisti, IX (1 Supplemento), pp. 7-28.

Chatterjee S. - Turnovsky S.J. (2005), Financing public investment through foreign aid: consequences for economic growth and welfare, in Review of International Economics, 13 (1), pp. 20-44.

Ciccone A. (2005), Human Capital as a Factor of Growth and Employment at the Re-gional Level: The Case of Italy, Report for the European Commission, DG for employment and social affairs.

Commissione europea (2007), Regioni in crescita, Europa in crescita. Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, maggio, Bruxelles.

Commissione europea (2001), Unità dell’Europa, solidarietà dei popoli, diversità dei territori. Secondo rapporto sulla coesione economica e sociale, Bruxelles, COM (2001) 24 def. del 31 gennaio 2001.

Coppola G. - Destefanis S. (2007), Fondi strutturali, produttività e occupazione. Uno studio sulle regioni italiane, in Rivista di economia e statistica del territorio, 2, pp. 191-212.

Daveri F. - Jona Lasinio C. (2005), Italy’s decline: getting the facts right, in Giornale degli Economisti e Annali di Economia, 64, pp. 365-410.

De la Fuente A. (2002a), The effect of structural on the Spanish Regions: an Asses-sment of the 1994-1999 Objective 1 CSF, CERP Discussion Paper, n. 3673.

De la Fuente A. (2002b), On the Sources of Convergence: A Close Look at the Spa-nish Regions, in European Economic Review, 46, pp. 569-599.

Dall’erba S. - Le Gallo J. (2008), Regional Convergence and the Impact of European Structural Funds over 1989-1999: A Spatial Econometric Analysis, in Papers in Regional Science, 87 (2), pp. 219-244.

Del Monte A. - Giannola A. (1996), Mezzogiorno, cambiamenti istituzionali e svilup-po, in L’industria, Rivista di Economia e Politica Industriale, 3, pp. 493-537.

453

Destefanis S. - Sena V. (2005), Public capital and total factor productivity: New evi-dence from the Italian regions, 1970-98, in Regional Studies, 39, 5, pp. 603-617.

Di Liberto A. - Pigliaru F. - Mura R. (2008), How to Measure the Unobservable. A Panel Technique for the analysis of TFP Convergence, Oxford Economic Papers, 60 (2), pp. 1-26.

Ederveen S. - Gorter J. - de Mooij R. - Nahuis R. (2002), Funds and Games: The Economics of European Cohesion Policy, The Hague, CPB Netherlands’ Bureau for Economic Policy Analysis.

EUROSTAT (1995), Regions: Nomenklature, Bruxelles, Ufficio delle Pubblicazioni Ufficiali dell’Unione europea.

Garcia-Solanes J. - Maria-Dolores R. (2002), The impact of European Structu-ral Funds on economic convergence in European countries and regions, in W. Meeusen e J. Villaverde (a cura di), Convergence Issues in the European Union, Edward Elgar, Cheltenham, Glos, pp. 334-358.

Golden M. - Picci L. (2005), Proposal for a New Measure of Corruption. Illustrated with Italian Data, in Economics and Politics, 17 (1), pp. 37-75.

ISAE (2001), Rapporto annuale sullo stato dell’Unione Europea, Roma.ISTAT (2008a), Conti Economici Regionali, Anni 2000-2007, Roma.ISTAT (2008b), Misure di produttività, in Statistiche in breve, 13/11/2008, Roma.ISTAT (2005), Conti Economici Regionali, Anni 1980-2004, Roma.Kiviet J.F. (1995), On Bias, Inconsistency and Inefficiency of Various Estimators in

Dynamic Panel Data Models, in Journal of Econometrics, 68, pp. 53-78.Lanzafame M. (2005), Economic Structure, Technology Diffusion and Convergence: the

Case of the Italian Regions, ERSA – 45a Conferenza Annuale, Amsterdam, 23-27 agosto 2005.

Loddo S. (2006), Structural Funds and Regional Convergence in Italy, Working Paper CRENOS, n. 3, Università di Cagliari.

Mankiw G. - Romer D. - Weil D. (1992), A Contribution to the Empirics of Econo-mic Growth, in Quarterly Journal of Economics, 107 (2), pp. 407-437.

