Le spie dell’agnizione in A Tragédia da Rua das Flores e Os Maias

25
1 Le spie dell’agnizione in due romanzi queirosiani di Enrico Martines

Transcript of Le spie dell’agnizione in A Tragédia da Rua das Flores e Os Maias

1

Le spie dell’agnizione in due romanzi

queirosiani di

Enrico Martines

2

Le spie dell’agnizione in due romanzi queirosiani: A Tragédia da Rua das Flores e Os Maias

La pubblicazione, a partire dal 1980, del protoromanzo A Tragédia da Rua das Flores ha

permesso di avere accesso – anche se in edizioni che hanno suscitato polemiche e perplessità per

quanto riguarda la loro correttezza filologica – ad un testo che, pur nella sua evidente

incompiutezza, consente di operare alcune interessanti riflessioni riguardo ai processi creativi messi

in atto dallo scrittore portoghese, con particolare risalto alla ripresa in opere successive di elementi

narrativi già utilizzati in versioni ripudiate o semplicemente accantonate.

Sono note le circostanze che portarono Eça de Queirós alla elaborazione ed al successivo

abbandono del testo via via designato dal suo autore come O Desastre da Travessa do Caldas, Os

Amores de um lindo Moço, O Caso atroz de Genoveva, semplicemente Genoveva, o addirittura O

Brasileiro, negli anni di febbrile attività creativa in cui stava elaborando il progetto delle Cenas da

Vida Portuguesa, secondo il modello balzachiano della Comédie Humaine; sono anni in cui Eça

concepisce contemporaneamente diverse opere, alcune delle quali inevitabilmente rimangono allo

stato embrionario a vantaggio di altre che ne vengono a prendere il posto nelle preoccupazioni e

nell’attività quotidiana dello scrittore. Il romanzo cui Eça si riservava di attribuire un titolo

definitivo era stato presentato come praticamente pronto all’editore Chardron, in una cosciente

sopravvalutazione del suo stato di avanzamento compositivo, ed era destinato a trattare, nell’analisi

dei vari aspetti della società portoghese del suo tempo, una di quelle che l’autore definisce come

“passioni eccezionali” – l’incesto – tema cui Eça attribuisce una grande capacità di impatto sul

pubblico e, dunque, di successo editoriale. Tuttavia, diverse circostanze porteranno l’autore ad

interrompere l’elaborazione dell’opera a beneficio di altre, principalmente A Capital, a sua volta

incompiuta a causa della priorità successivamente accordata alla redazione de Os Maias. La

Tragédia da Rua das Flores – o come Eça avrebbe deciso di intitolarla – rimase dunque un

documento di lavoro, un abbozzo di romanzo lasciato allo stato grezzo perché l’autore non gli

dedicò il lavoro di attenta e scrupolosa revisione – spesso di riscrittura – cui normalmente

sottoponeva i testi da pubblicare; inoltre, Eça riutilizzò nomi, personaggi e situazioni impiegate nel

romanzo abbandonato, proprio nelle due opere appena citate – A Capital e Os Maias – libro

quest’ultimo che della Tragédia ereditò soprattutto il motivo dell’incesto; da ciò deriva anche

l’impossibilità di un successivo recupero della storia ambientata nella Rua das Flores.

Se è vero che A Tragédia da Rua das Flores presenta numerose imperfezioni, proprie di

un’opera in gestazione, essa comunque ci mostra una storia ben costruita, un intreccio sviluppato,

3

incentrato sulla relazione amorosa tra Genoveva e Vítor che culminerà tragicamente nella scoperta

del rapporto di parentela madre-figlio da parte della donna e dello zio del protagonista, e nel

disperato salto nel vuoto che porrà fine a quell’amore maledetto. Os Maias – romanzo pubblicato

dieci anni dopo la data presunta di elaborazione del manoscritto abbandonato – presenta a sua volta

un’illecita relazione carnale tra consanguinei, questa volta tra fratello e sorella, pur elaborandola –

com’è stato giustamente notato – all’interno di un romanzo completamente nuovo e differente. Lo

schema diegetico prevede comunque, in entrambi i casi, una agnizione finale che determina, o

quantomeno accelera lo scioglimento dell’intrico narrativo.

Si tratta di un topos vecchio quanto la letteratura, rintracciabile dalla tragedia greca al

romanzo popolare. Nei casi più riusciti, laddove questo espediente narrativo non viene utilizzato in

modo degradato e ridondante, il riconoscimento finale, culmine dell’intreccio, è spesso preceduto

da un’attenta preparazione: anche quando lo stesso lettore è mantenuto all’oscuro della vera identità

dei personaggi coinvolti, l’agnizione può essere annunciata da una serie di informazioni, di

insinuazioni o di sospetti tali da rendere la rivelazione convincente o per lo meno plausibile;

naturalmente, l’abilità dello scrittore farà in modo che la dose e la natura di queste informazioni non

svelino in anticipo la sorpresa, né tantomeno la rendano troppo scontata diluendola con un numero

eccessivo di segnali allusivi. Lo scrittore stabilisce un rapporto dialogico con il suo lettore, una

sorta di sfida: questi, costantemente chiamato ad una cosciente attività interpretativa che integri

quanto il testo non dice espressamente, è sottilmente indirizzato verso la conclusione prevista

dall’autore, è stimolato da una serie di indizi collocati secondo una precisa strategia testuale che

prevede in anticipo le mosse altrui; il lettore è invitato a partecipare alle vicende che coinvolgono i

protagonisti, a godere dell’effetto peripéteia previsto dall’autore ma anche sottilmente sfidato ad

anticipare la sorpresa, a saper leggere i segnali che la preparano.

Eça de Queirós dimostra in entrambi i testi di conoscere perfettamente questo meccanismo

narrativo; il riconoscimento che rivela la natura incestuosa delle due relazioni amorose e scatena nei

due romanzi la rispettiva tragedia – l’una ben diversa dall’altra – è sempre preceduto, preparato e

reso verosimile da alcuni indizi introdotti nell’intreccio in modo così discreto da poter essere

pienamente riconosciuti solo alla luce della rivelazione finale. Studi dedicati all’una o all’altra opera

hanno già sottolineato questo aspetto e messo in luce alcune delle spie disseminate dall’autore

all’interno dei due romanzi: per quanto riguarda A Tragédia da Rua das Flores, mi riferisco al testo

che precede l’edizione di João Medina1 e, soprattutto, alla nota introduttiva all’edizione di Aníbal

Pinto de Castro2; per ciò che concerne Os Maias, è da più parti citato lo studio di Machado da

1 Introduzione senza titolo esplicito a Eça de Queiroz, A Tragédia da Rua das Flores, Lisboa, Moraes Editores, 1980,

pp. 9-41. 2 «Nota de Apresentação» in Eça de Queiroz, A Tragédia da Rua das Flores, Porto, Lello & Irmão, 1982, pp. VII-

4

Rosa3, che sottolinea i diversi presagi distribuiti da Eça per annunciare e configurare la dimensione

tragica del romanzo. Effettivamente, non sempre i presagi del destino funesto che attende i Maia

coincidono con le spie dell’agnizione, ossia con i segnali che alludono propriamente alla relazione

di parentela tra Carlos e Maria Eduarda: si tratta più che altro di riferimenti più o meno espliciti alla

forza del destino o di allusioni premonitorie di una tragedia incombente che non vengono colte dai

protagonisti.

Ciò di cui mi voglio specificamente occupare in questa sede è verificare il modo in cui, nei

due romanzi, Eça de Queirós istituisce il dialogo con il lettore cui mi riferivo in precedenza, ossia

confrontare, nel dettaglio, il sistema di indizi che preparano il riconoscimento della relazione di

parentela tra le due coppie di protagonisti, tenendo conto del diverso livello di rifinitura cui

giungono le due opere, delle diverse caratteristiche dei due intrecci e del diverso peso specifico che

all’interno dei due romanzi è assegnato alla tragedia determinata dall’incesto.

In primo luogo, affinché sia possibile l’agnizione c’è bisogno che entrambe le parti ignorino

una serie di informazioni: la stessa esistenza in vita dell’altro, i suoi connotati, il suo nome, ad

esempio. Quando l’autore insiste sull’inconsapevolezza, da parte dei protagonisti, di questi

elementi, egli implicitamente avvisa il lettore che proprio questa ignoranza reciproca può rendere

possibile un inconsapevole incontro, premessa della rivelazione finale, della trasformazione

dell’ignoranza iniziale in conoscenza. Ciò è tanto più vero quando il lettore possiede un’adeguata

competenza intertestuale, ossia un’esperienza di situazioni narrative analoghe che gli hanno

permesso di crearsi una sceneggiatura legata all’agnizione.

Nella Tragédia da Rua das Flores, l’autore rende ben presto noto che la madre del

protagonista maschile, Vítor, non ha lasciato nessun ritratto: è lo zio Timóteo ad affermarlo mentre

descrive al nipote la bellezza della donna per la quale lui stesso aveva nutrito una passione

giovanile.

- Tive essa fraqueza, quando estive apaixonado. [...] Quando digo apaixonado, quer dizer

embeiçado. Paixão, não. Dois meses depois estava curado. Mas enfim foi o meu único

romance: nunca mais os tornei a fazer, nem a ler.

- Mas por quem foi, tio Timóteo? [...]

- Foi por tua mãe. [...] Tua mãe tinha então catorze anos. Mas era alta, forte, com um

cabelo até aos pés: parecia ter vinte [e] dois. Era formosa, c’os diabos. Tu não podes saber,

não deixou retrato. Mas… uma beleza! Era nossa vizinha! [...] Não havia desfeita que me

não fizesse! Janela na cara, costas voltadas, sombrinha carregada para o rosto, uma fera.

Que ela teve sempre um génio desabrido: e muito afoita, cavaleira, o diabo4! [...] E depois

teu pai veio de Coimbra, viu-a como eu à janela, a tratar dos melros, cantou-lhe, como eu, a

XLIV. 3 «Nova Interpretação de Os Maias» in Alberto Machado da Rosa, Eça, discípulo de Machado?, Rio de Janeiro, Fundo

de Cultura, 1963, pp. 209-248. 4 Si accosti quest’ultima affermazione a quanto il narratore aveva rilevato all’inizio (p. 56) circa le mani di Genoveva:

[...] tinha as mãos finas, brancas, mas fortes, como desenvolvidas pelo hábito das rédeas…

5

cantiga; não sei se lhe deu a serenada, mas o balde não apanhou: apanhou a bênção do

padre e lá casaram – e tu fizeste a tua entrada neste vale de lágrimas. [...]5

Si insinua così nella mente del lettore il dato che Vítor non conosce l’aspetto esteriore della

madre e dunque che non sarebbe in grado di riconoscerla. Questo elemento è riaffermato molto più

avanti nel romanzo, quando Vítor riflette sulla irregolarità della propria vita sentimentale – possibile

retaggio familiare – e lamenta l’assenza di una figura materna di cui non può neanche ricordare il

volto; la domanda formulata dal ragazzo nei suoi pensieri – «Porque não deixara um retrato?» (p.

