LE “TERME DI ELAGABALO” I RISULTATI DELLE ULTIME INDAGINI

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EDIZIONI QUASAR SCIENZE DELL’ ANTICHITÀ 20 – 2014 Fascicolo 1 SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ estratto

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EDIZIONI QUASAR

SCIENZE DELL’ANTICHITÀ

20 – 2014

Fascicolo 1

SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMADIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ

estratto

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ

DirettoreEnzo Lippolis

Comitato di DirezioneMarcello Barbanera, Maria Giovanna Biga, Savino Di Lernia, Giovanna Maria Forni,

Gian Luca Gregori, Laura Maria Michetti, Frances Pinnock, Marco Ramazzotti, Maurizio Sonnino, Eleonora Tagliaferro

Comitato scientificoRosa Maria Albanese (Catania), Graeme Barker (Cambridge),

Corinne Bonnet (Toulouse), Alain Bresson (Chicago), Jean‑Marie Durand (Paris), Alessandro Garcea (Lyon), Andrea Giardina (Firenze), Michel Gras (Roma),

Henner von Hesberg (Roma‑DAI), Tonio Hölscher (Heidelberg), Mario Liverani (Roma), Paolo Matthiae (Roma), Athanasios Rizakis (Atene), Guido Vannini

(Firenze), Alan Walmsley (Copenhagen)

RedazioneLaura Maria Michetti

SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA

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La recente conclusione dello scavo nelle “Terme di Elagabalo”, iniziato nel 20071, ci offre l’opportunità di illustrare le novità più rilevanti in merito ai principali complessi edilizi che, già presentati nelle linee generali2, si svilupparono nell’area in età giulio‑claudia, adrianea, severia‑na e tardoantica. Evidenze monumentali posteriori al IV secolo sono emerse nella fase finale dello scavo: a queste accenneremo soltanto, riservandoci di completarne la planimetria e di ap‑profondire l’identificazione delle strutture che, poste ad una quota corrispondente all’attuale piano di calpestio, sono state purtroppo devastate da interventi anche recenti.

I tre isolati in età giulio-claudia (Fig. 1).Dei tre isolati che in questo periodo occupano tutto lo spazio delle “Terme di Elagabalo”

è ormai noto quello orientale, caratterizzato nell’assetto che precede l’incendio del 64 da un fronte con 8 tabernae affacciate sulla strada e da una domus estesa sul retro e sulla pendice pa‑latina. Le testimonianze relative all’isolato centrale sono più evanescenti: si tratta, infatti, sol‑tanto di due fondazioni ortogonali tra loro, appartenenti alla stessa struttura che comprende, all’interno, una canaletta fognaria. Un collettore più ampio, proveniente dall’area delle pendici e diretto verso la via valle‑Foro, è equidistante dai limiti dei due isolati e segna probabilmente il centro di una strada che li distingueva. Complesso è, infine, l’isolato occidentale, che doveva estendersi almeno verso nord e verso ovest oltre i limiti della recinzione moderna, proseguen‑do nell’area attualmente occupata dall’attuale via Sacra e dalla via di San Bonaventura. Questo blocco edilizio si sviluppa nella parte più alta della pendice, in prossimità dell’arco di Tito: da qui discende verso est con una serie di gradoni che accompagnano altrettanti salti di quota. All’estremità occidentale sono ben definiti quattro ambienti allineati, a pianta quadrata e con ingresso a ovest3, le cui murature conservano qualche filare dello spiccato in tegole spezzate. Le murature a est di questi vani, che per forma e disposizione sembrano identificabili come

1 Il complesso noto nella tradizione degli studi con il nome di “Terme di Elagabalo” rientra nell’Area IV dello scavo delle pendici nord‑orientali del Pala‑tino (vd. in questo volume panella - zeGGIo - fer-randeS, supra). Lucia Saguì ha coordinato le indagini

archeologiche di quest’area, Matilde Cante, autrice dei disegni di questo contributo, si è occupata dello studio architettonico dei monumenti.

2 SaGuì 2009, 2012, 2013.3 Lo spiccato dei muri è alla quota di m 27,66 s.l.m.

lucIa SaGuì – MatIlde cante – franceSco quondaM

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212 L. Saguì – M. Cante – F. Quondam Sc. Ant.

Fig. 1 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. Ortofoto con so‑vrapposizione delle strutture di età tardo‑repubblicana e giulio‑claudia. In nero e grigio scuro le strutture murarie, in grigio chiaro l’impianto fognario.

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tabernae, sono conservate prevalentemente in fondazione e distinte dagli ambienti occidentali mediante due passaggi indicati da lunghi condotti fognari paralleli. Nello spazio che sarà occu‑pato dagli ambienti severiani 20 e 21 una serie di fondazioni con orientamento diverso rispetto alle strutture di età giulio‑claudia si riferisce ad un impianto precedente che circoscrive un pozzo repubblicano.

L’isolato occidentale ebbe vita breve: l’incendio del 64 cancellò infatti ogni traccia degli ambienti e della strada sulla quale si affacciavano, creando le premesse per la costruzione della monumentale via porticata neroniana, che si svilupperà lungo l’asse est‑ovest.

