Leopardi e lo Zibaldone: Caduta e caducità. Accenni sul Tempo in Leopardi

33
CADUTA E CADUCITÀ ACCENNI SUL TEMPO IN LEOPARDI di RICCARDO DE STEFANO 1

Transcript of Leopardi e lo Zibaldone: Caduta e caducità. Accenni sul Tempo in Leopardi

CADUTA E CADUCITÀACCENNI SUL TEMPO IN LEOPARDI

di

RICCARDO DE STEFANO

1

INDICE

1 - BREVE STORIA DEL TEMPO..........................................................................3

2 - CADUTA E CADUCITÀ ....................................................................................7

2.1 - Caducità dell'Umanità.......................................................................................72.2 - Caducità degli uomini.....................................................................................12

3 - LA PERCEZIONE DEL TEMPO

.....................................................................................................................................22

4 - CONSEGUENZE DEL TEMPO.......................................................................29

BIBLIOGRAFIA ......................................................................................................33

2

1 - BREVE STORIA DEL TEMPO

Il computo del Tempo, inteso come lo scorrere dei vari momenti del

giorno e dell'anno, è stato necessario fin dalla nascita della civilizzazione

umana. La consapevolezza di poter inquadrare e calcolare porzioni di Tempo

riempiva di significato i gesti e il lavoro dell'Uomo. Gli antichi, non ancora

arrivati a un certo grado di conoscenza, attuavano il calcolo del Tempo

attraverso strumenti naturali, come l'utilizzo di meridiane o calendari

astrologici. Mancava loro però uno strumento preciso per scandire il giorno.

È solo con l'invenzione dell'orologio meccanico che il computo delle ore del

giorno diventa preciso ed efficace; parallelamente, si evolve anche il rapporto

del lavoro: una precisa scansione temporale comporta dei precisi orari

lavorativi; precisi orari lavorativi prevedono una maggiore efficienza

lavorativa, basata sul lavoro salariale. Di pari passo col moderno, il Tempo

sfugge dal reame del naturale, da una parte, e del religioso dall'altra: non più il

Tempo scandito dal rito, dalla festività, insomma il Tempo di Dio, ma il Tempo

del progresso, della conoscenza. Il Tempo dell'Uomo.

Dall'altra parte, le pulsioni romantiche della “nostalgia”, dell'“Infinito”, si

opponevano al mondo chiuso e razionalizzabile dell'Illuminismo,

appoggiandosi alla dottrina dello “struggimento” della Sehnsucht.

L'epoca in cui nasce, cresce e muore Leopardi è per l'appunto l'epoca in cui

tutto inizia a sfuggire dal campo del religioso e tutto viene messo in

discussione, anche il concetto di Tempo. Il “secolo dei lumi” e le scoperte

scientifiche avevano distrutto l'antico mondo conosciuto e ribaltato ogni

preconcetto sul reale. Il senso dell'esistenza dell'Umanità era cambiato,

assieme al senso del Tempo. E l'Uomo assumeva delle dimensioni profonde,

irrazionali, romantiche, che destabilizzavano l'idea di perfezione e logica

3

precedenti.

È questo il mondo in cui vive Leopardi, un mondo nel quale «mancandogli

l'equilibrio dello spazio del cielo, ad essa sola [la nozione del tempo] chiederà

qualche lume sulla sorte umana»1, operando una riflessione poetica. Filosofica

e anche personale sul mondo «che si collocò sulla faglia di rottura e di scontro

tra inganno e disinganno,tra incantamento primitivo e ingenuo operato dalla

magia e dalla poesia e disincantamento operato dalla inconfutabile verità della

ragione e della scienza»2.

Citando un appunto presente sullo Zibaldone 84, riguardo la portata delle

scoperte scientifiche, nella fattispecie quelle di Copernico, Leopardi dice che:

rinnuova interamente l’idea della natura e dell’uomo concepitae naturale per l’antico sistema detto tolemaico, rivela unapluralità di mondi mostra l’uomo un essere non unico, comenon è unica la collocazione il moto e il destino della terra, edapre un immenso campo di riflessioni.

Ma Leopardi, che subisce questo mondo moderno post-tolemaico, sospeso tra

classico e romantico, rimane di formazione religiosa cristiana e cattolica, alla

cui visione del mondo dice di non opporsi, almeno formalmente3.

Il Tempo (la definizione presa dall'Enciclopedia Treccani) è

«L’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli

eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro».

Ma quando nasce il tempo? Stephen Hawking ci viene in aiuto, nella sua Breve

storia del tempo, evidenziando come

1 G. UNGARETTI, Vita d'un uomo. Saggi e interventi, in Leopardi, Zibaldone dei pensieri, (a cura di) A. M. MORONI, Mondadori, Milano, 2012, p. 1196.

2 G. STABILE, Scienza e disincantamento del mondo: poesia, verità, nulla in Leopardi, in “Giacomo Leopardi e il pensiero scientifico”, (a cura di) G. STABILE, Fahrenheit 451, Roma, 2001, p.192.

3 Zibaldone, 393.

4

in un universo immutabile, un inizio del tempo è qualcosa che deve essere imposto da un qualche essere esterno all'universo, e non c'è alcuna necessità fisica di un inizio. Si può immaginare che Dio abbia creato l'universo letteralmentein un tempo qualsiasi in passato4.

In quell'universo immutabile pre-galileiano, pre-copernicano, ancora basato

sull'impianto aristotelico-tolemaico, il Tempo dell'Universo può non avere un

inizio. Ma il Tempo dell'uomo terrestre lo ha per forza, in quanto esiste un

momento in cui l'Uomo nasce e viene creato. Questo ci riporta alla creazione

del Primo Uomo, Adamo, capostipite dell'intera Umanità. Eppure, la nascita

del tempo per l'uomo in quanto tale, non coincide tanto con la nascita

dell'Uomo stesso, ma piuttosto con la sua Cacciata dal Paradiso terrestre:

fintanto che Adamo ed Eva esistono nella mera realtà edenica, il loro tempo

consiste in un eterno presente, non dissimile dalle altre creature ivi presenti.

Solo con la disobbedienza al comando di Dio e l'assunzione del frutto della

conoscenza del Bene e del Male entrano nel mondo naturale e nel tempo

umano, che prevede tanto un inizio quanto una fine dell'esistenza («finché

tornerai alla terra,perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere

tornerai!»5).

Dice allora Ungaretti: «Il Leopardi vede dunque che l'era temporale sorge dal

peccato. Col peccato finisce l'eterno. Dal peccato ha inizio l'avvenire»6. Ma se

questo è vero per il pensiero cristiano, è lo stesso Leopardi a spostare

l'attenzione e a focalizzare meglio la vicenda, nei ragionamenti sulla Genesi

sviluppati in Zibaldone, 394 e seguenti, in cui afferma che il senso

dell'episodio biblico

4 S. HAWKING, Dal Big Bang ai buchi neri – breve storia del tempo, Rizzoli, Milano, 1989, p.225 Genesi, 3:196 G. UNGARETTI, op. cit., p. 1197

5

è di attribuire formalmente la corruzione e decadenza dell’uomo all’aumento della sua ragione, e all’acquisto della sapienza; considerar come corruttrice dell’uomo la ragione e il sapere.

