L’avanguardia per tutti: concretismo e poesia visiva tra Russia, Europa e Brasile

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eum x letteratura comparata

Sauro Fabi

L’avanguardia per tutti: concretismo e poesia visiva tra Russia, Europa e Brasile

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ISBN 978-88-6056-103-9©2008- eum edizioni università di maceratavicolo Tornabuoni, 58 - 62100 [email protected]://ceum.unimc.it

Stampa:GESP Srlvia C. Marx, 21 - 06011 Città di Castello (PG)[email protected]

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Indice

7 Prefazione

11 Capitolo primo Concretismo e poesia visiva come ricerca di una nuova poesia popolare

15 1.1 L’anomalia della poesia 20 1.2 Poesia concreta: comunicatività della struttura poetica come oggetto sociale 27 1.3 Poesia visiva: icona poetica come nuova comunicazione mediatica 33 1.4 Successo o fallimento?

37 Capitolo secondo Sintonia con il campo del potere: poesia e visualità nella Russia sovietica (1918 – 1926)

38 2.1 Prove di sintonia tra avanguardia e campo del potere 43 2.2 Primi contatti tra visualità, poesia e propaganda 51 2.3 Il costruttivismo 55 2.4 Topografia della tipografia 59 2.5 Rodčenko e Majakovskij: costruttori di pubblicità 66 2.6 Una conclusione e un inizio

69 Capitolo terzo Distonia con il campo del potere: concretismo brasiliano e poesia visiva italiana tra alienazione, antagonismo e guerriglia poetica.

70 3.1 Da Brasilia ai Noigandres 76 3.2 La «svolta partecipativa» 82 3.3 Dalla poesia concreta alla poesia visiva

� INDICE

86 3.4 Poesia visiva come superamento ideologico-formale del concretismo 97 3.5 La neutralizzazione dell’antagonismo: alcune critiche e una nuova prospettiva

105 Capitolo quarto Dialogo con il campo del potere – L’evoluzione del concre-tismo “ambientale” di Ian Hamilton Finlay a cavallo tra gli anni ’60 e ‘70

106 4.1 La ricerca di un nuovo tipo di concretismo 114 4.2 La poesia ambientale, ovvero il classicismo come nuova fonte di comunicatività 122 4.3 Giardinaggio e rivoluzione

133 Capitolo quinto Epilogo: testi producibili e impatto comunicativo

138 5.1 La questione ideologica 151 5.2 La questione formale

167 Appendice

215 Bibliografia

Prefazione

Questo lavoro nasce dalla volontà di approfondire alcune delle caratteristiche meno studiate di due tra le più interessanti esperien-ze poetiche d’avanguardia degli anni Cinquanta e Sessanta: la poesia concreta e quella visiva. Tali movimenti – il primo di portata inter-nazionale, l’altro più specificamente localizzato nel contesto italiano, ma di risonanza tutt’altro che locale – vengono in genere avvicinati (e troppo spesso accomunati) dalla critica partendo da un punto di vista essenzialmente testuale e formalista. Un approccio, questo, che se da una parte consente di evidenziare in maniera approfondita quel particolare amalgama di verbalità e visualità che contraddistingueva gli esperimenti poetici dei due movimenti in questione, dall’altra fini-sce però per trascurare un tema, o meglio un obiettivo, che riveste un ruolo di assoluta centralità nella grande maggioranza dei manifesti teorici dei gruppi in questione: quello di realizzare una nuova forma di poesia “popolare”. Testi che rappresentassero, in altre parole, una chiara rottura con la tradizione e i canoni poetici precedenti, ma che fossero allo stesso tempo anche capaci – ed è questo il punto – di otte-nere un impatto sociale su larghissima scala, ovvero tale da raggiun-gere anche tutti coloro i quali non si erano mai accostati neppure ai poetici cosiddetti tradizionali.

Si sa, di dichiarazioni velleitarie, proclami ambiziosi, obiettivi utopi-stici è piena la storia dei manifesti artistici, e in particolare di quelli redatti da movimenti che si dichiaravano, a vario titolo, sperimentali o d’avanguardia. E in molti frangenti la scelta della critica di sopras-sedere su tali “eccessi programmatici” si è rivelata saggia e salutare per una più proficua e profonda analisi delle singole opere e delle loro genuine peculiarità. Tuttavia in questo caso, a mio parere, è proprio a partire dalle sfacciate ambizioni comunicative degli autori che è possi-bile apprezzare appieno l’originalità artistica dei testi concreti e visivi e valutarne l’efficacia estetica e culturale. Da qui, la scelta di presenta-

� PREFAZIONE

re tali testi focalizzando l’attenzione sulla funzione sociale, ideologica e, non di rado, politica, ad essi originariamente assegnata. Un punto di vista per molti versi inedito, che mi ha portato a non concentrare l’attenzione sulla sola analisi dei testi, ma a inquadrare questi ultimi, insieme ai loro autori, all’interno di quelle dinamiche socio-culturali con le quali le opere avrebbero dovuto interagire. Lo scopo è quello di mettere meglio a fuoco il modo in cui il rapporto tra le avanguardie e la realtà politica, economica e sociale in cui queste si trovavano a operare possa aver influito sul tentativo (dichiarato) di riavvicinare la poesia alle masse.

Partendo da queste premesse, e data l’impossibilità di approfon-dire in maniera esaustiva tutte le singole specificità e sfaccettature di movimenti tanto polverizzati a livello internazionale, ho dovuto neces-sariamente restringere il campo d’azione ad alcuni di quei casi che meglio si adattano a uno studio di questo tipo, organizzandoli in base a diverse tipologie di rapporto tra le avanguardie e quello che Pierre Bourdieu definisce il «campo del potere», ovvero quell’establishment politico ed economico che contribuisce a indirizzare e regolare – in proporzioni decisamente diverse a seconda dei casi – la diffusione e il ruolo sociale dei prodotti culturali ed artistici1. Dopo un primo inquadramento generale di alcune caratteristiche salienti della poesia concreta e visiva (Capitolo 1), ho suddiviso queste tipologie dialettica-mente in tre categorie: relazioni di affinità, compromesso e opposizio-ne, associate, rispettivamente, all’avanguardia sovietica degli anni ’20 (Capitolo 2), all’opera del concretista scozzese Ian Hamilton Finlay (Capitolo 4) e ai Noigandres brasiliani ai quali ho collegato, per una serie di significative affinità, alcuni esponenti dell’avanguardia visiva italiana (Capitolo 3).

1 Nel dettaglio, lo studioso francese definisce come campo del potere «lo spazio dei rapporti di forza fra agenti o istituzioni che hanno in comune il fatto di possedere il capi-tale necessario per occupare posizioni dominanti nei vari campi (economico o culturale in special modo). È il terreno di lotte fra detentori di poteri (o di specie di capitale) di-versi che […] hanno come posta in palio la trasformazione o la conservazione del valore relativo delle diverse specie di capitale, valore che determina, a ogni momento, le forze suscettibili di essere impegnate in tali lotte» (Pierre Bourdieu, Le regole dell’arte: genesi e struttura del campo letterario, Milano, Il Saggiatore, 2005, p. 289). Poteri che, rispetto al campo di produzione culturale e artistico, possono essere «esterni, come quelli della Chiesa, dello Stato o delle grandi imprese economiche, o […] interni, e in particolare quelli conferiti dal controllo degli strumenti di produzione e di diffusione specifici (stam-pa, editoria, radio, televisione)» (p. 432).

PREFAZIONE �

All’interno di tale percorso ho ritenuto indispensabile muovermi utilizzando i mezzi e gli strumenti analitici della comparatistica – a livello sia diacronico che sincronico – non soltanto per conferire una dimensione più completa e sfaccettata al taglio sociologico dello studio, ma anche perché ho rintracciato nel continuo raffronto tra le caratteri-stiche formali e “performative” di testi appartenenti a contesti diversi uno strumento particolarmente utile per approfondire le differenze e, per contrasto, le peculiarità dei singoli casi presi in esame, valutando-ne i tragitti evolutivi nelle loro reciproche convergenze e divergenze. Oltre a ciò, l’impostazione comparatistica mi ha dato modo di appro-fondire due punti, in particolare, sui quali ho spesso trovato la critica specialistica in qualche modo reticente o affrettata. Il primo di questi punti riguarda il rapporto tra i movimenti in questione e l’avanguardia poetico-costruttivista sviluppatasi nella Russia sovietica degli anni ’20. Una comparazione diacronica che, come vedremo, risulterà imprescin-dibile per chiarire l’origine e l’evoluzione di quei fondamentali tratti teorici, formali e ideologici attorno ai quali ruoteranno poi le princi-pali affinità e differenze tra concretismo e poesia visiva. Differenze che cercherò di far risaltare, tramite una serie di confronti sincronici, al fine di riaffermare con chiarezza i profondi tratti distintivi che marca-vano l’originalità e la specificità di due movimenti che non di rado la critica tende troppo frettolosamente ad accomunare, consideran-doli essenzialmente come due varianti di un unico tentativo di fusione poetica esclusivamente formale tra verbalità e visualità.

Metodologicamente, infine, ho scelto di combinare il taglio socio-logico e culturale dell’analisi con la lettura ravvicinata dei testi. A tal fine ho rintracciato un importante punto di riferimento in quella che Rachel Blau DuPlessis ha battezzato “filologia sociale”, un close reading particolarmente attento alla contestualizzazione delle opere attraverso una costante mediazione tra la loro dimensione storica e sociale e le loro specificità testuali2. Data la natura delle tensioni comu-

2 Cfr. Rachel Blau DuPlessis, Entitled new: a social philology of modern American poetry, in Gender, Races, and Religious Cultures in Modern American Poetry, 1908–1934, Cambridge, Cambridge University Press, 2001, p. 1-28. Nel chiarire la sua concezione del rapporto tra testo e contesto, DuPlessis afferma: «[....] as Bakhtin and Medvedev intimate, not only words, but any textual forms used in poetry – line break, diction/word choice, imagery, syntax, stanza organization, punctuation, spaces – could be analyzed as the arrangement of social evaluation. This enhanced kind of close reading with culturalist aims is what I mean by a “cultural philology”» (p. 34). Particolarmente

10 PREFAZIONE

nicative comuni al concretismo e alla poesia visiva, questo approccio è particolarmente appropriato per ripercorrere e ricreare, a livello sia critico che descrittivo, quel canale biunivoco tra microsistemi testua-li e macrostrutture sociali, politiche e culturali lungo il quale hanno tentato di articolarsi due fra i progetti artistici, estetici e sociali più interessanti e ambiziosi della seconda metà del ‘900.

Questo libro raccoglie i risultati di un lavoro di ricerca compiuto tra il 2003 e il 2007 e consiste nell’ampliamento e nella rielaborazione di un testo originariamente presentato come tesi di dottorato.

Ringrazio Marco Fazzini, che ha seguito le mie ricerche durante gli anni del dottorato mettendomi a disposizione materiale altrimen-ti introvabile e facendomi conoscere un mondo di cui ignoravo l’esi-stenza, e Marina Camboni per aver riletto parti del lavoro e per non avermi mai fatto mancare il suo sostegno. Fondamentale è stato anche l’apporto di tutti i docenti del dottorato di ricerca in Lingue e lettera-ture comparate dell’Università di Macerata, nonché la professionalità e cortesia del personale della EUM. Un ringraziamento particolare va a Silvana Colella per il sostegno e la fiducia che mi ha sempre dimostra-to, per le discussioni e per i suoi preziosi consigli e incoraggiamenti: un contributo insostituibile per la realizzazione di questo libro.

Desidero infine ringraziare Chiara, la mia famiglia e i miei amici per avermi sempre pazientemente supportato (e sopportato).

utili ho trovato anche Raymond Vervliet, Literary Sociology and Comparative Literature, in Bart Keunen, Bart Eeckhout (eds.), Literature and Society, The Function of Literary Sociology in Comparative Literature, Brussels, P.I.E, 2001, pp. 19-28; Peter V. Zima, The Sociology of Texts: Position and Object, in Keunen, Eeckhout (eds.), Literature and Society, The Function of Literary Sociology in Comparative Literature, cit., pp. 29-42; Jurij M. Lotman, La Semiosfera. L’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Venezia, Marsilio, 1985.

Concretismo e poesia visiva come ricerca di una nuova poesia popolare

To have great poets, there must be great audiences, too.

Walt Whitman1

A conclusione di una lunga serie di esempi intesi a provare la predi-lezione dei francesi per le metafore militari, Charles Baudelaire, in Mon coeur mise à nu, cita «les littérateurs d’avant-garde»2. Nei primi anni ’60 del XIX secolo, periodo a cui risale il taccuino di appunti dello scrittore francese, il termine “avanguardia” non aveva però una connotazione artistica, ma esclusivamente sociopolitica. Per lo scrit-tore francese i «littérateurs d’avant-garde» erano essenzialmente tutti quegli scrittori che potevano essere definiti “militanti”3 o, più preci-samente, «radicali [e] ideologicamente di sinistra»4. Fu solo a partire dall’ultimo ventennio del secolo che a quest’espressione cominciò ad essere attribuita anche un’accezione specificamente riconducibile alla sfera delle arti. Così come l’avanguardia sociopolitica era caratteriz-zata da un drastico rifiuto delle forme di governo e di organizzazio-ne sociale tradizionali e generalmente accettate, in una prospettiva di sovvertimento rivoluzionario delle stesse5, l’avanguardia artistica iniziò col fare proprio un atteggiamento di radicale antagonismo nei confronti delle forme e dei canoni tradizionali e istituzionalizzati in favore di una sperimentazione continua che portò in breve alla nasci-

1 Walt Whitman, Specimen Days and Collect, New York, Dover, 1995 (1882), p. 324.

2 Charles Baudelaire, Mon coeur mis à nu, Ebooks libres et gratuits, http://www.ebooksgratuits.com, 2003, p. 29.

3 Baudelaire stesso fa riferimento alla «presse militante» (Ibidem).4 Renato Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia, Bologna, il Mulino, 1962, p. 23.5 Nel 1878, Bakunin fondò e pubblicò in Svizzera un periodico d’agitazione politica

di stampo anarchico significativamente intitolato «L’avant-garde».

12 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

ta di un gran numero di movimenti e correnti, spesso estremamen-te disomogenei tra loro e al loro stesso interno. L’individuazione di linee unificatrici e tratti comuni in un universo così variegato è sempre stata, per la critica, un compito tutt’altro che semplice o indolore. È tuttavia indubbio che esistano elementi e atteggiamenti ricorrenti nelle diverse incarnazioni dell’avanguardia artistica e, tra essi, parti-colarmente utile per la presente analisi risulta proprio il concetto di antagonismo.

In Teoria dell’arte d’avanguardia Renato Poggioli, analizzando le caratteristiche comuni a tutte le avanguardie artistiche dalla fine del XIX secolo al secondo dopoguerra, nota come l’antagonismo nei confronti della tradizione sia pressoché inscindibile da un secondo, non meno importante, antagonismo: quello verso il pubblico6. Un doppio fronte, quindi, che interessa sia il piano diacronico (rifiuto della tradizione ovvero antipassatismo, come amavano definirlo i futuristi italiani), che quello sincronico (avversione nei confronti dei gusti del pubblico, delle «convenzioni e convinzioni che lo caratterizzano»7 e dell’arte e delle istituzioni che contribuiscono a formare e compiacere detti gusti). Tale atteggiamento va però inserito anche all’interno dei profondi mutamenti culturali avvenuti nelle società borghesi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e segnati in maniera inde-lebile da un incremento senza precedenti dei modi e mezzi di riprodu-cibilità tecnica dell’arte. Un fenomeno, questo, che creò le condizioni per la proliferazione e la mercificazione dei prodotti artistici in un inedito mercato della cultura che aveva il suo bacino d’utenza nelle masse8 rese ricettive dalla contemporanea «diffusione infinitamente più vasta dell’educazione»9. In questo quadro, il duplice antagonismo

6 Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia, cit., pp. 44-56.7 Ibidem, p. 52.8 Vedi Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.

Arte e società di massa, Torino, Einaudi, 1998 (1966), pp. 1-47 e Peter Bürger, Teoria dell’avanguardia, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, pp. 34-42.

9 Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia, cit., p. 57. Per dare un’idea del modo in cui il fenomeno veniva recepito all’epoca, sono particolarmente significative alcune con-siderazioni di Aldous Huxley risalenti al 1934 e citate dallo stesso Benjamin: «I progressi tecnici hanno [...] portato alla volgarità [...] la riproducibilità tecnica e la stampa in ro-tocalco hanno reso possibile una moltiplicazione illimitata degli scritti e delle immagini. L’istruzione scolastica generale e gli stipendi relativamente alti hanno creato un pubblico molto largo che è capace di leggere e che è in grado di procurarsi oggetti di lettura e ma-teriale illustrativo. Per produrre tutto ciò si è creata un’importante industria. Ora, però,

131. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

dell’avanguardia assume nuove sfumature: sul piano diacronico punta alla distruzione di quella che Benjamin definisce l’«aura» dell’arte – ovvero il suo valore cultuale, la sua autorevolezza basata sulla tradi-zione, sull’unicità e sulla mistica impalpabilità dell’atto creativo10 – mentre su quello sincronico si oppone all’«istituzione arte», vale a dire alla «totalità dei rapporti di produzione, distribuzione e ricezione dell’arte, nonché dei modi e delle norme con cui in una determinata epoca si rappresenta l’essenza dell’arte»11. Modi e norme che spesso implicano la «sottomissione dei contenuti delle opere agli interessi del profitto» e il contemporaneo declino delle loro potenzialità critiche «in favore di un’attenzione sempre crescente per i comportamenti del consumatore»12. Ciò si traduce, in un quadro di crescente divarica-zione tra i concetti (per altro piuttosto sfumati) di “cultura alta” e “cultura bassa”, nell’occupazione, da parte dell’avanguardia artistica, di una posizione specifica e di aspra critica (non di rado contraddit-toria) sia nei confronti dell’arte “colta”, accusata in genere di mero

le doti artistiche sono qualcosa di molto raro; da ciò consegue [...] che in ogni epoca e in ogni luogo la maggior parte della produzione artistica è sempre stata scadente. Oggi tuttavia la percentuale degli scarti nella produzione artistica complessiva è maggiore di quanto sia mai stata [...] Ci troviamo di fronte a una relazione aritmetica semplice. Nel corso del secolo scorso la popolazione dell’Europa occidentale è aumentata di piú del doppio. Ma il materiale letterario e figurativo è aumentato, a quanto mi è dato valutare, in una proporzione che va da 1 a 20, e forse anche 50 o 100. Se una popolazione di x milioni possiede n talenti artistici, una popolazione di 2x milioni avrà 2n talenti artistici. Ora, la situazione può essere descritta nel modo che segue. Se cento anni fa si pubbli-cava una pagina a stampa occupata da materiale letterario e da illustrazioni, oggi se ne stampano venti se non cento. Se d’altra parte, cento anni fa esisteva un talento artistico, oggi ne esistono due. Ammetto che, in seguito all’istruzione scolastica generale, oggi possono diventare produttivi parecchi talenti virtuali che un tempo non sarebbero riu-sciti a sviluppare le loro doti. Poniamo dunque [...] che oggi ci siano tre o quattro talenti artistici di contro a quell’uno di un tempo. Resta tuttavia indubbio che il consumo di materiale letterario e figurativo ha superato di molto la naturale produzione di scrittori e di disegnatori dotati. […] in tutte le arti, in senso assoluto come in senso relativo, la produzione di scarti sia maggiore di quanto fosse un tempo; e così sarà fintanto che la gente continuerà a praticare un consumo sproporzionato di materiale letterario, illustra-tivo e sonoro» (A. Huxley, Croisière d’hiver en Amérique Centrale [Crociera d’inverno nell’America Centrale], Paris, pp. 273 e ss.).

10 Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e so-cietà di massa, cit., pp. 31-33. Benjamin prende in esame, nello specifico, il dadaismo.

11 Riccardo Ruschi, L’avanguardia: autocritica dell’arte nell’epoca della sua istitu-zionalizzazione sociale, in Bürger, Teoria dell’avanguardia, cit., p. x.

12 Bürger, Teoria dell’avanguardia, cit., p. 37.

14 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

estetismo, autoreferenzialità e totale distacco rispetto alla realtà e alla società, sia nei confronti dell’arte “popolare”, accusata invece, più semplicemente, di non essere arte, ma merce, volta allo stesso tempo a plasmare e ad accontentare i gusti di un pubblico di massa conge-nitamente incapace di apprezzare tutto ciò che non sia tradizionale o convenzionale.

È ovvio come questa particolare posizione di (auto)isolamento dell’avanguardia storica – termine con il quale vengono generalmente indicati i movimenti avanguardistici antecedenti al secondo dopoguer-ra – abbia inciso in maniera sostanziale sul rapporto di quest’ultima con un pubblico, quello dell’arte, che si era progressivamente allargato fino a comprendere la quasi totalità delle masse sociali:

L’atto di rifiuto del sistema apparve allora possibile soltanto ponendose-ne al di fuori, sia come strutture del discorso, sia come comunicazione, sia come destinazione del prodotto artistico, sia come complessiva costruzione di comportamenti, di ragioni di vita, di azione, di morale: l’opposizione deve esse-re una rottura senza rapporti, una negazione senza compromessi. […] Se l’arte borghese è essenzialmente merce da consumare insieme con gli altri prodotti industriali, l’avanguardia oppone risultati che non possono essere scambiati e venduti perché non hanno valore commerciale, essendo privi di ogni comuni-catività immediata, [e] non rispondono all’attesa di nessun pubblico, anzi vi provocano il rifiuto violento, il disgusto […]13.

L’intenzionale assenza di comunicatività, il continuo spiazzamento degli orizzonti d’attesa del pubblico, la mancata ricerca di un impatto sociale costruttivo nei confronti delle masse sembrano essere i tratti distintivi del rapporto tra le avanguardie storiche e il pubblico, consi-derato, in genere, come un’entità sociale caratterizzata da gusti arti-stici filistei, borghesi e convenzionali. La condizione di outsider in cui l’avanguardia si colloca nell’ambito della bipolarità tra arte colta e arte popolare fa quindi in modo che il suo pubblico non coincida né con le masse – ormai inquadrate in un sistema di fruizione dell’arte come prodotto di consumo – né con la classe colta – i cosiddetti happy few, ancorati a un concetto di arte estetizzante, puro e sovente disgiun-to dalla realtà – ma piuttosto con una ristretta cerchia, tanto elitaria quanto trasversale, di estimatori (quelli che Cowen e Tabarrok defini-

13 Giorgio Barberi Squarotti, Avanguardia, in Grande dizionario enciclopedico, Appendice 1964, Torino, UTET, 1964, p. 112.

151. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

scono i «selected few»14) che devono la propria identità di gruppo a una distinzione sociale ben precisa che non è più quella, tradizionale, «fra chi conosce e chi non conosce, ma fra chi capisce e chi non capi-sce»15.

Facciamo un passo indietro. Abbiamo finora cercato di analizza-re l’avanguardia storica (e il suo duplice antagonismo verso la tradi-zione e verso il pubblico) in funzione del suo collocamento rispetto alla contrapposizione tra arte colta e arte popolare. Un tale modello è applicabile – con le dovute variazioni e specificità – a molte sfere artistiche: dalla musica alla pittura, al romanzo, al teatro. Ma cosa succederebbe nel caso in cui, in uno specifico campo artistico, l’oppo-sizione colto-popolare presentasse delle sostanziali anomalie o venisse addirittura a mancare? Quale sarebbero le conseguenze per quanto riguarda la collocazione dell’avanguardia e il suo atteggiamento verso il pubblico nell’eventualità in cui il bipolarismo in questione risultasse palesemente sbilanciato verso una sola delle due estremità?

1.1 L’anomalia della poesia

Abbiamo accennato a come il XX secolo abbia assistito, anche a causa di particolari fattori di ordine tecnologico, sociale ed economico,

14 Tyler Cowen, Alexander Tabarrok, An Economic Theory of Avant-Garde and Popular Art, or High and Low Culture, «Southern Economic Journal», vol. 67, no. 2, 2000, p. 242.

15 Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia, cit., p. 110. Poggioli fa qui riferimento ad alcune riflessioni di Ortega y Gasset sull’impopolarità dell’avanguardia, o, per usare le parole dell’autore spagnolo, dell’«arte giovane» o «arte nuova»: «Todo el arte joven es impopular. [...] Es necesario distinguir entre lo no popular y lo impopular: el estilo innovador tarda algun tiempo en conquistar la popularidad, por lo tanto no es popular, pero tampoco impopular. En cambio, el nuevo arte tiene a la masa en contra suya y la tendra siempre. Este ultimo es impopular por esencia, mas aun, es antipopular. Es decir, que el arte nuevo se divide en dos porciones: una, minima, formada por un reducido numero de personas que le son favorables; otra, mayoritaria, innumerable, que le es hostil. Actua esta como un poder social que crea dos grupos antagonicos. [...] Sucede aquí, que la mayoria, como es decir la masa, no lo entiende. Lo caracteristico del arte nuevo es que divide al publico en dos clases de hombres: los que lo entienden y los que no. El arte nuevo, no es para todo el mundo, [...] sino que va dirigido a una minoria especialmente dotada. Este fenomeno despierta la irritacion en la masa por su oscura conciencia de inferioridad frente a la obra» (José Ortega y Gasset, La deshumanización del arte, Madrid, Revista de Occidente, 1958 (1925), p. 11).

1� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

allo sviluppo dell’arte di massa intesa come un insieme di opere arti-stiche prodotte in base a logiche industriali e commerciali e destinate ad essere “consumate”, spesso distrattamente, dal più vasto pubblico possibile. Si tratta, osserva Poggioli, di

[…] forme d’espressione che, con significato ben diverso da quello attri-buito all’epiteto dalla cultura romantica, si chiamano oggi, specialmente in Inghilterra e in America, arte o cultura popolare, nel senso di pseudo-arte o di pseudo-cultura, d’arte o cultura corrente e inferiore: soprattutto d’un’arte e d’una cultura intese come prodotti di consumo, fabbricati per un pubblico di massa da apposite agenzie commerciali. Paradossalmente, questo tipo di popolarità va spesso d’accordo con l’ignoranza del nome dell’autore e con l’oblio del titolo dell’opera: in altri termini, con l’anonimità del prodotto e del produttore16.

Poggioli nota come la diffusione dell’arte “popolare” (intesa come arte di massa e in contrapposizione a quella “colta” o “d’autore”) abbia interessato una larghissima varietà di campi artistici, e cita come esempi emblematici «la canzonetta in voga», il café chantant, il music-hall, il cinema commerciale, il varietà, l’intrattenimento radiofonico e televisivo e, per quanto riguarda la letteratura, i romanzi polizieschi, le pubblicazioni umoristiche, erotiche, e i bestseller tra i quali, in partico-lare, quelli sentimentali (slick) e sensazionalistici (pulp)17. E la poesia? È possibile individuare, almeno nella prima metà del XX secolo, una poesia che possa essere definita “popolare”, nel senso di un insieme di opere poetiche destinate a un largo consumo e in grado di ottenere un impatto sociale su larga scala paragonabile a quello dei prodotti arti-stici citati da Poggioli, per quanto mercificati possano essere? Secondo la maggioranza degli osservatori, la risposta sembrerebbe essere nega-tiva. Scrive Spinazzola:

La situazione è curiosa, persino paradossale. La poesia rappresenta infatti il terreno su cui l’antitradizionalismo ottonovecentesco ha avuto più chiara-mente partita vinta. Ne è conseguita la tendenziale scomparsa delle antiche distinzioni per generi, livelli, categorie stilistiche, di cui appunto il testo poeti-co costituiva il luogo deputato. […]

In altre parole, la produzione poetica va rubricata in misura preponderante al livello più alto, secondo la scala della complessità tecnica: quella in cui lo

16 Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia, cit., p. 58.17 Ibidem.

171. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

scambio delle parti fra autori e lettori è più fluido, in quanto gli uni e gli altri appartengono alla medesima élite intellettuale18.

Il sociologo della letteratura fa riferimento in particolare al contesto italiano, ma le sue considerazioni sull’assenza (o graduale scomparsa?) di una poesia popolare o “di massa” nel XX secolo sembrano essere valide in molti altri contesti e condivise non solo dai critici, ma anche dai produttori stessi di letteratura. Non si può prescindere, in merito, da una rapida analisi del ruolo sociale della poesia nei paesi anglofoni, nello specifico Gran Bretagna e Stati Uniti, nei quali lo sviluppo di una vera e propria industria dell’arte per le masse fu particolarmente precoce, accentuato e pervasivo. Nonostante il fiorire di una massiccia editoria popolare, infatti, già nel 1938 Edmund Wilson, in un saggio significativamente intitolato Is verse a dying technique?, notava con preoccupazione come la poesia sembrasse non essere più in grado di trovare un suo posto nella società statunitense e come la scrittura in versi si stesse inesorabilmente allontanando dalla quotidianità della vita del cittadino medio19. La questione viene approfondita in maniera particolarmente eloquente da Edwin Morgan, uno dei maggiori poeti scozzesi contemporanei, che all’inizio degli anni ’60 getta uno sguar-do indietro alla prima metà del secolo e, al pari di altri osservatori20, rintraccia nel modernismo il punto di rottura tra la poesia e la società intesa nel senso più vasto:

If Whitman would come back today, and we were to show him the most admired and the most influential of our ‘modern’ poetry, the works of Yeats, Pound and Eliot, would he not object to a lack of interest in his facts, science, or common lives?

It would not be hard to rake up an answer to Whitman. We could remind him that as against the view of the poet having a duty to society there is the view of the poet being true to his own experiences and beliefs, and it has so happened that these leading poets have in general strongly disliked or

18 Vittorio Spinazzola, Le coordinate del sistema letterario, in Id., Critica della let-tura, Editori Riuniti, Roma, 1992, p. 46.

19 Edmund Wilson, Is Verse a Dying Technique, in Id., The Triple Thinkers: Twelve Essays on Literary Subjects, New York, Oxford UP, 1948 (1938), pp. 15-30.

20 Cfr. Joseph Epstein, Who Killed Poetry?, «Commentary», vol. 86, no. 2, (Aug. 1988), pp. 13-20; Dana Gioia, Can Poetry Matter?, «The Atlantic Monthly», vol. 267, no. 5 (May 1991), pp. 94-106; Mathias Adelhoefer, Thoughts of the Times: Poetry – A Cultural Dinosaur?, «The Korea Times», Seoul, Korea, 17.06.1993, p. 6.

1� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

disapproved of the main trends of their time towards technological complexity, material progress, and mass culture: Whitman’s mood of prophetic optimism has been impossible for them, and the whole material transformation of the universe is to them the crackling of thorns under a pot. But my main task is to examine the situation from Whitman’s point of view rather than from the more familiar point of view of Yeats, Eliot, and Pound, because I think this is much needed as a corrective, especially when we are asked to look on a man like Eliot as ‘speaking for his generation’ or ‘express the anguish of a period’, as we often are.

Whitman’s complaint would be that not only the critic, but the poet too, has forgotten how to be ‘a man speaking to men’. If it is true that the poet is a seer, it is also true that he is a teacher and an entertainer. If it is true that in one sense he must know more than the people he is addressing (in that he has some insight, some vision, some exhortation to contribute to human society), it is also true that he must know what people know – and this is perhaps at the present moment more worthy of emphasis21.

In conclusione:

Many modern poets have not started from a knowledge of what the ordinary person’s knowledge and interests are, and so they have communicated only to exceptional or to well-educated people. And this situation is usually accepted. It is argued that communication must be very restrictive and partial, because poetry cannot compromise its own standards to meet even halfway a popular taste that has been coarsened by the more violent stimulants of the cinema or the variety theatre or the football ground. Certainly the days are long past when the Old English or Celtic bard was called for at the end of supper and asked to recite his lays to an audience that was no doubt boisterous but nevertheless would listen, could be captured, was not prejudicially contemptuous of poetry. What hopes are there now, it may well be asked, of reaching a live audience22?

Quella di Morgan è una constatazione: la poesia non ha saputo (o, meglio, voluto) tenere il passo con gli sviluppi tecnologici e sociali che hanno caratterizzato la prima metà del secolo, rimanendo sempre più avulsa dalle masse e ritraendosi gradualmente verso un pubblico ristretto e culturalmente selezionato. Tale constatazione, se riporta-ta al bipolarismo tra arte colta e arte popolare equivale a una presa

21 Edwin Morgan, A Glimpse of Petavius, in Id., Essays, Manchester, Carcanet, 1974, pp. 5-6.

22 Ibidem, p. 6.

1�1. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

d’atto, per quanto riguarda la poesia, della virtuale assenza di uno dei due poli in questione. Una delle conseguenze più interessanti di questo venir meno di uno dei due catalizzatori delle tensioni antagonistiche dell’avanguardia è quella di avere creato le condizioni per la nascita, nei primi anni ’50, di alcuni movimenti che – prendendo atto della mancanza di una poesia popolare e contemporaneamente sospinti dall’atteggiamento più propositivo e meno aggressivamente polemico adottato dalla cosiddetta “neoavanguardia” – optarono per un ripen-samento del ruolo e del senso dell’avanguardia poetica. Una riconfigu-razione, questa, volta al perseguimento di un obiettivo tanto inedito quanto ambizioso: quello di colmare il vuoto generato dall’assenza di una dimensione popolare dell’arte poetica mediante la creazione di una poesia che fosse in grado di essere fruibile e comunicativa nei confronti del vasto pubblico delle società di massa. Una poesia, in altre parole, capace di «speak out on man and society»:

Poetry today is in the process of recovering from an ambitious attempt – the attempt of Yeats, Pound, Eliot, Stevens – to separate its own artistic evolution from the general evolution of society23.

[…] This lack of serious care, this process of glossing over and softening, this lazy draping with a false timelessness, this distancing and dissolving of conflict – what are these but a fear of statement and commitment, a form of studied self-deprecation, a desperate disbelief in the power of poetry to speak out on man and society? Do we know how this happened? Can we change the situation24?

Per Morgan nel 1961, come già per molti giovani poeti nei primi anni ’50, la situazione poteva e doveva essere cambiata. L’obiettivo di produrre una poesia accessibile alle masse, una poesia «that could be understood, and being understood, used by human beings»25 era un obiettivo raggiungibile, ma solo ricercando nuove strategie comunica-tive, nuove forme espressive, nuovi linguaggi estetici. In altre parole, solo attraverso l’avanguardia.

23 Ibidem, p. 14.24 Edwin Morgan, Sovpoems, in Id., Collected Translations, Manchester, Carcanet,

1996, p. 28. Sovpoems fu pubblicato per la prima volta nel 1961.25 Ibidem.

20 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

1.2 Poesia concreta: comunicatività della struttura poetica come oggetto sociale

The aim of the new poetry is to give poetry an organic function in society again, and in doing so to restate the position of poet in society26.

Nel 1954 Eugen Gomringer – l’autore di questa ambiziosa dichia-razione d’intenti – era fermamente convinto della possibilità di resti-tuire alla poesia un ruolo attivo nella società intesa nel suo senso più inclusivo. Per far ciò, il poeta svizzero-boliviano analizzò con atten-zione il linguaggio adottato dai mezzi di comunicazione di massa, in particolare quello dei giornali e della pubblicità, e ne individuò alcune caratteristiche fondamentali, quali la concisione e la semplicità che, oltre a conferire a tali linguaggi una spiccata efficacia comunicativa, avrebbero potuto, anzi dovuto, essere presi in considerazione e utiliz-zati estensivamente nella creazione di qualsiasi testo poetico che voles-se raggiungere un vasto pubblico:

Our languages are on the road to formal simplification, abbreviated, restricted forms of language are emerging. The content of a sentence is often conveyed in a single word. Longer statements are often represented by small groups of letters. Moreover, there is a tendency among languages for the many to be replaced by a few which are generally valid. Does this restricted and simplified use of language and writing mean the end of poetry? Certainly not. Restriction in the best sense-concentration and simplification-is the very essence of poetry. From this we ought perhaps to conclude that the language of today must have certain things in common with poetry, and that they should sustain each other both in form and substance. In the course of daily life this relationship often passes unnoticed. Headlines, slogans, groups of sounds and letters give rise to forms which could be models for a new poetry just waiting to be taken up for meaningful use27.

Anche la dimensione visiva, vero e proprio cardine della potenzia-lità comunicativa insita, ad esempio, nel disegno grafico commercia-le, nei marchi aziendali o nella veste tipografica di riviste e quotidia-ni doveva essere riutilizzata dalla nuova poesia per far sì che il testo poetico – definito da Gomringer «costellazione» – venisse percepito

26 Eugen Gomringer, From Line to Constellation, in Mary Ellen Solt, Concrete Poetry: A World View, Bloomington, Indiana University Press, 1968, p. 67.

27 Ibidem.

211. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

dal lettore non tanto come qualcosa da comprendere con attenzione o sul quale meditare, quanto come un oggetto con il quale interagire e, in un certo senso, giocare:

So the new poem is simple and can be perceived visually as a whole as well as in its parts. It becomes an object to be both seen and used: an object containing thought but made concrete through play-activity (denkgegenstanddenkspiel), its concern is with brevity and conciseness. It is memorable and imprints itself upon the mind as a picture. Its objective element of play is useful to modern man, whom the poet helps through his special gift for this kind of play-activity. […] The constellation is an arrangement, and at the same time a play-area of fixed dimensions. The constellation is ordered by the poet. He determines the play-area, the field or force and suggests its possibilities. The reader, the new reader, grasps the idea of play, and joins in. […] The constellation is an invitation28.

In realtà, l’utilizzo in chiave poetica di materiali e forme provenien-ti dal linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa con l’aggiunta di una certa carica ludica e giocosa non era un’idea totalmente inedita. Tali metodi erano già stati utilizzati dai poeti futuristi e, ancor più, dai dadaisti. L’intuizione di Gomringer stava più che altro nel servirsene, al contrario delle avanguardie storiche, non come provocazione nei confronti del pubblico, bensì come un «invito», vale a dire come un metodo per conferire alla poesia maggiore comunicatività e accessi-bilità. Ma qual era, a livello sia teorico che testuale, il passaggio che fosse in grado di marcare questa fondamentale differenza? Quale lo scarto necessario a trasformare una strategia esclusiva in una inclu-siva? Fu solo dopo l’incontro con il gruppo di poesia d’avanguardia brasiliano Noigandres e con la conseguente delineazione delle carat-teristiche principali della poesia concreta che Gomringer si trovò nelle condizioni per giustificare concettualmente questo decisivo cambio di passo, lavorando in particolare sui concetti di opacità della parola e di struttura del testo poetico.

Il termine «concreto» applicato alle arti non era nuovo. Già dal 1930 esisteva infatti una specifica corrente pittorica denominata «arte concreta» che si era successivamente diffusa a livello internazionale fino a trovare nello svizzero Max Bill uno dei più proficui sostenitori di alcune sue caratteristiche peculiari (particolarmente influenzate dal

28 Ibidem.

22 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

costruttivismo russo), tra cui la non figuratività, l’importanza di una rigida struttura geometrica e la prevalenza della carica sociale dell’ope-ra d’arte su quella individualistica29. Fu proprio Bill il trait d’union fra Gomringer (suo segretario personale) e i Noigandres (attenti osserva-tori dell’arte concreta sudamericana) che, facendo tesoro delle speri-mentazioni di diversi poeti che si muovevano nella stessa direzione (su tutti il Wiener Gruppe austriaco e l’italiano Carlo Belloli) gettarono, nel 1955, le basi teoriche di quella che decisero di chiamare «poesia concreta»30. Negli anni successivi il concretismo brasiliano, che appro-fondiremo più avanti nella sua specificità, si sviluppò secondo linee proprie che lo andarono differenziando, anche significativamente, da quello di Gomringer. Entrambi i movimenti, tuttavia, partirono dalla condivisione di alcune basi teoriche e di alcuni fondamentali obietti-vi, che esamineremo ora focalizzandoci principalmente sul contesto europeo.

A livello formale, la nuova poesia si opponeva in particolar modo a quella che può essere definita la trasparenza del linguaggio letterario e, nello specifico, di quello poetico. Spiega Rosemarie Waldrop:

Familiar shapes in familiar surroundings are invisible. We do not usually see words, we read them, which is to say we look through them at their significance, their contents. Concrete poetry is first of all a revolt against this transparency of the word […]. While poetry in general uses the material aspects of the word as functional in the ‘poetic information’ process in poems about whatever subject […], concrete poetry makes the sound and shape of words its explicit field of investigation. […] Further, it stresses the visual side which is neglected even in the ‘sound and sense’ awareness of ordinary poetry (as well as in the oral bias of most linguists).

This does not mean that concrete poets want to divorce the physical aspects of the word from its meaning – which would be a most difficult thing to do.

29 In Italia molti elementi dell’«arte concreta» furono ripresi, a partire dal 1948, dal MAC (Movimento per l’Arte Concreta), che vedeva tra i propri fondatori e teorici anche Gillo Dorfles, personalità particolarmente importante anche nell’ambito della poesia concreta e visiva italiana.

30 In realtà già nel 1953 lo svedese Öyvind Fahlström aveva pubblicato un Mani-festo for Concrete Poetry del quale né Gomringer né i Noigrandes erano a conoscenza. Fahlström prendeva come punto di ispirazione non solo la pittura, ma anche la musica concreta per proporre una nuova poesia che non risultava connotata da alcuna implica-zione sociale dichiarata, pur avendo più d’un tratto in comune con il futuro movimento concretista di stampo svizzero-brasiliano.

231. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

Words are not colors or lines: their semantic dimension is an integral part of them31.

Il punto di rottura con la tradizione riguarda quindi, in questo caso, la funzione referenziale dei segni grafici che compongono fisicamente il testo poetico. I concretisti ritenevano che tale funzione fosse ben lungi dall’esaurire la carica comunicativa del segno e proponevano quindi, in termini saussuriani, uno spostamento dell’attenzione dal significa-to al significante, cercando di esplorare le potenzialità poetiche insite nel materiale stesso di cui è costituita la poesia. Se tradizionalmente i segni che compongono una poesia «signal what is physically absent and train us to ignore what is physically present»32, nel testo concreto tali segni si riappropriano della loro opacità, palpabilità e materialità. Lettere alfabetiche, parole, frasi e frammenti di frasi vengono quindi utilizzati in forma stampata e per le loro caratteristiche visive e fisiche, mirando a far diventare la poesia un vero e proprio oggetto (concreto) e non solo l’interprete di un oggetto. In From Line to Constellation, Gomringer aveva scritto che la «costellazione» doveva essere consi-derata come «a reality in itself and not a poem about something or other»33. Sei anni dopo, in The Poem as a Functional Object, il concet-to viene ulteriormente rafforzato e il testo concreto diventa un vero e proprio oggetto funzionale, ovvero fruibile, comunicativo e mate-rialmente utilizzabile in un contesto sociale34, capace di rimanere impresso nel pubblico con la stessa potenza visuale di un manifesto o di uno slogan pubblicitario e, ancor più, con la stessa immediatezza dei marchi e dei logotipi commerciali. Per far ciò, tuttavia, l’accento sulle caratteristiche fisiche e materiali del segno linguistico, vale a dire sulla sua opacità, non deve essere tale da oscurarne completamente il contenuto, pena una lesione irreversibile della sua potenzialità comu-nicativa. A garantire la sussistenza di una carica semantica nel segno

31 Rosemarie Waldrop, A Basis of Concrete Poetry, in Richard Kostelanetz (ed.), The Avant-Garde Tradition in Literature, Buffalo (NY), Prometheus Books, 1982, p. 315.

32 Wendy Steiner, Res Poetica: The Problematics of the Concrete Program, «New Literary History», vol. 12, no. 3, Linguistics/Language/Literature (Spring, 1981), p. 531.

33 Gomringer, From Line to Constellation, cit., p. 67.34 Eugen Gomringer, The Poem as a Functional Object, in Solt, Concrete Poetry: A

World View, cit., pp. 69-70.

24 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

poetico del concretismo Gomringer chiama in causa, costruttivistica-mente, la struttura del testo. Sta proprio in quest’ultima la principale e fondamentale caratteristica che differenzia una poesia concreta dalle parole in libertà futuriste e dall’aleatorietà degli esperimenti poeti-co-visivi dadaisti. L’utilizzo di tutta una serie di rigidi accorgimenti strutturali, combinati con quella componente giocosa a cui accennava Gomringer nel 1955 contribuisce in maniera determinante a vincolare con regole ferree e rigorose la visualità del testo concreto e a conferirgli una valenza semantica che ne amplifica l’impatto e, di conseguenza, la comunicatività. Ne è esempio una delle prime e più note «costellazio-ni» di Gomringer, Silencio (Fig. 1.1).

Il testo è particolarmente indicativo del modo in cui nella poesia concreta lo spazio grafico, inteso come elemento strutturale, sia in grado di conferire alla composizione gran parte della sua carica seman-tica. In questo caso, la poesia è composta da un’unica parola ripetuta tre volte su cinque righe con l’eccezione della terza riga in cui, al posto del secondo «silencio», c’è uno spazio vuoto che, come nota Liselotte Gumpel, «assumes a kind of ironic eloquence, since the black signs “tell” what the white space “means” but is incapable of conveying without the added word(s). […] Semantically, “silence” signifies what the space is and the word is not»35. La cifra semantica del testo, qui come in gran parte dei lavori concretisti, è quindi data in massima parte non tanto dal significato tradizionale dei segni verbali, quanto dalla collocazione di tali segni nella composizione e dal loro rapporto visivo con lo spazio (non necessariamente bianco) circostante e con gli altri elementi del campo percettivo, tra cui le altre parole che compon-gono la poesia. Questo spostamento del significato dai singoli segni alla struttura visiva del testo sortisce come primo, dirompente risul-tato quello di fornire al lettore nuove modalità di accesso dell’opera poetica. Il testo concreto, infatti, spiazza ripetutamente le modalità di fruizione, sia spaziali che temporali, implicite nella poesia tradizionale (in cui il testo va letto dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra, dall’inizio alla fine), producendo opere che – analogamente a quanto avviene nella pittura – possono essere tranquillamente esperite senza il sostanziale obbligo di attenersi a sequenzialità e direzioni pre-determi-nate. Un testo come Silencio è strutturalmente concepito proprio per

35 Liselotte Gumpel, Concrete Poetry from East and West Germany, New Haven and London, Yale University Press, 1976, p. 95.

251. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

essere percepito immediatamente e nella sua interezza con lo sguardo più che con la lettura e per raggiungere quindi – data anche l’estrema elementarità del suo contenuto semantico – un livello di accessibilità tale da instaurare con il lettore un rapporto di comunicazione presso-ché istantaneo. L’obiettivo è quello di ottenere «greater flexibility and freedom of communication» mediante opere poetiche che, come scrive Gomringer nel 1960, «should be, if possible, as easily understood as signs in airports and traffic signs»36.

Oltre a compattare visivamente il testo in una forma quasi ogget-tificata, la struttura, nella poesia concreta, svolge anche un’altra fondamentale funzione comunicativa. Vincenzo Accame osserva come Silencio possa essere considerato come un «esempio di tautologia creativa; esempio che avrebbe funzionato ugualmente se al posto del “silenzio” ci fosse stato “vuoto”, oppure “pieno”, perché in entrambi i casi l’assenza centrale evidenzierebbe subito il contenuto-significa-to compreso nella parola»37. Uno degli scopi principali del concreti-smo, per Gomringer come per i brasiliani, era in effetti proprio quello di produrre testi che non fossero esempi della creatività e del genio individuale del poeta, ma piuttosto veri e propri prototipi, strutture visive e verbali che si prestassero a una serie di possibili riproduzioni virtualmente infinite. Strutture, in altre parole, che potessero essere riutilizzate o imitate e che fossero in grado di continuare a “funziona-re” anche con materiali verbali diversi da quelli utilizzati originaria-mente dall’autore. Il concetto stesso di creazione poetica viene quindi ribaltato dai concretisti e concepito come rispondente ai criteri indu-striali della produzione in serie, con l’obiettivo ultimo di ottenere non più pezzi unici e inimitabili, ma vere e proprie strutture oggettificate, immediate, funzionali e riciclabili. Ma quando esattamente una strut-tura concreta può essere considerata “funzionante”?

The test of its efficacy is not the personal taste of an elite collector, but whether the object functions and satisfies the needs of the public. As a consequence, concrete poetry strives to present itself without mystery directly to the consumer38.

36 Gomringer, The Poem as a Functional Object, cit., p. 70.37 Vincenzo Accame, L’uso della parola nei vari tipi di poesia visuale, «Testuale»,

vol. 7, 1987, p. 92.38 Jon M. Tolman, The Context of a Vanguard: Towards a Definition of Concrete

Poetry, «Poetics Today», vol. 3, n. 3, 1982, pp. 160-161.

2� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

L’oggettificazione del testo poetico e la sua potenziale serialità vengono quindi concepiti dai concretisti come mezzi per demistificare la poesia e riavvicinarla al pubblico, identificato non come una ristret-ta cerchia di intellettuali smaliziati, ma piuttosto con lo stesso, amplis-simo, bacino d’utenza di qualsiasi prodotto industriale. Il concretismo non postula il totale annichilimento della creatività dell’autore, ma la imbriglia piuttosto in precise regole strutturali – estrema intuitività del rapporto tra parola, spazio grafico e dimensione visiva del segno, limi-tatezza quantitativa del materiale linguistico utilizzato, elementarità del significato – che devono risultare evidenti al lettore fino al punto di «invitarlo» a prendere parte al gioco. Questo gioco deve essere perce-pito, al pari del segno pubblicitario, come accattivante e accessibile anche da un pubblico non particolarmente acculturato. Al riguardo, Max Bense nota come lo schema estetico di comunicazione dei testi concreti e di quelli pubblicitari sia pressoché identico: «Il segno centra-le, per lo più una parola, assume la funzione di slogan»39. Analogia particolarmente evidente in Silencio.