315) – sembra quasi voler far riflettere il lettore sul motivo della mancanza di un’immagine della

donna.

Ancora più rilevante è il fatto che Vítor sappia che la madre è morta, dunque, non nutra la

benché minima aspettativa di poter tornare ad incontrarla: nella sua rapida rievocazione delle

vicende di famiglia, lo zio Timóteo racconta al nipote che sua madre era morta in Spagna, sui

Pirenei, un anno dopo la sua nascita, in un brano che si chiude con un significativo accenno ad un

paio di cose che Vítor ancora ignora, della storia dei suoi genitori (p. 69):

- E daí a um ano morreu a mamã? [...]

- Sim , daí a um ano, nasceste, ela ficou adoentada… Foi com teu pai para os Pirenéus, foi

com teu pai, e… E lá ficou. Lá ficou. [...]

- Quantas coisas eu [Vítor] ignoro nas crónicas da família.

[...] enquanto Timóteo, estendido na poltrona, murmurava:

- Ignoras um par de coisas, ignoras!

La competenza del lettore supera, però, quella del protagonista maschile quando, subito

dopo, immerso nel flusso di ricordi di Timóteo di fronte al ritratto del fratello Pedro, viene a sapere

che la madre di Vítor non è morta, anche se, per tutti, per volontà del padre, si trova sepolta in un

cimitero spagnolo (p. 72):

- A Joaquina morreu? exclamou ele. – Fugiu – disse Pedro, sem uma alteração na voz [...]

E contou a sua história: depois de casado viera para Lisboa [...] Viveram na Rua do

Crucifixo, e defronte morava um rapazola espanhol, emigrado. Uma manhã, dois meses

depois do nascimento do pequeno, antes mesmo do seu baptizado, Pedro partira para a

caça, à outra banda, só – e quando voltou, encontrou um bilhete, na letra garrafal da

Joaquina. «Adeus, esquece-me, porque o meu destino leva-me para longe.»

Tuttavia, questa versione artefatta diventa realtà agli occhi di Timóteo quando, dopo la

morte del fratello, egli riceve una lettera dalla Spagna che informa del decesso della donna e della

sua tumulazione nel cimitero di Oviedo (pp. 74-75):

Foi por essa ocasião – quando se vendiam os móveis da tia Doroteia, que lhe veio às mãos

uma carta de Espanha, dirigida ao Ilm.° Sr. Pedro da Ega, ao bom cuidado de D. Doroteia

de Ataíde, na Rua da[s] Oliveiras, 50 ou 60. Abriu-a, - e encontrou duas linhas num papel

azul: «sua mulher morreu, enterrou-se esta manhã no cemitério de Oviedo». Bem, fez ele.

Está feita a barrela. Ponto final e vida nova. E embarcou no Trafalgar, para a Índia.

5 Vedi A Tragédia da Rua das Flores, Lisboa, Moraes Editores, 1980, pp. 66-69. Tutte le citazioni relative a questo

romanzo sono tratte dalla stessa edizione.

6

Il lettore vede chiudersi in questo momento qualsiasi possibilità di ritorno in scena della

donna nota, da ragazza, come Joaquina dos Melros. Ma ben presto, Eça provvede a riaprire uno

spiraglio a questa eventualità, giacché insinua un dubbio sulla reale morte della donna: infatti,

quando un sedicente Mr. Fornier cerca lo zio del ragazzo per avere informazioni su Pedro da Ega,

Timóteo sospetta che l’emissario francese sia mandato dalla stessa cognata, ritenendo

evidentemente possibile che questa sia ancora viva (pp. 75-77):

Foi por esse tempo – estando Vítor em Coimbra – que Timóteo leu por acaso, na

Revolução de Setembro, este anúncio singular: «Pessoa que saiba ou possa informar sobre

Pedro da Ega, se roga, com um grande favor, queira deixar no Hotel da Europa o seu

nome, morada e hora a que pode ser procurada. Perguntar por M. A. Fornier.» [...]

- Eu sou Timóteo Corvelo.

O sujeito roliço sorriu, e esfregando as mãos devagar:

- Perfètamente bem. Pode o cavalheiro informar sobre… [...] …sobre Pedro da Ega, da

Guarda, casado, viúvo.

Timóteo cravava nele olhos faiscantes.

- Mas quem manda? Para quê?

O sujeito roliço curvou-se, e com a mão sobre o peito:

- Não estou autorrizado… [...]

- Oiça lá, senhor francês, rompeu Timóteo, o sr. Pedro da Ega morreu, em Luanda. [...]

- Perfètamente bem, perfètamente bem. Então o cavalheiro pode dar informações sobre

uma pequena criança…

Timóteo, que o fitava, de braços cruzados, exclamou:

- A pequena criança também morreu, toda essa família rebentou. [...] Mas enfim, se eu

respondi, - disse-lhe Timóteo - creio que me deve dizer donde vem, quem o manda, que

quer saber!… [...] É que pensei que a pessoa curiosa é a Joaquina dos Melros6.

Eppure, non fa nulla per ottenere più informazioni dal signor Fornier: l’autore, per ora, non

ha interesse che si vada troppo a fondo in questa faccenda. Inoltre, supponendo che la madre di

Vítor sia viva e che sia stata lei a inviare M.er Fornier, questi le riferirà che suo marito e suo figlio

sono morti, impedendo che la donna continui a cercarli o che si aspetti di ritrovare suo figlio nei

panni di chicchessia: è un altro elemento che concorre a creare la possibilità che madre e figlio

entrino in contatto senza rendersene conto; è un altro segnale che si accumula nella memoria del

lettore per essere possibilmente recuperato quando il dubbio si farà più consistente.

Un altro espediente che l’autore utilizza per creare i presupposti dell’agnizione è legato ai

nomi dei protagonisti; non a caso, nel descrivere la fuga di Joaquina da Pedro, sottolinea – come

abbiamo visto – che questa è avvenuta due mesi dopo la nascita del bambino e prima del suo

battesimo: il particolare è funzionale al fatto che la donna ignori il nome di suo figlio e non

disponga di questa informazione per poterlo successivamente riconoscere nella persona di Vítor.

Con questo proposito, Pedro aveva scelto il nome del figlio in opposizione alla volontà originaria

6 È plausibile che M.er Fornier non conosca la madre di Vítor come Joaquina dos Melros (soprannome datole a Guarda)

– ammesso che sia stata lei a mandarlo – e che anche per questo la sua reazione fu: «O sujeito nutrido dilatou olhares

pasmados».

7

della madre, che intendeva chiamarlo Caetano7. Non solo: la preoccupazione di evitare futuri

riconoscimenti porta il padre del bambino a decidere di far usare al figlio – e a suo fratello Timóteo

– il secondo cognome della famiglia Ega, ossia Corvelo, proprio perché ignoto a Joaquina (pp. 73-

74):

- Ouve lá, tinha dito de repente Pedro – eu não quero que o rapaz saiba o que a mãe fez…

Para me envergonhar basto eu. Para ele, todo o mundo, a criatura está num cemitério de

Barèjes. Bem. A tia Doroteia, a santa, não é que lho diz. A ama morreu. A outra criada, a

parva, está no Algarve, no inferno, perdida; dá-me tu a tua palavra de honra que não lho

dizes. Timóteo deu a palavra de honra. – Agora outra coisa, disse Pedro, eu não quero que

ele e a mãe usem o mesmo nome. Ela é Joaquina da Ega: há-de conservar o nome: é fácil

de pronunciar no estrangeiro, é o seu, é fidalgo. Para mim, para o meu filho, não há o nome

de Ega. Ega é porco. Eu baptizei-o com o outro nome da nossa família, desusado, que a

Joaquina nunca soube – Corvelo. Vítor Corvelo, filho de Pedro Corvelo. – Parou, pôs a

mão no ombro de Timóteo, e disse com a voz baixa, que instava: - Chama-te tu também

Timóteo Corvelo.

Timóteo tossiu duas vezes. – Ega é o nome do nosso pai! rosnou. – Eu pouco vivo,

Timóteo, disse Pedro, faze-me isso! – Timóteo atirou a um coqueiro uma bengalada, que

fez ramalhar o arbusto: - Raios partam a Joaquina dos Melros, exclamou. Está dito. Serei

Timóteo Corvelo. – Obrigado, irmão, disse Pedro, [...]

Sono così poste dall’autore le premesse affinché i due futuri amanti, Genoveva e Vítor, non

si possano riconoscere – né per la fisionomia, né per il nome – come madre e figlio. Allo stesso

tempo al lettore è fornita la nozione della possibilità di un inconsapevole contatto tra i due

personaggi, proprio dopo che, nella scena iniziale, ha fatto il suo ingresso in società una bellissima e

misteriosa donna. La “strana” coincidenza tra la comparsa di Genoveva e i racconti che informano il

lettore della sfortunata storia dei genitori di Vítor è suggerita dall’autore alla fine del flusso di

ricordi dello zio Timóteo: «Foi a última vez que Timóteo ouviu falar de Pedro da Ega: | Porque lhe

voltavam hoje aquelas recordações?» (p. 77).

Nel capolavoro pubblicato nel 1888, Eça riprende il particolare dell’assenza di qualsiasi

immagine della madre del protagonista, Carlos da Maia, anche lei fuggita dal marito per vivere con

un altro uomo8; ma ne Os Maias non sarà lei la protagonista dell’agnizione finale, dunque,

l’espediente ha un’incidenza minore rispetto a quanto riscontrato nella Tragédia: servirà appena a

far sì che Carlos non possa notare nessuna somiglianza tra Maria Eduarda e sua madre. È

evidentemente la bambina che Maria Monforte aveva portato con sé ad essere oggetto di questo tipo

di attenzioni da parte dell’autore: e difatti, viene subito precisato che il nonno Afonso ne ignora i

7 «[...] baptizei-o; a mãe falara em lhe chamar Caetano, pus-lhe o nome de Vítor. Era o nome do nosso pai» (p. 82). 8 «De sua mãe não ficara nem um daguerreótipo, nem sequer um contorno a lápis. O avô tinha-lhe dito que era loura.

Não sabia mais nada. Não os conhecera; não lhes dormira nos braços; nunca recebera o calor da sua ternura. Pai, mãe,

eram para ele como símbolos de um culto convencional. O papá, a mamã, os seres amados, estavam ali todos – no avô»

(p. 185). «- Não queria que o filho jamais soubesse da fuga da mãe; e por mim, decerto, nunca o saberá. Quis que dois

retratos que havia dela em Arroios fossem destruídos; como você sabe, obtiveram-se e destruíram-se» (p. 105). Tutte le

citazioni relative a questo romanzo sono tratte da Eça de Queirós, Os Maias, Colecção Livros de Bolso

Europa-América, 5ª edição, Mem Martins, Publicações Europa-América, 1998.