Il Tempo per l'Uomo nasce dalla Cacciata, proprio perché Dio impedisce ad

Adamo di nutrirsi anche del Frutto della Vita, cosa che lo avrebbe reso in tutto

e per tutto uguale a Lui. Nelle parole di Leopardi, Zibaldone 432:

perchè non ne mangiasse [il Frutto della Vita] (non per il peccato, ma per questo espresso motivo, secondo la chiarissima narrazione della Genesi) lo cacciò dal paradiso, dov’era quell’albero di vita.

Il Tempo, quindi, è una conseguenza della Conoscenza di Adamo, causa di

corruzione per l'Uomo e della sua impossibilità alla vita eterna per mano di

Dio.

Il Tempo nasce quindi con la Caduta dell'Uomo. E la Caduta comporta la

Caducità della vita mortale, la caducità del tempo stesso.

6

2 - CADUTA E CADUCITÀ

2.1 - Caducità dell'Umanità

Con la caduta dal Paradiso terrestre, l'uomo diventa caduco e il suo

tempo si riduce in una vita mortale che lo rende effimero. Questo sentimento di

caduta si declina in almeno due diversi orientamenti, seguendo la tipica

schematicità del pensiero leopardiano; il primo di questi si concretizza nella

Caduta e caducità dell'Uomo in quanto Umanità. In un passaggio dello

Zibaldone si scorge il sentimento di desolazione personale del Leopardi circa

la condizione umana di fragilità e temporaneità

Nella mia somma noia e scoraggimento intiero della vita talvolta riconfortato alquanto e alleggerito io mi metteva a piangere la sorte umana e la miseria del mondo. 7

Questo sentimento di precarietà della vita e dell'esistenza umana

riecheggia anche nelle opere in poesia e prosa, esterne alle riflessioni

zibaldoniane. In uno dei suoi idilli più famosi ed importanti, La sera del dì di

festa, Leopardi pone l'accento sulla fuggevolezza del tempo partendo da un

momento autobiografico che genera un sentimento di malinconia impagabile e

di struggimento: il canto di un artigiano stimola il poeta facendolo pensare alla

vita che fugge via, come fugge il giorno festivo. Così, avverte la perdita del

tempo che fu, lo smarrirsi della grandezza delle epoche trascorse che non ha

lasciato in definitiva quasi memoria di sé, ma solo pace e silenzio. È la Natura

a generare l'uomo Leopardi, e come lui tutti noi, ma non è madre benigna

(«e l’antica natura onnipossente,/che mi fece all’affanno. - A te la speme/ nego

- mi disse, - anche la speme; e d’altro/non brillin gli occhi tuoi se non di

pianto» ).

E la nascita assume quasi i connotati di una condanna a morte per l'Uomo:

7 Zibaldone, 84

7

«Intanto io chieggo /quanto a viver mi resti, e qui per terra/mi getto, e grido, e

fremo». Dal ragionamento personale, dal sentimento del poeta per il suo tempo

che passa, si arriva a alla domanda su cosa ne è di quel che scorre via e di dove

va a finire il tempo:

e fieramente mi si stringe il core,a pensar come tutto al mondo passa,e quasi orma non lascia. Ecco è fuggitoil dí festivo, ed al festivo il giornovolgar succede, e se ne porta il tempoogni umano accidente. Or dov’è il suonodi que’ popoli antichi? or dov’è il gridode’ nostri avi famosi, e il grande imperodi quella Roma, e l’armi, e il fragoríoche n’andò per la terra e l’oceáno?Tutto è pace e silenzio, e tutto posail mondo, e piú di lor non si ragiona.

Ecco che al presente si sovrappone il ricordo del passato, svanito e

irraggiungibile. Le domande non hanno e non posso avere risposta, seguite

solo dal silenzio. Infine, di nuovo, in lontananza, nella tarda notte, emerge un

canto, che muore a poco a poco, stringendo il cuore del poeta di afflizione. Il

canto diventa quindi riflesso speculare della vita di ognuno di noi.

Una declinazione di questi sentimenti di melanconia insanabile riecheggiano

spesso lungo lo Zibaldone: è facile notare la discendenza diretta da un appunto

scritto nelle prime pagine del diario:

Dolor mio nel sentire a tarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno de’ villani passeggeri. Infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così caduti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati ch’io paragonava dolorosamente con quella profonda quiete e silenzio della notte, a farmi avvedere del quale giovava il risalto di quella voce o canto villanesco.8

Un passo in cui si fa dunque riferimento ad una «dialettica (temporale) di stati

coscienziali, in cui si configura il soprassalto del movimento d'apertura del

8 Zibaldone, 50-51

8

testo»9.

La caducità dell'Uomo riverbera nell'ineludibile perdita del presente. Il tempo

antico, molto meno concentrato del tempo moderno, si poneva come un eterno

presente, quanto più vicino alla condizione edenica. Il dí di festa si avvicina a

quel tempo che ritorna all'antico. Il moderno ha perduto la pienezza originaria

ma non del tutto: di quello rumore degli antichi romani c'è rimasto un barlume.

La felicità di conseguenza è solo un'illusione che si realizza nella protezione da

una parte verso il passato come come memoria e dall'altra come futuro come

speranza. Nel presente c'è solo il vuoto.

L'importanza del tempo e della sua caducità riecheggia forte all'interno

delle Operette Morali, un'opera che mostra forti legami di dipendenza e

interrelazione con le riflessioni all'interno dello Zibaldone.

Nel Dialogo della Moda e della Morte il poeta di Recanati riflette sulla

temporalità delle cose: all'inizio del Dialogo tra le due sorelle, la Morte

(conseguenza della Caduta) apostrofa la Moda affermando che è «passato già

più che il millesimo anno da quando non ci son più gli immortali». Ed è la

Moda a dichiararsi sorella della Morte, in quanto entrambe «figlie della

Caducità», sorelle in quanto l'una e l'altra «tiriamo parimente a disfare e a

rimutare di continuo le cose di quaggiù». Si possono trovare all'interno del

tema centrale del dialogo, cioè la riflessione sull'epoca in cui Leopardi vive o

«il secolo della morte», i mezzi con cui la Moda, personificazione che implica

in sé tutta la modernità e perciò figlia della Caducità, ha indebolito l'Umanità,

rendendo più facile il lavoro della Morte:

9 C. COLAIACOMO, La sera del dì di festa, in “Camera obscura. Studio di due canti leopardiani”, Liguori, Napoli, 1992, p. 58.

9

io per favorirti ho mandato in disuso e in dimenticanza le fatiche e gli esercizi che giovano al ben essere corporale, e introdottone o recato in pregio innumerabili che abbattono il corpo in mille modi e scorciano la vita. Oltre di questo ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell'animo, e più morta che viva; tanto che questo secolo si può dire con verità che sia proprio il secolo della morte.

In Zibaldone 4270, un passo su cui torneremo, il poeta recanatese commenta

così sul destino dell'uomo: «Noi siamo veramente oggidì passeggeri e

pellegrini sulla terra: veramente caduchi: esseri di un giorno: la mattina in

fiore, la sera appassiti, o secchi».

Nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo, l'umanità è ormai sparita dal

mondo, estinguendosi in seguito alla morte di ogni essere umano:

Folletto. Voi gli aspettate invan: son tutti morti, diceva la chiusa di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.Gnomo. Che vuoi tu inferire?Folletto. Voglio inferire che gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta.