Gomringer utilizza il paragone tra i testi concreti e le indicazio-ni negli aeroporti anche per evidenziare una delle conseguenze più sorprendenti della concezione poetica concretista, vale a dire lo scaval-camento di tutti quei problemi di lingua e di traduzione che per la poesia tradizionale si rivelano spesso insormontabili:

Airports I saw as those places in which connections were made to the far corners of the earth, places in which only a limited number of necessarily unambiguous instructions, signals and signs were tolerated, which could be understood by everyone, regardless of his mother tongue40.

Tra gli obiettivi del concretismo c’era per Gomringer, come per molti altri autori, quello di aprire la strada a una sorta di poesia univer-sale, comprensibile ovunque senza la necessità di ricorrere a comples-si lavori di traduzione. Silencio ne è un esempio41. E lo è ancor più,

39 Cit. in Adriano Spatola, Verso la poesia totale, Salerno, Rumma, 1969, p. 55.40 Cit. in Mary Ellen Solt, Charles Sanders Peirce and Eugen Gomringer: The

concrete poem as a sign, «Poetics Today», 3/3, 1982, p. 204.41 Per evidenziare l’estrema “traducibilità” dovuta alla centralità della dimensione

strutturale e visiva su quella sintattica e semantica, Gomringer stesso pubblicò il testo oltre che in spagnolo anche in tedesco (Fig. 1.2) e in inglese.

271. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

soprattutto per un lettore occidentale, River/Sandbank del concretista giapponese Seiichi Niikuni (Fig.1.3).

La poesia è composta esclusivamente da due caratteri Kanji giap-ponesi ripetuti in modo da riempire uno spazio quadrato. I due carat-teri, dal significato di «fiume» e «banco di sabbia, riva sabbiosa», sono quasi identici, ad eccezione di tre trattini che, nel secondo di essi, sono posizionati alla sinistra di ognuno dei tre tratti verticali. Dal punto di vista grafico questa differenziazione fa sì che il quadrato risulti diviso in due zone, una delle quali visualmente più densa e più scura dell’altra. La ripetizione continua dei due segni ideografici contribuisce tuttavia a dissolverne la singolarità nella rappresentazione visiva di quelli che sono i loro significati, con l’effetto grafico finale di un fiume che lambisce una riva sabbiosa. È particolarmente significativo il fatto che in questo caso sia l’autore stesso a includere nella poesia, a mo’ di legenda, l’equivalente inglese dei due caratteri che compongono il testo. Due semplici indicazioni che rendono superflua una traduzione intesa in senso tradizionale e sottolineano la vocazione internazionali-stica e le vaste potenzialità comunicative della nuova poesia.

Queste caratteristiche ebbero senz’altro un peso non indifferente sull’espansione straordinariamente rapida che interessò, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, la produzione di poesia concreta. Come la stessa opera di Niikuni testimonia, nell’arco di pochi anni il concre-tismo divenne un movimento di portata autenticamente internaziona-le. Gruppi concretisti nacquero in tutta Europa su entrambi i versanti dell’allora quasi invalicabile “cortina di ferro”, in Giappone, in Suda-merica, in Canada e negli Stati Uniti, dove peraltro la beat generation stava già da qualche anno muovendosi, con strategie proprie, nella direzione di una poesia che cercasse di riagganciarsi alla società e a un pubblico non necessariamente elitario.

1.3 Poesia visiva: icona poetica come nuova comunicazione me-diatica

La sorprendente diffusione del concretismo su scala internazionale portò con sé, oltre alla prevedibile e molteplice evoluzione delle linee guida teoriche originali, anche un’altra conseguenza: la presa d’atto dell’estrema difficoltà di realizzare nella pratica quello che doveva esse-re, per Gomringer e per i brasiliani, uno degli obiettivi fondamentali

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del movimento, ovvero quello di restituire alla poesia una «funzione organica nella società». Il conseguente abbandono, da parte di molti concretisti42, di ogni pretesa sociale in favore di una sperimentazione pura, esclusivamente estetica e generalmente asemantica concorse a far sì che, per quella fetta del movimento che ancora credeva nell’ambizio-ne di poter produrre una nuova poesia popolare, si rendesse necessario un ripensamento dei mezzi e delle strategie che avevano fino ad allora caratterizzato la poesia concreta. I ritmi, le modalità e la portata di tale ripensamento furono legati agli specifici contesti sociali in cui i diver-si autori venivano a trovarsi. Tuttavia, a livello generale, la tendenza più comune fu quella di aumentare l’impatto comunicativo dei testi concreti accentuandone la figuratività. Un esempio di questa evoluzio-ne è Apfel, una poesia del 1965 ad opera del tedesco Reinhard Döhl (Fig. 1.4).

Döhl utilizza un pacchetto di stampa in cui una stessa parola è ripe-tuta su linee orizzontali per far sì che il contorno figurale di una mela risulti completamente pieno della parola «mela». Con un’unica ecce-zione: in basso a destra, al posto di un «Apfel» troviamo un «Wurm» che intacca l’omogeneità visiva e semantica del testo con la stessa apparente impercettibilità con la quale un verme si fa strada all’interno di una mela. Anche in questo testo l’attenzione per la struttura formale e visiva riveste un ruolo importante. Liselotte Gumpel interpreta in tal senso la scelta, da parte del poeta, di preferire la «A» maiusco-la – in linea con le regole ortografiche della lingua tedesca – rispetto alla minuscola. Se da una parte quest’ultima avrebbe infatti avuto una maggiore somiglianza grafica con la forma della mela, dall’altra non avrebbe permesso di instaurare quella corrispondenza e opposizione visiva con la «W» maiuscola di «Wurm» che consente al lettore di individuare più facilmente l’”intruso”, dando più vigore e immedia-tezza al meccanismo ludico e comunicativo del testo43. A questo tratto di continuità con gran parte della precedente produzione concretista si oppongono però alcuni non trascurabili accenni di rottura, uno dei

42 Liselotte Gumpel nota come significativamente Gomringer stesso, in un’anto-logia di poesia concreta da lui curata nel 1972, includa in appendice tre suoi manifesti programmatici pubblicati negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta omettendo però i passaggi relativi alle potenzialità sociali della poesia concreta. Cfr. Gumpel, Concrete Poetry from East and West Germany, cit., p. 192.

43 Gumpel, Concrete Poetry from East and West Germany, cit., pp. 204-205.

2�1. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

quali emerge con particolare evidenza dal paragone tra Apfel e River/Sandbank di Niikuni. Entrambi i testi sono costituiti da due parole e in entrambi i casi ognuna delle due parole viene utilizzata in modo tale da fornire una dimensione visiva al proprio significato. Tuttavia, mentre nella poesia di Niikuni il fiume e la riva hanno l’aspetto grafico di due triangoli inscritti in un quadrato, la mela di Döhl ha effettivamente la forma di una mela. Non solo: il testo è concepito in maniera da dare l’impressione che tale sagoma sia stata ritagliata da qualche super-ficie più grande. Döhl non fa perciò soltanto un passo significativo verso la figuratività e la referenzialità, ma reintroduce implicitamente anche l’intervento dell’autore andando a intaccare – o, se si preferisce, ad addolcire – il nucleo costruttivista che stava alla base della teoria concreta e che era imperniato sull’autosufficienza della struttura visi-va del testo e sulla sua conseguente indipendenza sia da un’eccessiva referenzialità figurativa, sia, soprattutto, da qualsiasi traccia troppo evidente di soggettività autoriale. Apfel è il sintomo di un’evoluzione del concretismo e di un’ulteriore avvicinamento alla grafica commer-ciale e pubblicitaria. Una convergenza, questa, che tentava di essere non solo teorica, ma anche pragmatica e che andava chiaramente nella direzione di una maggiore comunicatività con il pubblico, come testi-monia anche un altro fattore significativo. Apfel non era stata infatti concepita da Döhl per essere normalmente pubblicata in un’antologia o in una raccolta personale, ma fu stampata su cartoline postali e fatta circolare secondo le modalità tipiche della mail art, una pratica artisti-ca nata qualche anno prima negli Stati Uniti in base alla quale l’autore inviava tramite la rete postale la sua opera ad amici e conoscenti cui chiedeva di arricchirla con interventi personali e di rispedirla quindi ad altri destinatari. Questa operazione rappresentava, per certi versi, un tentativo di mettere fattivamente in pratica la concezione del testo come oggetto funzionale espressa da Gomringer: se la nuova poesia doveva rivolgersi a quello stesso pubblico quotidianamente bombar-dato dai «testi stradali», l’opera poetica non poteva rimanere confina-ta nelle pagine di un libro o di una rivista, ma doveva piuttosto fare il suo ingresso nel mondo come oggetto fisico in grado di raggiungere attivamente il proprio fruitore piuttosto che aspettare di essere scovato tra le pagine di un’antologia o di una rivista.

Nonostante i passi fatti da Döhl e da altri autori concreti nella dire-zione di una comunicatività poetica più immediata e di un maggiore impatto sul pubblico, nel clima di crescente attrito sociale che carat-

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terizzava gran parte del panorama europeo nella seconda metà degli anni ’60 molti poeti che gravitavano nella sfera del concretismo si convinsero che i mezzi messi loro a disposizione dalla poesia concreta fossero fondamentalmente insufficienti a colmare il divario esistente tra la poesia e le masse. Nel 1970, in un numero della rivista inglese di poesia concreta «Stereo Headphones» intitolato Death of Concrete44, alcuni poeti francesi arrivarono a dichiarare il fallimento comunica-tivo della poesia concreta e a postulare la necessità di un suo aperto superamento. Riferendosi al ’68 parigino e praghese, Henri Chopin lanciava un vero e proprio attacco al concretismo e alla sua incapacità di incidere attivamente su quella realtà quotidiana che si era prefisso di raggiungere ma nei confronti della quale risultava, all’atto pratico, assolutamente estraneo:

I was and I am opposed to concrete poetry, which concretizes nothing, because it is not active. It has never been in the streets, it has never known how to fight to save man’s conquests: the street which belongs to us, carrying the word away from the printing-press45.

Se per Chopin l’emancipazione dal concretismo stava nella poesia sonora, Jean-François Bory proponeva invece un radicale spostamento verso il mondo della pubblicità che consentisse di abbandonare gran parte degli stantii formalismi costruttivistici della poesia concreta in favore del ricorso a mezzi quali il fotomontaggio e il collage utiliz-zati in chiave prevalentemente espressionistica e spesso intuitiva46. Le critiche lanciate dalle pagine di Stereo Headphones stimolarono un profondo processo di autoanalisi tra i concretisti, nonostante le vie d’uscita avanzate dai francesi non fossero in realtà né nuove, né originali. Già da qualche anno, infatti, in Italia era attivo un partico-lare movimento poetico che andava esattamente nella stessa direzione proposta da Bory.

La poesia visiva italiana era nata nei primi anni ’60 proprio come reazione al concretismo e alla mancata realizzazione dei suoi obietti-vi comunicativi. Pur condividendo con la poesia concreta alcune basi teoriche e quella che Gillo Dorfles definisce «l’urgenza […] di accostar-

44 «Stereo Headphones», Vol. 1, No. 2/3 (Spring 1970).45 Cit. in Edwin Morgan, Into the Constellation: Some Thoughts on the Origin and

Nature of Concrete Poetry, in Id., Essays, cit., p. 21.46 Ibidem, p. 22.

311. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

si a un tipo di comunicazione attraverso la parola che sia quanto possi-bile diretta e visualmente immediata»47, i poeti visivi italiani criticava-no radicalmente gran parte delle tecniche e dei mezzi di cui si serviva il concretismo – ritenuti inadatti a creare una poesia in grado di ottenere un impatto sociale efficace e pervasivo – e proponevano un ricorso ancor più marcato alle strategie della comunicazione mass-mediatica, optando per una decisa prevalenza dell’aspetto iconico (immagini, fotografie, disegni, ritagli di giornale) su quello grafico-tipografico. Nonostante il tentativo operato da alcuni critici vicini alle avanguar-die concrete di ricondurre la poesia visiva nell’ambito del concretismo – tentativo che avremo modo di approfondire più avanti – le peculia-rità che caratterizzano il movimento italiano sono tali da giustificarne le pretese di autonomia e originalità. Per avere un’idea delle principali differenze tra poesia visiva e poesia concreta è sufficiente un rapido sguardo a È guerra d’eroi di Lucia Marcucci (Fig. 1.5).

Mentre nella poesia concreta era la struttura, intesa costruttivisti-camente come il rapporto tra i diversi segni grafici che costituiscono il testo, ad essere non solo portatrice di carica semantica e di coesione visuale, ma anche garanzia di immediatezza e comunicatività, nella poesia visiva la cura minuziosa della costruzione strutturale viene spes-so subordinata all’impatto visivo delle diverse immagini che compon-gono il testo. In È guerra d’eroi non è tanto la struttura a tenere insie-me il collage, quanto la carica espressiva del messaggio, che in tutta la poesia visiva italiana assume una valenza ideologica e politica eccezio-nale, tale da fungere da matrice organizzativa in testi spesso composti da una varietà di materiale iconico e verbale che, senza il collante ideo-logico-contenutistico, correrebbe il rischio di risultare eccessivamente eterogenea e destrutturata.

Da un rapido confronto della poesia di Marcucci con la contem-poranea Apfel, risulta evidente come il tentativo del poeta tedesco di allontanarsi dalla rigidità quasi astratta del concretismo tradizionale nella ricerca di una più marcata carica figurativa e di un più compiu-to accostamento alle tecniche di comunicazione pubblicitarie risulti, a dir poco, alquanto moderato. È guerra d’eroi si distacca decisamente dall’algida razionalità del disegno grafico, rompendo ogni indugio per tuffarsi a pieno nella straripante visualità del manifesto pubblicitario

47 Cit. in Spatola, Verso la poesia totale, cit., pp. 30-31.

32 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

vero e proprio. L’autosufficienza strutturale del testo viene totalmen-te ripensata in funzione di una referenzialità, sia visiva che verbale, debordante che non si limita soltanto a prendere spunto dalle strategie comunicative mass-mediatiche, ma utilizza gli stessi mass-media (titoli di riviste popolari, slogan pubblicitari, titoli di quotidiani) come mate-riale costituente del testo poetico. Tale materiale, spesso proveniente da contesti originali assai dissimili, trova nel testo visivo una coesione caratterizzata da chiare direzioni ideologiche e focalizzata su messaggi ben precisi, spesso diversi da quelli che i singoli componenti del testo erano originariamente preposti a veicolare. Scrive Luciano Ori:

La Poesia visiva attua una vera e propria guerriglia semiologica: spiazza messaggi e significati, li ribalta, li cambia di segno. In pratica ne scompone i materiali iconico verbali per ricomporli in messaggi e significati opposti e diversi48.

È chiaro che un’operazione di questo tipo comporta il rientro in scena da protagonista di quella soggettività autoriale che il concre-tismo aveva cercato di rimuovere. Non è più soltanto una questione di struttura, ma è anche e soprattutto la tensione espressiva e ideo-logica dell’autrice a trasformare È guerra d’eroi da semplice collage ad atto d’accusa contro la superficialità e la subdola retorica di un sistema capitalista a cui fa gioco l’esaltazione del dualismo uomo eroi-co e valoroso / donna bella e sognatrice per rendere accettabili tutta una serie di dinamiche di sopraffazione che vanno dal maschilismo ai conflitti bellici. Il perno attorno al quale ruota il testo è infatti, sia visivamente che concettualmente, proprio la guerra49: nello specifico quella del Vietnam, iniziata nel 1965 con una serie di bombardamenti statunitensi presto accolti in Europa (e non solo) da vaste e per molti versi inedite manifestazioni di protesta. È da notare inoltre il ritorno della sintassi nel materiale verbale che non è più, come nel concreti-smo, ridotto ai minimi termini e utilizzato quasi esclusivamente per le sue qualità grafiche, ma si riappropria in pieno della sua tradizionale

48 Dorfles, Fagone, Menna, Migliorini, Ori, La poesia visiva (1963-1979), cit., p. 10.49 Lo stesso tema, intrecciato a una critica dell’ipocrisia, del cinismo e dell’impe-

rialismo capitalista, viene affrontato, tra gli altri, ancora da Lucia Marcucci in I classici dell’amore (Fig. 1.6) e – con l’aggiunta di un’accusa al ruolo solo fintamente neutrale assunto dalla Chiesa cattolica nel conflitto vietnamita – da Ketty La Rocca in Bianco Napalm (Fig. 1.7).

331. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

carica semantica, sebbene amplificata e alterata dall’accostamento con le immagini.

La poesia concreta poneva grande attenzione nel costruire testi che fossero veri e propri prototipi quanto più possibile riutilizzabili, decontestualizzati e internazionalmente fruibili con il minimo sforzo di traduzione. È guerra d’eroi – utilizzando un linguaggio sintatticamen-te articolato e un materiale spesso riconoscibile a pieno soltanto da un pubblico locale (il titolo della rivista Gioia) – mostra chiaramente quanto siano diverse le strategie adottate dalla poesia visiva. Queste strategie puntano su un potenziale comunicativo che non corra il rischio di perdersi in ricerche di riproducibilità e internazionalismo ma che faccia perno, al contrario, proprio sulla contestualizzazione storica e linguistica, sul qui e sull’ora: le coordinate cardine della comuni-cazione massmediatica. Viene così alla luce l’obiettivo più ambizioso della poesia visiva italiana, quello di un’azione artistica eversiva volta a raggiungere le masse non più limitandosi a prendere spunto dalle tecniche utilizzate dai mass-media, ma cercando piuttosto di identifi-carsi con essi, con il fine ultimo di prenderne il posto. Eugenio Miccini e Michele Perfetti sono chiarissimi a riguardo:

La Poesia Visiva, dunque, è guerriglia: e in quanto tale, si serve non solo della parola e dell’immagine, ma anche della luce, del gesto, insomma di tutti gli strumenti “visibili” del comunicare, e deve necessariamente e progressiva-mente tendere a trasformare i propri mezzi […] in quelli delle comunicazioni di massa fino a impadronirsene50.

1.4 Successo o fallimento?

Poesia visiva e poesia concreta: due strategie diverse per un obiettivo comune. Ma che ne è stato della pretesa dell’avanguardia di occupare il posto vacante della poesia popolare, restituendo così all’arte poetica quella che Gomringer definiva «an organic function in society»? In effetti, la popolarità della poesia non sembrerebbe aver fatto grandi passi avanti in occidente negli ultimi cinquanta anni, come nota pole-

50 Cit. in Angelo Bertani, Linguaggi come resistenza, in Luciano Caruso, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, Luigi Tola, Rodolfo Vitone, La parola dipinta: poesia visiva in Italia ’60 - ’90, Vicenza, Valmore studio d’arte, 1997, p. 3.

34 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

micamente Dana Gioia facendo il punto sullo stato dell’arte poetica in Nordamerica all’inizio degli anni ‘90:

Poetry now belongs to a subculture. No longer part of the mainstream of artistic and intellectual life, it has become the specialized occupation of a relatively small and isolated group. Little of the frenetic activity it generates ever reaches outside that closed group. […] The situation has become a paradox, a Zen riddle of cultural sociology. Over the past half century, as American poetry’s specialist audience has steadily expanded, its general readership has declined. Moreover, the engines that have driven poetry’s institutional success […] have unwittingly contributed to its disappearance from public view. […] To the average reader, the proposition that poetry’s audience has declined may seem self-evident51.

Non è difficile notare come le osservazioni di Gioia possano essere ritenute valide anche per il contesto europeo e d’altra parte, per ripor-tare il discorso sulle avanguardie, non c’è certo bisogno di particola-ri pareri critici per constatare come termini quali “poesia visiva” o “poesia concreta” siano tuttora virtualmente sconosciuti a quel grande pubblico a cui i due movimenti cercavano di rivolgersi.

Alcuni hanno attribuito la causa di quello che potrebbe essere, a prima vista, giudicato un insuccesso delle avanguardie in questione, ad una certa superficialità, o meglio “inconsistenza”, dei testi visivi e concreti. Marjorie Perloff, ad esempio, mette in evidenza il rischio che tali testi risultino, a conti fatti, composizioni puramente decorative ed effimere con scarso valore poetico. Facendo riferimento a Gomringer il critico americano osserva provocatoriamente:

Indeed, it seems that the call […] for “poems… as easily understood as signs in airports and traffic signs” runs the risk of producing “poems” that are airport and traffic signs52.

Quello che per Perloff è un rischio potenzialmente evitabile, per altri critici diventa invece un grave difetto congenito. Di questo avviso è Giancarlo Pavanello, secondo il quale, quando la poesia sperimentale – nel caso specifico quella visiva e concreta – cerca di essere comuni-

51 Gioia, Can Poetry Matter?, cit., pp. 94-106.52 Marjorie Perloff, Radical Artifice: Writing Poetry in the Age of the Media,

Chicago, University of Chicago Press, 1991, p. 128.

351. CONCRETISMO E POESIA vISIvA

cativa, perde inevitabilmente di qualità o – per essere più precisi – di «spessore»:

Possiamo azzardare: non sarà forse richiesto anche alle scritture visive, come alla poesia lineare, quello che nel gergo dei lettori si chiama “spessore”? Dobbiamo cominciare a discutere sulla parola “spessore” (così poco scienti-fica)? Certo, com’è innegabile, spesso si assiste a un’eccessiva facilità, a uno spirito goliardico spacciato per ironia […]53.

Avremo modo di tornare su queste osservazioni. È però fin d’ora possibile notare che una critica come quella di Pavanello, se da una parte mette in dubbio le stesse basi teoriche del concretismo e della poesia visiva, dall’altra non tiene conto del fatto che gran parte della letteratura commerciale è popolare anche se (o forse in quanto) manca di spessore artistico. D’altra parte vedremo anche come la scarsa noto-rietà dei movimenti in questione non abbia impedito ad alcuni dei testi che prenderemo in esame di raggiungere una visibilità pubblica del tutto eccezionale per delle opere d’avanguardia.

Per valutare appieno gli esiti artistici, le strategie e i risultati (effet-tivamente ottenuti o meno) di movimenti tanto focalizzati sull’impatto sociale delle loro opere, è necessario un approccio che non si esaurisca nella sola analisi dei testi, ma che inquadri questi ultimi, insieme ai loro autori, in quei contesti socio-culturali all’interno dei quali tali testi avrebbero dovuto “rilasciare” la loro carica comunicativa.

Nasce da considerazioni di questo tipo l’idea di strutturare la presente analisi seguendo quel percorso dialettico attraverso diverse tipologie di rapporto – sintonia, distonia e dialogo – tra avanguardia e campo del potere a cui accennavamo in sede introduttiva. Un percorso che ho deciso di affrontare partendo dall’esame di alcuni aspetti di un’esperienza artistica cronologicamente sfasata di qualche decennio rispetto al concretismo e alla poesia visiva: quella delle avanguardie sovietiche degli anni ’20. Esperienza, questa, fondamentale sia perché rappresenta uno dei rarissimi casi di identificazione quasi totale tra avanguardia ed establishment (un’alleanza che per di più aveva tra i suoi scopi principali anche quello di trasformare la poesia da arte riser-vata a un’élite colta in arte per le grandi masse proletarie), sia perché, come già anticipato, l’analisi del costruttivismo russo ci darà la possi-

53 Giancarlo Pavanello, Frammenti critici. Ricognizione sulle ‘scritture visive’ con qualche sconfinamento (1975 – 1991), «Testuale», vol. 15/16, 1993, p. 8.

3� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

bilità di rintracciare non solo i dichiarati punti di riferimento delle avanguardie concrete e visive (prevalentemente teorici per le prime, prevalentemente ideologici per le seconde), ma anche alcuni elementi che si riveleranno fondamentali nel valutare il successo o l’insuccesso delle ambizioni sociali dei due movimenti.

Sintonia con il campo del potere: poesia e visualità nella Russia sovietica (1918 – 1926)

Tra il 1923 e il 1926 alcune tra le principali aziende pubbliche sovietiche decisero di pubblicizzare su vasta scala i loro prodotti e la propria immagine servendosi di un tipo molto particolare di manife-sti, firmati da un’altrettanto particolare coppia di artisti: Aleksandr Rodčenko e Vladimir Majakovskij. Il frutto della collaborazione tra un grafico costruttivista-produttivista e un poeta futurista fu una serie di opere che rivoluzionò l’arte del poster pubblicitario grazie a una fusione organica tra parola e immagine, tra impatto linguistico e visi-vo, senza precedenti nella breve storia del manifesto commerciale. Ne è esempio una tra le prime e più note pubblicità prodotte dal duo; un invito a comprare i succhiotti prodotti dalla Rezinotrest, il consorzio statale per la produzione della gomma (Fig. 2.1). Il testo non si avvaleva soltanto dei versi concisi, rimati e ritmati di Majakovskij («LUČšICH SOSOK / NE BYLO I NET / GOTOV SOSAT’ DO STARYCH LET / PRODAJUTSJA VEZDE / REZINOTREST»1), ma puntava anche a integrare tali versi, a livello visivo, nell’insieme della composizio-ne, evidenziando affinità e opposizioni geometriche e cromatiche tra la parte grafica e quella tipografica, in un gioco continuo di rimandi e contrasti in cui il testo del poeta futurista assumeva, costruttivisti-camente, uno spessore materico in grado di interagire alla pari con l’aspetto più prettamente visuale del manifesto. Interazione talmente stretta da poter considerare come “testo” l’intero poster.

A tali considerazioni stilistiche e formali, che approfondiremo più avanti, se ne accompagna tuttavia un’altra di ordine più ampio e di portata fondamentale: per la prima volta nella sua storia l’avanguar-

1 «SUCCHIOTTI MIGLIORI / NON SONO MAI ESISTITI / PRONTO A SUC-CHIARE FINO ALLA VECCHIAIA / VENDUTI OVUNQUE / REZINOTREST» [Trad. mia].

3� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

dia, e nello specifico quella poetica, veniva messa nelle condizioni di raggiungere direttamente un pubblico vastissimo, e lo faceva con modalità molto simili a quelle che sarebbero poi state fatte proprie, trent’anni più tardi, dalla poesia concreta prima e da quella visiva poi. In altre parole, nell’Unione Sovietica degli anni ’20 sembrava realiz-zarsi qualcosa di non troppo differente da quello che sarebbe poi stato il principale obiettivo comunicativo dei concretisti e dei poeti visivi. Ma quali sono le reali affinità, teoriche e teleologiche, tra i manifesti pubblicitari di Rodčenko e Majakovskij e le costellazioni di Gomringer o le poesie visive dell’avanguardia italiana degli anni ’60? Abbiamo già fatto riferimento al costruttivismo russo come a uno dei perni attorno ai quali ruotava la definizione di similitudini e differenze tra poesia concreta e poesia visiva. Ma per gettare una luce più penetrante sulle caratteristiche del movimento costruttivista, da cui originavano sia le specificità stilistiche che il ruolo sociale dei manifesti di Rodčenko e Majakovskij, bisogna tenere presente che tali testi rappresentavano il punto di arrivo non solo di un’evoluzione teorica e formale, ma anche del rapporto che legava quegli stessi testi (e i loro autori) al conte-sto politico, economico e culturale di cui erano parte integrante e che aveva reso possibile la loro stessa esistenza sociale. Un rapporto, quel-lo tra avanguardia e potere, che era iniziato sei anni prima, all’indo-mani della rivoluzione.

2.1 Prove di sintonia tra avanguardia e campo del potere

Il 26 ottobre del 1917, il giorno dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, Anatolij Vasilevič Lunačarskij viene eletto a capo del neocostituito Commissariato del popolo per l’istruzione, più comune-mente noto come Narkompros2. A Lunačarskij era affidato un compi-to cruciale: quello di convincere il popolo della giustezza della causa rivoluzionaria. Lenin era ben conscio del fatto che nel Paese si sarebbe sviluppata una guerra civile e che per vincerla i bolscevichi avrebbero

2 La sigla, secondo una prassi molto diffusa all’epoca (non solo in Russia) fonde insieme le prime lettere delle parole che formano la denominazione ufficiale del commis-sariato (Narodnyj komissariat prosveščenija). Si noti che la parola prosveščenie – che figurava anche nella denominazione del vecchio ministero zarista – può essere tradotta come «istruzione» o «educazione», ma anche, estensivamente, come «propagazione del-la cultura».

3�2. SINTONIA

avuto bisogno, e in fretta, del sostegno delle grandi masse oltre a quel-lo degli operai e dei soldati. In tale prospettiva la questione culturale, per Lenin, era di fondamentale importanza. Scrive Peter Kenez:

Lenin, the Marxist, was deeply preoccupied with the question: Was Russia ready for the revolution? He could not lightly dismiss Menshevik criticism according to which the economy and society had not yet properly developed. Obviously he ultimately rejected these objections and rejected them passionately; but at the same time, he was deeply aware of the backwardness of the country. His solution in principle was simple: While fighting a life-and-death struggle against their opponents, the Bolsheviks at the same time had to raise the cultural level of the people. Consequently, Lenin, the supreme realist, chose “cultural revolution” as one of the major themes of his writings during the last years of his life3.

La nuova cultura che avrebbe dovuto caratterizzare la neona-ta società proletaria non poteva più continuare ad esser qualcosa di riservato agli intellettuali, ma doveva configurarsi come un processo continuo in grado di coinvolgere ogni singolo membro della società: doveva raggiungere le masse fino a renderle attivamente partecipi nella realizzazione dell’impresa rivoluzionaria. Per realizzare un tale obietti-vo Lenin era intenzionato a sfruttare a pieno tutte le nuove possibilità offerte dai mezzi di comunicazione di massa, ma era anche perfetta-mente consapevole del fatto che non fosse possibile fare a meno del sostegno degli intellettuali e degli artisti: di coloro, vale a dire, che erano stati fino ad allora i principali “produttori di cultura” del Paese. Fu proprio questo il primo e fondamentale compito assegnato al commissario del popolo per l’istruzione: sondare la disponibilità delle élite culturali a collaborare con i bolscevichi.

Lunačarskij, che si definiva «un intellettuale tra i bolscevichi e un bolscevico tra gli intellettuali»4, godeva di una discreta fama come filosofo e critico letterario sia in Europa che in Russia, dove era noto anche per la sua ampiezza di vedute, senso di tolleranza e spirito conci-liatorio. Nonostante questo, quando tentò, all’indomani della rivolu-zione, di instaurare dei contatti con il mondo dell’arte, si trovò di fron-te un ambiente decisamente ostile, deciso a boicottare unilateralmente

3 Peter Kenez, The Birth of the Propaganda State: Soviet Methods of Mass Mobilization, 1917-1929, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, p. 70.

4 Cit. in Sheila Fitzpatrick, Rivoluzione e cultura in Russia, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 22.

40 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

il nuovo governo. Questo atteggiamento, da parte di scrittori, artisti, musicisti, attori era dovuto a un insieme di cause. Da una parte c’era la volontà di mantenere i privilegi di classe ereditati dal periodo zarista, dall’altra il timore che dietro alle profferte di Lunačarskij si potesse nascondere il tentativo di limitare forzatamente l’autonomia dell’arte, subordinandola ai meri interessi di una classe dirigente, quella bolsce-vica, che molti artisti ritenevano destinata ad avere vita breve. Nono-stante in realtà l’obiettivo del Narkompros non fosse – almeno in quel momento – quello di istituire una direzione governativa della cultura, ma soltanto di stabilire contatti e avviare una discussione con il mondo artistico, quest’ultimo continuò a mantenere una posizione di chiusura senza compromessi e di marcata ostilità verso tutte le istituzioni sovie-tiche5. Un unico, sparuto gruppo di artisti si distaccò da questa linea di rottura: l’avanguardia.

Vladimir Majakovskij e i futuristi6, che fino ad allora avevano gravitato nell’estrema periferia dell’establishment artistico e culturale russo, furono tra i primi a offrire – entusiasticamente – collaborazione e appoggio al nuovo governo. Majakovskij descrisse la sua decisione con estrema semplicità: «Ottobre. Aderire o non aderire? La questione non si pone per me (e per gli altri futuristi moscoviti). È la mia rivo-luzione»7. Era naturale che l’avanguardia, quella letteraria come quel-la artistica e teatrale, si riconoscesse nel nuovo regime. Ad andare al potere era stata del resto un’altra avanguardia, quella politica bolsce-vica, caratterizzata da quelle stesse veementi pulsioni antagonistiche e

5 Per un resoconto dettagliato sull’evoluzione dei rapporti tra il Narkompros e l’Unione degli Artisti nei mesi successivi alla rivoluzione, vedi Fitzpatrick, Rivoluzione e cultura in Russia, cit., pp. 137-188.

6 Il futurismo russo si sviluppò principalmente a San Pietroburgo a partire dal 1909 attorno alle figure di Vladimir Majakovskij, Velimir Chlebnikov, Aleksej Kručënych e Vasilij Kamenskij. Nato inizialmente sulla scia dell’omonimo movimento italiano, il futurismo russo andò progressivamente distaccandosi dagli ideali e dai principi formali del gruppo guidato da Marinetti. I futiristi russi, infatti, partendo come gli italiani, dalla necessità di utilizzare in chiave poetica un linguaggio che rompesse con la tradizione lirica e inglobasse elementi tratti dal mondo della tecnica e dell’industria, si indirizzaro-no poi verso una serie di riflessioni sulle caratteristiche fisiche, sonore e mistiche della parola poetica che, come si vedrà nel prosieguo del discorso, divennero in breve la cifra artistica distintiva del movimento russo. Cfr. Ettore Lo Gatto, Storia della letteratura russa, Firenze, Sansoni, 1992 (1979), pp. 649-653.

7 Vladimir Majakovskij, Io stesso, in Id. Opere complete, Roma, Editori Riuniti, 1972, vol. I, p. CIV.

412. SINTONIA

innovative che – come abbiamo visto nel capitolo precedente seguendo Poggioli – caratterizzavano anche le avanguardie culturali. In Russia, queste ultime vedevano l’opera distruttrice e ricostruttrice della rivolu-zione d’ottobre come specchio della propria volontà di abbattere stili, canoni e gerarchie culturali tradizionali per creare qualcosa di nuovo, di “fresco” e di migliore: la novità delle forme artistiche sembrava, in quel momento, poter coincidere con il rinnovamento politico.

Ma se il futurismo non aveva dubbi nell’identificarsi con le vicen-de d’Ottobre, i protagonisti politici di quelle vicende non erano in realtà altrettanto sicuri di potersi identificare nell’opera e negli intenti dell’avanguardia artistica. Tutti i principali leader bolscevichi appar-tenevano a generazioni precedenti a quella da cui era composta gran parte dell’avanguardia ed erano, in genere, persone dai gusti artisti-ci e letterari piuttosto tradizionali. Sia Lenin che Trockij (seppur con sfumature diverse) consideravano il futurismo come un’emanazione letteraria estremizzata di un certo spirito individualista essenzialmente borghese e faticavano a riconoscere ad un movimento il cui manifesto era intitolato Schiaffo al gusto del pubblico la capacità di raggiunge-re le masse e di convincerle della giustezza della causa rivoluziona-ria. (Poco importava che lo «schiaffo» futurista fosse rivolto contro il pubblico borghese). Nonostante tali diffidenze, Lunačarskij decise di dare fiducia al futurismo, e non solo perché non aveva altra scelta. Il commissario per l’istruzione riteneva che l’avanguardia non fosse congenitamente destinata a rimanere per sempre una forma d’arte impopolare e che – cosa ancor più importante – disponesse effettiva-mente di quelle caratteristiche necessarie per farsi araldo della nuova cultura proletaria opposta a quella tradizionale borghese. Ma in cosa consisteva, per il Narkompros, la cultura proletaria? Il dibattito sulle caratteristiche, gli scopi e l’essenza di questa nuova “entità” fu lungo e aspro8, soprattutto perché andava a toccare una questione che, nel contesto immediatamente successivo alla rivoluzione, assumeva una valenza più che mai cruciale: il rapporto tra cultura e potere politico. Scrive Giovanna Spendel:

8 Per un’approfondimento delle divergenze sull’argomento tra il Narkompros e al-tre associazioni militanti, tra tutti il Proletkult di Bogdanov, vedi Fitzpatrick, Rivoluzio-ne e cultura in Russia, cit., pp. 115-136.

42 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

Il problema di una cultura diversa, o altra, o addirittura alternativa, si poneva nella Russia rivoluzionaria in termini oggettivamente nuovi e inediti rispetto a qualsiasi altra esperienza del passato; se non altro in virtù del semplice e incontestabile dato di fatto che il vecchio sistema di pote-re, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sul conse-guente sfruttamento di classe, era stato abbattuto e che un nuovo potere, quello dei bolscevichi, si era instaurato in suo luogo. Questa circostanza non semplificava affatto le cose, anzi le rendeva quanto mai aggrovigliate, poiché introduceva nel quadro tutta una serie di fattori e questioni partico-lari che il tradizionale rapporto fra cultura e società prerivoluzionarie non aveva fino a quel momento comportato.

Per la cultura nuova della società liberata il problema dell’integrazio-ne e della complementarità con il contesto politico si poneva in termini positivi: la cultura doveva configurarsi nella società del potere proletario come uno dei modi e degli aspetti della liberazione di classe. Il tema del rapporto della cultura col potere politico della classe operaia, che si espri-meva nel caso specifico col partito comunista russo, si poneva come uno dei principali compiti attivi non solo agli uomini di cultura (non molti) che operavano anche nelle file del partito, ma anche agli stessi dirigenti politici. Benché non ancora socialista, ma semplicemente impegnata in una fase di transizione verso il socialismo, la nuova società non poteva accontentarsi di interpretare il termine di cultura secondo il senso tradizionale, ma doveva ampliare l’interpretazione fino al significato di servizio sociale e, ancora più avanti, fino a quello di strumento a disposizione delle masse. Da soggetto passivo di cultura, il proletariato doveva appunto diventarne il soggetto attivo per eccellenza9.

Una nuova cultura per una nuova società. Una cultura che non si rivolgesse ad un pubblico raffinato e colto e che non ruotasse più, prevalentemente, attorno a problemi di natura estetica. Una cultura che doveva assolutamente riconoscere il proprio ruolo sociale: quello di essere al servizio delle masse. Ruolo che richiedeva anche l’ammis-sione a pieno titolo nella sfera culturale di contesti fino ad allora consi-derati separati, quali la tecnica, la scienza, l’ingegneria, ma anche la politica, l’economia, l’educazione civica e tutto quanto potesse servire ad aumentare il livello intellettuale delle masse al fine sia di migliorar-ne le condizioni di vita, sia di far prendere loro piena coscienza della nuova posizione che rivestivano all’interno della società sovietica. Per i leader bolscevichi, aumentare il livello culturale del popolo e diffon-

9 Giovanna Spendel, La Mosca degli anni Venti: Sogni e utopie di una generazione, Roma, Editori Riuniti, 1999, p. 116 [Corsivi miei].

432. SINTONIA

dere il messaggio socialista erano due facce della stessa medaglia10. D’altra parte, se il governo sovietico voleva avere un futuro, le masse avrebbero dovuto rendersi conto del fatto che tale governo era la loro incarnazione e che solo il socialismo poteva garantire loro quella posi-zione di primato sociale già usurpata dalla borghesia e dai nobili zari-sti. Solo una massa acculturata avrebbe potuto prendere coscienza di questa nuova situazione e il compito principale degli uomini di cultura e degli artisti doveva essere proprio quello di portare le masse a un livello intellettuale e sociale tale da far assumere loro un ruolo attivo nella costruzione della nuova società di cui erano, finalmente, padro-ne. In definitiva, la cultura doveva essere tale da far avvicinare le masse alla cultura.

Ciò che il Narkompros chiedeva alle avanguardie era un impegno diretto e una partecipazione attiva nel portare l’arte tra il popolo in un compromesso tra finalità pratiche ed estetiche tale da non sacrificare mai le prime a favore delle seconde. In molti, tra i dirigenti bolscevichi, ritenevano tale compito essenzialmente incompatibile con le caratte-ristiche stesse dell’avanguardia, ma Lunačarskij scelse di dare fiducia, mezzi e potere ai giovani artisti che gli avevano offerto collaborazione, scommettendo sulla loro potenzialità di ricalibrare le loro concezio-ni artistiche in accordo con le nuove esigenze culturali del Paese. Il processo di sintonizzazione tra gli artisti e il sistema non sarebbe stato né semplice, né indolore, ma nell’atmosfera di entusiasmo e utopia che caratterizzava il periodo, entrambe le parti in causa sembravano pron-te a impegnarsi fino in fondo per portarlo a termine.

2.2 Primi contatti tra visualità, poesia e propaganda

L’alleanza tra il governo bolscevico e l’avanguardia portò a un’isti-tuzionalizzazione di quest’ultima a livelli assolutamente inediti. Negli anni immediatamente seguenti la rivoluzione, agli artisti d’avanguardia venne assegnato un numero sempre crescente di posti e incarichi diret-tivi all’interno del Narkompros. Mejerchol’d era direttore del Diparti-mento teatrale, Kandinskij e Rozanova membri del Comitato direttivo del Dipartimento per le arti figurative (il cui comando era stato affi-

10 Kenez, The Birth of the Propaganda State: Soviet Methods of Mass Mobilization, 1917-1929, cit., p. 8.

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dato al cubofuturista šterenberg), Chagall Commissario per le arti a Vitebsk e l’elenco potrebbe continuare. Un patrocinio statale di questa portata, in un periodo in cui la guerra civile e una pesantissima crisi economica stavano rendendo virtualmente impossibile ogni iniziati-va privata, garantiva all’arte d’avanguardia una posizione di effettivo monopolio sul panorama culturale sovietico. Così, mentre molti degli artisti di orientamenti tradizionali che avevano rifiutato di collaborare con i bolscevichi sceglievano la via dell’emigrazione, gli avanguardisti si trovarono a poter disporre – a livelli solo fino a poco tempo prima impensabili – dei mezzi, del potere e dell’influenza necessari per assu-mere un ruolo pienamente attivo nel processo di trasformazione della società iniziato con la rivoluzione d’Ottobre.

Come primo passo verso tale trasformazione, l’arte si integrò nel meccanismo della propaganda e dell’agitazione politica11. Gli slogan rivoluzionari iniziarono a ricoprire i muri della città accompagnati dall’opera di pittori e scultori d’avanguardia, mentre treni e battelli di propaganda, completamente decorati da artisti suprematisti, cubisti e futuristi, partivano per raggiungere i punti più remoti dello Stato portando con sé le ultime notizie politiche insieme ai libri degli scrittori che avevano aderito agli ideali socialisti. Non di rado i vagoni dei treni si trasformavano in cinema, teatri o palchi dai quali i poeti recitavano i loro versi nei villaggi più isolati.

In un Paese in cui circa il 70% della popolazione era analfabeta, il carattere prevalentemente orale e visivo della propaganda era una scel-ta obbligata. L’aspetto grafico e figurativo, in particolare, era conside-rato imprescindibile dal momento che, a differenza della performance orale, era slegato dalla presenza di un oratore e assicurava un impatto comunicativo immediato e diretto. Fu questa semplice ma ineludibile constatazione (unita alla cronica mancanza di carta dovuta alla guer-ra civile e alla crisi economica e industriale che stava affliggendo la Russia in quel periodo), che spinse alcuni artisti, in particolare poeti, a sperimentare nuovi modi e nuove forme di interazione tra scrittura e

11 l termine «propaganda» era largamente utilizzato dai bolscevichi e, come nota Peter Kenez, non aveva, almeno al tempo, alcuna accezione negativa o peggiorativa: era semplicemente da intendersi come il tentativo di trasmettere determinati valori sociali, politici e culturali alle masse, nella speranza di influenzarne (ma non coercitivamente) le abitudini e il comportamento. Cfr. Kenez, The Birth of the Propaganda State: Soviet Methods of Mass Mobilization, 1917-1929, cit., p. 4.

452. SINTONIA

visualità, allo scopo di raggiungere efficacemente il più vasto pubblico possibile.

Per i poeti futuristi, questo tipo di ricerca formale e stilistica non era un’esperienza del tutto nuova. Già nel 1912 Velimir Chlebnikov scriveva: «Noi vogliamo che la parola segua audacemente le orme della pittura»12. Era il primo segno di un’apertura della poesia all’ibri-dizzazione con la nuova arte astratta, nonché chiaro sintomo di una più consapevole presa di coscienza delle potenzialità grafiche e mate-riali della scrittura. Tra gli esempi più significativi di questa prima apertura c’è Kartinija dvorec S. I. Ščukin (Il palazzo dei quadri di ščukin), una delle nove «poesie di cemento armato» di Vasilij Kamen-skij (Fig. 2.2).

Il testo, del 1914, è una ricostruzione poetica degli spazi architet-tonici interni del palazzo di Sergej ščukin, un famoso collezionista d’arte moscovita. Con le «poesie di cemento armato» Kamenskij si proponeva di organizzare lo spazio di un singolo foglio (pentagona-le) in un unico testo formato da elementi lessicali e grafici connessi non da associazioni sintattiche, ma visuali. L’impressione visiva finale doveva essere quella di un reticolato di lettere, linee e parole che, come elementi ferrosi (neri) in una colata di cemento (grigia), andavano a formare un’opera in bilico tra incompletezza e consistenza, tra costru-zione (ovvero movimento) e staticità. Nella poesia in questione le linee svolgono anche una funzione topografica – delimitano il contor-no delle stanze del palazzo – mentre le parole – quasi tutti sostantivi – si trasformano in materiale solido. Ne sono un esempio le iniziali del nome del collezionista, scritte in corsivo al centro del testo, che sembrano reggere come due capitelli corinzi l’intero palazzo e le sue stanze, colme di parole che in alcuni casi identificano i pittori ai quali ogni sala era dedicata, in altri diventano pure associazioni fonetiche, grafiche, lessicali o concettuali (spesso prive di senso o sgrammaticate) ispirate dalle opere esposte.

Le «poesie di cemento armato», pur essendo dotate di una certa organizzazione strutturale – cosa che ha portato alcuni osservatori ad annoverale tra i più progenitori della poesia concreta13 – risentivano

12 Velimir Chlebnikov, Neizdannye proizvedenija, a cura di N. Chardžiev e T. Gric, Mosca, 1940, p. 334. Trad. it. di Angelo Maria Ripellino in Angelo Maria Ripellino, Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, Torino, Einaudi, 1976 (1959), p. 34.

13 Cfr. John E. Bowlt, Nicoletta Misler, Verbi migratori: le nostre parole prendono

4� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

ancora in parte sia delle influenze del futurismo italiano14 (il sovraffol-lamento e l’anarchia verbale tipici delle «parole in libertà» marinettia-ne), sia di tutta quella serie di esperimenti sul misticismo sonoro della parola che andavano sotto il nome di zaum’15. Erano questi elementi, in particolare, a rendere i testi di Kamenskij un modello inadatto alle esigenze della propaganda sovietica. Il principale obiettivo di molti tra i poeti che avevano aderito agli ideali rivoluzionari (obiettivo che verrà poi fatto proprio anche dai concretisti e dalla poesia visiva), era quello di trovare una forma di integrazione tra scrittura e visualità che garantisse al testo un impatto comunicativo diretto e immediato sul più vasto pubblico possibile: era chiaro che le associazioni verbali alogiche, la grammatica arbitraria, il misticismo verbale e la comples-sità visiva di opere quali Kartinija dvorec S. I. Ščukin andavano esatta-mente nella direzione opposta.

Il vero problema stava nel fatto che il drastico mutamento delle condizioni politiche e sociali e l’inedita posizione di potere e respon-sabilità in cui veniva a trovarsi l’avanguardia avevano contribuito a

il volo, in Parmiggiani (a cura di), Alfabeto in sogno: dal carme figurato alla poesia concreta, cit., pp. 343-360. Anche Edwin Morgan, trattando le affinità tra le avanguar-die storiche e la poesia concreta e sonora, evidenzia il ruolo delle «poesie di cemento armato»: «[...] one would unearth the prophetically so-named “ferroconcrete poems” (zhelezobetonnyya poemy) of Vasily Kamensky which show even in 1914 the mingling of visual and sonic effects characteristic of the later genre» (Edwin Morgan, Into the Constellation: Some Thoughts on the Origin and Nature of Concrete Poetry, in Id., Es-says, Manchester, Carcanet, 1974, p. 29).

14 Marinetti tenne alcune conferenze in Russia all’inizio del 1914, ma l’accoglien-za che i futuristi russi gli tributarono fu tutt’altro che trionfalistica. Majakovskij, Chlebnikov, Kručënych e Kamenskij guardavano con molto interesse agli esperimenti marinettiani sulla valenza visiva del segno verbale, ma, se dal punto di vista ideologi-co non ne condividevano l’enfasi sui temi guerreschi e militareschi, dal punto di vista formale caricavano la riflessione italiana sulla fisicità della parola di motivi mistici, primordiali e tipicamente slavi che per Marinetti erano da considerarsi totalmente inappropriati. Fu questo il motivo, secondo Ripellino, per cui il futurista italiano su-scitò poi le collere dei poeti russi tacciandoli pubblicamente di selvaggi (Cfr. Ange-lo Maria Ripellino, Le avventure dei futuristi, in Id., Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, cit., pp. 13-46).