8

connotati oltre a conoscerne a malapena il nome, dettaglio su cui torneremo9; allo stesso modo,

l’amministratore Vilaça ci fa sapere che, nello scandalo causato dalla fuga della donna infedele, il

particolare della bambina è «um detalhe que passou despercebido»: nella società di Lisbona dove si

svolge tutta l’azione del romanzo, il ricordo di una sorella di Carlos da Maia è praticamente

inesistente, dunque, l’agnizione pubblica è impossibile. Da parte sua, Maria Eduarda non ha mai

conosciuto suo padre e quindi non è in grado di riconoscerlo nel ritratto di Pedro da Maia che

osserva durante la sua visita al Ramalhete (p. 409):

Depois reparou no retrato de Pedro da Maia: e interessou-se, ficou a contemplar aquela

face descorada, que o tempo fizera lívida, e onde pareciam mais tristes os grandes olhos de

árabe, negros e lânguidos.

- Quem é? – perguntou.

- É meu pai.

Ela examinou-o mais de perto, erguendo uma vela. Não achava que Carlos se parecesse

com ele.

Un altro importante presupposto è la fallace informazione riguardante la morte della sorella

di Carlos. L’ipotesi è valutata come plausibile nel dialogo tra Afonso e Vilaça padre10 e poi

confermata, dopo successive ricerche, grazie al racconto del poeta Alencar che aveva osservato a

Parigi, a casa di Maria Monforte, il dipinto di una bambina morta (p. 106):

Passadas duas semanas, Afonso recebia uma carta do administrador, trazendo-lhe, com a

adresse da Monforte, uma revelação imprevista. Tinha voltado a casa do Alencar; e o

poeta, recordando outros incidentes da sua visita a Madame de l’Estorade, contara-lhe que

no boudoir dela havia um adorável retrato de criança, de olhos negros, cabelo de azeviche

e uma palidez de nácar. Esta pintura ferira-o, não só por ser de um grande pintor inglês,

mas por ter, pendente sob o caixilho, como um voto funerário, uma linda coroa de flores de

cera brancas e roxas. Não havia outro quadro no boudoir: e ele perguntara à Monforte se

era um retrato ou uma fantasia. Ela respondera que era o retrato da filha que morrera em

Londres. “Estão assim dissipadas todas as dúvidas”, acrescentava o Vilaça. “O pobre

anjinho está numa pátria melhor. E para ela, bem melhor!”

Il lettore che si limitasse a questo dato si troverebbe nelle condizioni di poter cancellare ogni

possibilità di rientro in scena di questo personaggio; ma nella descrizione del ritratto si annida un

avvertimento al lettore, un indizio che può portare il più attento fruitore del testo a sospettare di

questa verità, anzi, a poterla ritenere inesatta: la bambina effigiata presenta infatti «olhos negros,

cabelo de azeviche e uma palidez de nácar» – ossia, occhi neri, capelli corvini e pallidezza

madreperlacea – mentre la figlia di Pedro e Maria «Era uma linda bebé, muito gorda, loura e

cor-de-rosa, com os belos olhos negros dos Maias» (vedi p. 66); dunque, la bambina del ritratto

presenta dei tratti opposti – tranne che per il colore degli occhi – a quelli della figlia di Pedro: non

9 «Depois, pouco a pouco, Afonso da Maia [...] foi esquecendo a Monforte e a sua outra neta, tão distante, tão vaga, a

quem ignorava as feições, de quem mal sabia o nome» (p. 102). 10 «- E a pequena? – perguntou Afonso. | - Isso não sei. [...]Mas enquanto a mim, a pequena morreu. Senão, siga Vossa

Excelência o meu raciocínio… Se a menina fosse viva, a mãe podia reclamar a legítima que cabe à criança… Ela sabe a

casa que Vossa Excelência tem: há-de haver dias, e são frequentes na vida dessas mulheres, em que lhe falte uma

libra… Com o pretexto da educação da menina, ou de alimentos, já nos tinha importunado… Escrúpulos não tem ela.

9

può accorgersene Afonso che, ignorava i connotati della nipote; ma il lettore più attento sarebbe a

questo punto in grado di verificare la discrepanza e sospettare che la bambina ritratta – morta, come

si specifica a seguire – non sia la figlia di Pedro, ma possibilmente un’altra figlia della Monforte;

d’altronde, anche l’analisi della risposta della donna suggerisce che il complemento di

specificazione usato dalla donna – «da filha que lhe morrera em Londres» – vuole significare che si

tratta “di quella figlia, non di un’altra”. È un sottile segnale, quasi una sfida lanciata da Eça de

Queirós al suo pubblico.

Per quanto riguarda invece i protagonisti del romanzo, la ricerca della sorella di Carlos non

ha più ragione di continuare11. Lo stesso Carlos è messo al corrente – prima tramite la “storia

decente” raccontatagli dal nonno, poi dai vaneggiamenti dell’amico Ega ubriaco – che la madre e la

sorella sono morte e dunque non si aspetta di poterle incontrare di nuovo.

Il dialogo di Eça de Queirós con il suo lettore invece prosegue: l’aspetto esteriore della

sedicente Madame Castro Gomes – la cui presunta nazionalità brasiliana, presto smentita, è un altro

elemento che ritarda il riconoscimento da parte del lettore – coincide sia con quello di Maria

Monforte che con quello della figlia di Pedro da Maia, soprattutto per il dettaglio degli occhi neri e

profondi12 che, nella descrizione della neonata erano stati sottolineati come “i begli occhi neri dei

Maia”. Più avanti, nella già citata visita di Maria Eduarda al Ramalhete, la donna accenna ad una

sorella morta da piccola, di cui a Parigi esiste un ritratto (p. 411):

- Não tiveste irmãos?

- Sim, tive, uma irmãzinha que morreu em pequena... Mas não me lembra. Tenho em Paris

o retrato dela... Bem linda!

Le coincidenze – sorellina morta, ritratto a Parigi, connotati diversi tra la bimba morta e la

figlia di Maria e Pedro, coincidenza di connotati tra quest’ultima e Maria Eduarda – potrebbero far

intuire al lettore estremamente attento che Madame Castro Gomes è in realtà la sorella di Carlos.

Abbiamo visto come nella Tragédia da Rua das Flores Eça de Queirós abbia accuratamente

introdotto la reciproca ignoranza dei veri nomi dei protagonisti come elemento che consente lo

svolgimento dell’intreccio. Nei Maia, la gestione dell’onomastica dei personaggi principali è diretta

anche – se non soprattutto – a suggerire indizi ai fruitori del testo: se può forse apparire casuale la

coincidenza tra il nome della moglie di Afonso da Maia, D. Maria Eduarda Runa, e la donna che

risulterà essere sua nipote, non si può fare a meno di notare il diverso trattamento che l’autore

Se o não faz, é que a filha morreu. Não lhe parece a Vossa Excelência? | - Talvez – disse Afonso» (p. 104). 11 «Tem Vossa Excelência razão, é atroz: e mais vale supor que todos morreram e não gastar mais cera com tão ruins

defuntos…» (p. 106). 12 Quando Carlos vide Maria Eduarda per la seconda volta, egli «sentiu o negro profundo de dois olhos que se fixaram

nos seus» (p. 199). E ancora più avanti si nota che «havia duas semanas que ele não avistava certa figura que tinha um

passo de deusa pisando a Terra, e que não encontrava o negro profundo de dois olhos que se tinham fixado nos seus [...]

aqueles olhos negros, que ele vira passar de longe como duas estrelas, pousariam mais devagar nos seus [...]» (pp. 214-

215).

10

riserva ai nomi dei due figli di Pedro da Maia e Maria Monforte, ossia i futuri amanti Maria

Eduarda e Carlos Eduardo; quando nasce la prima, il suo nome non è segnalato come un dato

importante, anzi è taciuto fin quando la madre non abbandona il marito: Eça si riferisce a lei

chiamandola più volte “bebé”, “filha”, “anjo”, “pequerruchinha”, “pequena”, e solo nel biglietto che

Maria Monforte lascia al marito si legge «e levo a Maria» (p. 76), ossia, l’autore fornisce al lettore

un’informazione incompleta. Eça non vuole fissare il suo nome intero nella memoria del lettore per

impedirgli, più tardi, di collegare immediatamente la Castro Gomes alla sorella di Carlos. Al

contrario, l’autore è molto preciso riguardo al nome del figlio maschio e spiega il motivo della sua

scelta, condizionata dai gusti e dalle letture della madre più che dalla volontà del padre13. Grazie a

questo accurato dosaggio delle informazioni distribuite nel romanzo, l’autore può introdurre la

donna che sarà amante di Carlos rivelandone il nome senza per questo scoprire le sue carte: nei

confronti del personaggio maschile, perché era troppo piccolo, quando si separò dalla madre, per

ricordare il nome della sorella; nei confronti del lettore, perché, come abbiamo visto, ha evitato

accuratamente di nominarla quando era bambina o lo ha fatto in modo incompleto. Il gioco è così

stabilmente nelle mani dell’autore che questi può concedersi l’iniziativa di sottolineare la

somiglianza dei loro due nomi come un presagio della concordanza dei loro destini (p. 312):

- Tenha Vossa Excelência a paciência de esperar um instantinho que eu vou dar parte à Sr.ª

D. Maria Eduarda…

- Maria Eduarda! Era a primeira vez que Carlos ouvia o nome dela; e pareceu-lhe perfeito,

condizendo bem com a sua beleza serena. Maria Eduarda, Carlos Eduardo… Havia uma

similitude nos seus nomes. Quem sabe se não pressagiava a concordância dos seus

destinos.

Com’è prevedibile, un altro stratagemma per suggerire una prossimità tra i personaggi

destinati ad essere protagonisti della rivelazione finale è quello di accostare le loro caratteristiche

fisiche. Nella Tragédia da Rua das Flores, la descrizione che lo zio Timóteo dà della madre di

Vítor – «Mas era alta, forte, com um cabelo até aos pés: parecia ter vinte [e] dois. Era formosa, c’os

diabos» (p. 67) – coincide con quella espressa dal narratore a proposito della donna notata al suo

ingresso in teatro, soprattutto per quando riguarda l’altezza, la bellezza attraente e statuaria, le linee

forti e sinuose del suo corpo e la massa dei capelli14.

Effettivamente, lo zio Timóteo si domanda, nelle due occasioni che ha di incontrare

Genoveva, dove avesse già visto quei connotati: il primo incontro tra Timóteo e Genoveva si

13 «Para abrandar desde já o papá, Pedro quis dar ao pequeno o nome de Afonso. Mas nisso Maria não consentiu.