Discutendo poi in seguito dei motivi dell'estinzione del genere umano,

Gnomo. Ma come sono andati a mancare quei monelli? Folletto. Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l'un l'altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell'ozio, parte stillandosi ilcervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male.

Con l'estinzione dell'umanità il concetto stesso di Tempo perde di significato,

giacché il Tempo, inteso qui come computazione dei giorni, e quindi come

percezione dello scorrere di questi, si rivela essere una mera percezione

umana, basato su di un preconcetto umano. Così come alla stessa maniera era

umano il tempo di Adamo, inteso qui come capostipite dell'Umanità, e non

universale.

10

Gnomo. Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?Folletto. Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna si ha cavato viala benda, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani; non si trova più regni né imperi che vadano gonfiando e scoppiando comele bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno guerre, e tuttigli anni si assomigliano l'uno all'altro come uovo a uovo.Gnomo. Né anche si potrà sapere a quanti siamo del mese, perché non si stamperanno più lunari.Folletto. Non sarà gran male, che la luna per questo non fallirà la strada.Gnomo. E i giorni della settimana non avranno più nome.Folletto. Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, chenon vengano? o forse ti pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?Gnomo. E non si potrà tenere il conto degli anni.

Il dialogo prosegue poi con un botta e risposta tra Gnomo e Folletto su quale

delle due specie sia la centrale nell'universo10.

Il Dialogo ci dimostra come il Tempo sia comunque un concetto relativo, di

una duplice natura; e in quanto relativo all'uomo, lo è anche nella sua caducità,

non propria delle bestie e di tutte le creature non umane, come evidenziato nel

passo zibaldoniano seguente:

Vita tranquilla delle bestie nelle foreste, paesi deserti e sconosciuti ec. dove il corso della loro vita non si compie meno interamente colle sue vicende, operazioni, morte, successione di generazioni ec. perchè nessun uomo ne sia spettatore o disturbatore nè sanno nulla de’ casi del mondo perchè quello che noi crediamo del mondo è solamente degli uomini.11

Ecco qui proposta la duplice natura del Tempo: da un lato il tempo universale,

10 Tema trattato in Zibaldone, 390, dove si legge: «L’immaginarsi di essere il primo ente della natura e che il mondo sia fatto per noi, è una conseguenza naturale dell’amor proprio necessariamente coesistente con noi, e necessariamente illimitato. Onde è naturale che ciascuna specie d’animali s’immagini, se non chiaramente, certo confusamente e fondamentalmente la stessa cosa. Questo accade nelle specie o generi rispetto agli altri generi o specie. Ma proporzionatamente lo vediamo accadere anche negl’individui, riguardo, non solo alle altre specie o generi, ma agli altri individui della medesima specie».

11 Zibaldone, 55

11

lo scorrere del Tempo che non è soggetto a nulla, eterno e infinito; la Luna

anche senza gli uomini continuerà a ruotare intorno la Terra, e alla notte

seguirà il giorno, sempre e comunque. Ma finirà il tempo umano, cioè

dell'umanità. Senza più eventi, senza più guerre, né regni né imperi, tutto

resterà in un eterno presente, dove tutto ciò per cui l'uomo ha faticato e

lavorato rivela la vuota risonanza della falsa speranza e della falsa salvezza.

Tutto perde di significato, di senso, giacché il senso stesso delle cose è una

mera percezione umana dell'esistenza.

Con la caduta del concetto di tempo la stessa vecchiaia perde di significato e di

possibile valenza negativa, come preannunciazione della morte; l'attesa e la

perdita della speranza connessa ad essa cadono assieme al concetto di tempo,

assieme all'uomo.

2.2 - Caducità degli uomini

Nascere equivale ad avere una condanna a morte per ogni uomo. Appena ci

rendiamo conto di esistere, sappiamo che la nostra permanenza su questo

mondo è temporanea, siamo destinati a perire. Il nostro tempo è limitato.

Leopardi stesso avverte con dolore la condizione umana caduca, sua personale

in primo luogo, a causa della sua condizione fisica malferma ed incerta, fonte

di grandi disagi da una parte e di profondi ragionamenti sulla condizione

umana dall'altra: il cagionevole stato di salute del Leopardi ne denota il

carattere timoroso, per la sua condizione vitale da un lato, e al contempo

riflessivo: «l'esperienza della malattia e del proprio corpo infelice ha

determinato in modo essenziale l'attenzione di Leopardi agli aspetti fisici

dell'esistenza»12.

Il sentore della brevità della propria vita è sicuramente una caratteristica

12 G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Dall'ottocento al novecento, Einaudi, Milano, 1991, p.234.

12

fondamentale che ha accompagnato il poeta per tutta la sua esistenza.

Riguardo la percezione della nascita come pericolo afferma nello Zibaldone,

pagine 68 e 69, che

Il nascere istesso dell’uomo cioè il cominciamento della sua vita, è un pericolo della vita, come apparisce dal gran numerodi coloro per cui la nascita è cagione di morte, non reggendo al travaglio e ai disagi che il bambino prova nel nascere. E nota [69]ch’io credo che esaminando si troverà che fra le bestie un molto minor numero proporzionatamente perisce inquesto pericolo, colpa probabilmente della natura umana guasta e indebolita dall’incivilimento.

E in un lungo passaggio di qualche pagina dopo, Leopardi discute e ragiona

sulla consapevolezza della caducità umana e della caducità temporale. Ritengo

importante riportare il passaggio per intero, perché dà una luce chiara riguardo

la difficoltà dell'uomo Leopardi di rapportarsi con questa crudele verità, il

sapere in definitiva che per quanto ci possiamo sforzare e quanto possiamo

ignorare l'evidenza, siamo solo di passaggio su questa terra.

13

È pure un tristo frutto della società e dell’incivilimento umano anche quell’essere precisamente informato dell’età propria e de’ nostri cari, e quel sapere con precisione che di qui a tanti anni finirà necessariamente la mia o la loro giovinezza ec. ec. invecchierò necessariamente o invecchieranno, morrò senza fallo o morranno, perchè la vita umana non potendosi estendere più di tanto, e sapendo formalmente la loro età o la mia io veggo chiaro che dentro un definito tempo essi o io non potremo più viver goder della giovinezza ec. ec. Facciamoci un’idea dell’ignoranza della propria età precisa ch’è naturale, e si trova ancora comunemente nelle genti di campagna, e vedremo quanto ellatolga a tutti i mali ordinari e certi che il tempo reca alla nostravita, mancandola previdenza sicura che determina il male e loanticipa smisuratamente, rendendoci avvisati del quando dovranno finire indubitatamente questi e quei vantaggi della tale e tale età di cui godo ec. Tolta la quale l’idea confusa del nostro inevitabile decadimento e fine, non ha tanta forza di attristarci, nè di dileguare le illusioni che d’età in età ci consolano. Ed osserviamo quanto sia terribile in un vecchio p.e. d’80. anni, quel sapere determinatamente che dento 10. anni al più egli sarà sicuramente estinto, cosa che ravvicina lasua condizione a quella di un condannato, e toglie infinitamente a quel gran benefizio della natura d’averci nascosto l’ora precisa della nostra morte che veduta con precisione basterebbe per istupidire di spavento, e scoraggiare tutta la nostra vita.13

Molti spunti interessanti: per primo, il triste frutto della società, che quasi ci

rimanda a quel frutto della conoscenza, che ancora adesso ci tormenta; il

sapere quanto potrebbe durare la nostra vita arriva ad ossessionarci,

ricordandoci la nostra condizione di temporaneità. La giovinezza, unico

periodo spensierato e felice, ha letteralmente i minuti contati e tanto più passa

il tempo, tanto più sappiamo di avvicinarci alla fine. Ritorna per l'appunto la

concezione dolorosa della conoscenza, quella stessa conoscenza che impedì ad

Adamo di ottenere la vita eterna e qui, oltre al danno la beffa, ci pone davanti

la fine ogni istante di più. Così, il vecchio ottuagenario vive in una condizione

di “condannato”, sapendo che ha più tempo alle spalle che davanti a sé.