15 Lo zaum’, o «lingua transmentale», si inseriva tra quelle riflessioni sul valore mi-stico e primordiale del segno verbale che differenziavano nettamente il futurismo russo da quello italiano. Sperimentato a partire dal 1912, si trattava di una lingua alogica e totalmente desemantizzata, priva pertanto di regole grammaticali, di prescrizioni sin-tattiche e di norme stilistiche, creata per esprimere liberamente emozioni e sensazioni primordiali e quindi del tutto avulsa da qualsiasi finalità pratica o utilitaria.

472. SINTONIA

mettere quest’ultima nelle condizioni di dover contribuire in maniera cruciale alle nuove esigenze culturali del Paese senza però potersi servi-re, almeno nell’immediato, di molte delle soluzioni teoriche e formali che aveva elaborato nel periodo prerivoluzionario. Era questo, d’altra parte, il nodo principale che stava alla base delle perplessità nutrite dai dirigenti bolscevichi in merito all’affidamento del nuovo “fronte culturale” alle avanguardie. I poeti futuristi, nello specifico, avrebbero avuto bisogno di tempo e di un’attenta riflessione teorica per passare dalle astruse provocazioni mistico-intellettualistiche degli esperimenti verbovisivi prerivoluzionari a quella semplicità, accessibilità e linearità che veniva loro richiesta dalle mutate condizioni politiche, sociali e culturali del Paese. Ma era proprio il tempo a mancare: bisognava trovare una soluzione e bisognava trovarla prima che l’esercito contro-rivoluzionario, l’ignoranza delle masse e la crisi economica stroncasse-ro sul nascere il nuovo governo bolscevico insieme al suo sostegno alle avanguardie. Majakovskij fu tra i primi a rendersi conto del fatto che, vista la situazione, non era il caso di perdersi alla ricerca di un modo per riutilizzare tutte le peculiarità formali che avevano caratterizzato le interazioni tra poesia e visualità negli esperimenti futuristi del periodo zarista: l’unica via, almeno per il momento, stava nella cesura, non nella continuità. Fu così che, all’inizio del 1919, il leader del futurismo russo decise di distaccarsi radicalmente dal modello delle «poesie di cemento armato» per arrivare a elaborare un’integrazione tra scrittura poetica e dimensione visiva tutta focalizzata sulla comunicatività del testo.

Il risultato di questo scarto fu una serie di opere, le cosiddette «fine-stre» della Rosta, che non si limitavano a soddisfare dal punto di vista formale le richieste di Lunačarskij e degli altri dirigenti bolscevichi, ma che giunsero a ridelineare in modo concretamente rivoluzionario il ruolo sociale dell’avanguardia poetica. Se prima della rivoluzione il poeta d’avanguardia era in genere un artista bohemien le cui opere erano create in maniera estemporanea e diffuse in una manciata di copie, ora lo stesso artista diventava un ordinario (e molto spesso anonimo) impiegato statale, regolarmente retribuito per produrre testi seriali che avrebbero raggiunto ogni angolo del Paese.

La Rosta era l’Agenzia telegrafica russa. Dipendente direttamente dal Narkompros, l’agenzia non si limitava a fornire a giornali e quoti-diani le ultime notizie e i bollettini di partito ma, a partire dal 1919, iniziò anche a produrre, con cadenza regolare, dei manifesti illustra-

4� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

ti, denominati «finestre», a carattere informativo e propagandistico, spesso con contenuti di stretta attualità e destinati ad essere affissi per le strade o comunque in luoghi molto frequentati. Majakovskij – che al contrario di molti tra i principali esponenti dell’avanguardia aveva sempre sistematicamente rifiutato di ricoprire incarichi di primo piano – fu assunto come semplice impiegato alla Rosta nella primavera del 1919 ed intuì subito che i manifesti pubblicati dall’agenzia potevano rivelarsi un mezzo eccezionale per mettere in pratica quel nuovo tipo di integrazione tra poesia e visualità a cui accennavamo sopra. Tra le innumerevoli «finestre» che Majakovskij realizzò nei due anni succes-sivi, la n. 473 rappresenta un caso particolarmente emblematico (Fig. 2.3).

Le «finestre» di Majakovskij consistevano in una serie di vignette (disegnate quasi sempre dal poeta stesso), disposte su due, tre o quat-tro file e accompagnate da diciture il più possibile stringate e incisive. L’argomento era in genere strettamente legato all’attualità: bisognava dipingere e verseggiare gli avvenimenti nel più breve tempo possibile, cogliendo al volo una notizia dal fronte (come in questo caso) oppure un decreto, un’emergenza sanitaria, una frase di Lenin e tutto quanto potesse essere considerato di pubblico interesse16. La «finestra» n. 473 era un’invettiva contro Wrangel, uno tra i più temuti generali dell’ar-mata bianca che si opponeva ai rossi nella guerra civile. I disegni ruvidi ed elementari, il testo stringato, il carattere a corpo grosso ben evidente sullo sfondo bianco17 e la semplicità del linguaggio erano tutti elemen-ti volti a rendere la «finestra» il più possibile diretta e immediatamente comprensibile anche per un passante distratto.

Dal punto di vista formale, la differenza con le «poesie di cemento armato» di Kamenskij è più che evidente. Majakovskij – seguendo un percorso per alcuni versi sorprendentemente simile a quello che, più di quarant’anni più tardi, avrebbe portato la poesia visiva a distaccarsi da quella concreta18 – scelse infatti di accantonare le finezze forma-

16 Cfr. Ripellino, Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, cit., p. 95. 17 Quando i mezzi e i fondi lo permettevano, per aumentare l’impatto comunicativo

venivano stampate anche delle finestre a colori (Fig. 2.4).18 Come già notato nel capitolo precedente, il passaggio dall’astrattismo alla figu-

ratività e alla dimensione iconica come strategia per coinvolgere le masse sarebbe poi stato anche una delle peculiarità formali della poesia visiva italiana in contrapposizione al concretismo. Lucia Marcucci, esaminando le peculiarità della poesia visiva italiana e riflettendo sul potenziale impatto sul vasto pubblico di una poesia che privilegiasse

4�2. SINTONIA

li, gli accorgimenti strutturali e la grafica astratta degli esperimenti futuristi prerivoluzionari per puntare tutto su referenzialità figurativa diretta, immediatezza del messaggio, accessibilità e chiarezza del testo ed impatto comunicativo. Sebbene in alcune caratteristiche delle «fine-stre» (la griglia tipografica, il corpo e la forma dei caratteri, i rapporti spaziali tra vignette e diciture) sia possibile rintracciare una vaga eco di quella matericità della parola e di quell’organizzazione strutturale che contraddistinguevano le poesie di Kamenskij, la principale fonte d’ispirazione per i manifesti della Rosta non fu affatto l’avanguar-dia. Majakovskij scelse di guardare oltre e, scendendo i gradini che portano alla cosiddetta “cultura bassa”, approdò all’arte folklorica e in particolare all’ormai trisecolare tradizione del lubok, «una stampa popolare illustrata e di poco costo, diffusa alle fiere e ai mercati fra le masse analfabete e semianalfabete urbane e rurali, che descriveva eventi religiosi, politici e sociali spesso commentandoli con brevi testi satirici, in rima e no»19.

Il fare riferimento all’arte popolare piuttosto che alla “tradizio-ne futurista” non era il risultato di una ritirata teorica o la presa di coscienza di un fallimento artistico, ma piuttosto l’applicazione pratica di quella stessa strategia comunicativa che sarebbe poi stata utilizzata dalla poesia visiva italiana negli anni ’60 e che consisteva, parafrasan-do Luciano Ori, nell’individuare un modello di comunicazione che il popolo riconosce come familiare e a cui le masse sono ormai assue-fatte (il lubok nel caso di Majakovskij, il manifesto pubblicitario per i poeti visivi), quindi analizzarlo scomponendone i codici comunicativi per poi ricomporli e riutilizzarli con messaggi e significati diversi20. Tuttavia, il metodo del “riciclaggio in chiave poetica” di materiale comunemente considerato non poetico sottende un rischio insidioso a cui abbiamo già accennato nel capitolo precedente e sul quale torne-remo in seguito: il rischio che il testo finale, sebbene efficace dal punto

la dimensione visuale rispetto a quella puramente tipografica e strutturale della poesia concreta, osserva: «[P]er la poesia [visiva] lo strumento gutenberghiano si era [...] dimo-strato insufficiente [...]. L’aspetto iconico ha indubbiamente più presa, incide emozional-mente e coinvolge, penetra e raffiora nella memoria, si ripropone nel tempo, sulle lunghe distanze: da qui il privilegio» (Lucia Marcucci, Poesia Visiva 1980-1984, Tavarnelle Val di Pesa, Dada Arte Moderna, 1984, p. 3).

19 John E. Bowlt, Nicoletta. Misler, Verbi migratori: le nostre parole prendono il volo, in Parmiggiani (a cura di), cit., p. 347.

20 Cfr. capitolo precedente.

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di vista dell’impatto comunicativo, manchi però di quello che viene comunemente definito “spessore” poetico. La domanda, nel caso di Majakovskij, è la seguente: fino a che punto le «finestre» della Rosta possono essere considerate autentici testi poetici d’avanguardia piut-tosto che meri manifesti propagandistici? Risponde Edwin Morgan (facendo riferimento proprio alla «finestra» n. 473):

[Mayakovsky] took enormous risks, throwing hostages to time in his devotion to transitory issues, and some commentators have accused him in this of a paradoxical foolishness, a perversely wilful stifling or misdirection of his admitted genius. ‘He wasted his talent’, wrote Patricia Blake, ‘drawing posters, and composing thousands of slogans and “agitational” jingles that urged the Soviet people to drink boiled water, put their money in the bank, and patronise state stores.’ But who is to say that these activities, which to Mayakovsky (and he was artist, editor, playwright, film-writer, as well as poet) were an important part of the cultural midwifery of the new Soviet state, can only be regarded as a ‘waste of talent’? Ex unge leonem. Here is one of the ‘agitational jingles’, written in 1920 during the civil war period, and saying roughly ‘Wrangel – out!’:

Vrangel – fon,Vrangelya von!Vrangel – vrag.Vrangelya v ovrag!The marked beat, the word-play, the popular mnemonic patterning all

speak Mayakovsky21.

21 Edwin Morgan, Wi the Haill Voice: 25 Poems by Vladimir Mayakovsky, in Id., Collected Translations, Manchester, Carcanet, 1996, p. 105. Le stesse considerazioni sullo spessore poetico delle «finestre» di Majakovskij vengono fatte anche da Ripellino: «...ciò non toglie che la parola e il disegno di Majakovskij conservino anche alla Rosta l’impronta specifica del futurismo. Nonostante la fretta e le angustie del tempo, Majako-vskij tenne alto lo stile del cartellone, facendone un genere sperimentale, che oggi parrà forse sfocato come le vecchie pellicole (anche nel movimento precipitoso dei personaggi sbilenchi), ma a noi piace ancora per la sua ingenua irruenza, per il linguaggio affila-to, per le stoccate satiriche. Sebbene molti gli rimproverassero di sciuparvi l’ingegno, Majakovskij ebbe sempre in gran conto il suo lavoro alla Rosta, da lui definito «registra-zione protocollare del più difficile triennio di lotta rivoluzionaria, resa con le macchie dei colori e col suono delle parole d’ordine». Spunti, pensieri, motivi, metafore di quei cartelloni riaffiorano nella sua produzione seguente. Ancora nel poemetto Vo ves’ golos [A piena voce, 1930] egli si rappresenta come “cantore dell’acqua bollita”, a ricordo dei giorni in cui incitava, nei suoi manifesti, a non bere l’acqua corrente, per l’infierire del tifo» (Ripellino, Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, cit., p. 95).

512. SINTONIA

Morgan estrapola la parte verbale del testo e ne certifica la poetici-tà, ma, se torniamo a esaminare le «finestre» dal punto di vista dell’in-tegrazione tra parola e immagine la questione si fa più complessa. Se da una parte il frutto del lavoro svolto da Majakovskij presso la Rosta era senz’altro servito a soddisfare le immediate esigenze comunicati-ve della propaganda sovietica e a ridelineare il ruolo del poeta nella nuova società, dall’altra era evidente che le soluzioni teoriche e formali che contraddistinguevano le finestre avevano un carattere tutt’altro che definitivo. Majakovskij era il primo a rendersene conto. L’avanguardia sapeva benissimo che per raggiungere una fusione veramente organica tra parola scritta e visualità non bastava un recupero, per quanto raffi-nato, del lubok. Disegnare una manciata di vignette e commentarle con versi poetici non era sufficiente. Bisognava trovare una soluzione più matura. Qualcosa che fosse in grado di recuperare le esperienze futuriste del periodo zarista e fonderle con le necessità comunicative del mutato contesto politico e culturale: un metodo. Inaspettatamente, la soluzione non venne dalla poesia, ma dalla pittura.

2.3 Il costruttivismo

Negli anni immediatamente seguenti la rivoluzione, l’avanguardia pittorica russa si trovava in una situazione molto simile a quella della poesia futurista. Il problema era, ancora una volta, quello di conciliare le esigenze della nuova arte proletaria con i risultati della più avanzata ricerca sperimentale prerivoluzionaria, risultati in gran parte legati ad un movimento in particolare: il suprematismo di Kazimir Malevič.

Ansioso (come Kamenskij) di scardinare l’arte dai suoi schemi logici tradizionali, Malevič, intorno alla metà degli anni ’10, si rammaricava del fatto che gli esperimenti pittorici di stampo cubista e futurista, nel loro sforzo di svincolare la pittura dalla natura, dimostrassero ancora una spiccata propensione al colore, all’ornamento e alla figuratività. Con il suprematismo, pertanto, Malevič si proponeva di portare fino in fondo la transizione verso l’astrattismo attraverso una nuova pittura fondata sull’intuizione e sulla non oggettività, assolutamente priva sia d’ogni legame referenziale con il mondo esteriore, sia di qualsiasi fina-lità pratica o estetica. Ne risultarono quadri algidi, composti esclusi-vamente da combinazioni di semplici moduli geometrici tenuti insieme

52 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

da una struttura organizzativa che metteva in relazione forme e colori in base a criteri di pura sensibilità plastica22. Quella di Malevič era un’arte trascendentale, una sorta di equivalente pittorico della lingua transmentale utilizzata da Kamenskij: un tentativo di indagine sulla valenza metafisica del segno.

È facile intuire come una simile concezione della pittura mal si adattasse all’idea di arte utilitaristica, comunicativa e funzionale che caratterizzava il nuovo programma culturale socialista. Se l’avan-guardia pittorica voleva continuare a godere del supporto politico ed economico che il governo bolscevico gli aveva accordato, urgeva una correzione di rotta. Il conseguente dibattito teorico per la ridefinizione del ruolo sociale e delle caratteristiche formali dell’arte pittorica durò quattro anni, dal 1918 al 1921, e fu caratterizzato dall’emergere di un movimento, il costruttivismo, destinato a influenzare l’intero panora-ma artistico sovietico per tutto il decennio successivo.

Il primo nucleo del costruttivismo prese forma nel 1920 attorno alle figure di Aleksandr Rodčenko, Varvara Stepanova e Aleksej Gan, tre giovani artisti23 accomunati dalla volontà di dar vita a una nuova arte che fosse, nel senso più pieno, al servizio della rivoluzione e dei suoi ideali. Tale obiettivo non era necessariamente incompatibile con i risultati raggiunti dalla ricerca artistica precedente. Al contrario, l’enfasi sull’astrattismo, sulle forme geometriche e sul carattere non oggettivo e non figurativo dell’arte erano, per i costruttivisti, soluzioni irrinunciabili, a patto però che fossero considerate non come una meta definitiva, ma come un passaggio, un mezzo per arrivare a una pittura che avesse un ruolo non solo estetico, ma fattivamente pratico nella costruzione della nuova società socialista. Ma come poteva un’arte astratta, una pittura composta unicamente da linee e semplici forme geometriche andare incontro in maniera pratica alle esigenze delle masse? La risposta a cui arrivarono i costruttivisti fu, per molti versi, scioccante: l’arte doveva cessare di essere arte, almeno nel senso in cui era stata fino ad allora intesa. Per Rodčenko e per il suo movimen-to, era necessario accantonare tutte quelle caratteristiche che avevano finora delineato l’identità artistica per arrivare a una nuova arte che avesse come solo e unico scopo quello di prendere parte in maniera

22 Cfr. Luigi Paolo Finizio, L’astrattismo costruttivo: Suprematismo e Costruttivi-smo, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 3-45.

23 Gan era nato nel 1889, Stepanova nel 1894 e Rodčenko, suo marito, nel 1891.

532. SINTONIA

diretta e fattiva alla produzione di beni, merci e servizi per le masse. L’arte doveva, in altre parole, assumere una forma vivente e tangibile, uscire dai luoghi tradizionali, le gallerie e i musei, per divenire un’at-tività di comunicazione estroversa e collettiva, mentre l’artista doveva trasformarsi in un professionista specializzato, «capace di concepire, con invenzione e razionalità, nella forma, nella materia e nella funzio-ne, opere-oggetto da realizzare per la massa nei modi di produzione industriale»24. La pittura doveva quindi fondersi con discipline fino a quel momento considerate non artistiche, quali il disegno tecnico e la progettazione industriale e il pittore doveva abbandonare il pennello e imparare a maneggiare squadre e compassi. Ecco perché era necessa-rio l’astrattismo geometrico: la pittura tradizionale, quella che imitava la natura, poteva al massimo decorare oggetti, la nuova arte doveva progettarli, o, più precisamente, costruirli25.

I teorici costruttivisti erano convinti che il suprematismo e le sue caratteristiche principali rappresentassero una buona base su cui fondare la nuova arte proletaria, ma non senza apportare alcune preci-se modifiche. L’astrattismo geometrico di Malevič doveva innanzitutto essere depurato da qualsiasi sfumatura metafisica. Se il compito della pittura era quello di progettare oggetti utili alle masse non poteva esserci spazio per visioni mistiche di stampo autoriale. Il prodotto finale doveva essere percepito come universale, anonimo, razionale e pratico: solo così avrebbe potuto essere compreso, accettato e utiliz-zato dal maggior numero di persone possibile. Una volta depurato il suprematismo dalla sua dimensione filosofica ed “espressionistica”, i costruttivisti si concentrarono su quello che ritenevano l’elemento più originale e rilevante dell’opera di Malevič: l’organizzazione strutturale, concetto che sarebbe divenuto il vero cardine teorico del nuovo movi-mento26.

24 Finizio, L’astrattismo costruttivo: Suprematismo e Costruttivismo, cit., pp. 78-79.25 Secondo Aleksandr Vesnin, «gli oggetti creati dall’artista devono essere costru-

zioni pure, senza alcuna zavorra di rappresentazione. Devono essere costruiti in base ai principi della linea retta e della curva geometricamente costruita [...]» (cit. in Mikhail Anikst, Elena černevič, Grafica commerciale sovietica degli anni Venti, Firenze, Cantini, 1990, p. 187).

26 Cfr. Christina Lodder, Russian Constructivism, New Haven and London, Yale University Press, 1983, pp. 94-98.

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Secondo Varvara Stepanova, l’artista doveva essere innanzitutto un «maestro di forme e strutture»27. Un’arte non oggettiva, non refe-renziale e non figurativa risultava necessariamente dipendente dalle forme geometriche che la componevano e dalla struttura in base alla quale tali forme erano organizzate. Ma mentre nel suprematismo la struttura organizzava le forme in base alla sensibilità trascendentale (soggettiva) dell’autore, per i costruttivisti l’unico criterio che dove-va dettare l’organizzazione strutturale dell’opera era la funzionalità (oggettiva), ovvero la capacità di fungere da base progettuale chia-ra, diretta e inequivoca per la realizzazione di un oggetto reale prati-camente e socialmente utile. Per assolvere a tali scopi la struttura dell’opera doveva possedere alcune qualità ben precise. Tra queste, le principali erano razionalità, economia e autosufficienza: non potevano esserci né elementi mancanti, né elementi superflui. Come in un dise-gno tecnico, ogni singola parte doveva essere razionalmente organiz-zata nel “tutto”. E il “tutto” doveva essere strutturalmente ordinato in modo da tenere conto delle specificità materiche delle singole parti28. Dati questi presupposti, la struttura ottimale era quella che dimostrava anche il più alto grado di versatilità, qualità che le avrebbe permesso di essere riutilizzata più volte e per scopi diversi, moltiplicandone quindi la valenza funzionale.

Dal punto di vista teorico, il posizionamento della questione strut-turale al centro della prassi artistica portava con sé anche un radicale ripensamento del tradizionale concetto di contenuto. Scrive Tarabukin:

Nell’‘arte produttiva’ il ‘contenuto’ è dato dall’utilità e dalla finalità dell’oggetto, dalla sua struttura. Questi elementi ne determinano la forma e la costruzione e ne giustificano la funzione e la destinazione sociale29.

27 Peter Noever (ed.), A. M. Rodchenko, V. Stepanova: The future is Our Only Goal, Munich, Prestel, 1991, p. 174 [Trad. mia].

28 Cfr. Camilla Gray, The Great Ecperiment: Russian Art 1863-1922, London, Thames and Hudson, 1986 (1971), pp. 244-254 e Maria Zambalani, L’arte nella pro-duzione: avanguardia e rivoluzione nella Russia sovietica degli anni ’20, Ravenna, Lon-go, 1998, pp. 109-117. Rodčenko osserva: «Costruzione è l’idonea utilizzazione delle proprietà del materiale. [...] L’unica costruzione completamente autentica è un oggetto disegnato o una struttura nello spazio reale» (cit. in Anikst, Černevič, Grafica commer-ciale sovietica degli anni Venti, cit., p. 187).

29 Nikolaj Tarabukin, Ot mol’berta k mašine, Mosca, 1923, p. 18. Trad. it. di Ma-ria Zambalani in Zambalani, L’arte nella produzione: avanguardia e rivoluzione nella Russia sovietica degli anni ’20, cit., p. 48.

552. SINTONIA

Per la prima volta la struttura, l’organizzazione formale e funzio-nale dell’opera e l’attenzione alle specificità del materiale di cui l’opera stessa era costituita soppiantavano quella supremazia del contenuto che stava alla base dell’arte tradizionale.

Una conclusione di tale portata non poteva rimanere circoscritta all’ambito delle arti visive. I risultati della ricerca costruttivista si diffu-sero in breve negli ambiti più diversi, dall’architettura al cinema, dalla linguistica alla critica letteraria30 fino ad arrivare alla prosa e, ovvia-mente, alla poesia. L’avanguardia poetica, e Majakovskij in partico-lare, scorse infatti nella prassi costruttivista una soluzione teorica e – cosa ancora più importante – un metodo per recuperare gli esperimenti di poesia visiva del periodo prerivoluzionario. Tale metodo passava innanzitutto attraverso un nuovo riconoscimento delle potenzialità visive, strutturali e funzionali della dimensione tipografica del testo.

2.4 Topografia della tipografia

Nel 1921 Rodčenko dichiarò finita l’era della teorizzazione e degli esperimenti di laboratorio. Era giunto il momento, per i pittori costrut-tivisti, di mettere in pratica le soluzioni metodologiche che erano state elaborate: bisognava allontanarsi dal cavalletto per entrare nelle fabbriche e negli istituti tecnici e progettare realmente oggetti utili alla vita quotidiana delle masse. I primi oggetti progettati e realizzati dai costruttivisti furono sedie, teiere, tavoli, letti, lampade, vestiti: oggetti di uso comune che coniugavano funzionalità e versatilità grazie a inte-laiature strutturali il più possibile semplici e razionali. Ma il concetto costruttivista di oggetto era ben più ampio, come osserva El Lisickij – uno degli artisti che meglio seppe coniugare costruttivismo e supre-matismo – nel primo numero della sua rivista internazionale:

Abbiamo chiamato la nostra rivista Oggetto, perché per noi arte non signi-fica altro che la creazione di nuovi oggetti. [...] Ma per questo non si deve credere che noi intendiamo espressamente solo oggetti d’uso. Naturalmente anche gli oggetti d’uso che vengono prodotti nelle fabbriche [...] noi li stimia-mo creazioni di autentica arte. Non vogliamo però pensare l’operato artistico limitato solo a questi oggetti. Ogni opera organizzata – che si tratti d’una casa,

30 Il formalismo russo fu strettamente legato al costruttivismo, in particolare attra-verso figure quali Osip Brik, Roman Jakobson, Boris Ejchenbaum e Viktor šklovskij.

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d’una poesia, d’un dipinto – è un oggetto funzionale, non fatto per estraniare gli uomini dalla vita, ma votato a contribuire alla sua organizzazione. [...] L’Og-getto considera la poesia, la forma plastica, il teatro, oggetti indispensabili31.

Anche la poesia, per El Lisickij (come poi per Gomringer32), era da considerarsi un oggetto funzionale: doveva riuscire a comunicare direttamente con le masse e assumere un ruolo attivo nella società. Tale obiettivo poteva essere raggiunto soltanto attraverso testi struttu-ralmente organizzati secondo i princìpi costruttivistici e non solo per quanto riguardava sintassi, grammatica e semantica tradizionalmente intese, ma anche per tutto quanto concerneva il materiale fisico di cui il testo era composto, vale a dire i caratteri tipografici. Un testo razio-nalmente e funzionalmente strutturato non poteva prescindere dalla sua dimensione visiva, che doveva anch’essa essere organizzata in base ai princìpi di quella che El Lisickij definiva, nel 1923, la «topografia della tipografia»:

Le parole impresse su un foglio stampato vengono percepite attraverso la vista, non l’udito.Le idee si comunicano per mezzo di parole convenzionali, a tali idee deve essere data una forma attraverso le lettere.Economia dell’espressione – l’ottica invece della fonetica.La strutturazione dello spazio del libro mediante il materiale del carattere tipografico, secondo le leggi della meccanica tipografica, deve corrisponde-re alle tensioni e agli accenti del contenuto.Strutturazione dello spazio del libro mediante il materiale dei cliché tipo-grafici, realizzazione concreta della nuova ottica. [...]33.

L’occasione per mettere in pratica tali princìpi si presentò lo stesso anno della loro pubblicazione. Fino a quel momento El Lisickij aveva sì collaborato con il mondo della letteratura, ma il suo contributo si era ridotto in genere alla realizzazione grafica di copertine di libri, senza alcuna interazione vera e propria con i testi in essi contenuti.

31 El Lisickij, Ilja Erenburg, Introduzione a «VeščGegendstand/Objet», n. 1, Ber-lino, 1922. Trad. di Alberto Scarponi in Sophie Lisitskij-Küppers, El Lisitskij: pittore architetto tipografo fotografo, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 334.

32 Cfr. capitolo precedente e Eugen Gomringer, The Poem as a Functional Object, in Mary Ellen Solt, Concrete Poetry: A World View, Indiana University Press, Bloomin-gton-London, 1968, pp. 68-70.

33 El Lisickij, Topografija tipografiki/Topographie der Typographie, «Merz», n. 4, 1923 [Trad. mia].

1.

2.

3.4.

5.

572. SINTONIA

Fu Majakovskij, ammiratore entusiasta del costruttivismo, il primo a vedere nella «topografia della tipografia» un mezzo per fornire alla sua poesia quella dimensione visuale coerente, strutturata e comunicati-va che inseguiva dai tempi delle «finestre» della Rosta. Il frutto della collaborazione tra El Lisickij e il poeta futurista fu un libro, Dlja golo-sa [letteralmente, Per la voce], che viene tutt’ora considerato come uno dei più significativi esperimenti di integrazione tra letteratura e visua-lità. Il volume – finanziato e stampato dal Gosizdat, la casa editrice di Stato34 – consisteva in una raccolta di alcune tra le poesie più famose di Majakovskij, selezionate in base a un criterio molto particolare. Il poeta aveva infatti deciso di includervi soltanto quei testi che riteneva più adatti ad essere letti ad alta voce. Una scelta dettata da finalità pratiche e comunicative: in un Paese in cui gran parte della popolazio-ne, soprattutto quella rurale, era ancora analfabeta, il medium migliore per far giungere la poesia alle masse era, oltre a quello grafico, senza dubbio quello orale. Dlja golosa era quindi stato concepito da Majako-vskij per essere stampato a tiratura ridotta e diffuso, in una o due copie, nelle fabbriche e nei villaggi dove un anonimo oratore avrebbe potuto declamare le poesie a un pubblico di operai e contadini, massimizzan-done così la carica comunicativa. Il compito di El Lisickij era quello di interpretare graficamente le poesie in modo tale da produrre il massi-mo impatto visivo sul lettore-oratore, impatto che di riflesso si sarebbe a sua volta riversato, a livello performativo, sugli ascoltatori. I princìpi della «topografia della tipografia» si rivelarono sorprendentemente utili allo scopo, come spiega in una nota lo stesso El Lisickij:

Questo libro è formato solo col materiale della cassa dei caratteri. Sfruttate le possibilità della stampa a due colori (sovrapposizioni, incroci di tratteggia-ture, e così via). Le mie pagine stanno alle poesie in un rapporto forse analo-go a quello del pianoforte che accompagna il violino. Come per il poeta dal pensiero e dal suono si forma l’immagine unitaria, la poesia, così io ho voluto creare un’unità equivalente con la poesia e gli elementi tipografici35.

La prima parte della poesia Moj Maj [Il mio maggio] ne è un esem-pio (Fig. 2.5). A saltare all’occhio è immediatamente la resa visiva del

34 Il Gosizdat (Gosudarstvennoe izdatelstvo) era un organismo autonomo all’inter-no del Narkompros di Lunačarskij.

35 Cit. in Lisitskij-Küppers, El Lisitskij: pittore architetto tipografo fotografo, cit., p. 192.

5� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

titolo della poesia. L’impatto è dato da un doppio contrasto: l’uno, violentemente cromatico, tra i colori rosso e nero; l’altro, puramente geometrico, tra linee rette (le lettere «E», «Й» e il numero «1») e tratti circolari (il cerchio esterno, ma anche la «o» e la «a» centrali). L’or-ganizzazione strutturale è evidente non solo nella gestione del peso materico degli elementi tipografici, ma anche nell’uso del colore come trait d’union visivo e semantico tra il titolo e il corpo del testo. Il rosso del primo e degli ultimi due versi (A tutti / [...] Il primo di maggio / Il primo tra i maggi) da una parte funge da indicazione enfatica per l’ora-tore36, dall’altra connette il corpo del testo con il titolo, connessione resa ancor più salda dal richiamo semantico tra il numero «1» iscritto nel cerchio e la data esplicitamente menzionata negli ultimi due versi (il primo maggio).

Le stesse caratteristiche costruttiviste applicate alla poesia vennero estese da El Lisickij a tutto il volume. Ne sono indice le piccole figure con testo che si scorgono alla destra di Moj Maj. Dal momento che la persona che avrebbe declamato le poesie non sarebbe stata né un poeta, né un oratore professionista, El Lisickij decise, costruttivisticamente, di fare dell’intero libro un oggetto il più possibile pratico e funzionale. Da qui la scelta di strutturare il volume come una rubrica, in modo da rendere la ricerca dei testi il più possibile semplice e immediata. Per facilitare ulteriormente l’operazione, su ciascuna linguetta era stampa-ta, oltre a una porzione del titolo della poesia corrispondente, anche una combinazione estremamente essenziale di forme geometriche, per lo più quadrati, triangoli e cerchi. Le stesse forme che ritroviamo anche in un’altra parte libro, e precisamente nella prima pagina.

Il testo (Fig. 2.6) è una dedica dell’autore alla sua amata, dedica a cui però El Lisickij e Majakovskij avevano deciso di attribuire dimen-sioni e caratteristiche visive analoghe a quelle delle altre poesie. Le forme geometriche essenziali che caratterizzavano la parte visiva del volume vengono qui riprese, ma non ci sono più quei contrasti croma-tici violenti che abbiamo trovato in Moj Maj. Al contrario, il testo è tutto finalizzato a sfruttare il cromatismo in chiave armonica, con il quadrato grigio a fungere da contraltare al bianco della pagina che, confluendo nel triangolo di sinistra, va a insinuarsi quasi eroticamente dentro il cerchio nero esterno fino a sfiorare quello interno, attorno al

36 In accordo con il punto 4 della «tipografia della poesia».

5�2. SINTONIA

quale gravitano tre lettere: le iniziali del nome dell’amata (Lilja Jur’ev-na Brik). Le stesse tre lettere, lette due volte in senso antiorario, vanno anche a comporre la parola «Ljublju» («Ti amo»).

La gestione dello spazio visivo, la razionalità della struttura, l’es-senzialità degli elementi, l’interazione tra caratteri e grafica e l’organiz-zazione permutazionale delle lettere rendono la dedica a Lilja Brik non solo una perfetta applicazione dei princìpi costruttivisti, ma anche un testo che denota una sorprendente affinità formale con i futuri esperi-menti concretisti (in particolare con quelli brasiliani, che esamineremo nel capitolo successivo). Un’analogia avallata anche dal fatto che la dedica era un testo puramente visivo, l’unico in un libro pensato per la declamazione e l’unico in cui la dimensione visuale non fosse un’ela-borazione posteriore di testi preesistenti, privi in origine di qualsiasi predisposizione formale alla visualità.

Nonostante tali caratteristiche, la dedica era pur sempre un testo estemporaneo e anomalo, quasi estraneo ad un libro anch’esso anoma-lo. Dlja golosa era un volume visuale, ma finalizzato alla declamazio-ne; un libro per le masse, ma destinato alle esigenze specifiche di un numero ristretto di fruitori: le contraddizioni erano troppo stridenti per poter considerare il lavoro di Majakovskij ed El Lisickij come l’esempio ideale di fusione costruttivista tra visualità e poesia. Quello che serviva era un’integrazione più organica, più consapevole e, soprattutto, più esplicitamente comunicativa. Un’integrazione quindi talmente matura da raggiungere le masse non più per interposta persona, ma diretta-mente. Era chiaro che, se la poesia d’avanguardia voleva veramente svolgere un ruolo attivo nella società, e se per farlo voleva servirsi della visualità, poteva farlo soltanto uscendo dai libri e gettandosi nelle stra-de. Majakovskij l’aveva intuito e aveva già provato a coniugare in tal senso versi e grafica ai tempi delle «finestre» della Rosta, ma ora dispo-neva di un’arma teorica e metodologica in più, quella costruttivista. La collaborazione con El Lisickij era stata un buon banco di prova. Ora mancava solo un ultimo passo. Il più radicale.

2.5 Rodčenko e Majakovskij: costruttori di pubblicità

Le innovazioni artistiche legate all’ascesa del movimento costrut-tivista erano state accompagnate da profondi mutamenti nell’assetto economico del Paese, mutamenti dovuti in massima parte al varo, nel

�0 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

1921, della Nuova Politica Economica. La NEP37 consisteva in una serie di misure volte a risollevare la Russia dalla grave crisi economica che sembrava perdurare nonostante la fine della guerra civile (1920) avesse liberato il Paese da quel clima di precarietà e di minaccia costan-te che aveva contraddistinto gli anni immediatamente seguenti la rivo-luzione. Lenin e gli altri leader bolscevichi giunsero alla conclusione che il popolo non fosse ancora pronto ad accettare un’organizzazio-ne economica rigidamente comunista e decisero quindi che per porre rimedio alla situazione fosse necessario, almeno per un periodo di tempo circoscritto, reintrodurre il mercato come modo di allocazione privilegiato delle risorse produttive, del lavoro, dei beni e dei consu-mi. Nel giro di pochi mesi l’economia fu rimonetizzata, il commer-cio privato ritornò legale e molte imprese che erano state acquisite dallo Stato nel periodo del cosiddetto «comunismo di guerra» vennero denazionalizzate38.

All’indebolimento del monopolio economico statale corrispose un parallelo indebolimento del monopolio culturale delle avanguardie artistiche e, in particolare, letterarie. Il rifiorire dell’iniziativa priva-ta portò non solo alla nascita di case editrici private che entrarono subito in competizione con quella di Stato, ma anche all’aumento della domanda di letteratura tradizionale, pronta ad assecondare i gusti della riemergente classe borghese. È evidente come il proliferare sempre crescente di generi letterari ad alto impatto sulle masse – su tutti il poliziesco, il giallo e il romanzo rosa, spesso d’importazione – rendesse più difficile il compito dell’avanguardia di divenire la nuova letteratura popolare. Agli avanguardisti rimaneva sempre il vantaggio del sostegno statale, ma per la prima volta dalla rivoluzione sembrava che tale sostegno potesse non bastare39.

Anche gli artisti costruttivisti che nel 1921 avevano abbandonato gli atelier per le fabbriche statali dovettero ben presto rapportarsi con le nuove esigenze di mercato. Tra queste, una posizione di primaria importanza era riservata alla pubblicità. Tra il 1922 e il 1923 tutte

37 Acronimo di Novaja Ekonomičeskaja Politika.38 Cfr., William G. Rosenberg, NEP Russia as a “Transitional” Society, in Sheila

Fitzpatrick, Alexander Rabinowitch, Richard Stites (eds.), Russia in the Era of NEP, Bloomington, Indiana University Press, 1991, pp. 1-10.

39 Cfr. Katerina Clark, The “Quiet Revolution” in Soviet Intellectual Life, in Fitzpatrick, Rabinowitch, Stites (eds.), Russia in the Era of NEP, cit., pp. 215-216.

�12. SINTONIA

le maggiori aziende di Stato si resero conto che, per fronteggiare la crescente concorrenza privata, era di vitale importanza iniziare a fare uso delle tecniche pubblicitarie per convincere il pubblico a comprare i prodotti delle imprese sovietiche piuttosto che quelli degli imprenditori borghesi. I costruttivisti salutarono con entusiasmo l’avvento del nuovo medium pubblicitario e molti di essi, primo tra tutti Rodčenko, inizia-rono immediatamente a dedicarsi alla realizzazione grafica di cartello-ni e manifesti, attività concepita sia come un modo per diffondere tra le masse oggetti funzionali realizzati in base ai princìpi costruttivisti, sia come un concreto sostegno al potere sovietico contro il preoccu-pante risorgere del filisteismo borghese40.

Sul fronte dell’avanguardia letteraria e poetica le cose erano diverse. Gli scrittori, e in particolare i poeti, vedevano in genere con diffidenza l’avanzare della pubblicità e consideravano con scetticismo qualsiasi possibilità di interazione con essa. Ma c’erano delle eccezioni. Ricorda Rodćenko:

[...] Poi iniziai a lavorare ad alcune pubblicità per la società Dobrolet41. Realizzai un marchio ed un manifesto. «Chi non è un azionista della Dobrolet non è un cittadino dell’URSS».

Una sera io, Volodja42 e Aseev eravamo seduti in un piccolo caffè [...]. Loro iniziarono a schernire il testo del manifesto: sapevano che ero stato io a realizzare il poster, ma credevano che il testo fosse stato scritto da qualche cattivo poeta. Io mi offesi e li sfidai a provar loro a scrivere testi pubblicitari. Poi ammisi di essere stato io a scrivere quel testo, ma precisai che il risultato era da considerarsi accidentale: mi ero semplicemente limitato ad accorciare e risistemare la frase che mi era stata fornita, ovvero «Chi non possiede un’azio-ne della Dobrolet non è degno di essere un cittadino dell’URSS».

Non so se fu questo che diede lo sprone a Volodja o se ci stesse già pensan-do e avesse quindi volontariamente portato il discorso sul poster, fatto sta che subito dopo mi propose di realizzare insieme dei manifesti [...].

Così ebbe inizio la nostra collaborazione. La nostra ditta si chiamava «Majakovskij-Rodćenko. Costruttori di pubblicità». Iniziammo a lavorare con grande entusiasmo43.

40 Cfr. Anikst, Černevič Grafica commerciale sovietica degli anni Venti, cit., pp. 31-32.

41 Associazione statale per l’aiuto e lo sviluppo dell’aviazione.42 Volodja è il diminutivo di Vladimir (Majakovskij).43 Aleksandr Rodčenko, Rabota s Majakovskom, «V mire knig», n. 6, 1973, pp.

64-65 [Trad. mia].

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I fatti raccontati da Rodčenko risalivano al 1923. Lo stesso anno Majakovskij pubblicava un articolo in cui dimostrava di avere ben presenti le potenzialità sociali della pubblicità:

Noi conosciamo il meraviglioso potere dell’agitazione. [...] La borghesia conosce il potere della pubblicità. L’annuncio pubblicitario è agitazione indu-striale, agitazione commerciale. Nessuna attività, neppure la più sicura e affi-dabile, va avanti senza pubblicità. È l’arma della concorrenza. [...] Non possia-mo lasciare quest’arma, questa agitazione a favore del commercio, nelle mani degli uomini della NEP44, nelle mani degli stranieri borghesi che commerciano qui. Tutto nell’URSS deve operare a vantaggio del proletariato. Prendete seria-mente in considerazione la pubblicità45.

L’esortazione che conclude il passo era rivolta agli artisti. Majako-vskij si rendeva perfettamente conto del ruolo che la poesia d’avan-guardia poteva svolgere nella diffusione della nuova ideologia comu-nista tra le masse. Sapeva anche quanto fosse importante, a tale scopo, l’impatto comunicativo della dimensione visiva del testo. E se l’espe-rienza alla Rosta gli aveva insegnato che l’ideologia poteva essere un mezzo per fondere poesia e visualità, il lavoro con El Lisickij lo aveva convinto che solo una rigida e coerente impalcatura formale fosse in grado di massimizzare la valenza comunicativa di tale fusione. Ora la collaborazione con Rodčenko gli dava la possibilità di tirare le fila di questa evoluzione mediante una sintesi costruttivista in cui versi e grafica fossero organicamente e strutturalmente integrati in un ogget-to funzionale “verbo-visivo” esplicitamente finalizzato a generare il massimo impatto sul più vasto pubblico possibile.

Niente, nei poster dei due «costruttori di pubblicità», veniva lascia-to al caso o all’improvvisazione. Le relazioni tra l’aspetto verbale e quello visuale erano attentamente strutturate in modo che ciascuna delle due dimensioni fosse tale da valorizzare l’altra. Nel manifesto per la Rezinotrest, presentato all’inizio del capitolo, le cinque righe che componevano la parte verbale erano accuratamente posizionate nel complesso in modo da evidenziare ritmo e rime. I colori assumevano una funzione semantica di collegamento tra la prima riga, la sezione

44 Per «uomini della NEP», in russo nepmany, si intendevano i borghesi che si era-no arricchiti approfittando del nuovo clima di liberalismo economico dovuto alla NEP.

45 Majakovskij, Polnoe Sobranie Sočinenij v 13-ti tomach, cit., vol. 13, p. 57 [Trad. VOX, Firenze]. L’articolo originale, pubblicato nel 1923, era intitolato “Agitacija i reklama” (Agitazione e pubblicità”).

�32. SINTONIA

grafica centrale e l’ultima riga, in una serie di contrasti e alternanze cromatiche finalizzate a colpire il passante senza però pregiudicare la leggibilità dei versi. Tutto era geometricamente strutturato. Persino quando, come in questo caso, le richieste del committente statale esige-vano la presenza di elementi figurativi (il bambino con i succhiotti) questi non erano mai trattati a livello decorativo, ma venivano imme-diatamente geometrizzati o comunque trattati come materiale visivo da integrare nella struttura46.

Un’applicazione ancor più stringente dei principi costruttivisti di economia formale e razionalità della costruzione la ritroviamo in uno dei manifesti realizzati per il Mosselprom47 (Fig. 2.9).

Se il poster della Rezinotrvest peccava di un certo sovraccarico visi-vo, quello del Mosselprom (anch’esso del 1923) dimostra fino a che punto l’essenzialità strutturale costruttivista fosse in grado di esalta-re il materiale verbale. Il fulcro comunicativo del manifesto è tutto focalizzato sull’asse centrale, lungo il quale il materiale verbale48 viene distribuito visivamente su sei livelli discendenti che guidano l’occhio del lettore fino a farlo fermare sul nome della ditta reclamizzata. Ogni livello è scandito dalla ripetizione della stessa parola («gde») il cui signi-ficato semantico («dove») viene ripetutamente frustrato dalla colloca-zione in spazi visivi angusti finché la serie martellante di domande si scioglie nella liberazione finale della risposta (lo slogan rimato «da nessuna parte se non – al Mosselprom»).

L’iterazione degli elementi visuali segue il ritmo ossessivo e ipnoti-co dei versi di Majakovskij, spezzettandoli in modo tale da poter essere letti e combinati in una serie di varianti da un pubblico che veniva spronato così a prendere parte al gioco visivo e verbale del testo. Un gioco di associazioni costruito per straripare nel mondo reale, e preci-samente nel contesto urbano moscovita su cui svettava la nuova sede del Mosselprom: un palazzo di cui il manifesto riprendeva la sagoma,

46 Vedi Fig. 2.7 e Fig. 2.8. Quest’ultimo è il manifesto della Dobrolet a cui fa riferi-mento Rodčenko nel passo citato sopra.

47 Unione moscovita delle imprese industriali per la trasformazione dei prodotti alimentari. La sede centrale fungeva anche da centro commerciale e ristorante.

48 «Dove un ottimo pranzo per soli...? / dove pranzare con i buoni pasto della fab-brica? / dove puoi incontrare chiunque all’ora di pranzo? / dove leggere giornali e riviste di fronte a una birra? / dove puoi trovare un palcoscenico migliore per pranzare? / in nessun luogo se non – al Mosselprom» [Trad. mia].

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la divisione in sei piani e la veste grafica della facciata, anch’essa firma-ta da Rodčenko e Majakovskij (Fig. 2.10).

Era questo il senso del concetto costruttivista di oggetto funziona-le. L’opera d’arte (in questo caso il manifesto pubblicitario) doveva stimolare il suo fruitore a diventare soggetto attivo, libero di riscrivere il testo, di tracciare collegamenti, di partecipare. Stava qui il fulcro e il segreto dell’impatto comunicativo dei manifesti creati dai due «costrut-tori di pubblicità»: nella capacità dell’avanguardia di far proprie carat-teristiche e modalità di fruizione tipiche dell’arte popolare e folklorica. Un’arte, come nota Lotman, che non vive di spettatori racchiusi in silenziosa contemplazione, ma di «partecipanti che intervengono atti-vamente nell’azione»49.

49 Jurij M. Lotman, Testo e contesto, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 110. Vale la pena citare per esteso: «Nel quadro dei complessi rapporti che si sviluppano fra la cul-tura popolare e quella colta scritta agli inizi del XX secolo va sottolineato, accanto alle differenze che si mettono in rilievo abitualmente, un altro aspetto fondamentale: la diver-sa natura del rapporto fra il pubblico e il testo.

Nella letteratura non folklorica, così come si è formata in Europa dopo l’antichità, esiste una demarcazione netta fra l’autore e il pubblico. L’autore è il creatore del testo e gli è perciò destinata una funzione attiva nel sistema “scrittore-testo-lettore”. La struttu-ra dell’opera è creata dall’autore, che è la fonte dell’informazione indirizzata al lettore. L’autore di solito si eleva sopra il lettore, lo precede e lo trascina. Se il lettore introduce qualcosa di suo nel testo, il più delle volte compie una deformazione dovuta ad una comprensione limitata, al conservatorismo del gusto e delle abitudini letterarie. Al con-sumatore è richiesta la passività: fisica (sedere e guardare ma non correre e muoversi a teatro; guardare e non toccare al museo; non canticchiare all’opera; non sgambettare al balletto; durante la lettura di un libro non gridare, non gesticolare e non muovere neanche le labbra, leggere i versi con gli occhi e non a voce alta) e intellettuale (penetrare nel pensiero altrui ma non scambiarlo col proprio; non fantasticare immaginando altri episodi e finali; non salvare il protagonista quando l’autore vuoi farlo morire, ecc.). La condizione del pubblico folklorico è fondamentalmente diversa perché esso è attivo e interviene direttamente nel testo: grida al balagan (teatro dei saltimbanchi), indica il qua-dretto con la mano, si muove e sgambetta, urla al cinema per incoraggiare l’eroe. Questo comportamento del bambino e del portatore della coscienza folklorica appare a chi appar-tiene alla cultura colta come “mancanza di educazione”. In realtà; abbiamo di fronte un altro tipo di cultura e un diverso rapporto fra il pubblico e il testo. Prendiamo in consi-derazione una scultura e un giocattolo. La scultura è orientata verso la contemplazione: è un monologo che deve essere ascoltato ma non ha bisogno di risposta, è una comunica-zione che il destinatario deve ricevere. Il giocattolo, ad esempio la bambola, non sta su un piedistallo. Bisogna tenerlo in mano, toccarlo, parlargli e rispondere per lui. In breve, se la statua è fatta per essere guardata, la bambola è fatta per giocare. Il gioco non presuppone uno spettatore che ascolti un monologo ma dei partecipanti che intervengono attivamente nell’azione: chi gioca è coautore del testo. Il testo stesso non è qualcosa di dato in partenza che si deve ricevere, ma entra nel gioco, si crea cioè nel processo del gioco.