Andava lendo uma novela de que era herói o último Stuart, o romanesco príncipe Carlos Eduardo; e, namorada dele, das

suas aventuras e desgraças, queria dar esse nome a seu filho… Carlos Eduardo da Maia! Um tal nome parecia-lhe

conter todo um destino de amores e façanhas» (p. 70). 14 «Uma senhora alta, [...]» (p. 43). «Nunca vira, decerto, [Vítor] pensava, uma beleza tão atraente e desejável – um

esplendor igual à da sua pele branca e quente, tão belos movimentos de pálpebras com pestanas tão longas: a linha do

pescoço e do seio excedia o que ele observava no peito das estátuas, ou de gravuras; e a massa do seu cabelo loiro

parecia-lhe dever ser pesada e doce, quando se apanhasse nas mãos, e ter o calor macio das coisas vivas» (p. 46).

11

conclude con un indizio chiaro del fatto che l’uomo conosceva già la sedicente M.me de Molineux:

«- Onde diabo vi eu aquelas feições?» (p. 81). La seconda volta, nella scena che culminerà con

l’agnizione, la familiarità è constatata anche dalla donna (p. 446):

[...] e [Timóteo] fitava-a, sentindo, vagamente, que conhecia aquela fisionomia, e que já

vira aquele olhar. [...] o seu olhar [de Genoveva] prendeu-se ao tio Timóteo, com uma

insistência ansiosa: ela também lhe parecia que aquela figura, aquela voz não lhe eram

estranhas: quando o vira, onde? Os seus olhos encontraram-se com os dele, e por um

momento penetraram-se, como numa interrogação desesperada [...]

D’altronde, era stata la stessa Genoveva a notare una somiglianza fisica tra lei ed il giovane

(p. 109):

– È lindo! tão simpático! È um amor. E não sei, tem o quer que seja: parece-se comigo! –

Foi ao espelho afirmar, procurando nas suas próprias feições vaga semelhança das dele.

Aqui – dizia mostrando a testa – os olhos. Se eu não me pintasse de louro, parecia-se

realmente… Deve ter vinte e cinco anos…

L’analogia nell’aspetto esteriore dei due è poi rilevata anche da un’ospite della cena di

compleanno di Genoveva, la saffica tedesca Madame Gordon e, seppur in modo minore, da D. João

da Maia, personaggio che anticipa il cognome del protagonista del romanzo che trarrà spunto da

questo tentativo abbandonato, ma che presenta lo stesso spirito iconoclasta e provocatorio di João

da Ega (p. 344):

- Não acha que o sr. Silva se parece com Genoveva? – perguntou de repente a alemã, a

João, baixo.

- Não me parece muito: … Com efeito há o quer que seja. Se ela não pintasse o cabelo,

realmente, haveria uma semelhança…

In tutti questi paragoni, l’autore sottolinea che l’unico fattore di dissomiglianza risiede in un

elemento posticcio, il biondo innaturale dei capelli della donna.

Per quanto riguarda Os Maias, abbiamo già accennato alla corrispondenza tra le descrizioni

di Maria Eduarda e della figlia di Pedro, così come alla opposizione tra i tratti di quest’ultima e

quelli della bambina morta il cui ritratto è presente nella casa di Parigi. Ma sarà anche interessante

accostare il modo in cui Eça presenta Maria Monforte al tono delle descrizioni di Maria Eduarda per

verificare le analogie che suggeriscono implicitamente il legame di parentela che si scoprirà alla

fine; ecco alcuni esempi che riguardano la donna che fece innamorare di sé Pedro da Maia (pp. 56-

59, 68):

Sob as rosinhas que ornavam o seu chapéu preto, os cabelos louros, de um ouro fulvo,

ondeavam de leve sobre a testa curta e clássica: os olhos maravilhosos iluminavam-na

toda; a friagem fazia-lhe mais pálida a carnação de mármore: e com o seu perfil grave de

estátua, o modelado nobre dos ombros e dos braços que o xale cingia – pareceu a Pedro

nesse instante alguma coisa de imortal e superior à Terra. […] Mas era no camarote,

quando a luz caía sobre o seu colo ebúrneo e as suas tranças de ouro, que ela oferecia

verdadeiramente a encarnação de um ideal da Renascença, um modelo de Ticiano… […]

Questo tipo di descrizione è confermata successivamente.

12

Estava de seda cor de trigo, com duas rosas amarelas e uma espiga nas tranças, opalas

sobre o colo e nos braços; e estes tons de seara madura batida do sol, fundindo-se com o

ouro dos cabelos, iluminando-lhe a carnação ebúrnea, banhando as suas formas de estátua,

davam-lhe o esplendor de uma Ceres. […]

Nunca Maria fora tão formosa. A maternidade dera-lhe um esplendor mais copioso; e

enchia verdadeiramente, dava luz àquelas altas salas de Arroios, com a sua radiante figura

de Juno Loura, os diamantes das tranças, o ebúrneo e o lácteo do colo nu, e o rumor das

grandes sedas. Com razão, querendo ter à maneira das damas da Renascença, uma flor que

a simbolizasse, escolhera a túlipa real, opulenta e ardente.

Ed ecco invece una serie di riferimenti descrittivi a Maria Eduarda:

[…] ofereceu a mão a uma senhora alta, loura, com um meio véu muito apertado e muito

escuro que realçava o esplendor da sua carnação ebúrnea. Craft e Carlos afastaram-se, ela

passou diante deles, com um passo soberano de deusa, maravilhosamente bem feita,

deixando atrás de si, como uma claridade, um reflexo de cabelos de ouro, e um aroma no

ar.15 […] Do fim do Aterro aproximava-se, caminhando depressa, uma senhora – que ele

reconheceu logo, por esse andar que lhe parecia de uma deusa pisando a Terra, pela

cadelinha cor de prata que lhe trotava junto às saias, e por aquele corpo maravilhoso onde

vibrava, sob linhas ricas de mármore antigo, uma graça quente, ondeante e nervosa. […] e

toda ela, adiantando-se assim no luminoso da tarde, tinha, naquele cais triste de cidade

antiquada, um destaque estrangeiro, como o requinte claro de civilizações superiores. […]

À maneira que ela se afastava, parecia-lhe maior, mais bela: e aquela imagem falsa e

literária de uma deusa marchando pela Terra prendia-se-lhe à imaginação. [...] Sim, era

bem uma deusa.16 […] E a mulher é divina! Que toilette, que ar, que chique! É uma Vénus,

menino…17 […] Agora sabia-a em Sintra, voava a Sintra, e não a via também. Ela

cruzava-o uma tarde, bela como uma deusa transviada no Aterro, deixava-lhe cair na alma

por acaso um dos seus olhares negros, e desaparecia, evaporava-se [...] de quem ele nada

sabia senão que era alta e loura e que tinha uma cadelinha escocesa…18 [...] Assim a

brilhante deusa era também uma boa mamã; e isto dava-lhe um encanto mais profundo, era

assim que ele gostava mais dela, com este terno estremecimento humano nas suas belas

formas de mármore. Agora, já ela estava em Lisboa; e imaginava-a nas rendas do seu

peignoir, com o cabelo enrolado à pressa, grande e branca, erguendo ao ar o bebé nos seus

esplêndidos braços de Juno e falando-lhe com um riso de ouro.19 […] No fundo do cupé,

forrado de negro, destacava um perfil claro de estátua, um tom ondeado de cabelo louro.20

A parte le somiglianze fisiche (il biondo dei capelli, l’altezza, la carnagione eburnea, le

forme statuarie), le donne vengono presentate come dee, come ideali di bellezza superiore, con vari

riferimenti a modelli classici e rinascimentali.

Maria Eduarda, da parte, sua noterà – durante la visita al Ramalhete e di fronte al ritratto di

Pedro da Maia – una rassomiglianza tra sua madre e Carlos, a completare il circuito di

comparazioni che costituiscono altrettante spie dell’agnizione (pp. 409-410):

E voltando-se muito séria, enquanto Carlos desarrolhava com veneração uma garrafa de

velho chambertin:

15 Vedi p. 163. 16 Vedi p. 199. 17 Vedi p. 208. 18 Vedi p. 231. 19 Vedi p. 232. 20 Vedi p. 279.

13

- Sabes tu com quem te pareces ás vezes?... É extraordinário, mas é verdade. Pareces-te

com minha mãe!

- Carlos riu, encantado duma parecença que os aproximava mais, e que o lisonjeava.

- Tens razão, disse ela, que a mamã era formosa... Pois é verdade, ha um não sei quê na

testa, no nariz... Mas sobretudo certos jeitos, uma maneira de sorrir... Outra maneira que tu

tens de ficar assim um pouco vago, esquecido... Tenho pensado nisto muitas vezes...

Inoltre, l’autore stabilisce una serie di affinità caratteriali e di comuni predilezioni che

associano i personaggi coinvolti nella relazione di parentela nascosta: basti pensare alla scortesia

mostrata da Genoveva nei confronti di un bambino, fatto che origina un litigio con Timóteo e

riconduce inevitabilmente il lettore alla crudeltà della madre che ha abbandonato il piccolo Vítor

(pp. 79-80):

Quando o tio Timóteo descia o último lanço de escada, devagar, com grande ruído da sua

perna de pau, - uma criança de ano e meio, gordalhucha, loira, ia atravessando o pátio [...]

E no mesmo momento, passos de cavalo afastavam-se, - e uma mulher alta – e loira –

Madame de Molineux, entrara, depressa [...] Quando ela atravessava o pátio – direito à

escada, a criança, que ia oscilando e cambaleando, pôs-se diante dela; Madame de

Molineux, impaciente, arredou-a, de repelão, com o pé [...] E Madame de Molineux, subia

as escadas, quando Timóteo, que estava afastado dela por dois degraus, lhe disse com o

sobrolho franzido:

- É necessário ter o coração bem duro, para se dar com o pé numa criança [...]

O ancora, alla peculiare sensibilità per la letteratura che accomuna Maria Monforte e Maria

Eduarda21; è stata inoltre rilevata nei Maia la strutturazione di due coppie di personaggi che

presentano somiglianze caratteriali, morali e culturali: da una parte Afonso e la nipote Maria

Eduarda, dall’altra Carlos e la madre Maria Monforte22.