13 Zibaldone, 103.

14

E non può esserci altro evento capace di scandire l'incedere del tempo

più efficace che la morte stessa. È la morte di un caro che colpisce Leopardi e

lo fa riflettere sul senso del Tempo, e quindi della vita:

E così la morte di qualcuno ch’io conoscessi, e non mi avessemai interessato in vita, mi dava una certa pena, non tanto per lui, o perch’egli mi interessasse allora dopo morte, ma per questa considerazione ch’io ruminava profondamente: è partito per sempre - per sempre? sì: tutto è finito rispetto a lui: non lo vedrò mai più: e nessuna cosa sua avrà più nientedi comune colla mia vita.14

Pensiero che a distanza di anni rimane intatto e pressoché immutato. Nel 1827

declinerà ulteriormente l'immagine di desolato addio così:

E qui ricorriamo colla mente le cose, le azioni, le abitudini, che sono passate tra il morto e noi; e il dir tra noi stessi: queste cose sono passate; non saranno mai più; ci fa piangere. Nel qual pianto e nei quali pensieri, ha luogo ancora e parte non piccola, un ritorno sopra noi medesimi, e un sentimento della nostra caducità (non però egoistico), che ci attrista dolcemente e c’intenerisce. Dal qual sentimento proviene quel ch’io ho notato altrove; che il cuor ci si stringe ogni volta che, anche di cose o persone indifferentissime per noi, noi pensiamo: questa è l’ultima volta: ciò non avrà luogomai più: io non lo vedrò più mai: o vero: questo è passato persempre. Di modo che nel dolore che si prova per morti, il pensiero dominante e principale è, insieme colla rimembranza e su di essa fondato, il pensiero della caducità umana.15

È tipico del pensiero del Leopardi suddividere il mondo in schemi. Per

Leopardi è necessario attuare delle generalizzazioni costanti circa la realtà

circostante, implicandola entro determinati schemi e cercando di trovare i

motivi per far incastrare il suo ordine razionale al mondo sensibile. Ecco allora

che la propria caducità in quanto uomo e la condanna a sparire dalla faccia

della terra si riverbera all'interno di tutta la realtà circostante ed il sistema di

pensieri del Leopardi stesso.

14 Zibaldone, 645.15 Zibaldone, 4278.

15

Nella mia vita infelicissima l’ora meno trista è quella del levarmi. Le speranze e le illusioni ripigliano per pochi momenti un certo corpo, ed io chiamo quell’ora la gioventù della giornata per questa similitudine che ha colla gioventù della vita. E anche riguardo alla stessa giornata, si suol sempre sperare di passarla meglio della precedente. E la sera che ti trovi fallito di questa speranza e disingannato, si può chiamare la vecchiezza della giornata.16

Dice ancora Ungaretti, a riguardo di questa concezione del reale:

Il momento più soave della giornata, è quell'ora della mattina, sorto appena il sole; la stagione bella è la primavera;il popolo è la gioventù della società; l'antico è la gioventù delmondo; l'uomo, a pochi lustri, già è conscio se stesso d'una sventura amarissima, della decadenza del suo corpo, dell'appassimento del fiore dei giorni suoi.17

Nondimeno questa sensazione di brevità e di caducità della vita stessa

del poeta serve a chiarire l'efficacia stessa della vita: una vita lunga non

coincide con una vita buona, anzi, tanto più è lunga l'esistenza dell'uomo, tanto

più questa sarà infelice e incapace di avere gioia. Nel Dialogo di un fisico e di

un metafisico, i due protagonisti discorrono sull'effettiva validità di una vita di

lunga durata. Il Fisico gioisce nell'aver trovato «l'arte di viver lungamente»,

che garantirà a lui nello specifico di «vivere in eterno», acquistando «gloria

immortale». Risponde il Metafisico, affermando come una vita lunga assuma

un valore perlopiù negativo che non positivo.

Metafisico. Perché se la vita non è felice, che fino a ora non èstata, meglio ci torna averla breve che lunga.Fisico. Oh cotesto no: perché la vita è bene da se medesima, e ciascuno la desidera e l'ama naturalmente.Metafisico. […] Dico che l'uomo non desidera e non ama se non la felicità propria. Però non ama la vita, se non in quantola reputa instrumento o subbietto di essa felicità.

Questo perché una vita più lunga comporta una diminuzione del piacere e della

felicità che già è impossibile da ottenere. O meglio: una vita lunga comporta

una dispersione del piacere, che sarebbe maggiormente concentrato in una vita

16 Zibaldone, 151-15217 G. UNGARETTI, op. cit., p. 1199.

16

assai più breve, maggiormente intensa.

Metafisico. Ora in quella specie d'uomini, la vita dei quali si consumasse naturalmente in ispazio di quarant'anni, cioè nella metà del tempo destinato dalla natura agli altri uomini; essa vita in ciascheduna sua parte, sarebbe più viva il doppio di questa nostra: perché, dovendo coloro crescere, e giungerea perfezione, e similmente appassire e mancare, nella metà del tempo; le operazioni vitali della loro natura, proporzionatamente a questa celerità, sarebbero in ciascuno istante doppie di forza per rispetto a quello che accade negli altri; ed anche le azioni volontarie di questi tali, la mobilità e la vivacità estrinseca, corrisponderebbero a questa maggiore efficacia. Di modo che essi avrebbero in minore spazio di tempo la stessa quantità di vita che abbiamo noi. La quale distribuendosi in minor numero d'anni basterebbe a riempierli, o vi lascerebbe piccoli vani; laddove ella non basta a uno spazio doppio: e gli atti e le sensazioni di coloro, essendo più forti, e raccolte in un giro più stretto, sarebbero quasi bastanti a occupare e a vivificare tutta la loro età; dove che nella nostra, molto più lunga, restano spessissimi e grandi intervalli, vòti di ogni azione e affezione viva.

E poiché «non il semplice essere, ma il solo essere felice, è desiderabile», la

quantità del tempo umano non è una discriminante, ma solo la qualità.

Pensiero già presente in Zibaldone, 352:

In somma conviene che il filosofo si ponga bene in mente, che la vita per se stessa non importa nulla, ma il passarla bene e felicemente, o se non altro, anzi soprattutto, il non passarla male e infelicemente.

Vivere da esser umani significa riempire di senso il nostro tempo (poiché il

mondo sprovvisto di esseri umani e privo di avvenimenti perde il concetto di

significanza, come già illustrato nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo).

