Forme d'aria particolari nelle opere buffe di Giuseppe Sarti
LE FORME DI SILENZIO NELL’ESPERIENZA MAROCCHINA DELLA COMMISSIONE DI EQUITA’ E RICONCILIAZIONE
Transcript of LE FORME DI SILENZIO NELL’ESPERIENZA MAROCCHINA DELLA COMMISSIONE DI EQUITA’ E RICONCILIAZIONE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN STUDI INTERNAZIONALI
DISSERTAZIONE FINALE
LE FORME DI SILENZIO NELL’ESPERIENZA MAROCCHINA DELLA COMMISSIONE DI EQUITA’ E
RICONCILIAZIONE RELATORE:
Prof.ssa Rachele Raus CANDIDATO:
Fatima Zahra HABIB EDDINE
ANNO ACCADEMICO 2006/2007
2
ai miei genitori per la loro infinita pazienza
e il loro amore.
a Assia e Manar, tra le mie più care amiche,
per il loro indescrivibile sostegno che ha reso questo traguardo
più vicino di quello che avrebbe potuto essere.
3
INDICE
INTRODUZIONE.......................................................................................................5
1. LA COMMISSIONE DI EQUITA’ E RICONCILIAZIONE.................................6
INTRODUZIONE...........................................................................................................6 1.1 VERSO LA RICONCILIAZIONE...........................................................................7
1.2 L’ISTANZA EQUITA’ E RICONCILIAZIONE...................................................10
1.2.1 Natura, missione, compiti......................................................................10
1.2.2 Composizione........................................................................................13
1.2.3 I gruppi di lavoro...................................................................................13
1.2.4 Le realizzazioni.....................................................................................15
1.2.5 Le udienze pubbliche.............................................................................16
1.2.6 Le udienze tematiche.............................................................................18
1.3 IER: UNA RICONCILIAZIONE FRAGILE.........................................................18
1.3.1 Il Rapporto Finale..................................................................................18
1.3.2 Riconciliazione fragile...........................................................................20
1.4 DIRITTI UMANI: IL MAROCCO PRIMA E DOPO L’IER................................22
1.4.1 Le tappe del miglioramento...................................................................22
1.4.2 Gli attentati di Casablanca e le loro conseguenze.................................23
1.4.3 Il Sahara Occidentale: un altro fascicolo lasciato aperto.......................27
1.5 UNA CONTINUITA’ NELLA ROTTURA...........................................................28
2. METODOLOGIA DI ANALISI E SCELTA DEL CORPUS.................................30
1.6 IL SILENZIO CHE SIGNIFICA............................................................................30
1.7 LA POLITICA DEL SILENZIO E LA CENSURA...............................................31
1.8 IL CORPUS DI ANALISI......................................................................................32
3. ANALISI DEL CORPUS...........................................................................................36
4
3.1 IL DISCORSO DEL RE MOHAMMED VI..........................................................36
3.1.1 Analisi del Discorso Reale che inaugura l’IER.....................................36
Conclusioni...........................................................................................44
3.2 LA SYNTHÈSE DU RAPPORT FINAL...................................................................46
Premessa...............................................................................................46 3.2.1 Censura e silenciement..............................................................46
3.2.2 Altre strategie di silenzio: gli impliciti, il passivo e l’impersonale.............................................................................49
3.2.3 Il fascicolo delle persone “scomparse”......................................52
3.2.4 Il discorso Reale e la Synthèse: similitudini e riformulazioni del concetto di “verità”...................................................................54
Conclusione...........................................................................................59
CONCLUSIONI......................................................................................................................61
BIBLIOGRAFIA.....................................................................................................................64
5
INTRODUZIONE
Questo lavoro parte da un interesse verso il Marocco moderno e le riforme di
modernizzazione e di democratizzazione che in esso si stanno attuando.
La volontà del Sovrano marocchino Mohammed VI di edificare uno Stato di Diritto
democratico e moderno vede nel banco delle prove due provvedimenti: al-Moudawana (la
riforma del Nuovo Codice di Famiglia) e Hay’at al-insaf wa al-musalaha (la Commissione di
Equità e Riconciliazione). Il presente lavoro parte da una curiosità verso quest’ultimo
organismo e verso il lavoro da esso prodotto. Abbiamo, quindi, incominciato a consultare il
sito ufficiale dell’IER e a leggere i documenti in esso disponibili.
Il mandato dell’IER era di soli dodici mesi, prolungati poi dallo stesso organismo in
altri undici. L’Istanza era incaricata di svolgere diverse manzioni: essa doveva condurre
indagini sulle violazioni dei diritti umani commesse tra il 1956 e il 1999, organizzare incontri
formali e informali, fare visite e sopralluoghi nei centri di detenzione segreta, definire le
vittime idonee a ricevere l’indennizzo e decidere l’ammontare di questo. Essa, inoltre, non
aveva altro potere che quello di emettere raccomandazioni, incluse nel Rapporto Finale che
doveva elaborare per la fine del suo mandato. Il tutto in ventitre mesi. Da qui hanno origine i
nostri interrogativi: perchè gli anni sotto inchiesta sono solo gli anni tra il 1956 e il 1999?
Perchè l’IER ha avuto un mandato così breve per far luce sugli anni più bui della storia del
Regno? Perchè tra le clausole poste all’Istanza vi è quella di non indicare le responsabilità
individuali dei colpevoli dei crimini degli anni di piombo?
Siamo partite dalla constatazione che è vero che, negli ultimi anni, la Monarchia
marocchina ha attuato riforme politiche che rafforzano il rispetto dei diritti dei cittadini, ma è
anche vero che quest’ultimo traguardo è lontano dall’essere raggiunto. Soprattutto, può il Re
del Marocco mettere apertamente in discussione la politica di governo condotta dal suo
predecessore Hassan II? Ma soprattutto, se il governo sta facendo grandi sforzi per sradicare
certe pratiche di repressione, perchè non destituisce dalle loro cariche i funzionari statali
accusati di essere ricorsi alla repressione? Perchè non c’è nessuna politica che ponga fine
all’impunità per i crimini degli anni di piombo?
6
Abbiamo perciò ipotizzato che la riconciliazione ricercata dalla Monarchia marocchina
e dall’organismo creato opportunamente per raggiungerla sia fragile poichè l’equità e la verità
che l’IER stabilisce per realizzare la riconciliazione, a nostro parere, sono fittizie.
Per verificare queste ipotesi abbiamo individuato un corpus di testi da analizzare. Tale
corpus è rappresentanto dal Discorso del Re Mohammed VI, esposto in occasione
dell’inaugurazione dell’Istanza Equità e Riconciliazione, e dalla Sintesi del Rapporto Finale
prodotta dalla commissione stessa. Entrambi i testi sono tradotti ufficialmente in lingua
francese. Abbiamo quindi voluto individuare in questi testi le forme di silenzio adottate e le
altre strategie di analisi del discorso eventualmente presenti.
In particolare, nel primo capitolo presenteremo l’Istanza di Equità e Riconciliazione.
Vedremo le dinamiche che hanno condotto il Regno a intraprendere la strada verso una
maggior garanzia dei diritti umani. Leggeremo, anche, come l’IER ha condotto il suo incarico
e se, negli ultimi anni, ci siano stati progressi in materia di rispetto per i diritti umani in
Marocco.
Nel secondo capitolo vedremo le forme di silenzio nell’analisi del discorso basandoci
sul testo della linguista brasiliana Eni Orlandi Puccinelli. Spiegheremo anche come è stato
selezionato il corpus di analisi.
Infine, nel terzo capitolo affronteremo l’analisi dei testi selezionati ricorrendo agli
strumenti di identificazione delle forme di silenzio appresi. Durante il nostro lavoro
ricorreremo anche agli strumenti di analisi del discorso della Scuola Francese che diamo per
sottintesi.
7
CAPITOLO I
LA COMMISSIONE DI EQUITA’ E RICONCILIAZIONE
“Si 1% des violations des droits humains dénoncées par Amnesty International était vrai, je ne pourrai plus dormir”.
Re Hassan II1
Introduzione
Situato nell’estremo Nord-Ovest del Continente Africano, il Marocco è una Monarchia
Costituzionale, abitato da una popolazione mista nata dall’intreccio di due etnie, quella araba
e quella berbera. Ancora oggi il 40% della popolazione parla amazigh, un gruppo di lingue
berbere.
Nel Marocco vive anche una delle più grandi comunità ebraiche (circa 15 mila
persone), nonostante questa sia meno visibile. I cattolici, perlopiù Francesi, sono circa 60
mila. La popolazione è in gran parte arabofona e l’Islam non rappresenta soltanto la religione
professata dalla maggioranza assoluta della popolazione, ma è anche la religione di Stato:
“L'islam est la Religion de l'Etat qui garantit à tous le libre exercice des cultes”.2 Non solo
1 Hassan II, interview télévisée, cité dans Jacques de Barrin, Le sort des prisonniers politiques, droits du Roi, droits du l’Homme, Le Monde, 30 Novembre 1990 (citato da Human Rights Watch, La commission marocaine de vérité. Le devoir de mémoire honoré à une époque incertaine. November 2005 Volume 17, No. 11). 2 Costituzione del Regno del Marocco, art. 6.
8
“Le Roi, Amir Al Mouminine. Représentant Suprême de la Nation, Symbole de son unité,
Garant de la pérennité et de la continuité de l'Etat, veille au respect de l'Islam et de la
Constitution. Il est le protecteur des droits et libertés des citoyens, groupes sociaux et
collectivités. Il garantit l'indépendance de la Nation et l'intégrité territoriale du Royaume
dans ses frontières authentiques”3. Il Re, infatti, è il capo dello stato, ma la sua legittimità è
essenzialmente religiosa, avendo la status di Amir al Mu’minin (Capo dei Credenti, ovvero,
Guida Spirituale). Il Motivo di ciò risiede nella rivendicazione della dinastia Alaouita di
discendere direttamente dal Profeta Muhammad. 4
Gli Alaouiti governano il Marocco dal 1636. Nel 1912 il Marocco divenne un
Protettorato prima Francese e poi Spagnolo, ottenendo infine l’indipendenza nel 1956.
La popolazione Marocchina è costituita da circa 34 milioni di abitanti, ma vi è una grande
concentrazione di comunità marocchine all’estero, i cosiddetti “Marocchini della diaspora”,
che conta circa 3 milioni di persone. 5
1.1 Verso la riconciliazione
Le lunghe vicende storiche che produssero i cosiddetti anni di piombo e che diedero
motivo a diversi attori nazionali e stranieri di esigere che venisse istituita una commissione
per la verità e la riconciliazione sono ancora oggi dibattute e ancora non fanno parte della
storia ufficiale del Marocco. Non possiamo affrontarle in maniera esauriente in questo lavoro
ma li accenneremo sinteticamente.
Il paese ereditato da Hassan II nel 1961 era frammentato e ancora provato dalla recente
colonizzazione francese. Il giovane Re era “dotato di uno straordinario fiuto politico e di un
grande talento, che gli hanno permesso di superare diverse prove e di assicurarsi un fama
3 Ibidem, art. 19. 4 Tozy Mohamed,“Monarchie et Islam politique au Maroc”, Presses de Science Po, 1999 Paris. 5 L’Europa è sempre stata la meta preferita dell’immigrazione Marocchina; ciò è dovuto a diverse ragioni (storiche, geografiche, economiche, ma soprattutto coloniali). La Francia è il paese che ospita la più grande comunità Marocchina residente all’estero.
9
internazionale”.6 Le misure da lui adottate per “regnare e governare” 7 e per consolidare una
monarchia assoluta erano autoritarie, e avevano come regola principale quella di reprimere
qualsiasi voce dissidente e qualsiasi possibile minaccia alla Monarchia e agli apparati statali.
Il motto del regno era (ed è tuttora) “Dio, il Re e la patria”. Qualsiasi oltraggio al Re poteva
essere punito dalla legge.8 Per questa ragione migliaia tra oppositori politici, sindacalisti,
giornalisti, partecipanti a manifestazioni di protesta o semplici sospettati, venivano
perseguitati, arrestati, torturati, e fatti sparire dalla circolazione senza essere sottoposti a
processi davanti ad un tribunale.9 Altri furono costretti all’esilio forzato.10 I detenuti venivano
rinchiusi in prigioni segrete, spesso lontane dai centri abitati, e tenuti in condizioni disumane.
Queste prigioni non comparivano tra le prigioni ufficiali nei registri del Ministero
dell’Interno.11 Altre volte, invece, i prigionieri venivano lasciati nelle carceri ufficiali ma in
segreto e senza alcun accesso al mondo esterno.
A partire dai primi anni Novanta, la Monarchia Marocchina intraprese un graduale
processo di normalizzazione, in seguito alla pressione esercitata dalla comunità
internazionale, la quale si era mobilitata a seguito delle susseguenti rivelazioni avute nei primi
anni Novanta. Nel 1990, infatti, veniva pubblicato a Parigi il libro “Notre ami le Roi”,12 il
quale rivelava la tragica realtà della situazione dei diritti umani in Marocco a partire dagli
anni Cinquanta. Nello stesso anno venne pubblicato il rapporto di Amnesty International sugli
abusi che si verificavano sistematicamente nelle prigioni segrete, in particolare in quella di
Tazmamart, prigione di cui Hassan II aveva sempre negato l’esistenza.13 Così, nel 1991, il
6 Lamchichi Abderrahim, “Il Marocco oggi : Monarchia, Islam e condizione femminile”, collana Europa-Mediterraneo-Mondo Arabo, l’Harmattan Italia – Confluences Méditerranée, Torino 2001. 7 Idem. 8 Ibidem, p. 51 9 Ricordiamo brevemente gli episodi più eclatanti di questi anni bui: lo sterminio dei rivoltosi del Rif (1959), la violenta repressione dei moti di Casablanca (1965 e 1981), la punizione violenta riservata ai soldati ribelli che hanno partecipato ai tentativi di colpo di stato del 1970 e 1972. La stessa sorte è toccata alla famiglia del Generale Oufkir che ha organizzato quest’ultimo colpo di stato, e che è poi stato punito proclamandolo traditore e uccidendolo. 10 Il caso più noto, e che costituisce uno dei fascicoli non ancora chiusi, è quello dell’oppositore politico Mehdi Ben Barka. Nell’Ottobre 1965 egli veniva rapito nella sua abitazione a Parigi e assassinato segretamente, dopo essere stato torturato a morte. All’inizio del secolo nuove testimonianze hanno messo luce su questo caso rivelando il coinvolgimento del Generale Oufkir (allora Ministro della Difesa) e i servizi di sicurezza francesi. Il corpo di Ben Barka sarebbe stato sciolto nell’acido a Rabat. 11 Si veda International Center for Transitional Justice (ICTJ), “Transitional Justice in Morocco: a Progress Report”, Novembre 2005. Documento reperibile on line in: http://www.ictj.org/images/content/1/9/197.pdf . E’inoltre possibile consultare la mappa delle prigioni segrete nel sito dell’IER: http://www.ier.ma . 12 Il libro è scritto da Gilles Perault ed è tuttora nella lista dei libri proibiti in Marocco. 13 Tra le poche pubblicazioni reperibili in lingua italiana su questo argomento ricordiamo “Il libro del buio” del noto scrittore Tahar Ben Jelloun, edito da Einaudi e “La prigioniera” scritto dalla figlia del Generale Oufkir,
10
Sovrano marocchino, in risposta a questi eventi ed ad altre pubblicazioni di denuncia
comparse negli stessi mesi, liberò più di 330 persone “scomparse”,14 alcune delle quali erano
detenute da circa vent’anni.15
Nel 1979 nacquero l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani (AMDH) e
l’Organizzazione Marocchina per i Diritti Umani (OMDH), entrambe non governative.
Nel 1990, invece, veniva creato da Hassan II stesso il Consiglio Consultativo dei Diritti
Umani (Conseil Consultatif des Droits de l’Homme (CCDH)) col compito di “mettre un
terme à toutes les allégations...et de clore ce dossier [dei diritti umani]”.16 Mentre nel 1993 fu
creato addirittura il Ministero per i Diritti Umani, il quale veniva chiuso nel 2004.
Nel 1998 lo stesso CCDH inoltrava al Palazzo Reale una raccomandazione formale per la
creazione di un istituto incaricato di indennizzare le vittime di alcune violazioni dei diritti
umani,17 e di chiudere definitivamente il dossier delle sparizioni. Nasceva quindi, l’anno
successivo, l’Istanza d’Arbitraggio Indipendente (Instance d’Arbitrage Indépendante (IAI)
voluta dal nuovo Re Mohammed VI, succeduto nello stesso anno al padre Hassan II, morto a
Luglio. Questa commissione ebbe la durata di quattro anni, durante i quali vennero ricevute
circa 8000 persone e venne stabilito di risarcire 3681 persone, riconosciute come vittime per
l’ammontare di 100 milioni di dollari. Nonostante le serie critiche che aveva ricevuto,18
l’esperienza dell’IAI aveva creato un precedente nel mondo arabo, soprattutto perchè essa
costituiva un chiaro, seppure implicito, riconoscimento da parte dello Stato marocchino delle
sue responsabilità nelle gravi violazioni ai diritti umani.