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Nel periodo compreso tra il 1923 e 1926 Rodčenko e Majakovskij realizzarono decine di manifesti pubblicitari, insegne, spille, marchi, scatole di caramelle, pacchetti di sigarette e altri prodotti analoghi che raggiunsero una diffusione e una popolarità fino ad allora impensabile per qualsiasi altra opera d’avanguardia. Scrive Elena Černevič:

Le creazioni pubblicitarie [di Rodčenko e Majakovskij] furono l’incarna-zione più insigne del principio costruttivista-produttivista; questo principio emerse come l’esito centrale dell’aspirazione postrivoluzionaria a democratiz-zare e a divulgare l’arte. Fu la pubblicità che diffuse tale principio in modo più capillare rispetto a qualunque altro mezzo di comunicazione, in tutte le sfere della vita, al servizio della società e delle sue esigenze. Per questi artisti la pubblicità non fu un episodio, ma una parte della loro vita50.

Sia Rodčenko che Majakovskij concepirono sempre il frutto del proprio lavoro di pubblicitari come esemplare, e il proprio succes-so non solo come un successo della propaganda sovietica, ma della più autentica arte e poesia visuale d’avanguardia, come nota ancora Černevič:

[...] la penna di Majakovskij si rivelò fin dall’inizio abilissima nella compo-sizione dei testi pubblicitari. Il poeta che ideava questi testi era un innovatore che lavorava incessantemente sul linguaggio e sulla forma, ponendosi consa-pevolmente il compito di creare “nuove parole”, “rivoluzionare la sintassi”, “rinnovare la semantica verbale”, “rivelare la plakatnost (il carattere da manifesto) della parola”, produrre “lirica da slogan” [...]. Non si può non condividere il suo giudizio sulle cinque parole di quello che egli considerava il suo slogan migliore: “Nonostante l’urlo derisorio dei poeti, considero Nigde krome kak v Mosselprome (In nessun luogo fuorché al Mosselprom) poesia della più alta qualità”51.

Questo parallelo non si può trasferire del tutto alla creazione folklorica, ma ha con questa analogie non prive di senso. Nel folklore, a differenza di quanto avviene nel gio-co, appare fondamentale non solo una certa somma di regole, ma anche un certo testo. Sotto questo aspetto è utile un altro parallelo, quello con l’arte che richiede di essere eseguita. Qui il testo (quello dell’opera teatrale, lo spartito musicale, la sceneggiatura di un film) per acquistare realtà di testo deve essere eseguito. Il testo base costituisce un’in-variante ideale che si realizza nelle varianti delle esecuzioni» (pp. 107-110).

50 Anikist, Černevič, Grafica commerciale sovietica degli anni Venti, cit., p. 26. 51 Ibidem, p. 25. La citazione finale è tratta da Majakovskij, Polnoe Sobranie

Sočinenij v 13-ti tomach, cit., vol. 1, cit., p. 27.

�� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

2.6 Una conclusione e un inizio

Con la collaborazione tra Majakovskij e Rodčenko, la ricerca costruttivista di una sintesi comunicativa tra poesia e visualità raggiun-se il suo culmine, ma anche il suo termine. Ciò non fu dovuto solamen-te al fatto che la fine della NEP, nel 1928, avesse estinto anche il biso-gno di testi pubblicitari da parte dello Stato sovietico. I motivi erano più complessi e andavano ricercati sia nei profondi mutamenti che interessarono la dirigenza bolscevica dopo la morte di Lenin (1924), sia nell’acquisto di sempre maggior potere e influenza da parte di alcu-ni movimenti e associazioni letterarie di stampo radicalmente antia-vanguardista, prima tra tutte la RAPP52. L’Associazione Russa degli Scrittori Proletari riuniva un gran numero di artisti accomunati da una concezione della nuova letteratura per e del proletariato radicalmen-te diversa da quella delle avanguardie capeggiate da Majakovskij. Le teorie e i metodi costruttivisti applicati alla letteratura, la supremazia della forma sul contenuto, la ricerca di un integrazione con le arti visi-ve erano concetti totalmente inaccettabili per gli scrittori della RAPP, che insistevano invece su una letteratura radicata nel realismo ottocen-tesco e finalizzata alla descrizione il più possibile realista, naturalista e pedagogica della nuova società sovietica: una fedele riproduzione della realtà che non doveva essere inficiata da inutili e dannosi esperimenti formali. Si trattava, in nuce, del nucleo teorico di quello che di lì a poco sarebbe divenuto il dogma del realismo socialista di marca staliniana. Non è quindi un caso che il peso degli scrittori proletari nel panorama letterario sovietico crebbe a dismisura con il definitivo consolidamento del potere politico di Stalin. Il nuovo segretario generale del partito, dopo essersi sbarazzato di oppositori del calibro di Trockij, Kamenev e Bucharin, iniziò un aggressivo processo di accentramento di mansioni, cariche e poteri che non aveva avuto precedenti nella breve storia del nuovo Stato comunista e, di fatto, si arrogò anche il controllo diretto sul mondo dell’arte, scavalcando spesso e volentieri il Narkompros del ben più tollerante Lunačarskij. Ciò comportò, a partire dal 1925-1926, l’inizio dell’egemonia artistica della RAPP e degli scrittori prole-tari, a tutto discapito dell’avanguardia53 che venne progressivamen-

52 Acronimo di Rossiskaja Associacija Proletarskich Pisatelej (Associazione Russa degli Scrittori Proletari).

53 Rodčenko, nelle sue memorie, è chiarissimo nell’attribuire alla RAPP la colpa

�72. SINTONIA

te spinta ai margini della scena letteraria sovietica. L’estromissione di Lunačarskij, nel 1929, dal suo ruolo di supervisore culturale del Paese fece il resto. Quella sintonia tra avanguardia e campo del pote-re che aveva caratterizzato i primi anni seguenti la rivoluzione si era definitavemente interrotta. La poesia d’avanguardia, accusata, spesso strumentalmente, di essere incomprensibile alle masse, fu ostacolata in ogni modo e lo stesso Majakovskij fu costretto, nel 1930, addirittura ad iscriversi alla RAPP per continuare a lavorare. Lo stesso anno il poeta si suicidò: stava iniziando l’era del realismo socialista.

L’agonia del costruttivismo fu meno repentina. Allontanati dalle fabbriche e recisi i rapporti con l’ormai annichilita poesia d’avanguar-dia, Rodčenko, El Lisickij e gli altri artisti del movimento dovettero necessariamente ridurre il raggio d’applicazione delle proprie conqui-ste metodologiche e formali al solo ambito visivo e tipografico, in un continuo compromesso con l’imperante figurativismo realista che, com’era prevedibile, finì con l’avere la meglio su qualsiasi soluzione di stampo più prettamente sperimentale. Ma il futuro del costrutti-vismo, ormai, non era più nella Russia sovietica. Le soluzioni a cui il movimento era giunto nella prima metà degli anni Venti ebbero infatti un’eco e un impatto eccezionali in tutta l’Europa occidentale. Scrive Camilla Gray:

From all over Western Europe artists looked to Russia for the realization of their ‘new vision’, for in Communism they saw the answer to the sad isolation of the artist from society which the capitalist economy had introduced. In Russia, under this new-born régime, they felt a great experiment was being made in which, for the first time since Middle Ages, the artist and his art were embodied in the make-up of common life, art was given a working job, and the artist considered a responsible member of society54.

dell’interruzione del suo sodalizio artistico con Majakovskij: «In seguito, il lavoro ven-ne interrotto [...] I membri della RAPP e della MAPP fecero naturalmente quanto era in loro potere per danneggiarci, ricorsero ad ogni mezzo possibile e immaginabile per screditare e far cessare la nostra attività. E finirono per aver partita vinta. Sicuramente avevano ottimi motivi per essere preoccupati: tutta Mosca, tutti i punti di vendita del Mossel’prom, tutti i giornali e le riviste erano inondati dalle nostre réclame. […] La pubblicità ripiombò a poco a poco nel solco battuto delle testoline femminili e dei fio-rellini, [...] finché l’uso di questi motivi non raggiunse il livello dell’assurdo» (Rodčenko, Rabota s Majakovskom, cit., p. 65 [Trad. mia; la MAPP (Moskovskaja Associacija Pro-letarskich Pisatelej) era l’Associazione Moscovita degli Scrittori Proletari].

54 Gray, The Great Excperiment: Russian Art 1863-1922, cit., p. 276.

�� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

I concetti costruttivisti di arte socialmente funzionale, economia e razionalità formale, attenzione al materiale, chiarezza, accessibilità e oggettificazione dell’opera furono ripresi e approfonditi nell’ambito di scuole e movimenti diversi, dalla Bauhaus55 e al neoplasticismo olandese, dalla pittura concreta al design industriale e commerciale svizzero di Max Bill fino ad arrivare, come già sappiamo, al concreti-smo di Gomringer e dei Noigandres56.

Dopo più di trent’anni le armi del costruttivismo venivano riuti-lizzate dalla poesia d’avanguardia con la stessa finalità che fu di Majakovskij: quella di ricostruire un legame comunicativo tra poesia e pubblico di massa. Furono i Noigandres brasiliani i primi a fare esplicitamente riferimento al futurista e costruttivista russo. Ma se gli scopi e i mezzi potevano essere considerati affini, il contesto socia-le, culturale, politico ed economico in cui i concretisti brasiliani si trovarono ad operare era radicalmente diverso da quello sovietico negli anni immediatamente seguenti la rivoluzione. Come era diverso il rapporto che legava i concretisti e le loro opere a tale contesto. Al posto di quella sintonia con il campo del potere che tanta parte aveva avuto nel successo comunicativo del connubio costruttivista sovieti-co tra poesia d’avanguardia e visualità, in Brasile era riapparso uno dei tratti distintivi57 del rapporto storico tra avanguardia e contesto socio-politico: l’antagonismo.

55 Per un approfondimento dei legami, diretti e indiretti, tra El Lisickij, Rodčenko e la Bauhaus, vedi Viktor Margolin, The Struggle for Utopia: Rodchenko, Lissitzky, Moholy-Nagy, 1917-1946, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1997.

56 Per un resoconto dettagliato dei passaggi che hanno caratterizzato la “migrazio-ne” dei principi costruttivisti dalla Russia degli anni ’20 ai Noigandres brasiliani, vedi, in particolare, Amélia Paes Vieira Reis, Design concretista: um estudo das relações entre o design gráfico, a poesia e as artes plásticas concretistas no Brasil, de 1950 a 1964, Rio de Janeiro, Pontíficia Universidade Católica, 2005.

57 Cfr. capitolo precedente.

Distonia con il campo del potere: concretismo brasiliano e poesia visiva italiana tra alienazione, antagonismo e guerriglia poetica

Attualmente la cultura ufficiale assegna settori speciali a ciò che essa con diffidenza, già semi-sperandone il fallimento, dichiara esperimento, ed in tal modo lo neutralizza.

Theodor W. Adorno1

Abbiamo già esaminato, seguendo Poggioli, l’antagonismo delle avanguardie storiche nei confronti sia dell’arte tradizionale, sia del pubblico inteso nel senso più vasto. Su questo sfondo abbiamo quindi preso in considerazione la poesia concreta e quella visiva come tenta-tivi di utilizzare il primo di tali antagonismi per superare il secondo. Tentativi – condivisi anche dal costruttivismo russo post-rivoluzio-nario – volti, in altre parole, alla creazione di una poesia che fosse allo stesso tempo avanguardistica e popolare. Accanto a queste prime due tensioni oppositive Poggioli ne individua però anche una terza, rispetto alla quale, come vedremo, i rapporti delle avanguardie poeti-che degli anni ’50 e ’60 sono piuttosto problematici e contraddittori. Si tratta dell’antagonismo nei confronti della società, intesa, in senso restrittivo, non tanto come collettività di individui, quanto come quel sistema di strutture e ordinamenti gerarchici, economici e politici che organizzano detta collettività2. Questa situazione è particolarmente evidente nei contesti democratici e capitalisti ed è tale da trascinare irrimediabilmente l’avanguardia in un limbo di perenne alienazione sociale e politica.

Secondo Poggioli tale stato di alienazione è il frutto di una serie di aporie derivanti da alcune contraddizioni insanabili a cui va gene-

1 Theodor W. Adorno, Teoria estetica, Torino, Einaudi, 1975, p. 55.2 Renato Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia, Bologna, il Mulino, 1962,

pp. 121-127.

70 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

ralmente incontro l’avanguardia in una società liberale e borghese, prima fra tutte quella tra il deciso rifiuto di servire l’establishment e la consapevolezza del fatto che «almeno in parte, anche negandolo» l’avanguardia finisce inevitabilmente e, spesso, involontariamente per esserne espressione. Per esemplificare questa situazione, che secondo il critico è comune tanto alle avanguardie storiche quanto alle neoa-vanguardie, Poggioli fa riferimento proprio a uno di quei poeti che maggiormente hanno influenzato l’esperienza concretista3:

Il rapporto che esiste fra l’artista e la società contemporanea fu forse meglio espresso da Mallarmé quando, in un’intervista giornalistica, che gli permise d’adoperare una volta tanto un’imagine d’indole politica, dichiarò che in un’epoca e in una cultura come la nostra l’artista viene a trovarsi «in istato di sciopero (en grève) verso la società».

Ma lo stato di sciopero non può aver luogo se non quando esista, accanto a un contratto d’interessi, un rapporto di lavoro [...]4.

È in questa inconciliabilità tra antagonismo e dipendenza nei confronti del campo del potere che Poggioli individua la caratteristi-ca principale del concetto di reciproca alienazione tra l’avanguardia e quella che Adorno avrebbe poi definito come la «totalità tardocapi-talistica»5. Un concetto che, come vedremo, risulterà particolarmen-te valido nel decifrare l’esperienza del concretismo brasiliano e, per contrasto, anche quella della poesia visiva italiana, proprio in virtù della specifica finalità sociale che tali movimenti si proponevano, vale a dire quella di realizzare una poesia che raggiungesse sì le masse, ma – al contrario dei futuristi-costruttivisti russi – allo scopo di sensibiliz-zarle non in favore, ma bensì contro il sistema.

3.1 Da Brasilia ai Noigandres

L’aggettivo «tardocapitalistico» potrebbe a prima vista sembrare eccessivo o improprio se riferito al contesto brasiliano degli anni ’50. Vero è, tuttavia, che proprio in quel periodo il Paese stava affrontando

3 In particolare la poesia Un coup de dés, scritta da Mallarmé nel 1897, è general-mente considerata come uno dei più diretti precursori della poesia concreta.

4 Ibidem, p. 125.5 Adorno, Teoria estetica, cit., p. 221.

713. DISTONIA

un piano di sviluppo di carica epocale che, almeno nelle intenzioni della dirigenza politica, aveva l’obiettivo di impiantare in Brasile un sistema capitalistico avanzato procedendo al ritmo di «50 anos em 5». Erano gli anni del presidente Juscelino Kubitschek che, eletto nel 1955, coinvolse il Paese in un programma accelerato di industrializzazione, di modernizzazione e di sviluppo in senso capitalista e nazionalista: il cosiddetto «desenvolvimentismo»6. Simbolo e orgoglio del nuovo Brasile avanzato doveva essere una capitale anch’essa completamente nuova, una città costruita dal nulla in un altopiano desertico nel centro del Paese.

Il progetto di Brasilia fu seguito, in particolare, da Lucio Costa e Oscar Niemeyer, due architetti convinti che per una città che doveva essere emblema della nuova nazione moderna fosse necessario ricor-rere anche ad un’architettura inedita nel panorama urbanistico brasi-liano: un’architettura imperniata su criteri di funzionalità e razionalità tali da rispecchiare visivamente e materialmente il nuovo orientamento tecnico-industriale del Paese, mantenendo però un intimo dialogo con gli abitanti che nella città avrebbero dovuto risiedere. Un’architettu-ra, in altre parole, costruttivista, chiaramente ispirata (attraverso la mediazione di Le Corbusier) all’esperienza della Bauhaus di Gropius che, a partire dagli anni ’20 e in stretto dialogo con i costruttivisti russi, aveva cercato di sviluppare un’idea architettonica “sociale” in grado di coniugare le esigenze dell’individuo con quelle della collettività in una sintesi razionale e geometrica finalizzata alla fusione funzionale di estetica ed utilità7. Furono questi i principi che guidarono la costru-zione della nuova capitale, a cui Costa e Niemeyer diedero una prima, avveniristica, forma grafica e progettuale nel 1956, con la presenta-zione del «Plano-piloto para a construção de Brasília». Il nucleo prin-cipale della nuova capitale del Paese fu costruito in appena tre anni e non è un caso che, nel 1958, i Noigandres scelsero di richiamarsi esplicitamente, nel titolo del loro manifesto concretista, al progetto costruttivista di Brasilia.

Il Plano-piloto para a poesia concreta, firmato dai fratelli Augusto e Haroldo de Campos e da Décio Pignatari è generalmente considera-to, insieme agli scritti programmatici di Gomringer, uno dei testi più

6 Da «desenvolvimento», ossia «sviluppo».7 Cfr. Helba Carvalho, Da poesia concreta ao poema-processo: um passeio pelo fio

da navalha, São Paulo, Universidade de São Paulo, 2002, p. 14.

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rappresentativi della teoria concretista. La proposta poetica brasiliana era in effetti la sintesi di un lavoro di recupero in chiave poetica del bagaglio metodologico costruttivista, lavoro per molti versi affine a quello portato avanti negli stessi anni da Gomringer, con il quale i Noigandres intrattenevano proficui rapporti di collaborazione fin dal 1955. Non deve quindi sorprendere se nel Plano-piloto ritroviamo, in forma tipicamente stringata e lapidaria, molti degli elementi teorici che abbiamo già introdotto trattando del concretista svizzero:

a poesia concreta começa por tomar conhecimento do espaço gráfico como agente estrutural.

[...] ideograma: apelo à comunicação não-verbal. o poema concreto comunica a sua própria estrutura: estrutura-conteúdo. o poema concreto é um objeto em e por si mesmo, não um intérprete de objetos exteriores e/ou sensações mais ou menos subjetivas. Seu material: a palavra (som, forma visual, carga semântica). seu problema: um problema de funções-relações desse material. [...]predomina a forma geométrica e a matemática da composição (racionalismo sensível). [...] o poema como um mecanismo, regulando-se a si próprio: “feedback”. a comunicação mais rápida (implícito um problema de funcionalidade e de estrutura) confere ao poema um valor positivo e guia a sua própria confecção. [...] poesia concreta: uma responsabilidade integral perante a linguagem. [...] contra uma poesia de expressão, subjetiva e hedonística. criar problemas exatos e resolvê-los em termos de linguagem sensível. uma arte geral da palavra. o poema-produto: objeto-util8.

L’utilizzo del segno verbale e dello spazio bianco come materiale, l’oggettificazione e la strutturazione razionale del testo, la sua funzio-nalità sociale e autosufficienza formale, l’economia del linguaggio e l’enfasi sull’immediatezza dell’impatto comunicativo erano tutte carat-teristiche costruttiviste che i Noigandres condividevano appieno con Gomringer, e Terra di Pignatari ne è un esempio lampante (Fig. 3.1), in particolar modo se comparata con Silencio del concretista svizzero.

La poesia, del 1956, è costituita da un pattern geometrico rettango-lare diviso in undici righe nelle quali viene ripetuta la parola «terra». La superficie verbale non è però compatta. L’uniformità è infatti rotta dal bianco della pagina che si insinua nel testo sia diagonalmente che verticalmente, tracciando come due profondi solchi d’aratro. Come

8 Augusto de Campos, Haroldo de Campos, Décio Pignatari, Teoria da poesia con-creta: textos críticos e manifestos 1950-1960, São Paulo, Brasiliense, 1987 (1965), p. 156. Il testo è privo di maiuscole.

733. DISTONIA

in Silencio di Gomringer, anche qui lo spazio bianco – quello interno come quello esterno al testo – assume un valore semantico e struttu-rale che, fondendosi con il materiale verbale, conferisce funzionalità e versatilità all’autonomia formale della composizione allo scopo di lasciare al lettore la possibilità di fruire il testo, in prima battuta, quasi istantaneamente e come un tutt’uno, senza direzioni di lettura prefis-sate. A differenza della poesia del concretista svizzero, però, in Terra l’autonomia strutturale del testo è arricchita da un elemento in più, vale a dire da una dimensione processuale (e ludica) che caratteriz-zerà poi gran parte della produzione concreta brasiliana. La poesia è infatti costruita in modo tale da auto-decodificarsi, in una secon-da lettura, attraverso una serie quasi matematica di tentativi ed erro-ri fino ad arrivare alla soluzione finale9. A partire dalla settima riga, infatti, nel continuum verbale composto dalla parola «terra» inizia ad inserirsi l’apparentemente anomala ripetizione della parte finale del sostantivo, la sillaba «ra», che innesca una sorta di processo auto-deduttivo apparentemente casuale («errar»), ma in realtà finalizzato alla progressiva emersione del verbo «arar» che, svelando chiaramente il valore semantico delle strisce bianche che solcano il fluire verbale, rappresenta la chiave interpretativa dell’intero testo visivo. Il risultato è una poesia che, con la partecipazione complice del lettore, è in grado di decifrare se stessa con quella stessa autonomia processuale rispec-chiata, in senso traslato, nell’ultima riga del testo («terra ara terra»).

Rispetto a Silencio, Terra segna un salto di qualità nel livello di partecipazione al gioco testuale richiesto al lettore. Un lettore che non viene più soltanto invitato a fruire sensorialmente di una costruzione verbale e visiva fondamentalmente statica, ma che – in maniera non dissimile da quanto abbiamo visto a proposito della pubblicità per il Mosselprom di Rodčenko e Majakovskij – viene chiamato direttamen-te a partecipare, innescando, con la lettura, un meccanismo testuale tanto semplice quanto processualmente e strutturalmente autono-mo e funzionale («o poema como um mecanismo, regulando-se a si próprio»). Questa differenza rispetto alle costellazioni di Gomringer nelle modalità e nel grado di coinvolgimento del pubblico e nella natu-ra dell’impatto comunicativo del testo era legata anche alle partico-larità del quadro sociale e politico all’interno del quale i principi del

9 Un’analoga strategia compositiva viene utilizzata, tra gli altri, anche da Ronaldo Azeredo in ruasol (Fig. 3.2).

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costruttivismo artistico europeo erano entrati in contatto con l’avan-guardia poetica brasiliana.

La pittura e l’arte concreta – con il loro bagaglio costruttivista di astrattismo, autonomia strutturale, funzionalità e razionalità rappre-sentato in particolare dallo scultore e designer svizzero Max Bill e dal suo «projeto construtivo de integração da arte na sociedade indus-trial»10 – avevano raggiunto una piena visibilità nel panorama cultura-le brasiliano in occasione della prima Biennale di San Paolo, nel 1951. È nell’anno seguente che Pignatari e i fratelli de Campos fondano il gruppo Noigandres con l’intenzione di applicare i metodi costruttivisti alla poesia conciliando verbalità e visività e rintracciando, a tal fine, un buon punto di partenza in alcuni aspetti del lavoro di Ezra Pound11

10 Ronaldo Brito, Vanguardas construtivas no Brasil, in Id., Neoconcretismo: vértice e ruptura do projeto construtivo brasileiro, Rio de Janeiro, Funarte, 1985, p. 30.

11 Lo stesso nome Noigandres è tratto da un passo del Canto XX dei Cantos di Pound, dove appare come un termine dal significato indecifrabile:

[...] And he said: Now is there anything I can tell you? ” And I said: I dunno, sir, or “Yes, Doctor, what do they mean by noigandres? ” And he said: Noigandres! NOIgandres! “You know for seex mon’s of my life “Effery night when I go to bett, I say to myself: “Noigandres, eh, noigandres, “Now what the DEFFIL can that mean!”[...] (Ezra Pound, The Cantos of Ezra Pound, New York, New Directions, 1970, p. 90).

Secondo Mary Ellen Solt, «this puzzling word suited the purposes of the three Brazilian poets very well; for they were working to define a new formal concept. The name noigandres was both related to the world heritage of poems and impossible for the literary experts to define» (Solt, Concrete Poetry: A World View, cit., p. 12). Particolarmente significativa nello sviluppo del concretismo dei Noigandres fu anche l’opera del modernista brasiliano Oswald de Andrade e il suo Manifesto Antropófago, pubblicato nel 1928, in cui de Andrade proponeva di ritrovare orgoglio nella cultura brasiliana. Così come gli indigeni antropofagi mangiavano i nemici, allo stesso modo gli scrittori e gli artisti brasiliani avrebbero dovuto riscoprire una propria originalità artistica e culturale “cannibalizzando” le culture dei colonizzatori europei e facendole proprie senza nessun tipo di rispetto o timore revenziale. In un passo del suo manifesto l’autore esorta i letterati a diventare «concretisti», ad abbandonare l’accento sui contenuti, sulle «idee paralizzanti», per iniziare a valorizzare i «segni»: «Somos concretistas. As idéias tomam conta, reagem, queimam gente nas praças públicas. Suprimarnos as idéias e as outras paralisias. Pelos roteiros. Acreditar nos sinais, acreditar nos instrumentos e nas estrelas» (Oswald de Andrade, Piratininga Ano 374 da Deglutição do Bispo Sardinha, «Revista de Antropofagia», Ano 1, No. 1, 1928).

753. DISTONIA

e nello studio che il poeta americano aveva condotto, basandosi sulle tesi del filologo e sinologo Ernest Fenellosa, sulle potenzialità grafico-poetiche degli ideogrammi cinesi 12. Da qui, oltre che dalle esperien-ze futuriste e costruttiviste dei primi decenni del secolo, l’idea di una poesia che non fosse descrittiva (e quindi “trasparente”), ma presenta-zionale (e quindi “opaca”), in cui semantica e sintassi scaturissero da una giustapposizione di materiali verbali e visivi organizzati in base a una struttura relazionale il più possibile economica e funzionale13. La collaborazione, a partire dal 1955, con Gomringer, che stava seguen-do un percorso affine a quello dei brasiliani, contribuì a conferire al lavoro dei Noigandres una grande risonanza negli ambienti avanguar-distici internazionali. Risonanza amplificata, a livello locale, anche da un intreccio molto peculiare tra le traiettorie poetiche del movimento e quelle politiche del governo brasiliano.

Nella seconda metà degli anni ’50 i capisaldi del programma di Kubitschek – industrializzazione, sviluppo, modernizzazione, raziona-lizzazione – sembravano infatti trovare la loro controparte artistica proprio in quei principi costruttivisti che stavano contemporanea-mente affermandosi nella scena artistica nazionale. Ne era un chiaro esempio la vera e propria ufficializzazione dell’architettura di stampo costruttivista nella realizzazione di Brasilia, il simbolo più rappresenta-tivo del nuovo corso politico del Paese. Un clima, quello di apparente consonanza tra la politica e un certo tipo di sperimentazione artistica, che non si limitò a coinvolgere solamente l’architettura, ma che giunse

12 Cfr. Ernest Fenellosa, The Chinese Written Character as a Medium for Poetry, Ed. Ezra Pound, San Francisco, City Lights Books, 1936. Adriano Spatola nota come i Noigandres vedessero nell’interesse di Pound per l’ideogramma cinese «l’espressione di un atteggiamento mentale che tende[va] al massimo di economia nella comunicazione delle forme verbali». Andando più nello specifico, secondo Spatola «[...] nei Cantos, Pound usa l’ideogramma come principio strutturale dell’interazione fra blocchi di idee, che si criticano, ripetono e illuminano vicendevolmente, e nel far ciò esalta il rapporto fra i nuclei tematici e lo spazio grafico, che diventa un fattore essenziale nell’istituzione del corpo del poema». (Adriano Spatola, Verso la poesia totale, Salerno, Rumma, 1969, pp. 62-63). La definizione di ciò che i Noigandres intendevano per «ideogramma poeti-co» è contenuta nello stralcio del Plano-piloto riportato sopra.

13 Cfr. Arrigo Lora-Totino, Poesia concreta, in Claudio Parmiggiani (a cura di), Alfabeto in sogno: dal carme figurato alla poesia concreta, Milano, Mazzotta, 2002, p. 407. In merito alla relazione tra i segni che compongono l’ideogramma cinese, Fenellosa scrive: «In this process of compounding, two things added together do not produce a third thing but suggest some fundamental relation between them» (Fenellosa, The Chi-nese Written Character as a Medium for Poetry, cit., p. 10).

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a toccare, in maniera piuttosto insolita, anche la poesia d’avanguardia. Particolarmente significativo è senza dubbio il fatto che la I Esposi-zione d’Arte Concreta – che includeva anche la prima presentazione pubblica del lavoro poetico dei Noigandres – dopo essere stata inaugu-rata nel dicembre 1956 presso il Museo d’Arte Moderna di San Paolo, fu riallestita il mese successivo a Rio de Janeiro direttamente all’in-terno della sede del Ministero dell’Educazione. Il crescente successo internazionale della poesia concreta brasiliana, in particolare, pareva in quel periodo rispecchiare in campo artistico le ambizioni naziona-liste e post-coloniali del governo Kubitschek, ansioso di mostrare al mondo l’immagine di un Brasile nuovo e pienamente in grado di rive-stire un ruolo autonomo e di primo piano tra le nazioni capitaliste più avanzate14. Tutto farebbe pensare al concretismo brasiliano come a un’avanguardia in sintonia con il campo del potere. Eppure fu proprio una delle caratteristiche più essenziali del costruttivismo e del concre-tismo, la ricerca di un impatto comunicativo e funzionale sulla società, a tracciare una profonda (sebbene, come vedremo, contraddittoria) faglia tra la poesia concreta brasiliana e il contesto socio-politico nella quale era immersa.

3.2 La «svolta partecipativa»

L’obiettivo di fare della poesia concreta la nuova poesia popola-re è un punto di fondamentale importanza in gran parte degli scritti teorici dei principali rappresentanti dei Noigandres. A tal fine i concre-tisti brasiliani ritenevano basilare l’utilizzo delle strategie comunicati-ve proprie dei mass-media e di tutta quell’arte comunemente definita “commerciale”. Scrive Haroldo de Campos:

a POESIA CONCRETA é a linguagem adequada à mente criativa contem-porânea

permite a comunicação em seu grau mais rápidoprefigura para o poema uma reintegração na vida cotidiana semelhante à

14 Vedi, a tal proposito, le riflessioni di Helba Carvalho sul parallelismo tra la poli-tica di Kubitschek e l’insistenza di Haroldo de Campos sulla necessità di mettere a punto un concretismo tale da rappresentare una vera e propria «poesia de exportação». Cfr. Carvalho, Da poesia concreta ao poema-processo: um passeio pelo fio da navalha, cit., pp. 54-60.

773. DISTONIA

q o. BAUHAUSpropiciou às artes visuais: quer como veículo de propaganda comercial

(jornais, cartazes,TV, cinema, etc), quer como objeto de pura fruição (funcionando na arqui-

tetura, p. ex.),com campo de possibilidades análogo ao do objeto plásticosubstitui o mágico, o místico e o “maudit”pelo ÚTIL15.

Per colmare quello che de Campos definisce «o abismo entre poeta-e-publico»16, i Noigandres, come Gomringer, proponevano una poesia depurata da quell’aura mistica e autoriale che circondava le composizioni poetiche tradizionali per arrivare, costruttivisticamente, alla creazioni di testi oggettificati che fossero in grado di ritagliarsi un ruolo funzionale, e quindi comunicativo, all’interno della collettività. In questa prospettiva, l’ibridizzazione visuale del linguaggio poetico e l’accostamento del carattere ideogrammatico della nuova poesia a forme e modi tipici dei mezzi di comunicazione di massa era, per i poeti concreti, un passaggio non soltanto naturale, ma necessario. Secondo Pignatari, infatti, solo assimilando e organizzando strutturalmente le strategie comunicative del linguaggio pubblicitario e massmediatico la poesia concreta avrebbe potuto trasformare i propri “ideogrammi verbo-visivi” in testi fruibili da un vasto pubblico:

uma arte geral da linguagem. propaganda, imprensa, rádio, televisão, cine-ma. uma arte popular.

a importância do olho na comunicação mais rápida: desde os anúncios luminosos até as histórias em quadrinhos. A necessidade do movimento. A estrutura dinâmica. O ideograma como idéia básica17.

Muovendo da queste premesse, i Noigandres, e Pignatari in parti-colare, ritennero però che per ottenere una poesia dal diffuso impat-to sociale fosse necessaria un’ulteriore riflessione teorica. Testi come Terra, pur possedendo tutti i requisiti formali che costituivano le linee guida del concretismo, non avevano ancora le potenzialità per

15 Haroldo de Campos, olho por olho a olho nu, in de Campos, de Campos, Pigna-tari, Teoria da poesia concreta: textos críticos e manifestos 1950-1960, cit., p. 54.

16 Haroldo de Campos, Contexto de uma vanguarda, de Campos, de Campos, Pi-gnatari, Teoria da poesia concreta: textos críticos e manifestos 1950-1960, cit., p. 153.

17 Décio Pignatari, Nova poesia: concreta, de Campos, de Campos, Pignatari, Teoria da poesia concreta: textos críticos e manifestos 1950-1960, cit., p. 47.

7�3. DISTONIA

date le premesse e il contesto sociale, un punto d’arrivo quasi obbli-gato. Le scelte politiche del governo Kubitschek, infatti, avevano sì modernizzato e industrializzato il Paese ad un ritmo eccezionalmente rapido, ma avevano anche altrettanto rapidamente creato uno spaven-toso aumento delle disuguaglianze economiche tra la popolazione, delle disparità regionali e delle sacche di povertà e miseria. In tale quadro di diffuso malcontento sociale, particolarmente intenso a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, partecipare alla realtà delle masse con le quali la poesia concreta avrebbe voluto entrare in comunicazione non poteva non significare che schierarsi decisamente contro l’establish-ment politico ed economico al potere.

La sfida partecipativa, contenutistica e politicamente impegna-ta di Pignatari – che portò i Noigandres, nel 1961, a ripubblicare il proprio manifesto, il Plano-piloto, con la simbolica ma significativa aggiunta della frase di Majakovskij «sem forma revolucionária não há arte revolucionária» – fu immediatamente condivisa e accolta da gran parte (ma non dalla totalità) del movimento concretista brasi-liano e diede vita a quella particolare sintesi tra principi concreti-sti-costruttivisti e carica semantica fortemente contestualizzata che rappresenta, a tutt’oggi, la cifra stilistica più chiaramente distintiva del lavoro poetico dei Noigandres. Uno dei primi esempi di questa nuova tendenza è sem um numero di Augusto de Campos, del 1957 (Fig. 3.3).

Il testo dimostra come fosse effettivamente possibile realizzare una poesia contenutisticamente “impegnata” rimanendo tuttavia all’inter-no delle linee teoriche che identificavano il concretismo. In questo caso la composizione era un atto d’accusa contro le condizioni di miseria ed emarginazione che caratterizzavano la vita dei contadini brasiliani. Condizioni sensibilmente peggiorate nel periodo del governo Kubit-schek. Da qui quel «senza un numero» che apre la poesia, un’espres-sione dalla valenza duplice e contrapposta. Da una parte l’orgoglio e la dignità della classe contadina per essere sfuggiti alle logiche mercifi-catorie del mercato per le quali l’individuo non esiste più qualitativa-mente, ma soltanto quantitativamente. Dall’altra il peso insostenibile dell’esclusione da tutti quei supposti benefici che lo sviluppo indu-striale e capitalistico della nazione avrebbe dovuto portare al popolo. Un’esclusione che tuttavia equivale comunque all’assegnazione coatta di un unico numero alla classe contadina: lo zero. Fin qui la prima parte del testo che, attraverso un processo di sottrazione visiva, vede la progressiva e geometrica contrazione del materiale verbale che forma

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la frase di partenza fino a ridurlo alla sola ultima lettera, la «o», che al centro della poesia si trasforma in un numero, lo zero, già antici-pato verbalmente nella quarta riga. Da qui il testo riparte seguendo un’evoluzione opposta a quella della prima parte. Non più sottrazione di materiale ma accrescimento, sia visuale che semantico: «nudo/mero/numero/un numero/una moltitudine20». La poesia si risolve quindi in un gioco di contrasti, primo tra tutti quello, contenutistico, tra l’enor-me peso quantitativo e demografico della classe contadina brasiliana e la sua inopinata riduzione a nullità marginale ed emarginata.

Dal punto di vista formale, è evidente come la presenza di un “conte-nuto” non comprometta il metodo concreto. L’accresciuta trasparenza del linguaggio rimane infatti subordinata a una rigida organizzazione strutturale in cui la parte verbale viene sistemata nello spazio in primo luogo in quanto materiale visivo e solo in seconda battuta come veico-lo di senso. Lo scopo è quello, ormai noto, di far sì che sia la dimensio-ne semantica a scaturire dalla struttura visuale e ideogrammatica del testo, e non viceversa. Così in questo caso la valenza contenutistica è diretta conseguenza del doppio processo di accrescimento e riduzione visiva del corpo verbale del testo, che sfrutta la forma del materiale tipografico per fissare il perno visuale e contenutistico nell’ambiva-lenza tra «o» e «zero» e nell’attento e quasi matematico processo di combinazione tra le lettere che formano la frase iniziale, quella finale, e tutto il resto della poesia con l’unica eccezione della quarta riga, in cui è l’intrusione di una «z» a dare, come l’«ar» in Terra, la chiave inter-pretativa del tutto richiamando allo stesso tempo – e così il cerchio si chiude – la forma geometrica dell’intero testo. Un layout grafico, quel-lo di sem um numero, la cui forma a doppia ala può essere interpretata non solo come un richiamo autoreferenziale alla «z» della quarta riga, ma anche come un riferimento (e qui ritorna il «salto conteudístico» e referenziale) all’allora celebre sagoma progettuale alata della città di Brasilia (Fig. 3.4).

Un progetto, quello della nuova capitale, alla cui realizzazione pratica, nel 1957, stavano già lavorando decine di migliaia di conta-dini sottoposti a ritmi di lavoro massacranti in condizioni inumane e semi-schiavistiche. Il tutto per realizzare in tempi ridotti un costosissi-mo simbolo di potere di cui la gran parte della popolazione brasiliana,

20 L’espressione «um sem numero» è idiomatica: sta a indicare una quantità innu-merabile, incalcolabilmente grande [Trad. mia].

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e in particolare la depauperizzata classe contadina, faticava a sentire il bisogno21: una moltitudine – «um sem numero» – ridotta al peso di una nullità.

In un saggio intitolato Poesia Concreta–Linguagem–Comunicação, Haroldo de Campos riconduce il distillato concretista di poesia visua-le e impegno socio-politico direttamente all’esperienza artistica di Majakovskij22. Esperienza a cui Pignatari si avvicina, nel 1958, attra-verso l’uso in chiave poetica del medium pubblicitario, realizzando uno dei testi più conosciuti del movimento, beba coca cola (Fig. 3.5).

La poesia è in effetti una sorta di versione concretista delle pubblicità costruttiviste di Rodčenko e Majakovskij, ma con una relazione invertita nei confronti del sistema. Laddove i due artisti russi creavano reali manifesti pubblicitari che andavano essenzialmente a sostenere il potere economico del governo bolscevico contro la rinascita dell’iniziativa capitalistica borghese, con beba coca cola Pignatari realizza un’«anti-pubblicità»23 che coinvolgeva implicitamente, nella sua critica alla società dei consumi, anche le stesse scelte politiche del governo Kubitschek, il quale, favorendo un’avanzata indiscriminata e pervasiva del sistema capitalistico, stava esponendo il Paese al rischio di una vera e propria colonizzazione economica da parte di quelle grandi multinazionali straniere, e in particolare statunitensi, di cui la Coca Cola era uno dei principali rappresentanti24. Per veicolare

21 Riguardo alle condizioni e alla composizione sociale dei lavoratori nei cantieri di Brasilia, vedi, in particolare, Hermes Aquino Teixeira, Brasília: o outro lado da utopia (1956-1960), Brasília, Universidade de Brasília, 1982 e Id., No tempo da GEB (1956-1960): trabalho e violência na construção de Brasília, Brasília, Thesaurus, 1996.

22 Haroldo de Campos, Poesia Concreta–Linguagem–Comunicação, in de Cam-pos, de Campos, Pignatari, Teoria da poesia concreta: textos críticos e manifestos 1950-1960, cit., p. 82.

23 Ibidem, p. 83 [Trad. mia].24 Cfr. David Colón, “Now what the DEFFIL can that mean!”: The Latin

American Roots, Rhetoric, and Resistance of Concrete Poetry, «The Journal of Latino-Latin American Studies», vol. 1, no. 1 (Fall 2003), pp. 58-59 e Concretismo, voce di Panorama de Poesia e Crônica, São Paulo, Itaú Cultural, 2002. Da quest’ultima fonte, a proposito del periodo in cui Juscelino Kubitschek era alla guida del Paese: «Os produtos norte-americanos, importados ou produzidos pelas multinacionais que chegavam ao país, modificavam o cotidiano: Coca-Cola, eletrodomésticos e chicletes passaram a fazer parte da vida das pessoas, assim como o rockn’roll e outros elementos culturais que caracterizavam o “american way of life”, cada vez mais admirado pelos brasileiros. Para muitos setores da sociedade, no entanto, essa “invasão americana” não era nada positiva, e as críticas ao modelo econômico de Juscelino, que procurara atrair capitais

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la sua critica Pignatari utilizza i colori del marchio aziendale e lo slogan della bevanda in questione, decostruendolo – sia visivamente che verbalmente – fino a sovvertirne e sabotarne la carica persuasiva originale. Così, in un gioco di permutazioni fonetiche e morfologiche basato sulla posizione fisica delle lettere e delle parole, la frase iniziale viene sottoposta a una serie di alterazioni tali per cui «beba» (bevete25) diventa «babe» (sbavate), «coca» e «cola» vengono caricati semanticamente dei significati alternativi di cocaina e colla e «coca» viene infine trasformato in «caco» per poi rifondersi con «cola» nel «cloaca» che chiude la composizione. Rosmarie Waldrop nota inoltre come, per rafforzare l’effetto finale, alla permutazione delle lettere si aggiunga anche quella delle colonne. È così che, a partire dalla quarta riga, l’iniziale distanza grafica tra l’imperativo «beba» e il nome della bevanda (e quindi tra il produttore e il consumatore) viene negata dall’invasione di «caco» e «cola» nella colonna fino a quel punto riservata alle permutazioni morfemiche tra «babe» e «beba», in modo tale da suggerire che «the two sides are interchangeable: those who drink are not better than those who manipulate them into drinking»26.

3.3 Dalla poesia concreta alla poesia visiva

Sem um numero e beba coca cola sono solo due esempi della svol-ta «engajada» operata dal concretismo brasiliano tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta27. Una svolta che, se da una parte aveva contribuito a conferire alle opere dei Noigandres un’ec-cezionale notorietà internazionale, dall’altra aveva anche messo in luce le contraddizioni di un progetto artistico che, sebbene fosse nato con l’intenzione di fare dell’avanguardia concretista la nuova poesia

estrangeiros, foram se intensificando». 25 Nella traduzione italiana delle due forme verbali portoghesi “beba” e “babe”

(terza persona singolare dell’imperativo) ho utilizzato l’imperativo plurale per coerenza con la versione italiana dello slogan («Bevete Coca Cola»).

26 Rosemarie Waldrop, A Basis of Concrete Poetry, in Richard Kostelanetz (ed.), The Avant-Garde Tradition in Literature, Buffalo (NY), Prometheus Books, 1982, p. 319.

27 Tra gli altri testi dello stesso “filone”, vale la pena citare, in particolare, petróleo di José Lino Grünewald (Fig. 3.6), cubagramma di Augusto de Campos (1960-62) e Estela cubana di Décio Pignatari (1960-62). Le ultime due dedicate alla rivoluzione cubana.

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«popular», era rimasto, nella realtà dei fatti, pressoché sconosciuto a quel pubblico di massa al quale intendeva rivolgersi. Scrive Helba Carvalho:

Nas décadas de 1950 e 1960, problemas como a radical injustiça social, o analfabetismo e a miséria das populações eram evidentes. O acesso aos livros e a própria leitura eram restritos às classes privilegiadas. A divulgação dos textos críticos, manifestos e poemas da poesia concreta também se restringia aos principais suplementos literários do Rio de Janeiro e de São Paulo. [...] O público leitor dos textos e poemas de vanguarda era formado basicamente por alguns poucos críticos, professores e estudantes, além dos próprios produtores dos movimentos. [...] Quando os poetas concretos falam, por exemplo, de “arte popular”, de uma nova arte associada aos mass media, tem-se a impressão de que o poema concreto, como a TV, o rádio, vai atingir a grande massa. No entanto, para que isso de fato ocorresse, a poesia concreta precisaria primeiro sair do papel e virar anúncio, cartaz etc. Mas o abismo entre poeta e público parece continuar com a poesia concreta, na medida em que seu circuito é bastante restrito28.

Ma l’incapacità di far uscire i propri testi dalla “prigione” dei libri e delle riviste specializzate non era l’unica causa dell’insuccesso comuni-cativo della poesia concreta brasiliana. Per Carvalho, infatti, come per altri osservatori, a pregiudicare la stessa base del progetto dei Noigan-dres contribuiva anche tutta una serie di contraddizioni che minavano la credibilità, e quindi l’efficacia, di testi che si ponevano in un rappor-to antagonistico nei confronti del sistema, ma che di tale sistema, in realtà, condividevano gran parte degli elementi fondanti. Si trattava, in altre parole, di uno stato di antagonismo alienato non dissimile da quel-lo che abbiamo visto descritto da Poggioli all’inizio di questo capitolo. Un’alienazione intesa, in questo caso, come schizofrenia socio-politi-ca, come scissione inconciliabile tra due facce contraddittorie: da una parte l’accettazione quasi incondizionata e la conseguente traslazione in termini poetici dei concetti di industrializzazione, razionalizzazione e modernizzazione portati avanti dall’ideologia desenvolvimentista di Kubitschek, dall’altra la critica cruda e impietosa degli effetti negativi che tale ideologia stava generando nel Paese. Come osservano Vinícius Pontes Spricigo e Luciana Martha Silveira,

28 Carvalho, Da poesia concreta ao poema-processo: um passeio pelo fio da navalha, cit., pp. 48-49.

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os artistas concretos trataram da questão da autonomia da arte, buscando a integração desta no processo produtivo de maneira extremamente acrítica, no calor do espírito de desenvolvimentismo que vivia o Brasil naquela época, principalmente a cidade de São Paulo. O movimento concreto brasileiro, se posicionou numa linha exclusivamente construtiva, ou seja, a questão da autonomia da arte e a integração desta na vida ainda está pautada numa busca de construção de uma sociedade utópica, desconsiderando os aspectos negativos e destrutivos deste processo. Os artistas concretos, mesmo privilegiados por uma visão retrospectiva dos movimentos históricos de vanguarda, não puderam identificar esta contradição presente no âmago do espírito moderno29.

I frequenti riferimenti dei poeti concreti – in particolar modo dopo la svolta impegnata – al contesto sovietico degli anni ’20 non tolgono il fatto che, senza il desenvolvimentismo di Kubitschek e la costruzio-ne di Brasilia, il concretismo brasiliano così come lo conosciamo non sarebbe, probabilmente, mai esistito30. Erano considerazioni di questo tipo che stavano alla base delle critiche che gran parte dell’avanguar-dia poetica brasiliana cominciò a muovere contro il concretismo a partire dall’inizio degli anni Sessanta. Critiche che ruotavano attorno all’impossibilità di elaborare una poesia che rinnegasse quel campo del potere del quale, sotto troppi punti di vista, era chiaramente figlia31. Dal punto di vista prettamente artistico, osservazioni di questo tipo

29 Vinicius Pontes Spricigo, Luciana Martha Silveira, Vanguarda artística e tecno-logia: contribuições para uma reflexão crítica sobra a arte contemporânea, intervento al convegno Semana de Tecnologia: Tecnologia, para quem e para quê?, Centro Federal de Educação Tecnológica do Paraná, 04.11.2003, p. 3.

30 Cfr. Cecilia Mori Cruz, Arte, Política e Mercado: estudo sobre o campo das artes plásticas em Brasília nos anos 70 e 80, Brasília, Universidade de Brasília, 2003. L’autrice, in particolare, nota che, «no começo da década de 60 as propostas artísticas estavam diretamente ligadas aos projetos estatais, com a “ação do movimento concretista que despontou na gestão de Kubistchek e culminou na construção de Brasília”» (p. 7). La citazione è tratta da MarilÌlia Andrés Ribeiro, Arte e Política no Brasil: A Atuação das Neovanguardas nos Anos 60, in Annateresa Fabris (org.), Arte e Política: Algumas Possibilidades de Leitura, São Paulo, FAPESP, 1998, p. 166.

31 Nel 1997 lo stesso Haroldo de Campos, trattando del contesto in cui nacque e si sviluppò la poesia concreta, scrive: «A circunstância era favorável. No Brasil edificava-se Brasília, a capital futurológica, barroquizante e construtivista [...]. Mas a então jovem poesia concreta, conquanto independente em relação ao centro político de decisões e marginal em sua evolução circunscrita preferencialmente ao plano literário e artístico, não poderia deixar de refletir esse momento generoso de otimismo projetual» (Haroldo de Campos, O Arco-Íris Branco: Ensaios de Literatura e Cultura, Rio de Janeiro, Imago, 1997, p. 12).

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andavano a colpire direttamente la base teorica più profonda della poesia concreta, vale a dire quella razionalità di stampo costruttivisti-co che caratterizzava tanto le opere dei Noigandres quanto l’architet-tura di Brasilia, simbolo e sunto dell’utopia industrialista e capitalista di Kubitschek.