Compare poi, nell'operetta, il paragone tra l'esistenza umana, caduca e infelice,

e alcuni insetti chiamati effimeri.

17

ma, in cambio di ritardare o interrompere la vegetazione del nostro corpo per allungare la vita, come propone il Maupertuis, io vorrei che la potessimo accelerare in modo, che la vita nostra si riducesse alla misura di quella di alcuni insetti, chiamati efimeri, dei quali si dice che i più vecchi nonpassano l'età di un giorno, e contuttociò muoiono bisavoli e trisavoli. Nel qual caso, io stimo che non ci rimarrebbe luogoalla noia.

La riflessione proposta nel Dialogo ha la sua origine nello Zibaldone, in un

lungo pensiero del 24 settembre del 1823; l'analisi sul tempo acquista un peso

e un corpo rilevante, specialmente nella diversa natura del tempo, relativo tanto

tra uomo e uomo

la lunghezza di una medesima quantità di tempo ad altri è veramente maggiore ad altri minore, e ad un medesimo individuo può essere, ed è, quando maggiore quando minore. Onde può dirsi con verità che una medesima data porzione ditempo or dura più or meno ad un medesimo individuo, ed a chi più a chi meno.18

quanto tra l'uomo e il resto del creato:

agli animali i quali vivono meno dell’uomo per lor natura, a quelli che vivono al più trent’anni, venti, dieci, cinqu’anni, un anno solo, alcuni mesi, un solo mese, alcuni giorni soltanto [...] una data porzione di tempo è veramente più lunga e dura più che all’uomo, e tanto più quanto la lor vita naturale è più corta; e l’idea che ciascun d’essi si forma ed acquista naturalmente della durata e quantità di una tal porzione qualunque di tempo, è assolutamente maggiore di quella che l’uomo concepisce; e maggiore in ragione esattamente inversa della lunghezza ordinaria del viver loro. […] E veramente una mezz’ora dura per essi indefinibilmente più che per noi, stante la rapidità delle lor o azioni, sensazioni, passioni ed eventi; il velocissimo succedersi di questi, gli uni agli altri; la inconcepibile prontezza del loro sviluppo; la rapidità, per così dire, della lor vita ed esistenza; e stante ch’essi in una mezz’ora, in un minuto, vivono ed esistono, si può ben dire, assai più che noi nè gli altri più macrobii animali, in quel medesimo spazio, non fanno; e la loro esistenza in un minuto è veramente di quantità e d’intensità ec. Maggiore che la nostra non è, in altrettanto spazio, e che noi non possiamo pure immaginare.19

18 Zibaldone, 351019 Zibaldone, 3510-3512

18

Leopardi ritorna poi sul Dialogo dichiaratamente a pagina 4092, affermando

che

Ond’è che p.e. i cavalli e poi di mano in mano gli altri di sviluppo più rapido, sino a quegl’insetti che non vivono più d’un giorno (v. il mio Dial. d’un Fisico e di un Metafisico) sieno tutti di mano in mano più e più disposti naturalmente alla felicità che non è l’uomo, nonostante che la brevità della vita loro sia nella stessa proporzione; la qual brevità o lunghezza non aggiunge e non toglie nè cangia un apice nellafelicità d’alcun genere di animali (nè anche negl’individui)

Quindi, lo ripetiamo, il tempo della vita mortale è un tempo relativo, non

dipendente dal bisogno disperato di rimanere attaccati a questa vita, poiché

mancherebbe di senso in assenza di felicità.

Di conseguenza chi vive di meno ha più concentrata la vita stessa; una vita più

lunga è soltanto un allungare il dolore. Meno si vive, meno si soffre. Più si

vive, più la nostra esistenza è funestata dalla noia.

Così la monotonia prolunga la vita in quanto la lunghezza è penosa, e l’abbrevia in quanto la lunghezza è piacevole e desiderata; e la tua vita passata nell’uniformità ti par brevissima e momentanea, quando ne sei giunto al fine.20

La caducità della vita mortale non è quindi essenzialmente un aspetto negativo

di per sé, ma lo è in quanto in questa nostra vita mortale siamo impossibilitati a

raggiungere la felicità. In conseguenza del nostro insuccesso nell'ottenere la

felicità è tanto più auspicabile il morire e lasciare questa vita terrena, incapace

di apportarci felicità. Lascio però questo punto, della ricerca della felicità, solo

come accenno, per non impelagarmi nel difficile campo della felicità e del

piacere in Leopardi, operazione che esulerebbe dal mio argomento e che non

riuscirebbe ad esser comunque efficace.

Come detto, il sistema di pensiero leopardiano è schematico e

generalista, applica cioè percorsi mentali simili creando uno schema del reale

quanto più coerente possibile. In uno di questi percorsi, la fugacità del tempo e

20 Zibaldone, 368-369.

19

dell'esistenza umana viene a corrispondere alla fugacità della poesia,

specialmente quella orale. È Omero l'inventore e padre della Poesia: la poesia

di Omero è l'unica vera poesia in quanto legata alla dimensione del canto, tema

che compare fin dalle prime pagine dello Zibaldone e risuona in tutti i suoi

lavori; la poesia omerica è progenitrice di tutta la letteratura, l'originale per

eccellenza21. La poesia di Omero sfuma in quella rapsodo: una poesia cioè

legata alla voce e al respiro.

Un altro parallelo, che distingue i due tempi del Leopardi, è il primo tempo

della lettura e il secondo tempo della scrittura. Leopardi infatti è innanzitutto

un lettore e solo in seguito a questa esperienza diviene un poeta. Il passaggio

fondamentale è quello tra la dimensione del parlato al tempo della scrittura.

Il tempo del testo (e, dunque del lettore) deve essere considerato come il momento terminale di un lungo processo, che si è sviluppato nella temporalità istantanea dell'immaginario.22

A Platone spetta l'invenzione della letteratura scritta. Platone diverso quindi

tanto da Omero quanto da Socrate, la cui opera rimane orale, incurante ed anzi

paga della caducità della parola.

La poesia moderna, figlia di quella degli Antichi ma vittima della conoscenza,

è stata perduta dal popolo per colpa della scrittura; non può più esistere, come

niente di quello che appartiene al passato, e perciò dev'esser ricostruita: la

scrittura non aiuta la memoria, ma anzi la limitata e la blocca, perché fissa

forme altrimenti memorizzabili in forme scritte («L’incivilimento ha posto in

uso le fatiche fine ec. che consumano e logorano ed estinguono le facoltà

umane, come la memoria»23).

Lo scorrere del tempo viene così a coincidere con l'accrescimento delle

21 Cfr. Zibaldone 40: «Così Omero scrivendo i suoi poemi, vagava liberamente per li campi immaginabili,e sceglieva quello che gli pareva giacchè tutto gli era presente effettivamente, non avendoci esempi anteriori che glieli circoscrivessero e gliene chiudessero la vista. In questo modo i poeti antichi difficilmente s’imbattevano a non essere originali, o piuttosto erano sempre originali, e s’erano simili era caso».