Sul piano istituzionale nel 2001 il Re del Marocco attuò alcune importanti riforme nella
struttura del CCDH, permettendo un maggiore spazio per la partecipazione delle ONG. In
Malika Oufkir e da Michéle Fitoussi, Edito da mondadori. Entrambi i libri raccontano i duri anni di prigionia trascorsi nelle prigioni segrete di Hassan II. 14 ICTJ, ibidem. 15 Tra le persone liberate vi è Driss Benzekri, imprigionato per 17 anni a causa delle sue opinioni politiche in contrasto con il regime. Egli fu nominato successivamente dal Re Mohammed VI Segretario Generale del Consiglio Consultativo per i Diritti Umani e in seguito Presidente dell’Istanza Equità e Riconciliazione. 16 Hassan II, Discours de Sa Majesté le Roi Hassan II lors de l’installation du Conseil Consultatif des Droits de l’Homme le 8 mai 1990, reperibile on line in: http://www.ccdh.org.ma/spip.php?article45. 17 Si tratta della detenzione arbitraria e della latitanza forzata. 18 Le principali critiche mosse all’IAI sono: l’accusa di non trasparenza nella metodologia adottata nel decidere l’ammontare della riparazione; l’interpretazione stessa di riprazione, intesa solo come indennizzo economico ; la disparità nelle cifre accordate alle vittime (il minimo era 600$ e il massimo era 300 000$); l’esclusione di altre forme di violazione dei diritti umani; l’assenza di pubblicità e di visibilità del lavoro dell’Istanza; la scadenza posta per ricevere le domande delle vittime, cosa che ha escluso molte persone dalla riparazione.
11
questa occasione il Sovrano designò Driss Benzekri Segetario Generale del consiglio.19 Alla
fine dello stesso anno, alcune associazioni per i diritti umani in Marocco organizzarono un
Simposio nella capitale marocchina Rabat, discutendo delle possibilità di creare una
commissione per la verità in Marocco. A partire da questo incontro venne elaborata una
proposta formale da presentare al Re Mohammed VI per formare la futura Istanza Equità e
Riconciliazione. Questa raccomandazione fu recepita dal CCDH appena insediato.
1.2 L’Istanza Equità e Riconciliazione
1.2.1 Natura, missione, compiti
L’Istanza Equità e Riconciliazione (Instance Equité et Réconciliation (IER) fu creata
come una Commissione per la Verità e la Riconciliazione in virtù dell’approvazione Reale di
una raccomandazione del CCDH,20 mentre il suo statuto venne pubblicato tramite il Dahir
(Decreto Reale) in data 12 Aprile 2004 nella Gazzetta Ufficiale N° 5203. Seppure la parola
“verità” non fosse contenuta nel nome ufficiale della Commissione, essa veniva definita come
tale da Sua Maestà il Re Mohammed VI, che l’aveva inaugurata durante il suo discorso
pronunciato il 7 Gennaio 2004 nella città di Agadir. Questo evento costituiva un riferimento
fondamentale per la Commissione, essendo stato alla base del suo approcio, e ciò in virtù
della prerogativa costituzionale sul ruolo del Sovrano marocchino di protettore dei diritti e
delle libertà dei cittadini.21
Per quel che concerne la durata temporale della Commissione, invece, non si trovano
accenni nei suoi testi di riferimento. Essa aveva previsto un anno di tempo per compiere la sua
missione, da Aprile 2004 ad Aprile 2005, ma il suo termine fu prorogato a Novembre 2005.
All’Istanza spettava il compito di indagare le gravi violazioni ai diritti umani commesse nel
periodo di tempo dall’indipendenza del Marocco dalla colonizzazione francese (1956) al
1999, data di approvazione dell’Istanza d’Arbitraggio Indipendente (IAI). A questo proposito,
19 Driss Benzekri era già a capo del Forum per la Verità e la Giustizia (Forum Vérité et Justice (FVJ), creato nel 1999 dalle ONG marocchine pe i diritti umani e da ex prigionieri politici. 20 CCDH, Recommandation du CCDH relative à la création de l’instance Equité et Réconciliation: http://www.ier.ma/article.php3?id_article=24. 21 Costituzione Del Regno del Marocco, art.19.
12
alcune Associazioni per la difesa dei Diritti Umani in Marocco si erano mobilitate esprimendo
il loro disaccordo sin dal principio. Khadija Ryadi, Presidente dell’AMDH, affermava nel
corso di un’intervista recente: “Nous avons considéré 2002 comme l’année durant laquelle
les autorités marocaines sont revenues aux pratiques portant des atteintes graves aux droits
de l’Homme, tels que la torture, l’enlèvement, la séquestration dans des centres secrets de
détention, la vengeance des familles des détenus...Nous avions donc demandé que l’IER traite
toutes les violations graves des droits humains”.22
Gli obiettivi principali della Commissione, come specificati nell’articolo 9 del suo statuto,
erano:
- Stabilire la natura e la gravità delle violazioni dei diritti umani commesse in passato
alla luce delle norme internazionali di tutela dei diritti umani;
- Effettuare ricerche sui casi di latitanza forzata sui quali non si era ancora fatta luce;
- Stabilire le responsabilità degli organi dello Stato e di tutte le parti coinvolte in queste
violazioni;
- Indennizzare le vittime delle violenze fisiche e morali, integrando il lavoro dell’IAI;
- Risarcire le vittime di latitanza forzata e di detenzione arbitraria, tramite la
formulazione di raccomandazioni e di disposizioni volte ad assicurare l’integrazione
psicologica e il reinserimento sociale delle vittime, e a garantire loro un’assistenza
sanitaria;
- Elaborare un Rapporto Ufficiale documentato che contenesse e riassumesse il risultato
delle indagini condotte e delle analisi effettuate sui soggetti coinvolti nelle violazioni.
Questo rapporto doveva contenere anche raccomandazioni che proponessero misure da
attuare per preservare la memoria delle vittime e per evitare il ripetersi di tali
violazioni. Esse dovevano anche porre rimedio alle conseguenze prodotte dalle
violenze, e dovevano riacquistare la fiducia dell’opinione pubblica marocchina nelle
leggi e nel rispetto per i diritti umani;
- Promuovere un processo di riconciliazione volto a consolidare la transizione
democratica del paese e la costruzione di uno Stato di diritto basato sui valori della
cittadinanza e dei diritti umani.
22 Entretien avec Khadija Ryadi, présidente de l’AMDH, Brahim Mokhliss. Reperibile on line in: http://www.redasociativa.org/dosorillas/modules.php?name=News&file=article&sid=499&mode=thread&order=0&thold=0.
13
Lo stesso statuto, però, specificava che le violazioni sotto inchiesta erano le stesse su cui
aveva lavorato l’IAI. Si trattava della latitanza forzata e della detenzione arbitraria. Tuttavia,
lo stesso statuto concedeva all’Istanza un’azione più ampia per quanto riguardava la
determinazione della natura e del tipo di violazione dei diritti umani avute in passato.23
“Les attributions de l’Instance Equité et Réconciliation sont non judiciaires […]. Ces
attributions comportent l’enquête, l’investigation, l’évaluation, l’arbitrage et la
proposition.”24 L’Istanza, quindi, era un organismo meramente consultivo, senza alcun
sostegno legislativo al lavoro che conduceva. L’indennizzo delle vittime pareva essere l’unico
ambito in cui le decisioni dell’Istanza erano vincolanti per lo Stato.25 Inoltre, il suo statuto le
proibiva di rendere pubblici i nomi dei responsabili individuali ma di determinare le
responsabilità degli organi statali e non statali.26
In aggiunta a ciò, l’Istanza dichiarava nel suo Rapporto Finale di aver incontrato
alcune difficoltà durante la conduzione delle sue indagini:
Ceci étant, des difficultés ont entravé la recherche de la vérité, parmi
lesquelles, figurent notamment la fragilité de certains témoignages oraux
auxquels l’Instance a remédié par le recours à des sources écrites, l’état
déplorable de certains fonds d’archives nationales quand elles existent, la
coopération inégale des appareils de sécurité, l’imprécision de certains
témoignages d’anciens responsables et le refus d’autres de contribuer à
l’effort d’établissement de la vérité ”.27
Nello stesso Rapporto l’Istanza aggiungeva :
Toutefois, ce niveau de collaboration n’a pas concerné tous les services,
certains d’entre eux ayant fourni des réponses incomplètes concernant des
23 Statuts du l’Instance d’Équité et Réconciliation, art. 9. 24 Ibidem, art. 6. 25 “Indemniser pour les préjudices matériels et moraux subis par les victimes ou leurs ayants droit et ce, en poursuivant l’action de l’ancienne Instance d’arbitrage indépendante chargée de l’indemnisation et en statuant sur toutes les demandes: soumises à l’Instance précitée après expiration du délai fixé auparavant à fin décembre 1999; soumises à l’Instance Equité et Réconciliation dans le délai d’un mois nouvellement fixé du 12 janvier 2004 au vendredi 13 février 2004; et soumises par les ayants droit concernant les cas des victimes de la disparition forcée dont le sort est encore inconnu ou dont le décès est établi et ce, après avoir procédé aux enquêtes et investigations nécessaires”. Statuts du l’Instance d’Équité et Réconciliation, art. 9.4. 26 Ibidem, art. 6 e art. 9.3. 27 Commission Nationale pour la Verité, l’Equité et la Reconciliation, Royaume du Maroc – Instance Equité et Réconciliation - Synthèse du Rapport Final, p. 12.
14
dossiers qui leur avaient été présentés”.28 “La coopération efficace des
services centraux et provinciaux relevant du ministère de l’Intérieur a permis
à l’Instance de tirer amplement profit des facilités qui lui ont été fournies
pour l’accomplissement des ses tâches sur le terrain”.29
Ciononostante, rimane ignoto il tipo di collaborazione che l’IER ricevette dalle
istituzioni statali. Da parte sua lo Stato, e lo stesso Monarca, non avevano promulgato nessuna
legge o raccomandazione per indurre gli organi e i funzionari dello Stato implicati in questi
episodi a collaborare con i commissari.
1.2.2 Composizione
La Commissione era composta da sedici commissari e da un Presidente, tutti nominati
da Sua Maestà su raccomandazione del CCDH. Il Presidente dell’IER era Driss Benzekri, ex
prigioniero politico che aveva scontato 17 anni di prigione a causa della sua militanza nelle
fila dell’opposizione. Otto dei sedici commissari erano membri del Consiglio Consultativo dei
Diritti Umani, alcuni tra i restanti otto appartenevano a storici movimenti politici di
opposizione, gli altri erano attivisti per la tutela dei diritti umani. Di questi ultimi otto
commissari, sei erano ex prigionieri politici e due di loro erano stati costretti per molto tempo
all’esilio forzato. Su uno di questi, Mbarek Bouderka, era stata emessa una condanna a morte.
Inoltre, dei sedici commissari, due avevano ricoperto la carica di presidente dell’Ordine degli
Avvocati, mentre altri due erano giudici, uno nella Corte Costituzionale, l’altro in Corte
d’Appello. Infine, un’altro commissario, Driss El Yazami, ricopriva la carica di Segretario
Generale nella Federazione Internazionale delle leghe dei Diritti Umani (FIDH).30
L’Istanza aveva il supporto di personale amministrativo e di un’unità medica presenti
nella sua sede nella capitale Marocchina Rabat. L’unità medica era composta da uno
psichiatra, un’infermiera e un’assistente sociale con la funzione di rispondere ai bisogni
urgenti delle vittime.
28 Ibidem, p.17. 29 Idem. 30 Statuts du l’Instance d’Équité et Réconciliation, préambule.
15
Nel suo staff, l’IER aveva diverse donne che coprivano posizioni importanti, tuttavia
tra i sedici commissari vi era una sola donna.
1.2.3 I Gruppi di lavoro
La Commissione era composta da tre gruppi di lavoro: il gruppo investigazione, di cui
facevano parte sei commissari; il gruppo studi e ricerche, composto da tre commissari; e
infine, il gruppo riparazione a cui appartenevano i restanti sette. Questi gruppi riportavano
periodicamente alla Commissione, riunita in seduta plenaria, i risultati del loro lavoro.
Il gruppo di lavoro incaricato delle investigazioni aveva il compito di “indagare sui
casi delle vittime della latitanza forzata la cui sorte è sconosciuta, e di raccogliere tutte le
informazioni e i documenti relativi agli avvenimenti di violazioni commesse in passato”.31
Il gruppo di lavoro che si occupava della riparazione, invece, doveva secondo lo
stauto:
poursuivre l’action de l’ancienne Instance indépendante d’arbitrage chargée
des indemnisations, en ce qui concerne les indemnisations au titre des
préjudices matériels et moraux subis par les victimes de la disparition forcée
et de la détention arbitraire et leurs ayants droit, sur la base du même
fondement arbitral et des principes de justice et d’équité ; veiller à la
réparation des autres préjudices subis par les victimes de la disparition forcée
et de la détention arbitraire prévus dans le paragraphe 5 de l’article 9 ci-
dessus. 32
Infine, il gruppo studi e ricerche spettava l’incarico di condurre le ricerche necessarie
al lavoro dell’Istanza. Oltre a questo, esso aveva anche il compito di raccogliere e analizzare
le informazioni e le conclusioni a cui giungevano gli altri due gruppi di lavoro. 33
Tuttavia, poichè l’IER dipendeva economicamente dal Palazzo Reale in maniera
diretta, l’organizzazione americana dei diritti umani, Human Rights Watch, chiese al
Presidente D. Benzekri se questo non costava all’Istanza in termini di autonomia. La sua 31 Ibidem, art. 16. 32 Ibidem, art. 17. 33 Ibidem, art. 18.
16
risposta fu piuttosto negativa: “Nous avons les moyens de faire correctement notre travail.
Nous avons toute possibilité d’agir. Nous ne sommes limités que par notre seule conscience.
Je suis moi-même l’ordonnateur et nous sommes soumis au contrôle de la compatibilité
publique”.34
Nel corso dello stesso incontro con l’organizzazione Americana, D. Benzekri
affermava che l’Istanza Marocchina determinava in maniera indipendente l’ammontare
dell’indennità che sarebbe stata versata alle vittime che ne facevano richiesta. Tuttavia, ciò
non compariva nel suo statuto, e Human Rights Watch faceva notare che l’Istanza non aveva
neppure reso pubblici i criteri che adottava nel definire tale ammontare.35 Secondo la
raccomandazione del CCDH per la creazione dell’IER, quest’ultima, in materia di
determinazione dell’indennizzo da versare alle vittime, doveva applicare gli stessi criteri
attuati dall’IAI (lo stesso organismo che ha ricevuto critiche e accuse di parzialità, non
autonomia e non trasparenza).
L’Istanza aveva dichiarato pubblicamente la sua volontà di collaborare con la società
civile Marocchina, con le vittime delle violazioni e con le associazioni per i diritti umani. Nel
compiere quest’azione essa aveva seguito due principi. Il primo verteva sulla collaborazione
con esperti nazionali ed internazionali: in questo contesto si inseriva la collaborazione col
Centro Internazionale della Giustizia di Transizione (International Center for Transitional
Justice(ICTJ), una collaborazione, tralaltro, intrapresa già nel Dicembre 2003.36 Il secondo
consisteva nel rendere partecipe la società civile Marocchina, i poteri pubblici, le
organizzazioni sindacali e le ONG per la tutela dei diritti umani.
Inoltre, l’IER aveva pensato anche ad un coinvolgimento più ampio della popolazione
e a questo proposito aveva dato inizio, a partire dal mese di Luglio 2004, a “les auditions
publiques” e parallelamente a “les auditions thématiques”, coinvolgendo le università, i centri
di ricerca e le organizzazioni internazionali. Entrambe queste udienze erano comitati creati ad
hoc e non previsti dallo statuto dell’IER.
34 Intervista rilasciata a HRW, Rabat, 6 aprile 2005, cit. in Human Rights Watch, “La commission marocaine de vérité. Le devoir de mémoire honoré à une époque incertaine”. Novembre 2005 Volume 17, No. 11(E), p. 22. 35 HRW, ibidem. 36 A questo proposito si veda il Comunicato Stampa “Morocco's Truth Commission Experience: One More Step toward Truth and Justice”, 10 Novembre 2005, disponibile on line in: http://www.ictj.org/en/news/press/release/253.html.
17
1.2.4 Le realizzazioni
Qualche giorno prima della fine del suo mandato ufficiale, il Presidente dell’IER D.
Benzekri, aveva precisato in un’intervista rilasciata a Human Rights Watch che l’Istanza
aveva ricevuto, fino a quel momento, circa 40 000 richieste di casi che riguardavano da 25
000 a 30 000 pratiche; di questi tra i 10 000 e i 15 000 casi sarebbero stati candidati alla
riparazione.37 Più di 700 persone scomparse o decedute durante le repressioni delle forze di
polizia furono finalmente identificate. Secondo la stessa fonte, migliaia di persone (vittime del
passato, loro parenti, sopravvissuti e agenti delle forze dell’ordine in pensione) furono
ricevute presso la sede dell’IER per registrare le loro testimonianze e per raccogliere maggiori
informazioni. I commissari, inoltre, si recarono nei luoghi dei tumulti sociali, dove le
repressioni erano state violente. Essi visitarono anche i centri di detenzione segreta e le zone
che in passato furono protagoniste di particolari repressioni (l’Atlas, il Sahara Occidentale, il
Rif). In qualcuna di queste zone, l’IER aveva aperto alcuni uffici per ricevere le persone e
sentire le loro testimonianze. Infine, l’IER fece luce su 592 casi di persone “scomparse” e
confermò la morte di altre 322 durante i moti che negli anni ’60, ’80 e ’90, videro le forze
dell’ordine compiere atti di violazione collettiva dei diritti umani.