La diversa natura della relazione incestuosa narrata nella Tragédia da Rua das Flores, il più

forte grado di consanguineità esistente tra madre e figlio, consente di porre l’accento sulla costante

intrusione di un’idea di maternità all’interno del sentimento amoroso provato da Genoveva e Vítor,

come ha brillantemente sottolineato Aníbal Pinto de Castro nell’introduzione alla sua edizione: da

parte della donna, viene sottolineata la difficoltà di riconoscere la natura del proprio amore e

l’affiorare di un atteggiamento protettivo, legato indubbiamente alla differenza di età, ma che già

suggerisce un affetto materno (p. 109):

É ridículo, bem sei – mas então! Nunca houve ninguém que me fizesse a mesma

impressão… Desde que o vi no Teatro da Trindade… Que o vi, eu mal vi, estava à porta, ia

apanhar o vestido, volto-me, zás, - dou com ele a fumar tranquilamente o seu cigarro. E

não me tornou a sair daqui! – Bateu com os dedos na testa. – Tenho-o aqui, de noite, e de

dia. Diz que se chama Vítor, que é advogado… E com piedade amorosa: - Advogado,

21 Alencar aveva detto della madre di Carlos: «Tua mãe, devo dizê-lo, tinha literatura e da melhor» (p. 166). Dâmaso,

invece, aveva preannunciato a Carlos un’analoga predilezione per quanto riguardava Maria Eduarda: «Tu vais gostar

dela; tem lido muito, entende também de literatura; e olha que às vezes a conversar atrapalha...» (p. 283). E ancora,

questo elemento risalta nelle conversazioni tra Carlos e la donna che ama: «Os romances que preferia eram os de

Dickens; e agradava-lhe menos Feuillet, por cobrir tudo de pó-de-arroz, mesmo as feridas do coração. Apesar de

educada num convento severo de Orleães, lera Michelet e lera Renan» (p. 328). 22 Cfr. Maria António Gandra, Luís Amaro de Oliveira, Caderno para uma direcção de leitura de Os Maias, Porto,

Porto Editora, s.d. [1978], pp. 44-58.

14

coitado! Se aquilo nasceu para estar num escritório a rabiscar papel selado. Pobre bichano!

Com aqueles olhos! [...] – Oh, Mélanie! – ergueu-se, e com outra voz, seca, rápida: - Não,

palavra, nunca tive semelhante mania por um homem! Não sei o que queria, queria-o levar,

fugir com ele, ir para um sítio que ninguém nos visse: devorá-lo, matá-lo, trincá-lo. – É

lindo! tão simpático! É um amor.

Il comportamento di Genoveva nei confronti del ragazzo è ben diverso da quello che

l’esperta cocotte soleva riservare ai suoi uomini; quando la donna si riferisce all’ipotesi che il suo

amato possa battersi in duello con Dâmaso, ne abbiamo un’altra testimonianza (p. 372):

E querias-te bater? E se fosses ferido? Se me ferissem esta linda cabeça que é minha?

Alcune attenzioni di Genoveva nei confronti di Vítor sono effettivamente “materni” (pp.

157, 186):

- Porque não traz o cabelo apartado ao meio? perguntou-lhe ela examinando-o muito.

Vítor levou os dedos à risca da cabeça, disse:

- Não sei, sempre o trouxe assim.

Aconselhou-lhe, então, que abrisse a risca ao centro: via-se mais a testa; quando se tinha

uma testa bonita [...]

Genoveva, então, arranjou-lhe o cabelo com as pontas dos dedos: compôs-lhe a gravata

[...]

La curiosità con cui Genoveva interroga e ascolta Vítor a proposito dei suoi sentimenti, delle

sue idee, delle sue abitudini, se può essere semplicemente quella di una donna innamorata (o che si

sta innamorando), sembra anche essere quella di una madre nei riguardi di un figlio che non vede da

tempo: lei ancora non lo sa e non lo sa ancora neanche il lettore, ma, letto a posteriori, l’interesse

della donna fa pensare all’istintivo richiamo della consanguineità, ancor più, della maternità; è,

forse, un altro messaggio cifrato anche se, ripeto, può rientrare nello stereotipo della donna

innamorata (p. 186):

- Poeta, disse ela rindo; parecia escutá-lo com avidez, recebendo com alvoroço cada

confidência que ele fazia dos seus sentimentos, das suas ideias, dos seus hábitos –

provocando-as: quis saber a que horas ele se levantava, o que costumava ler, quais eram as

óperas de que gostava: abrindo com o poeta as portas fechadas da sua alma, como um

comprador que examina uma casa. E os seus olhos procuravam-nos, estudavam-no.

Il commento tra Genoveva e Mélanie che segue la fine di una visita di Vítor, contiene la

ripetizione dell’incapacità della donna di riconoscere e gestire il suo sentimento verso il ragazzo e si

conclude con un chiaro presagio di sventura; tuttavia, ciò può rientrare nello stereotipo del “vero

amore mai conosciuto prima”, mentre il triste presentimento non specifica che la disgrazia sia legata

ad una relazione incestuosa (p. 190):

- Mélanie, isto vai mal.

- Ia com uma cara tão desanimada o pobre rapaz, disse Mélanie.

- Pobre querido! – O, Mélanie, que paixão esta, tão absurda, tão repentina, - o que é isto?

Porque me veio isto? Quem me diria?

- Isso passa, minha senhora.

Ela oscilou com a cabeça, tristemente, os olhos no chão:

15

- Não. É para sempre. Não sei o que me diz o coração. Mas adivinho desgraça…23

Quando Vítor afferma con veemenza il valore del pittore Camilo Serrão contro l’opinione di

Dâmaso, Genoveva lo segue in modo così assorto che ne ripete involontariamente i gesti e gli

sguardi; questo è anche un tratto della familiarità di due persone, forse un ennesimo suggerimento

della consanguineità dei due24. Nella passeggiata notturna a Sintra, la maturazione dell’amore tra

Vítor e Genoveva si accompagna ad un accumulo di riferimenti alla maternità e alla idea della

madre25. Il ricordo di una canzone cantata a Vítor dalla balia porta con sé l’idea dell’assenza della

madre; visibilmente turbata, Genoveva chiede al giovane notizie circa la morte della donna: la

risposta riafferma nella memoria del lettore il fatto che Vítor – come abbiamo già sottolineato – non

ha mai visto un ritratto di colei che lo diede alla luce (p. 269):

Ah, sim. Eu lembro-me perfeitamente do que cantava a minha ama: é uma música muito

arrastada, muito triste -; e cantarolou: Dorme, dorme, meu menino, Que a tua mãe foi à

fonte…

- É triste, não é verdade?

Genoveva não respondeu. Vítor sentira o seu braço ter um bago movimento enternecido, e

como um débil suspiro passar-lhe nos lábios. Continuaram calados: a terra, que a neblina

amolecera, emudecia o ruído dos passos.

E Genoveva disse então: - É uma cantiga que usam muito as amas. Sua mãe morreu há

muito, não é verdade?

- Tinha eu um ano ou dois: nunca lhe vi mesmo o retrato: não deixou retrato, nem sequer

um daguerreótipo que se usava no tempo. Mas creio que era muito linda.

- E seu pai?

- O papá morreu na África.

Da parte del ragazzo c’è soprattutto il rimpianto per l’assenza di una figura materna spesso

avvertito in coincidenza con la presenza di Genoveva: ciò è ben sintetizzato dal sogno premonitore

di Vítor, nel quale il motivo edipico è evidente nella figura del padre che è ostacolo al

congiungimento tra il ragazzo e Genoveva e che porta via quest’ultima sulle acque correnti di un

fiume, simbolo di un movimento unidirezionale e inarrestabile26; la presenza del padre che,

disperatamente, allontana (per il suo bene) Vítor dalla donna è anche un avvertimento onirico circa

23 A proposito di premonizioni, quando Genoveva legge il suo destino nelle carte, queste le danno – a lei e al lettore –

un presagio di infelicità legato alla presenza contemporanea di un vecchio (Timóteo), di un ragazzo (Vítor) e di una

donna bionda (lei stessa); non si tratta, dunque di un vago indizio di un destino ineluttabile, bensì vi è contenuta una

spia – se non proprio dell’agnizione della parentela tra Genoveva e Vítor – per lo meno di una disgrazia che coinvolgerà

tre personaggi già possibilmente identificabili; è la stessa donna ad identificare nel “valete de oiros” il giovane Vítor (p.

108-109):

- Uma desordem; um velho; o rapaz novo, com a mulher loura; lágrimas: encontro num lugar com

gente, por causa duma carta. [...] – Vem-me ver! Tem de ser ele mesmo: três vezes, vês? – E

mostrava a repetição do valete de oiros, que se juntava com a dama de copas: - Tem de ser ele

mesmo… | E os seus belos olhos pretos iluminados, na fisionomia aquilina e pálida – estava[m]

cheio[s] do vago assombro de destinos inevitáveis. 24 «Madame de Molineux tinha seguido as palavras de Vítor com avidez: fazia involuntariamente os mesmos

movimentos de cabeça, tinha os mesmos olhares: como [se] aquelas palavras, caindo na sua alma, a agitassem das

impressões que traduziam» (p. 216). 25 Cfr. Aníbal Pinto de Castro, p. XXXIII. 26 Cfr. Aníbal Pinto de Castro, p. XXXIV, nota 1, in cui fa notare la relazione “incestuosa” tra il romanzo d’amore in

versi ricordato da Genoveva e la ninna-nanna ricordata da Vítor.

16

le sacrileghe e tragiche conseguenze di quell’amore che proprio a Sintra si rivela pienamente (p.

274):

- Eu, disse Vítor, sonhei com meu pai. Coisa bem esquisita… Que estava à beira dum rio,

e, de repente, vejo um barco a descer, a descer: vinham duas figuras de pé, um homem e

uma mulher de branco: conheci-a logo a si – disse, voltando-se para Genoveva, e só

conheci meu pai num gesto que ele fez, que se desembuçou. Eu atirei-me à água, comecei

a nadar – mas meu pai agarrava numa vara, e queria repelir-me do barco! E eu agarrava-me

às bordas, queria saltar para dentro, - qual: a vara repelia-me, fazia-me dar reviravoltas na

água. – Por fim, o barco começou a afastar-se, a afastar-se…

- E eu? perguntou Genoveva interessada.

- Meu pai tinha-a agarrado pela cintura, parecia desesperado, queria afastá-la da borda do

barco – mas eu vi-a estender os braços para mim, e com uma voz muito fina, muito

cristalina, dizer: | Quem me quer a mim servir | Quem quer o meu pão ganhar | Me leve

esta carta | A D. Clara d’Além-Mar.

È interessante notare come anche nei Maia vi sia, da parte di Carlos, una duplice evocazione

onirica di Maria Eduarda in concomitanza con le sue riflessioni sulla madre assente; infatti,

addormentandosi subito dopo quei pensieri, Carlos sogna – per due volte di seguito – la scena

dell’apparizione della bellissima donna con lo scudiero negro e la cagnolina scozzese, ossia, il suo

primo avvistamento della Castro Gomes (p. 185):

De sua mãe não ficara nem um daguerreótipo, nem sequer um contorno a lápis. O avô

tinha-lhe dito que era loura. Não sabia mais nada. Não os conhecera; não lhes dormira nos

braços; nunca recebera o calor da sua ternura. Pai, mãe, eram para ele como símbolos de

um culto convencional. O papá, a mamã, os seres amados, estavam ali todos – no avô. [...]

E então, pouco a pouco, diante das suas pálpebras cerradas, uma visão surgiu, tomou cor,

encheu todo o aposento. Sobre o rio, a tarde morria numa paz elísia. O peristilo do Hotel

Central alargava-se, claro ainda. Um preto grisalho vinha, com uma cadelinha no colo.

Uma mulher passava, alta, com uma carnação ebúrnea, bela como uma deusa, num casaco

de veludo branco de Génova. [...]