L’edificio adrianeo (Fig. 2).La struttura del complesso adrianeo è ben definita, fatta eccezione per il lato corto ovest,

poiché qui gli ambienti proseguono oltre i limiti dello scavo, interrotti dalla moderna via di San Bonaventura. L’edificio è costituito da due corpi di fabbrica: a quello orientale, dotato di cinque vani e posto a quota inferiore, si affianca un corpo occidentale, con un maggior nu‑mero di ambienti. Le ultime indagini, concentrate nella metà occidentale, hanno confermato la planimetria delineata sulla base delle evidenze già note: sono stati infatti rinvenuti ulteriori tratti del muro di fondo, dei muri che delimitano gli ambienti, dei pavimenti in opus spicatum che caratterizzano ciascun vano nell’assetto originario, dei condotti fognari. Delle strutture sono conservate solo le fondazioni e dell’opus spicatum restano ormai piccole isole: la quota dei pavimenti adrianei coincideva infatti, nella zona più vicina all’arco di Tito, con il piano di calpestio attuale (m 27,74).

L’edificio severiano (Fig. 3).Anche per l’edificio severiano i dati raccolti consentono una ricostruzione quasi definiti‑

va, che per motivi di spazio non possiamo presentare in questa sede. A differenza dell’horreum adrianeo, quello severiano non aveva accessi sul lato meridionale, né su quello orientale. Agli undici vani dell’horreum severiano allineati sul versante settentrionale, disposti su piani progres‑sivamente crescenti per superare il dislivello in senso est‑ovest, si accede dalla via valle‑Foro. Per i due ambienti più grandi, coperti da volte a crociera, posti alle due estremità, dobbiamo ipotizzare funzioni diverse (uffici? archivi?) rispetto a quelle dei vani più modesti (tabernae?). Al cortile e alle stanze che su questo prospettano, non comunicanti con quelle rivolte verso la strada, si accede soltanto da due ingressi previsti negli ambienti del fronte occidentale che si affacciano su un diverticolo della via principale, delimitato sul lato opposto dal basamento del “Tempio di Giove Statore”. Non sappiamo come fosse articolato il cortile dell’edificio severiano, del quale gli interventi successivi hanno asportato quasi ovunque i piani originari. Una novità è emersa tuttavia nell’ultima campagna di scavo: una lunga vasca rettangolare rivestita in cocciopesto, che i resti dei muri perimetrali consentono di ricostruire esattamente al centro del cortile. A ridos‑so dell’angolo nord‑ovest della vasca un tombino in travertino raccoglieva le acque del grande spazio scoperto, immettendole nel breve collettore che, costruito in questo periodo, raggiungeva quello principale, diretto in senso ovest‑est verso valle. Quest’ultimo costituisce la sola soprav‑vivenza di età adrianea: l’obliterazione dell’organica e diffusa rete fognaria della quale era dotato l’edificio precedente indica un radicale cambiamento nelle funzioni del complesso severiano.

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Fig. 2 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. Ortofoto con sovrap‑posizione del comples‑so adrianeo. In nero le strutture murarie, in grigio chiaro l’impianto fognario.

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Fig. 3 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Ter‑me di Elagabalo”. Ortofo‑to con sovrapposizione del complesso severiano.

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Il complesso tardoantico.Le trasformazioni che l’edificio severiano subì in età tardoantica sono molto articolate e

non sempre è possibile definirne cronologia relativa e assoluta. Le distruzioni causate dall’in‑sediamento medievale e gli sterri del XIX secolo, seguiti da restauri non sempre filologici, ci hanno purtroppo privato di molti dati.

Nulla possiamo dire, riguardo all’età tardoantica, delle trasformazioni che forse coinvol‑sero gli ambienti posti sul lato orientale e su quello settentrionale del complesso severiano, nei quali persino i livelli di età medio imperiale non erano più conservati all’inizio delle nostre indagini. Fanno eccezione solo due delle stanze che si affacciavano sul cortile (13, 14).

La prima fase (Fig. 4).Il primo, imponente intervento, databile entro i primi decenni del IV secolo, interessa