1.2.5 Le udienze pubbliche
Secondo i documenti resi pubblici dall’Istanza nel suo sito ufficiale http://www.ier.ma,
queste consistevano in sedute dove si raccoglievano le testimonianze orali delle vittime di
fronte all’opinione pubblica. Queste udienze furono sicuramente il lavoro più visibile della
commissione, grazie anche all’ampio spazio concesso loro dai mezzi di informazione,
nazionali ed esteri. Secondo il comunicato dell’IER che annunciava la loro nascita, questo
genere di udienze avrebbe avuto “una grande importanza nel processo di riconciliazione che il
Marocco stava conoscendo”. Esse, secondo l’IER, avrebbero contribuito ad aiutare le vittime
a ritrovare la loro dignità, rendendo “les peines des victimes plus accessibles à l’opinion
37 Intervista a HRW, Rabat, 6 Aprile 2005, cit. in HRW, ibidem.
18
publique”.38 Ma soprattutto esse avevano la funzione di “susciter une reconnaissance
publique et officielle des peines qu’elles ont endurées, et de consacrer les valeurs des droits
de l’Homme”.39
L’IER organizzò sette sedute, a partire dal mese di Dicembre 2004. Le udienze ebbero
luogo in diverse città del Marocco: le prime due a Rabat, poi in Figuig, Errachidia, Khénifra,
Marrakech e El Hoceima, tutte città note per l’alta repressione avuta durante gli anni di
piombo. L’udienza tenuta a El Hoceima il 3 Maggio 2005 iniziò con diverse ore di ritardo a
causa della protesta di un gruppo che rivendicava “tutta la verità sulle violazioni dei diritti
umani commesse nelle province del Nord”.40 Un’ottava seduta era programmata nella città del
Sahara Occidentale, Laayoune, ma questa venne posticipata e poi annullata per “motivi di
sicurezza”.
Potevano partecipare a queste sedute tutte le vittime che volevano condividere “le loro
pene col pubblico”, inoltrando la domanda alla Commissione. Le persone ammesse dovevano
firmare un regolamento elaborato appositamente per queste sedute (Charte d’honneur).41 Le
persone potevano esprimersi nella lingua che più desideravano. Non era permesso rivolgere
loro domande, fare commenti o applaudire, ciò valeva sia per il pubblico che per lo staff
dell’IER. Ciascun testimone aveva tempo 15 minuti, senza interruzioni, per esporre la sua
esperienza. Egli era tenuto a non citare i nomi delle persone ritenute responsabili degli abusi
che denunciavano, e ciò “conformément au caractère non judiciaire de l’Instance et aux
dispositions de ses statuts”.42 Questo fatto aveva provocato critiche e reazioni da parte di
Associazioni e giornali privati.43
Alle sedute erano presenti rappresentati dei movimenti per la tutela dei diritti umani,
associazioni culturali, politiche e sindacali, nonchè rappresentanti delle autorità pubbliche, 38 Documento reperibile on line in: http://www.ier.ma/article.php3?id_article=579 . 39 Ibidem. 40 La sintesi della seduta è disponibile on line al seguente indirizzo: http://www.ier.ma/article.php3?id_article=1121. 41 Il testo integrale della Carta è consultabile on line presso il sito ufficiale dell’Istanza: http://www.ier.ma/article.php3?id_article=639. 42 IER, “Les séances d’auditions publiques: document de référence, disponibile on line in: http://www.ier.ma/article.php3?id_article=579. 43 Ricordiamo, a questo proposito, le audizioni organizzate dall’AMDH tra il mese di febbraio e quello di marzo 2005 a Rabat, Khénifra, Al Hoceima, Marrakech e Parigi “Témoignages en toute liberté pour la vérité”. A queste sedute sono intervenute alcune vittime, raccontando la loro storia e citando i nomi di coloro che ritenevano responsabili delle violazioni subite. (Informazioni sulle testimonianze si possono consultare on line: http://www.amdh.org.ma/html/act_pub.asp). Anche la rivista Le Journal ha pubblicato, al termine del mandato dell’IER, un articolo intitolato “Les noms-dits” contenente la lista dei nomi di alcuni dei responsabili dei crimini. Questo ed altri articoli sono disponibili on line in: http://www.lejournal-hebdo.com/rubrique.php3?id_rubrique=200.
19
invitati nazionali e stranieri, e giornalisti. Le sedute venivano trasmesse dai due principali
canali televisivi nazionali (prima rete e 2m) e persino da Al Jazeera, ma soltanto la prima
udienza fu trasmessa integralmente.44
Se questi “lutti pubblici” erano maltollerati dalla classe politica e dalle frange più
conservatrici del paese, essi trovarono un’accoglienza positiva presso l’opinione pubblica
marocchina (e non solo), ed è chiaro che avrebbero giocato un importante ruolo nella
riconciliazione, semmai questa ci fosse stata.
1.2.6 Le udienze tematiche
Parallelamente alle udienze pubbliche si svolsero quelle tematiche. Queste avevano lo
scopo di rendere partecipe l’opinione pubblica di una riflessione sul contesto che aveva
partorito tali violazioni dei diritti umani nella sua dimensione politica, giuridica, ideologica e
storica. Non solo, esse miravano anche a “fonder une réflexion constructive œuvrant pour
l’élaboration de projets et de programmes d’action concrets pour la consécration de l’Etat de
droit et des institutions, la protection des libertés et contribuant à la non répétition de ces
violations”.45
Ne furono state organizzate cinque, tra il 15 Febbraio e il 15 Marzo 2005 e i temi
affrontati furono i seguenti: “La transizione democratica in Marocco” , “Il superamento della
violenza come modalità di gestione della politica” , “Le riforme politiche, economiche e
sociali” , “Le riforme pedagogiche e culturali” , “Le riforme legislative, esecutive e
giudiziarie”.
A queste sedute presero parte “des experts nationaux et internationaux ainsi que des
acteurs de la société civile et politique”, e vennero trasmesse dal secondo canale nazionale
(2m) in prima serata. Le registrazioni sono consultabili nel sito ufficiale della Commissione.
44 Tuttavia, le registrazioni audio e video sono consultabili nel sito ufficiale dell’IER: http://www.ier.ma. 45 Documento reperibile on line in: http://www.ier.ma/article.php3?id_article=579.
20
1.3 IER: una riconciliazione fragile
1.3.1 Il Rapporto Finale
Il Rapporto Finale dell’Istanza Equità e Riconciliazione fu consegnato al Re il 30
Novembre 2005 dopo, 23 mesi di lavoro. Esso conteneva delle raccomandazioni che se messe
in pratica avrebbero potuto davvero cambiare il Marocco e portarlo alla vera democrazia.
Esse, infatti, contenevano proposte di riforma costituzionali ed istituzionali tali da permettere
che le violazioni dei diritti umani perpetrate in passato non si potessero ripetere.
Il Rapporto sottolineava l’importanza dell’attuazione di riforme costituzionali che
garantissero la tutela dei diritti umani, e sollecitava che nel testo costituzionale venissero
esplicitate le libertà individuali, e che si mettesse fine all’impunità. Tra le riforme proposte vi
era quella della separazione dei poteri46, ma c’era anche una richiesta più specifica circa il
rafforzamento e l’indipendenza dell’apparato giudiziario.
E’ importante sottolineare che le raccomandazioni emesse dall’IER vennero accolte in
maniera positiva dalle organizzazioni dei diritti umani, anche se queste erano pessimiste circa
le effettive applicazioni che potevano trovare.
Al CCDH il Re affidava il compito di proseguire le indagini dei 66 casi lasciati aperti
perchè irrisolti e “d’assurer la mise en oeuvre des recommandations de l’Instance”.47
Pertanto, per quel che riguardava l’indennizzo e la riparazione, il Consiglio aveva proseguito i
processi amministrativi che avevano poi permesso alle vittime e agli aventi diritto di ricevere
l’indennizzo che spettava loro, così come era stato fissato dall’IER.48 Il CCDH si era occupato
anche delle persone che necessitavano di assistenza medica (circa 200 persone). L’IER aveva
stabilito che tutte le vittime venissero integrate nel regime di copertura medica. Su questo
fronte nulla però era stato fatto.
Infatti, l’AMDH, nella sua Dichiarazione Generale del suo Ottavo Congresso tenutosi
a Rabat nell’Aprile 2007, faceva sapere che i risultati raggiunti dall’IER erano “modesti e
46 In Marocco il potere esecutivo è esercitato dal Governo mentre il potere legislativo spetta sia al governo che al Parlamento (bicamerale). La costituzione marocchina prevede un apparato giudiziario indipendente, ma questa indipendenza non è ancora diventata effettiva. Infatti, l’essenziale dei poteri è concentrato nella mani del Re, a cui spetta anche il compito di nominare il Primo Ministro. 47 Texte intégral du discours Royal à l’occasion de la fin du mandat de l’Instance équité et réconciliation et de la présentation de l’étude sur le développement humain au Maroc, 6 janvier 2006. 48 L’IER non ha fatto sapere i criteri che ha adottato per determinare l’ammonate dei tale indennizzo, sappiamo solo la cifra minima assegnata alle vittime è di 10 000 Dh (l’equivalente di 900 Euro).
21
insufficienti” rispetto a quanto aveva previsto il simposio del 2001. La riparazione finanziaria
era “partielle, insuffisante et non transparente”.49 Nella stessa dichiarazione, l’Associazione
marocchina per la difesa dei diritti umani sottolineava che i risultati emessi dall’Istanza non
erano stati messi in pratica (ad eccezione della riparazione finanziaria). Per questo motivo era
necessario proseguire le azioni delle ONG e mettere in luce gli avvenimenti circa i fascicoli
lasciati aperti sugli abusi degli anni di piombo.
Dal punto di vista politico si era registrata un’indifferenza riguardo al lavoro e alle
raccomandazioni emesse dall’IER: tutt’ora non si è parlato di riforme legislative o
costituzionali. Riportiamo qui di seguito l’osservazione dell’Intenational Center for
Transitional Justice: “Members of government and parliament are expected, and will need, to
play a key role in implementing the IER’s recommendations”.50
Ci furono novità soltanto per quanto riguardava la riforma della legge sugli archivi
pubblici, passata in Parlamento. Certamente, le riforme costituzionali restano una prerogativa
esclusiva del Re.
Il CCDH si era occupato dell’organizzazione dell’archivio dell’Istanza e aveva
pubblicato, nel mese di Luglio 2007, l’intero Rapporto Finale in lingua araba.51
1.3.2 Riconciliazione fragile
Diverse sono state le critiche mosse all’IER durante e dopo la fine del suo mandato.
Abbiamo già avuto modo di ricordare la posizione dell’AMDH nei suoi confronti, poichè
l’associazione riteneva che il periodo degli abusi non era mai terminato, soprattutto in seguito
alla lotta al terrorismo intrapresa dal Marocco a partire dagli attentati di Casablanca (16
Maggio 2003). Il mandato della Commissione avrebbe dovuto comprendere anche gli anni
precedenti la sua creazione. In aggiunta a ciò, la credibilità dell’IER aveva vacillato allorchè il
suo Presidente aveva negato che ci fossero stati casi di tortura durante le inchieste condotte in
49 AMDH, “Dichiaration Genéral du 8ème Congrès de l’AMDH”. 50 ICTJ, ibidem. 51 Tale pubblicazione è stata fatta per commemorare la memoria del Presidente dell’IER Driss Benzekri, deceduto il 20 Maggio 2007 all’età di 57 anni. Benzekri era rimasto fisicamente debilitato dal suo rilascio avvenuto nel 1991, dopo 17 anni di prigione.
22
seguito agli atti terroristici di Casablanca, arrivando addirittura ad attaccare le ONG che
avevano sostenuto queste accuse.
Un’altra critica rivolta all’Istanza riguardava la sua autonomia: poichè essa era
composta per metà da membri del Consiglio Consultativo per i Diritti Umani, un’istituzione
statale, il cui Segretario Generale era proprio Presidente dell’IER, sussistevano perplessità
circa la sua effettiva autonomia rispetto al CCDH.
Human Rights Watch, nel suo rapporto “La commission marocaine de vérité. Le
devoir de mémoire honoré à une époque incertaine” dedicato alla Commissione Equità e
Riconciliazione Marocchina, faceva notare che, sebbene la responsabilità di valutazione degli
abusi del presente riguardasse il CCDH, lo statuto dell’IER “établissent un lien entre son
examen du passé et ses obligations envers le futur, et ce lien passe inévitablement par le
présent”.52 Il rapporto proseguiva ricordando gli articoli 5 e 9.6 dello statuto della
Commissione che menzionava le funzioni dell’IER, specificando che questi doveva proporre
“garanzie circa il non ripetersi di queste violazioni” per “garantire la rottura definitiva con
le pratiche del passato”. In un’intervista fatta allo stesso organismo, il Presidente D. Benzekri
aveva confessato che non era stato possibile ottenere i documenti che disciplinavano i
differenti servizi di sicurezza, e quindi non c’era modo di conoscere il loro campo d’azione, le
loro metodologie, la loro formazione e i loro metodi di reclutamento. Ciò, a suo parere, “rend
plus facile les abus”, e impediva all’IER di elaborare raccomandazioni sulla “gouvernance
sécuritaire dans une société démocratique”. 53
Nello stesso documento, l’ONG per i diritti umani chiedeva all’Istanza di far presente,
nel suo Rapporto Finale e nelle sue dichiarazioni pubbliche, che “les pratiques passées
semblent persister actuellement, et que les structures qui les ont rendues possibles sont
apparemment toujours en place”.54
In effetti, al giorno d’oggi sono poche le raccomandazioni emesse dall’IER e messe in
pratica dal governo, e ciò è dovuto soprattutto al carattere consultivo dell’Istanza, mentre il
potere effettivo in tutte le materie contemplate dalle sue raccomandazioni spetta
esclusivamente allo Stato.
Un’altra questione che solleviamo in questo paragrafo riguarda la riconciliazione. Il 6
gennaio 2006 il Re Mohammed VI aveva pronunciato il discorso di chiusura dell’IER in
52 HRW, op. cit., p. 47. 53 Idem. 54 Idem.
23
presenza di ospiti di diverse provenienze: militanti per i diritti umani, alcune vittime e loro
familiari, i membri della commissione, uomini politici di cui alcuni accusati dalle ONG e
dalle vittime di essere tra i responsabili degli abusi. Durante questo discorso, il Sovrano aveva
dichiarato chiuso il fascicolo delle violazioni dei diritti umani (“c’est bien de se tourner vers
l’avenir”),55 chiedendo a tutte le forze politiche di mettere fine alle loro diverse
interpretazioni della “storia”. Ma le tante attese richieste di perdono non furono pronunciate
dal giovane Re. Probabilmente, un’ammissione esplicita di responsabilità sarebbe costata alla
Monarchia in termini di legittimità e avrebbe messo in discussione il suo diritto ad esistere,
poichè scusandosi Mohammed VI avrebbe riconosciuto come colpevole il suo predecessore,
Hassan II. Quindi, se nessuno si attribuisce le responsabilità degli anni bui del Marocco, con
chi si riconcilia il popolo marocchino?
1.4 Diritti Umani: il Marocco prima e dopo l’IER
1.4.1 Le tappe del miglioramento
Abbiamo precedentemente accennato come il processo di riforma in materia di diritti
umani abbia avuto inizio nei primi anni Novanta. Da quel momento il Regno del Marocco ha
conosciuto diverse riforme guidate dallo Stato insieme a forze politiche e a diversi attori della
società civile. Tali riforme, che presentiamo brevemente in questo paragrafo, sono culminate
con la creazione dell’Istanza Equità e Riconciliazione.
Iniziamo, quindi ricordando la riforma costituzionale voluta da Sua Maestà il Re
Hassan II nel 1992, tramite la quale si esprimeva l’attaccamento del Marocco ai diritti umani.
Veniva, inoltre, creato “Diwan Al Madalim” (il Mediatore) che aveva la funzione di mediare
tra i cittadini e l’amministrazione con riguardo per i diritti dei primi.
Nel 1993 il Marocco ratificò tre importanti convenzioni internazionali. Si tratta della
Convenzione contro la tortura e gli altri trattamenti crudeli, degradanti o inumani (CAT), la
Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne
(CEDAW) e la Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC). Tuttavia, su ciascuna furono 55 Texte intégral du discours Royal à l’occasion de la fin du mandat de l’Instance équité et réconciliation et de la présentation de l’étude sur le développement humain au Maroc, 6 janvier 2006.
24
messe alcune riserve da parte del paese. Soltanto il 22 Febbraio del 2005 il Primo Ministro
Driss Jettou annunciò la volontà del suo Governo di sciogliere le riserve sulla Convenzione
contro la tortura. Egli annunciò anche la volontà del Marocco di aderire al protocollo
facoltativo sui diritti civili e politici (ICCPR), di sciogliere le riserve sull’articolo 14 della
Convenzione internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale
(ICERD), sull’articolo14 della Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC) e infine sulla
CEDAW.56
Secondo Human Rights Watch,57 al contrario di altri paesi dove lo Stato era implicato
nelle “sparizioni”, il Marocco aveva giocato un ruolo costruttivo all’interno delle Nazioni
Unite incoraggiando l’adozione della Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le
persone contro la latitanza forzata, adottato dall’ONU il 23 settembre 2005. 58
Nel corso degli ultimi dieci anni le autorità marocchine avevano mostrato una
maggiore tolleranza per le attività delle ONG (locali e internazionali) di difesa dei diritti
dell’uomo.
Nell’ottobre 2003 vennero apportate al codice di procedura penale alcune riforme che
avevano consentito un aumento delle garanzie per un processo imparziale per gli accusati.
Nel febbraio 2004, il Parlamento marocchino adottò un’importante riforma del Codice della
Famiglia, abolendo la maggior parte delle disposizioni che limitavano l’uguaglianza tra
l’uomo e la donna in materia di matrimonio, divorzio e affidamento dei figli.
Negli stessi anni, la stampa marocchina aveva conosciuto un aumentate delle sue
libertà di espressione. I giornali iniziavano a realizzare inchieste sulla corruzione del governo,
sugli scandali finanziari, sulle violazioni dei diritti umani e su problemi sociali quali la
prostituzione, la povertà, l’analfabetismo, la violenza sulle donne, la pedofilia. Tuttavia,
Human Rights Watch dichiarava che “ Pour les journalistes ou les dissidents, les lignes
rouges qui délimitent ce qui peut être exprimé publiquement sont restées les mêmes”.59 La
libertà di stampa, quindi, continuava a conservare i limiti che aveva in passato.