E apenas adormecera na escuridão dos cortinados de seda, outra vez um belo dia de

Inverno morria sem uma aragem, banhado de cor-de-rosa: o banal peristilo do hotel

alargava-se, claro ainda na tarde; o escudeiro preto voltava, com a cadelinha nos braços;

uma mulher passava, com um casaco de veludo branco de Génova, mais alta que uma

criatura humana, caminhando sobre nuvens, com um grande ar de Juno que remonta ao

Olimpo [...]

Tornando alla Tragédia, l’interazione tra Genoveva e Vítor è spesso arricchita dal non

innocente uso delle parole “mãe”, “filho” o “maternal” in alcuni punti chiave, come la lettera che,

durante il soggiorno a Sintra, la donna scrive al ragazzo dichiarandogli il suo amore e i suoi

progetti, brano pieno di doppi sensi e di confusioni peccaminosamente incestuose tra il sentimento

amoroso e quello materno (pp. 275-278):

[…] é desejo do teu amor, dos teus beijos, dos teus braços, de te ter contra mim, como se

fosses uma criança pequena: e há muito deste sentimento: provém isto decerto de termos

idades tão diferentes… tu com os teus 23 – e eu, pobre de mim, velha, feia, murcha

criatura, com os meus 32. Sou por isso uma pessoa experiente, uma mamã27.

27 Il riferimento al sentimento materno, in quanto spia della futura agnizione, è mitigato dalla logica considerazione che

questo può provenire semplicemente dalla differenza di età: l’autore deve sempre bilanciare accuratamente indizi e

17

Se tu soubesses o que eu pensei quando tu me disseste que a tua mamã tinha morrido:

sabes o quê? Ser eu a tua mamã: não, acredita, meu adorado Vítor, há alguma coisa deste

sentimento em mim. Sabes o que eu fazia se fosse rica? Queria levar-te comigo para Paris,

fazer de ti o mais elegante, o mais formoso, o mais cativante jeune homme de ton temps:

queria que jogasses as armas, conduzisses cavalos, eu mesmo te aconselharia, te dirigiria,

faria a tua educação, meu adorado, e que orgulho que eu teria em ti. Seria a tua mamã –

mas uma mamã que amaria com delírio o seu bebé: que o devoraria de beijos, que passaria

com ele as noites mais delirantes de amor, de delírio, de êxtase… [...] E tu, há no teu

coração um bocadinho, dinho, dinho, de amor por esta pobre velha que está aqui sentada, à

1 da noite, com o seu fogo quase apagado, a pensar no seu adorado bebé? [...] Sabes o que

eu queria? Subir pé ante pé ao teu quarto, não te despertar, pôr um beijo de leve, muito de

leve, na tua boca adorada, e descer sem te acordar. Só um beijo. [...] Adeus: um beijo, mas

profundo, até à alma: dou-to de joelhos diante de ti, adorando-te, e dizendo-te ainda, meu

bebé, meu bebé.

Altri segnali sono disseminati nelle due opere per preparare e suggerire la rivelazione finale,

indizi che in qualche caso – soprattutto ne Os Maias – sono controbilanciati da notizie che hanno la

funzione di depistare temporaneamente il lettore. Ovviamente, buona parte di queste ambigue

informazioni derivano dal confronto tra le vicissitudini passate delle protagoniste femminili: da una

parte Genoveva e i suoi trascorsi come Joaquina dos Melros, dall’altra l’equivoca vita di Maria

Monforte e le sfortunate vicende vissute da Maria Eduarda.

Nei Maia, dopo la tragica morte di Pedro, si torna a parlare di Maria Monforte e della figlia

nel III capitolo, ambientato a Santa Olávia, qualche anno dopo. È Vilaça padre che porta notizie

sulla donna, che vanno confrontate con quelle date da Maria Eduarda, quando racconta la sua vita,

per valutare quante chance sono date al lettore di collegare le due serie di avvenimenti. Da Vilaça,

Afonso aveva saputo quanto segue (pp. 102-103):

- Vossa Excelência sabe que apareceu a Monforte? [...]

- Em Lisboa?

- Não senhor, em Paris. Viu-a lá o Alencar, esse rapaz que escreve, e que era muito de

Arroios… Esteve até em casa dela. [...]

E no seu boudoir, na manhã seguinte, a Monforte falou largamente de si: vivera três anos

em Viena de Áustria com Tancredo e com o papá, que se lhes fora reunir [...] Depois

tinham estado em Mónaco; e aí, dizia o Alencar, “num drama sombrio de paixão que ela

me fez entrever”, o napolitano fora morto em duelo. O papá morrera também nesse ano,

deixando apenas da sua fortuna uns magros contos de réis e a mobília da casa em Viena

[...] Passara então um tempo em Londres: e daí viera habitar Paris, com Mr. de l’Estorade,

um jogador, um espadachim, que acabou de a arrasar e que a abandonou legando-lhe esse

nome de l’Estorade [...]

Maria Eduarda, all’inizio della sua relazione con Carlos, si dimostra molto imbarazzata ad

ogni accenno al suo passato28 e restia ad affrontare l’argomento29 ma, incalzata dall’uomo, comincia

a far trapelare qualche informazione (pp. 410-411):

segnali di senso contrario. 28 «começou a falar de Mr. Guimarães, o famoso tio do Dâmaso, o amigo de Gambetta, o influente da República… | - O

Dâmaso tem-me dito que Vossa Excelência o conhece muito… | Ela erguera os olhos, com um fugitivo rubor no rosto. |

- Mr. Guimarães… Sim, conheço muito… Ultimamente víamo-nos menos, mas ele era muito amigo da mamã» (p. 330). 29 «Ele tinha-lhe feito assim largamente todas as confissões – e ainda não sabia nada do seu passado, nem mesmo a terra

18

- Também tu nunca me falaste de tua mãe...

Um pouco de sangue roseou a face de Maria Eduarda. Oh, nunca falara da mamã, porque

nunca viera a propósito...

- De resto não havia coisas muito interessantes a contar, acrescentou. A mamã era uma

senhora da ilha da Madeira, não tinha fortuna, casou...

- Casou em Paris?

- Não, casou na Madeira com um austríaco que fora lá acompanhar um irmão tísico… Era

um homem muito distinto, viu a mamã, que era lindíssima, gostaram um do outro, et

voilà...

Dissera isto sem erguer os olhos do prato, lentamente, cortando uma asa de frango.

- Mas então, exclamou Carlos, se teu pai era austríaco, meu amor, tu és também austríaca...

És talvez uma dessas vienenses que tu dizes que tem um tão grande encanto...

Sim, talvez, segundo essas coisas dos códigos, era austríaca. Mas nunca conhecera o pai,

vivera sempre com a mamã, falara sempre português, considerava-se portuguesa. Nunca

estivera na Áustria, nem sabia mesmo alemão...

Il particolare che la madre di quest’ultima fosse dell’isola di Madeira e che avesse sposato

un austriaco sposta provvisoriamente l’attenzione del lettore da una eventuale ipotesi di agnizione.

Ma l’Austria è un elemento comune alla storia di Maria Monforte, perché lì era andata a vivere la

donna con Tancredo (dunque, presumibilmente, con la bambina) dopo la fuga da Pedro; tuttavia,

Maria Eduarda dice di non essere mai stata in Austria: i segnali, pur forti, tendono ancora a

confondere le acque.

Ma è solo dopo che Carlos ha saputo da Castro Gomes la vera origine della donna che ama,

che Maria Eduarda è costretta, nel tentativo di riconquistarlo, a raccontare le vicissitudini che

costituiscono una parziale giustificazione del suo stato ed entrare nei dettagli la storia della sua

tribolata esistenza, che potremo mettere a confronto con le notizie date da Vilaça a proposito di

Maria Monforte (pp. 430-431, 438-439):

Maria começou a falar do seu passado, desmanchadamente, hesitando, balbuciando, entre

grandes soluços que a afogavam, e pudores amargos que lhe faziam enterrar nas mãos a

face aflita. A culpa não fora dela! não fora dela! Elle devia ter perguntado àquele homem

que sabia toda a sua vida... Fora sua mãe... Era horroroso dizê-lo, mas fora por causa dela

que conhecera e que fugira com o primeiro homem, o outro, um irlandês... [...]

Nascera em Viena: mas pouco se recordava dos tempos de criança, quase nada sabia do

papá, a não ser a sua grande nobreza e a sua grande beleza. Tivera uma irmãzinha que

morrera de dois anos e que se chamava Heloísa30. A mamã, mais tarde, quando ela era já

rapariga, não tolerava que lhe perguntassem pelo passado; e dizia sempre que remexer a

memoria das coisas antigas prejudicava tanto como sacudir uma garrafa de vinho velho...31

[...] ás vezes durante tempos ela ficava lá só com o avô, um velhinho triste e tímido,

metido pelos cantos, que lhe contara historias de navios32. Depois tinham ido a Inglaterra:

mas lembrava-se somente de ter atravessado um grande rumor de ruas, num dia de chuva,

em que nascera, nem sequer a rua que habitava em Paris. Não lhe ouvira murmurar jamais o nome do marido, nem falar

de um amigo ou de uma alegria da sua casa» (pp. 330-331). 30 Ancora un richiamo al lettore, un indizio per fargli collegare la storia di Maria Eduarda a quella di Maria Monforte,

nel particolare di una bambina morta già citato nel racconto della visita di Alencar a casa della madre di Carlos. 31 Di nuovo un punto di contatto con la vita di Maria Monforte, un passato di cui vergognarsi. 32 Il riferimento al nonno può essere accostato a quanto veniva detto a proposito di papà Monforte, ai tempi delle feste

organizzate dalla figlia: «E no meio desta festança, atravessada pelo sopro romântico da Regeneração, lá se via sempre,

taciturno e encolhido, o papá Monforte, de alta gravata branca, com as mãos atrás das costas, rondando pelos cantos,

refugiado pelos vãos das janelas, [...]».

19

embrulhada em peles, sobre os joelhos dum escudeiro. As suas primeiras memorias mais

nítidas datavam de Paris; a mamã, já viúva, andava de luto pelo avô33 [...] Enfim a mamã

metera-a num convento ao pé de Tours [...] Depois a mamã começou a aparecer menos em

Tours. Esteve um ano longe, quase sem escrever, viajando na Alemanha; voltou um dia,

magra e coberta de luto, e ficou toda a manhã abraçada a ela a chorar34.

Nel calcolato gioco di indizi che insospettiscono il lettore e rendono plausibile l’agnizione

finale, ed elementi che lo allontanano da una conclusione troppo scontata, l’autore inserisce nella

parte iniziale della Tragédia da Rua das Flores la lunga analessia in cui i ricordi di Genoveva ci

fanno conoscere la sua biografia, ma solo quel tanto che non comporta il riconoscimento immediato

dei legami di parentela tra la donna ed i Corvelo/Silva (pp. 87-96):

A sua existência até aí fora tão cheia, tão embaraçada, tão intensa, tão cruzada de factos, de

cuidados, de sensações, que, toda na excitação da hora presente, só se ocupara de viver [...]