Partendo da tali premesse, la quasi totalità dei movimenti poeti-ci d’avanguardia delineatisi in Brasile all’inizio degli anni ’60 – tra i quali è doveroso citare almeno il neoconcretismo di Ferreira Gullar e la poesia-praxis – si caratterizzarono immediatamente per la volontà di operare un netto superamento del concretismo e della sua contrad-dittorietà e “timidezza” ideologica, sia sul piano politico che su quel-lo prettamente artistico. Le priorità di tali movimenti erano quindi, generalmente, di due tipi. Dal punto di vista ideologico, era necessario passare da un atteggiamento di alienazione e relativa ambiguità nei confronti del campo del potere ad uno di chiaro e netto antagonismo senza compromessi32. Uno scarto che d’altra parte, sul piano stilistico, doveva necessariamente portare, attraverso un percorso più o meno graduale, all’accantonamento del razionalismo oggettivo e costrutti-vista che aveva caratterizzato il concretismo in favore di più marcate componenti visive, soggettive ed espressionistiche, sempre e comun-que messe al servizio di un’interazione tra verbalità e visualità tale da conferire al testo un impatto comunicativo sulle masse. Impatto che, una volta superate le contraddizioni ideologiche e artistiche della poesia concreta, avrebbe guadagnato in efficacia e pervasività.

In altre parole, per le nuove avanguardie poetiche nel Brasile dei primi anni Sessanta si trattava di operare un cambiamento rispetto alla poesia concreta non tanto di obiettivo, quanto di metodo. Una

32 Va sottolineato che tali movimenti erano in genere accomunati dall’appartenenza ad ambienti legati all’opposizione politica di estrema sinistra, opposizione che in campo artistico era incarnata dal CPC (Centro Popular de Cultura). Scrive Carvalho: «É importante destacar que houve uma intensa mobilização social nesse período, como aquela da UNE (União Nacional dos Estudantes) que assume uma posição social, a qual teve um desempenho importante na área da cultura popular com o CPC (Centro Popular de Cultura), criado em 1961. Esse movimento, em oposição às vanguardas artísticas “formalistas” dos anos 1950, atuou em várias partes do país, promovendo atividades literárias, musicais, teatrais e plásticas. Preocupando-se com o lugar social do artista, que deveria assumir uma “missão salvadora”, o CPC voltou-se para as temáticas populares que funcionavam como propaganda política; logo, negava qualquer experimentação na linha do concretismo [...]» (Carvalho, Da poesia concreta ao poema-processo: um passeio pelo fio da navalha, cit., p. 20).

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discontinuità che, al di fuori delle caratteristiche specifiche del conte-sto brasiliano, si inseriva in quel processo internazionale di critica e ripensamento del concretismo che, come abbiamo già accennato nel primo capitolo, stava interessando il panorama poetico avanguardi-stico tanto in Sudamerica quanto in Europa. Ma mentre in Brasile lo sviluppo coerente di una nuova avanguardia venne significativamente frenato dal terremoto socio-politico conseguente all’avvento, nel 1964, della dittatura militare, in Europa, in quello stesso periodo, il proget-to di superamento del concretismo stava invece trovando le condizio-ni e le motivazioni adatte per dar vita a una serie di movimenti che, partendo dalle stesse basi teoriche delle avanguardie anti-concretiste brasiliane, iniziarono a percorrere nuove strade di fusione poetica tra verbalità e visualità. Tra tali movimenti uno dei più significativi – sia per l’originalità delle soluzioni teoriche proposte che per l’ambizione degli obiettivi – fu la poesia visiva italiana.

3.4 Poesia visiva come superamento ideologico-formale del con-cretismo

Abbiamo già incontrato la poesia visiva nel primo capitolo, intro-ducendola come un’avanguardia nata come superamento del concre-tismo, ideologizzata e politicamente impegnata in senso fortemente antagonista nei confronti del campo del potere. Un antagonismo che non era dettato, come nel caso brasiliano, da un’emergenza sociale eccezionale e improvvisa, ma che si inquadrava piuttosto nella scia della critica marxista storica al capitalismo. Critica acuita dalla particolare situazione economica e sociale che caratterizzava non solo l’Italia, ma gran parte dell’Europa negli anni ’60. Il cosiddetto «boom economi-co», infatti, se da una parte aveva favorito una sensibile espansione dei consumi privati e un aumento senza precedenti dei beni e delle merci in circolazione, dall’altro aveva anche dato, come osserva Sabbatucci, nuova linfa e nuovi argomenti a quel pensiero critico anticapitalistico che sarebbe poi stato alla base dei disordini sociali che interessarono il continente negli anni intorno al 1968:

Dall’altro lato, si assisté, a partire dagli anni ’60, a una sorta di rifiuto ideologico nei confronti di una società accusata di sostituire allo sfruttamento economico di tipo tradizionale una forma più subdola e raffinata di dominio (esercitata soprattutto attraverso la pubblicità e i mass media), di sottoporre

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gli individui a una nuova tirannia tecnologica, di sopire i conflitti sociali con la diffusione di un benessere che si giudicava illusorio [...]33.

Era proprio attorno alla presa di coscienza di questo nuovo e fonda-mentale ruolo politico e sociale (ma anche linguistico) dei mass media e della pubblicità che ruotava la riflessione dell’avanguardia poetica italiana e in particolare quella degli artisti del Gruppo ’70, che, insieme al nucleo poetico nato intorno alla rivista «Tam Tam», diedero avvio, nel 1963, all’esperienza della poesia visiva. La pubblicità, in partico-lare, che per il concretismo di Gomringer rappresentava essenzialmen-te un serbatoio di tecniche e strategie comunicative, veniva posta dai poeti visivi italiani al centro di una riflessione che ne prendeva in esame anche la valenza prettamente politica e ideologica, identificandola, in ultima analisi, come primo terminale sociale di quel sistema capitali-stico che stava trovando la sua realizzazione più piena nella cosiddetta «civiltà dei consumi»34.

È a questo punto che ha origine la fondamentale cesura con il concretismo, e non solo con quello disimpegnato ed essenzialmente formalista di Gomringer, ma anche con quello partecipativo e conte-nutistico dei Noigandres. Sulla falsariga delle critiche mosse a questi ultimi dalle avanguardie poetiche brasiliane all’inizio degli anni Sessan-ta, i poeti visivi italiani ritenevano che la via costruttivista non fosse più da considerarsi adeguata per veicolare una poesia che fosse chia-ramente antagonistica nei confronti di quello che, nel gergo ideologico del periodo, veniva comunemente definito come “il sistema”. Quella stessa critica che per i movimenti anti-concretisti brasiliani era essen-zialmente legata alle peculiarità del quadro politico locale (per cui le basi costruttiviste delle opere dei Noigandres, dimostrando un’inne-gabile affinità con lo spirito delle politiche governative, finivano col vanificare le velleità antagoniste dei testi del gruppo), per i poeti visivi italiani assumeva invece una validità generale. Per il Gruppo ’70 il superamento del razionalismo costruttivista era da considerarsi, indi-pendentemente dalle specificità nazionali, un prerequisito irrinuncia-bile per la realizzazione di una sintesi poetica tra visualità e verbalità

33 Giovanni Sabbatucci, La critica alla società dei consumi, in Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Manuale di storia: l’età contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1991 (1990), p. 784.

34 Cfr., Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Filiberto Menna, Ermanno Migliorini, Lu-ciano Ori, La poesia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1980, p. 24.

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che fosse anche una critica chiara ed efficace del sistema capitalistico: il concretismo, con le sue strutture rigide e minuziosamente organiz-zate, era una poesia “sistematica” e razionalizzante, e come tale era congenitamente impossibilitata ad opporsi a un “sistema” o anche solo a trasgredire quello che Miccini definisce come «il razionalismo cinico e autoritario della società opulenta»35. Da qui la scelta fonda-mentale della poesia visiva di accantonare l’esperienza costruttivista in favore di una marcata componente espressionistica e soggettiva36. Una scelta che, oltre ad essere motivata da quelle esigenze di comunicati-vità che abbiamo esaminato nel primo capitolo, aveva quindi anche una fortissima valenza ideologica, dal momento che era intesa come un passaggio quasi obbligato per superare quell’antagonismo aliena-to e contraddittorio che aveva caratterizzato la poesia impegnata dei Noigandres37.

Nonostante tali premesse, nella prima produzione del Gruppo ’70 l’eredità del concretismo, sebbene attutita, è ancora chiaramente percepibile, come dimostra Dio è un essere perfettissimo, di Emilio Isgrò (Fig. 3.7).

Quell’esuberanza visiva e figurativa – veicolata generalmente attraverso la tecnica del collage – che caratterizzerà il grosso della produzione del gruppo e che abbiamo già incontrato in È tempo d’eroi di Lucia Marcucci, è ancora assente nel testo di Isgrò che rimane, in analogia con la tradizione concretista, molto più centrato sul linguaggio e sulle sue proprietà materiche e tipografiche in rapporto al bianco della pagina. In questo caso la poesia, del 1964, ruota attorno alla canonica definizione di Dio da parte della dottrina cattolica («Dio è l’essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra»38),

35 Cit. in Ibidem, p. 24.36 A riguardo, Angelo Bertani, dopo aver definito alcune delle caratteristiche for-

mali e visuali della poesia visiva, passando ad affrontare argomenti di natura più mar-catamente politica, afferma: «[È] anche il quid della soggettività che distingue la poesia visiva dalle altre tendenze che pure mettono assieme codici diversi» (Angelo Bertani, Linguaggi come resistenza, in Luciano Caruso, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, Luigi Tola, Rodolfo Vitone, La parola dipinta: poesia visiva in Italia ’60 - ’90, Vicenza, Valmore studio d’arte, 1997, p. 3).

37 Cfr. Spatola, Verso la poesia totale, cit., pp. 90-95.38 L’affermazione è contenuta, tra l’altro, in Giuseppe Perardi, Nuovo Manuale del

Catechista per l’insegnamento del catechismo della dottrina cristiana, Torino, L.I.C.E., 1939, p. 21. Pubblicato originariamente per ordine di Pio X, il testo contiene gli elementi fondamentali del catechismo della chiesa cattolica romana.

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dalla quale Isgrò estrapola la prima parte sostituendo l’articolo determinativo con quello indeterminativo e aggiungendo quindi una seconda proposizione che spiazza le attese del lettore («come una Volkswagen che...»). L’effetto di straniamento semantico è acuito dalla dimensione visiva del testo sia perché la sistemazione sghemba e scomposta della parte verbale contrasta con l’idea di perfezione dell’Essere Supremo, sia, a livello ancora maggiore, per il riferimento, prima verbale e poi figurativo, al famoso “maggiolino”. Nella parte inferiore della poesia, la sagoma dell’auto è riprodotta svariate volte in una fila che, prolungandosi, si rimpicciolisce sempre più, così come la scritta compresa tra le ruote di ogni veicolo («...va...», poi «...e va...»), che viene ripetuta fino all’illeggibilità. Osserva Vincenzo Accame:

Il confronto tra Dio e la Volkswagen è particolarmente efficace, dal punto di vista dello scatto di invenzione, anche proprio per quel piccolo «e va» messo tra le ruote, che rimanda al senso di eternità, di qualcosa che si perde nell’in-finito. D’altro canto, emerge anche tutto il paradossale contenuto nel mondo tecnologico, dove la pubblicità è una religione, dove la tecnologia assume caratteri di assoluto. Dio e la macchina costituiscono, assimilati, un paradosso immediato; e per rendere questo concetto, Isgrò utilizza mezzi semplicissimi [...]: poche parole, ma grandi e capaci di colpire subito, e poche immagini, ma ben identificabili39.

È evidente, anche dalle parole di Accame, come il testo di Isgrò si collochi a un bivio tra poesia concreta e poesia visiva. Se da una parte è palese l’intenzione di sostituire all’autosufficienza strutturale e razionale del concretismo un accostamento di parole e immagini di impronta decisamente più intuitiva, puntando anche sull’aspetto figu-rativo, dall’altra è però altrettanto chiara una certa affinità con alcuni dei capisaldi formali (costruttivisti) della poesia concreta, tra cui, in primis, l’economia e la chiarezza della presentazione visiva, l’accento sulla dimensione verbale piuttosto che su quella iconica del testo, la cura nella sistemazione e nella manipolazione dei caratteri tipografici e infine, a livello più generale, una certa astrazione e stilizzazione nel trattamento dei materiali la cui negazione, come vedremo più avan-ti, costituirà uno dei principali punti di discontinuità tra le opere del Gruppo ‘70 e quelle del concretismo.

39 Vincenzo Accame, L’uso della parola nei vari tipi di poesia visuale, «Testuale», vol. 7, 1987, p. 96.

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Alcuni tra i membri più rappresentativi del movimento italiano, e in particolare Lucia Marcucci, Michele Perfetti e Lamberto Pignotti, ritennero infatti che, per perfezionare l’efficacia ideologica e antagoni-stica di una poesia basata sull’interazione tra verbalità e visualità fosse necessario un distacco ancora più netto dall’esperienza concretista. La via per ottenere un tale risultato fu rintracciata nella tecnica del colla-ge, in una prevalenza dell’iconicità e della figuratività sull’elemento tipografico-verbale e in un nuovo rapporto tra testo, autore e materiale poetico tale da veicolare in maniera efficace e comunicativa quell’in-treccio tra ricerca formale e tensione ideologica che caratterizzava la proposta artistica del Gruppo ’70. Su tali basi, e sulla scorta dell’espe-rienza brasiliana, quel confronto tra poesia visiva e poesia concreta che avevamo già affrontato, in prima battuta, analizzando È guerra d’eroi di Marcucci, si arricchisce di nuove sfumature che, per contra-sto, consentono di focalizzare meglio alcune delle caratteristiche più specificatamente originali e distintive del movimento italiano. Carat-teristiche che ritroviamo anche in La disfatta di Eugenio Miccini, del 1964 (Fig. 3.8).

Come già nel testo di Marcucci, anche in questo caso siamo di fronte a un collage costituito esclusivamente da materiale proveniente dai mass-media, e in particolare da riviste, titoli di giornale e pubblicità. Frammenti di frasi e di immagini che l’autore decontestualizza e organizza in modo tale da mutarne, e possibilmente stravolgerne, la carica semantica originale. Potrebbe sembrare un procedimento simile a quello seguito da Pignatari in beba coca cola. Del resto anche in quel caso si trattava di un prelevamento di materiale da un contesto ben preciso e del rovesciamento del valore semantico di quel materiale attraverso una serie di scomposizioni e ricomposizioni linguistiche e visive. Quello che cambia, però, non è soltanto la prevalenza del materiale iconico-figurativo su quello verbale, ma anche la modalità in base alla quale tale materiale viene organizzato. Modalità che nella poesia di Miccini (molto più che nel testo di Isgrò) rispecchiano in maniera assolutamente evidente quel passaggio dall’impostazione costruttivista del concretismo verso un collante testuale di stampo prettamente soggettivo ed espressionista che costituiva, come abbiamo già più volte evidenziato, il punto centrale attorno al quale ruotava gran parte di quella tensione internazionale verso un superamento del concretismo a cui accennavamo nel primo capitolo e all’interno della quale può essere senz’altro inquadrata anche la critica anticoncretista

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dell’avanguardia brasiliana. È così che in La disfatta, come in È guerra d’eroi, la soggettività autoriale riprende quel ruolo di primo piano che le era stato programmaticamente negato dai poeti concreti e diventa il principale fattore organizzativo del materiale testuale. Alla struttura impersonale e autosufficiente del concretismo i poeti visivi sostituiscono l’associazione di idee, l’accostamento intuitivo, l’analogia spontanea e provocatoria. Il tutto al fine di creare una miscela puramente ideologica liberata dai pesanti vincoli formali concretisti e resa quindi, almeno nelle intenzioni degli autori, più efficace, diretta e incisiva.

A questo punto, prima di procedere oltre, è doveroso dare breve-mente conto di alcuni tentativi teorici, messi in atto soprattutto da critici vicini al concretismo, volti a minimizzare le peculiarità della poesia visiva riconducendo quest’ultima a una sorta di variante espres-sionistica del concretismo. Tali tentativi fanno capo a un’affermazione del critico inglese Mike Weaver che nel 1966 – ovvero in un periodo in cui un numero sempre crescente di movimenti d’avanguardia poetica (tra i quali il Gruppo ’70 italiano) si stava indirizzando verso un deci-so superamento dell’impianto costruttivista del concretismo – sostene-va che il concretismo fosse da considerarsi come connesso “to either the constructivist or the expressionist tradition in art”40. Il problema principale di tale definizione sta nelle disgiunzioni («either» e «or»). Abbiamo già visto come la «svolta partecipativa» dei Noigandres (ma anche, in parte, l’opera pubblicitaria di Majakovskij e Rodćenko e quella di Ian Hamilton Finlay che incontreremo nel capitolo seguente) fosse caratterizzata da una certa ibridizzazione del nucleo costruttivi-sta originario del concretismo con elementi espressivi volti a veicolare un contenuto ben preciso e una certa soggettività autoriale. Ibridizza-zione di cui Weaver sembra però non tener conto, preferendo invece ampliare la capienza del concretismo fino a includervi due correnti parallele e distinte: l’una basata esclusivamente sul costruttivismo, l’altra esclusivamente sull’espressionismo. Su questa dicotomia, per tornare al contesto italiano, alcuni critici hanno basato, dagli anni

40 Nel quadro di tale dicotomia, secondo Weaver “the constructivist poem results from an arrangement of materials according to a scheme or system set up by the poet which must be adhered to on its own terms [while] in the expressionist poem the poet arranges his material according to an intuitive structure” (Mike Weaver, Concrete Poetry, «The Lugano Review», Vol. 1/5-6, 1966, pp. 100, 103-104. Cit. in Solt, Concrete Poetry: A World View, cit., p. 7).

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’60 ad oggi, la particolare classificazione della poesia visiva italia-na come «poesia concreta espressionista»41. La coabitazione (senza alcun contatto reciproco) di due principi fondamentalmente oppo-sti42 sotto un’unico “tetto poetico” potrebbe essere accettabile qualo-ra l’esperienza costruttivista e quello espressionista rappresentassero solamente sfumature, tratti secondari, nel quadro dell’impostazione teorica del concretismo. Eppure, come abbiamo visto finora, le cose stanno diversamente. E non solo perché i principi costruttivisti sono da considerarsi a tutti gli effetti il perno insostituibile attorno al quale si è evoluto il concretismo (peraltro in dichiarata opposizione a ogni tentazione espressionistica43), ma anche perché è proprio dalla ferma e quantomai netta negazione di tali principi che ha preso le mosse l’esperienza della poesia visiva italiana. Il sottovalutare l’inconcilia-bilità di tale opposizione e il ridurre la poesia visiva a una variante espressionistica di quella concreta, oltre a rappresentare sotto molti aspetti una forzatura critica, porta inevitabilmente da un lato a svilire lo spessore di entrambi i movimenti e dall’altro a penalizzare in parti-colare l’originalità dell’opera del Gruppo ‘70. Al contrario, è proprio evidenziando tale inconciliabilità che è possibile far risaltare appieno le peculiarità della poesia visiva italiana. Peculiarità che non si limitano a un’organizzazione del materiale testuale basata sulla soggettività auto-riale piuttosto che sull’autosufficienza strutturale, ma che comportano anche – ed è un punto fondamentale – una profonda differenza rispetto al concretismo per quanto riguarda la valenza di quello che può essere definito come l’“atteggiamento” dell’autore nei confronti delle strate-gie comunicative e dei materiali massmediatici utilizzati nei testi.

Abbiamo già più volte notato, a riguardo, come per la poesia concreta la soggettività autoriale sia programmaticamente sfuggente,

41 Ancora nel 2002, Arrigo Lora-Totino, critico e poeta concreto, classifica, pur con qualche dubbio, l’opera del Gruppo ’70 come «concretismo di tendenza espressiva e pure espressionistica» (Arrigo Lora-Totino, Poesia concreta, in Claudio Parmiggiani (a cura di), Alfabeto in sogno: dal carme figurato alla poesia concreta, cit., p. 416).

42 Adorno nota, a riguardo, come l’opposizione tra costruttivismo ed espressioni-smo sia riconducibile a tutta una serie di coppie di opposti che hanno caratterizzato da sempre lo sviluppo filosofico ed estetico del pensiero occidentale (oggettivo/soggettivo, razionale/irrazionale, classicismo/romanticismo, ordine/caos, e così via). Cfr. Adorno, Teoria estetica, cit., pp. 56-60 e 222-230.

43 Si noti come, nell’estratto dal Plano-piloto riportato sopra, i Noigandres identifi-chino la poesia concreta come opposta a qualsiasi tipo di «poesia de expressão, subjetiva e hedonística».

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occultata dalla volontà di presentare al lettore strutture formali il più possibile autonome e oggettive. Quando Gomringer e i Noigandres tirano in ballo, nei loro scritti teorici, la pubblicità e i mezzi di comu-nicazione di massa, lo fanno principalmente per evidenziarne le strate-gie comunicative, al fine di riutilizzarle poi nelle proprie composizioni poetiche per ottenere un maggior impatto sul pubblico. Anche quando – come nel caso del movimento brasiliano – il testo finale viene cari-cato di un contenuto semantico di valenza anticapitalista e anticon-sumista, la pubblicità, in sé, continua a rappresentare più un modello formale che un oggetto di critica. In beba coca cola, Pignatari utilizza sì lo slogan e i colori del marchio pubblicitario della Coca Cola, ma non ne riprende né il layout grafico né le peculiarità tipografiche. Tale scelta era dettata non solo dal bagaglio di areferenzialità insito nella teoria concretista e dalla necessità di avere a disposizione un materiale tipografico neutrale e quindi più facilmente malleabile, ma anche dal fatto che il testo finale era inteso come una critica all’imperialismo economico americano e non come un atto d’accusa al ruolo sociale della pubblicità.

È proprio sulla questione della neutralità del materiale utilizza-to che si apre uno iato tra l’esperienza dei Noigandres e quella del Gruppo ’70. Se per i primi tale materiale era impiegato – in virtù delle sue qualità fisiche, visive, semantiche e sonore – esclusivamente come elemento costruttivo in una struttura perfettamente organizzata, per i poeti visivi lo stesso materiale diventa oggetto di una valutazione allo stesso tempo etica e ideologica, e viene quindi caricato di una valenza morale e politica positiva o negativa. Un’operazione, questa, in cui diventa essenziale utilizzare il materiale nella sua forma origi-naria, prelevarlo di peso dal suo contesto e ripresentarlo in un acco-stamento semanticamente carico accanto ad altro materiale anch’esso decontestualizzato allo stesso modo. È qui che si delinea un secondo scarto fondamentale con la poesia concreta, ma anche con Dio è un essere perfettissimo. Laddove Pignatari usava un carattere tipografico neutro e Isgrò una sagoma stilizzata del “maggiolone”, quindi riferi-menti indiretti, Marcucci e Miccini non si servono di riproduzioni ad hoc del materiale massmediatico, ma, nei loro collage, lo utilizzano direttamente, asportandolo fisicamente dal suo ambito naturale per poi ricombinarlo. Solo così, secondo gran parte dei poeti del Gruppo ’70, era possibile svelare in maniera chiara ed efficace l’inganno sotte-

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so a quella civiltà dei consumi che rappresentava la manifestazione più invasiva dell’ipocrisia capitalista. Scrive Miccini:

[L]a Poesia Visiva, come la scienza che non inventa ipotesi, non inventa immagini. L’invenzione è semmai nel suo etimo latino di “trovare”. In questo senso le parole e le immagini [...] della Poesia Visiva costituiscono un vero e proprio riciclaggio estetico di tutta quella refurtiva che i mezzi di comunicazio-ne di massa mettono in circolazione. Non si tratta, dunque, di una parodia, di una coscienza esclusivamente ironica, ma di una coscienza critica che inverte di segno e di senso la comunicazione sociale, che agisce nel cuore del sistema come un cavallo di Troia. Insomma come è stato detto, la Poesia Visiva è una “guerriglia semiologica”44.

È così che lo stesso Miccini, manipolando criticamente le immagini e le parole della civiltà dei consumi, lancia, in La disfatta, un atto d’ac-cusa al sistema capitalistico, paragonandone implicitamente la ditta-tura massmediatica a quella più prettamente politica del trentennio fascista e postulando la necessità di un’avanguardia capace di porre le basi per una «prima lucida analisi politica» della società consumi-stica, ponendosene in contrasto come una sorta di nuova reviviscen-za della resistenza (guerrigliera) al regime mussoliniano45. L’accosta-mento di ritagli di titoli di giornale, di stralci di reclame pubblicita-rie, di immagini di opulenza e di sporcizia viene quindi (ri)caricato semanticamente come un attacco alla corruzione e al degrado morale della società capitalistica. Degrado all’interno del quale il montaggio testuale – giustapponendo l’immagine delle mani insaponate con la dichiarazione d’intenti politica – mette in risalto il valore purificatorio dell’antagonismo ideologico di cui l’avanguardia poetico-visiva si face-va rappresentante. Una pulizia, quella auspicata in La disfatta, simbo-leggiata, ironicamente ma non senza efficacia, dalla chiusa ideale della

44 Caruso, Miccini, Pignotti, Tola, Vitone, La parola dipinta: poesia visiva in Italia ’60 - ’90, cit., p. 6. Sul concetto di «guerriglia» poetica e sulla critica ai mass-media tor-na anche Valerio Dehò: «[C]ertamente la caratteristica [del Gruppo ‘70] è stata quella di puntare il fucile dell’arte sul mucchio di immagini pubblicitarie o dei rotocalchi che tes-sevano le trame del potere della nascente, invasiva comunicazione mediatica: distrugger-lo o per lo meno usarne il linguaggio per invertirne il senso è stato l’obiettivo dichiarato profondo della loro guerriglia semiotica» (Valerio Dehò, Belle lettere, in Ibidem, p. 1).

45 Il tema della necessità di una ridefinizione dell’avanguardia poetica in funzione ideologica e anticapitalistica è presente, a vari livelli, in molte opere del gruppo. Uno degli esempi più espliciti è senz’altro L’avanguardia tutta nuova di Pignotti, che verrà analizzata più avanti.

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poesia: un frammento della pubblicità di un noto detersivo con il suo «si vive nel pulito / e anche / le mani». A sottendere il tutto, qui come nel testo di Marcucci, c’è anche, ovviamente, una critica ai mass-media e in particolare alla stessa pubblicità. Critica ancor più evidente, fin dal titolo, in un altro testo del movimento: Il neocapitalismo che crea un atmosfera, di Lamberto Pignotti (Fig. 3.9).

In questo caso la critica al «neocapitalismo» (ovvero al capitali-smo massmediatico «caratterizzato dalle grandi concentrazioni econo-miche e da forti pressioni pubblicitarie sulle masse»46) diventa ancor più chiaramente un’accusa alla pubblicità, evocata oltre che nel titolo della poesia, anche nel corpo della composizione, la cui parte verbale è una parodia delle finte vincite sensazionalistiche per corrispondenza, accompagnata da immagini di un illusorio e lussuoso paradiso consu-mistico, alcune delle quali prese di peso dalla reclame a cui fa riferi-mento il titolo47.

Lo scopo era, ancora una volta, quello di dimostrare l’evanescenza, la fragilità e soprattutto la manipolabilità dei mezzi e delle tecniche di comunicazione di massa. Un’operazione, questa, in cui la soggetti-vità autoriale doveva necessariamente riprendersi un ruolo di primo piano. Erano infatti l’intuitività e l’abilità critico-creativa dell’autore a conferire al testo quella tensione ideologica in grado di tenere insieme, da sola, i pezzi del collage e di sfociare non nelle «antipubblicità» dei Noigandres, ma in quelle che Pignotti definisce come vere e proprie «contropubblicità»48. E l’efficacia del risultato non poteva prescinde-re, qui come in La disfatta e in È guerra d’eroi, dall’utilizzo di quello stesso materiale massmediatico – e non di una sua riproduzione – con cui il lettore era quotidianamente in contatto. Solo in questo modo era possibile attuare un’azione critica coerente, che presupponeva il mettere a nudo le debolezze di tutto quell’universo segnico d’impron-ta commerciale e pubblicitaria che, lungi dall’avere un valore politico neutrale, era invece il cardine dell’opera di «persuasione occulta»49 messa in atto dal “sistema”. Un materiale che il Gruppo ‘70 si propo-

46 Neocapitalismo, voce di Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli, Vocabolario illustra-to della lingua italiana, Vol. II, Milano, Le Monnier, 1974, p. 219.

47 Si trattava della campagna pubblicitaria del brandy Vecchia Romagna Etichetta Nera, lanciata nel 1958 sia sotto forma cartacea che televisiva (Carosello).

48 Cit. in Spatola, Verso la poesia totale, cit., p. 104.49 Caruso, Miccini, Pignotti, Tola, Vitone, La parola dipinta: poesia visiva in Italia

’60 - ’90, cit., p. 12.

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neva di ritorcere proprio contro quel meccanismo socio-economico che lo aveva generato, rendendo così i lettori consci dell’inganno a cui erano sottoposti e traslando in senso poetico e ideologico quello che lo stesso Pignotti identifica come «il gesto di chi rispedisce la merce al mittente»50.

È in questa prospettiva quasi messianica che deve essere intesa quel-la volontà – che abbiamo preso in considerazione nel primo capitolo e che il Gruppo ’70 condivideva con il concretismo – di realizzare una nuova forma di poesia popolare. L’impatto e l’immediatezza comu-nicativa dovuta all’utilizzo e al riciclaggio (sebbene in chiave critica) delle tecniche e dei segni massmediatici doveva essere finalizzato, nelle intenzioni del movimento italiano, ad un unico, fondamentale, scopo: quello di «politicizzare culturalmente le masse»51 scuotendole dal torpore e dalla passività nella fruizione di tutto quel materiale prefab-bricato di tipo pubblicitario e “propagandistico” che le circonda, le illude e le rende schiave del “sistema”.

Adriano Spatola osserva come, per raggiungere un tale obiettivo, le poesie visive dovevano essere in grado di «rivolgersi a quello stesso pubblico che viene abitualmente bombardato dai “testi stradali”» e divenire quindi una sorta di «letteratura pubblica»52. Ciò comporta-va, inevitabilmente, la messa in pratica di quella che Nanni Balestrini definisce la «fuga dal libro»53. Per arrivare a quelle masse che voleva sensibilizzare contro il “sistema”, in altre parole, la poesia d’avanguar-dia doveva evadere dai luoghi che le erano tradizionalmente deputati e abbandonare quindi libri e riviste in modo tale da riuscire a incontra-re, senza mediazioni, un pubblico che non fosse limitato alla ristretta cerchia dei lettori specializzati e degli addetti ai lavori. «Se il pubblico non cerca la poesia», scrive Pignotti «la poesia deve cercare il pubbli-co»54. Il primo passo di questa ricerca consisteva, secondo gli artisti del Gruppo ’70, nel portare il testo poetico dal libro agli ambienti

50 Cit. in Spatola, Verso la poesia totale, cit., p. 10451 Cit. in Ibidem, p. 112. La frase è di Lucia Marcucci. 52 Ibidem, pp. 57-58.53 Cit. in Ibidem, p. 61.54 Cit. in Ibidem, p. 104. Spatola ribadisce il concetto esortando la poesia a «impe-

gnare battaglia con i mass-media sul loro stesso terreno, rivolgendosi cioè, almeno poten-zialmente, al medesimo pubblico. [...] Il primo passo da compiere in vista di tale obiettivo è naturalmente quello di far uscire la poesia dal luogo in cui si è sempre nascosta, il libro, per metterla a disposizione di un numero illimitato di “lettori”» (pp. 104-105).

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pubblici, passando inizialmente per le gallerie d’arte per poi fare il salto comunicativo finale, un salto che avrebbe dovuto concretizzar-si in un compito tanto utopistico quanto perfettamente in linea con l’eversività delle premesse teoriche del movimento: soppiantare i mezzi di comunicazione di massa. Come osserva Adriano Spatola, «[...] non è più questione unicamente di qualità di operazione, ma anche, e soprattutto, di quantità di risultati [...]. La nuova poesia vuole insom-ma “sostituirsi” ai mass-media»55.

3.5 La neutralizzazione dell’antagonismo: alcune critiche e una nuova prospettiva

Nonostante l’ambizione del progetto e la bellicosità dei proclami artistici e ideologici del movimento, i testi dei poeti visivi rimasero per lo più oggetti da esposizione in gallerie d’arte, senza riuscire quindi ad ottenere un vero e proprio impatto sulle masse. Nota, ancora, Spato-la:

Spesso la poesia visiva non è altro che poesia incorniciata, che si limita a rifiutare il libro per accettare la galleria d’arte, e cioè ad abbandonare un pubblico di élite per un altro pubblico di élite56.

La stessa osservazione può valere anche per la poesia concreta brasiliana (e non solo), i cui testi, a conti fatti, difficilmente sono usci-ti dal circuito dei libri d’arte e dei collezionisti specializzati. Secondo Giancarlo Pavanello questo insuccesso comunicativo, che andava a frustrare l’obiettivo, comune sia al concretismo che al Gruppo ‘70, di realizzare una nuova forma di poesia popolare, poteva essere ricondot-to a due serie di motivazioni: l’una di carattere prettamente artistico e l’altra di tipo sociologico e politico.

Per quanto riguarda la sfera più specificamente poetica, il critico italiano, in un suo articolo pubblicato nel 199357, analizza il mancato

55 Ibidem, p. 115. Contestualmente, Spatola cita anche una significativa afferma-zione di Pignotti, secondo il quale «la poesia “può” diventare un mezzo di comunica-zione di massa, simile allo slogan pubblicitario non ancora messo in circolazione, ma già coniato».

56 Ibidem, pp. 114-115.57 Giancarlo Pavanello, Frammenti critici. Ricognizione sulle ‘scritture visive’ con

qualche sconfinamento (1975 – 1991), «Testuale», vol. 15/16, 1993, pp. 4-36.

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impatto sociale della poesia visiva e concreta mettendone in dubbio le reali potenzialità comunicative a partire da alcune delle stesse premes-se teoriche e metodologiche fondanti dei due movimenti. L’accusa che Pavanello porta alle due avanguardie è quella, a cui abbiamo già accennato nel primo capitolo, di produrre testi privi di ciò che viene normalmente chiamato “spessore poetico”. Testi che, a conti fatti, appaiono troppo spesso superficiali, autoindulgenti, banali, inficiati da uno «spirito goliardico spacciato per ironia»58 e tali, in definitiva, da risultare privi di interesse anche per quel pubblico meno intellettuale che cercavano di raggiungere. In altre parole, secondo il critico l’uti-lizzo, la sovversione o il riciclaggio di slogan o tecniche pubblicitarie, gli accostamenti e i giochi di parole, siano essi di stampo costruttivista o espressionista, visivo o concretista, non rendono poetica la cultura popolare, ma, al contrario, finiscono quasi sempre col rendere sterile, piatta, vuota e totalmente inutile la poesia d’avanguardia:

Insomma, non basta più scrivere “sole” su un foglio, poi cancellare la “o” e scrivere “a”, così si legge “sale” e si sorride […]. O chiamare “libro” una pietra con due fessure (un ready made un po’ troppo facile, a distanza di quasi un secolo dalla dissacrazione duchampiana). O cancellare un po’ una foto, farci una grande firma e scrivere “visibile invisibile”. O continuare a esprimere la propria delusione per la parola (o la propria mancanza di vena poetica?) con un groviglio di piccoli segni, senza riuscire a rinnovarsi nemmeno a distanza di decenni59.

Nell’analisi di Pavanello, a questa superficialità poetica si accom-pagna necessariamente un altro tipo di superficialità di genere pretta-mente politico e ideologico. Una superficialità che i due movimenti in questione dimostravano, in particolare, nell’illusione, colpevolmente ingenua e immatura, di credere (con o senza reale convinzione) che la valenza antagonistica della propria poesia potesse essere veramen-te in grado di sensibilizzare le masse contro il “sistema”. Una ribel-lione, o un’esortazione alla ribellione, che il critico ritiene puramente velleitaria, quasi puerile e destinata già in partenza, proprio per la sua naïveté, a rimanere invischiata nel circuito dei collezionisti d’arte (e non di poesia), vittima facile e predestinata di quegli anticorpi che il

58 Ibidem, p. 8. In questo caso il riferimento è, in particolare, ad alcuni testi di Pignotti.

59 Ibidem, p. 27.

��3. DISTONIA

sistema capitalistico mette puntualmente in campo per neutralizzare ogni forma artistica, e in particolare avanguardistica, potenzialmente oppositiva:

Negli anni sessanta, riuscitissima è stata l’operazione colonialistica di indurre al bisogno non solo di elettrodomestici e automobili ma anche di merci culturali, vellicando ricchi e parvenus col desiderio di avere il pezzo firmato in casa [...], servendosi di un mercato puramente economico e dettato dalle mode. Nell’ottundimento della facoltà di recepire il fenomeno artistico o di provocarlo, nella diseducazione artistica condita da un puro e semplice carrie-rismo (per cui gli artisti si conformavano ai diktat dei critici e degli organiz-zatori), a poco a poco si è smesso di scorgere qualcosa di sorgivo: una cultura nascente dalla dialettica fatta di contrapposizione di bisogni con operazioni pratiche che li rendessero espressivi. [...]

Nuovi dadaismi? Ce ne sono stati già tanti. Ma a differenza del proge-nitore, non hanno scandalizzato nessuno, rivelandosi incapaci di provocare qualche reazione di rigetto60.

Un’osservazione, quella di Pavanello, che viene condivisa anche dalle conclusioni dell’analisi a cui Helba Carvalho sottopone l’in-successo comunicativo della poesia impegnata e anticapitalista dei Noigandres introducendo, tra l’altro, un significativo paragone tra il ruolo sociale che la poesia d’avanguardia può avere in un sistema capi-talistico e quello che invece ebbe nella Russia degli anni ’20:

Com o “salto conteudístico-semântico-participante” anunciado por Décio Pignatari diante das idéias de revolução e participação social presentes nos anos 1960, os textos teóricos da poesia concreta desse período, numa tentativa de mostrar a preocupação social, trazem citações de Marx e Engels. A citação de Maiakóvski61 pode ser entendida como um lema ou como um enunciado contra o organicismo romântico-realista, ou seja, como crítica da representação. No entanto, o enunciado apaga totalmente o fato de que Maiakóvski podia realmente dizer tal frase na situação da Revolução Soviética antes de Stálin, nos anos 1920, quando tinha o apoio de Lênin e todas as estruturas da ex-Rússia - da economia ao sexo, da família à propriedade privada, das artes aos transportes e à propaganda - estavam sendo revolucionadas. Mas o que é uma “revolução estética” numa sociedade [...] em que a direita dá as cartas e o capital manda em todas as estruturas? [...] Uma revolução estética numa

60 Ibidem, p. 16.61 Carvalho si riferisce alla citazione di Majakovskij «sem forma revolucionária

não há arte revolucionária», inserita dai Noigandres alla fine del Plano-piloto per sug-gellare la loro svolta marxista in opposizione al sistema.

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sociedade conservadora em todos os outros setores é obviamente uma arte controlada apriori, objetivamente - independentemente das boas ou más intenções de seus autores -, e controlada como um esteticismo62.

L’analisi di Carvalho, come quella di Pavanello, si ricollega alla frase di Adorno con cui abbiamo aperto il capitolo. Secondo il filoso-fo tedesco il tentativo di neutralizzazione delle avanguardie da parte del sistema capitalistico è un fenomeno naturale. Un tentativo, però, che diventa tanto più efficace quanto più scoperte e manifeste sono la valenza antagonistica e l’indole «protestataria» espresse dalle opere. E quanto più tali opere, lungi dall’essere espressione di una tenden-za iconoclastica esclusivamente artistica, risultano esse stesse scoper-tamente riconducibili ad un altro sistema di potere (quello marxista) non solo contrapposto, ma ideologicamente alternativo al campo del potere egemone:

Se non le fosse mescolato del materiale velenoso [...], la protesta dell’arte contro l’oppressione civilizzatoria sarebbe fra consolante e sprovveduta. Se fin dall’inizio dell’arte moderna l’arte ha assorbito oggetti estranei all’arte, i quali entrano nella sua legge formale non completamente trasformati, in questo assorbimento, fino al montaggio, la mimesi dell’arte consegna se stessa al suo avversario. A ciò l’arte viene costretta dalla realtà sociale. Mentre si oppone alla società, non riesce però ad assumere un punto di vista al di là da quella; l’opposizione le riesce unicamente attraverso l’identificazione con ciò contro cui insorge63.

In questa prospettiva, assume particolare significato il suggerimen-to offerto da Pavanello per restituire all’avanguardia poetica quello spessore e quel valore artistico che il concretismo e la poesia visiva sembravano aver smarrito nell’infruttuosa e, sotto certi aspetti, prete-stuosa ricerca di un impatto sul pubblico di massa. Preso atto dell’in-successo comunicativo sia dell’antagonismo aggressivo del Gruppo ’70, sia di quello alienato dei Noigandres, Pavanello propone a tutta la poesia d’avanguardia di tipo visuale, sia a quella impegnata che a quel-la disimpegnata, di rinunciare una volta per tutte alla pretesa di dive-nire la nuova poesia popolare in favore di un ritorno in quella “torre d’avorio” dalla quale aveva scompostamente tentato di uscire. Non si

62 Carvalho, Da poesia concreta ao poema-processo: um passeio pelo fio da navalha, cit., p. 47.

63 Adorno, Teoria estetica, cit., p. 191.

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tratta, tuttavia, di un invito a rinunciare a qualsiasi critica politica e sociale. Al contrario, in linea con l’osservazione di Adorno, secondo Pavanello l’avanguardia può condurre un’efficace opera antagonistica nei confronti del “sistema”, ma per farlo deve portarsene ai margi-ni, senza cercare di uscire allo scoperto e coinvolgere le masse, ma affilando le proprie armi critiche lontano dal pubblico, in un distacco sociale artisticamente salubre e creativamente maturo: solo così potrà ritrovare quello spessore poetico che è base indispensabile per qual-siasi azione oppositiva che non sia fatalmente predestinata ad essere reinglobata, neutralizzata e “uniformata” dai meccanismi del sistema egemone capitalistico-consumistico64.

La soluzione proposta da Pavanello è una soluzione radicale, una sorta di antagonismo estremizzato, una salutare e totale distonia con il campo del potere, con la società e con le masse. Ma è veramente l’uni-ca soluzione possibile? La via per una poesia d’avanguardia che sia anche popolare comunicativa, accessibile e fruibile da un vasto pubbli-co è necessariamente sbarrata in una società capitalistica? La rispo-sta, a questo punto, sembrerebbe scontata, ma un testo come mol...mol, (Fig. 3.10) realizzato da Décio Pignatari in collaborazione con il designer grafico Alexandre Wollner, apre la strada a delle ulteriori riflessioni.

Non si tratta, in questo caso, di una vera propria poesia concreta. Pignatari, già dalla metà degli anni ’50, era titolare di un’agenzia di pubblicità a San Paolo e il testo in questione è in effetti un vero e proprio manifesto pubblicitario realizzato nel 1965 per promuovere una nuova amaca in nylon ultraleggera denominata mol...mol e prodotta dalla ditta brasiliana Equipesca65. Si può probabilmente affermare che, paradossalmente, fu proprio con testi come mol...mol

64 Pavanello, Frammenti critici. Ricognizione sulle ‘scritture visive’ con qualche sconfinamento (1975 – 1991), cit., pp. 13-15. Nella parte conclusiva del suo saggio, il critico scrive: «I galleristi, come le grandi case editrici sensibili solo al fatturato, seguono l’unica logica del profitto: presentano gli artisti “più interessanti sul mercato”, ossia quelli che hanno saputo far scalpore ad ogni costo, le Ciccioline dell’arte. Vale chi vende. Ai ricercatori più autentici non resta che trasformare la propria casa in archivio-museo o in un museo domestico: esposizioni permanenti» (p. 35).

65 L’azienda, fondata nel 1960 con sede a Campinas, nello Stato di San Paolo, era specializzata soprattutto nella produzione di reti e prodotti per la pesca, con una particolare attenzione all’innovazione tecnologica per quanto riguarda i materiali. Cfr. http://www.equipesca.com.br/index.html.

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(e con gli altri manifesti della sua agenzia commerciale) che Pignatari riuscì veramente a conseguire quell’impatto sulle masse che la sua poesia più propriamente detta, con o senza il «salto conteudístico-participante», non ottenne mai. Pur non entrando a far parte delle raccolte poetiche pubblicate dai Noigandres, mol...mol presentava tuttavia molte delle principali caratteristiche che marcavano la ricerca formale concretista. Nel suo complesso, il testo è dominato visivamente dal nome del prodotto reclamizzato, i cui caratteri sono inclinati in maniera convergente in modo da riprodurre, in maniera stilizzata, la forma dell’amaca. Il più evidente punto di contatto, tuttavia, tra mol...mol e la precedente produzione poetica dei Noigandres è rappresentato dalla porzione di testo posizionata nell’angolo inferiore sinistro del manifesto. Anche in questo caso, come in Terra o sem um numero, è la dimensione grafica a fornire i legami strutturali e semantici che organizzano la parte verbale, costituita, essenzialmente, dai diversi morfemi contenuti nella parola «repousar» («ar» [aria], «usar» [usare], e «pousar» [mettere, collocare, ma anche riposarsi]). La sistemazione grafica ha il suo perno visivo e il suo culmine semantico nella riga più lunga, «repousarepousar», in cui la «e» connette i due verbi «repousar» e «pousar», fondendoli in una ripetizione del primo dei due verbi, come a concentrare l’attenzione sulle eccezionali qualità rilassanti dell’amaca. Il tutto disposto secondo un layout frastagliato che suggerisce la leggerezza di una girandola e allo stesso tempo richiama le obliquità presenti nel nome del prodotto e nelle altre sezioni verbali del manifesto.

Si potrebbe sostenere che mol...mol (come i molti altri testi pubbli-citari prodotti da Pignatari o comunque ispirati dal lavoro dei Noigan-res66) rappresenti semplicemente una prova in più della contradditto-

66 Ai marchi industriali e ai manifesti pubblicitari realizzati dai poeti concreti se ne possono aggiungere molti altri prodotti da artisti grafici che, pur non facendo parte del gruppo dei Noigandres, si ispiravano chiaramente al lavoro verbo-visuale dei concretisti. Ne è un esempio Disenfórmio, di Rubens Martins (Fig. 3.11), un manifesto pubblicitario relativo a un medicinale contro la dissenteria, il «Disenfórmio», della casa farmaceutica Procienx. Realizzato negli anni ’60 e spesso erroneamente attribuito a Décio Pignatari (cfr. Jon M. Tolman, The Context of a Vanguard: Towards a Definition of Concrete Poetry, in «Poetics Today», vol. 3, no. 3, (Summer 1982), p. 162) Anche qui ritroviamo l’accento sulla fisicità materica del segno verbale che, organizzata strutturalmente in un gioco di contrasti tra il nero del carattere tipografico e il bianco dello sfondo, con-ferisce all’insieme la sua carica semantica. Una carica tesa, in questo caso, a mettere in evidenza in maniera funzionale, incisiva e comunicativa, l’efficacia del medicinale. Così le «perturbazioni intestinali» che aprono il testo vengono progressivamente schiacciate,

1033. DISTONIA

rietà e dell’ambiguità ideologica del concretismo brasiliano. Eppure, sebbene in misura molto minore rispetto ai concretisti, anche alcuni dei poeti visivi che gravitavano attorno al Gruppo ’70 hanno trovato il modo, negli anni successivi alla prima fase della produzione poetica del movimento, di produrre testi dalla connotazione ideologica molto più sfumata rispetto a quella che caratterizzava il grosso della produ-zione del movimento67, senza disdegnare, in alcuni, rari casi, l’ingresso nella sfera del mercato pubblicitario vero e proprio in qualità di crea-tivi o di copywriter68. Liquidare tali fenomeni come meri esempi di incoerenza sembra riduttivo. Testi come mol...mol, nel loro entrare a far parte a pieno titolo dei meccanismi consumistici di quel campo del potere, o “sistema”, che gli stessi autori si proponevano di criticare o minare, non possono certo essere considerati testi antagonisti. Ma non si tratta nemmeno di testi neutralizzati. Non siamo più, infatti, di fronte a opere oppositive, nate originariamente per sensibilizzare le masse contro la società capitalistica, ma rese innocue da un’azio-ne autoimmunizzatrice del “sistema” che ne ha vanificato l’impatto sociale relegandole al circuito del collezionismo specializzato. Siamo di fronte a qualcosa di diverso, e precisamente a dei tentativi, certamente incoerenti e contraddittori, di abbandonare le tensioni antagonistiche per giungere a una sorta di compromesso con il campo del potere. Un compromesso finalizzato, perché no, anche al fine di riuscire a trovare un canale efficace in grado di mettere finalmente in contatto testi poeti-co-visuali e masse.