56 Per le riserve emesse dal Marocco e da altri paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, vedere Amnesty Internazional, disponibile online in: http://web.amnesty.org/library/index/engior510092004?open&of=eng-irq. 57 HRW, op. cit., p. 17. 58 Internationl Convention for the protection of all persons from enforced disappearance, E.CN.4.2005.WG.22.WP.1.REV.4. 59 HRW, op. cit., p. 8.
25
1.4.2 Gli attentati di Casablanca e le loro conseguenze
La notte del 16 maggio 2003 alcuni kamikaze si fecero esplodere in diversi luoghi
nella città più grande del paese, Casablanca, uccidendo 45 persone compresi 12 di loro. In un
discorso trasmesso il 23 maggio 2003 via radio e televisione al popolo marocchino,
Mohammed VI annunciava: L'heure de vérité a sonné, annonçant la fin de l'ère du laxisme face à ceux qui
exploitent la démocratie pour porter atteinte à l'autorité de l'Etat, et de ceux
dont les idées qu'ils répandent représentent un terreau pour semer les épines
de l'ostracisme, du fanatisme et de la discorde. Le temps est venu aussi pour
faire face aux désinvoltes et à ceux qui s'évertuent à empêcher les autorités
publiques et judiciaires de veiller, avec la fermeté que requiert la loi, pour
protéger l'intégrité et la sécurité des personnes et des biens.60
Da questo discorso si deduceva un irrigidimento nella linea di governo. Ali El Sarafi,
giornalista marocchino, commentava su Le Monde Diplomatique queste parole del Sovrano
precisando che in realtà il lassismo non era mai esistito, “Al contrario, da mesi, un giro di vite
era percettibile, testimoniato, fino alla caricatura, dalla drammatica vicenda del giornalista
Ali Lmrabet, condannato a quattro anni di prigione (pena ridotta a tre anni in appello), tra
gli altri motivi, per oltraggio alla persona del re”. 61
Meno di una settimana dopo i tragici attentati, il Parlamento marocchino aveva
adottato all’unanimità la legge anti-terrorismo 62 ivi in discussione dall’anno precedente.
Questa legge forniva una definizione più ampia di “terrorismo” rischiando di limitare
sensibilmente l’esercizio delle libertà pubbliche: infatti, era ritenuto terroristico “qualunque
atto premeditato, individuale o collettivo, che abbia lo scopo di attentare all'ordine pubblico
con il terrore o la violenza”.63 Gli altri articoli del testo di legge miravano a restringere le
libertà: la durata del carcere preventivo era stata portata a dodici giorni (tre giorni rinnovabili
quattro volte); le perquisizioni a domicilio erano autorizzate a ogni ora del giorno e della
notte; le disposizioni che regolavano le intercettazioni della posta, quelle telefoniche e la
60 Mohammed VI, Discours de S.M le Roi Mohammed VI suite aux attentats de Casablanca du 16 mai 2003, Casablanca le 29 mai 2003. On line in http://www.maroc.ma/NR/exeres/3696863D-CCED-4209-8EAB-C1DD2D9BF6CB. 61 El Sarafi Ali, Giro di vite sulla sicurezza in Marocco, Le Monde Diplomatique, Luglio 2003. 62 Dahir n° 1-031.140 du 28 mai 2003 (26 rabii I 1424), B.O. n° 5114 du 05-06-2003, p. 416-420. 63 Ibidem.
26
violazione del segreto bancario divennero meno rigide. Infine, fu votato un irrigidimento delle
sanzioni penali. Chi incorreva in vent'anni di prigione rischiava una condanna a trent'anni;
l'ergastolo fu sostituito con la pena di morte. Per Le Monde Diplomatique il presidente
dell’Associazione marocchina dei diritti umani, Amina Abdelhamid osservava: “Si è
verificato un chiaro inasprimento del regime”. Mentre lo scrittore Abdelhak Serhane
lamentava che “Il Marocco sta recuperando le pratiche del passato più arcaiche, più ingiuste
e più disumane”. 64
Secondo Human Rights Watch, nei mesi successivi gli attentati, il governo si era
servito di tali definizioni molte vaghe per condannare centinaia di presunti membri di cellule
terroristiche, oltre che molti giornalisti, accusati di fare apologia del terrorismo.65 Le
organizzazioni per la tutela dei diritti umani, dal canto loro, avevano denunciato la maniera
con la quale 2000 islamisti erano stati arrestati e condannati prima dell’ottobre 2003. Il
rapporto muhakamat ikhtalla fiha mizan al-‘adalah dell’Organisation Marocaine des Droits
de l’Homme (OMDH)66 spiegava in maniera esauriente le violazioni dei diritti umani
compiute nel corso di questi arresti. Esse riguardavano l’illegalità delle incarcerazioni (alcuni
dei quali erano avvenuti violando le leggi marocchine in vigore), il maltrattamento subito dai
prigionieri, la segretezza degli arresti, l’ispezione delle abitazioni private dei presunti
islamisti, l’oltraggio per la dignità umana dei prigionieri, i tempi lunghi per la custodia
cautelare e il ricorso alla tortura per estorcere confessioni ai detenuti.
I tribunali marocchini avevano rifiutato ai prigionieri il diritto a processi imparziali e
non avevano neppure ascoltato le loro testimonianze.67 Secondo il Comitato contro la tortura68
fu esteso il tempo limite della custodia cautelare, tempo in cui il rischio del ricorso alla tortura
era alto. Inoltre, non era stato possibile per i prigionieri in custodia cautelare incontrare un
avvocato, un dottore o di ricevere la visita dei famigliari.
64 El Sarafi Ali, ibidem. 65 HRW, ibidem, p. 13. 66 OMDH, muhakamat ikhtalla fiha mizan al-‘adalah, reperibile online in lingua araba in: http://www.omdh.org/def.asp?codelangue=29&info=768. 67 OMDH, ibidem. 68 Dal novembre 1987 questo comitato sovraintende all'applicazione della Convenzione contro la tortura o altre pene e trattamenti, crudeli inumani e degradanti. Esso osserva i progressi compiuti nell'applicazione della Convenzione, analizzando i rapporti periodici degli Stati; produce proprie osservazioni generali e redige un rapporto annuale per l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
27
Nello stesso periodo, inoltre, era aumentato il numero degli arrestati per ragioni
politiche. Venne incrementato l’impiego della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti
da parte dei servizi di sicurezza marocchini nei confronti dei prigionieri.69
Human Rights Watch aveva capeggiato una commissione di ricerca durante i mesi di
gennaio e febbraio 2004 in Marocco. La ONG americana si era anche occupata di verificare le
violazioni fondamentali dei diritti di cui erano vittima i detenuti, persone arrestate nel corso
della repressione condotta dalla autorità contro le persone sospette di attivismo islamista.
Questo genere di arresti era incominciato in seguito agli attentati terroristici che avevano
colpito New York e Washington e si era intensificato nelle settimane e nei mesi successivi
agli attentati del 16 Maggio 2003. Secondo la stessa organizzazione,70 le forze dell’ordine
marocchine e gli organi giudiziari del paese non avevano rispettato i diritti delle persone
arrestate in seguito a questi ultimi attentati. La polizia aveva effettuato arresti e perquisizioni
di massa senza un regolare permesso. Numerosi detenuti avevano dichiarato di essere stati
sottoposti a torture mentali e fisiche durante gli interrogatori, al fine di estorcere loro
confessioni o forzarli a firmare una deposizione che non avevano rilasciato. Durante il loro
arresto i prigionieri non avevano il diritto di incontrare un avvocato, nè i loro parenti
sapevano il luogo dove essi si trovavano. In altri casi, gli avvocati non avevano avuto il tempo
sufficiente per studiare le pratiche e preparare una difesa adeguata per i loro clienti. Gran
parte dei sospettati furono considerati colpevoli e condannati prima del primo ottobre 2003,
data di entrata in vigore di un emendamento del Codice di procedura Penale che concedeva
alla difesa il diritto di ricorrere in appello.71
Come abbiamo ricordato sopra, gli arresti compiuti in seguito agli attentati di Maggio
2003 avevano coinvolto anche alcuni giornalisti accusati di incitazione alla violenza e al
terrore: Mustapha El-Alaoui, direttore del settimanale arabofono al-Ousbou’, condannato nel
luglio 2003 ad un anno di prigione e il suo settimanale sospeso per tre mesi. L’accusa
rivoltagli era di “apologie d’actes terroristes par voie de publication” che violava la recente
legge anti-terrorismo: egli aveva pubblicato in prima pagina di uno dei numeri del suo
settimanale il testo di un’organizzazione terroristica, la quale rivendicava tre dei cinque
69 United Nations (UN), Conclusions and Recommendations of the Committee against Torture: Morocco, 05/02/2004, CAT/C/CR/31/2: http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/(Symbol)/35b5adec21c0a623c1256e680033c4fb?opendocument. 70 HRW, Maroc: les droits humains à la croisée des chemins (Extraits), Octobre 2004 Vol. 16, No. 6(E), p.2-3. 71 UN, ibidem.
28
attentati che avevano colpito Casablanca. El-Alaoui fu liberato dopo quaranta cinque giorni di
prigione.
Nell’Agosto dello stesso anno Mohamed El-Hourd et Abdelmajid Ben Taher,
rispettivamente direttore e redattore del settimanale Ash-Sharq, e Mustapha Kechnini,
direttore del settimanale al-Hayat al-Maghribiyya, furono condannati a pene da uno a tre anni
di prigione per “ incitazione alla violenza” per aver pubblicato il testo di un islamista che
faceva elogio delle azioni di un movimento jihadista in Marocco. Tutti i tre furono in seguito
graziati dal Re e liberati nel gennaio 2004. Altri giornalisti furono indagati.72
1.4.3 Il Sahara Occidentale: un altro fascicolo lasciato aperto
L’interminabile conflitto del Sahara e i rapporti con l’Algeria rappresentano uno dei
più grandi problemi del Regno e una delle sfide che il giovane Monarca deve affrontare. Dal
1975, data in cui il Sovrano Hassan II aveva organizzato “al masira al khadra” (la marcia
verde) costringendo la dominazione spagnola al ritiro, le forze armate marocchine occupano i
territori del Sahara Occidentale. Da allora iniziò una guerriglia tra le autorità marocchine e il
Fronte Polisario73 per il conrollo del territorio, costringendo 200 mila Sahrawi a rifugiarsi nel
deserto di Tindouf, in Algeria, dove vivono tuttora dagli anni Settanta in attesa di poter
tornare alle proprie terre. La posizione ufficiale marocchina li reputa “sequestrati” dal
Polisario.74
Numerose le rappresaglie compiute dalle forze di polizia marocchina contro i Sahrawi
costringendone centinaia alla latitanza forzata e agli arresti con condanne senza processi equi.
Alcune ONG per i diritti umani avevano stimato che tra gli anni ’70 e ’80 sono circa 1500 i
Sahrawi vittime di latitanza forzata, cifra tralaltro smentita dall’IER che confermava soltanto
260 persone vittime. La stretta sulla regione venne allentata a partire dagli anni Novanto
quando Hassan II aveva liberato 270 persone “scomparse”. Tuttavia il controllo sulla regione
72 Vedi il rapporto di Reporters Sans Frontiéres, www.rsf.org . 73 Il Fronte Polisario era già attivo durante la dominazione spagnola e nel 1976 aveva proclamato la Repubblica Democratica Araba Sahrawi, riconosciuta da alcuni paesi ma inserita dalle Nazioni Unite nella lista dei territori non autonomi. Oggi il movimento del Polisario continua a battersi per ottenre l’indipendenza dal Marocco. 74 Il giornalista marocchino, Ali Lmrabet fu condannato per diffamazione e gli fu impedito di esercitare la sua professione per dieci anni, in seguito alla pubblicazione di un articolo in cui dichiarava che i Sahrawi che vivono a Tindouf sono rifugiati e non sequestrati del Fronte Plisario.
29
continua sussiste ancora oggi, instaurando un clima di terrore, così come continua permanere
la repressione nei confronti dei ribelli.
Nel 1990 ci fu il cessate il fuoco dell’ONU che aveva proposto il Piano Baker col
quale prevedeva un referendum sull’autodeterminazione del popolo Sahrawi. Nel frattempo
che il governo marocchino compiva una campagna di promozione del Sahara, incoraggiando i
Marocchini del Nord a trasferirsi in quella regione in vista del referendum, veniva votato il
Piano dai paesi membri dell’ONU. Sui 191 stati membri delle Nazioni Unite 52 stati erano
favorevoli e ben 89 erano contrari. Ciò rese impossibile realizzare questo referendum.
Secondo il suo Presidente, l’IER aveva compiuto il suo lavoro anche in quella regione
del paese, raccogliendo le testimonianze delle persone e indagando sui casi di latitanza
forzata. Nel loro lavoro, i membri della Commissione avevano collaborato sia con l’ONU che
con il Comitato Internazionale della Croce Rossa. A parte ciò, fu difficile per la stessa
commissione recarsi nel deserto di Tindouf dove vive tuttora la maggior parte del popolo
Sahrawi.
Tuttavia nel 2003 il Forum marocchino per la Verità e la Giustizia (FVJ) fu costretto a
chiudere il suo ufficio locale nella regione, mentre l’AMDH ebbe il permesso di aprire il suo
ufficio di Laayoune solo nel 2005, dopo due anni di attesa.
1.5 Una continuità nella rottura
L’esperienza Marocchina dell’Istanza di Equità e Riconciliazione resta tuttora
un’esperienza inedita nella regione (Nord Africa e Medio Oriente) e si propone ad alcuni
Stati, specialmente quelli arabi, come esempio da seguire. Non si possono negare nè i
progressi fatti dal Regno in materia di diritti umani nè il coraggio mostrato dalla Monarchia
nel riconoscere, seppure in maniera implicita, gli errori commessi in passato. Tuttavia, il fatto
che ad essere indagati furono soltanto i crimini dell’epoca Hassanita, e la scelta dello stato di
non perseguitare i torturatori, neppure destituirli dalle loro cariche, crea una sorta di
diffidenza nei confronti del lavoro realizzato dall’Istanza.
Ricordiamo, inoltre, che quest’ultima aveva assunto la sua missione negli anni più difficili
del Marocco moderno, ovvero, quelli della lotta al terrorismo. Anni caratterizzati in Marocco,
30
come altrove, dall’introduzione di leggi e misure che limitano le libertà individuali, e nello
specifico caso del Marocco, hanno evidenziato quanto le abitudini dei servizi di sicurezza e
delle forze armate reali di ricorrere alla repressione e alla tortura, siano difficili da sradicare.
Per il Palazzo il “dossier” dei diritti umani è chiuso con la fine del mandato dell’IER, anche
se quasi nessuna delle raccomandazioni da questi emessa hanno visto la luce.
Pare che, istituendo una commissione per la verità, la Monarchia abbia voluto dare una sua
interpretazione ufficiale degli anni di piombo col tentativo di sostituirla alle numerose voci in
campo. “Seuls les historiens sont habilités à évaluer la marche de l’Histoire avec
l’impartialité et l’objectivité requises, et à l’abri de toute considération politique
conjoncturelle”.75
Certamente la creazione dell’IER non si iscrive, nonostante gli sforzi del Palazzo nel
farla sembrare tale, nella continuità del processo Hassanita, ma anzi nella sua rottura.
Mohammed VI è riuscito a fare quello che il padre non ha voluto e non poteva fare, cioè
mettere in discussione la storia ufficiale di cinquant’anni di governo.
Molti fascicoli di quegli anni e degli anni recenti rimangono tuttora aperti: gli omicidi
politici, la questione del Sahara Occidentale, la questione dell’impunità, i recenti casi di
arresti forzati, la tortura e i maltrattamento, che sono tuttora all’ordine del giorno nelle
prigioni del Regno. A questo punto, non possiamo non domandarci: il popolo marocchino si è
davvero riconciliato col suo passato?
75 Texte intégral du discours Royal à l’occasion de la fin du mandat de l’Instance équité et réconciliation et de la présentation de l’étude sur le développement humain au Maroc, 6 janvier 2006.
31
CAPITOLO II
METODOLOGIA DI ANALISI
E
SCELTA DEL CORPUS
2.1 Il silenzio che significa
Gli studi che la ricercatrice brasiliana Eni Orlandi76 ha condotto sul “silenciement”
sostengono che nel silenzio stesso esiste una produzione del senso, ciò tramite “le mise en
silence”. Quando una forza maggiore impone un silenzio, come può essere il caso della
censura, ad esempio, questo silenzio traverse les mots77 ed esprime un significato contrario a
ciò che si dice, ma che rappresenta proprio il senso che si tenta di nascondere, di censurare.
Da ciò la nozione di “silence fondateur” elaborata dalla Orlandi nel suo libro “Les formes du
silence”.
“Les mots sont pleins de sens qui ne doivent pas être dits, et nous passons nombre
d’entre eux sous silence”.78 La linguista elabora una concezione positiva del silenzio in
rapporto al linguaggio, superando la definizione che lo rappresenta a partire da una negazione
76 Orlandi Eni Puccinelli, Les formes du silence – Dans le mouvement du sens, s.l. Editora da Unicamp 1994, Edition des Cendres, 1996, pour l’édition française. 77 Ibidem, p. 15. 78 Idem.