Marrocu E. - Paci R. (2008), The effects of public capital on the productivity of the italian regions, in Applied Economics, 1, pp. 1-14.

Mauro L. - Podrecca E. (1994), The Case of Italian Regions: Convergence or Duali-sm?, in Economic Notes, 24 (2), pp. 447-72.

Midelfart-Knarvik K. - Overman H. (2002), Delocation and European integration. Is structural spending justified?, in Economic Policy: A European Forum, 35, pp. 321-359.

Mincer J. (1974), Schooling, Experience, and Earnings, New York, Columbia Univer-sity Press.

Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Genera-le dello Stato/IGRUE (1996-2007), Le politiche strutturali dell’Unione Europea – L’attuazione in Italia, Relazione annuale, Roma.

Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (2008), Rapporto Annuale 2007, Roma.

Percoco M. (2005), The Impact of Structural Funds on the Italian Mezzogiorno, in Région ed Développement, 21, pp. 141-153.

454

Pesaran M.H. (2004), General diagnostic tests for cross section dependence in panels, Cambridge Working Papers in Economics, n. 0435, Università di Cambridge.

Picci L. (1999), Productivity and infrastructure in the Italian regions, in Giornale de-gli Economisti e Annali di Economia, 58, pp. 329-353.

Pigliaru F. (2009), Il ritardo economico del Mezzogiorno: uno stato stazionario?, in QA Rivista dell’Associazione Rossi-Doria, 3.

Presbitero A.F. (2005), The Debt-Growth Nexus: a Dynamic Panel Data Estimation, Quaderno di Ricerca n. 243, Dipartimento di Economia, Università Politecnica delle Marche.

Puigcerver-Penalver M.C. (2007), The Impact of Structural Funds Policy on Euro-pean Regions’ Growth. A Teoretical and Empirical Approach, in The European Journal of Comparative Economics, 4 (2), pp. 179-208.

Pupo V. (2004), L’impatto dei Fondi Strutturali: una rassegna della letteratura, in Ri-vista Economica del Mezzogiorno, 1-2, pp. 105-131.

Pupo V. (2003), La valutazione delle politiche strutturali, Soveria Mannelli (CZ), Rub-bettino Editore.

Rodrìguez-Pose A. - Fratesi U. (2004), Between development and social policies: the impact of European Structural Funds in Objective regions, in Regional Studies, 38, pp. 97-113.

Romp W. - de Haan J. (2007), Public Capital and Economic Growth: a Critical Growth, in Perspektiven der Wirtschaftspolitik, 8, pp. 6-52.

Saltari E. - Travaglini G. (2008), Il rallentamento della produttività del lavoro e la crescita dell’occupazione. Il ruolo del progresso tecnologico e della fressibilià del lavoro, in Rivista Italiana degli Economisti, XIII (1), pp. 3-38.

Sarafidis V. - De Hoyos R.E. (2006), On testing for cross sectional dependence in pa-nel data models, mimeo, Università di Cambridge.

Scoppa V. (2007), Quality of Human and Physical Capital and Technological Gaps across Italian Regions, in Regional Studies, 41 (5), pp. 585-599.

Shioji E. (2001), Public capital and economic growth: a convergence approach, in Journal of Economic Growth, 6, pp. 205-227.

Solow R.M. (1956), A Contribution to the Theory of Economic Growth, in Quarter-ly Journal of Economics, 70, pp. 65-94.

Abstract: JEL Classification: H50, R11, R58, C23.

The aim of this paper is to provide a contribution to the debate on the effectiveness of cohesion pol-icies in Italy. It focuses on the effects of EU spending on the convergence process across Italian regions from 1996 to 2007. The empirical analysis is based on a neoclassical growth model which is augmented by the amount of Structural Funds spent by each region. The results are as follows: if, on one hand, the EU funds have been distributed in line with the criteria of assigning greater finance to the more backward regions, on the other hand, we reveal that the beneficiary regions have managed these EU resources very differently. Finally, we show that the Structural Funds have contributed, although only to a limited extent, to reduction in the regional divide in terms of GDP pro capita, but they have had no impact on the dy-namics of labour productivity.

Keywords: Structural Funds, Regional Policy, Convergence.