tutta l’area del cortile e gli ambienti del fronte occidentale. Da ovest a est la nuova sistemazione degli spazi può essere così sintetizzata. - Gli ambienti termali. Le tre stanze del fronte occidentale dell’edificio severiano vengono trasformate in un balneum. Un recente contributo dedicato a questo settore del complesso tardoantico4, che va certo messo in relazione con le strutture estese nel resto dell’area, ci esime da una descrizione dettagliata del piccolo impianto termale. - La cenatio e l’ambiente riscaldato. Subito a est del balneum la costruzione di una grande abside in quello che era stato il portico occidentale dell’edificio severiano e di un nuovo vano a pianta quadrata a sud dell’emiciclo, insieme al riuso di una stanza ad esso contrapposta (14), configurano uno spazio che, comprendendo al centro un’ampia area quadrangolare, assume una planimetria cruciforme. L’abside, che accoglie uno stibadium in muratura, aveva pareti e pavimento rivestiti da lastre marmoree. Non conosciamo le pavimentazioni originarie dei due ambienti che la affiancano, ma sappiamo che i loro piani di calpestio erano posti alla stessa quota dell’abside con stibadium, più alta di 20 cm rispetto a quello dell’area centrale. La pavi‑mentazione dell’area sulla quale gravitano l’esedra semicircolare e le due quadrangolari, rico‑struibile grazie alle tracce lasciate sulla malta, era costituita da grandi lastre marmoree. L’area centrale è attualmente delimitata verso est da un muretto sul quale si impostano due colonne in marmo cipollino. La costruzione del muretto e l’anastilosi delle colonne furono effettuate su‑bito dopo gli scavi del 1872. L’affaccio della cenatio sul cortile con una trifora sembra del tutto coerente con i canoni dell’architettura tardoantica, ma non abbiamo alcun elemento per soste‑nere che questo fosse il suo reale assetto originario, come potremo documentare con maggiori dettagli in un prossimo contributo. Se un gradino, in luogo di un muretto, doveva delimitare lo spazio quadrangolare verso est, poiché, come vedremo, questo aveva la funzione di una grande vasca, altre colonne più o meno frammentarie dello stesso marmo e di dimensioni identiche alle nostre sono state rinvenute nell’area delle “terme di Elagabalo” e la ricostruzione del peristilio colonnato nello spazio a est della cenatio induce a ritenere che quello fosse il luogo nel quale erano impiegate. L’ambiente a nord‑est della cenatio (l’originario vano 13 del complesso seve‑riano), suddiviso ora in due parti, accoglie nella metà occidentale un piccolo spazio riscaldato.

4 GIorGI 2013.

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Fig. 4 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. L’area della cenatio e il cortile nella I fase.

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- Lo stibadium, la vasca e il percorso delle acque. Il problema dell’alimentazione idrica è com‑plesso. È tuttavia probabile che in questa fase l’acqua provenisse dall’adiacente area del bal-neum e da qui si riversasse nel corridoio anulare posto tra l’abside e lo stibadium. Questo è attraversato da un canale che, immettendosi nel grande condotto adrianeo, ne consentiva l’eva‑cuazione. Escludendo l’accesso al canale, le acque avrebbero potuto raccogliersi nello spazio scoperto antistante lo stibadium, che in questo caso avrebbe svolto la funzione di grande vasca. Qui, sul pavimento, si aprono cinque tombini, comunicanti con canalizzazioni che confluisco‑no nel condotto adrianeo diretto verso valle5. Anche una fogna del sistema adrianeo, che corre in direzione nord‑sud subito all’esterno della vasca, fu ingegnosamente ridotta nelle dimensio‑ni e ne fu rialzato il piano di scorrimento, in modo da servire due dei tombini più vicini.- Il sistema scala-pozzo e l’area occidentale del cortile. Alla prima e più imponente fase costrut‑tiva del complesso tardoantico sembra appartenere anche il dispositivo costituito da un pozzo di età repubblicana riportato forse in luce dagli sbancamenti effettuati in questo periodo, la cui imboccatura doveva affiorare sul pavimento della vasca, da un dolio con una serie di piccoli fori sulla parete, inserito all’interno del pozzo e da una scala sotterranea che, iniziando la disce‑sa dall’area del cortile antistante la cenatio, permetteva di raggiungerlo. Questo strano apparato è già stato descritto in altre sedi, nelle quali sono state avanzate alcune ipotesi a proposito della funzione del dolio6. Le ultime indagini, concentrate nella metà occidentale del cortile, nella quale si apre l’accesso alla scala, non hanno dato molte informazioni sulla sua sistemazione: abbiamo comunque appurato che l’ingresso doveva essere in origine poco più a est, poiché i tre gradini più alti sono stati asportati da interventi medievali e moderni. Un dato è stato inoltre chiarito: la pavimentazione a grandi tessere in marmo bianco, della quale in questa zona resta‑no soltanto gli strati preparatori, doveva caratterizzare anche la parte occidentale del cortile, creando così un continuum su tutta l’area estesa a est della cenatio. - L’area orientale del cortile. Il lato orientale del cortile è chiuso da una fontana absidata. Il piccolo ninfeo è inquadrato da un portico colonnato e si affaccia su un’area scoperta al cen‑tro della quale è un modesto recinto quadrato dalla funzione incerta. Sono state rinvenute le fondazioni di tutte le colonne, disposte parallelamente, a nord e a sud, alle strutture severiane. Il lato occidentale del portico prevede un doppio filare di colonne che permette il passaggio coperto tra un braccio e l’altro. Alle colonne in cipollino e al loro uso verosimilmente impro‑prio nel restauro ottocentesco della cenatio si è già accennato. Le colonne erano utilizzate, con ogni probabilità, nel peristilio, perché le loro dimensioni sono perfettamente compatibili con la ricostruzione qui proposta7. Tangente al braccio trasversale del portico una grande vasca rettangolare, poi divisa in due bacini, addossata ad una fontanella a pianta ottagonale, divide in due settori lo spazio del lungo cortile dell’edificio severiano. Il riuso della vasca che ne carat‑

5 Restano incerte le funzioni di due canalizza‑zioni in laterizi (forse moderne?) che si immettono nel pozzo, ma delle quali non si sono potuti verificare percorso e pendenza.