32
(ciò che non è). La condizione normale di partenza per definire il silenzio parte dalla sua
relazione costitutiva in rapporto al senso (il silenzio è). Pertanto è il silenzio che permette alla
parola di esistere, le permette cioè di avere senso e di creare senso. Orlandi afferma, a questo
proposito, che il silenzio “ne parle pas”, ma “signifie”.79
A questo punto, essa spiega che ci sono due forme di silenzio: “le silence fondateur” e
“la politique du silence”.
La prima forma indica che il silenzio è l’origine di qualsiasi processo di significato.
Soltanto a partire dal silenzio il linguaggio assume un senso. Non ci soffermeremo su questo
aspetto del silenzio. Per il lavoro che andremo a svolgere, ci basta chiarire questa
considerazione in base alla quale l’autrice elabora le sue teorie, mentre ci soffermeremo sulla
“politique du silence”, lo strumento che ci permetterà di analizzare le forme di silenzio nel
nostro corpus di testi.
La politica del silenzio, invece, presuppone la presenza di un senso esterno che impone
un “silenciement”, producendo quindi una sorta di taglio obbligatorio del senso interno.
Nel prossimo paragrafo approfondiremo questa politica del silenzio nelle sue due
manifestazioni principali, le quali saranno lo strumento essenziale della nostra analisi del
corpus individuato.
2.2 La politica del silenzio e la censura
Scrive la Orlandi: “La politique du silence se spécifie par le fait qu’en disant quelque
chose nous effaçons, nécessairement, d’autres sens possibles, indésirables dans une situation
discursive donnée”.80 Infatti, in una situazione di mise en silence, si dice A per non dire B
oppure non potendo dire B dico A, come è nel caso della censura. In entrambi i casi B è il
senso che si esclude, che si tenta di celare. A questo proposito riproponiamo qui l’esempio
che la scrittrice riporta nel suo libro e che indica come esempio di questa forma del silenzio. Il
regime che seguì la dittatura militare in Brasile venne chiamato “Nuova Repubblica”. Questa
denominazione cancellava ciò che si era avuto in precedenza, cioè la dittatura militare,
79 Ibidem, p. 39. 80 Ibidem, p. 61.
33
attribuendole il nome di “Repubblica”. La definizione “Nuova Repubblica” rimanda al fatto
che c’era stata sempre una Repubblica prima di allora, non una dittatura.
La seconda politica di silenzio individuata dalla Orlandi è la censura. Questa, secondo
la definizione che ne da la scrittrice, agisce sul linguaggio vietando alcune parole per impedire
determinati significati. L’autrice, però, si sofferma sui meccanismi della censura, in
particolare su come il soggetto e il senso si compongono all’interno della formazioni
discorsive . Infatti, quando si proibiscono alcuni sensi, la censura in realtà vieta al soggetto di
occupare una certa posizione. Da qui la definizione di censura, proposta dalla Orlandi come
“l’interdiction de l’inscription du sujet dans des formations discursives déterminées”.81
Per questa ragione, l’identità del soggetto è in qualche maniera minacciata. Essa
influenza il senso cambiandolo. All’unità del testo corrisponde la non completezza del
soggetto. In questa situazione, scrive la Orlandi, i processi discorsivi sono realizzati dal
soggetto, senza però avere il soggetto per origine, poichè le sue parole sono anche quelle degli
altri.82
Questo meccanismo, come vedremo, ci sarà utile nel nostro lavoro di analisi, in
particolare per quanto riguarda il secondo testo del corpus.
2.3 Il corpus di analisi
Il corpus di documenti da noi scelto per l’analisi è costituito da due testi. Il primo è il
Discorso Ufficiale pronunciato dal Re del Marocco Mohammed VI in occasione
dell’inaugurazione dell’Istanza Equità e Riconciliazione, il 7 gennaio del 2004. Esso è stato
diffuso via radio e televisione alla nazione, come di consueto per i discorsi ufficiali.
Abbiamo scelto questo testo poichè la raccomandazione del Simposio del 2000 per la
creazione di una commissione di verità, recepita successivamente in una raccomandazione del
CCDH e presentata al Sovrano marocchino, si ispira alla volontà del giovane Monarca di
proseguire il percorso di tutela dei diritti umani in Marocco intrapreso qualche anno prima da
Hassan II. Il Re ha espresso questa intenzione in diverse occasioni e sin dai primi mesi dalla
81 Ibidem, p. 64. 82 Ibidem, p. 65.
34
sua incoronazione. Nel fare ciò il Re si richiama alla religione, a quella stessa religione
utilizzata da suo padre come strumento di manipolazione autoritario. Non solo, il ruolo che il
Re Mohammed VI gioca oggi in Marocco, era evidente nelle sue prime parole pronunciate in
occasione della sua incoronazione: “En ce qui concerne les institutions constitutionnelles,
notre tâche consistera à donner des orientations, de précieux conseils et à jouer le rôle de
l’arbitre qui est au-dessus de toute appartenance”.83
Inoltre, la Commissione di Equità e Riconciliazione è stata voluta direttamente dal Re, anche
se dietro una formale richiesta del CCDH (un’istituzione, peraltro, governativa).
Il secondo testo che costituisce il nostro corpus è la Sintesi del Rapporto Finale
prodotta dall’IER al termine del suo mandato. Prima di optare per questo testo, abbiamo
passato in rassegna i numerosi documenti presenti nel sito dell’Istanza. Gran parte di questi
non sono prodotti dalla commissione stessa, essendo questi costituiti da articoli della stampa,
interviste, documenti di organizzazioni internazionali, e così via. Un’altra parte dei documenti
è costituita da regolamenti. I reports, i resoconti e le dichiarazioni prodotte dalla commissione
e pubblicate sul sito rappresentano una piccola parte rispetto alla mole di documentazione ivi
inserita. Nonostante il sito fosse consultabile in due lingue, l’arabo e il francese, alcuni dei
documenti prodotti non sono stati tradotti in lingua francese ma sono cosultabili soltanto in
lingua araba.
Il Rapporto Finale non è mai stato pubblicato sul sito, in nessuna lingua. Siamo riusciti
ad avere una copia cartacea dalla sede del Conseil Consultatif du Droits de l’Homme a Rabat.
In quell’occasione ci siamo procurati anche una copia della Sintesi pubblicata in lingua
francese. Tuttora non ci sono traduzioni del Rapporto Finale in altre lingue.
La sintesi, invece, è l’unico documento ufficiale che inquadra il lavoro complessivo
dell’IER. Essa è disponibile sul sito ufficiale dell’Istanza, http://www.ier.ma, nella versione
araba e in quella francese. Abbiamo inoltre reperito una copia della Sintesi in italiano su
internet, nel sito del Centro Studi per la Pace, nel quale, però, non abbiamo trovato indicazioni
sulla fonte da cui proviene il testo e sul traduttore.
Da una lettura attenta di questo testo ci siamo rese conto che esso non è una traduzione
fedele della Synthèse ufficiale, ma che è stato sufficientemente rielaborato. Tuttavia, non ce
ne siamo più occupate poichè il nostro interesse è focalizzato sulla copia francese del testo, la
cui fonte è l’IER. 83 Discours du Trône de Sa Majesté le Roi Mohammed VI. Venerdì 30 Luglio 1999, Palazzo Reale di Rabat.
35
Il Rapporto Finale, At-Taqrir al Khitami, è costituito da 676 pagine racchiuse in un
volume ripartito in sei libri. Questi sono intitolati come segue: 84
- Primo libro: “La verità, la giustizia e la riconciliazione”.
- Secondo libro: “La responsabilità sulle violazioni”.
- Terzo libro: “Equità per le vittime e risarcimento dei danni”.
- Quarto libro: “Gli elementi costitutivi della riparazione e del risarcimento”
- Quinto libro: “Regolamento dei lavori e le attività dell’Istanza”.
- Sesto libro: “Studio sulle condizioni di salute delle vittime di violazioni fisiche dei
diritti umani nel passato”.
La Synthèse du Rapport Final non è una sintesi vera e propria. Da un attento confronto tra
questa e il Rapporto Finale ci siamo accorte che la prima è formata da capitoli estratti dal
primo libro del Rapporto Finale. Fa eccezione la terza e ultima parte della Sintesi dedicata alle
raccomandazioni e che rappresenta una sintesi del rispettivo capitolo, anch’esso dedicato alle
raccomandazioni, del primo libro del Rapporto. Inoltre, da una breve lettura del Rapporto
Finale abbiamo notato che il primo libro rappresenta una sorta di presentazione generale, ma
meno dettagliata, dell’intero lavoro condotto dall’Istanza. Lo stesso lavoro che viene poi
spiegato in maniera più dettagliata (con le “dovute” forme di silenzio percepibili anche ad una
lettura veloce) nei cinque libri successivi. Pertanto, la scelta di collocare la Synthèse nel
nostro corpus di analisi se all’inizio poteva sembrare quasi una scelta quasi obbligata, in
seguito si è rivelata una scelta riuscita. Non solo, da una lettura esplorativa del testo in lingua
francese, abbiamo percepito la presenza di meccanismi di mise en silence e di manipolazione
apparentemente simili a quelli individuati durante la lettura di alcune sezioni del Rapporto
Finale originale, sebbene quest’ultimo sia in lingua araba.
Per i motivi finora illustrati, abbiamo creduto che l’analisi della Synthèse du Rapport
Final potesse essere complementare all’analisi del Discorso Reale tramite il quale l’IER è
stato fondato. In particolare, questo testo presenta gli elementi essenziali contenutistici e di
forma per un’indagine di tipo linguistico che ci potrebbe aiutare ad avanzare una valutazione
generale del lavoro condotto dall’IER.
E’ importante sottolineare che l’analisi della Synthèse non può e non vuole sostituire
l’analisi del Rapporto Finale. Essa costituisce un primo approccio di analisi linguistica, breve
ma completo, dinanzi alle strategie delle forme di silenzio alle quali l’IER ha voluto, o ha
84 Nostra libera traduzione dall’arabo.
36
dovuto ricorrere per non svelare l’intera verità, o per giustificare il fatto di non essere riusciti
a scoprire la verità completa. Pertanto, rimandiamo ad un’altra sede il compito di studiare in
maniera più approfondita le forme di silenzio presenti nel Rapporto Finale, ricorrendo anche
ad altri strumenti di analisi del discorso. Un’altro suggerimento di lavoro può essere quello di
quello di condurre un’analisi comparata del testo pubblicato in lingua arabo e quello in
francese, quando e se questa versione dei sei libri verrà pubblicata.
37
CAPITOLO III
ANALISI DEL CORPUS
“Figlio mio, [...] Dì un pò, ma è vero che Tazmamart non è mai esistito?” “Dicono. Non importa. E’ vero, non è mai esistito. Non ho nessuna voglia di andare a verificare. Pare che una piccola foresta di vecchie querce si sia spostata e abbia coperto la grande fossa. Dicono persino che il villaggio cambierà nome... dicono...dicono...”.
SALIM85
3.1 Il discorso del Re Mohammed VI
3.1.1 Analisi del Discorso Reale che inaugura l’Istanza di Equità e
Riconciliazione (IER)
Di seguito l’analisi integrale della traduzione ufficiale del testo letto dal
Sovrano al popolo marocchino:
Concrétisant Notre ferme volonté Royale d’aller toujours de l’avant dans la
promotion des droits de l’Homme, dans la pratique et en tant que culture,
85 Salim è il protagonista di “Il libro del buio”. Fu imprigionato per 18 anni nella prigione di Tazmamart e poi rilasciato nel 1991. Tahar Ben Jelloun, Il libro del buio, Einaudi, Torino, 2001.
38
nous voilà aujourd’hui, procédant à l’installation de la Commission Equité et
réconciliation, et posant ainsi le dernier jalon sur un parcours devant conduire
à la clôture définitive d’un dossier épineux, au terme d’un processus entamé
au début des années 1990 et dont l’affermissement a fait l’objet de la toute
première décision que Nous ayons prise au lendemain de Notre intronisation.
Dal primo paragrafo emergono già alcuni degli elementi principali che
incontreremo nel resto del testo. Innanzitutto il piano dell’enunciatore è embrayé
“Notre...nous...Notre”, il nous utilizzato è de majesté, mentre le parole
“concrétisant”,” pratique”,” affermissement”,” décision prise” e l’utilizzo in tutto il
discorso del presente indicativo suggeriscono una modalità assertive che ci conduce
ad ipotizzare un ruolo, quello assunto dal Re, di padre autoritario del popolo. Secondo
questa logica, infatti, vedremo che nel testo si parla più di peuple che di citoyens.
Inoltre, il tipo di linguaggio adottato a partire dal primo paragrafo conferma la
ripartizione dei ruoli tra l’enunciatore e i locutori senza lasciare spazi a questi ultimi:
“Notre ferme volonté Royale d’aller toujours de l’avant...” , “ ...le dernier jalon...”.
Emergono, infine, altri elementi che abbiamo affrontato nel capitolo
precedente: l’enunciatore afferma che l’installazione che va effettuando è l’ultima
tappa del percorso precedentemente intrapreso per la tutela dei diritti umani. In realtà
sappiamo che ciò che ha condotto alla creazione dell’IER sono stati i diversi tentativi,
falliti, della Monarchia Marocchina di chiudere definitivamente un “dossier épineux”.
E questa volontà di chiusura viene espressa più volte e in maniera esplicita nel
presente testo (e non solo).
Inoltre, il Monarca ricorda che il progresso in materia di difesa dei diritti
dell’uomo è incominciato nei primi anni ’90 quando regnava ancora suo padre, Hassan
II.
Notiamo che non si fa ancora cenno al contenuto di questi “dossiers”: in
questo paragrafo viene prima utilizzato il termine “parcours”, poi si parla di una mera
questione burocratica, se vogliamo, di un documento o cartella che bisogna
chiudere:“un dossier épineux”.
En ayant à l’esprit la diversité des expériences internationales en la matière,
force est de reconnaître que le Maroc a pu instituer, avec sagesse et courage,
un modèle qui lui est propre et qui lui a permis de réaliser d’importants
39
acquis, dans le cadre de la pérennité de sa Monarchie démocratique et
constitutionnelle, qui est le garant de l’inviolabilité de l’Etat et des
Institutions, ainsi que de la dignité et des libertés des citoyens. Cette
démarche s’est notamment traduite par la grâce accordée aux détenus
politiques, la régularisation de leur situation professionnelle et administrative,
le retour des exilés et expatriés, l’indemnisation des victimes des détentions
arbitraires et des disparitions forcées, ainsi que les recherches sur le sort des
personnes portées disparues.
In questo paragrafo assistiamo alla prima tappa di un recadrage menteur. Esso
poggia sull’evidenza dei progressi fatti dal Marocco negli ultimi anni in tema di diritti
umani. Tuttavia, sappiamo che questi progressi sono dovuti soprattutto ad una
pressione da parte delle ONG marocchine ed internazionali sul Marocco nonchè quella
di attivisti per in movimenti per i diritti umani. Persino la liberazioni dei prigionieri a
cui il Monarca fa accenno è avvenuta in seguito ad una campagna mondiale contro le
violazioni dei diritti dell’uomo, anzichè, (come afferma l’enunciatore) essere la
traduzione del progresso del paese in questa materia. Pertanto, in questo paragrafo ci
accorgiamo di un tentativo di dare una spiegazione diversa alle cose, una spiegazione
che gioca a favore del regime.
A tous ceux qui, au sein de l’Etat ou de la société en général, ont permis la
réalisation de ces acquis, Nous tenons à rendre un vibrant hommage. A cet
égard, Nous Nous inclinons, avec humilité et déférence, devant la mémoire
de l’initiateur de ce processus, Notre Auguste Père, Sa Majesté le Roi Hassan
II, que Dieu L’ait en Sa sainte miséricorde. Nous saluons également tous
ceux qui, parmi les autorités publiques, les partis politiques, les syndicats et
les réseaux associatifs, ont contribué à l’œuvre accomplie.
In questo paragrafo abbiamo la seconda tappa del recadrage, la quale consiste
nell’attribuire al defunto padre, non la responsabilità delle violazioni dei diritti umani
in Marocco, al contrario il merito delle aquisizioni fatte negli ultimi anni ed elencate
nella prima tappa del recadrage, facendone quindi il promotore dei diritti umani nel
paese. Questa scelta di dare una spiegazione diversa agli avvenimenti risponde alla
definizione della Orlandi quando scrive a proposito dei meccanismi di “mise en
silence” dicendo: “on dit «x» pour ne pas (laisser) dire «y», «y» étant le sens à
40
écrater du dit”.86 Nel nostro caso, l’enunciatore non solo nomina X e non nomina Y,
ma fornisce una spiegazione diversa ai fatti che fa sì che Y non possa esistere, neppure
sotto silenzio. Tutto questo ricorrendo ad un linguaggio solenne di tipo religioso che
serve per commuovere gli animi verso la memoria del defunto padre, rendendolo
l’iniziatore del saggio e coraggioso percorso di promozione dei Diritti Umani in
Marocco, per questo motivo a lui spettano tutti i meriti. L’utilizzo del “Nous” e
“Notre” coinvolge gli ascoltatori e li rende partecipi alla riconoscenza verso la
memoria del defunto Re.
Nous Nous félicitons également de l’action louable que l’Instance
indépendante d’arbitrage a menée en matière d’indemnisation pour préjudices
matériels et moraux subis, et qui a permis à notre pays de réaliser des
avancées significatives, reconnues aux plans national et international. De ce
fait, la Commission Equité et Réconciliation disposera d’une base solide pour
mener à son terme l’oeuvre engagée par l’organe auquel elle succède
aujourd’hui.
L’enunciatore fa riferimento all’Istanza d’Arbitraggio Indipendente (IAI) per
legittimare il lavoro svolto da questa e per continuare a ricomporre il quadro di
continuità che egli va presentando. Non solo, ma egli riconosce all’IAI il merito di
aver contribuito al progresso del paese in materia di tutela dei diritti dell’uomo.