22 C.COLAIACOMO, op. cit., p.92.23 Zibaldone, 76.

20

conoscenze dell'uomo, sia come persona singola che in quanto umanità, che

col passare dei secoli ha acquisito un tale bagaglio di sapere da schiacciare

ogni illusione. Perciò diviene negativa perfino la stampa («L’invenzione della

stampa, ch’essendo la perfezione della tradizione, ha portato al colmo

l’incivilimento»24), poiché il potenziamento della scrittorialità comporta

l'abbandono della vocalità; il pensiero si trasforma nel suono immediato della

voce, ma riesce ad attuarsi solo con il gesto dello scrivere, cioè con una

faticosa trascrizione del pensiero. Questo processo diventa automatico con

l'introduzione della stampa: ne consegue un'astrazione del pensiero, sempre più

veloce, sempre più accelerato, e colpevole di perdere il contatto con la fonte

corporea, con la fisicità della voce; perciò all'aumentare del numero dei fruitori

si pone di contro una separazione sempre maggiore e incolmabile fra l'uomo-

autore e il lettore.

In un paio di punti, sullo Zibaldone converge il tema della caducità dei libri a

stampa odierni, collegata alla sorte degli insetti effimeri già incontrati in

precedenza, in quel passo di pagina 4270 dello Zibaldone:

La sorte dei libri oggi, è come quella degl’insetti chiamati efimeri (éphémères): alcune specie vivono poche ore, alcune una notte, altre 3 o 4 giorni; ma sempre si tratta di giorni.

E ancora, poche pagine dopo:

Molti libri oggi, anche dei beni accolti, durano meno del tempo che è bisognato a raccorne i materiali, a disporli e comporli, a scriverli. [...] allora sarebbero più che mai simili agli efimeri, che vivono nello stato di larve e di ninfe per ispazio di un anno, alcuni di due anni, altri di tre, sempre affaticandosi per arrivare a quello d’insetti alati, nel quale non durano più di due, di tre, o di quattro giorni, secondo le specie.25

La voce, a differenza della stampa che fissa su carta i pensieri e la poesia,

rimane effimera e ha quindi tutti i caratteri della caducità della temporalità

24 Zibaldone, 93925 Zibaldone, 4271-4272.

21

dell'uomo26. E così,

il concetto di caduta viene associato in Leopardi a quello di cecità, e, in un certo senso a quello di mutismo inteso come perdita della “voce”, a tutto vantaggio della filosofia, o, più in generale, nella scrittura in quanto opposta alla “voce”27.

L'uomo maturo, cioè moderno, è caratterizzato dall'eccesso di

esperienza e di conoscenza, quindi di incivilimento; il poeta ingenuo, antico e

legato alla voce, è grande perché ancora ignorante, ingenuo, libero dal giogo

del tempo e del sapere. Si ritorna dunque al mito dell'origine: in principio c'è

sempre il buono.

L'uomo col tempo ha sempre acquisito conoscenza e sapere che lo hanno

portato a rovinare quel primo stadio di ingenuità, di naturalezza, di spontaneità

e di inconsapevolezza. Cioè di ignoranza. Causa di tutto ciò è, se si può osare,

proprio il peccato originale dell'aver mangiato il frutto della conoscenza del

bene e del male da parte di Adamo.

Essenziale è capire che da questa condizione non si può tornare indietro,

giacché il passato è ineliminabile. Tale carico di sapere non può esser

cancellato. C'è di conseguenza una valutazione negativa del presente, che si

rivela esser sempre corruzione.

26 Di contro va detto che Leopardi dirà proprio nello Zibaldone come senza scrittura una lingua non possa avere futuro, ribaltando i ragionamenti sviluppati nei primi anni. Cfr. Zibaldone 1201-1204.

27 F. D'INTINO, I misteri di Silvia. Motivo persefoneo e mistica eleusina in Leopardi, p.10

22

3 - LA PERCEZIONE DEL TEMPO

La percezione del Tempo avviene attraverso l'individuazione di momenti, di

gesti e atti che determinano un “prima” e un “dopo”. Senza questo concetto, di

qualcosa di accaduto, non può esserci né una idea, né una percezione del

tempo. Leopardi avverte egli stesso come l'esistenza umana sia segnata da

eventi capaci di creare un “prima” e un “dopo”, come ad esempio la

“mutazione totale” occorsagli nel 1819, fondamentale per la sua esperienza

umana e letteraria:

La mutazione totale in me, e il passaggio dallo stato antico almoderno, seguì si può dire dentro un anno, cioè nel 1819. dove privato dell’uso della vista, e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai ad abbandonar la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose [...], a divenir filosofo di professione (di poeta ch’io era), a sentire l’infelicità certa del mondo, in luogo di conoscerla, e questo anche per uno stato di languore corporale, che tanto più mi allontanava dagli antichi e mi avvicinava ai moderni.28

Leopardi avverte anche egli il passaggio di stato, dallo stato antico al

moderno, causa di tutto il suo malessere, coincidente con la perdita della

speranza e con l'incapacità di vivere il proprio presente in maniera felice. Una

caduta del suo Io. Da questo punto della sua vita l'infelicità diventa tangibile e

corporale, una perenne insoddisfazione della vita.

Parallelamente, questa percezione temporale di antico e moderno che si

rifrange non solo nella Storia dell'Umanità ma anche nel Tempo dell'Uomo,

incide anche in moltissime opere del Poeta e del Filosofo, diventando una delle

connotazioni personali più caratteristiche e fondanti, alla base del pensiero

leopardiano.

Nel Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere la

28 Zibaldone, 144.

23

discussione fra i due protagonisti verte intorno la dimensione del passato e

quella del futuro, o come questi vengono percepiti. Fra lo scegliere di rivivere

di nuovo la propria vita, fatta di dolore ed insoddisfazione e di viverne una

nuova, non conosciuta, la seconda ipotesi è di gran lunga preferibile.

Passeggere. [...]se a patto di riavere la vita di prima con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero? Venditore. Speriamo.

Questo perché ciò che spinge l'uomo ad andare avanti è la mera speranza in un

futuro migliore: non conoscere cosa ci accadrà ci dà lo spazio per sperare in

una condizione futura positiva, opposta alla conoscenza del nostro passato.

Passato e futuro, però, sono soltanto illusioni e idee dell'uomo, conseguenza

del tempo e del suo concetto. L'unica cosa reale è il tempo presente che per

definizione è un tempo atemporale. Uno spunto dello Zibaldone si ricollega al

tema del Dialogo, definendo anche la percezione del presente:

Il passato, a ricordarsene, è più bello del presente, come il futuro a immaginarlo. Perché? Perché il solo presente ha la sua vera forma nella concezione umana; è la sola immagine del vero; e tutto il vero è brutto.29

E ancora, la vita presente non ha una vera dimensione, non basta per garantire

l'esistere all'uomo: «Può mai stare che il non esistere sia assolutamente meglio

ad un essere che l’esistere? Ora così accadrebbe appunto all’uomo senza una

vita futura»30. È solo con la speranza d una vita futura, qualsiasi essa sia, che

l'uomo può esistere.

“Il passato è passato”, si potrebbe dire usando una battuta. Impossibile da

rivivere nel presente e da riproporre nel futuro. Ci rimane solo il ricordo.