6 Conserva di neve da consumare durante i ban‑chetti che si svolgevano nella cenatio?: GIoVanettI 2013; filtro per oggetti di pregio che, dopo essere stati

gettati nella vasca per stupire gli ospiti nel corso del rituale tricliniare, potevano essere facilmente recupe‑rati?: SaGuì 2013, pp. 146‑148.

7 Anche lo studio degli alzati, in corso, conferma la posizione originaria e la dimensione delle colonne, la cui altezza è del tutto compatibile con l’articolazio‑ne meridionale della facciata severiana.

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terizzava la parte centrale, leggermente ridotta in larghezza con la costruzione di un muretto addossato a quello severiano, completa il sistema, che nell’acqua e nei suoi giochi, ben visibili dai commensali raccolti intorno allo stibadium, aveva qui il suo punto focale.

La seconda fase.La sola trasformazione di rilievo che ci sembra di cogliere nelle strutture del complesso

tardoantico interessa l’area della cenatio (Fig. 5). I cambiamenti riguardano da un lato le pavi‑mentazioni dell’ambiente che affianca l’abside a sud e della grande vasca centrale, non più usata come tale, dall’altro il funzionamento dello stibadium, che in questa fase acquisisce un nuovo elemento: un getto d’acqua al centro, nello spazio occupato dalla mensa.

Le caratteristiche del pavimento dell’ambiente a sud dell’abside, costituito da lastrine di marmi di reimpiego8, sono certo più coerenti con una fase successiva rispetto a quella originaria.

Il ricorso al reimpiego si manifesta anche nella grande vasca, dove il nuovo pavimento non ha la regolarità di quello più antico e le dimensioni delle lastre, ricostruibili anche in questo caso attraverso le tracce sullo strato preparatorio, sono più ridotte. I materiali rinvenuti nella malta indicano nella metà del V secolo il terminus post quem per la messa in opera della nuova pavimentazione.

Il funzionamento dello stibadium, ora non più “circondato dalle acque” ma dotato di una fistula che, provenendo dall’area del cortile, era alloggiata nella vaschetta semicircolare al centro e consentiva di riempirla con uno zampillo, è stato descritto da Giovanni Caratelli in un recente studio, al quale rimandiamo9. Il completamento dello scavo e la messa in luce del pavimento della vasca pertinente alla seconda fase, avvenuti mentre era in corso di stampa il lavoro di Caratelli, che non poteva peraltro conoscere l’esistenza della fase più antica, consen‑tono tuttavia qualche ulteriore osservazione. Cambia ora radicalmente il deflusso delle acque: dei cinque tombini previsti sul pavimento della vasca sopravvive in questa fase solo quello nell’angolo sud‑est, sufficiente per la pulizia e lo scarico delle acque piovane. La canaletta che attraversava lo stibadium, ora funzionale allo svuotamento della vaschetta centrale, viene de‑viata verso sud e, proseguendo al di sotto del pavimento, viene innestata nella fogna adrianea.

Una fase successiva? Non abbiamo ancora elementi per stabilire se, in coincidenza con la trasformazione dello

stibadium, anche l’area del cortile sia stata interessata da un altro importante cambiamento (Fig. 6). Se questo fosse avvenuto in seguito all’abbandono della cenatio, come sembra più plausibile, si tratterebbe comunque, con buone probabilità, di una fase non molto lontana nel tempo. Nello spazio purtroppo più compromesso dell’area di scavo sono emerse le fondazioni di un’abside, conclusa sul retro con un muro di diaframma che la distingue dalla parte occi‑dentale del cortile. Altre due fondazioni, a nord‑est dell’abside e tra loro ortogonali (US 7540, 7541), sembrano pertinenti alla stessa struttura. Non conosciamo il rapporto tra questa e le

8 Nel 2013 il pavimento è stato restaurato e con‑solidato. Il lavoro, coordinato dall’arch. Maria Grazia Filetici e dalla dott.ssa Ida Sciortino, della SSBAR,

è stato eseguito dalle restauratrici Elisabetta Lulli e Francesca Mancinelli.

9 caratellI 2013.

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cinque sepolture rinvenute nell’area, alle quali una sesta si è aggiunta nell’ultima campagna di scavo, tutte databili tra la metà del VI e il VII secolo. Le sepolture, finora riferite alla fase di abbandono del complesso tardoantico, potrebbero anche accompagnare o seguire la nascita delle nuove strutture, la cui scoperta è tanto recente da richiedere il giusto tempo di riflessione.

Fig. 5 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. Lo stibadium e il suo funzionamento nella II fase.

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Fig. 6 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. Ortofoto con ubicazione delle sepolture e sovrapposizione dei resti del piccolo edificio absidato.

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Fig. 7 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elaga‑balo”. Fondazione 7541, vista da sud. A destra un muro dell’edifi‑cio adrianeo.