Certo rimangono irrisolti dubbi e problemi tutt’altro che secon-dari. Opere come mol...mol, oltre a non rispondere alle perplessità di

a livello visivo e tipografico, dall’avanzata di una serie di corposi caratteri che, nel loro incedere, riducono le parole «PERTURBAÇÕES INTESTINAIS» a un insieme di segni sempre più illeggibili, fino ad eliminarle completamente dal testo, sostituite dal nome del farmaco ormai vincente. A proposito di questo testo Jon M. Tolman propone, malizio-samente, anche una succosa chiave di lettura secondaria notando l’affinità tra la parola «Disenfórmio» (la cui prima parte deriva da «disenteria») e la parola «desinformação» (disinformazione), rintracciando nel manifesto una sorta di sottotesto subliminale (la disinformazione che neutralizza il malcontento sociale). Cfr. Tolman, The Context of a Vanguard: Towards a Definition of Concrete Poetry, cit., p. 161.

67 Come esempi di tali testi “atipici”, è possibile citare Ti am/o, di Mariella Benti-voglio (Fig. 3.12) e Noi due, di Ketty La Rocca (Fig. 3.13).

68 Cfr. «Risvolti», anno VIII, n. 13 (Aprile 2005), pp. 3-52. Il numero in questione della rivista, intitolato Contro lo strapotere del mercato, prende brevemente in conside-razione, tra l’altro proprio i legami tra la poesia visuale e il mercato pubblicitario.

104 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

Pavanello sullo spessore poetico, aprono anche nuove, fondamentali, questioni. Prima fra tutte quella identitaria: la poesia, per essere tale, deve anche necessariamente essere riconosciuta come tale dal pubblico? Senza dubbio la via di un’avanguardia poetica, come quella concreta e quella visiva, che si prefigga lo scopo di elaborare una nuova forma di poesia popolare, deve necessariamente passare per la risoluzione di quesiti di questo tipo. Quesiti che, sulla scorta di queste ultime rifles-sioni, non possono, a questo punto, essere separati da un’altra, più generica, questione: data l’irripetibilità della situazione di sintonia tra avanguardia ed establishment socio-politico che aveva caratterizzato il contesto sovietico degli anni ’20 e dato l’insuccesso comunicativo dell’approccio antagonista dei Noigandres e del Gruppo ’70, quali potrebbero essere le prospettive comunicative della sperimentazione poetica verbo-visuale laddove l’avanguardia risulti ideologicamente disponibile a un effettivo compromesso con il campo del potere?

Dialogo con il campo del potere – L’evoluzione del concretismo “ambientale” di Ian Hamilton Finlay a cavallo tra gli anni ’60 e ’70

I do not mean to say that society is “bad”.Ian Hamilton Finlay1

Il concretismo si sviluppò in Scozia a partire dall’inizio degli anni Sessanta, vale a dire quasi un decennio più tardi rispetto ai primi espe-rimenti poetici di Gomringer e dei Noigandres. La notazione tempora-le è in questo caso quanto mai significativa. Abbiamo già visto, infatti, come proprio in quegli anni la poesia concreta stesse attraversando, a livello internazionale, un periodo di profonda crisi. Un periodo in cui, da più parti e con sempre maggior frequenza, l’efficacia e la validità di quei principi teorici e metodologici che avrebbero dovuto fare del concretismo la nuova poesia “popolare” venivano messi in discussione in favore di un nuovo tipo di poesia visuale non più ispirata alla tradi-zione costruttivista, ma fondata invece (come la poesia visiva italiana) su basi essenzialmente soggettive ed espressioniste. Di fronte a questa sorta di aut-aut tra costruttivismo ed espressionismo Ian Hamilton Finlay, il più radicale tra i protagonisti dello sperimentalismo poetico verbo-visivo scozzese, scelse quella via della sintesi che Mike Weaver non prendeva neanche in considerazione, ma che mise invece il poeta nelle condizioni di rivitalizzare le potenzialità artistiche e comunicative del concretismo arricchendolo di nuovi elementi e sfumature seman-tiche senza però mai snaturarne quello che Morgan definisce come il «constructivist core»2. Una sintesi teorica e formale che incontreremo

1 Ian Hamilton Finlay, Letter to Pierre Garnier, September 17th, 1963, in Mary El-len Solt, Concrete Poetry: A World View, Bloomington, Indiana University Press, 1968, p. 84.

2 Edwin Morgan, Into the Constellation: Some Thoughts on the Origin and Nature of Concrete Poetry, in Id., Essays, Manchester, Carcanet, 1974, p. 25.

10� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

esaminando alcuni aspetti della produzione finleyana degli anni ’60 e ’70 e alla quale, come vedremo, risulterà strettamente collegata la costante ricerca di un’altra sintesi, quella squisitamente politica e ideo-logica tra l’assoluto antagonismo e l’assoluta sintonia dell’avanguardia nei confronti del campo del potere: una tensione verso il dialogo che rappresentò, seppur con toni a volte spiazzanti, una delle peculiarità più significative dell’intera esperienza concretista finleyana.

4.1 La ricerca di un nuovo tipo di concretismo

Come scrive il poeta stesso in una lettera al poeta francese Pierre Garnier, la scelta di Finlay di abbandonare, nel 1963, i versi “tradi-zionali” in favore del concretismo non nasce tanto da un desiderio, quanto da una vera e propria esigenza di sperimentare nuove forme:

[...] “concrete” began for me with the extraordinary (since wholly unex-pected) sense that the syntax I had been using, the movement of language in me, at a physical level, was no longer there – so it had to be replaced with something else, with a syntax and movement that would be true of the new feeling [...]. I should say – however hard I would find it to justify this in theory – that “concrete” by its very limitations offers a tangible image of goodness and sanity; it is very far from the now-fashionable poetry of anguish and self... It is a model of order, even if set in a space which is full of doubt3.

L’esigenza dell’autore scozzese era quella di distaccarsi il più radi-calmente possibile da una poesia intesa, in senso tradizionale, come strumento ideale per scavare nelle profondità dell’anima umana, in quanto solamente rinunciando all’introspezione psicologica e all’osti-nata espressione della propria personalità il poeta avrebbe potuto ritrovare, secondo Finlay, quel contatto con la realtà e con tutte le sue sfaccettature, quel respiro non privato, ma pubblico, che deve essere sempre fermamente alla base di qualsiasi esperienza artistica che aspiri a ricoprire un ruolo non più marginale nel proprio contesto sociale4. Come nota Tom Lubbock,

3 Finlay, Letter to Pierre Garnier, September 17th, 1963, cit., p. 84.4 Cfr. Roderick Watson, Internationalising Scottish Poetry, in Cairns Craig (ed.),

The History of Scottish Literature. Volume IV: Twentieth Century, Aberdeen, Aberdeen University Press, 1987, p. 326.

1074. DIALOGO

Finlay’s world-view gives a particular place to art: it has a central place in the world as the bearer of meanings and ideals. He envisages a public [...] function for art, and thus a world in which it would perform this function. So what the artist does is, in a sense, a form of “direct action”. He can create work which performs this role; or at least offers to perform it, and the work becomes not a picture of the world it envisages, but an instance of it [...]5.

Da questo punto di vista non sorprende la scelta di Finlay di dedi-carsi al concretismo. La tensione verso una poesia pubblica, verso la realizzazione di testi semplici, comunicativi e fruibili dalle masse come veri e propri oggetti sociali era del resto, come abbiamo visto, uno dei punti centrali nei progetti di Gomringer e dei Noigandres, così come l’opposizione nei confronti di qualsiasi tipo di poesia confessionale e autoespressiva. Un percorso che Finlay, all’inizio degli anni ’60, decide di fare proprio al punto di ritenerlo l’unica via possibile per una poesia che aspiri veramente ad essere espressione e prodotto della contempo-raneità:

In the context of this time, it is not the job of poetry to “expand consciousness” but to offer a modest example of a decent sort of order6.

L’enfasi – che abbiamo già incontrato nella lettera del poeta a Pier-re Garnier – sull’idea di concretismo come «model of order» non deve essere intesa soltanto in contrapposizione a una poesia di stampo più intuitivo e psicologico. L’ordine incarnato nelle strutture razionali e costruttiviste della poesia concreta assume infatti per l’autore scozzese, come vedremo, una valenza molto più vasta, fino a diventare un vero e proprio strumento di indagine, sistematizzante e analitico, in grado di mettere la poesia nelle condizioni di riallacciare il legame con la realtà sociale, culturale e politica contemporanea, esaminandola e approfon-dendola in maniera pervasiva e – soprattutto – diretta, e non come mero riflesso delle esperienze personali del poeta.

In quest’ottica, per sviluppare quello che può essere considera-to un concretismo dalle sfumature quasi filosofiche, Finlay decise di rivolgersi non solo all’esperienza di Gomringer e dei Noigandres, ma

5 Tom Lubbock, Ian Hamilton Finlay, in Alec Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, Edinburgh, Polygon, 1995, p. 243.

6 Cit. in James Vinson (ed.), Contemporary Poets, London, St. Martin’s Press, 1980, p. 491.

10� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

sentì il bisogno di tornare ancora più indietro, guardando direttamente all’avanguardia sovietica e in particolare al suprematismo di Malevič, che, come abbiamo già visto, aveva rappresentato per Rodčenko ed El Lisickij la base sulla quale sviluppare alcuni tra i tratti fondamentali di tutto l’impianto teorico costruttivista. È proprio con un testo che rappresenta fin dal titolo (Homage to Malevich) un dichiarato riferi-mento al suprematismo che Finlay inaugura idealmente la sua produ-zione concretista (Fig. 4.1).

La poesia si ispira, sia verbalmente che visualmente, a uno dei più famosi quadri di Malevič, quel Quadrato nero su sfondo bianco (fig. 4.2)7 con cui il suprematista russo si proponeva di realizzare una sorta di nuova icona, ricercando la massima economia, razionalità e sempli-cità formale in modo sia da liberare l’arte dalla sua tradizionale prolis-sità referenziale e figurativa, sia da tentare di generare una tensione quasi metafisica in grado di mettere il fruitore della nuova pittura nelle condizioni di trascendere i tradizionali confini formali dell’opera d’ar-te pittorica. così da poter utilizzare quest’ultima come una sorta di vero e proprio strumento cognitivo per afferrare con più chiarezza e immediatezza l’essenza del mondo che lo circonda8. Vedremo in segui-to come tale carica mistica e filosofica – che i costruttivisti russi aveva-no programmaticamente escluso dalla loro opera di recupero teorico del suprematismo – verrà riattualizzata e posta da Finlay alla base di quel percorso di continua ricerca di sintesi tra opposti a cui accenna-vamo sopra, che caratterizzerà in maniera assolutamente originale la sua produzione concretista più matura. Un percorso non solamente poetico i cui tratti fondamentali sono però già evidenti anche nelle

7 Il riferimento all’opera dell’artista russo è in realtà duplice all’interno di Rapel, rac-colta in cui Finlay incluse anche un secondo testo intitolato Homage to Malevich (fig. 4.3) e ispirato a un altro quadro del suprematista, Croce nera su sfondo bianco (fig. 4.4).

8 Cfr. Giulio Carlo Argan, L’arte moderna, Firenze, Sansoni, 1988, pp. 301-304 e Kazimir Malevič: Quadrato nero, voce di L’Universale: Arte, Milano, Garzanti, 2005, p. 1502. Scrive, in particolare, Argan: «Malevič intraprende una ricerca metodica sulla struttura funzionale dell’immagine. [...] Nelle antiche icone russe non cerca più la vena genuina di un ethos popolare, ma la radice semantica, il significato primario dei simboli e segni espressivi. [...] Poiché la conoscenza della realtà attraverso le cose è relativa e parziale, bisogna tendere alla conoscenza del mondo come “non oggettivo” [...]. Il qua-dro non è che un mezzo per comunicare lo stato non solo di equilibrio ma di identità tra un soggetto e un oggetto. [...] Per Malevič nel periodo suprematista, il quadro non è un oggetto, ma uno strumento mentale, una struttura, un segno, che definisce l’esistenza come equazione assoluta tra il mondo esterno e l’interno» (p. 303).

10�4. DIALOGO

sue tappe iniziali e, in particolare, proprio in Homage to Malevich, a proposito del quale Stephen Bann osserva:

Here it is a question of the equivocal status of the edge, the bordering limit which both separates language formally from the surrounding “blank” space and also (as it were) bisects the semantic units “black” and “block”, leaving an oscillation of the resolved and unresolved in the terms “lack” and “lock”. Finlay expresses a tension which will prove crucial to his further development as an artist: that of form and non-form, language and non-language, being set not merely in opposition, but in a dialectical relationship9.

Quello di Bann non è un tentativo di cercare la complessità in un testo che, in base ai principi concretisti, dovrebbe teoricamente risul-tare il più possibile immediato e accessibile. In effetti, nonostante in prima battuta possa sembrare affine alle poesie concrete analizzate nel primo capitolo, ad un esame più approfondito Homage to Malevich risulta in realtà sostanzialmente diverso sia dai testi concreti essenzial-mente “autoevidenti”, quali Silencio di Gomringer o River/Sandbank di Niikuni, sia da quelli in cui si aggiungeva una dimensione di proces-sualità, come nel caso della prima fase produttiva dei Noigandres. Tale dimensione, in realtà, è presente anche nella poesia del concretista scozzese. Come Terra di Pignatari, infatti, anche Homage to Male-vich dischiude la sua chiave strutturale durante il processo di lettura, nel quale risulta evidente il gioco iterativo di permutazioni per cui da «black» e «block» emergono «lack» e «lock», in un crescendo di rela-zioni semantiche che va a riallacciarsi direttamente alle opere concreti-ste brasiliane successive al cosiddetto «salto conteudístico». Tuttavia, laddove beba coca cola e sem um numero erano congegnate in modo tale che il “messaggio” fosse il più possibile chiaro, diretto e inequivo-co, in Homage to Malevich l’interazione tra verbalità e visualità si apre a una valenza polisemica tutt’altro che immediata, per cui i concetti di «mancanza» («lack») e blocco («lock») si evolvono in rapporto alle parole «black» e «block» che li contengono fino a stimolare riferimen-ti sia di tipo metatestuale che concettuale. I primi incentrati sul concet-to di scrittura come opera obbligatoria, quasi scultorea, di sottrazione di materiale, mentre i secondi più focalizzati, invece, su quella possibi-

9 Stephen Bann, Ian Hamilton Finlay: An Imaginary Portrait, in Ian Hamilton Finlay, London, Serpentine Gallery/Arts Council of Great Britain, p. 12.

110 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

lità di sintesi dialettica (a cui accennava Bann) tra presenza e assenza, certezza e precarietà, risolto e irrisolto. Sintesi che il testo tende a far percepire da una parte come solida nella sua salda iscrizione geome-trica e dall’altra come incompleta o interrotta da quella fila di «b», sul lato destro della poesia, che mina la finitezza statica e geometrica del quadrato con una sorta di movimento spezzato, di interruzione nella continuità, di slancio in indietro o verso il nulla, o meglio verso quel bianco che è allo stesso tempo silenzio e fonte del linguaggio. Si tratta, in altre parole, di una riflessione sulla conciliabilità degli oppo-sti, sull’identità delle zone di confine, direttamente ricollegabile alle questioni filosofiche sottese al suprematismo di Malevič10.

È difficile, a questo punto, non notare come la particolare via concretista intrapresa da Finlay con Homage to Malevich, se da un lato apportava ai testi una complessità semantica del tutto inedita, dall’al-tro li privava, proprio in virtù di tale complessità, di quella carica di accessibilità immediata ed efficacia comunicativa che rappresentava la base per ottenere quell’impatto sociale su vasta scala che costituiva un requisito imprescindibile nell’idea di poesia che accomunava Finlay ai primi teorici del movimento. È soprattutto alla luce di questo tipo di considerazioni che appare particolarmente significativa la “correzione di rotta” che caratterizzò la produzione poetica dell’autore scozzese negli anni immediatamente seguenti il 1963. Correzione di cui una poesia come, Acrobats (1964)11, è un esempio indicativo (Fig. 4.5).

Anche in questo caso il materiale verbale è iscritto in una sagoma quadrangolare molto netta, all’interno della quale la dimensione visiva del testo è tutta giocata su un contrasto cromatico particolarmente accentuato (sebbene invertito rispetto a Homage to Malevich) tra bian-co e nero. Ma la prima, fondamentale, differenza rispetto alla poesia ispirata all’opera del suprematista russo non sta tanto nell’uso del nero o del bianco, quanto nella struttura del testo. Se in Homage to Male-vich tale struttura era chiusa, per cui il lettore, per decifrare la cifra semantica della poesia, doveva necessariamente affrontare il senso, tutt’altro che intuitivo, dell’emersione di «lack» e «lock» da«black» e «block», in Acrobats l’organizzazione del materiale verbale risulta invece assolutamente aperta. La specularità del testo rispetto alla linea

10 Cfr. nota precedente.11 I. H. Finlay, Acrobats, 1964, in Yves Abrioux, Ian Hamilton Finlay: A Visual

Primer, Edinburgh, Reaktion Books, 1985, p. 184.

1114. DIALOGO

centrale orizzontale costituita dalle quattro «s» e la sistemazione delle lettere della parola «acrobats» sono infatti studiate in maniera tale da lasciare al lettore la piena libertà di scegliere il punto di partenza, le direzioni da seguire e le parole da incontrare durante la lettura. Scrive Finlay:

Isolated, single letters are patterns, but letters joined in words (as these are) are directions. Those in the “acrobats” poem are both, behaving like the real circus acrobats who are now individual units, now – springing together – diagonals and towers12.

Una leggerezza strutturale a cui ne corrisponde anche una seman-tica di valenza quasi ludica che, liberando la poesia dagli inamovibili vincoli interpretativi di carattere filosofico che appesantivano Homage to Malevich, la rende di conseguenza anche più accessibile.

In questo riavvicinamento a un concretismo più diretto, sempli-ce e comunicativamente più immediato si potrebbe, di primo acchi-to, ravvisare un passo indietro, un rientro nei ranghi della tradizione concretista rispetto all’originalità della via caratterizzata da profon-dità concettuale e – per tornare a Pavanello – spessore poetico che Finlay sembrava voler intraprendere soltanto un anno prima. Eppu-re, alla luce della successiva evoluzione dell’opera del poeta, diventa chiaro come Acrobats non sia tanto il risultato di un appiattimento sugli standard del concretismo precedente, quanto piuttosto la prima tappa di un percorso che porterà l’autore scozzese a reinglobare le caratteristiche che rendevano originale Homage to Malevich, ma in un quadro poetico molto più vasto e organico. L’indizio più significa-tivo di questo nuovo corso, per quanto riguarda Acrobats, riguarda l’“uso” a cui il testo era destinato:

Properly, the poem should be constructed of cut-out letters, to occupy not a page but an entire wall above a children’s playground13.

La precisazione di Finlay potrebbe non sembrare una novità. Abbiamo visto infatti come l’idea (di matrice costruttivista) di poesia intesa come “oggetto utile” fosse già al centro di tutti i principali scritti teorici del concretismo fin dall’inizio degli anni ’50. Un’idea che non si

12 Cit. in Emmett Williams (ed.), An Anthology of Concrete Poetry, New York, Something Else Press, 1967, p. 97.

13 Ibidem.

112 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

esauriva nella sola creazione di strutture poetiche conchiuse e formal-mente funzionali, ma che era sempre strettamente legata anche alla possibilità che il testo potesse uscire dalle pagine dei libri e delle riviste per approdare, facendo appunto perno sulla sua valenza oggettuale, nel mondo esterno, ovvero in un contesto facilmente fruibile nel quale avrebbe potuto finalmente mettere in pratica quella tensione comuni-cativa dichiaratamente volta a raggiungere un pubblico di massa. In quest’ottica, l’affermazione di Finlay potrebbe essere facilmente acco-stata alle dichiarazioni di intenti dei Noigandres e del Gruppo ’70; dichiarazioni che però, come abbiamo visto, non erano mai riuscite a portare i testi poetici dei due movimenti più in là degli angusti corri-doi delle gallerie d’arte. Tuttavia, quella fuga dalla pagina e quello slancio verso l’esterno che per molti concretisti avevano rappresentato poco più che prese di posizione ideologiche all’interno di un manife-sto programmatico, per Finlay diventeranno, con il maturare della sua esperienza artistica, delle vere e proprie esigenze poetiche ed estetiche fino a rappresentare i veri e propri cardini, non solo teorici, del suo modo di intendere la poesia, e in particolare quella concreta.

Uno dei principali punti di svolta in tal senso è senz’altro rappre-sentato da Wave Rock, del 1966 (Fig. 4.6). La tecnica con cui è realiz-zata la poesia, la sabbiatura su vetro14, non è soltanto indice della determinazione con la quale Finlay era intenzionato a portare la sua opera fuori dal circuito ristretto dalle riviste specializzate (la poesia era concepita appositamente per essere collocata in uno spazio aperto e pubblico), ma rappresenta anche un chiaro sintomo di una nuova concezione del rapporto tra il testo concretista e la “realtà extrate-stuale”. Con Wave Rock, infatti, l’oggetto poetico non basa più la sua struttura formale sulla sola simbiosi interna tra verbalità e visualità, ma arriva ad inglobare come fattori strutturali – e sta qui la vera porta-ta rivoluzionaria dell’opera – anche elementi ambientali, o meglio, naturali: primo fra tutti la luce che, come nota giustamente Mary Ellen Solt, «enters the poem as part of its meaning»15. Dal punto di vista verbale, la poesia è composta esclusivamente da due parole, «wave» e «rock», ripetute e (s)composte in modo tale da dare una rappre-sentazione visiva del proprio significato. Nasce spontaneo un primo

14 Si tratta, in questo caso, di una rielaborazione di un testo pubblicato originaria-mente, in versione stampata, nel 1964 (lo stesso anno di Acrobats).

15 Solt, Concrete Poetry: A World View, cit., p. 44.

1134. DIALOGO

accostamento con River/Sandbank di Niikuni, ma mentre il testo del concretista giapponese era statico e astratto, quello di Finlay, oltre ad avere un’evidente carica figurativa, è anche tutto imperniato su una struttura assolutamente dinamica. Il fulcro dell’opera è infatti proprio nel movimento, anzi nello scontro, nell’infrangersi dell’onda sulla massa solida e imponente formata dalla ripetizione, tipograficamente molto compatta, della parola «rock». Uno scontro che coinvolge anche il processo di lettura del testo che, muovendo intuitivamente lungo la direzione sinistra/destra è quasi costretto, come l’onda, ad arrestarsi bruscamente di fronte allo scoglio in quanto l’ammasso di lettere e di possibili combinazioni linguistiche irrisolte che si viene a creare nel punto di contatto rallenta la lettura fino a farla defluire, proprio come l’acqua, nuovamente all’indietro. È però con l’irruzione nel testo del fattore ambientale che questo doppio processo cinetico – in cui Solt già ravvisa un primo incontro formale tra espressionismo e costruttivi-smo16 – si carica di ulteriori sfumature sia visive che semantiche:

In accordance with circumambient light conditions, the relationship of “poem” to “page” – or figure to ground – undergoes a constant process of transformation. With intense oblique sunlight, the letters appear to have a deep black shading [...]. In the open air, on the other hand, the letters are virtually absorbed in the opacity of the dark glass sheet. Of course this continual physical variation has its semantic counterpart in the opposition of terms which is the poem17.

L’interazione con l’ambiente e le implicazioni che ne derivano consentono inoltre a Finlay di recuperare e arricchire di nuove sfaccet-tature quelle stesse riflessioni che caratterizzavano Homage to Male-vich, veicolandole però attraverso una struttura formale molto più accessibile e aperta. Come nota l’autore stesso, infatti, Wave Rock può essere a tutti gli effetti considerata come una vera e propria meditazio-ne sui concetti di limite, identità e dialogo tra opposti18, soprattutto in relazione a due incontri-scontri: il primo, prettamente testuale, tra

16 Scrive il critico statunitense: «The movement here suggests that there is kineticism in the reading process that is accessible to the poet skillful enough to use it beyond the more obvious kineticism in the process of reading and turning successive pages. “Wave Rock” looks like an expressionist poem, but its organization is basically constructivist» (Ibidem).

17 Bann, Ian Hamilton Finlay: An Imaginary Portrait, cit., p. 15. 18 Cfr. Williams (ed.), An Anthology of Concrete Poetry, cit., p. 102.

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l’onda e la roccia, mentre il secondo, metatestuale, tra la poesia, la sua struttura e l’ambiente circostante.

Una versione ingrandita di Wave Rock fu esposta per tre anni (dal 1966 al 1969) in un parco della città semicostiera di Dunfermline, contribuendo da una parte ad accrescere l’attenzione sull’opera del poeta non solo da parte della critica, ma anche di un pubblico insoli-tamente vasto19, dall’altra ad incoraggiare Finlay a proseguire lungo il percorso di un concretismo simbioticamente legato all’ambiente esterno. Percorso che, nell’arco dei tre decenni successivi, porterà il poeta a realizzare decine di installazioni permanenti in luoghi pubblici, dalle piazze alle facciate di edifici, dai centri commerciali ai parchi, dai campus universitari all’aperta campagna, raggiungendo in tal modo quel livello di visibilità e di diffusione dei testi che né i Noigandres né il Gruppo ‘70 erano mai riusciti, neanche lontanamente, ad ottenere20.

Diventa imperativo, a questo punto, approfondire, o almeno tenta-re di formulare alcune ipotesi in merito alle possibili ragioni di una tale differenza. Ragioni che – sulla scia del tragitto analitico finora seguito – cercheremo ancora una volta di individuare non tanto nell’eventuale lungimiranza artistica delle autorità politiche o delle istituzioni atti-nenti alla sfera della cultura, quanto piuttosto nel particolare posizio-namento ideologico e culturale dei testi nei confronti di tali istituzioni e autorità, ovvero nei confronti di quello che abbiamo già definito, in altri contesti, come il campo del potere.

4.2 La poesia ambientale, ovvero il classicismo come nuova fonte di comunicatività

Nel capitolo precedente abbiamo accostato i Noigandres e il Grup-po ’70 nella tendenza a una sorta di allargamento della portata di quella

19 Significativa, a riguardo, è un’osservazione di Simon Cutts, datata 1969: «The cast concrete version [of the poem] (in Dunfermline Park) becomes so harmonious with its surroundings that it is remarkable to think it was produced by a claimed member of the avant-garde» (Simon Cutts, The Aesthetic of Ian Hamilton Finlay, in A. Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, cit., p. 35).

20 Per un elenco delle installazioni di opere finlayane in Europa e negli Stati Uniti, vedi www.inglebygallery.com/downloads/cvs/IHF_CV_ARIAL-2.doc; www.littlespar-ta.co.uk; www.ianhamiltonfinlay.com; Zdenek Felix, Pia Simig, (eds.), Ian Hamilton Finlay: Works in Europe 1972-1995, Hatje Cantz, Ostfildern, 1996.

1154. DIALOGO

naturale carica rivoluzionaria che contraddistingue, in genere congeni-tamente, i movimenti d’avanguardia. Abbiamo visto, più precisamen-te, come tale carica, passando dal piano artistico a quello ideologico e politico, tendesse ad assumere – in particolare nel caso della poesia visiva italiana e in misura progressivamente maggiore con l’avanza-re degli anni Sessanta – la forma di un attacco frontale, in genere di ispirazione marxista, nei confronti del sistema capitalistico al potere e dei suoi effetti negativi sia sul piano sociale che culturale. Anche nell’opera di Finlay, soprattutto a partire dal 1966, si avverte con chia-rezza l’esigenza di proiettare l’afflato rivoluzionario insito (almeno a livello formale) nella poesia concreta in una dimensione extra-artistica, ma seguendo direttrici che, come vedremo, possono essere considera-te sotto molti aspetti radicalmente diverse da quelle percorse sia dal concretismo brasiliano che dai poeti visivi italiani. Direttrici che origi-narono proprio da quell’esposizione pubblica di Wave Rock che può essere considerata a tutti gli effetti come un vera e propria tappa semi-nale nella produzione poetica dell’autore: l’inizio di un nuovo modo di intendere non solo il concretismo, ma anche il ruolo stesso della poesia (in particolare quella d’avanguardia) nella società.

Tra il 1966 e il 1967, Finlay decide di utilizzare il terreno (in gran parte selvaggio ed incolto) adiacente la sua abitazione sulle colline del Ross-shire21 come banco di prova per indagare a pieno le potenzialità poetiche e le implicazioni culturali insite nella via intrapresa con Wave Rock, ovvero quella di una simbiosi strutturale tra poesia concreta ed elementi propriamente ambientali. Un’operazione complessa e ambi-ziosa, per la quale Finlay sentì fin da subito la necessità di cercare nuovi punti di riferimento rispetto a quelli tradizionalmente connessi con il concretismo. In altre parole, con l’allargamento del concetto stesso di testo poetico, quei principi di razionalità, semplicità strut-turale, funzionalità sui quali era fondata l’esperienza avanguardistica sovietica e gran parte dell’impianto teorico concretista cominciarono a non essere più sufficienti a sostenere da soli la nuova idea di poesia che l’autore scozzese aveva intenzione di sviluppare. È per questo che Finlay decise di rivolgersi anche a un altro «modello di ordine»: quello dell’arte e del pensiero di epoca classica.

21 Il luogo, per l’esattezza, è situato a circa 40 km a Sud di Edimburgo.

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Rintracciare degli importanti punti di riferimento nel classicismo potrebbe sembrare contraddittorio, oltre che insolito, per un rappre-sentante dell’avanguardia. Eppure fu proprio guardando in tale dire-zione che Finlay trovò non soltanto l’ispirazione per trasformare uno sperduto angolo della brughiera scozzese in un vero e proprio “giar-dino poetico” – dal significativo nome di Little Sparta22 – ma anche nuova linfa per continuare quel processo di arricchimento semantico (e filosofico) del concretismo già iniziato fin dai tempi di Homage to Malevich.

Una delle prime installazioni ad essere realizzate a Little Sparta fu Cloud, del 1968 (Fig. 4.7). La prima domanda che ci si trova ad affrontare di fronte a questo tipo di opera non può che essere: è ancora possibile, in questo caso, parlare di testo poetico? E, se sì, con quali implicazioni?

Da un punto di vista strettamente teorico, Cloud può essere consi-derato il frutto di un processo evolutivo simile a quello che aveva portato il Gruppo ’70 ad ampliare il concetto concretista di materiale poetico fino ad uscire dalla sola dimensione tipografica per arrivare a inglobare nel testo altri elementi, in genere preesistenti alla realizza-zione testuale e comunemente non associati alla sfera della “verbalità poetica”. Da questo punto di vista, l’utilizzo da parte dei poeti visivi di stralci di manifesti pubblicitari, frammenti di immagini, foto e disegni risulterebbe sotto molti aspetti coerente con il tentativo di Finlay di far interagire linguaggio ed elementi naturali e paesaggistici e, pertan-to, se accettavamo la definizione di testo per i collage del movimento italiano, possiamo almeno provare ad applicare la stessa definizione anche alle installazioni poetiche dell’autore scozzese23. Ma ammesso (e non ancora concesso) che di testo si possa parlare, diventa impera-tivo domandarsi di fronte a che genere di testo ci troviamo. È a questo punto che si consuma il primo, decisivo, scarto teorico tra l’opera “ambientale” di Finlay e l’esperienza poetica del Gruppo ’70. Se quest’ultimo, infatti, in polemica con il concretismo, basava la propria

22 Inizialmente Finlay scelse di denominare il suo giardino Stonypath, in quanto molte delle opere in esso presenti erano basate sulla pietra come materiale poetico pri-vilegiato.

23 A riguardo, è interessante notare come Yves Abrioux consideri le installazioni di Finlay come «instances of the contemporary practice of collage» (Yves Abrioux, Dissociation: On the Poetics of Ian Hamilton Finlay’s Tree/Colums, «Word and Image», vol. 4, 1988, p. 340).

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idea di poesia su un assemblaggio di materiali diversi governato esclu-sivamente da criteri espressionistici (su tutti l’intuizione, l’associazione di idee e una preponderante soggettività autoriale), Finlay sceglie inve-ce di non rinunciare affatto ai principi che marcavano la cifra teorica della poesia concreta, ponendo tali principi anche alla base di un’opera apparentemente del tutto atipica come Cloud.

Lucius Burkhardt nota come «[Finlay’s] work begins in language. His representations, even in gardens, start with the word»24. E nel caso di Cloud è proprio il linguaggio, o meglio la parola, a costituire il fulcro attorno al quale è organizzata l’opera. Un’opera composta, essenzialmente, da quelle forme geometriche primarie che rimandano direttamente al bagaglio metodologico costruttivista (e suprematista) fatto proprio dalla poesia concreta: uno specchio d’acqua circolare e un pannello di legno quadrato. Su quest’ultimo sono incise la parola «CLOUD» e le sagome di due mani con gli indici puntati uno verso l’alto e l’altro verso il basso. Ed è proprio da questa incisione, e in particolare dalla sua parte verbale, che ha origine quel gioco di rela-zioni e corrispondenze che rappresenta il fulcro strutturale e semantico dell’opera. Un gioco organizzato, come in Wave Rock, su un incrocio di livelli e direzioni di lettura diversi in base al quale, alla circolarità e centralità del laghetto come punto d’incontro tra il riflesso delle nuvole e quello della parola «nuvola» corrisponde la forma della lettera «O» al centro di «CLOUD». Lettera che, in sinergia con le due mani punta-te, diventa a sua volta una “metafora” non solo delle qualità riflettenti dello specchio d’acqua – qualità suggerite dalla posizione rovesciata e invertita delle mani rispetto alla «O» – ma anche del suo stesso status di doppio punto d’incontro e di confine: tra il cielo e la terra ma anche tra l’opera dell’uomo (il laghetto, dopotutto, è artificiale) e quella della natura. Un sistema di corrispondenze multiple che si completa quan-do il giglio d’acqua piantato nel laghetto fiorisce, sovrapponendosi (o sostituendosi) all’eventuale riflesso della nuvola.

È a questo punto già evidente come le linee guida teoriche e fondan-ti del concretismo in merito all’organizzazione e all’interazione poetica del materiale verbale ed extra-verbale rivestano un ruolo assolutamen-te centrale anche in un’opera a prima vista difficilmente classificabile come Cloud. Edwin Morgan, a riguardo, nota come l’esperienza arti-

24 Lucius Burkhardt, Features in the Park, in A. Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, cit., p. 215.

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stica di Finlay sia tutta rivolta a sondare ed esplorare i limiti estremi fino a cui può essere spinta l’idea di poesia25. E, da questo punto di vista, al pari di altri testi concretisti, Cloud è senz’altro – prima che una scultura o un esempio di giardinaggio creativo – una poesia. O, meglio, una poesia concreta, chiaramente inseribile nell’evoluzione artistica dell’autore26 e direttamente ricollegabile alla tradizione concretista dei testi imperniati sulla manipolazione o ripetizione di un’unica parola quali, ad esempio Silencio di Gomringer. Osserva Finlay:

It seemed obvious to me that one could not have a literally one-word poem on the page, since any work must contain relationship; equally, one could (conceivably) have a one-word poem in a garden, if the surroundings were conceived as part of the poem. [...] This opens on to two areas of questioning: first, what is the special status of the fragment? and, why does one desire the word in itself? These questions probably have to wait until literature very belatedly recognizes the concrete poem. Or perhaps they will never be answered, or asked by literature, since they are first and foremost metaphysical questions27.

Al centro della riflessione di Finlay è ancora una volta la ricerca di quella stessa profondità filosofica con cui il poeta aveva già tentato di arricchire i suoi primi testi concreti. Ricerca che, nel quadro dell’evo-luzione poetica dell’autore scozzese, trova la sua realizzazione più completa solamente superando le limitazioni formali (e semantiche) connesse all’utilizzo esclusivo del medium cartaceo. Particolarmente significativo a riguardo è Grove of Silence (Fig. 4.8), un rifacimento proprio di quel Silencio di Gomringer che aveva idealmente segnato, nel 1953, l’avvio di tutta l’esperienza concretista.

Così come Gomringer aveva deciso di pubblicare Silencio in tre lingue diverse (spagnolo, tedesco e inglese) per dimostrare la duttilità, la centralità e la comunicatività dell’impianto strutturale concretista, anche Finlay, in Grove of Silence, utilizza tre idiomi

25 Cfr. James Campbell, Avant gardener, «The Guardian», 31/05/2003.26 Come nota James Campbell , citando il poeta: «Finlay is uneasy with the suggestion

that his increasing interest in the plastic arts meant a renunciation of literature. “I never thought of it as a move away from literature. I was reckoned to have left behind written forms, but that’s not the way I see it.” He is happy to call himself a poet - “a poet who wants to build lochs and make a garden [...] these things seem to me to be natural extensions of my poetry» (Ibidem).

27 Cit. in Abrioux, Ian Hamilton Finlay: A Visual Primer, cit., p. 12.

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(nello specifico italiano, tedesco e inglese). Ma laddove in ognuna delle sue tre versioni il concretista svizzero, per caricare la struttura verbo-visiva di una valenza semantica, era costretto a ricorrere alla ripetizione multipla dell’unica parola che componeva il testo, a Finlay basta invece utilizzare un’unica iscrizione fissata su ognuno dei tre alberi che compongono l’installazione, lasciando che sia il contesto ambientale – o meglio la somma delle relazioni tra le tre parole diverse e il contesto ambientale – a conferire all’opera il suo spessore semantico. Il risultato è una sorta di condensamento tridimensionale dei tre testi di Gomringer in cui il contrasto tra nero e bianco e tra parola e non-parola (contrasto attorno al quale ruotava la dimensione polisemica di Silencio) viene sostituito non solo da quello tra vuoto e pieno e tra presenza e assenza, ma anche, come in Cloud, da quello – più che mai mutevole e irrisolto – tra natura e cultura, tra linguaggio verbale e realtà (solo apparentemente) extra-linguistica. Un contrasto in cui gli opposti, in una logica di sintesi, sfumano confondendosi mentre il passaggio dal vociare al silenzio dei visitatori28 lascia spazio a quello opposto, dal silenzio al vociare, della natura.

Appare evidente a questo punto come, sotto l’aspetto semantico, l’accento su alcuni temi specifici – quali l’ibridità, la labilità delle zone di confine, la ricerca di un dialogo e di una riorganizzazione nelle oppo-sizioni – rimanga un punto fermo nell’opera di Finlay e rappresenti un trait d’union tra la sua prima produzione concreta “tradizionale” e le successive opere “plastiche”. Quello che cambia, però, è il rinnovato spessore che tali temi hanno acquistato nel passaggio dalla dimensio-ne cartacea a quella ambientale, anche grazie al nuovo peso poetico assunto da tutte quelle qualità spaziali, temporali e sonore conseguenti al drastico ampliamento dell’idea di poesia che caratterizza la secon-da fase della produzione del poeta. Una seconda fase che, tuttavia, sarebbe riduttivo ricondurre esclusivamente a un semplice approfondi-mento delle medesime riflessioni attorno alle quali ruotavano le poesie concrete del periodo precedente. Abbiamo visto a riguardo come Finlay, tracciando alcune differenze in merito al diverso valore della parola nella transizione tra il concretismo cartaceo e quello plastico, vedesse in quest’ultimo un’opportunità per porre nuove e fondamenta-li «metaphysical questions». Problemi che il poeta affronta ricorrendo

28 La poesia fu installata nel 1986 lungo il cosiddetto «Sculpture Trail» all’interno della Forest of Dean, nel Gloucestershire.

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proprio a quei riferimenti al classicismo che avevamo introdotto sopra e che abbiamo poi lasciato in sospeso, ma che in realtà rivestono un ruolo fondamentale anche nelle due poesie ambientali finora analiz-zate e in particolare, ad un primo livello formale, in Grove of Silence. L’opera era infatti disposta in maniera tale da richiamare la struttura di un tempio classico in cui gli alberi, come colonne, circoscrivono un luogo il cui senso e scopo sono preannunciati dalle iscrizioni sulle facciate, ovvero dalle tre placche scritte in tre lingue diverse, non a caso tutte rivolte verso l’esterno.

In quest’ottica il valore e la funzione della parola, in Grove of Silen-ce ma anche in Cloud, si caricano di nuove dimensioni interpretative, dimensioni strettamente connesse, come osserva Bann, alla differenza tra iscrizione e segno:

In the course of this period [...] Finlay began to pose two problems which were to dominate the immediate course of his work and have indeed remained implicit in it up to the present day. These might be defined as the problem of inscription and the problem of the sign. To separate them one from another may appear to some extent arbitrary, since they are often raised in conjunction in the same work. But they nonetheless remain distinct on the level of analysis. Inscription is the problem of the relation of the work to the world, the problem of its material embodiment. The problem of the sign (or of “sign and supersign”) involves on the other hand the relation of part to whole within the work considered as a structure. Both are integrally connected with the question of classicism, as an overall aesthetic stance29.

È su queste basi che le opere plastiche di Finlay fondano non solo la propria identità testuale, ma anche quello spessore metafisico a cui il poeta fa riferimento e che si risolve in una riflessione assolutamente non convenzionale sul rapporto tra il linguaggio – o, meglio, il segno linguistico – e «il significato, i principi e la struttura del reale»30. Del resto il rapporto tra iscrizione e segno, direttamente riconducibile al concetto platonico di lógos, non è altro che il rapporto tra Homo significans e Homo faber, tra il dare un significato alle cose e l’espri-mere tale significato attraverso segni.

29 Bann, Ian Hamilton Finlay: An Imaginary Portrait, cit., p. 14.30 La frase è tratta da Cornelio Fabro, che definisce la metafisica come «l’ultima

considerazione filosofica del significato, dei principi e della struttura del reale» (cit. in Metafisica, voce di Enciclopedia Motta, Milano, Federico Motta Editore, 1963, p. 4034).

1214. DIALOGO

Non si tratta, qui, né di riflessioni meramente accademiche, né tanto meno di un tentativo, da parte dell’autore, di “riciclaggio” della poesia concreta come strumento per approfondire questioni filosofiche e linguistiche di stampo esclusivamente teorico e personalistico. Biso-gna sempre tenere presente – giova ribadirlo – che la scelta di Finlay di fare del concretismo il perno attorno al quale sviluppare tutta la propria produzione poetica (e la propria ricerca di conciliazione tra elementi costruttivisti ed espressionisti) poteva essere considerata, sotto molti aspetti, una scelta “fuori tempo massimo” in un periodo in cui le potenzialità comunicative e le ambizioni di popolarità del movimento sembravano ormai destinate ad essere definitivamente accantonate. O perlomeno ad essere portate avanti da un altro tipo di avanguardia poetica caratterizzata da scelte metodologiche meno razionalizzanti e più intuitive, come nel caso della poesia visiva italiana. In questo contesto il riattribuire al segno poetico la sua valenza (classica) di iscri-zione – riaffermando quindi l’effettiva possibilità, esistenza e impor-tanza di un’azione verbale diretta verso l’esterno del testo – equivale a un rilancio, anzi una vera e propria rifondazione, delle ormai svilite ambizioni comunicative della poesia concreta. Una rifondazione che per Finlay può avere luogo – si badi bene – solamente all’interno di quel particolare processo di mediazione tra le istanze dell’avanguardia e quelle della tradizione che, come abbiamo visto, è per l’autore scoz-zese inscindibilmente legato a un concetto di ricerca di dialogo, sintesi e compromesso armonico di derivazione squisitamente classica.

Tutta Little Sparta – così come gli altri parchi e giardini che ospi-tano o hanno ospitato opere di Finlay – è satura di templi, meridiane, urne, lapidi, busti, iscrizioni, effigi ed altri riferimenti all’arte e al cosid-detto “mondo” classici. Ma, come vedremo, non si tratta in nessun modo di una fuga arcadica dalla contemporaneità e dalle questioni sociali, culturali e ideologiche ad essa connesse. Lo impedirebbe del resto la tradizione stessa dei giardini classici (e neoclassici): una tradi-zione in base alla quale tali luoghi non erano affatto spazi di disimpe-gno o evasione, ma piuttosto, come nota Prudence Carlson, «places of provocative poetic, philosophic and even political thought»31.

31 Prudence Carlson, Ian Hamilton Finlay, http://www.ianhamiltonfinlay.com/ian_hamilton_finlay.html. Lo stesso Finlay osserva, molto significativamente, come «certain gardens are described as retreats when they are really attacks» (Ian Hamilton Finlay, Unconnected Sentences on Gardening, in Abrioux, Ian Hamilton Finlay: A Visual

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4.3 Giardinaggio e rivoluzione

Ci siamo già più volte imbattuti, lungo le pagine di questo studio, nel concetto di rivoluzione. Un concetto che abbiamo sempre trovato strettamente intrecciato a quello di avanguardia. «Sem forma revolu-cionária não há arte revolucionária»: era la citazione di Majakovskij che i Noigandres avevano deciso di utilizzare – nella rincorsa di una poesia allo stesso tempo sperimentale e accessibile alle masse – per suggellare la loro svolta «conteudístico-participante», trasformando così la sintonia rivoluzionaria dell’avanguardia artistica russa con il nuovo governo comunista bolscevico in una tensione antagonistica, di matrice marxista, nei confronti del sistema capitalista dominante. Lo stesso percorso era stato seguito, pochi anni più tardi, ma con conno-tati molto più drastici e quasi eversivi, dalla poesia visiva italiana che però, nonostante la compattezza e la coerenza ideologica della propria carica rivoluzionaria, finì poi, come del resto il concretismo brasiliano, per essere completamente neutralizzata da quello stesso “sistema” che si proponeva se non di abbattere, quanto meno di sabotare.

Anche per Finlay – nonostante il suo status apparentemente inno-cuo di poeta-giardiniere – il concetto di rivoluzione è centrale nella sua estensione dal campo artistico ad ambiti più apertamente sociali, politici, culturali e ideologici, ma con connotazioni e sfumature deci-samente diverse rispetto a quelle fatte proprie dai Noigandres e dal Gruppo ’70. Particolarmente indicativa, a riguardo, è la definizione che lo stesso Finlay dà di rivoluzione:

REVOLUTION n. a scheme for the improving of a country; a scheme for realising the capabilities of a country. A return. A restoration. A renewal32.

L’uso di termini quali «return» e «restoration» potrebbe sembra-re in prima battuta ossimorico, o comunque contrastante con quanto viene comunemente associato all’idea di rivoluzione. Sarebbe tuttavia improprio liquidare la definizione come un semplice paradosso o una provocazione estemporanea. Alla luce di quanto detto sopra, infatti, tale definizione risulta a ben vedere perfettamente calzante con l’idea

Primer, cit., p. 40). 32 Cit. in Yves Abrioux, Eye, Judgement and Imagination: Words and Images from

the French Revolution in the Work of Ian Hamilton Finlay, in A. Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, cit., p. 168.

1234. DIALOGO

finleyana di avanguardia: un’idea tutta centrata su quell’insolito intrec-cio tra innovazione e tradizione che abbiamo visto caratterizzare con particolare incisività le “poesie da giardino” dell’autore, tanto a Little Sparta come nella foresta di Dean. Ed è proprio guardando in tale direzione che anche la prima parte della definizione di rivoluzione di Finlay acquista una luce particolare. Nota Yves Abrioux:

The words “scheme”, “improving”, “capabilities”, although not incomprehensible here, retain a degree of opacity. This is due to the fact that they belong to the vocabulary of the aesthetics of eighteenth-century English landscape gardening33.

Vedremo in seguito come i termini evidenziati da Abrioux – pur appartenendo a un contesto apparentemente molto distante dalla contemporaneità – si riveleranno assolutamente centrali (e tutt’altro che datati) nel decifrare la dimensione politica e ideologica dell’opera finleyana. Per ora, tuttavia, più che approfondire il senso dei termini presenti nella definizione di Finlay, è interessante notare l’assenza di alcuni concetti normalmente connessi all’idea di rivoluzione: concetti quali lo scontro, il conflitto, la violenza34. In altre parole, a un livello più generale, la rivoluzione di Finlay sembra essere una rivoluzione del tutto priva di antagonismo.

Si potrebbe pensare, a questo punto, che il sorprendente successo – a cui accennavamo sopra – in termini di diffusione e visibilità pubbli-ca della produzione poetica dell’autore scozzese sia da attribuirsi a una sorta di neutralità ideologica, o meglio a un accento semantico talmen-te focalizzato su questioni filosofiche e linguistiche da tralasciare ogni forma di riflessione critica di natura apertamente politica e sociale, dando così luogo (in opposizione a quanto abbiamo visto per la poesia visiva italiana e per il concretismo brasiliano) ad opere poetiche “poli-ticamente innocue” e quindi accettabili e perfino apprezzabili da parte del campo del potere. In realtà, così come la politica e l’ideologia erano

33 Ibidem.34 Il punto risulta evidente nella comparazione con alcune definizioni di rivoluzione

tratte dai dizionari: «Movimento organizzato e violento di riforma nel quale si esprime la volontà popolare di instaurare un nuovo ordine sociale e politico» (Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli, Vocabolario illustrato della lingua italiana, Vol. II, Milano, Le Mon-nier, 1974); «Rivolgimento violento e profondo dell’ordine politico e sociale tendente a mutare radicalmente governo, istituzioni, rapporti economici e sociali» (Tullio De Mau-ro, Il dizionario della lingua italiana per il terzo millennio, Paravia, Torino, 2000).

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solo apparentemente celate nei giardini classici e neoclassici, allo stesso modo i concetti di conflitto, antagonismo e violenza non sono affatto estranei all’idea finleyana del rapporto tra avanguardia e rivoluzione, ma vengono affrontati, ancora una volta, in un’ottica sintetica tale per cui la fase risolutiva risulta nettamente privilegiata rispetto a quella conflittuale. Una prospettiva particolarmente evidente (anche nelle sue conseguenze più spiazzanti) nelle opere in cui il poeta si confronta con uno dei temi che più caratterizzeranno la sua produzione a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta: il tema della guerra.