Via-se numa triste e antiga cidade de Espanha35, no Norte, tremendo de febre, num quarto

de estalagem [...] Depois, era uma aldeia no norte da França – ao pé de Rouen: a casa

baixa, em que vivia com um homem que a detestava, mas a que a ligava a miséria, a

ignorância da língua, a falta de relações [...] Depois era a sua partida, nas diligências, pelas

estradas, para os Pirenéus, a sua vida em Luz, os seus passeios, na estrada para St.

Sauveur, sobre a ponte do Gave, entre renques de olmos [...] Tinha então conhecido Lord

Belton: - e via-se depois na sua linda casa de St. John’s Wood, em Londres; ali vivera anos

[...] Mas Londres entristecia-a – e o Amor veio. Como se recordava [d]a sua fuga, com

aquele infame Georges de L’Estrolier! a sua passagem do canal por uma noite

tempestuosa: [...] ainda assustada, ainda enjoada, quase adormecida nos braços de Georges,

rolando enfim para Paris. [...] Depois, as horas de abandono, das lágrimas, do ciúme. [...]

Mas conservava-se portuguesa – todas as noites pedia a N.a Senhora da Alegria que lhe

mandasse um homem rico. Conheceu então as longas noites de boulevard, à caça duma

libra ou de vinte mil réis. [...] Enfim, N.a S.a da Alegria compadecera-se dela: o homem

rico tinha aparecido, de repente, rompendo do solo, como numa mágica [...] Conheceram-

se, era a verdade, e ele tomara conta da sua vida. Era o conde de Molinard36, o senador.

Vivera com ele 12 anos. Era bem velho, bem repugnante! [...] Recebia com cautelas, e

recatos aflitos, um empregado do Ministério dos Estrangeiros, o visconde de la Rechantaye

– só para pôr na sua vida um interesse romanesco [...] Depois viera o ano terrível, a guerra!

Que momento alegre o seu! No dia em que o senador votou a guerra, o conde de Molinard

deu um jantar: foi um dia para ela glorioso [...] Mas, e bem depressa, foi necessário fazer

as malas para fugir para Bruxelas! Ali passara o Inverno tristemente no hotel: soube [d]a

morte do visconde na batalha de St. Privat – e quando entraram, depois da cerimónia – no

dia em que o Senado ia a Versailles para se prostrar aos pés da República, uma apoplexia

atirou, - mudo, para cima da papele[ira], com a boca ao lado, o velho infame.

E não fizera testamento: as suas propriedades passavam a sobrinhos distantes da

Normandia: e Genoveva ficava sem as suas mobílias, as suas jóias, e treze mil francos de

renda. Pobre! Viveu um ano muito retirada, muito obscura, com uma economia escassa: - e

33 Nella sequenza di avvenimenti riportata da Vilaça padre, la morte di papà Monforte doveva essere avvenuta prima del

trasferimento a Londra e non dopo, come qui ricorda Maria Eduarda. 34 Questo viaggio della madre in Germania ed il lutto al suo ritorno, può essere messi in relazione al passaggio di Maria

Monforte per Monaco, caratterizzato dalla morte di Tancredo (uomo che Maria Eduarda ha evidentemente dimenticato,

visto che dice – ed è quanto le deve aver detto la madre – che suo padre era austriaco). La differenza è che nella

sequenza di avvenimenti raccontata da Vilaça, il passaggio per Monaco e la morte di Tancredo erano collocati prima del

soggiorno a Londra. 35 Il lettore più attento poteva a questo punto notare che anche la fuga della madre di Vítor era diretta in Spagna. Ma

notiamo che l’autore, per non fornire troppi indizi, evita di menzionare la presenza di un uomo al suo fianco. 36 Nell’indecisione sui nomi di alcuni personaggi che caratterizza l’incipiente manoscritto della Tragédia il conte

francese che Genoveva sposa e che le dà il cognome oscilla tra Molineux (nella maggior parte dei casi), Molinard e

Héronville.

20

a miséria vinha talvez voltar – quando N.a S.a da Alegria lhe mandou o Gomes Brasileiro.

[...] renovou a Genoveva o seu luxo: viajaram pela Europa, até S. Petersburgo, e ofereceu-

lhe levá-la para o Brasil. [...] aceitou: mas detestava-o [...] e, em Lisboa, vendo diante de si

o mar a atravessar, e os seus enjoos, o triste Brasil, e o contacto daquele homem odioso [...]

recusou: o Brasileiro, já talvez arrependido, aceitou, quase com reconhecimento: deu-lhe

300 libras, e partiu. – E ali ficara em Lisboa [...]

Sequenze di avvenimenti e di spostamenti che suggeriscono punti di contatto frammisti a

segnali parzialmente contraddittori, indizi che portano il lettore alle soglie del riconoscimento per

poi rinviare la soluzione dell’effetto sorpresa. Magistrale in tal senso è la triplice occasione che

Vítor ha di sapere da João Meirinho che la vera origine di Genoveva coincide con quella di sua

madre. La prima occasione si verifica durante la cena che Vítor offre a João Meirinho proprio per

strappargli informazioni su Genoveva ai tempi di Parigi; l’autore introduce, nelle parole di

Meirinho, forti sospetti sull’identità della donna; la sua vera identità sta per rivelarsi quando l’uomo

racconta di una decisiva domanda posta a M.me de Molineux da uno sconosciuto brasiliano; ma,

giunto al momento decisivo in cui si sta per rivelare la reazione della donna, l’autore interrompe il

discorso di Meirinho – per ben due volte – con il pretesto dell’ingresso in scena del barone di

Markstein, e il mistero rimane intatto, anche se un altro chiaro segnale è stato dato al lettore per

collegare la figura di Genoveva a quella della madre di Vítor grazie al riferimento alla città di

Guarda, terra natale di Joaquina dos Melros (pp. 232-234):

E recostando-se na cadeira, - exprimiu grandes suspeitas sobre Madame de Molineux.

- Como, como?

- Ali há mistério: - e Meirinho tomou um aspecto solene. Disse mesmo, com uma voz

cava: - Ali há tragédia. [...]

- Aqui está como eu vim a desconfiar. Eu sabia que ela era portuguesa. [...] Ora

naturalmente – eu não sou metediço, o amigo conhece-me, mas tive curiosidade de saber, é

natural, não é verdade? Tive a curiosidade de saber donde era, se de Lisboa, se da

Província. Disse-me que era da Ilha da Madeira. Que família? Gomes. Gomes! disse eu

comigo: não me cheira a Ilha da Madeira, não me cheirava. Eu tenho faro. – E mostrava-o

farejando por cima da mesa. – Disse comigo: nem tu és da Madeira, nem Gomes! [...] –

Pois, senhores, um dia, aparece em casa de Molineux um sujeito, um brasileiro, chamado

Couceiro, [...] Homem ordinário, com um aspecto… [...] Um dia, num jantar, o Couceiro,

de repente, põe-se a dizer, em português, a Madame de Molineux: - «A sr.a nunca esteve na

Guarda?»: pois, menino, eu estava a olhar para ela e vi-a positivamente…

A porta abriu-se, - e o criado entrou dizendo que o sr. Barão de Markstein perguntava se

não seria indiscreto vir tomar com eles o seu café. [...]

– Mas continue, Meirinho: ia a dizer que a viu…

- Que a vi, quem?

- A Madame de Molineux, quando o brasileiro lhe disse…

Mas a porta tornou-se a abrir – e o barão entrou, tirando e pondo o seu fez: pediu logo que

lhe jurassem que não era importuno [...]

Più avanti, Vítor fa un nuovo tentativo per conoscere dall’amico Meirinho la continuazione

della storia circa Madame de Molineux e la domanda fattale dall’uomo brasiliano; ma anche questa

volta il destino – sotto forma di un terribile mal di gola – si frappone ed il nodo circa le origini della

bella signora non si scioglie (pp. 283, 286-287):

21

- Eu vou ver o Meirinho, que está doente, coitado.

- Doente? com quê? - E lembrando-lhe logo a história interrompida no jantar, no Hotel

Central, exprimiu o desejo urgente de ir ver o pobre Meirinho, coitado. [...]

Apenas ficara só com Meirinho, Vítor, sentando-se na cama, perguntou-lhe:

- Ó Meirinho, mas você não me acabou de contar a história, o outro dia. Estava quando o

brasileiro perguntou a Madame de Molineux se era da Guarda.

Mas o Meirinho mostrou a garganta, levou o dedo aos lábios, e teve um gesto vivamente

negativo e exprimiu, numa pantomima convicta, que nada o obrigaria a soltar um som! E

ficou imóvel, com os olhos muito abertos, corado, mudo, atabafado, aterrado, lúgubre!

Infine, durante la cena di compleanno della sua amante, Vítor ha un’ultima possibilità di

ascoltare da Meirinho la conclusione della storia riguardante le origini di Genoveva, ma ancora una

volta qualcosa – o, meglio, qualcuno – si frappone. Ma l’autore ha in questo modo ricordato al

lettore l’esistenza di un dubbio riguardo l’origine della donna, dubbio che la legava allo stesso

luogo da cui era partita la madre di Vítor (p. 346-347):

De repente Vítor lembrou-se da história do Meirinho, que ele nunca acabara – e ia

perguntar-lhe o final; mas viu-o muito absorvido numa conversação com Madame Livalli.

E foi o Sarrotini que lhe veio tomar o braço: o excelente homem aborrecia-se um pouco

[...]

Come si vede, ognuna di queste tre opportunità sfuma a causa dell’intromissione di

impedimenti esterni che creano, nei primi due casi, anche un effetto comico: a questo proposito, il

brusco anticlimax provocato nella prima scena dall’ingresso del barone, che allenta la tensione

causata dalle rivelazioni di Meirinho, e la allusione al suo copricapo (un fez), fanno pensare alla

scena de Os Maias in cui, nel momento drammatico in cui João da Ega sta rivelando a Carlos che

Maria Eduarda è sua sorella questi è ripetutamente interrotto dal procuratore Vilaça che cerca

disperatamente il suo cappello, il che provoca l’intrusione di un elemento grottesco in una scena

drammatica e decisiva del romanzo. La differenza sostanziale è che nella Tragédia la scena è

definitivamente interrotta in funzione del mantenimento del mistero, mentre ne Os Maias il discorso

tra Ega e Carlos continua perché l’identità della donna è stata già rivelata al lettore.