Un’ultima novità va tuttavia segnalata a proposito del nuovo edificio absidato. Due delle fondazioni alle quali abbiamo accennato (US 7540 e 7541) reimpiegano numerosi frammenti scultorei in marmo. Più rare nella prima10, le sculture si concentrano nella seconda (Fig. 7), dove sono associate ad altri materiali di riutilizzo. Il materiale scultoreo estratto dalla fondazione 7541, che sarà oggetto di uno studio dettagliato, ammonta a 16 pezzi, tra i quali vanno segnalati la testa di un’erma con volti contrapposti, databile nella prima età imperiale (Fig. 8), un ritratto di Settimio Severo (Fig. 9), un ritratto di fanciulla (Fig. 10), un rilievo con personaggio vestito di tunica, di grandi di‑mensioni, frammenti di almeno altri tre busti e parte di una statuetta femminile panneggiata (Fig. 11). Il recupero non è stato completo, in quanto avrebbe comportato la distruzione della struttura: restano quindi ancora in situ diversi frammenti. Il restauro è stato curato da Giovanna Bandini, responsabile del Settore Restauro I del Servizio Restauro della SSBAR ed eseguito da Barbara Di Odordo

Le fondazioni rinvenute nelle “Terme di Elagabalo” si aggiungono al lungo campionario di muri un tempo rite‑nuti “dei bassi secoli”. Studi recenti dimostrano che il reim‑piego di marmi architettonici e di statue fu molto comune già a partire dal tardo III secolo e che alla base di questa prassi non vi sarebbe stato alcun presupposto ideologico11.

10 Sono stati recuperati un braccio con ampi re‑sti di rubricatura e due frammenti di panneggio; altri

frammenti sono ancora in situ.11 coateS-StepHenS 2001, 2007.

Fig. 8 – Pendici nord‑orientali del Palati‑no, “Terme di Elagabalo”. Testa di doppia erma. Archivio Fotografico SSBAR (foto Luciano Mandato; negativo 592094).

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Fig. 11 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. Busti e statuetta femminile.

Fig. 9 – Pendici nord‑orien‑tali del Palatino, “Terme di Elagabalo”.Ritratto di Settimio Severo. Archivio Fotografico SSBAR (foto Luciano Mandato).

Fig. 10 – Pendici nord‑orientali del Pa‑latino, “Terme di Elagabalo”. Ritratto di fanciulla di età severiana. Archivio Foto‑grafico SSBAR (foto Luciano Mandato ; negativo 592093).

L’importanza del nostro ritrovamento deriva anche dalla possibilità di ipotizzare il contesto di provenienza di una parte, almeno, delle sculture: le numerose statue di età severiana potrebbe‑ro infatti rimandare ad una originaria presenza nell’edificio di questo periodo, magari nei suoi ambienti più importanti, quali, ad esempio, i due grandi vani alle estremità della fila di tabernae, affacciati sulla strada e coperti con volte a crociera.

l.S. - M.c.

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un aGGIornaMento Sulle faSI pIù antIcHe

Nel luglio del 2012 lo scavo delle stratigrafie protostoriche individuate nel vano 10 dell’Area IV (“Terme di Elagabalo”) è stato completato: i nuovi dati confermano nelle linee generali la cronologia e le interpretazioni proposte un paio d’anni fa in questa stessa sede, ma forniscono anche nuovi spunti di riflessione che motivano queste poche righe di aggiornamen‑to, dal carattere del tutto preliminare12.

12 quondaM 2011. A tale contributo si rimanda sia per un più ampio inquadramento delle indagini e delle problematiche a esse connesse, sia per l’ap‑parato grafico utile alla comprensione del presente testo: in particolare ibid. p. 627, fig. 2 per la sezione

stratigrafica del vano 10. Nel testo che segue, i nume‑ri tra parentesi sono quelli delle Unità Stratigrafiche identificate in corso di scavo; un asterisco segnala le UUSS non illustrate nella documentazione grafica riprodotta.

Fig. 12 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. In nero le strutture pertinenti al complesso severiano delle “Terme di Elagabalo”, con numerazione degli ambienti; in grigio gli affioramenti di stratigrafie pro‑tostoriche individuati. La freccia indica il bacino stratigrafico esplorato nelle campagne 2012 e 2013.

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Come abbiamo già illustrato, nell’angolo nord‑est del vano 10 il deposito protostorico raggiungeva una potenza massima superiore a 1 m e appariva articolato in due cicli stratigrafici antropici, intervallati da un deposito di sabbie colluviali.

I livelli al tetto di tale formazione naturale, che avevamo complessivamente denominato come “ciclo superiore”, hanno restituito evidenze concernenti due fasi di strutturazione della pendice palatina a fini abitativi, la più tarda delle quali – purtroppo assai intaccata da interventi di età storica – ascrivibile alla fase recente della prima età del ferro (III fase laziale), la più antica invece alla sua fase iniziale: a un orizzonte compreso tra le fasi IIA e IIB iniziale della sequenza laziale abbiamo, infatti, creduto di poter riferire i resti di una struttura abitativa distrutta da un incendio, sita alla base del deposito stratigrafico del ciclo superiore e non integralmente inda‑gata al momento dell’edizione preliminare del 2012.