Abbiamo visto, invece, come il lavoro di questa Istanza è stato duramente criticato
dalle Associazioni di difesa dei diritti umani e da numerose vittime.
Nous demeurerons attaché à la clôture définitive de ce dossier en favorisant
le règlement extra-judiciaire équitable, et en veillant à ce que les préjudices
du passé soient réparés et les blessures pansées. Nous adopterons, à cette fin,
une approche globale, audacieuse et éclairée, fondée sur l’équité, la
réhabilitation et la réintégration, outre la volonté de tirer les enseignements
qui s’imposent et d’établir les faits. Notre objectif est que les Marocains se
réconcilient avec eux-mêmes et avec leur histoire, qu’ils libèrent leurs
énergies, et qu’ils soient partie prenante dans l’édification d’une société
démocratique et moderne, gage de prévention de toute récidive.
86 Orlandi, op. cit., p. 62.
41
In questo paragrafo vi è la ripetizione, a cui accennavamo sopra, di “clôture
definitive de ce dossier”. La volontà del monarca di chiudere definitivamente il
dossier sembra quasi un’ossessione, non solo del Re Mohammed VI ma anche del
padre prima di lui, come abbiamo potuto notare durante la ricerca da noi condotta.
Ogni volta che la Monarchia ha presentato un nuovo organismo che indaghi i casi di
grave violazione dei diritti umani in Marocco, ha espresso apertamente la volontà che
questo organo chiuda definitivamente il tema delle violazioni, senza però ricorrere alle
vie giudiziarie. Non a caso, infatti, il Re sottolinea il carattere extra-giudiziario
dell’IER.
Notiamo, inoltre, che per la prima volta in questo testo si parla del contenuto
del dossier, ma vi si accenna soltanto come ad una serie di pregiudizi che il popolo
marocchino ha sul proprio passato: infatti, come l’enunciatore stesso annuncerà più
avanti, l’obiettivo per il quale si indaga il passato è finalizzato all’insegnamento che se
ne può trarre ma non si precisa il tipo di insegnamento. Secondo questa logica non è
rilevante sapere i nomi delle persone e delle istituzioni implicate, è importante soltanto
stabilire la realtà dei fatti.
Quando l’enunciatore parla della metodologia di indagine che verrà adottata
dalla commissione osserviamo che vi sono parole vuote non concretamente
significative “Nous adopterons, à cette fin, une approche globale, audacieuse et
éclairée... outre la volonté de tirer les enseignements qui s’imposent et d’établir les
faits”. Si parla dell’approccio che verrà adottato ma non si parla di cosa verrà fatto
concretamente, come verranno condotte le indagini, come saranno individuati e trattati
i colpevoli, come lo Stato risarcirà le vittime, e così via. Pertanto, ritroviamo anche qui
lo schema della Orlandi87 che abbiamo esposto precedentemente. Inoltre, tutte queste
rimangono soltanto parole poichè l’IER non è stato sostenuto da nessun testo giuridico
che possa garantire l’applicazione delle raccomandazioni della Commissione o che
obblighi le istituzioni a collaborare con la Commissione o, ancora, che preveda una
punizione se ciò non dovesse avvenire.
Infine, viene espresso quello che pare essere l’obiettivo della volontà politica di
chiudere il “dossier”, ovvero che i Marocchini si riconcilino “avec eux-mêmes et avec
87 Orlandi, op. cit.
42
leur histoire”: in questo passaggio abbiamo un’altra forma di “silenciement”88. Infatti
nel nostro caso dicendo che i Marocchini devono riconciliarsi con loro stessi e con la
loro storia, si evita di nominare i veri soggetti colpevoli degli atti denunciati: si parla
soltanto delle vittime, dei cittadini oggetto della repressione, mai dai colpevoli, delle
istituzioni e degli organi coinvolti direttamente in questa repressione.
Le travail accompli par la Commission précédente89 et le rapport final que
vous allez élaborer pour l’établissement des faits, dans un délai déterminé,
font que nous considérons votre instance comme une commission de la vérité
et de l’équité. A cet égard, Nous avons conscience que, sans jamais être
parfaite, la vérité ne peut être que relative, même pour l’historien le plus
intègre. En effet, la vérité absolue n’est connue que de Dieu, le Très Haut,
qui dit dans le Saint Coran : " Dieu connaît les yeux perfides et ce que les
coeurs recèlent".
In questo passaggio abbiamo l’unico caso di citation. L’enunciatore legittima e
rafforza il suo punto di vista ricorrendo al Corano e citandone un versetto. Questo è un
tentativo per persuadere gli ascoltatori del discorso a dubitare delle conclusioni che
l’istanza andrà ad elaborare perchè, secondo l’enunciatore, persino per gli storici la
verità non può essere che relativa. Si mette quindi in dubbio persino il lavoro degli
storici, mentre si suggerisce di diffidare delle verità storiche che verranno prodotte
(dall’IER ad esempio). Appare qui la presenza di una riclassificazione della parola
“verità”: nella prima parte del paragrafo l’enunciatore dice di considerare l’istanza
come una commissione di verità e di equità, dopodichè crea un sospetto intorno alla
verità sulla quale la commissione indagherà e invita gli ascoltatori a fare altrettanto.
Egli effettua cioè una ridefinizione del concetto di Verità. Assistiamo, pertanto, ad un
tentativo di riformulazione di tale concetto. Ma non possiamo non interrogarci sul
perchè di questo giudizio sul passato e sulla Verità. Sarà forse riferito al noto caso di
assassinio di Mehdi Ben Berka, caso sul quale le autorità Marocchine e quelle Francesi
devono ancora fornire delle spiegazioni?
Notiamo, inoltre, che mentre in tutto il discorso usa il nous riconoscendosi il
merito delle acquisizioni fatte e del miglioramento raggiunto, nel riferirsi all’istanza
88 Ibidem. 89 Il Re si riferisce all’Instance Indépendante d’Arbitrage (IAI).
43
l’enunciatore usa il pronome votre, non più notre, probabilmente per disconoscersi dal
risultato del lavoro che questa andrà a produrre.
Aussi, cette Commission trouvera-t-elle auprès de Notre Majesté, appui et
sollicitude, eu égard aux délicates tâches qui l’attendent et au fait que son
président M. Driss Benzekri et tous les autres membres de la Commission ont
une réputation avérée d’objectivité, d’intégrité morale et d’attachement
sincère aux droits de l’Homme, qualités auxquelles ils allient de hautes
aptitudes dans le vaste domaine où la Commission est appelée à exercer ses
attributions. Nous avons tenu à ce que ce soit une Commission ouverte,
composée, pour moitié de membres du Conseil Consultatif des Droits de
l’Homme, et pour moitié d’éléments aux profils et spécialités variés, mais
unis tous par une communauté de dessein, à savoir la défense de ces droits.
In questo passaggio l’enunciatore tenta di legittimare anche i membri della
nuova commissione, viste le critiche rivolte alla Monarchia sulla composizione della
IAI e le accuse sulla loro dipendenza dal Palazzo.
Nous tenons ici à dire toute Notre émotion et à exprimer Nos remerciements
les plus chaleureux aux membres de la commission qui ont tous adhéré avec
ferveur à Notre démarche et accepté avec confiance et dévouement
d’apporter leur contribution à la réussite de cette noble mission.
Vi è un uso di un linguaggio di tipo aulico al fine di caricare di importanza il
compito della commissione, compito definito come “noble mission”, espressione che
verrà ripetuta nei passi successivi.
Nous sommes convaincu que Notre Commission qui se prévaut de
personnalités aussi éminentes parviendra avec l’aide de Dieu, dans les délais
impartis, à rétablir les victimes dans leur dignité, à apporter réconfort à leurs
familles, et à réaliser la réconciliation apaisante. Elle saura, Nous en sommes
persuadé, tirer le meilleur parti des réalisations antérieures et consolider les
acquis pour parvenir à un règlement juste et équitable, humain, civilisé et
définitif de ce dossier.
En élaborant son règlement intérieur, et en conduisant la noble mission qui
lui est dévolue, la Commission aura à cœur de se conformer à la décision
portant création de cette instance, ainsi qu’aux conventions internationales
44
des droits de l’Homme et aux idéaux de l’Islam prônant la tolérance et le
pardon.
Telle est la voie à suivre pour consolider l’esprit de citoyenneté positive et
pour que la démocratie, le patriotisme et la dissémination de la culture des
droits et devoirs de l’Homme, s’érigent comme le meilleur rempart pour
prémunir notre société contre les tendances extrémistes et terroristes, que
Nous sommes déterminé, du reste, à combattre avec la ferme volonté de ceux
qui veillent à la sécurité et à la stabilité, dans le cadre de la primauté de la loi.
Nous entendons, en effet, libérer les énergies qui permettront à tous les
Marocains d’être parfaitement en phase avec les aspirations de leur patrie et
de relever les défis internes et externes.
Qui, invece, l’enunciatore dice notre Commission, non più votre. Inoltre si
dice, che la riconciliazione che dovrà essere realizzata dalla commissione viene
definita come “apaisante”, ma confortante per chi? Per le vittime e i loro famigliari o
per il Palazzo?
Si precisa nuovamente che la commissione ha un regolamento interno da
rispettare, basato sulle Convenzioni Internazionali dei Diritti dell’Uomo e sui valori
islamici di “la tolérance et le pardon”. In realtà, i valori di tolleranza e perdono non
sono pertinenti ad un regolamento interno di una commissione, specialmente se questa
ha il compito di indagare ingiustizie e sopprusi. Perciò questo riferimento, tramite il
quale viene nuovamente fatto un esplicito richiamo alla religione islamica, è una sorta
di invito che l’enunciatore rivolge ai cittadini: tollerare quanto è accaduto e perdonare
chi lo ha compiuto. Vi è anche un tentativo di manipolazione che utilizza i valori
comuni, sia quelli della tradizione che quelli moderni di cittadinanza e democrazia. Vi
è poi una forma di manipolazione che insiste sulle paure del popolo, ovvero tramite le
tendenze estremiste che si stanno manifestando nel paese e che cominciano a fare
vittime tra la popolazione per mezzo del terrorismo e di un ritorno della repressione.
Quindi l’enunciatore illustra un’unica strada da percorrere per sfuggire a ciò, senza
possibilità di alternative.
Nous considérons que cette réalisation constitue l’aboutissement et le
couronnement d’un processus exemplaire et inédit, accompli par tous, avec
assurance, audace et pondération, et aussi grâce à l’adhésion démocratique
d’un peuple qui assume courageusement son passé et qui, au lieu de rester
45
prisonnier de ses aspects négatifs, s’attache à y puiser la force et le
dynamisme nécessaires pour bâtir une société démocratique moderne, où tous
les citoyens puissent exercer leurs droits et s’acquitter de leurs devoirs, dans
la liberté, avec responsabilité et dévouement.
In questo ultimo paragrafo il tentativo di manipolazione è evidente: in questo
quadro di società democratica esemplare che il Re ha disegnato prima, il popolo si
assume coraggiosamente il suo passato (come se questi fosse una sua responsabilità)
facendone una forza altrimenti, non sarebbe un popolo coraggioso e democratico.
Conclusioni
Le strategie enunciative particolari che abbiamo incontrato nel testo convergono in
maniera coerente verso una strategia globale che conduce ad un obiettivo, ovvero quello di
legittimare l’enunciatore e il suo ruolo. Anzitutto, tramite un plan embrayé, realizzato
mediante l’impiego del pronome nous, il quale, pur mantenendo distaccati e chiari i ruoli tra
l’enunciatore e il locutore, rende quest’ultimo partecipe delle decisioni che il primo prende
per il secondo, condividendone il parere e le scelte. La modalità assertive insieme all’utilizzo
del presente indicativo in quasi tutto il testo, realizzano l’azione di cui l’enunciatore parla,
coinvolgendo, anche qui, fortemente l’enunciatore.
Dal testo analizzato emerge anche che il Re Mohammed VI sta cercando di costruirsi
un consenso, in materia di diritti umani, che in realtà non ha e che sa bene di non avere. Per
questa ragione, egli nel raggiungere il suo obiettivo, cerca di manipolare il suo uditorio
ricorrendo all’utilizzo degli impliciti. Ciò è evidente nelle parti di testo dove si parla di
democrazia e di libertà, ma senza lasciare spazio alle scelte dei cittadini: sembra, infatti, che
affinchè i Marocchini partecipino all’edificazione di una società democratica e moderna, essi
debbano riconciliarsi con la loro storia; che per consolidare lo spirito di cittadinanza positiva
e di democrazia i Marocchini debbano tollerare e perdonare gli avvenimenti del passato; che
l’adesione democratica dei cittadini può avvenire solo se questi si assumano coraggiosamente
le responsabilità del loro passato. L’enunciatore, quindi, opera sulle aspirazioni dei cittadini
incorporandoli per manipolarli.
46
Il recadrage menteur che abbiamo incontrato, le ripetizioni delle espressioni (ferme
volonté, noble mission, Dieu, verité) hanno l’obiettivo, anche qui, di manipolare gli ascoltatori
agendo e insistendo su quelli che sono i valori comuni. Tali tentativi sono dimostrati anche
dalla citazione del versetto Coranico, dal ricorrente riferimento a Dio in apertura e in chiusura
del discorso, e dal riferimento alla tolleranza e al perdono come valori dell’Islam nel
terz’ultimo paragrafo. Tutti questi elementi giocano sulla sensibilità delle persone e hanno
l’obiettivo di convincimento. La ripetizione di espressioni quali libérer les énergies, société
democratique, moderne, décision è un insistente ricorso a parole generali tramite le quali
l’enunciatore vuole dimostrare di saper affrontare i problemi sociali e le sfide del futuro.
In tutto il discorso analizzato emerge la volontà di Mohammed VI di dimostrare una
continuità della sua politica di governo (pérennité de sa Monarchie démocratique) con quella
del suo predecessore Hassan II, una politica che egli considera coerente con la tradizione
religiosa del paese ma innovatrice, democratica e moderna. Pertanto, la caratteristica
principale di questo discorso politico è la legittimazione del Re e del suo ruolo di Padre del
popolo marocchino.
L’argomento principale del discorso Reale, ovvero la creazione della Commissione di
Verità e riconciliazione, non viene affrontato direttamente. Il motivo per il quale la
Commissione viene creata, ciò che andrà a indagare e così via, sono temi solo accennati. Sin
dal principio viene utilizzato il termine dossier al singolare per diminuirne l’importanza,
riducendolo ad un unico fascicolo di documenti anzichè a diversi casi di sparizioni, di
uccisioni, di arresti, esecuzioni e tortura, accomunati da un’unica definizione, vale a dire
quella di violazione sistematica dei diritti umani. Infatti, in tutto il testo si evita di fare
riferimento al contenuto dei dossiers: i termini utilizzati sono préjudices matériels et moraux,
préjudices du passé. Anche quando si fa riferimento a questo tema col termine dossier lo si fa
dicendo che bisogna chiuderlo: la clôture définitive d’un dossier épineux, la clôture définitive
de ce dossier, réglement définitif de ce dossier. Persino il rapporto che la commissione dovrà
elaborare è chiamato sin dal principio Rapport Final.
Il giovane Re si pone con il popolo alla stessa maniera con la quale si poneva Hassan II,
ossia quella di un padre autoritario. Infatti, le espressioni di apertura e chiusura, rimandano sì
alla tradizione e al costume islamico, ma sono soprattutto le stesse parole che utilizzava
Hassan II nei suoi discorsi letti e trasmessi dalle radio e dalla televisione marocchina. Non
solo, vi è un’altra espressione che Mohammad VI eredita dal padre e che non abbiamo
47
incontrato in questo lavoro ma che è quasi sempre presente nei suoi discorsi ufficiali: si tratta
dell’espressione “sha’bia al ‘aziz”, che la traduzione ufficiale in francese interpreta come
“Cher peuple”, ma che in realtà significa “Mio caro popolo”. Re Mohammed VI ha ereditato
dal padre queste espressioni, e da ciò sembra emergere la volontà di voler assumere le stesse
considerazioni che il popolo marocchino aveva per il suo predecessore Re Hassan II.
48
3.2 La Synthèse du Rapport Final
Premessa
La seguente analisi è condotta sulla Sintesi del Rapporto Finale divulgato dalla
Commissione di Equità e Riconciliazione Marocchina e dal Consiglio Consultativo dei Diritti
Umani in diverse lingue. Il Rapporto Finale è stato prodotto e pubblicato soltanto in lingua
araba, dovevano seguire le versioni in lingua francese, inglese e spagnola, ma fino al mese di
Agosto 2007 (data della nostra visita in Marocco), non erano ancora disponibili.
Abbiamo quindi paragonato la Synthèse con il Rapporto originale in lingua araba, e
abbiamo constatato che, ad eccezione dell’introduzione e delle schede sintetiche allegate alla
fine del testo, i capitoli principali della Synthèse non sono delle vere e proprie sintesi ma sono
estrapolati da alcuni capitoli del primo dei sei libri che costituiscono il Rapporto Finale.
Pertanto, la nostra analisi della Sintesi del Rapporto Finale non vuole nè potrà
sostituire un’analisi globale del Rapporto Finale, ma ha una sua rilevanza dal momento che
essa prende in esame proprio quelle parti del rapporto che interessano noi e che sono al centro
della missione dell’IER. Vediamo, di seguito, gli elementi emersi dal nostro lavoro.
3.2.1 Censura e “silenciement”
Abbiamo analizzato la Synthèse du Rapport Final per individuare gli elementi del
discorso che caratterizzano questo testo e le strategie di silenzio impiegate dalla Commissione
di Equità e Riconciliazione e che illustreremo nel presente capitolo.