Particolarmente significative, a riguardo, sono alcune poesie che Finlay realizza intorno alla metà degli anni ’70 come parte di quel-lo che l’autore stesso aveva battezzato «neoclassical rearmament project»35. Si trattava, prima di tutto, di una sfida artistica: quella di sperimentare fino a che punto la poesia concreta, con tutte le sue carat-teristiche di immediatezza ed essenzialità formale, potesse trasformarsi anche in una sorta di poesia epica contemporanea. Un’operazione che, per Finlay, doveva passare necessariamente attraverso il confronto con quel rapporto tra letteratura e guerra attorno al quale ruotava gran parte della stessa epica classica36. Per veicolare questo ulteriore allar-gamento della cifra semantica concretista l’autore sceglie di ricorrere, in particolare, a due media che possono essere considerati a tutti gli effetti come varianti dell’iscrizione classica: la stele funeraria e l’emble-ma. È quest’ultimo il caso di Enterprise (Fig. 4.9).

Il testo fa parte di un volume del 1977, Heroic Emblems, conte-nente una serie di emblemi di tema bellico già realizzati o da realizzare nella loro versione plastica a Little Sparta o in altri giardini o spazi pubblici. Da questo punto di vista, la scelta di pubblicare anche una variante cartacea delle poesie, avulse dal contesto ambientale a cui erano destinate, può essere ricondotta a una duplice esigenza: da una parte quella di mettere in risalto il valore prototipico e la versatilità di testi che non dovevano essere intesi come necessariamente limitati ad un’unica collocazione ambientale prefissata; dall’altra quella di porre l’accento in maniera più diretta possibile sulla loro valenza squisita-mente ideologica37.

35 Cit. in Abrioux, Ian Hamilton Finlay: A Visual Primer, cit., p. 16. 36 Cfr. Cleo McNelly Kearns, Armis and Litteris: Ian Hamilton Finlay’s Heroic

Emblems, «Verse», Vol. 6, No. 1 (March 1989), pp. 41-44. 37 Cfr. Ibidem.

1254. DIALOGO

Nel caso in esame, il testo mantiene buona parte delle sue caratte-ristiche concretiste anche nella sola dimensione tipografica: la sempli-cità e l’essenzialità dei tratti grafici e verbali, l’immediatezza, il gioco strutturale tra la circolarità della sagoma e del motto e le linee che caratterizzano la sezione centrale sono tutti elementi che rimandano chiaramente ai principi fondanti della poesia concreta. Ma è l’aspetto semantico, più che quello formale, a risultare in questo caso partico-larmente interessante (e problematico).

Al centro – e non solo quello visuale – del testo è la prima portaerei nucleare mai realizzata, l’americana Enterprise. Un vascello che, nel periodo a cui risale il testo di Finlay, oltre a rappresentare una delle più moderne e potenti macchine da guerra esistenti, aveva già avuto un ruolo di primo piano nell’escalation della crisi cubana e nei bombar-damenti a tappeto sul Vietnam38. Date queste premesse, potrebbe sembrare per certi versi sorprendente il fatto che la parte verbale del testo, e in particolare il motto – che nella tradizione araldica aveva un significato non solo descrittivo, ma anche etico39 – non abbia alcu-na valenza critica, ma rappresenti piuttosto una celebrazione della portaerei statunitense come sintesi moderna dei quattro elementi della cosmologia classica. Scrive Stephen Bann:

The U.S.S. Enterprise appears by name as the final, evolved exemplar of the modern warship. It also unites in itself the different elements of the cosmology of Heraclitus: earth being represented in the landing ground offered by die carrier deck, air by die element in which its aircraft move, fire by the dynamic

38 Scrive Daniele Fossi: «[L’Enterprise] fu trasferita alla settima flotta del pacifi-co nel Novembre del 1965 e divenne la prima nave a propulsione nucleare ad entrare in combattimento quando lanciò bombe aeroportate contro i Viet Cong il 2 dicembre 1965. Dal suo ponte di volo furono effettuate 125 missioni il primo giorno, mollando 167 tonnellate di bombe e razzi sulle linee di rifornimento nemiche. Il giorno successivo fu raggiunto il record di 165 missioni d’attacco lanciate in un solo giorno. In tutto, l’En-terprise compì sei spiegamenti di combattimento nel Sud-est asiatico dal 1965 al 1972. [...]. Seguendo il “cessate il fuoco” in Vietnam del 1973, L’Enterprise fu inviata ai can-tieri navali di Puget Sound a Bremerton, Washington, dove la Grande E fu modificata e migliorata per far operare il nuovo caccia della marina: il “Tomcat” F14. [...]. Durante lo spiegamento, nel Febbraio del 1975, L’Enterprise fu chiamata a dare supporto all’eva-cuazione di Saigon. Durante l’operazione “Frequent Wind” , gli aereoplani della Grande E compirono 95 missioni» (Daniele Fossi, La grande E: la gloriosa storia dell’Enterprise, http://www.irbastione.it/S_CVN65.htm).

39 Cfr. Ugo Barlozzetti, Storia della civiltà toscana, Firenze, Le Monnier, 2000, pp. 12-13.

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and destructive character of its nuclear capacity and water by the surrounding ocean. Modern physics has set up a progressively more accurate picture of the material world which is analogous in imaginative, terms to the world of the pre-Socratics. In the same way, the nuclear-powered carrier embodies in intimate and terrifying conjunction the power released by the splitting of the atom, and the poetic message of union of elements40.

In questa prospettiva risulta paradigmatico il contrasto tra Enter-prise e quelle opere della poesia visiva italiana, quali È guerra d’eroi o Bianco Napalm, che trattavano la questione della guerra e in partico-lare quella del conflitto vietnamita. Laddove Lucia Marcucci e Ketty La Rocca stigmatizzavano la guerra del Vietnam come esempio nefa-sto dell’imperialismo militare statunitense e del perverso e inarresta-bile espansionismo culturale ed economico capitalista, Finlay esalta il simbolo stesso di quell’imperialismo come modello epico ed epocale di «elemental heroism»41.

L’atteggiamento del poeta scozzese sembrerebbe, in prima analisi, piuttosto cinico e tutto volto a portare avanti un personale progetto estetico di fusione tra avanguardia e classicismo senza curarsi troppo della simbologia utilizzata e delle sue ingombranti implicazioni ideo-logiche e politiche. In tal senso sembra inquadrarsi anche Midway del 1977 (Fig. 4.10).

Il testo è una stele bifronte. Da un lato troviamo un’iscrizione fune-bre sia in latino che in inglese, dall’altro la ricostruzione dell’evento a cui tale iscrizione fa riferimento. Si tratta della battaglia di Midway, del 1942, in cui la marina e l’aviazione statunitense decimarono la flotta giapponese imprimendo al secondo conflitto mondiale una svolta deci-siva. Finlay avrebbe potuto polarizzare la carica semantica dell’opera verso una riflessione sull’imponente costo in vite umane della batta-glia o su come il trionfo statunitense a Midway avrebbe poi influito sull’esito della guerra e sulla successiva riorganizzazione degli equili-bri mondiali a livello ideologico, economico e sociale. Invece il poeta sceglie di centrare il testo su di una spiazzante analogia tra il “campo” di battaglia e un giardino rinascimentale in cui alle vittime, ai piloti e al sangue vengono sostituiti i nomi delle navi, le api e il miele:

40 Stephen Bann, U.S.S. Enterprise, in A. Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, cit., p. 81.

41 Ibidem.

1274. DIALOGO

The dramatic success of this action depended on the fact that the American planes were able to engage the Japanese fleet at its most vulnerable — whilst each of the carriers bore a full deck load of armed and fuelled aircraft. The effect of American bombing was therefore to ignite petrol tanks, bombs and torpedoes, causing unquenchable conflagration. The analogy of the Renaissance garden, [...] shows us the carriers as antique hives and the American attack planes as swarming bees; the conflagration must be imagined as one of overspilling honey. Rose trees in tubs fill out the pastoral conception, while signifying at the same time the Ocean, in whose lush distances the opposing carriers were concealed from one another42.

Enterprise e Midway non rappresentano casi isolati. L’accostamen-to di simboli di violenza, morte e distruzione con elementi appartenenti alla tradizione arcadica, all’arte e alla cultura classica, al giardinaggio rinascimentale costituisce uno dei tratti più caratterizzanti dell’intera opera di Finlay. A Little Sparta si possono trovare, tra l’altro, statue in stile classico che imbracciano bazooka, steli dedicati alla tecnolo-gia bellica nucleare43, mangiatoie galleggianti per uccelli realizzate a forma di portaerei, incisioni di fulmini rappresentati con il simbolo delle SS naziste, templi dedicati ad «Apollo, His Music, His Missi-les, His Muses»44 e una gran quantità di riferimenti all’architettura tedesca del periodo hitleriano. È facile immaginare come un uso così ambiguo e smaliziato di una simbologia ideologicamente tanto carica e controversa abbia portato più di un critico ad accusare Finlay e la sua opera di conservatorismo, fiancheggiamento del “sistema”, milita-rismo e fascismo45.

A difesa dell’autore si potrebbe notare che si tratta per lo più di accuse di natura ideologica rivolte però contro opere che, come abbia-mo visto nei due casi presentati (ed anche in rapporto, ad esempio, alle poesie dei Noigandres e del Gruppo ’70) non sono propriamen-

42 Stephen Bann, Midway Room, in A. Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, cit., p. 253.

43 Vedi Fig. 4.11. 44 Vedi Fig. 4.12.45 Cfr. Alan Young, Three “Neo-Moderns”: Ian Hamilton Finlay, Edwin Morgan,

Christopher Middleton, in Peter Jones, Michael Schmidt (eds.), British Poetry Since 1970: A Critical Survey, Manchester, Carcanet, 1980, p. 117 e Yves Abrioux, Eye, Judgement and Imagination: Words and Images from the French Revolution in the Work of Ian Hamilton Finlay, in A. Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, cit., p. 160.

12� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

te caratterizzabili da un messaggio ideologico chiaramente definibile come tale. Del resto sarebbe altrettanto possibile controbattere che l’assenza di un’aperta e disambigua condanna delle implicazioni ideo-logiche connesse all’uso di determinati simboli equivalga, di fatto, a una tacita adesione o approvazione nei confronti di tali implicazioni. In realtà, per spiegare, e nello stesso tempo per uscire, da quest’appa-rente impasse critica risulta particolarmente significativa una consi-derazione di Tom Lubbock, secondo il quale l’opera di Finlay appare così scomoda e problematica essenzialmente perché risulta «unaligna-ble with any prevalent marxian or conservative tradition»46.

Ricercare la chiave della produzione finleyana nel maggiore o mino-re antagonismo nei confronti di una particolare ideologia codificata porta ad un vicolo cieco esattamente perché, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, non è nella tensione antagonistica che si dischiude la qualità dell’opera di Finlay, ma piuttosto nella continua ricerca di sintesi e di dialogo, anche tra elementi all’apparenza inconciliabili. Da questo punto di vista la ricontestualizzazione di elementi quali le armi, la guerra, l’iconografia nazista non è né una provocazione né tanto meno un’esaltazione di tali elementi, ma semplicemente un tentativo di dare un significato e un senso compiuto – attraverso l’arte – a gran parte di quelle esperienze, di quegli “oggetti” e di quei simboli che la società contemporanea ha rimosso senza mai operare un organico, consapevole e necessario processo di rielaborazione. Scrive lo stesso Finlay:

Democracies are not at ease with their weaponry, or, with their art, since both involve (take their stand on) other values. [...] Classicism was at home with power; the modern democracies (whose secularism has produced extraordinary power) are not. [...] Pacifism, which should be the real “creed” of democracy, is obviously no more than a form of the utilitarian (the convenient, the easy) (i. e. as presently understood and “lived”)47.

È in quest’ottica che possiamo tornare a considerare l’inclusione di termini (da giardinaggio) quali «scheme», «improvement» e «capa-bilities» nella sopracitata definizione di rivoluzione. Una definizione in virtù della quale acquista nuova luce anche quella lettera a Pierre

46 Lubbock, Ian Hamilton Finlay, in A. Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, cit., p. 243.

47 Cit. in Abrioux, Ian Hamilton Finlay: A Visual Primer, cit., pp. 155-156.

12�4. DIALOGO

Garnier che aveva segnato, nel 1963, l’inizio dell’esperienza concreti-sta finleyana. Particolarmente significativo a riguardo è un passaggio, dai toni marcatamente polemici, in cui l’autore ribadisce la sua scelta artistica sullo sfondo di quei movimenti che si andavano invece distac-cando dal concretismo alla ricerca di nuove forme di poesia visuale meno razionalizzanti e più capaci di esprimere un’autentica tensione antagonista – di matrice, come abbiamo visto, prevalentemente marxi-sta – nei confronti del campo del potere:

[Concrete poetry] is a model, of order, even set in a space which is full of doubt. Whereas non-concrete might be said to be set in society, rather than space, and its “satire”, its “revolt”, are only disguised symptoms of social dishonesty. This, I realise, goes too far; I do not mean to say that society is bad48.

La vera sfida rivoluzionaria della poesia d’avanguardia non sta, per Finlay, nell’ostentare antagonismo verso la società cercando di raggiun-gere le masse solo per muoverle contro un determinato sistema ideo-logico di potere49 – sfruttando, per giunta, le armi intellettuali di un altro sistema ideologico di potere – ma piuttosto nel riuscire a mettere a disposizione di quelle stesse masse degli strumenti per comprendere meglio e più a fondo le radici, la natura e le contraddizioni del contesto sociale in cui vivono50. Strumenti che siano al servizio della collettività: veri e propri oggetti in grado di integrarsi e inserirsi nella quotidianità sociale anteponendo chiaramente la dimensione funzionale a quella autoriale51.

48 I. H. Finlay, Letter to Pierre Garnier, September 17th, 1963, in Solt, Concrete Poetry: A World View, cit., p. 84.

49 Al contrario dei poeti visivi italiani o dei concretisti brasiliani, Finlay sceglie con accuratezza di omettere riferimenti diretti, nelle sue opere, alle principali questioni politiche, sociali ed economiche che scuotevano la Scozia negli anni Sessanta e Settanta (la crisi economica, l’urbanizzazione selvaggia che stava cambiando il volto delle città, il nazionalismo e il clamoroso insuccesso del referendum sulla devolution del 1979, ecc.).

50 Da questo punto di vista, la riflessione di Finlay potrebbe essere definita quasi metaideologica.

51 La distanza tra autore e testo, nel caso delle opere pubbliche di Finlay, è ulteriormente accentuata dal fatto che gran parte delle istallazioni del poeta, proprio in virtù della loro dimensione plastica, sono frutto di collaborazioni con altri artisti, in particolare scultori. Stephen Bann vede nelle modalità di questo ripensamento (o accantonamento) del concetto tradizionale di autorialità uno degli aspetti più caratterizzanti (e rivoluzionari) della produzione finleyana: «Just as the finished work

130 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

Torna in mente, oltre al costruttivismo russo, anche Gomringer e la sua analogia tra i testi concreti e le indicazioni negli aeroporti o i segnali stradali. Finlay utilizza altri termini per descrivere le sue poesie pubbliche e ambientali. Eppure, a ben vedere, la funzione (sociale) ulti-ma e più profonda degli «schemi» e dei «modelli d’ordine» del concre-tista scozzese è proprio quella di suggerire una direzione, indicare una strada e proporre quindi un percorso di riflessione, una chiave dialet-tica e sintetica per riaprire un dialogo e cercare un compromesso con quelle realtà “tabuizzate” che esistono ma faticano a trovare spazio nell’organizzazione sociale e politica contemporanea. Realtà che non sono solo la violenza, la guerra, il terrore52, ma anche il rapporto trop-po spesso irrisolto tra cultura e natura, tra modernità e tradizione, tra presente e passato53. Contrasti e opposizioni che, nell’ottica del poeta,

was intended to stand in the semi-public space ot farmyard or garden, so the fabrication of the work could be said to give it an irreducible distance from the poet/originator. There is no more crucial point to make in connection with Finlay’s work than the one which arises from this assumption of distance — this voluntary alienation of the poet’s proprietary right over his language. Instead of presuming that Finlay’s innumerable essays in “collaboration” represent an unfortunate (if necessary) relinquishment of the artist’s plenary powers, we should recognise that such a strategy is integral to his dialectical approach. It is, quite simply, the recognition and assumption of the “Other”. [...] Perhaps it is unduly misleading to insist on the word “collaborations” [...] to describe this unusual relationship. One would in any case be hard put to find a term which more accurately conveyed the sense of Finlay’s strategy, precisely because of its unfamiliarity within the context of artistic psychology, as it is generally understood today. In a period when the French theorist Jean Baudrillard can argue convincingly that the artist’s signature is the only necessary guarantee of the status of an art work (with a consequent, and unprecedented, notoriety for the “fake”), Finlay’s procedure is determinedly iconoclastic» (Bann, Ian Hamilton Finlay: An Imaginary Portrait, cit., p. 17). Da questo punto di vista è facile notare un’affinità con la seconda fase del costruttivismo russo, in cui gli artisti decisero di rinunciare alla propria autorialità per entrare nel meccanismo della produzione industriale e collaborare alla realizzazione di “oggetti” per la collettività.

52 Particolarmente significativa a riguardo è la serie di opere sulla Rivoluzione fran-cese che Finlay realizzerà negli anni ’80 e ’90.

53 Osserva Drew Milne: «Finlay’s work provides many such examples of how an avant-garde aesthetics might seek to rethink the relation between nature and culture, between art and society, and between pastoralism and revolution. Whereas Adorno’s work is a neo-Marxist attempt to understand modernity and modern art as a response to capitalism, Finlay’s work invariably insists on a piety of aesthetic purpose which resists secular worldliness [...]» (Drew Milne, Adorno’s Hut: Ian Hamilton Finlay’s neoclassical rearmanent programme, «Scottish Journal of Literary Studies», vol. 23, no. 2, 1996, p. 69.

1314. DIALOGO

non devono essere inasprite, ma semplicemente “indicate”, evidenzia-te, e, infine, conciliate.

Sta probabilmente nel concepire la società (e la poesia d’avan-guardia) come un campo di dialogo, e non di rivolta, il vero segreto del successo dell’opera di Finlay. Un dialogo certamente faticoso54, doloroso, complicato e dagli esiti a volte traumatizzanti, ma la cui costante ricerca ha sicuramente contribuito in maniera fondamentale a conferire ai testi pubblici del concretista scozzese un livello di diffu-sione, risonanza e visibilità assolutamente sorprendente. Almeno per un giardiniere.

54 Celebre è stata la battagia burocratica intrapresa da Finlay, per ottenere lo status ufficiale di “opera d’arte” (e i relativi sussidi economici) per Little Sparta. Non reputando il giardino di Finlay un’opera d’arte di interesse pubblico, lo Scottish Art Council, a partire dal 1978, tentò più volte di chiuderlo, prima ritirando ogni sovvenzione economica, poi facendo ricorso addirittura alle forze dell’ordine. È solo negli anni ’80 che il poeta riuscì definitivamente a mettere al sicuro il suo giardino – nel frattempo ribattezzato Little Sparta, a sottolinearne la carica “pugnace” e disturbante – dall’incomprensione e dall’ostracismo della burocrazia scozzese, ottenendo per la prima volta quella “consacrazione ufficiale” la cui estenuante ricerca conferma, una volta ancora, quella tensione verso il dialogo con il campo del potere che abbiamo visto caratterizzare tutto l’impianto ideologico dell’opera finlayana.

Epilogo: testi producibili e impatto comunicativo

Il successo pubblico dell’opera di Finlay sembrerebbe rappresenta-re il coronamento ideale del tentativo di una certa avanguardia nove-centesca di rinvenire nella fusione poetica tra verbalità e visualità un mezzo efficace per restituire alla poesia quella presa sociale che pareva ormai aver perso definitivamente. Un risultato, questo ottenuto dal concretista scozzese, che abbiamo considerato a partire dalla posizione dialogica, quindi mediatoria, occupata dai testi (e dal loro autore) sia a livello ideologico nei confronti del campo del potere e sia, a livello formale, rispetto al “canone” concretista. Rimangono però da appro-fondire alcune questioni. È possibile tracciare una linea di demarcazio-ne tra i due livelli? In che misura quello che abbiamo definito come il successo comunicativo dell’opera finlayana è da ascriversi alla scelta di dialogo con il “sistema”? E in che misura alle peculiarità forma-li e strutturali dei testi? Ed infine, riconsiderando nella loro vastezza le ambizioni di popolarità che costituivano uno dei principali cardini programmatici del concretismo, fino a che punto si può poi veramente parlare di successo?

Facciamo un passo indietro. Ci eravamo proposti, all’inizio di questo lavoro, di approfondire alcuni dei principali tratti distintivi di due tra i più anomali movimenti poetici appartenenti al variegato panorama della cosiddetta “neoavanguardia”: il concretismo e la poesia visiva. Anomali non solo per la peculiarità delle loro sperimentazioni formali, ma anche (e, forse, soprattutto) per il comune obiettivo di colmare quel profondo gap che, in modo particolare a partire dalla fine del XIX secolo, sembrava avere sempre più allontanato la poesia dal gran-de pubblico. Il tentativo era quello di proporsi, in aperto contrasto con la tradizionale concezione dell’avanguardia come arte per pochi, come produttori di poesie che fossero allo stesso tempo d’avanguardia e popolari: testi sperimentali sì, ma anche accessibili al pubblico di

134 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

massa. Il tutto con una finalità socioculturale ben precisa, chiaramente espressa nelle già citate parole del concretista Eugen Gomringer:

The aim of the new poetry is to give poetry an organic function in society again, and in doing so to restate the position of poet in society1.

Per esaminare un’operazione artistica di così ampia portata abbia-mo ritenuto appropriato analizzare i testi in maniera dettagliata (o, meglio, ravvicinata), ma inquadrandoli in un contesto più ampio: riconducendoli cioè, in modo il più possibile pragmatico, proprio a quella sfera socioculturale nella quale tali testi avrebbero dovuto, almeno in base alle intenzioni dei loro autori, rivestire un ruolo tanto attivo. Prende di qui le mosse il tentativo di evidenziare, in particolare, le modalità in base alle quali le diverse collocazioni (ideologiche e non solo) delle opere e degli artisti nei confronti di quello che Bourdieu definisce “campo del potere” possano aver influito sull’effettiva messa in pratica delle ambizioni comunicative che i movimenti in questione si erano prefissi.

Il punto d’ingresso e il principale filo rosso che ha guidato questa analisi è stata, innanzitutto, la poesia concreta, il movimento che più (e prima) di ogni altro, almeno a partire dalla seconda metà del secolo, ha posto la ricerca di una rinnovata comunicatività poetica al centro della propria riflessione e pratica artistica. È qui che è iniziato il percorso dialettico tra avanguardia e campo del potere che ci ha portato non solo ad approfondire, a cavallo tra Europa e Sud America, la nascita, gli sviluppi e le principali caratteristiche formali e teoriche del concre-tismo, ma anche ad analizzarne due tra i più significativi tentativi di superamento: il primo, polemico e antitetico, da parte della poesia visiva italiana, mentre il secondo – in verità, più che un superamento, quasi una vera e propria rifondazione – ad opera dello scozzese Ian Hamilton Finlay. Il tutto integrato da una fondamentale ricognizio-ne nel costruttivismo russo degli anni ’20, movimento seminale in cui abbiamo rintracciato alcuni elementi essenziali destinati a influenza-re, direttamente e indirettamente, sia il concretismo, da un punto di vista prevalentemente teorico-formale, sia la poesia visiva, su un piano stavolta quasi esclusivamente ideologico.

1 Eugen Gomringer, From Line to Constellation, in Mary Ellen Solt, Concrete Poetry: A World View, Bloomington, Indiana University Press, 1968, p. 67.

1355. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

Per orientarci tra contesti storicamente e geograficamente così diso-mogenei abbiamo organizzato l’analisi in base a un modello metodolo-gico composto da varianti e invarianti in relazione tra loro. Mantenen-do una focale fissa sul rapporto tra avanguardia e campo del potere, testo e contesto, abbiamo quindi scelto di coniugare dialetticamente tale rapporto nelle diverse situazioni prese in esame, giungendo infine a rintracciare nel concretismo di Finlay – nella sua costante tensione verso la sintesi e il dialogo e nel suo concetto di poesia come “semina”2 di indizi cognitivi ed ermeneutici per decifrare la società – quel succes-so comunicativo e quell’impatto sociale che l’antagonismo ideologico dei Noigandres e del Gruppo ‘70 non era mai riuscito ad ottenere.

Quali conclusioni trarre? A prima vista l’esito di questo studio, almeno sul piano sociologico, sembrerebbe tutt’altro che sorprenden-te: quanto minore è il livello di conflittualità con il campo del pote-re, tanto maggiori sono le proporzioni della popolarità raggiunta dai movimenti presi in esame (e dalle loro opere). Paradigmatico a riguar-do, nella sua eccezionalità, proprio il caso del costruttivismo russo, annichilito nel passaggio dal leninismo allo stalinismo proprio a causa di quella sua troppo stretta simbiosi con il sistema egemone che gli aveva però anche garantito un impatto sociale senza precedenti.

Tornando in particolare al caso neoavanguardie, è utile qui ricor-dare la teoria dell’omologia tra i campi di Bourdieu:

Per il fatto che essi si organizzano tutti attorno alla stessa opposizione fondamentale per quanto attiene al rapporto con la domanda (quella del “commerciale” e del “non-commerciale”), i campi di produzione e di diffu-sione delle diverse specie di beni culturali – pittura, teatro, letteratura, musica – sono tra loro strutturalmente e funzionalmente omologhi, e intrattengono inoltre una relazione di omologia strutturale con il campo del potere […]3.

Nello specifico, secondo il sociologo francese, tra la collocazione di uno o più produttori culturali nel campo del potere e nel campo di produzione culturale esiste in genere – almeno in un sistema rego-lato da leggi di mercato – una rapporto di corrispondenza omologa

2 Cfr. Samantha Krukovski, The Relationship Between Language and Landscape in Ian Hamilton Finlay’s Little Sparta, http://www.cm.aces.utexas.edu/faculty/skrukowski/.

3 Pierre Bourdieu, Le regole dell’arte: genesi e struttura del campo letterario, Mila-no, Il Saggiatore, 2005, pp. 229-230.

13� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

che determina anche lo spazio occupato dalle opere di quei produtto-ri nel campo della diffusione dei beni culturali, circoscrivendo quindi composizione, quantità e natura del pubblico che a tali opere potrà essere interessato4. È quindi naturale, o almeno prevedibile, ritornando alla nostra analisi, che un movimento come la poesia visiva italiana, che sceglie volontariamente, in una logica di opposizione ideologica, di collocarsi ai margini estremi del campo del potere – e, dato il suo status di avanguardia (non ancora “consacrata”), anche ai margini del campo di produzione culturale – vada incontro a una diffusione delle proprie opere presso il grande pubblico sensibilmente minore rispetto a quella su cui può potenzialmente contare un produttore culturale, come ad esempio Finlay, che sceglie invece la via del dialogo, posizionandosi in maniera meno estrema rispetto al “sistema”. Da questo punto di vista i diversi esiti comunicativi della poesia visiva e del concretismo di Finlay – per rimanere alle due esperienze più affini non solo per il periodo temporale e per il loro rappresentare una rielaborazione e/o un supe-ramento della poesia concreta, ma anche per l’analogia dei contesti sociali (almeno in quanto sistemi democratici, capitalisti, liberali e non scossi da colpi di stato dittatoriali come nel caso del Brasile) – sembre-rebbero essere già predeterminati quasi esclusivamente dalle rispettive scelte ideologiche di collocazione nei confronti del campo del potere. Scelte rispetto alle quali le particolari caratteristiche formali e stilistiche dei testi assumerebbero un ruolo secondario o comunque derivato.

Il modello di Bourdieu, nella sua pragmaticità, descrive molto perspicacemente le normali dinamiche culturali che differenziano

4 Scrive Bourdieu: «L’omologia che si stabilisce oggi tra lo spazio di produzione e lo spazio di consumo è all’origine di una dialettica permanente che fa sì che i gusti più diversi trovino le condizioni del proprio soddisfacimento nelle opere offerte che ne sono come l’oggettivazione, mentre i campi di produzione trovano le condizioni della loro costituzione e del loro funzionamento nei gusti che assicurano – immediatamente o a termine – un mercato per i loro diversi prodotti. Se l’incontro tra l’offerta e la domanda appare come un’armonia prestabilita è perché la relazione tra il campo di produzione culturale e il campo del potere riveste la forma di una omologia quasi perfetta tra due strutture a chiasmo: in effetti, allo stesso modo in cui, nel campo del potere, il capitale economico cresce quando si passa dalle posizioni temporalmente dominate alle posizioni temporalmente dominanti, mentre il capitale culturale varia in senso inverso, così, nel campo di produzione culturale, i profitti economici crescono quando si passa […] dal-l’arte “pura” all’arte “borghese” o “commerciale”, mentre i profitti specifici variano in senso opposto» (Bourdieu, Le regole dell’arte: genesi e struttura del campo letterario, cit., pp. 328-329).

1375. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

l’avanguardia dall’arte “commerciale”. A spingerci però verso un ulte-riore supplemento di analisi è il fatto che, nel nostro caso, non aveva-mo di fronte avanguardie “classiche” (ovvero elitarie, orgogliose della loro marginalità, volutamente difficili da comprendere e antagoniste nei confronti del pubblico di massa), ma avanguardie che si confron-tavano con l’insolita ambizione di divenire popolari, e di farlo proprio strizzando l’occhio alle diverse forme di arte “commerciale”. Un’ano-malia che non può non portare ad una serie di considerazioni. Gli artisti del Gruppo ‘70, infatti, nel momento della loro presa di posi-zione ideologica, erano consapevoli che la scelta di opposizione fron-tale nei confronti del campo del potere avrebbe precluso loro l’utilizzo dei canali di distribuzione delle opere culturali messi normalmente a disposizione dallo stesso campo del potere. È proprio per questo che, nella loro «fuga dal libro»5, i poeti visivi italiani avevano previsto una serie di luoghi e modalità d’incontro tra i loro testi e le masse alterna-tivi a quelli canonici, quali le manifestazioni studentesche, le affissioni non autorizzate, gli stadi e così via.

Perché allora queste strategie di “guerriglia poetica” – che avreb-bero dovuto essere messe in atto anche allo scopo di aggirare proprio quella corrispondenza tra i diversi campi di cui parla Bourdieu e che normalmente porta l’avanguardia ad avere un pubblico estremamente ristretto – non hanno funzionato come avrebbero dovuto? E in che modo l’esperienza finlayana può aiutarci a completare le riflessioni che facevamo alla fine del terzo capitolo (con Adorno e Pavanello) proprio in merito alle cause del mancato impatto comunicativo della poesia visiva? Del resto, se da una parte è senz’altro corretto sostenere, alla luce delle osservazioni di Bourdieu, che la sorprendente diffusione in contesti pubblici delle opere di Finlay sia stata favorita dalla ricerca di dialogo dell’autore con il campo del potere, dall’altra è anche giusto ribadire, come abbiamo già notato nel capitolo precedente, che i testi del concretista scozzese non possono certamente essere definiti come accomodanti o accondiscendenti nei confronti del “sistema egemo-ne”. Tutt’altro. Certo, è vero che le poesie finlayane non possiedono una caratterizzazione ideologica di tipo antagonistico così chiaramen-te marcata come nel caso della poesia visiva. Ma è altresì vero che esistono, nella sfera della produzione culturale intesa nella sua gene-

5 Cit. in Adriano Spatola, Verso la poesia totale, Salerno, Rumma, 1969, p. 61. La frase è di Nanni Balestrini. Cfr. cap. 3 di questo lavoro.

13� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

ralità, anche opere perfettamente allineate con il campo del potere, la cui inoffensività ideologica le renderebbe, almeno in teoria, perfette opere d’arte “commerciali”, che poi finiscono invece per avere scarsa diffusione e nessun successo di pubblico. Si può parlare in questi casi, rimanendo su binari prettamente sociologici, di distribuzione inappro-priata, inceppamento nei meccanismi di mercato, errata valutazione della domanda e dell’offerta e così via. Ma rimane l’impressione che ci sia anche dell’altro. Qualcosa che ci porta nuovamente a interrogarci, come all’inizio di questo capitolo, sul ruolo effettivo che le peculiarità stilistiche, formali e strutturali dei testi hanno rivestito nel successo o insuccesso comunicativo del concretismo finlayano e della poesia visiva italiana. Questioni che ci sembra, in definitiva, possano essere approfondite solo ponendo l’accento, in quest’ultima fase della nostra analisi, su quella che possiamo considerare come l’altra faccia della relazione tra le opere e l’establishment, vale a dire il rapporto (compiu-to o incompiuto) tra i testi e quello che avrebbe dovuto essere il loro imprescindibile destinatario finale: il grande pubblico o, in altri termi-ni, le masse.

5.1 La questione ideologica

Torniamo a Bourdieu. Facendo riferimento alla sua teoria dell’omo-logia tra i campi abbiamo chiamato in causa i tre “luoghi” principali attraverso i quali si articola in genere l’esistenza sociale di un opera d’arte: il campo del potere, quello della produzione culturale e quello della diffusione o del consumo. Tre spazi, però – è fondamentale nota-re – che non vanno intesi né come isolati né, tanto meno, come mutual-mente esclusivi. Si tratta, al contrario, di insiemi che si intersecano in un movimento incessante, in uno stato di «dialettica permanente»6 tra forze che si contrappongono per occupare posizioni dominanti sia dal punto di vista economico che da quello culturale. È all’interno di questa perenne “guerra di posizione”7 che si inseriscono le opere d’ar-

6 Bourdieu, Le regole dell’arte: genesi e struttura del campo letterario, cit., p. 328. Cfr. nota 4.

7 Il riferimento va, in particolare, al concetto di guerra di posizione nella lotta per l’egemonia ideologica e culturale formulato da Antonio Gramsci in Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Torino, Einaudi, 1975 (1948-51), p. 801 e ss. e p. 865 e ss.

13�5. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

te intese nel loro senso più vasto: al centro, cioè, di quel rapporto tra il campo del potere e le masse (il più classico dei rapporti di tipo dominanti-dominati) che sul piano culturale assume, come nota Stuart Hall, le caratteristiche di una continua negoziazione in merito al ruolo, al valore e ai significati dei singoli testi8. Il pubblico dei beni artistici – siano essi manifesti pubblicitari o composizioni sperimentali – finisce quindi per emergere proprio da questo processo di negoziazione conti-nua tra spazi contrapposti ma comunicanti (da una parte il campo del potere, indebolito da un’alta conflittualità interna, ma sostanzialmente coeso nel difendere le proprie posizioni egemoniche, dall’altra le masse, caratterizzate invece da un’estrema eterogeneità per quanto riguarda composizione sociale, condizioni economiche e bagaglio culturale) in cui ad essere più esposti risultano, in ultima analisi, proprio i testi appartenenti alla cosiddetta “cultura popolare”9, sia in quanto opere particolarmente legate – data la loro natura di arte “commerciale” – alle logiche di mercato, sia per la vastità del pubblico con il quale entrano in contatto.

Da questo punto di vista, l’approfondimento di alcune caratteri-stiche specifiche dei testi popolari si rivela particolarmente interes-sante non solo per cogliere i meccanismi culturali che intervengono nel rapporto tra potere e critica al potere, ma anche per tentare di dire qualcosa di più in merito alla validità delle strategie comunicati-ve messe in atto dai movimenti che abbiamo preso in esame concen-trandoci in particolare, almeno per il momento, sulle differenze tra l’esperienza di Finlay e quella del Gruppo ‘70. Dal momento che sia la poesia visiva che quella concreta si proponevano di raggiungere le masse divenendo una sorta di nuova poesia “di e per tutti”, verrebbe spontaneo chiedersi, a questo punto, quali sono i principali requisiti

8 Cfr. Stuart Hall, What is this ‘black’ in black popular culture?, «Social Justice», vol. 20, no. 1-2 (Spring-Summer 1993), pp. 104-111 e Stuart Hall, Notes on deconstructing The Popular’, in Raphael Samuel (ed.), People’s History and Socialist Theory, London, Routledge & Kegan Paul, 1981, pp. 227-240.

9 Nota Hall: «The people versus the power-bloc: this, rather than “class-against-class”, is the central line of contradiction around which the terrain of culture is polarised. Popular culture, especially, is organised around the contradiction: the popular forces versus the power-bloc». In questo quadro, ogni analisi relativa alla cultura popolare non può non tenere in conto quello che lo studioso definisce come «the double movement of containment and resistance, which is always inevitably inside it» (Hall, Notes on Deconstructing ‘the Popular’, cit., p. 228 e p. 238).

140 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

formali e ideologici che rendono popolari quelle opere che più di altre riescono a ottenere una diffusione significativa tra il grande pubblico, vale a dire, in particolare, quella serie di testi – il termine va inteso, ancora una volta, in senso esteso – comunemente inclusi nella cosid-detta arte “commerciale”.

Secondo John Fiske – uno degli osservatori più accurati nel coglie-re, sulla scia di Hall e Bourdieu, la complessità delle problematiche sociali, artistiche e ideologiche connesse alla cosiddetta “cultura bassa” – un’opera popolare, per divenire effettivamente tale (ovvero cultural-mente “rilevante”10 per un pubblico il più possibile variegato), deve innanzitutto essere polisemica: deve essere cioè in grado di portare in sé una serie di significati diversi effettivamente capaci di dimostrarsi “rilevanti”, almeno in potenza, «to a variety of readers in a variety of social contexts»11. Una pluralità semantica, quindi, la cui esatta defi-nizione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, non è però così intuitiva come potrebbe apparire. A complicare le cose è proprio la peculiarità della collocazione ideologica dei testi popolari che, come accennavamo sopra, risultano i più esposti (e quindi i più vulnerabili) in quel processo di negoziazione continua tra i campi del potere e del consumo che abbiamo visto caratterizzare, dal punto di vista socio-logico, l’intero percorso di produzione, distribuzione e fruizione dei beni culturali. Ciò fa sì che la polisemia che i fabbricanti di prodot-ti commerciali promuovono al fine di raggiungere il grande pubblico finisca per essere necessariamente modellata dallo scontro di due forze

10 Fiske definisce per «relevance» la proprietà di un testo di offrire «points of pertinence through which the experience of everyday life can be made to resonate with it» (John Fiske, Understanding Popular Culture, London and New York, Routledge, 1991, p. 129).

11 Scrive Fiske: «A popular text, to be popular, must have points of relevance to a variety of readers in a variety of social contexts, and so must be polysemic in itself, and any one reading of it must be conditional, for it must be determined by the social conditions of its reading. Relevance requires polysemy and relativity - it denies closure, absolutes and universals» (Fiske, Understanding Popular Culture, cit., p. 141). Sulla stessa linea James Lull, analizzando comparativamente, nella loro qualità di “testi” popolari, i personaggi di Mary Tyler Moore e Madonna, giunge alla conclusione che «[t]hese media stars are richly polysemic, and the more polysemic (open ended) the image, the greater the popular potential. The more diverse the range of people who recognize, relate to, or identify with a media “product” for a diversity of reasons, the greater the potential for popular success» (James Lull, Media, Communication, Culture: A Global Approach, New York, Columbia University Press, 2000, p. 222).

1415. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

difficilmente conciliabili: da un lato la tendenza, da parte del campo del potere, a contenere, restringere, mitigare la pluralità di significati e di possibili interpretazioni dei testi; dall’altra l’“indisciplinatezza” delle masse la cui eterogeneità, in mancanza di un adeguato control-lo, le porterebbe invece in maniera naturale a rintracciare negli stessi testi il maggior numero di significati possibili (non necessariamente e non sempre sovrapponibili a quelli proposti dal campo del potere)12. In questo quadro, per definire con più esattezza la valenza polisemi-ca delle opere popolari, Fiske sceglie di appoggiarsi alla distinzione tra testi leggibili e scrivibili teorizzata da Roland Barthes13 (e anche a quella, in gran parte affine, tra opere chiuse e opere aperte formulata da Umberto Eco14) per elaborare una terza categoria, quella dei testi «producibili»:

A popular text should be producerly. To understand this term we need to refer to those characteristics discussed by Barthes […] in his distinction between readerly and writerly tendencies in texts, and the reading practices

12 In accordo con le riflessioni di Hall e Bourdieu, Fiske osserva: «In order to be popular, […] cultural commodities have to meet quite contradictory needs. On the one hand there are the centralizing, homogenizing needs of the financial economy. The more consumers any one product can reach, and the more any one product can be reproduced by the existing processes within the cultural factory, the greater the economic return on it. It must therefore appeal to what people have in common, to deny social differences. What people in capitalist society have in common is the dominant ideology and the experience of subordination or disempowerment. The economic needs of the cultural industries are thus perfectly in line with the disciplinary and ideological requirements of the existing social order, and all cultural commodities must therefore, to a greater or lesser extent, bear the forces that we can call centralizing, disciplinary, hegemonic, massifying, commodifiying (the adjectives proliferate almost endlessly). Opposing these forces, however, are the cultural needs of the people, this shifting matrix of social allegiances that transgress categories of the individual, or class or gender or race or any category that is stable within the social order. These popular forces transform the cultural commodity into a cultural resource, pluralize the meanings and pleasure it offers, evade or resist its disciplinary efforts, fracture its homogeneity and coherence […]. All popular culture is a process of struggle. Of struggle over the meanings of social experience, of one’s personhood and its relations to the social order and of the texts and commodities of that order. Reading relations reproduce and reenact social relations, so power, resistance, and evasion are necessarily structured into them» (Fiske, Understanding Popular Culture, cit., p. 28).

13 Cfr. Roland Barthes, S/Z: una lettura di “Sarrasine” di Balzac, Torino, Einaudi, 1972.

14 Cfr. Umberto Eco, Opera aperta: forma e indeterminazione nelle poetiche con-temporanee, Milano, Bompiani, 2004 (1962).

142 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

they invite. Briefly, a readerly text invites an essentially passive, receptive, disciplined reader who tends to accept his meanings as already made. It is a relatively closed text, easy to read and undemanding of its reader. Opposed to this is a writerly text, which challenges the reader constantly to rewrite it, to make sense out of it. It foregrounds its own textual constructedness and invites the reader to participate in the construction of meaning. In his elaboration of these textual tendencies, Barthes is concerned primarly with literature, and concludes that the readerly text is more accessible and popular, the writerly the more difficult, avant-garde, and therefore of minority appeal.

The category of the producerly is needed to describe the popular […] text, a text whose writerly reading is not necessarily difficult, that does not challenge the reader to make sense out of it, does not faze the reader with its sense of shocking difference both from other texts and from the everyday. […] The producerly text has the accessibility of a readerly one, and can theoretically be read in the easy way by those reader who are comfortably accomodated within the dominant ideology […], but it has also the openness of the writerly. […]

The texts of popular culture […] are full of gaps, contradictions, inadequacies. It is what aesthetic criticism would call its “failures” that enables the popular text to invite producerly readings; they allow it to “speak” differently in different contexts, in different moments of reading, but this freedom is always struggling against textual (and social) forces that attempt to limit it. The popular text is a text of struggle between forces of closure and openness, between the readerly and the producerly, between the homogeneity of the preferred meaning and the heterogeneity of its readings15.

La «producibilità» dei testi popolari non si basa quindi su quella polisemia indistinta, indeterminata ed “entropica” che contraddistin-gue le opere aperte di Eco e quelle scrivibili di Barthes e che entrambi gli studiosi attribuiscono in maniera quasi esclusiva ai prodotti d’avan-guardia. Al contrario il testo popolare, in quanto testo «producibi-le», coniuga polisemia e accessibilità offrendo al proprio pubblico (un pubblico come abbiamo visto, estremamente variegato) una pluralità di significati la cui esatta portata, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, non è però definibile aprioristicamente, ma emerge di volta in volta, di testo in testo, da quella continua negoziazione ideologica tra base e sovrastrutture, masse e campo del potere, in cui la tendenza di quest’ultimo a veicolare significati che garantiscano il mantenimento della propria egemonia è a volte costretta – secondo Fiske molto più spesso di quanto non si creda – a lasciare spazi anche

15 Fiske, Understanding Popular Culture, cit., p. 104 e p. 126.

1435. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

alla produzione attiva di interpretazioni impreviste, inattese e perfino oppositive provenienti dal campo del consumo16. Ovviamente ci sono testi sui quali il campo del potere esercita un controllo particolarmente efficace (è il caso, ad esempio, di alcuni modi di rappresentare l’attua-lità), così come testi che, pur essendo producibili, non ottengono il successo popolare che ci si aspetterebbe. È possibile, ad esempio, che un opera venga penalizzata dall’utilizzo di canali distributivi inappro-priati o che sia troppo simile ad altri testi precedenti e si scontri quindi con una saturazione del mercato e un’assenza di ulteriore domanda relativamente a quel tipo di opere. Altre volte, nel caso di testi prodot-ti in contesti e situazioni temporalmente o culturalmente diversi da quelli di fruizione possono verificarsi fenomeni di “invecchiamento” o di inadeguata traduzione che finiscono per inficiarne la «rilevanza» nei confronti del pubblico di destinazione. La producibilità, in altre parole, non garantisce automaticamente la popolarità di un testo, ma rimane comunque un prerequisito irrinunciabile17: non tutti i testi producibili sono popolari, ma qualsiasi testo popolare, per essere tale, deve necessariamente essere producibile.

Se ora, sulla base di queste premesse, torniamo a considerare le opere del Gruppo ’70 e quelle di Finlay, è possibile notare come queste ultime risultino sensibilmente più affini al modello dei testi producibili propo-

16 In quest’ottica il concetto di polisemia, e quindi di producibilità come dialogo ideologico tra il testo e il lettore socialmente collocato è paragonabile, come puntualizza lo stesso Fiske, a quella che Vološinov alla fine degli anni ’20 definiva come «multiac-centuatività sociale del segno ideologico». Scrive il critico russo: «Ciascuna voce, da qualsiasi campo della realtà provenga, per entrare nell’orizzonte sociale del gruppo e provocare una reazione segnica e ideologica, deve essere associata ai presupposti so-cio-economici essenziali dell’esistenza del gruppo particolare; deve in qualche modo, anche solo indirettamente, stabilire il contatto con le basi della vita materiale del grup-po. […A]ccenti differentemente orientati si intersecano in ogni segno ideologico. […] Questa multiaccentuatività sociale del segno ideologico è un aspetto molto cruciale. Nel complesso, è grazie a questo intersecarsi di accenti che un segno mantiene la sua vitalità e il suo dinamismo e la sua capacità di svilupparsi ulteriormente. […] Tuttavia, proprio ciò che rende il segno ideologico vitale e mutevole è anche ciò che lo rende uno stru-mento rinfrangente e distorcente. La classe dominante si sforza di assegnare un carattere eterno, al di sopra delle classi, al segno ideologico, per soffocare o per contenere la lotta tra giudizi sociali di valore che ricorrono in esso, per rendere il segno uniaccentuati-vo.» (Valentin Nikolaevič Vološinov, Marxismo e filosofia del linguaggio, Bari, Dedalo, 1976, p. 76 e pp. 78-79).

17 Usando un’altra terminologia, si potrebbe dire che la producibilità, secondo Fiske, è condizione necessaria ma non sufficiente per la popolarità.

144 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

sto da Fiske rispetto alle composizioni dei poeti visivi italiani. Mettia-mo a confronto due testi, The Present Order (Fig. 5.1), del concretista scozzese e L’avanguardia tutta nuova di Pignotti (Fig. 5.2).

The Present Order è una delle opere più note (e diffuse) di Finlay. Dal 198318 fa parte del giardino di Little Sparta, ma nel corso degli anni altre versioni sono state installate (spesso in via permanente) in Europa e negli Stati Uniti, commissionate sia da enti pubblici che da associazioni private. Quella qui riprodotta nella foto è, in particolare, la versione collocata dal 1999 a Barcellona (su commissione del Comune) in un punto panoramico ai confini del Parc Güell.

Il testo originale esposto a Little Sparta (fig. 5.3) è incentrato sulla traduzione di una frase attribuita al rivoluzionario francese Saint-Just, «The present order / is the disorder / of the future», scolpita parola per parola su possenti blocchi di pietra disposti come tasselli di un puzzle: troppo pesanti, tuttavia, per essere scombinati come il senso della frase inviterebbe a fare19. L’opera si presenta quindi, innanzitutto, come una riflessione sulla relatività diacronica di ogni ordine costituito (sia esso culturale, sociale, morale), ma allo stesso tempo, come nota Abrioux, rappresenta anche un implicito riconoscimento dell’estrema difficoltà di mettere in atto un qualsiasi processo di mutamento di tali ordini20 se non attraverso il passaggio per un disordine (la rivoluzione, nel caso di Saint-Just) che finisce poi per rivelarsi, in genere, il preludio all’instau-razione di un nuovo ordine (Saint-Just fu ghigliottinato solo un anno

18 Il testo esula temporalmente dal periodo che abbiamo preso in considerazione nel capitolo precedente per l’analisi delle opere di Finlay (gli anni ’60 e ’70), ma può considerarsi del tutto affine, sia dal punto di vista stilistico che da quello ideologico, alle altre opere esaminate, soprattutto nel quadro di una produzione poetica, quale quella finlayana, estremamente coerente, compatta e omogenea nonostante si sviluppi in un arco di più di quattro decenni.