Riguardo l'illusione del tempo passato, uno stralcio nel diario filosofico del

29 Zibaldone, 1521-152230 Zibaldone, 51.

24

Leopardi riporta così, sul tema dell'anniversario:

È pure un bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel giorno non abbia niente più che fare col passato che qualunque altro, noi diciamo, come oggi accaddeil tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, fui tanto sconsolato ec. e ci par veramente che quelle tali cose che son morte per sempre nè possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci l’idea della distruzione e annullamento che tanto ci ripugna e illudendoci sulla presenza di quelle cose che vorremmo presenti effettivamente o di cui pur ci piace di ricordarci con qualche speciale circostanza, come [chi] va sul luogo ove sia accaduto qualche fatto memorabile, e dice qui è successo, gli pare in certo modo di vederne qualche cosa di più che altrovenon ostante che il luogo sia p.e. mutato affatto da quel ch’era allora ec. Così negli anniversari. Ed io mi ricordo di aver conindicibile affetto aspettato e notato e scorso come sacro il giorno della settimana e poi del mese e poi dell’anno rispondente a quello dov’io provai per la prima volta un tocco di una carissima passione. Ragionevolezza benchè illusoria ma dolce delle istituzioni feste ec. civili ed ecclesiastiche in questo riguardo.

Pur essendo solo una illusione quella degli anniversari, non essendoci nessun

collegamento con l'evento passato, questi sembrano poter trasportano quel

momento passato sopra questo tempo presente. Una manipolazione illusoria

nel tentativo di instaurare di nuovo un rapporto con un passato, seppure

illusorio31. La percezione del tempo arcaica, come accennato in apertura del

presente lavoro, non si basava sul tempo dell'orologio, come quella moderna,

schiava di vincoli precisi che perennemente ci riportano al tempo come

condanna, ma sui rituali.

Il tempo in cui vive Leopardi è un non tempo, il tempo del presente, il tempo

del moderno. Questo tempo non può garantire la felicità all'uomo, la quale si

può attuare soltanto nel riverberazioni del proprio passato una memoria,

oppure nella speranza del futuro. Ma entrambi si pongono come illusioni.

31 Nondimeno lo stesso Leopardi sembra avere una sorta di ossessione per le date, considerato come annoterà sempre la data di realizzazione di una nota nello Zibaldone a chiusura delle note, a partire dal 1820, quasi si trattasse di un rituale.

25

Il presente, dunque, viene letto o ascoltato, e questo esser letto o ascoltato coincide con la sua determinabilità come profondità temporale, come un già scritto.32

Il tempo con la modernità è diventato istantaneo, si è velocizzato e in seguito a

una accelerazione del tempo. In uno stato di non-conoscenza, tutto era novità;

così, il tempo naturale coincideva con il tempo dell'uomo. Con la modernità,

questo sembra avanzare in maniera inesorabile, quasi come fosse risucchiato in

un imbuto, o in un buco nero (concetto che ci riporta, un po' forzosamente, a

Stephen Hawking e all'origine stessa del tempo). In questo tempo moderno

accelerato, tutto viene distrutto. Perfino la gloria, fino ad oggi cementata nel

tempo: nell'antichità, Achille muore per la gloria e si eterna così; nella

modernità, questa diviene volatile e non riesce più a garantire quell'immortalità

a cui aspira l'uomo e l'artista. Non esiste più il tempo della gloria, né del

presente, né della felicità. Ancora tornare sullo Zibaldone ci illumina a

riguardo; a pagina 4269 possiamo leggere:

Se mai fu chimerica la speranza dell’immortalità, essa lo è oggi per gli scrittori. Troppa è la copia dei libri o buoni o cattivi o mediocri che escono ogni giorno, e che per necessitàfanno dimenticare quelli del giorno innanzi; sian pure eccellenti.

A cui fa seguito il già citato passo sulla caducità tanto dei libri, paragonati agli

insetti effimeri, quanto degli uomini. Poco più avanti quei passi già analizzati,

aggiunge:

[Gli uomini sono] soggetti anche a sopravvivere alla propria fama, e più longevi che la memoria di noi. [...] Perchè non ai soli letterati, ma ormai a tutte le professioni è fatta impossibile l’immortalità, in tanta infinita moltitudine di fattie di vicende umane, dapoi che la civiltà, la vita dell’uomo civile, e la ricordanza della storia ha abbracciato tutta la terra.33

La civilizzazione ha distrutto l'immortalità, in quanto l'eccesso di conoscenza

cancella tutte le opere che abbiamo lasciato in questa vita. Sembra quasi come

32 C.COLAIACOMO, op.cit., p.73.33 Zibaldone, 4270.

26

se già all'epoca avvenisse quel processo oggi noto come information overload,

un l'eccesso di informazione cioè che satura la memoria e la capacità di trovare

qualcosa da salvare nell'infinità di proposte. Insomma, si distrugge la memoria.

Il tentativo poetico di Leopardi è di salvaguardare questa memoria.

È questa una necessità, il trasformare il tutto in memoria. Solo la poesia può

compiere questo tentativo: «La poesia leopardiana tenta di rappresentare

l'attimo nel momento in cui passa e diviene ricordo: tutto infatti è già memoria,

poiché il presente non si ferma.»34

Ma è con A Silvia che si concretizza proprio questa poesia della memoria, che

trasfigura gli avvenimenti e gli eventi accaduti e li «esprime presentandoli

come la vera vita, la vita finalmente tratta in luce dal profondo di sé»35.

Sorvolando sulla poesia, troppo complessa, seppur calzante col tema analizzato

(“All’apparir del vero tu, misera, cadesti”) , per essere trattata

esaurientemente, è interessante però leggere un passo dello Zibaldone che

rimanda direttamente alla protagonista della poesia:

Ma veramente una giovane dai 16 ai 18 anni ha nel suo viso, ne’ suoi moti, nelle sue voci, salti ec. un non so che di divino,che niente può agguagliare. Qualunque sia il suo carattere, il suo gusto; allegra o malinconica, capricciosa o grave, vivace o modesta; quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o che voi nel guardarla concepite in lei e per lei; quell’aria d’innocenza, d’ignoranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; quel fiore insomma, quel primissimo fior della vita.36

In tale frammento si mette in luce la condizione caduca e temporanea della

giovane fanciulla che, nella sua prima età, ha ancora in sé il germe della

speranza e del futuro.

34 R. ANTONELLI, Il senso e le forme (vol. 4), La nuova Italia, Milano, 2011, p.6.35 U. DOTTI, A silvia, trasfigurazione della memoria, in “Leopardi. I canti”, (a cura di) U. DOTTI,

Feltrinelli, Milano, 1993, p. 79.36 Zibaldone, 4310.

27

Poesia che propone la speranza del futuro, troncata prematuramente, e un

presente irrealizzabile. Poesia che parla al passato, alla natura e che non trova

requie in un dolore insanabile.

28

4 - CONSEGUENZE DEL TEMPO

In chiusura, si analizzal'incidenza del tempo, sull'umanità, sull'uomo; il

tempo come ineludibile, come corruttore; il tempo come presagio di fine,

accelerato e proteso verso la decadenza, si può riassumere nei seguenti punti.