Estrapolando questi elementi dal contesto dell’opera in cui sono inseriti, si giunge alla

conclusione che entrambi gli intrecci sono solidamente costruiti e che in entrambi i casi l’autore

utilizza mirabilmente una struttura narrativa abbondantemente visitata. In realtà, le due opere – al di

là del parallelismo dello schema diegetico – sono ben diverse: mentre i manoscritti della Tragédia

da Rua das Flores presentano un testo ancora vicino nelle intenzioni alla novella incentrata

sull’incesto progettata per le Cenas da Vida Portuguesa – e dunque la tragedia annunciata nel titolo

ha un peso preponderante nell’intreccio – ne Os Maias la vicenda che coinvolge Carlos e Maria

Eduarda è accompagnata e diluita dalla commedia di costume enunciata dal sottotitolo Episódios da

Vida Romântica. Infatti, nel romanzo pubblicato nel 1888 il riconoscimento – di cui sono fatti

partecipi tutti i protagonisti – se ha un peso decisivo nell’azione, non ne rappresenta il momento

finale e non esaurisce i contenuti della vicenda narrata: assistiamo ancora alla cosciente

22

consumazione dell’incesto da parte di Carlos, alla tragica morte di Afonso e all’epilogo che si

svolge dieci anni dopo la conclusione dell’intreccio principale.

Il senso tragico del romanzo abbandonato ha modo di risultare ancora più evidente: non a

caso, preceduta da significativi segnali premonitori37, l’agnizione si dà al termine di una scena

caratterizzata da un climax che parte dal momento in cui i due amanti attendono l’arrivo dello zio

Timóteo; la musica che Genoveva suona, il cui titolo turba Vítor, è ironicamente scelta dalla donna

come segnale di buon augurio (pp. 442-443):

Genoveva pareceu ter uma ideia, foi ao piano procurar um libro de melodias de Schubert, e

preludiou a canção conhecida: Salve, salve última manhã da minha vida. – E como Vítor a

olhasse surpreendido, do tom quase supersticioso com que ela soltara as palavras

melancólicas:

- É de bom agoiro. – E contou-lhe que um amigo dela, um rapaz francês, lhe dissera que no

ano da guerra, quando os Prussianos cercaram Paris, no Inverno terrível, os rapazes,

militares do forte do Monte Valeriano, costumavam reunir-se numa das casamatas aonde

tinham instalado um piano, e antes de romper o sol, e do primeiro tiro do dia, cantavam em

coro, como uma oração protectora, a melodia de Schubert. Para alguns podia bem ser a

última manhã, não é verdade? Pois bem, disse ela. – Nenhum homem, nenhum, foi ferido.

E daí lhe ficara a superstição do canto, nas vésperas dalgum facto decisivo, dalguns dos

combates da vida, aquela melodia protectora. – Et voilà!

- E continuou cantando: Salve, última manhã | Da minha vida, salve.38

Ma il presagio di qualche sventura incombe ugualmente nello spirito del ragazzo che si

congeda da Genoveva proprio come se fosse l’ultima mattina della sua vita (p. 443):

Debruçado para a rua, sentia as notas melancólicas da canção passarem, altas, no ar quente:

e davam-lhe uma sensação de vaga opressão sentimental.

Ao meio-dia, tomou o chapéu, - e disse a Genoveva:

- Vou para o Chiado ver se passa a carruagem do tio Timóteo, ponho-me a esperar que ele

saia – e venho logo saber as novidades. E ia a sair, - mas por um impulso estranho, quase

melancólico, voltou, apertou-a contra o peito, beijaram-se profundamente, e ele saiu

comovido – jurando que houvesse o que houvesse seria dela, para sempre.

Quando finalmente Timóteo arriva a casa di Genoveva, entrambi – come già sappiamo –

notano qualcosa di familiare nell’aspetto dell’interlocutore; l’agnizione è vicina e la tensione sale in

un rapido crescendo fino allo scioglimento finale (pp. 446, 449-450):

[...] e fitava-a, sentindo, vagamente, que conhecia aquela fisionomia, e que já vira aquele

olhar.

[...] Mas ergueu-as logo, e o seu olhar prendeu-se ao tio Timóteo, com uma insistência

ansiosa: ela também lhe parecia que aquela figura, aquela voz não lhe eram estranhas:

quando o vira, onde?

37 Il balcone dal quale si getterà Genoveva era stato teatro di un dialogo tra i due amanti che ne anticipava il ruolo fatale

di cui sarà investito nella scena finale (p. 373):

Há dias que trabalhavam carpinteiros: tinham tirado as grades das varandas. [...] Vítor

aproximou-se: debruçou-se mesmo sobre a pedra da varanda, para a rua, em baixo: mas Genoveva

reteve-o [pelo] braço: | - Querido: agora sem a varanda, dá vertigens, tem cuidado: | - Era um

saltozinho bonito, disse o velho carpinteiro rindo. 38 Sembra che l’autore si diverta a smentire una superstizione e a riaffermare, per contro, il potere della logica che guida

gli eventi verso la conclusione più probabile.

23

Os seus olhos encontraram-se com os dele, e por um momento penetraram-se, como numa

interrogação desesperada [...]

- Escute. Vou-lhe contar toda a minha vida, tenho essa confiança em si: vejo em si um

homem de bem, um homem de coração, de inteligência, que me compreenderá… Nunca

revelei estas coisas. Vítor não sabe nada. Julga-me, como todo o mundo, uma senhora da

Ilha da Madeira, que fugiu com um inglês, e que, em Paris, - depois – se fez… - o que eles

dizem, cocote!

[...] Quando se voltou, Timóteo estava de pé: o andar dela tinha-o ferido, e uma vaga

recordação condensava-se no espírito: os seus olhos devoravam-na.

- E então de onde é? perguntou, quase com dificuldade.

- Casei em Portugal. Hesitou. Mas, como se a confissão lhe rompesse, irresistivelmente,

com um acento de vergonha: - Fugi a meu marido.

- De onde é, donde? perguntou Timóteo; respirava com aflição, e a bengala tremia-lhe na

mão extraordinariamente.

- Sou da Guarda, - disse ela.

Timóteo estacou imóvel, com os olhos dilatados: murmurou das vezes: Santo nome de

Deus! Santo nome de Deus!

- O que é, fez ela lívida.

- Seu marido? Quem era?

Ela respondeu ansiosamente, com as mãos sobre o peito toda inclinada para ele.

- Porquê? Meu marido? Chamava-se Pedro da Ega.

- Oh, maldita! Maldita! Maldita! bradou Timóteo. E os seus braços erguidos tinham um

tremor, o olhar alucinado, e com uma voz estrangulada, medonha:

- Mas esse homem é Vítor da Ega! É seu filho! Eu sou Timóteo da Ega.

L’agnizione avviene dunque tra Genoveva e Timóteo (oltre che, naturalmente, a beneficio

del lettore e della conclusione dell’intreccio); lo zio deciderà di risparmiare a Vítor l’orrenda verità,

con ciò rispettando anche la volontà di suo fratello Pedro, padre del ragazzo: la tragica morte della

donna amata è trauma sufficiente perché Vítor possa anche aggiungerci l’insostenibile vergogna di

un sacrilego incesto. Ecco la scena dell’ultimo, tragico incontro tra i due (pp. 454, 455):

E correu a casa: subiu as escadas, a quatro. Achou a porta aberta, - entrou. Mas veio-lhe a

ideia que talvez Timóteo ainda estivesse, e a carruagem devesse voltar. Foi em bicos de

pés até à sala, entreabriu o reposteiro: - viu Genoveva sentada numa cadeira, os braços

caídos, o rosto pendido, sobre o peito.

- Genoveva! disse baixo. – Notou então que estava toda esguedelhada, com o colete aberto,

lívida, velha. Entrou bruscamente. Ela ergueu o rosto, viu-o, ergueu-se num pulo, e ficou

com os braços estendidos, estendidos para ele, os dedos muito abertos.

- Que é Genoveva? gritou aflito, correndo para ela.

Ela viu-o e recuou, com os olhos dilatados, o corpo inteiriçado, um esgar na boca,

medonha, - e os seus braços faziam ansiosamente sinal que não! não! Respirava

tragicamente, com um aahn ansioso, de agonia. E os olhos terríveis, pasmados, como

mortos, saídos das órbitas, fixavam-se nele, com uma persistência pavorosa.

Vítor ficou petrificado: num suor frio, balbuciou:

- Genoveva, meu amor, que é? – E deu um passo.

Mas ela, possuída dum terror alucinado, recuou, - e de repente, encolhida, procurou, com

os olhos ferozmente esgazeados, uma porta, um canto, uma saída.

- Ai meu Deus, que endoideceu! – exclamou ele com uma voz chorosa e dilacerada: - Ouve

Genoveva, sou eu!

E ia para ela – mas ela, abrindo a boca com uma ânsia terrível, soltou num baque súbito

um grito:

- Maldito! Maldito!

24

E, olhando, num relance, correu à janela, e, lançando o corpo sobre o peitoril, atirou-se,

com um grito estridente. Vítor sentiu ainda o seu corpo fazer, na rua, como um som baço e

mole dum fardo de roupa.

Quando as pessoas que conduziam o cadáver de Genoveva entraram na sala, entre os

clamores de Mélanie – encontraram Vítor estendido no chão: tinha batido com a cabeça na

esquina duma cómoda, e da testa lívida corria um fio de sangue, que ia fazer uma poça

escura no tapete.

Il capitolo che chiude il romanzo racconta che Vítor si riebbe dopo una febbre cerebrale che

lo tenne a letto per quasi un mese. La versione dello zio sulla morte della donna fu quella di un

improvviso ed inspiegabile suicidio nel mezzo della loro conversazione (p. 457): «- Não sei. Estava-

me contando a sua vida passada, e, de repente, desmaiou. Só Deus o sabe. – Só Deus o deve saber».

Timóteo tenne per sé il grande dolore; Vítor ostentò un lutto meramente formale per qualche tempo;

poi decise di viaggiare e a Parigi passava tutti i giorni sotto la casa che era stata di Genoveva; lì

frequentò anche Mélanie (la cameriera di Genoveva), che rivide con commozione; dopo il suo

ritorno, lo zio Timóteo si ammalò e morì in modo tranquillo e grave; due mesi dopo, Vítor ricevette

la visita di Joana – la donna del pittore Camilo Serrão – che era stata lasciata dall’uomo,

imbarcatosi per il Brasile, e non riceveva più alcun denaro per il mantenimento del loro figlio; Vítor

accolse la bella donna e visse in concubinato con lei ed il figlio di Serrão; continuò a dedicarsi alla

composizione poetica: una poesia dedicata a Genoveva fu pubblicata nell’Almanaque das Senhoras;

quando l’amica Joana Coutinho gli chiese se la sua donna non ne avesse gelosia, «Vítor sorriu, não

respondeu. Mas corou um pouco. Joana, sua mulher, não sabia ler» (p. 460).

Sono le ultime parole del romanzo abbandonato. Ma gli eventi che ho appena riassunto, e

che seguono il tragico suicidio di Genoveva, occupano solo quattro pagine. Effettivamente, il

culmine dell’intreccio – a differenza di quanto avverrà per Os Maias – sta proprio nell’agnizione e

nella morte della donna che ne è diretta conseguenza.

25

Finito di stampare nell’ottobre 2001.