Sul più esiguo ciclo stratigrafico inferiore eravamo invece in grado di fornire solo scarne osservazioni preliminari, basate esclusivamente sulla lettura delle sezioni: struttura e tessitura dei livelli ne denunciavano una chiara origine antropica, ma l’andamento fortemente inclinato del deposito, in netta pendenza da sud‑ovest verso nord‑est, suggeriva di ricondurne la for‑mazione ad attività di scarico, mancando evidenze di piani d’uso e di qualsiasi altro tipo di apprestamento funzionale o strutturale.

Veniamo ora a esaminare brevemente le principali evidenze restituite dalla campagna 2012 (Fig. 12): lo scavo ha interessato innanzitutto i livelli basali del ciclo stratigrafico superiore, già messi in luce nel corso della campagna precedente e interpretati come livellamenti funzionali all’allestimento del terrazzo su cui insisteva la capanna della II fase laziale; si tratta di una coppia di accumuli bruni a matrice argillosa ricchi di scaglie di tufo e inclusi piroclastici in dispersione continua, il primo dei quali (40097) esteso nella metà orientale del vano, il secondo (40104*) localizzato invece presso il tratto mediano della cunetta perimetrale della capanna (40096).

Scarsi, come di consueto, i frammenti ceramici; dall’US 40104* proviene però un fram‑mento di forma chiusa ornata a pettine con un motivo a meandro (Fig. 13, 1): schema decorati‑vo e tecnica sono peculiari della fase laziale IIA, di cui caratterizzano in particolare l’orizzonte iniziale13.

13 A Osteria dell’Osa, ornati a meandro realiz‑zati a pettine ricorrono su forme chiuse di diversa tipologia, deposte all’interno di corredi di sottofase IIA1: bIettI SeStIerI 1992, fig. 3a.34/3 (tomba 122, con motivo realizzato mediante pettine a quattro punte, come sul nostro frammento; concordemente datata al IIA iniziale da paccIarellI 2001, p. 60); fig. 3a.63/5 (tomba 151, riferita alla fase IIB1: si concorda inve‑ce con la datazione al IIA iniziale proposta da pac-cIarellI 2001, p. 60); fig. 3a.68/11 (tomba 135); fig. 3a.79/7 (tomba 103); fig. 3a.154 (tomba 313). L’ornato ricorre con una certa frequenza anche nei sepolcre‑ti dei Colli Albani, ad es. a Villa Cavalletti tomba IV (GIerow 1964, p. 49, fig. 18/5‑6) e a Marino, scavi An‑

tonielli (ibid., p. 238, fig. 136/4). Ancora alla sottofase IIA1 rimandano le attestazioni dei sepolcreti romani, sia del Foro Romano presso il Tempio di Antonino e Faustina (tomba R: GJerStad 1956, p. 34, fig. 22/1), sia del Foro di Augusto (tomba II: MaGaGnInI 2005, p. 13, fig. 4 e p. 15, fig. 7). È noto come la comparsa di ornati a pettine con sintassi complesse, tra cui i motivi a meandro, sia da collocare già nell’orizzonte evolu‑to del Bronzo finale 3: ne sono ad es. testimonianza i rinvenimenti di Guidonia, dove il motivo compare sull’urna miniaturizzata della tomba 5 della necropoli di Le Caprine (daMIanI et al. 1998, p. 214, fig. 5/15) e sui materiali d’abitato di Montecelio (MarI - Speran-dIo 1984, p. 42, fig. 8/3).

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Esaurito il ciclo stratigrafico superiore, lo scavo ha quindi raggiunto il deposito colluviale 40098: questo livello di sabbie fini giallo‑verdastre, con sporadici carboni e frammenti ceramici concentrati verso il letto, si è rivelato di entità assai più modesta rispetto a quanto supposto dall’osservazione in sezione; più che al corso d’acqua sito nella sella tra Palatino e Velia, la sua formazione va verosimilmente ricondotta all’attività di un occasionale torrente proveniente dalla sommità del Palatino: con il suo margine occidentale perfettamente orientato in senso nord‑sud, il deposito di sabbie 40098 attraversava infatti la parte centro‑orientale del vano, lambendo a ovest i depositi stratigrafici del ciclo inferiore14.

Di spessore assai modesto (non superiore ai 30 cm), quest’ultimo si è rivelato composto di una serie di sottili livelli bruni a matrice argillosa e struttura massiva, ricchi di clasti di tufo di medie e grandi dimensioni (40102, 40101=40103, 40209*), intervallati da sottili depositi di limo giallo (40100, 40207*=40210*) e marginati al tetto della sequenza da un centimetrico accumulo argilloso ricco di carboni, resti di fauna e clasti limosi (40099); i letti di deposizione si presen‑tavano fortemente inclinati da sud‑ovest verso nord‑est in maniera analoga al tetto del sotto‑

14 Il limite occidentale dell’US 40098 correva lungo l’asse che unisce il picchetto B3 al picchetto A1: la quadrettatura impostata per lo scavo è riprodotta

sulle piante composite edite in quondaM 2012, p. 629, fig. 3 e p. 635, fig. 7.

Fig. 13 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elagabalo”. Ceramiche dallo scavo del vano 10 (scala 1:2).