Quella del tempo è una concezione esclusivamente umana, una pura

forma mentale dell'uomo. Esempio lampante della differenza tra l'uomo e

l'animale è il sentimento della vendetta: negli animali la vendetta, se attuata, è

immediata; per gli umani è la memoria che la rafforza; quella memoria

originata dal passare del tempo. Gli animali si basano esclusivamente

sull'istinto, in una concezione dell'esistenza fondata solo sull'eterno presente,

in netta opposizione all'uomo. Basando la loro percezione del tempo solo

sull'attimo, non riescono a sviluppare la memoria, né quindi la conoscenza; per

questo non conoscono corruzione.

Or questo spirito ch’è inevitabile in qualunque società umanastretta, fu ignoto all’uomo primitivo, è ignoto a qualunque altro animale, in cui l’ira non dura più che qualunque altra passione momentanea, e la ricordanza dell’ingiuria non più dell’ira; e la vendetta o è subito ottenuta e fatta (e basta ben poco a placarli e soddisfarli), o di poi non è ricercata niente più che se l’ingiuria non avesse avuto luogo.37

Il sentimento di vendetta, squisitamente proprio dell'uomo civile, viene acuito

dal tempo e dalla memoria, tendendo sempre verso la malvagità («Il

sentimento della vendetta è così grato che spesso si desidera d’essere ingiuriato

per potersi vendicare»38).

Il dispiegarsi del tempo conduce non solo l'umanità, ma tutte le cose

37 Zibaldone, 3795.38 Zibaldone, 72.

29

continuamente da uno stato primigenio positivo ad uno stato secondario

negativo, con una involuzione da un principio di innocenza, genuinità,

positività a uno di corruzione di eccesso di conoscenza e di maturità. Tema

centrale sviluppato in una quantità incredibile di pagine zibaldoniane, che

riassumo qui con stralci presi dalle primissime pagine del diario:

ora si viene da un tempo corrotto (oltrechè si sta pure tra’ corrotti) e bisogna porre il più grande studio per evitare la corruzione, principalmente quella del tempo la quale prima che abbiamo pensato a guardarcene s’è impadronita di noi, e poi quella dei tempi passati, perchè adesso conosciamo tutti ivizi delle arti e ce ne vogliamo guardare, e non siamo più semplici come erano i greci e i latini e i trecentisti e i cinquecentisti perchè siamo passati pel tempo di corruzione esiamo divenuti astuti nell’arte. […] Erano come fanciulli che non conoscono i vizi, noi siamo come vecchi che li conosciamo ma pel senno e l’esperienza gli schiviamo. E però abbiamo moltissimo più senno e arte che gli antichi.39

Tempo sempre umano, e quindi corruttore dell'uomo.

Impossibilitati a consumare il frutto della vita eterna, siamo destinati a

sparire. Unica possibilità, divenire immortali tramite la gloria. Leopardi è

sicuramente combattuto, in ricerca di quella gloria che gli garantirebbe

l'immortalità, ma conscio di non esser libero d'ottenerla fra i suoi

contemporanei. Nel Dialogo della natura e di un'anima, i due protagonisti

discutono sul tema dell'immortalità dell'anima. Questa sarebbe immortale solo

grazie alla fama, alle lodi e agli onori. In realtà tali cose si rivelano altrettanto

caduche e inutili e non garantiscono l'immortalità. L'anima rimane immortale

solo grazie alla gloria, ma non essendo questa gloria reale, come quella dei

grandi eroi e miti antichi, è l'anima stessa a rifiutare questa presunta

immortalità, non ritenuta valida né degna. Piuttosto di incorrere nella prigione

dell'immortalità, prega la Natura di accelerarle la morte per quanto possibile.

39 Zibaldone, 4.

30

Preferisce rifiutarla in favore di un'accelerazione del tempo suo mortale, per

una morte più rapida. La Natura risponde che questo spetta al destino e non a

lei.

In conclusione, la felicità per Leopardi è soltanto rintracciabile

attraverso la memoria del passato o con l' anticipazione del futuro, quindi

attraverso una divisione fra la temporalità e l'eternità. Il passato diviene così

memoria e il futuro, speranza, senza un vero e realizzabile presente umano.

Ricorda allora Leopardi quel suo temporaneo stato, definito divino, quasi

edenico, di somma felicità.

La somma felicità possibile dell’uomo in questo mondo, è quando egli vive quietamente nel suo stato con una speranza riposata e certa di un avvenire molto migliore, che per esser certa, e lo stato in cui vive, buono, non lo inquieti e non lo turbi coll’impazienza di goder di questo immaginato bellissimo futuro. Questo divino stato l’ho provato io di 16 e 17 anni per alcuni mesi ad intervalli, trovandomi quietamenteoccupato negli studi senz’altri disturbi, e colla certa e tranquilla speranza di un lietissimo avvenire. E non lo proverò mai più, perchè questa tale speranza che sola può render l’uomo contento del presente, non può cadere se non in un giovane di quella tale età, o almeno, esperienza.40

La somma felicità possibile è ottenibile solo quando all'uomo è permesso di

vivere quietamente; la proiezione nel futuro e nella speranza è quieta, non ci

comporta il turbamento del presente umano. Il mito della felicità in Leopardi è

attaccato sempre al momento presente, che però è perso per sempre. Fin

dall'alba dei tempi.

Tutti, come Adamo, cadiamo da un Paradiso Terrestre, strappatoci dalle mani

da un diavolo tentatore che instaura a noi la conoscenza, il sapere, la memoria,

senza darci la speranza di dimenticare.

40 Zibaldone, 76.

31

Tutti questi sentimenti si ritrovano, in sintesi, ne Il tramonto della luna,

composta negli ultimi giorni di vita del Leopardi, dove si sublima il parallelo

tra il giorno e la vita, quanto mai effimeri, sottolineando ancora, per l'ultima

volta,

la debolezza dell'uomo e la sua rapida e ineluttabile decadenza a petto dello sguardo indifferente,e quasi irridente, di quella stessa natura che l'ha creato.41

Il tempo passa, scorre e noi non possiamo opporci. Viviamo dispersi, come una

nave in alto mare, con l'unica consolazione del canto e della poesia, nel

tentativo di ingannare il tempo, in attesa, speranzosa, di tornare quanto prima

alla pace, di tornare a casa.

41 U. DOTTI, Il pensiero poetante: “il tramonto della luna” e “la ginestra”, in “Leopardi. I canti”, (a cura di) U.

DOTTI, Feltrinelli, Milano, 1993, p.138.

32

BIBLIOGRAFIA

R. ANTONELLI, Il senso e le forme (vol. 4), La nuova Italia, Milano, 2011

C. COLAIACOMO, La sera del dì di festa, in “Camera obscura. Studio di due

canti leopardiani”, Liguori, Napoli, 1992

F. D'INTINO, I misteri di Silvia. Motivo persefoneo e mistica eleusina in

Leopardi, in “Filologia e critica” XIX (1994), n. 2

U. DOTTI (a cura di), Leopardi. I canti, Feltrinelli, Milano, 1993

G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Dall'ottocento al novecento,

Einaudi, Milano, 1991

G. STABILE, Scienza e disincantamento del mondo: poesia, verità, nulla in

Leopardi, in “Giacomo Leopardi e il pensiero scientifico”, (a cura di) G.

STABILE, Fahrenheit 451, Roma, 2001

G. UNGARETTI, Vita d'un uomo. Saggi e interventi, in “Leopardi, Zibaldone dei

pensieri”, (a cura di) A. M. MORONI, Mondadori, Milano, 2012

33