In questo paragrafo vedremo le principali forme di silenzio individuate. Come
vedremo nel corso della nostra analisi e citando Orlandi, si tratta di un “silenzio che non parla
ma che significa”.90
L’articolo 6 dello statuto dell’Istanza Equità e Riconciliazione afferma:
90 Orlandi, op.cit. , p. 39.
49
Les attributions de l’Instance Equité et Réconciliation sont non judiciaires et
n’invoquent pas la responsabilité individuelle dans les violations.
Dal punto di vista della nostra analisi questa scelta di silenzio è significativa. Essendo
l’IER ma anche il CCDH (che ha elaborato la proposta formale per la sua creazione) entambe
istituzioni governative, è chiaro che questa decisione risponde ad una strategia di censura, una
forma di censura che l’IER fa propria ma che, nel corso del sui lavori, fa fatica a portare
avanti. Infatti, i responsabili delle violazioni ai diritti umani raramente vengono ricordati nei
documenti ufficiali, e qualsiasi riferimento fatto su di loro nel testo è un allusione piuttosto
vaga. Quindi, le poche volte che vi si accenna, i termini adottati sono i seguenti:
“acteurs étatiques, et parfois non étatique”; “certains anciens responsables”, certains cas;
approche globale; appareils de sécurité; de manière générale.
Di seguito alcuni frasi dove si fanno questi cenni:
“L’IER a pu déterminer dans certains cas et l’identité et le lieu d’inhumation des victimes,
dans d’autres les lieux d’inhumation sans parvenir à préciser l’identité des victimes et enfin
dans certaines circonstances l’identité des victimes sans aboutir à localiser les lieux
d’inhumation”.91
“ …contribuer à la clarification de certains événements historiques ayant occasionné des
violations des droits de l’Homme…”.92
“ Les auditions à huis clos de certains anciens responsables, ont également aidé à progresser
dans certains cas… ”.93
“certains anciens responsables ont refusée de présenter leurs témoignages devant
l’Instance,… ”.94
“...en vue de les rétablir dans leur dignité… ”.95
“Dans son approche globale, l’Instance a lié la réparation aux autres missions dont elle a été
investie”.96
“La multiplicité des appareils de sécurité qui sont intervenus”.97
91 Synthèse du Rapport Final, op. cit., p.11. 92 Ibidem, p. 5. 93 Ibidem, p. 18. 94 Idem. 95 Ibidem, p. 30. 96 Ibidem, p. 18. 97 Idem.
50
Le parole scelte per indicare i colpevoli delle violazioni dei diritti umani sono eufemismi
utilizzati al fine di attenuare il carico espressivo di ciò che si scrive.
A questa figura retorica si aggiunge una strategia di silenzio che permette un “détournement”
del senso, ovvero, concede al locutore la possibilità di deviare dal vero senso. Le
“détournement” risponde alla strategia di “silenciement” di dire A non potendo dire B.
Questa clausola condivisa obbliga a tacere, quindi a censurare un’informazione. Tuttavia, nel
redigere il suo Rapporto Finale, l’IER pur adottando strategie per evitare di evocare i soggetti
implicati nei crimini indagati (strategie che illustreremo nei paragrafi successivi), in alcuni
contesti ciò non è stato possibile. Perciò riteniamo che in questi casi si instaura una “politique
du silenciement” la quale “non obbliga a tacere, ma a dire una cosa per non dire un’altra”.98
Ricordiamo qui un’altra strategia di “silenciement” incontrata nella Synthèse. Nel
capitolo dedicato alle raccomandazioni, la Commissione sottolinea l’importanza del
consolidamento delle garanzie dei diritti umani a livello costituzionale, raccomandando
riforme al testo, oltre che il controllo costituzionale delle leggi e dei regolamenti autonomi, e,
infine, la separazione dei poteri. Essa poi esprime la richiesta di aprire una strategia nazionale
di lotta all’impunità. Anche questa richiesta rappresenta, secondo noi, una forma di
“détournement” del senso, poichè non potendo dire B dico A. In questo caso B sono i nomi
dei responsabili dei crimini contro i diritti umani commessi in Marocco, mentre A rappresenta
“la strategia nazionale di lotta all’impunità” che l’IER propone.
3.2.2 Altre strategie di silenzio: gli impliciti, il passivo e l’impersonale
Nella Synthèse du Rapport Final le principali parole associate alle vittime sono:
victimes; violations graves des droits de l’Homme; dignité.
Nello Statuto dell’IER la parola “victime” viene definita nel modo seguente:
“personne ayant fait l’objet de la détention arbitraire ou de la disparition forcée telles que
spécifiées ci-dessus”. Come vediamo, questa è una definizione molto limitativa poichè
considera vittime soltanto le persone sottoposte alla detenzione arbitraria o alla latitanza
98 Orlandi, op. cit., p. 51.
51
forzata. Ci domandiamo il motivo di questo limite nella definizione. Sarà che queste due
forme di violazione ai diritti umani sono quelle su cui lo Stato non può proprio negare il suo
coinvolgimento? O perchè questa definizione costituisce la base della riparazione e della
concessione dell’indennizzo che lo Stato riconosce alle vittime. Se così è, in questa maniera si
circoscrive il numero delle vittime a cui il Regno riconosce l’indennizzo, e quindi il torto.
Invece,“Violations graves des droits de l’homme” viene così definita: “la disparition forcée
et la détention arbitraire telles qu’elles sont définies ci-dessous, en ce sens qu’elles
constituent des catégories des violations des droits civils et politiques ayant un caractère
massif et systématique”.
Anche questa definizione è limitativa: le gravi violazioni dei diritti umani non possono
essere limitate a sole due forme di abusi.
E’ chiaro che, ricorrendo ad queste forme di “non-detto”, si riduce il numero del tipo
di violazione di cui è accusato lo Stato, e quindi si riduce anche il numero dei dossiers a cui
verrà riconosciuto il risarcimento.
Passiamo ora alla strategia dominante nel testo: il ricorso agli impliciti. Secondo
Ducrot, citato dalla Orlandi:
Il ya des modes d’expression implicite qui font comprendre sans encourir la
responsabilité d’avoir dit [...]. Or, on à fréquemment besoin de dire certaines
choses et en même temps de pouvoir faire comme si on ne les avait pas dites,
de les dire mais de telle façon que l’on puisse récuser sa responsabilité.99
Infatti, il ricorso agli impliciti permette ai membri della commissione di fare alcune
rivelazioni senza con ciò assumersene le responsabilità e quindi le possibili conseguenze.
Così, per annunciare che da parte del popolo marocchino c’è una volontà di riconciliazione
dice “Dans ce contexte, et conformément à la volonté de réconciliation des Marocains avec
leur passé...”.100 Evidentemente la forte volontà manifestata dall’opinione pubblica
marocchina e dalla società civile di far luce sui crimini commessi dallo Stato nell’ultimo
mezzo secolo, viene considerata una volontà di riconciliazione. Un poco più avanti prosegue:
“...et d’asseoir les bases de la réconciliation orientées vers la consolidation et la transition 99 Ducrot, 1972, p. 18, citato in Orlandi Eni Puccinelli, Les formes du silence – Dans le mouvement du sens, s.l. Editora da Unicamp 1994, Edition des Cendres, 1996, pour l’édition française, p. 57. 100 Synthèse du Rapport Final, op. cit., p. 28.
52
démocratique, le renforcement de l’édification de l’Etat de droit et l’enracinement des valeurs
et de la culture de la citoyenneté et des droits humains”101 così da far passare in maniera
indiretta il messaggio che vi è in corso una transizione democratica, l’edificazione dello Stato
di Diritto (un’espressione che viene ripetuta più volte nel testo) e una radicalizzazione della
cultura della cittadinanza e dei diritti umani.
Altri esempi di messaggi che la Synthèse trasmette in maniera implicita sono
presentati di seguito:
“Elle [la réparation] contribue également à conforter l’approche fondée sur les droits de
l’Homme, la démocratie et la participation dans les programmes de développement
économique et social en cours”. 102
“ en liant les programmes conçus à cet effet à la réparation communautaire afin de permettre
à la société de s’engager résolument, au plan local et national, dans l’action de consolidation
démocratique en cours, et de restaurer la confiance en l’Etat de droit, à travers une
citoyenneté participative garantissant la préservation de la justice sociale et la réussite du
projet d’édification d’une société démocratique et moderne”.103
“L’Instance a retenu le principe d’établir publiquement la vérité sur les violations graves des
droits de l’homme, […], en tant que choix stratégique pour déterminer la responsabilité de
l’Etat au lieu de la responsabilité des individus”.104
In quest’ultimo passaggio, l’implicito informa i lettori che il “débat libre, serein et
ouvert” è una scelta strategica per stabilire la responsabilità dello Stato anzichè quella degli
individui. E’ forse un riferimento alle udienze pubbliche e tematiche? O alla volontà Reale di
rendere pubblico il Rapporto Finale?
Inoltre, poichè l’Istanza ha scelto di non nominare le responsabilità individuali delle
violenze oggetto di indagine, essa ricorre ad altre due strategie per raggiungere questo fine. Si
tratta del ricorso alla forma impersonale e alla forma passiva, un ricorso che facilita il
mantenimento di questa scelta dal momento che nel descrivere gli avvenimenti non si è più
costretti a chiamare in causa il soggetto (o i soggetti) autore dei fatti descritti.
Di seguito un esempio:
101 Ibidem, p. 29. 102 Idem. 103 Ibidem, p. 29, 30. 104 Ibidem, p. 30.
53
L’analyse des cas de disparition forcée des attributions de l’Instance a permis
de constater que cette violation a été commise de manière générale contre des
personnes isolées, enlevées de leur domicile ou dans des circonstances
indéterminées, et détenues dans des centres illégaux.
Considérant que la période couverte par le mandat de l’IER est la plus longue
qu’une commission de la vérité ait eu à traiter (43 ans), que les crises de
violence politique qui ont occasionné des violations graves des droits de
l’Homme sont de nature très variée et ont impliqué de nombreux acteurs
étatiques, et parfois non étatiques, et en l’absence d’une documentation fiable
et de travaux académiques sur certains épisodes de l’histoire du temps
présent au Maroc, le travail de l’IER en matière d’établissement de la vérité a
pris plusieurs formes.105
Per il medesimo scopo viene utilizzata la forma passiva. Questa, infatti, è presente
soprattutto nei capitoli in cui si parla delle vittime e delle violenze da queste patite:
“Cette confusion a été d’autant plus manifeste que certains éléments constitutifs de la
disparation forcée se retrouvent dans certains cas de détention arbitraire, particulièrement la
non divulgation du lieu de détention et le refus de dévoiler le sort de la personne privée de
liberté”. 106
“…l’Instance est arrivée à la conclusion que la disparition forcée a été exercée contre des
personnes et des groupes, lors d’événements politique…”.107
“L’analyse des cas de disparation forcée relevant des attributions de l’Instance a permis de
constater que cette violation a été commise de manière générale contre des personnes
isolées,…”.108
Da notare che negli stessi capitoli, quando viene adottata la forma attiva, i riferimenti
ai soggetti sono, anche qui, impliciti:
“Dans certains cas, les services de sécurité ont tiré des coups de feu à l’intérieur des maisons
[…]”.109
“Les autorités se son abstenues de porter assistance à des citoyens blessés […]”.110
105 Synthèse du Rapport Final, op. cit., p. 10. 106 Ibidem, p. 9. 107 Idem. 108 Ibidem, p. 10. 109 Ibidem, p. 16. 110 Idem.
54
“…ces communiqués officiels ont donné de manière systématique des informations non
conformes à la réalité quant au nombre des décès et à leurs causes”.111
3.2.3 Il fascicolo delle persone “scomparse”
La “Disparition forcée” (latitanza forzata) viene definita nello statuto dell’IER
come: “l’enlèvement ou l’arrestation d’une ou plusieurs personnes et leur séquestration,
contre leur gré, dans des lieux secrets en les privant indûment de leur liberté, par le fait de
fonctionnaires de l’autorité publique, d’individus ou de groupes agissant au nom de l’Etat, ou
la non reconnaissance de ces faits et le refus de révéler le sort qui leur est réservé les
soustrayant à toute protection juridique”. 112
Il primo capitolo della Synthèse du Rapport Final è dedicato all’“Etablissement de la
vérité et détermination de la responsabilité”, e il primo paragrafo di questo capitolo si
concentra sul fascicolo delle persone “scomparse”. Ci soffermiamo innanzitutto sul sottotitolo
di questo paragrafo: “Dossier des personnes présumées disparues”. Questa parola crea
incertezza sul fatto che le persone che costituiscono il fascicolo possano essere effettivamente
“scomparse”. Perchè? Si pensa che siano morte, e quindi non sono più da considerare
“disparues”? O si rinnega la loro effettiva scomparizione? Ma agendo in questa maniera non
si compie un ennesimo atto di latitanza forzata, come dichiarato dalla definizione ufficiale
stessa dell’IER di latitanza forzata che abbiamo riportato e sottolineato?
Nel paragrafo preso in esame vengono presentate le ricerche condotte dalla
commissione e i metodi che essa ha adottato. Vengono forniti anche i risultati raggiunti: il
rapporto presenta il numero delle persone decedute, la categoria delle persone vittima di
questa violenza (“des personnes et des groupes”), i luoghi dei decessi, il periodo di tempo e i
luoghi di sepoltura.
Tuttavia, non si parla delle circostanze riguardanti la loro scomparsa e la loro morte,
nè vengono dichiarate e determinate le responsabilità istituzionali degli organi statali, cosa
che l’IER doveva determinare secondo il suo statuto. Neppure in maniera generale. Di nuovo,
111 Idem. 112 Statuts du l’Instance d’Équité et Réconciliation, art. 9.
55
quindi, siamo di fronte ad un “détournement” del senso. Dove, in questo caso, la A è
un’informazione già risaputa, l’averla confermata l’IER la rende soltanto ufficiale. Mentre B è
l’informazione tanto attesa dalle vittime (il riconoscimento ufficiale del coinvolgimento dello
Stato) e dai loro famigliari (sia il riconoscimento del coinvolgimento statale che la sorte che è
toccata ai loro cari scomparsi). In aggiunta a ciò, numerosi sono i casi lasciati aperti dall’IER
e tra questi il dossier di Mehdi Ben Berka.
Il paragrafo del fascicolo dei disparues si conclude menzionando le difficoltà
incontrate dalla Commissione nello svolgimento del suo compito, tra le quali la mancata
collaborazione da parte di alcuni testimoni e “anciens responsables”. Anche qui, se torniamo
alla definizione che abbiamo citato a inizio paragrafo riguardante la definizione ufficiale
dell’IER del crimine di “latitanza forzata”, vediamo che anche il rifiuto da parte di funzionari
statali di rivelare la sorte delle vittime è considerato un crimine di latitanza forzata. Quindi,
secondo i principi della stessa Istanza, questa mancanza di collaborazione da parte degli
organismi statali coinvolti è di per sè un crimine di latitanza forzata. I commissari, però, non
fanno presente ciò, e neppure ci informano sul tipo di collaborazione, o mancata
collaborazione che hanno avuto da parte degli organismi statali interpellati.
I paragrafi che seguono, invece, e che riguardano altri tipi di violazioni sono più
precisi riguardo al tipo di violenza inflitto ai progionieri e alle condizioni di vita in cui
versavano. Anzi, il rapporto si è spinto oltre, indicando il motivo di tali violenze:
En analysant les événements et les faits liés aux cas de disparition forcée
avérée déterminés par l’Instance, on peut affirmer que le recours à ce type de
violation comme mode de répression avait pour objectif d’intimider et de
terroriser les opposants politiques et la société dans son ensemble.113
Le recours privilégié à la torture lors de l’interrogatoire des détenus dans les
affaires à caractère politique avait pour but non seulement d’arracher des
aveux, mais aussi de les châtier et de les humilier physiquement et
moralement. La volonté de soutirer des aveux à tout prix, l’humeur
changeante des policiers ainsi que l’absence de formation ont constitué autant
de facteurs qui ont contribué à l’extension de la torture même aux personnes
poursuivies dans des affaires de droit commun.114
113 Synthèse du Rapport Final, op. cit., p. 9. 114 Ibidem, p.15.
56
Non c’è quindi, un approcio unitario nell’esposizione dei risultati raggiunti
dall’Istanza. Il testo che ne risulta è disomogeneo e non unitario a causa delle stretegie di
silenzio a cui si è fatto ricorso per evitare di dire ciò che non è possibile dire. Di conseguenza,
un lettore attento riesce a cogliere facilmente queste incongruenze presenti nella Synthèse du
Rapport Final.
3.2.4 Il discorso Reale e la Synthèse: similitudini e riformulazioni
del concetto di “verità”
In una prima analisi, possiamo dichiarare che in generale la Synthèse du Rapport Final
presenta non poche similitudini con il testo Reale del nostro corpus di lavoro.
Queste similitudini riguardano sia “le dit” che “le non-dit”.
“Le dit” si riferisce a parole e a frasi, le quali a volte sono addirittura le stesse di
quelle del testo Reale. Di seguito qualche esempio, alcuni dei quali ci siamo occupati
precedentemente: victime; violations graves des droits de l’Homme; dignité; clôture;
approche globale; règlement équitable; l’esprit citoyen; société démocratique et moderne; la
culture des droits humains. Ma riguarda anche le stile, il tipo di linguaggio (che è politico), e
“le positionnement” dell’enunciatore rispetto all’argomento trattato, che (anche qui) è lo
stesso del Re Mohammed VI.