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stante substrato geologico, che, affiorante intorno a m 26,60 s.l.m. nella sua parte più rilevata (presso il taglio del cunicolo 4315)15, precipita sino a m 25,83 s.l.m. circa 3 m più a nord‑est, determinando un ampio e irregolare avvallamento colmato dalla stratigrafia.

In tutti i livelli del ciclo inferiore i frammenti ceramici non sono infrequenti, ma rara‑mente diagnostici16; spiccano però alcuni individui, provenienti dagli strati basali e rinvenuti a diretto contatto con il substrato geologico: dall’US 40209*, che copriva il banco nel quadrato Z0, provengono due frammenti di una grande tazza, o più probabilmente di un orciolo, a basso collo distinto appena troncoconico e orlo svasato (Fig. 13, 2), di una foggia che diviene comune nel corso della fase laziale IIA avanzata17; un frammento di tazza a collo distinto troncoconico appena rigonfio e orlo sviluppato, con spigolo interno accentuato, proviene invece dall’US 40102, al margine opposto del vano (quadrato B2), dove è stato rinvenuto in associazione con un frammento di forma chiusa ornata a pettine, probabilmente con un moti‑vo a “N” ramificata; l’orizzonte cronologico di riferimento è per entrambi la fase laziale IIA (Fig. 13, 3‑4)18.

15 quondaM 2011, p. 629, fig. 3: la quota si ri‑ferisce al tratto di substrato immediatamente ad est della fondazione adrianea 7231, presso il bordo del cunicolo.

16 Nel complesso sono stati raccolti circa 50 frammenti di dimensioni medie e piccole, in genere in buono stato di conservazione e con fratture nette.

17 Ad es., bIettI SeStIerI 1992, fig. 3a.80/2 (tomba 146, ivi datata alla fase IIA iniziale, ma da riferire a mio avviso al più evoluto orizzonte IIA2); fig. 3a.14/2 (tomba 101); fig. 3a.128/1 (tomba 169); fig. 3a.164/1 (tomba 309, con collo più sviluppato). Orcioli con ampia imboccatura e basso collo troncoconico, ri‑

feribili alla sottofase IIA2, sono documentati anche tra i materiali funerari sporadici dal Quirinale: ad es., Müller-karpe 1962, taf. 33/8.

18 Tazze simili compaiono già in corredi di fase IIA iniziale di Osteria dell’Osa (bIettI SeStIerI 1992, fig. 3a.133/1‑2: tomba 165), per diffondersi poi nel cor‑so della successiva sottofase IIA2: ibid., fig. 3a.134/2 e fig. 3a.182/3 (tombe 189 e 420, concordemente datate al IIA evoluto da paccIarellI 2001, p. 60); fig. 3a.56/3 (tomba 160); fig. 3a.127/6 (tomba 170). Gli esemplari dell’orizzonte iniziale del IIB sono simili, ma presen‑tano spesso orlo più breve: ad es., bIettI SeStIerI 1992, fig. 3a.66/2‑3 (tomba 134).

Fig. 14 – Pendici nord‑orientali del Palatino, “Terme di Elaga‑balo”, vano 15. Ripresa da sud del sistema di terrazzi della III fase laziale: sulla sinistra il nu‑cleo, rasato in superficie, del terrazzo occidentale (40176); sulla destra, uno dei potenti scarichi ricchi di frammenti ce‑ramici (40219) che obliterano il sistema.

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Tali indicazioni di cronologia, per quanto esigue, sono preziose ai fini della lettura della sequenza: se il frammento con ornato a pettine dal ciclo superiore conferma la cronologia già proposta per la capanna, ancorandone la costruzione alla fase laziale IIA, i pochi frammenti diagnostici dal ciclo inferiore, anch’essi riferibili all’orizzonte iniziale della prima età del ferro, suggeriscono che il décalage tra i due depositi stratigrafici sia assai ridotto.

Si potrebbe ricollegare gli accumuli del ciclo inferiore ad attività di scarico connesse a strutture site nelle vicinanze, magari sul versante più interno della dorsale collinare, in una fase immediatamente anteriore alla strutturazione a fini abitativi dell’estrema pendice palatina; oppure, piuttosto, considerare anch’essi come parte della medesima attività di terrazzamento testimoniata dai livelli basali del ciclo superiore, da cui sono separati solo da un episodio allu‑vionale di lieve entità.

In entrambi i casi, i dati scaturiti dalla campagna 2012 ancorano saldamente la cronologia dei primi depositi antropici in questo tratto della pendice palatina alla fase laziale IIA, venendo quindi a costituire un caposaldo di non poca rilevanza.

Tra il 2012 e il 2013 si è inoltre avviata l’esplorazione di alcuni dei piccoli affioramenti protostorici individuati in altri punti dell’Area IV, su cui possiamo fornire alcuni ragguagli preliminari. In corrispondenza del tratto mediano settentrionale del cortile delle “Terme di Elagabalo” (vano 15), immediatamente a sud del vano 10, lo scavo ha restituito testimonian‑ze della medesima sistemazione della III fase laziale indagata poco più a nord.

Abbiamo già illustrato come nel corso di tale orizzonte la strutturazione della pendice palatina fosse stata riformulata mediante la definizione di nuovi terrazzi, non coincidenti con quelli della fase precedente: uno di questi apprestamenti, indagato nel 2010, conservava un trat‑to del margine settentrionale, presso il quale si raccordava con un analogo terrazzo sito a quota appena più bassa19; ora, un potente riporto di limo giallastro (40176*), individuato nel vano 15, ne definiva invece il margine occidentale, costituendo altresì il nucleo di un ulteriore terrazzo sito più a ovest e a una quota più elevata, intorno a m 27,50 s.l.m.20.

Tra la fine della prima età del ferro e l’inizio dell’età orientalizzante antica, il dislivello tra i due terrazzi sarà colmato da una serie di scarichi bruni a matrice argillosa, ricchissimi di carboni, lenti millimetriche di cenere, resti di fauna e frammenti ceramici, che sanciscono la definitiva obliterazione del sistema (Fig. 14).

Le speranze di intercettare, alla base di questa sequenza di interri, stratigrafie in fase o anteriori al terrazzo in discorso sono state deluse quando al letto dei livelli di obliterazione è apparso il substrato, affiorante intorno a m 26,90 s.l.m.21.

19 quondaM 2011, p. 635, fig. 7, US 4949.20 Conservato per un’ampiezza massima di 1,6 m

in senso est‑ovest per 1 m in senso nord‑sud, quest’ap‑prestamento è apparso costituito da un riporto omo‑geneo di substrato limoso, con sporadici frammenti ceramici e clasti tufacei di piccole e medie dimensioni; interventi di rasatura di età storica ne hanno asportato la superficie originaria, insieme ai depositi stratigrafici che su di essa dovevano insistere: ne consegue che il

dislivello minimo tra questo terrazzo “occidentale” e l’analogo apprestamento individuato nel vano 10 va calcolato in 0,5 m ca.

21 Analoghe, ma meno ricche di frammenti ce‑ramici, le obliterazioni del terrazzo di III fase laziale scavate più a nord e segnalate in quondaM 2011, pp. 634‑635 (US 4934); per quando riguarda il substrato, si tratta della medesima formazione già descritta ibid., pp. 625‑626, nota 20.

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20.1, 2014 Le “Terme di Elagabalo”. I risultati delle ultime indagini 229

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I pesanti interventi della III fase laziale devono quindi aver integralmente asportato in questo punto i depositi più antichi22.

F. Q.

22 È verosimile che in seguito a tale nuova siste‑mazione il substrato geologico sia rimasto esposto lun‑go il tratto perimetrale del terrazzo in discorso a sud, dov’è conservato per la limitata ampiezza di 1 m in sen‑so nord‑sud per 0,8 m in senso est‑ovest; più a nord si realizzò invece un nuovo interro, corrispondente a US 4949: il raccordo tra le due sistemazioni è stato aspor‑

tato dal cunicolo 4315. D’altronde, in tutti i sistemi terrazzati di pendice la definizione di nuove superfici piane di vita avviene a scapito dei depositi stratigrafici più antichi; nel nostro caso, una lettura organica è com‑plicata dalla limitata consistenza e dalla distanza che intercorre tra i diversi bacini stratigrafici protostorici, non facilmente correlabili gli uni agli altri.

Lucia SaguìDipartimento di Scienze dell’Antichità

Sapienza Università di [email protected]

Matilde CanteDipartimento di Scienze dell’Antichità

Sapienza Università di [email protected]

Francesco QuondamDipartimento di Scienze dell’Antichità

Sapienza Università di [email protected]

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abStract

The recent conclusion (2013) of archaeological investigations in the complex known as the Baths of Helaga‑balus offers both the opportunity to briefly retrace the history of the site, and to show the most relevant news about the main buildings that followed in the area. Therefore we present the three blocks of Julio‑Claudian age destroyed by Neronian fire in 64 AD, of which at least the Eastern one was occupied by a domus with a series of tabernae aligned along the front of the valley‑Forum road. The imperial age is represented by the Hadrianic and the Severan buildings, both characterized predominantly from working areas and tabernae. The fourth phase is marked by a late antique building (4th‑5th century), with great cenatio and stibadium in masonry and the courtyard portico embellished by ponds and fountains, revealing a total change of use of the area. A hint is reserved for a building dating from the late Antiquity or the early Middle Ages, whose remains (part of an apse and walls with foundations re‑using marble sculptural material) have emerged in the last days of the excavation and which will therefore require a more in‑depth study. As far as the earliest phases of occupation are concerned, new pottery sherds belonging to the beginning of the Early Iron Age (latial phase IIA) have been unearthed during the latest excavations in the “vano 10” of the Severan complex: they confirm the dating of Palatine’s north‑eastern slope’s first systematic occupation to the ancient phase of the Early Iron Age, as already proposed on the basis of the results of 2011 campaign. New evidence concerning the spatial organization of the hill’s slope in the subsequent phases of the early Iron Age also came to light in the adjacent “vano 15”, where layers belonging to the end of the Early Iron Age (latial phase IIIB) have been dug.

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per informazioni e [email protected]

ISSN 1123‑5713

ISBN 978‑88‑7140‑582‑7

Finito di stampare nel mese di novembre 2014presso Global Print – Gorgonzola (MI)

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