“Le non-dit” riguarda quanto abbiamo già avuto modo di ricordare: oltre alla riserva
sulla dichiarazione dei nomi dei responsabili delle violazioni commesse, sono pochi e troppo
vaghi i cenni fatti sulle autorità coinvolte e i gradi della loro colpevolezza persino a livello
istituzionale. E questo, nonostante l’articolo 9 dello Statuto IER precisi i compiti che
costituiscono la missione dell’Istanza e reciti quanto segue: “Déterminer les responsabilités
des organes de l’Etat ou de toute autre partie dans les violations et faits objets
d’investigations”. 115
Non solo, dalla nostra analisi emerge l’assenza della parola “torture”, alla quale la
Synthèse dedica un paragrafo, ma da lì in poi non viene più rievocata. Non solo, questo
termine non risulta presente neppure una volta nello statuto dell’IER. Questo fatto è
115 Statuts du l’Instance d’Équité et Réconciliation, art.9.
57
abbastanza anomalo dal momento che l’uso della tortura è, ma soprattutto è stato, una prassi
nelle abitudini dei servizi di sicurezza marocchini.
Inoltre, c’è un altro elemento di non detto facilmente percepibile in questo capitolo
della Synthèse. Si tratta delle parti coinvolte nella riconciliazione. Infatti, questa viene fatta
solitamente tra due parti. Nel nostro caso, una parte è costituita dalle vittime delle violazioni
dei diritti umani o dai loro famigliari, nonchè tutto il popolo marocchino che ha vissuto anni
di paura e di sofferenze; mentre l’altra è formata dai soggetti, dalle istituzioni e da tutti coloro
che sono coinvolti nei singoli episodi di repressione e nell’instaurazione del clima di terrore
nel paese. Ecco, di questi soggetti non si parla, vengono però sostituiti con “la storia”,“ il
passato”. Per questo motivo non è chiaro con chi il popolo marocchino deve riconciliarsi.
Persino la stampa e chiunque viene interpellato in questa materia, ha adottato come soggetto
della riconciliazione “la storia” o “il passato”, assecondando la versione ufficiale. Dal punto
di vista dell’analisi delle forme di silenzio siamo di nuovo di fronte al “détournement” del
senso, dire A per non dire B, dove la nostra A è “il passato”, “la storia” e B “lo Stato”, “gli
organi statali”, “i colpevoli”.
Le similitudini riscontrate in questo capitolo riguardano il linguaggio, la ripetizione
(a volte letterale) di parole e di frasi, la soffermazione sul ruolo della storia e sulla parola
verità e, infine, l’obiettivo del testo che si rivela lo stesso del testo preso come misura di
paragone.
Il linguaggio impiegato in questo capitolo è di tipo narrativo-argomentativo. Esso si
avvicina più ad un testo politico che al risultato di un’indagine storico-politica.
Dal punto di vista del contenuto, ma anche della scelta di utilizzare alcune
espressioni e alcuni termini chiave piuttosto che altri, la Synthèse rimanda molto al discorso
del Re Mohammed VI già presente nel nostro corpus.
Quanto finora detto si può verificare in questa tabella in cui paragoniamo le frasi
estrapolate dai due testi del corpus di analisi:
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Discours Royal
Synthèse du Rapport Final
Notre objectif est que les Marocains se
réconcilient avec eux-mêmes et avec leur
histoire
Ces mutations ont constitué les prémisses
du processus de réconciliation des
Marocains avec leur histoire
Telle est la voie à suivre pour consolider
l’esprit de citoyenneté positive et pour que
la démocratie, le patriotisme et la
dissémination de la culture des droits et
devoirs de l’Homme…
…renforcement de l’esprit citoyen /
…la culture de la citoyenneté et des droits
humains
l’édification d’une société démocratique et
moderne / bâtir une société démocratique
moderne
l’édification d’une société démocratique et
moderne.
à rétablir les victimes dans leur dignité
…rétablir les victimes dans leur dignité…
pour parvenir à un règlement juste et
équitable, humain, civilisé et définitif de ce
dossier. / Nous demeurerons attachés à la
clôture définitive
Elles ont également souligné la nécessité
d’œuvrer un règlement équitable et définitif
du dossier des violations de ce dossier en
favorisant le règlement extra-judiciaire
équitable
Perchè questa evidente similitudine? Perchè riprendere il contenuto del discorso
pronunciato dal Sovrano a volte senza neppure cambiarlo? Non siamo ancora in grado di dare
una risposta precisa a queste domande, si può tuttavia supporre che si tratti di una forma di
censura, per la quale, come dice la Orlandi, il soggetto del testo opera in maniera incompleta:
59
“Les processus discoursifs sont réalisés nécessairement par le sujet, sans avoir le sujet pour
origine, le sujet en parlant se divise: ses mots sont aussi ceux des autres”. 116
Pertanto, la commissione fa proprie le parole del Re, aderendo e condividendo i suoi
obiettivi.
Veniamo ora al passaggio sulla storia e sulla verità. Nella Synthèse si legge:
Dans ce contexte, et conformément à la volonté de réconciliation des
Marocains avec leur passé dans le cadre du règlement pacifique et équitable
des violations ainsi que l’a affirmé l’important Discours Royal à l’occasion
de l’installation de l’IER, l’expérience marocaine a choisi le recours à la
justice restaurative à la place de la justice accusatoire, et la vérité historique
au lieu de la vérité judiciaire, car la justice restaurative n’a pas pour lieu
l’espace restreint du prétoire, mais l’espace public dont l’horizon s’étend
pour contenir tous les domaines de l’action sociale, culturelle et politique. 117
Quanto affermato sopra è un’argomentazione a favore della riserva di non nominare i
responsabili dei crimini indagati. Ma nell’argomentare questa scelta (o piuttosto questa non
scelta) gli autori del rapporto commettono un grave affronto alla Giustizia, poichè ad essa
viene preferita la verità storica accusando la verità giudiziaria di avere uno spazio ristretto,
quello costituito dalle aule dei tribunali. Se ciò può essere vero talvolta referendosi ad alcuni
aspetti dell’apparato giudiziario marocchino, non se ne può fare un discorso generale, ma
soprattutto esso va in contraddizione con l’intero lavoro dell’Istanza che auspica nella
consilidazione dello Stato di Diritto in Marocco e raccomanda delle riforme anche in campo
giudiziario. Non solo, “le aule dei tribunali” sono fatte per l’applicazione della legge e sono i
luoghi principali dove si garantiscono le libertà degli individui e dove la giustizia ha il
compimento. Nessuno spazio pubblico può sostituire questo ruolo dei tribunali, neppure le
udienze pubbliche organizzate dall’IER.
Quindi, in questo paragrafo si propone un altro tipo di giustizia basata sulla verità
storica. Quest’ultima viene classificata come avente valore maggiore rispetto alla verità
giudiziaria.
116 Orlandi, op. cit., p. 65. 117 Synthèse du Rapport Final, op. cit., p. 28.
60
Se torniamo al nostro testo di paragone, ovvero al discorso del Re, troviamo, invece,
che in esso si verifica un tentativo di riformulazione del concetto di verità. Come si può
leggere qui di seguito, il Re invita i suoi sudditi a dubitarne e a dubitare persino della verità
storica:
Le travail accompli par la Commission précédente et le rapport final que vous
allez élaborer pour l’établissement des faits, dans un délai déterminé, font
que nous considérons votre instance comme une commission de la vérité et
de l’équité. A cet égard, Nous avons conscience que, sans jamais être
parfaite, la vérité ne peut être que relative, même pour l’historien le plus
intègre. En effet, la vérité absolue n’est connue que de Dieu, le Très Haut, qui
dit dans le Saint Coran : " Dieu connaît les yeux perfides et ce que les cœurs
recèlent ".118
Nella Synthèse, invece, ci troviamo di fronte alla situazione contraria poichè il
tentativo si concentra sulle verità che le aule dei tribunali indagano.
In realtà non si stabilisce alcuna verità, nè dalle aule dei tribunali nè dalle indagini
condotte dalla Commissione, piuttosto viene dichiarata una versione ufficiale per sigillare
questi fascicoli e per porre fine alle diverse interpretazioni delle parti politiche sociali ivi
coinvolte. Come misura d’azione, per compensare l’impunità di tali violazioni ai diritti umani,
si esprime l’intenzione è di creare “une mémoire collective” per “parvenir à une lecture
comune”. 119 Per quale motivo la verità non viene rivelata? Sarà perchè, come si pensa, il
popolo marocchino non è ancora pronto a sentirla? O perchè ciò potrebbe causare una reale
minaccia alla continuità della Monarchia marocchina? Se è la ragione quest’ultima ricordiamo
che l’unicità dell’esperienza marocchina sta proprio nell’aver creato una commissione di
equità e riconciliazione senza che ci sia un cambiamento di regime o di leadership politica del
Marocco.
118 Mohammed VI, Texte intégral du discours prononcé par SM le Roi à l’occasion de l’installation de l’Instance Equité et Réconciliation, Agadir, 7 janvier 2004. On line in: http://www.maroc.ma/NR/exeres/B272623A-227C-46D3-AC67-557BE9DCDF7A. 119 Synthèse du Rapport Final, op. cit., p. 29.
61
Conclusione
In questa analisi della Synthèse du Rapport Final abbiamo voluto evidenziare le
strategie del discorso e le forme di silenzio che ricorrono in questo testo. Abbiamo visto
quanto questa pubblicazione, divulgata dall’Istanza Equità e Riconciliazione Marocchina e dal
Consiglio Consultativo per i Diritti Umani in diverse lingue, sia disomogenea e non integrata.
Difatti, ciascun capitolo è steso in maniera diversa e ha un approccio differente al problema.
La strategia di silenzio più ricorrente è “la politique du silenciement” attuata tramite “le
silenciement” che consiste nel dire A non potendo dire B. Questo permette una astrattezza
anche là dove si accennano le questioni di cui bisognerebbe parlare. Per questa stessa ragione
abbiamo rilevato che in alcuni di questi casi c’è stato il ricorso ad eufemismi. In altri, invece, i
redattori del Rapporto Finale hanno utilizzato la forma passiva, quella impersonale e gli
impliciti, nei primi due casi per eludere i temi che non vogliono (o non devono) affrontare, nel
terzo per diffondere messaggi in maniera indiretta.
Abbiamo anche rilevato che il capitolo dedicato alla Riconciliazione sia molto simile
al discorso pronunciato dal Re Mohammed VI in occasione dell’inaugurazione dell’IER.
Abbiamo spiegato che questa similitudine riguarda sia il piano del “detto” che quella del “non
detto” e abbiamo illlustrato come alcune frasi e concetti sono a volte una copia identica del
discorso, altre una copia “ritoccata”. Questo capitolo della Synthèse, esattamente come il
Discorso Reale da noi esaminato, poggiano sui valori comuni con l’obiettivo di manipolare il
lettore.
Infine, ci siamo soffermate sul concetto di “verità” e abbiamo visto come questa
parola sia stata riclassificata in entrambi i testi che abbiamo paragonato. Mentre il Re invitava
gli ascoltatori a dubitare della verità storica, la quale secondo lui non può essere che relativa
persino per gli storici, il capitolo sulla Riconciliazione minimizza il valore della verità
prodotta dalle aule dei tribunali e sopravvalutano la verità storica, preferendo quest’ultima alla
prima. Questa scelta non può che sorprenderci, ancora di più se pensiamo che tra i membri
dell’Istanza vi sono attivisti per i diritti umani, avvocati e giudici, di cui uno persino della
Corte Costituzionale.
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CONCLUSIONI
Il nostro lavoro di ricerca delle forme di silenzio nell’esperienza marocchina di
Commissione di Equità e Riconciliazione ha dimostrato che nei testi da noi scelti come corpus
di analisi sono state usate delle strategie di mise en silence. Queste sono state adottate
principalmente per due scopi: occultare un senso, nel caso della censura o dell’autocensura, e
cancellare altri sensi possibili. Abbiamo rilevato che la strategia dominante è quella della
censura, ma là dove non era possibile censurare le informazioni, si è fatto ricorso al
silenciement, in particolare alla strategia descritta dalla Orlandi, di dire A non potendo o non
volendo dire B. In questa maniera si fornisce un senso eliminando altri sensi possibili.
Per quanto riguarda il Discorso del Re Mohammed VI, il quale inaugurava l’Istanza
Equità e Riconciliazione, dalle strategie di analisi del discorso da noi impiegate, abbiamo
accertato un tentativo di manipolazione attuato tramite il ricorso agli impliciti e ai valori
comuni, dell’Islam e della tradizione. Nel testo, infatti, abbiamo trovato riferimenti alla
religione, la citazione di un versetto del Corano, e la venerazione della memoria del padre
Hassan II. Questi elementi sono una chiara manifestazione di continuità con la Tradizione
Monarchica Alaouita, la quale da sempre ha fatto ricorso alla religione come strumento di
manipolazione e di sacralizzazione del suo potere politico. A ciò si ricollega un’altrettanto
espressa volontà di rinnovamento e di democratizzazione. Il Re Mohammed VI ricollega le
origini dei progressi fatti dal paese in materia di diritti umani alla politica di governo di suo
padre Hassan II, quando in realtà si inserisce nel quadro delle innovazioni che il giovane
Sovrano sta apportando al paese. Il riconoscimento, sebbene implicito, del Governo
marocchino del suo coinvolgimento nelle gravi violazioni dei diritti umani avute in passato, e
il desiderio di attuare una riconciliazione, seppure fragile è di per sè una rottura col passato,
ma è una rottura nella continuità.
Nella Sintesi del Rapporto Finale, invece, abbiamo individuato sia gli elementi già
incontrati nel primo testo del nostro corpus, sia le due principali forme di silenzio che
abbiamo studiato.
Inoltre, abbiamo incontrato due elementi sui quali ci soffermiamo qui: una interessante
similitudine con il Discorso Reale da noi analizzato e una riformulazione del termine “verità”
fatta in entrambi i testi ma con metodi diversi. La similitudine è stata individuata nel capitolo
63
della Synthèse dedicato alla Riconciliazione. Sul piano del “detto” abbiamo verificato
analogie interessanti in entrambi i testi: “victimes” è la parola con la quale ci si riferisce a
tutte le vittime di violazioni dei diritti umani. Questo termine non ha un corrispettivo che
indichi chi ha reso quelle persone vittime. “Dossier” è invece il termine che indica il tema
delle violazioni, più precisamente, indica il caso delle persone scomparse per mano delle
autorità pubbliche. “Réconciliation”: non è chiaro con chi si invita il popolo a riconciliarsi.
Quanto alla nozione di “verità”, invece, il Re nel suo discorso ufficiale tentava di
riformulare tale concetto. Egli, pur considerando l’IER una commissione per la verità e
l’equità, riteneva che la verità non potrebbe essere che relativa, persino per gli storici più
esperti. Per questa ragione, egli invitava i suoi sudditi a dubitarne. La Synthése, invece,
esprime una netta preferenza per la verità storica, rispetto a quella giuridica. Non solo, viene
addirittura favorita la giustizia storica rispetto a quella giuridica perchè quest’ultima viene
criticata come avente uno spazio ristretto, cioè quello costituito dalle aule dei tribunali.
La nostra analisi ha considerato una piccola parte della complessa vicenda delle
violazioni dei diritti umani in Marocco. Ci siamo concentrati su una piccola parte dei testi
attinenti all’Istanza Equità e Riconciliazione individuando in essi le forme di silenzio
impiegate per nascondere altre informazioni che non si vogliono rendere pubbliche, o che,
semplicemente, non si vuole riconoscere.
Per quanto ci riguarda, ci siamo dedicate a questa analisi non per estrarre informazioni
dai silenzi individuati tra le parole del testo, ma per verificare questa presenza e quindi
renderla visibile in questa trattazione. Riteniamo in tal senso di aver verificato e dimostrato
l’esistenza di forme di silenzio nel corpus da noi individuato per l’analisi linguistica. Non
escludiamo, però, la possibilità di individuare altre strategie enunciative da noi tralasciate.
Nel corso di questo nostro lavoro, ci siamo poste alcuni quesiti circa certi temi
individuati durante la nostra ricerca. Per esempio, sarebbe attinente a questo lavoro esaminare
i testi prodotti dall’IER e individuare, tra di essi, i processi discorsivi realizzati dall’Istanza,
ma che non hanno l’Istanza per origine. Un’altra ipotesi di lavoro può essere quella di fare un
confronto tra le dichiarazioni dell’IER e gli articoli di stampa periodica marocchina,
soprattutto nel periodo di lotta al terrorismo che il Marocco ha conosciuto di recente.
Infine, proponiamo come progetto di analisi quello di analizzare l’evoluzione del tema
dei diritti umani nei Discorsi Reali ufficiali, a partire da quelli di Hassan II. Suggeriamo tali
idee di ricerca per un’analisi da farsi opportunamente in altra sede.
64
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http://www.rsf.org
http://www.telquel-online.com
http://www.unhchr.ch
68
RINGRAZIAMENTI
Questa tesi non sarebbe potuta esistere senza il contributo, piccolo o grande che sia, di tante persone care. Nonostante le difficoltà, ho incontrato persone che hanno reso questo lavoro possibile e senza le quali non sarebbe esistito. Ringrazio pertanto la mia Professoressa di Linguistica Francese, la Dott.ssa Rachele Raus che mi ha seguito sin dal principio, mi ha saggiamente guidato, consigliato, corretto e dato i suggerimenti giusti per realizzare questo lavoro. La ringrazio soprattutto per la sua preziosa disponibilità e per la sua infinita pazienza. Con altrettanta infinita riconoscenza ringrazio la Dott.ssa Nezha El Ouafi per i consigli fornitemi prima e durante questa ricerca. Vorrei ricordare anche il Conseil Consultatif du Droits de l’Homme a Rabat, dove ho reperito i testi principali su cui si è basato il presente lavoro. Abdul Malik Daniele Bianchi per le correzioni che diligentemente ha apportato a una parte di questo elaborato. Infine, ringrazio Mounir Raquib per il suggerimento che ha dato avvio a questa tesi.