19 In una versione precedente, il testo era realizzato su un supporto cartaceo e in-cludeva un invito al lettore a tagliare e risistemare le parole a proprio piacimento. Os-serva Abrioux: «In spite of its epic stature, The Present Order recalls the games played in concrete poetry. An earlier version, printed on a card […] invited its readers to cut up the text and place the words in order. As for the miniature version shown at the Chapelle Sainte-Marie, Neveres, and the Galerie Eric Fabre, Paris, in 1985, it can sit on a table and allows the reader to carry out the permutations which the very texture of the works encourages» (Yves Abrioux, Eye, Judgement and Imagination: Words and Images from the French Revolution in the Work of Ian Hamilton Finlay, in Alec Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, Edinburgh, Polygon, 1995, p. 162).

20 Cfr. Ibidem.

1455. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

dopo che la stessa sorte era toccata a Luigi XVI) o alla restaurazione di quello appena sovvertito.

Per un lettore colto, storicamente preparato e criticamente avve-duto, un approccio di questo tipo al testo di Finlay potrebbe rappre-sentare un plausibile punto di partenza per ulteriori analisi e per trar-re diversi spunti interpretativi, inquadrando ad esempio l’opera nella produzione finlayana o tracciando collegamenti con le altre compo-sizioni che popolano Little Sparta. Tuttavia, nel passaggio di The Present Order dal giardino di Finlay a Barcellona le cose cambiano. E a cambiare è sia il pubblico (composto in massima parte da turisti occasionali), che si fa più eterogeneo e meno specializzato, sia il testo stesso e non soltanto perché la citazione di Saint-Just viene tradotta in catalano («L’ordre d’avui / és el desordre / del demà»), ma perché per opere quali quelle di Finlay, in cui l’ambiente viene inglobato come elemento strutturale, un cambio di collocazione fisica equivale, a tutti gli effetti, a una vera e propria riscrittura testuale. Così, incastrata tra il Parc Güell e il panorama metropolitano di Barcellona, la frase di Saint-Just si dischiude a tutta una serie di interpretazioni che non richiedono né la conoscenza del rivoluzionario francese né quella del poeta scozzese. The Present Order (o, meglio, L’ordre d’avui) diventa quindi a tutti gli effetti un opera producibile, che lascia i propri fruitori liberi innanzitutto di scegliere se considerala come un testo o come un arredo ambientale, quindi di appropriarsi del tema ordine/disordine riconducendolo, ad esempio, al contrasto tra centro e periferia barcel-lonesi o alla disciplinata creatività delle opere di Gaudì oppure riela-borandolo ideologicamente in una varietà di direzioni, da quelle più conservative (il futuro sarà talmente ordinato che al confronto l’ordine di oggi sembrerà disordine) a quelle più sovversive (l’ordine odierno è fittizio e ingiusto e non potrà non generare disordine21).

Ora, se The Present Order tende all’apertura producibile, alla moltiplicazione di significati e interpretazioni, L’avanguardia tutta nuova (1968) sembra invece andare esattamente nella direzione oppo-

21 Nel sito del Comune di Barcellona è presente anche un ulteriore spunto d’analisi legato proprio alla collocazione geografica del testo di Finlay, installato sulla sommità di una collina su cui erano posizionate le batterie antiaeree che durante la guerra civile difendevano la città contro i bombardamenti delle forze fasciste decise a rovesciare il governo repubblicano (Cfr. http://bcnweb13.bcn.es/NASApp/gmocataleg_monum/Fi-txaMonumentAc.do?idioma=EN&codiMonumIntern=939&cerca=null).

14� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

sta. Il testo di Pignotti, in linea con la quasi totalità della produzione del Gruppo ’70, è composto da un collage di materiali verbali e iconici tratti dai mass-media (in questo caso riviste e quotidiani) che l’autore dispone in modo da sintetizzare una sorta di vero e proprio manifesto ideologico della poesia visiva italiana. Una dichiarazione programma-tica che risolve il contrasto visuale che pervade il testo – e che oppone immagini cromaticamente ridondanti di luci notturne e prodotti consu-mistici all’essenzialità in bianco e nero della sagoma quasi ascetica del poeta – con la proclamazione del ruolo sociale di primo piano che la nuova avanguardia intende assumere nella lotta, radicale e intransi-gente, contro il consumismo capitalista.

Ne L’avanguardia tutta nuova, come in The Present Order, è l’ele-mento extraverbale ad essere organizzato da quello verbale, ma mentre Finlay utilizza quest’ultimo per espandere e variegare la capienza semantica del testo, Pignotti se ne serve al contrario per restringerla, per cristallizzare intenzionalmente le possibili interpretazioni in una chiave di lettura pressoché univoca, limitando drasticamente però, in tal modo, anche la producibilità del testo e con essa la sua potenziale popolarità.

Questa maggiore vicinanza delle opere di Finlay al modello dei testi producibili potrebbe essere considerata, sotto molti aspetti, come una conseguenza diretta di quell’atteggiamento dialogico nei confronti del campo del potere che abbiamo visto caratterizzare le opere del concre-tista scozzese. Da questo punto di vista si può ritenere che la polisemia che conferisce ai testi finlayani i requisiti di producibilità necessari per una fruizione popolare sia grossomodo la stessa che rende i medesi-mi testi “ideologicamente tollerabili” da parte del campo del potere. Abbiamo già notato, a tale proposito, come la diversa collocazione ideologica nei confronti del “sistema” abbia giocato un ruolo fonda-mentale nel maggior successo comunicativo delle opere di Finlay rispet-to a quelle del Gruppo ‘70. Ma è un altro aspetto ad emergere ora da questa breve analisi del contrasto tra la valenza polisemica dei testi del concretista scozzese e quelli dei poeti visivi italiani. Un contrasto in cui, a ben vedere, la presenza o l’assenza di producibilità si delinea non solo (e non tanto) come sintomo di due maniere diverse di criticare il campo del potere, ma anche come indice, quanto mai cruciale, di due modi radicalmente differenti di intendere le masse.

Nella gran parte degli scritti teorici del Gruppo ’70 i poeti visi-vi fanno riferimento, come si è osservato più volte, alla volontà di

1475. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

elaborare testi che potessero avere un forte impatto a livello popolare, testi capaci di raggiungere le masse e sensibilizzarle contro il “sistema” e le sue tendenze egemoniche. Ma a sottendere questo obiettivo sta una concezione delle masse popolari (e del loro rapporto con il campo del potere) decisamente diversa da quello che abbiamo delineato con Bourdieu e Hall. Lamberto Pignotti, tra i poeti visivi italiani senz’altro uno dei più attivi dal punto di vista teorico, scrive:

Quotidianamente veniamo istruiti su ciò che dobbiamo fare: gli ordini sono impartiti dalle comunicazioni di massa. È una massa di comunicazioni che riceviamo dall’alto, eseguiamo e riversiamo in basso. La punta di diamante di questa operazione classista è il linguaggio della pubblicità […]22.

Ad affiorare qui come altrove negli scritti programmatici dei membri del Gruppo ’7023 (oltre ad essere chiaramente sottintesa nei testi) è una percezione delle masse come di un entità sociale unifor-me e sostanzialmente composta da quelli che Hall definisce «cultural dopes»24: «ottusi culturali» accomunati dal fatto di essere succubi, in balia degli «ordini» impartiti dal campo del potere, soggetti a una sorta di condizionamento costante operato dai mass-media e incapaci, in definitiva, di valutare la differenza ideologica tra i propri interessi e quelli dell’establishment. Ora un modello di questo tipo – in cui, quin-di, la cultura “bassa” è asservita al potere nella sua opera di controllo di masse essenzialmente passive e in cui il poeta si ritaglia il compito di “risvegliare le coscienze” – se da un lato può essere utile a evidenziare alcuni meccanismi di mantenimento e salvaguardia messi in atto da chi occupa posizioni socialmente egemoniche, dall’altra manca completa-mente di dar conto di quel processo dialogico e dinamico di continua negoziazione ideologica che abbiamo visto coinvolgere a più livelli, e

22 Lamberto Pignotti, Il supernulla: ideologia e linguaggio della pubblicità, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1974, quarta di copertina.

23 Tra gli altri, Eugenio Miccini parla di «potere perverso» dei mass-media, Rodol-fo Vitone insiste sulla necessità di «avvertire il fruitore della ingannevole magia» e della «persuasione occulta» connaturate nei «segnali pubblicitari» (Cfr. Luciano Caruso, Eu-genio Miccini, Lamberto Pignotti, Luigi Tola, Rodolfo Vitone, La parola dipinta: poesia visiva in Italia ’60 - ’90, Vicenza,Valmore studio d’arte, 1997, p. 8 e p. 14). Lo stesso Pignotti sottolinea la nocività delle tecniche di persuasione ideologica messe in atto dal sistema, da cui le masse vengono ammaliate, spesso subliminalmente, «fino a perdere la coscienza del reale, e con essa ogni capacità critica e di reazione» (Pignotti, Il supernulla: ideologia e linguaggio della pubblicità, cit., p. 28).

24 Hall, Notes on Deconstructing ‘the Popular’, cit., p. 231.

14� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

con ruoli non sempre necessariamente cristallizzati, le masse e il campo del potere. Una negoziazione che ha luogo proprio in virtù dell’estre-ma eterogeneità e del carattere fondamentalmente attivo delle masse stesse:

The people, the popular, the popular forces, are a shifting set of allegiances that cross all social categories; various individuals belong to different popular formations at different times, often moving between them quite fluidly. By “the people,” then, I mean this shifting set of social allegiances, which […] may coincide with class and other social categories, but they don’t necessarily: they can often cut across these categories, or often ignore them. So that while there clearly are interrelationships between the structure of the social system and cultural allegiances, they are not rigidly determinate ones at all. […] The various formations of the people move as active agents, not subjugated subjects, across social categories, and are capable of adopting apparently contradictory positions either alternately or simultaneously without too much sense of strain. These popular allegiances are elusive, difficult to generalize and difficult to study, because they are made from within, they are made by the people in specific contexts at specific times. They are not context- and time-based, not structurally produced: they are a matter of practice, not of structure25.

Da questo punto di vista l’assenza di producibilità che caratterizza gran parte dei testi del Gruppo ’70 – programmaticamente volta, in via teorica, a contrapporre a un messaggio supposto univoco, quello capitalista-consumistico dei mass-media, un altro messaggio altrettan-to univoco ma di segno opposto26 – finisce in pratica per impedire alle masse di mettere in atto quella fruizione attiva e differenziata che rappresenta un passaggio fondamentale nell’elaborazione semantica dei beni culturali intesa come primo passo nel rapporto di continua negoziazione ideologica con il campo del potere. In altre parole, nel far riferimento a un modello in cui il cosiddetto “grande pubblico” viene ritenuto passivo e sostanzialmente uniforme, sono i testi stessi dei poeti visivi (e con essi i loro autori) a svolgere quel processo di interpretazione dei materiali culturali proposti dal campo del potere

25 Fiske, Understanding Popular Culture, cit., pp. 24-25. 26 Pignotti parla, nello specifico, di «rovesciare i contenuti della comunicazione di

massa [per] rispedire al mittente il messaggio del padrone» (cit. in Pietro Favari, Stru-menti verbali e iconici nella scrittura poetica italiana dal 1895 ad oggi, http://www.caldarelli.it/parola/favari.htm).

14�5. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

che spetterebbe naturalmente alle masse, giungendo infine a presen-tare a queste ultime un risultato ermeneutico “predigerito” (quindi già definitivo), per di più basato su una serie di premesse ideologi-che chiaramente riconoscibili – quelle della critica marxista radicale al sistema capitalista – che contribuiscono a restringere ulteriormente il potenziale bacino di fruizione delle opere. Il risultato ultimo, quindi, è quello di una serie di testi che si configurano come «rilevanti»27 solo per quella fetta di pubblico che condivide le premesse ideologiche sulle quali sono costruiti: testi quindi che, circoscrivendo l’eterogeneità dei propri destinatari, finiscono di fatto, paradossalmente, per agevolare quel processo di contenimento delle opposizioni (a cui si faceva rife-rimento, con Adorno, nei capitoli precedenti) che il campo del potere mette in atto per neutralizzare fenomeni culturali appostati su posizio-ni particolarmente antagonistiche.

Le opere di Finlay, nella loro producibilità, risultano in quest’ottica sensibilmente più adeguate a inserirsi fattivamente nella dimensione dialogica che contraddistingue il rapporto tra le masse e il campo del potere dimostrandosi, di conseguenza, più idonee (almeno a livello a potenziale) a una fruizione effettivamente popolare. Idoneità che nasce quindi non solo dall’assunzione di una posizione più sfaccettata – rispetto a quella della poesia visiva – nei confronti del potere, ma anche dall’evitare di vincolare i meccanismi testuali a un modello di destinatario troppo ideologico e troppo teorico per poter rispondere e corrispondere efficacemente all’eterogeneità sociale e alla variegatezza delle istanze interpretative che abbiamo visto caratterizzare l’approc-cio del pubblico di massa nei confronti di tutti quei testi che aspirano a divenire “popolari”28.

27 Cfr. note 10 e 11.28 In termini più specificamente semiotici, facendo riferimento al concetto di «let-

tore modello» sviluppato da Umberto Eco, si potrebbe dire, in estrema sintesi, che il modello di lettore (in questo caso le masse) implicato dai testi di Finlay è più vicino alla realtà rispetto a quello sottinteso dai testi del Gruppo ’70. Scrive Eco: «Abbiamo detto che il testo postula la cooperazione del lettore come propria condizione di attualizzazio-ne. Possiamo dire meglio che un testo è un prodotto la cui sorte interpretattiva deve far parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strate-gia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui – come d’altra parte in ogni strategia. Nella strategia militare (o scacchistica, diciamo in ogni strategia di gioco) lo stratega si disegna un modello di avversario. Se io faccio questa mossa, azzardava Napoleone, Wellington dovrebbe reagire così. Se io faccio questa mossa, argomentava Wellington, Napoleone dovrebbe reagire così. Nella fattispecie Wellington ha generato la propria

150 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

È evidente, a questo punto, come la dimensione ideologica dei due movimenti poetici presi qui in esame sia in realtà strettamente connes-sa alle caratteristiche formali dei rispettivi testi. La diversa collocazio-ne rispetto al campo del potere e la differenza nel modo di intendere le masse sono elementi fondamentali nella valutazione delle strategie messe in campo da Finlay e dai poeti visivi per raggiungere il “grande pubblico”, ma è proprio nella specificità di tali strategie, vale a dire nel modo di organizzare testualmente la componente ideologica, che si concretizza l’efficacia pratica di caratteristiche quali il livello di produ-cibilità dei testi o il ruolo più o meno attivo che il lettore è chiamato a rivestire nel momento della fruizione delle opere.

Ma qual è esattamente, torniamo a chiederci, il ruolo dell’aspetto formale? In che modo e con quale peso le caratteristiche strutturali in base alle quali sono organizzati i testi hanno influito, in sinergia con la dimensione ideologica, nel determinare il diverso impatto comunicati-vo delle poesie di Finlay e del Gruppo ’70? La questione si fa partico-larmente delicata e cruciale proprio nel caso dell’autore scozzese e del suo particolare trattamento dei principi strutturali concretisti. Se infat-ti per la poesia visiva l’aspetto formale, pur non essendo trascurabile, era però inteso – come già notato nel capitolo terzo – in funzione della carica ideologica e quindi ad essa sostanzialmente subordinato, per il concretismo rappresentava invece un elemento tanto indispensabile da essere spesso l’unico costituente di testi in cui la dimensione semantica assumeva non di rado un ruolo secondario se non del tutto accesso-rio. Su queste basi quella che abbiamo definito come una rifondazio-ne concretista da parte di Finlay consisteva, in primis, nel tentativo (riuscito) di allargare le maglie della “tradizionale” rigidità strutturale concretista per arricchire i testi di una carica semantica, di una valenza referenziale e di una complessità ideologica che erano in gran parte estranee alle opere dei primi anni del concretismo internazionale.

Ma fino a che punto, allora, quelle caratteristiche formali (deriva-te dal costruttivismo) che costituivano le basi originarie della poeti-

strategia meglio di Napoleone, Wellington si è costruito un Napoleone-Modello che assomigliava al Napoleone concreto più di quanto il Wellington-Modello, immaginato da Napoleone, assomigliasse al Wellington concreto. L’analogia può essere inficiata solo dal fatto che, in un testo, di solito l’autore vuole far vincere, anziché perdere, l’avversa-rio. Ma non è detto» (Umberto Eco, Lector in fabula: la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 2004 (1979), p. 54).

1515. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

ca concretista – quali l’essenzialità del linguaggio, l’enfasi sul ruolo centrale e sulla funzionalità della struttura, l’oggettificazione del testo nella sua dimensione visiva e verbale – hanno contribuito fattivamente al successo comunicativo dell’opera finlayana? E, più in generale, in che misura tali caratteristiche messe a punto, giova ricordarlo, proprio per massimizzare l’impatto popolare dei testi, possono ritenersi effet-tivamente valide e adeguate a mettere in pratica gli scopi per i quali erano state ideate?

5.2 La questione formale

Le interazioni tra forma e ideologia, tra testi e campo del potere, sono state il leitmotiv di tutto il percorso analitico seguito in questo lavoro. Ma spostando l’attenzione dal “sistema” alle masse e dalla fase di produzione a quella di ricezione dei testi, quegli elementi formali che avevamo rintracciato ed esaminato nelle composizioni dei concretisti e dei poeti visivi si trovano ad assumere altre sfaccettature e a caricarsi di nuove implicazioni che risultano fondamentali per rispondere alle domande che si sono accumulate nel presente capitolo.

Per proseguire l’analisi in tal senso risulta opportuno, a questo punto, distaccarci (momentaneamente) dal confronto tra Finlay e il Gruppo ’70 per prendere brevemente in considerazione alcuni aspetti dell’opera di un altro fondamentale protagonista della scena concreti-sta scozzese, Edwin Morgan, non solo in quanto le sue composizioni hanno rappresentato un importante punto di riferimento nella prima parte della produzione finlayana29, ma anche perché determinate caratteristiche della sua produzione poetica si prestano in maniera ideale all’individuazione e alla messa in evidenza di alcuni elementi formali che si riveleranno particolarmente utili sia per chiarire meglio il rapporto tra forma e ideologia nell’opera di Finlay, sia, in un quadro più vasto, per valutare con più precisione le differenze, in termini di potenzialità comunicative, tra un approccio formale di tipo costrutti-vista (quello del concretismo) ed uno invece più marcatamente espres-sionista (quello della poesia visiva).

29 Cfr. James Campbell, Avant gardener, in «The Guardian», 31/05/2003.

152 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

Costantemente proiettato alla ricerca di un superamento del «communicative gap30» novecentesco tra poesia e società, cultura alta e cultura “popolare”, Morgan fu tra i primissimi autori di lingua inglese, all’inizio degli anni ’60, ad accogliere le proposte poetiche provenienti dalla Svizzera e dal Brasile e a rintracciare nel concreti-smo – in sintonia con le dichiarazioni programmatiche di Gomringer e dei Noigandres – non solo un’occasione di rinnovamento del concetto tradizionale di poesia, ma anche il mezzo ideale per (ri)mettere final-mente il poeta nella condizione di scrivere testi in grado di “speak out on man and society31”.

Partendo da un concretismo rigoroso e “tradizionale” Morgan fa propria l’esperienza della poesia concreta brasiliana – in particolare quella successiva al «salto conteudístico»32 – per iniziare, a cavallo tra gli anni ‘60 e ’70, un percorso poetico assolutamente personale volto all’esplorazione delle potenzialità formali e comunicative del metodo concretista. Un’esplorazione, tuttavia, indirizzata su binari piuttosto diversi da quelli che, negli stessi anni, percorreva Finlay. Mentre la ricerca finlayana procedeva, per così dire, in “ampiezza”, con l’obiet-

30 Cfr. Edwin Morgan, A Glimpse of Petavius, in Id., Essays, Manchester, Carcanet, 1974, p. 14. L’espressione si riallaccia direttamente alle riflessioni del poeta, già prese in considerazione nel primo capitolo di questo lavoro, sulla rottura tra poesia e società che Morgan attribuisce in primis, per auanto riguarda il contesto britannico, all’opera e all’influenza dei modernisti: « Poets, who have been so careful to distinguish shades of feeling and subtleties of mood, have been slow to distingush shades of difference in the material, technical, and intellectual world in which they live. If the poet travels by transcontinental jet instead of by pony and trap, let him not pretend that no change has ‘really’ occurred: that he is ‘just travelling’. If artificial satellites are launched from the earth, let the poet not pretend that ‘reality’ remains unaffected by these geophysical pranks. What involves man involves reality; what involves many men is the great neglected material of our poetry. […] The fact is that man must react, as man, to his whole environment. Nothing less will satisfy his hungry spirit. The future of poetry, like the future of the other arts, is bound up not only with the very slowly evolving nature of man but also with the very quickly evolving relation of man to his environment. Poetry today is in the process of recovering from an ambitious attempt – the attempt of Yeats, Pound, Eliot, Stevens – to separate its own artistic evolution from the general evolution of society. […] What I want to express is a concern about the very incomplete way in which poetry since the nineteenth century has reacted to changes in society and in material surroundings. It is because these changes have been so great that I am made conscious of this strange communicative gap – which anyone will see who stands back to look at it – between poetry and life» (Ibidem, pp. 13-14).

31 Edwin Morgan, Collected Translations, Manchester, Carcanet, 1996, p. 28.32 Cfr. cap. 3.

1535. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

tivo di espandere i confini del testo poetico fino a inglobare in esso elementi paesaggistico-ambientali, Morgan puntava più che altro alla “profondità”, senza uscire dal medium cartaceo, ma andando piutto-sto a scandagliare la natura stessa del metodo concretista per mettere il più possibile a nudo le peculiarità strutturali e i meccanismi formali ad esso sottesi. In quest’ottica, una delle tappe più significative della ricer-ca poetica morganiana è senz’altro rappresentata dalla pubblicazione, nel 1967, di Emergent Poems, una raccolta di sei testi concreti orga-nizzati, in maniera molto significativa, come variazioni su un identico metodo compositivo.

Una delle poesie più rappresentative della raccolta è Message Clear33 (Fig. 5.4). Alla base della strategia compositiva che caratte-rizza questa come le altre «poesie emergenti» c’è un espediente “clas-sico” che abbiamo ormai più volte rintracciato sia nel concretismo che nella poesia visiva, vale a dire l’utilizzo (o riutilizzo) e l’elabora-zione (o rielaborazione) di “materiali” già esistenti. In questo caso, il materiale di partenza è costituito da una frase tratta dal vangelo di S. Giovanni34, rielaborata attraverso un gioco sia grafico che grammati-cale. La frase costituisce la base della composizione e fornisce tutte le lettere che vanno a formare ogni parola della poesia. Ciascuna lettera mantiene la sua posizione originale. È come se l’autore, riga dopo riga, cancellasse le lettere che non utilizza in modo che quelle che rimango-no formino il corpus della composizione. In questa maniera la poesia sembra letteralmente scaturire, evaporare, o meglio emergere dall’ul-timo verso fino a polverizzarsi progressivamente in particelle sempre più piccole e distaccate. Allo stesso tempo ha luogo anche l’effetto opposto. La poesia può essere letta infatti dall’alto verso il basso e da sinistra a destra, come una qualunque composizione tradizionale nella quale, però, la distanza fra le varie lettere che compongono ogni paro-la è variabile ed ogni tipo di punteggiatura assente. La grafica diradata delle prime righe diventa via via sempre più concentrata e incalzante fino a generare un effetto di climax che ha, allo stesso tempo, il suo principio e il suo scioglimento nell’ultima riga, l’unica effettivamente completa.

33 Il testo fu anche il primo ad attirare l’attenzione sul lavoro di sperimentazione poetica di Morgan suscitando un acceso dibattito, tra il gennaio e il febbraio 1966, sulle pagine del «Times Literary Supplement».

34 Giovanni 11:25.

154 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

Il gioco tipografico-visivo caratteristico delle composizioni concre-te, nel caso di Message Clear non sembra affatto pregiudicare l’esisten-za di quello che Pavanello definirebbe «spessore» poetico. L’ultima riga, la frase con cui Gesù introduce a Marta la resurrezione di suo fratello Lazzaro, si trasforma in un intenso monologo in cui un Cristo sofferente, forse ormai sulla croce, riflette cercando un dolorosa riaf-fermazione del proprio ruolo di salvatore dell’umanità di fronte alle sofferenze della morte fisica e terrena. Una riflessione in cui i concetti di vita e resurrezione vengono legati a quelli di ciclicità e metamorfosi, funzionalmente rispecchiati nella struttura stessa della poesia, il cui corpo scaturisce dall’ultima riga e ne è allo stesso tempo la parafrasi e la spiegazione, quasi come se nei caratteri tipografici che costituiscono visivamente la base del testo sia già contenuta, oltre alla citazione di S. Giovanni, la sua stessa interpretazione, punto di arrivo, ma anche di partenza.

La palese “verbosità” del testo, a prima vista così lontana dalla stringatezza quasi minimalista delle composizioni finlayane, è solo apparentemente in contraddizione con quell’accessibilità immediata auspicata da Gomringer come cardine fondante di ogni testo concre-tista. E questo perché Morgan, nel suo studio sulla struttura “profon-da” del concretismo, sceglie di imperniare l’impatto comunicativo delle «poesie emergenti» non tanto sulla dimensione visiva o semantica del testo, ma su altre caratteristiche più schiettamente formali che risal-tano appieno solo relazionando tra loro i vari testi che compongono Emergent Poems, come risulta evidente accostando a Message Clear un’altra poesia della raccolta, Manifesto (Fig. 5.5).

Anche qui abbiamo una frase dalla quale “emerge” la poesia, che di tale frase può essere considerata una parafrasi, o meglio, in questo caso, una traduzione estesa: la serie di imperativi che forma la prima parte del testo viene infatti interrotta dal verbo «say», che a sua volta introduce le quattro righe successive, «proletarians in / every / land / are / one», ovvero la resa in inglese della riga di partenza, «proletarii vsekh stran soedinyaites», equivalente in caratteri latini dell’originale cirillico ««пролетарии всех стран соединяйтесь», uno dei motti più noti del comunismo internazionale («proletari di tutto il mondo unitevi»).

Il fatto che la frase di partenza sia scritta in una lingua diversa da quella del resto del testo è significativo. Pur sviluppando ogni poesia in inglese, per i sei emergent poems della raccolta del ’67 Morgan sceglie

1555. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

di utilizzare sei frasi di partenza scritte in sei lingue diverse35. Questo incastro linguistico, se da un lato può essere ricondotto alla tensione verso l’internazionalismo che aveva contraddistinto la poesia concreta fin dai suoi albori36, dall’altro rappresenta anche un indicatore della peculiarità della riflessione poetica morganiana. Riflessione tutta volta a convogliare le potenzialità comunicative degli emergent poems non tanto sulle specificità (semantiche e linguistiche) dei singoli testi, quan-to sul medesimo metodo compositivo che li accomuna tutti, legando, in ogni poesia, la frase di partenza al resto del testo in maniera estre-mamente rigida, indipendentemente dalla lingua e dal “contenuto”. Rigidità che ha l’obiettivo di far sì che il lettore percepisca l’intervento del poeta come minimo (limitato a “tirar fuori” una poesia che sembra già insita nelle lettere della citazione) e come ludico, in quanto la crea-tività dell’autore risulta imbrigliata in una struttura fissa equiparabile a una regola di un gioco enigmistico.

Una delle critiche mosse con più frequenza agli emergent poems è proprio quella di essere più adatti a essere pubblicati su un settima-nale di enigmistica che su un volume di poesie, ma è paradossalmente proprio questa la chiave della loro comunicatività. Il punto di forza di testi come Message Clear e Manifesto è proprio quello di ”desacraliz-zare” il concetto stesso di poesia, presentandolo al lettore come qual-cosa che può essere inteso anche come una sorta di gioco che – una volta capiti meccanismo e regole - sembra diventare improvvisamente accessibile, alla portata di tutti: prendere una frase famosa, un motto, un nome o un proverbio (in qualsiasi lingua), scriverlo su un foglio di carta e cominciare a sistemare le lettere in maniera tale da farne venir fuori delle parole significative è un’operazione tanto facile (apparente-mente) quanto lontanissima dall’idea di poesia normalmente diffusa.

In altre parole, ciò che Morgan propone al lettore, con i suoi emergent poems, non è tanto una collezione di poesie, quanto un metodo, una regola per comporre (o, meglio, per costruire) testi poeti-ci. Metodo però che, a differenza di altre operazioni avanguardistiche

35 Oltre all’inglese (che fa quindi dell’unità linguistica tra frase di partenza e resto del teso di Message Clear un’eccezione all’interno della raccolta) e al russo, le altre quattro lingue utilizzate da Morgan nelle citazioni (dichiarate) che stanno alla base delle varie «poesie emergenti» sono il francese, l’italiano, il tedesco e lo scots, corri-spondenti, rispettivamente, a citazioni di Rimbaud, Dante, Brecht e Burns.

36 Cfr. cap. 1.

15� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

analoghe – come, ad esempio, la celebre ricetta di Tristan Tzara per «fare una poesia dadaista»37  – non si limita a surrogare l’opera crea-trice del poeta con il caso o con procedimenti aleatori (che finivano, in ultima analisi, per rafforzare la genialità dell’autore), ma punta, costruttivisticamente, a distaccare in maniera drastica il testo da ogni palese espressività autoriale portandone alla luce i meccanismi compo-sitivi e presentando al lettore una struttura “nuda”, scheletrica, di cui l’uso fattone dall’autore rappresenta solo una delle possibili applica-zioni. Da questo punto di vista, ad “emergere” in tutta evidenza in testi come Message Clear e Manifesto sono, sul piano formale, due caratteristiche strettamente correlate, che potremmo definire come la “prototipicità” e la versatilità strutturale, ovvero, rispettivamente, la capacità delle strutture testuali di fungere da modello autosufficiente per la costruzione (iterativa) di altri testi analoghi38 e quella di poter essere personalizzate e riutilizzate dal fruitore secondo modalità diver-se da quelle originali, sia dal punto di vista semantico (la possibilità di rivestire le strutture testuali di una varietà virtualmente infinita di significati), che da quello “pratico” (la possibilità di considerare tali strutture come poesie, giochi enigmistici, traduzioni creative, etc...).

Tali caratteristiche – a cui avevamo già accennato all’inizio di questa analisi prendendo in esame gli scritti teorici e Silencio di Gomringer39 – non rappresentano tuttavia peculiarità esclusive dei testi di Morgan (o del concretista svizzero), ma vanno piuttosto consi-derate – ed è questo il punto che più ci interessa in questo momento – come tratti distintivi di quell’heritage costruttivista comune a tutti gli artisti concreti qui analizzati e riconducibile direttamente all’esperien-za delle avanguardie sovietiche degli anni ’20. Per i costruttivisti russi,

37 Cfr. Tristan Tzara, «Pour faire un poème dadaïste», in Id., Oeuvres complètes, vol.1, Paris, Flammarion, 1975, p. 382. La “ricetta” (Fig. 5.6) fu pubblicata per la prima volta nel 1920. Sarebbe improprio, va notato, citare qui anche i collage dei poeti visivi in quanto in quel caso ad essere proposta ai lettori era più una tecnica (quella del collage, appunto) che un vero e proprio metodo compositivo (dal momento che, come abbiamo già visto nel capitolo 3 e come torneremo a evidenziare più avanti, l’organizzazione del materiale testuale è affidata interamente alle associazioni intuitive dell’autore).

38 Umberto Eco, a riguardo, nota come la presenza di un «elemento iterativo», de-finito come un meccanismo ripetitivo organizzato «secondo uno schema fisso», sia una delle caratteristiche più comuni dei prodotti artistici popolari, dalla narrativa ai fumetti ai prodotti ludici e di evasione Cfr. Umberto Eco, Apocalittici e integrati: comunicazione di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano, 2005 (1964), pp. 245-261.

39 Cfr. cap. 1.

1575. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

costantemente alla ricerca di un’arte che fosse pratica, accessibile, utile e utilizzabile concretamente dalle masse, la prototipicità, la riutiliz-zabilità, la versatilità dell’impianto strutturale che innervava le varie creazioni artistiche costituivano infatti dei caratteri fondamentali per massimizzare la funzionalità sociale di tali creazioni depurandole il più possibile da ogni carica espressionistica o soggettivistica. L’obiettivo finale era quello di creare oggetti d’arte (poesie come anche manifesti pubblicitari, arredi urbani, indumenti e così via) che non chiedevano in alcun modo di essere considerati come pezzi unici, ma che doveva-no, al contrario, risultare dei veri e propri prototipi, talmente versatili dal punto di vista strutturale da poter essere fatti propri, riprodotti, riscritti, riutilizzati continuamente e dinamicamente dal pubblico40 (fino al punto in cui un poesia poteva anche trasformarsi in un manife-sto pubblicitario, un arredo urbano, un indumento e così via41).

40 Varvara Stepanova, già nel 1921, evidenziava in maniera molto netta (mettendone in risalto anche la chiara valenza ideologica) la differenza tra la fissità, l’unicità e irripetibilità dell’arte tradizionale (identificata come «arte monumentale») e la dinamica versalità strutturale dell’arte costruttivista, caratteristica che nella terminologia dell’epoca veniva definita «tettonica» («tektonika»): «The monumentality of the work of art gave rise to the concept of eternal beauty outside of time. The fundamental distinguishing feature of the modern epoch is temporality and transience. Proceeding from this, it is impossible to be organically fused with the epoch if you do not take into account and feel its pulsing – and the pulse of our day and age is action and change. In positing tectonics as a counter to the “monumental style of the past”, contructivism is implementing what we may call the ideological approach to work. [...] Tectonics [...] differs from the monumental in its dynamic quality, which changes the moment the context or one of the conditions or experiments changes. [...] If we approach the task of making an object from the organic point of view and taking into account all the qualities of the material, then we are approaching the task tectonically. From here we proceed to a definition of tectonics as a kind of organicism, moreover a continuous organicism. Up to now this continuous organicism did not exist, and style [...] became conventional external form, which was subsequently perceived as aesthetic beauty. [...] Nowadays, when the watchword of the age is “temporal and transient”, there can be no longer a monumental style, [but] in place of the static element of the object we have function, action, dynamics – tectonics. The conflict between the temporal and the monumental is only resolved by the form of tectonics, as principle of continual replacement» (cit. in Peter Noever (ed.), A. M. Rodchenko, V. Stepanova: The future is Our Only Goal, Munich, Prestel, 1991, pp. 177-178).

41 L’affinità tra la “polifunzionalità” delle strutture costruttiviste – che nel caso della collaborazione tra Majakovoskij e Rodčenko, già analizzata nelle pagine precedenti, si esplicitava in uno studio sulla versatilità di testi poetici oggettificati che potevano diventare manifesti pubblicitari, imballaggi, distintivi, marchi commerciali, etc. – e quella dell’arte concreta viene notata (anche se intesa in senso generico) da

15� L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

Ora, Bourdieu nota come l’arte popolare sia un’arte che chieda di essere utilizzata piuttosto che contemplata42 e, sulla stessa lunghezza d’onda, Fiske osserva come un prodotto d’arte commerciale, per dive-nire popolare, e quindi producibile, deve essere in grado di mettere i suoi fruitori nella condizione di «not simply consuming a commodity but reworking it, treating it not as a complete object to be accepted passively, but as a cultural resource to be used»43. Una risorsa cultura-le oggettificata, quindi, la cui capacità di essere utilizzata e riutilizzata da persone diverse in modi diversi è indissolubilmente legata, secondo Fiske, alla struttura stessa dell’oggetto artistico:

Reading texts is a complex business; and the complexity of popular texts lies as much in their uses as in their internal structures. The densely woven texture of relationships upon which meaning depends is social rather than textual and is constructed not by the author in the text, but by the reader; it occurs at the moment of reading when the social relationships of the reader meet the [...] structure of the text. [...T]hat is precisely its strenght. [...I]t provokes its producerly viewers to write in their meanings, to produce their culture from it.

Se, in quest’ottica, torniamo a confrontare la produzione poetica finlayana con quella dei poeti visivi italiani e a chiederci quale sia il rapporto tra la dimensione formale e quella ideologica nella defini-zione del diverso impatto comunicativo delle rispettive opere, risulta evidente come la questione formale sia talmente rilevante nella costru-zione della producibilità dei testi da trascendere le specificità delle singole poesie per ricondurci innanzitutto proprio a quella differenza tra espressionismo e costruttivismo che abbiamo visto rappresentare il principale discrimine teorico e metodologico tra le due distinte idee di poesia dei movimenti in questione.

Hubertus Gassner, secondo il quale il costruttivismo russo fu «the first to postulate the principle of concrete art [...] that the work of art is a structured thing, i.e., the material implementation of a systematically designed structure that is transformable within the limits of its own system» (Hubertus Gassner, The Constructivists: Modernism on the Way to Modernization, in AA.VV., The Great Utopia: The Russian and Soviet Avant-Garde, 1915-1932, New York, Guggenheim Museum, 1992, p. 313).

42 Cfr. Pierre Bourdieu, La distinzione: critica sociale del gusto, Bologna, il Mulino, 2001 (1979).

43 Fiske, Understanding Popular Culture, cit., pp. 10-11.

15�5. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

Per quanto riguarda l’opera di Finlay, è possibile innanzitutto nota-re come siano proprio le caratteristiche costruttiviste di prototipicità e versatilità strutturali – subordinate, giova ribadirlo, alla centralità della struttura stessa – a consentire a The Present Order (e alle altre opere analoghe costituite dall’elaborazione di una sola frase, in genere una citazione44, o di un’unica parola) non solo di “funzionare” sia a Little Sparta che a Barcellona, sia in inglese che in catalano, ma anche di presentarsi ai “lettori” (o, meglio, ai fruitori) come un vero e proprio oggetto strutturalmente polifunzionale, pronto ad essere rivestito di significati (e quindi di usi) che possono andare, come già notato, da quello di semplice panchina a quello di spunto per variegate riflessioni ideologiche o storico-filosofiche.

È vero che anche la poesia visiva si proponeva di raggiungere il grande pubblico attraverso la creazione di testi oggettificati, ma laddo-ve per l’organizzazione formale del materiale testuale Finlay – e i concretisti in genere – ricorrono (costruttivisticamente) a una struttura il più possibile autosufficiente ed essenziale, i poeti del Gruppo ‘70 si affidano invece (espressionisticamente) all’opera unificatrice della soggettività creativa e dell’intuizione associativa del poeta45. Questa seconda impostazione, però, se da una parte consente ai testi di risul-tare coerentemente coesi in un’unica direzione semantica (e ideologica) dall’altra non fa altro che ribadire quello che Bourdieu definisce come il «modello tradizionale della “creazione” artistica che considera l’ar-tista quale produttore esclusivo dell’opera d’arte e del suo valore»46, privando in tal modo gli oggetti testuali di quella rete di relazioni strutturali interne ed autosufficienti che, nella concezione concretista-costruttivista, ha il preciso scopo di distaccare l’oggetto poetico dal suo creatore per consegnarlo funzionalmente ai diversi possibili usi praticabili dai fruitori ed esaltarne quindi la producibilità.

Quello che si delinea, in altre parole, è un quadro in cui, almeno per quanto riguarda la nostra analisi, la questione ideologica finisce per dipendere, di fatto, da quella formale, in quanto quella polisemia

44 In quest’ottica, l’affinità con gli «emergent poems» di Morgan risulta evidente.45 Cfr. cap. 3.46 Bourdieu, Le regole dell’arte: genesi e struttura del campo letterario, cit., p. 305.

Altrove, nel suo saggio, Bourdieu parla, in maniera molto significativa, di «ideologia carismatica della creazione» (p. 237). In quest’ottica, le medesime considerazioni sono applicabili anche ai testi più atipici, ovvero meno ideologicamente connotati, dei poeti visivi italiani, a cui abbiamo accennato nel capitolo 3.

1�0 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

producibile che abbiamo visto essere alla base del successo comuni-cativo (e ideologico) delle poesie ambientali di Finlay risulterebbe, a conti fatti, impraticabile senza l’impalcatura fornita dalle peculiari-tà strutturali concretiste-costruttiviste. E questo perché in definitiva, come abbiamo già notato, è proprio la centralità assoluta della struttu-ra, con le sue caratteristiche di prototipicità e versatilità, a fare dei testi finlayani (e dei testi concreti in generale) non solo dei semplici oggetti, ma degli oggetti funzionali, o meglio polifunzionali che, non lascian-dosi ancorare ad un’unica “destinazione d’uso” stabilita dall’autore, possono risultare potenzialmente in grado di aprirsi a tutta una serie di direzioni e di combinazioni interpretative a livello contenutistico, ideologico e “pratico”, dando vita a poesie capaci di trasformarsi in arredi ambientali (oppure, nel caso dei Noigandres brasiliani, in mani-festi pubblicitari47 o, in quello di Morgan, in passatempi enigmistici) senza sacrificare in nessun modo il proprio “carattere poetico” o il proprio “spessore”, ma piuttosto arricchendoli e rendendoli fruibili, “rilevanti” e in definitiva producibili per un pubblico eccezionalmente

47 Da questo punto di vista, quell’incoerenza ideologica nei confronti del sistema egemone che veniva attribuita criticamente ai Noigandres sia da parte delle avanguardie brasiliane più estremiste che dalla poesia visiva italiana, oltre a potersi considerare come una conseguenza del metodo formale concretista-costruttivista, può anche essere ritenu-ta, in definitiva, come una “qualità” piuttosto che un “difetto” nell’ottica della poten-ziale popolarità delle opere. In merito, in particolare, alla versatilità dei testi dei Noigan-dres, è inoltre particolarmente significativo notare come la poesia concreta brasiliana, oltre a “riadattarsi” nel campo della grafica pubblicitaria, abbia anche rappresentato, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, un fondamentale (e per molti versi sorprendente) punto di riferimento per il cosiddetto “Tropicalismo” – un movimento artistico molto variegato, ma che si sviluppò prevalentemente in campo musicale e in chiave critica nei confronti del regime salito al potere nel 1964 – i cui esponenti (su tutti i cantautori Caetano Velo-so, Gilberto Gil e il gruppo rock Os Mutantes) si proponevano di rinnovare la canzone prendendo spunto, tra l’altro, proprio dall’esperienza concretista e operando di fatto (a volte con la collaborazione degli stessi poeti concreti) una vera e propria traduzione in musica delle strutture e dei principi formali del concretismo. Un’operazione evidente già a livello puramente visivo nella veste tipografica di testi di canzoni quali Batmacumba (Fig. 5.7), uno dei brani più rappresentativi dell’album-manifesto del movimento, Tro-picália: ou Panis et Circenses (1968). Per un approfondimento dei legami tra Tropica-lismo e poesia concreta, vedi in particolare: Caetano Veloso, Christopher Dunn, The Tropicalista Rebellion, «Transition», n. 70 (1996), pp. 116-138; Charles Perrone, From Noigandres to “Milagre da Alegria”: The Concrete Poets and Contemporary Brazilian Popular Music, «Latin American Music Review / Revista de Música Latinoamericana», vol. 6, n. 1 (Spring-Summer 1985), pp. 58-79; Charles Perrone, Poesia concreta e Tro-picalismo, «Revista USP», n. 4 (dez. 1989-fev. 1990), pp. 55-64.

1�15. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

variegato sia sul piano sociale che su quello culturale. Non autori da ascoltare, quindi, ma oggetti da usare, riusare e, possibilmente, perso-nalizzare.

Non si tratta qui – giova, a questo punto, precisare – di decretare una qualche sorta di superiorità artistica della poesia concreta rispetto a quella visiva o del metodo costruttivista su quello espressionista. La poesia visiva italiana è stata senza dubbio una delle esperienze più signi-ficative in assoluto nel panorama avanguardistico italiano a partire dal secondo dopoguerra e una delle pochissime a esercitare un’influenza fondamentale anche fuori dai confini nazionali. La questione non è quindi di “valore”, ma piuttosto di “adeguatezza” ovvero di appro-priatezza dei mezzi utilizzati per il raggiungimento di un fine prefissa-to. In altre parole dato un obiettivo comune, quello di realizzare poesie d’avanguardia che avessero un impatto comunicativo su vasta scala e fossero accessibili e fruibili dal grande pubblico, la poesia concreta ha dimostrato in definitiva, almeno secondo la presente analisi, di essere meglio attrezzata di quella visiva, sia dal punto di vista ideologico che da quello formale48, per raggiungere tale obiettivo.

Poesia?

Ma fino a che punto questo obiettivo di creare una nuova poesia comunicativa e “popolare” può essere considerato veramente raggiun-to? O, meglio, in che misura quello che abbiamo definito come il “successo comunicativo” del concretismo, può essere considerato anche un “successo poetico”? Abbiamo usato l’espressione “succes-so comunicativo” in relazione all’opera di Finlay in virtù della sua visibilità e diffusione pubblica (assolutamente eccezionale per dei testi d’avanguardia). Tuttavia, verrebbe da chiedersi, quanti tra i fruitori di un opera quale, ad esempio, The Present Order, riconoscono in essa un testo poetico piuttosto che una semplice serie di panchine in pietra con su incise delle scritte variamente evocative? E, di conseguenza, è così necessario che la poesia concreta venga riconosciuta come tale (o

48 Il linguista e studioso di cultura popolare russo Georgij Starostin, in un saggio sulla musica commerciale, definisce in generale un’opera «inadequate» quando «[its] form and structure do not correspond to [its] supposed goal» (Georgij Starostin, The Endless Battle of Subject vs. Object, http://starling.rinet.ru/music/essay3.htm).

1�2 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

almeno come poesia) dal pubblico? Ci eravamo già posti una doman-da analoga di fronte a un esempio dei manifesti pubblicitari realizzati dai poeti concreti brasiliani49, ma la questione può essere estesa, oltre che agli arredi ambientali di Finlay, anche ai componimenti ludici dei concretisti tedeschi50 e ai “giochi enigmistici” di Morgan fino ad arri-vare alle grafica commerciale dei costruttivisti russi.

Haroldo de Campos sembrerebbe avere le idee piuttosto chiare in merito:

Não importa de fato chamar o poema de poema: importa consumi-lo, de uma ou de outra forma, como coisa51.

L’affermazione dell’autore brasiliano è senz’altro coerente con il concetto concretista (e costruttivista) di testo-oggetto versatile e funzionale, ma lo è molto meno nei confronti dell’ambizione dichiara-ta di fare della poesia d’avanguardia la nuova poesia popolare. Quello di de Campos appare, da questo punto di vista, più un compromesso al ribasso che una constatazione di un effettivo e totale successo. Certo, la fruizione su vasta scala degli oggetti poetici concretisti rappresenta senz’altro (come abbiamo finora tentato di provare) un risultato signi-ficativo nell’ambito dell’arte d’avanguardia, ma è tuttavia indubbio che l’attribuzione a tali oggetti del “valore simbolico” di poesia da parte del “popolo” sia una condizione imprescindibile per definire tali oggetti “poesia popolare”. Osserva Bourdieu:

[L]’opera d’arte esiste in quanto oggetto simbolico dotato di valore solo se è conosciuta e riconosciuta, ovvero socialmente istituita come opera d’arte da spettatori dotati della disposizione e della competenza estetica necessaria per conoscerla e riconoscerla in quanto tale [...]52.

In quest’ottica il concretismo – e con esso anche la poesia “ambien-tale” di Finlay – sembrerebbe trovarsi di fronte a una sorta di vico-lo cieco. Se da una parte è infatti naturale che l’arte d’avanguardia, proprio in virtù della sua novità, non venga recepita come tale dal

49 Cfr. cap. 3.50 Cfr. cap. 1.51 Augusto de Campos, Haroldo de Campos, Décio Pignatari, Teoria da poesia

concreta: textos críticos e manifestos 1950-1960, São Paulo, Brasiliense, 1987 (1965), p. 153.

52 Bourdieu, Le regole dell’arte: genesi e struttura del campo letterario, cit., p. 304.

1�35. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

pubblico53, dall’altra, nel caso della poesia concreta, questo sfasamen-to tra l’opera-oggetto e quello che Jauss definiva l’«orizzonte d’at-tesa del lettore»54 sembrerebbe in buona misura pregiudicare il tipo di riabilitazione sociale della poesia che il concretismo si prefiggeva di ottenere. Eppure, nonostante la presente analisi abbia cercato di dimostrare la validità dei principi formali concretisti e la loro “adegua-tezza” a strutturare testi potenzialmente “popolari”, sarebbe quanto meno improprio imputare ai soli testi (e ai loro autori) la mancata estensione dell’idea comune di poesia fino a includere anche le opere dei poeti concreti. Nota ancora il sociologo francese:

Il produttore del valore dell’opera d’arte non è l’artista ma il campo di produzione in quanto universo di credenza [...L]a scienza delle opere [...] deve quindi prendere in considerazione non solo i produttori diretti dell’opera d’ar-te nella sua materialità (artista, scrittore ecc.), ma anche l’insieme degli agenti e delle istituzioni che partecipano alla produzione del valore dell’arte in generale e nel valore distintivo di questa o quell’opera d’arte (critici, storici dell’ar-te, editori, direttori di gallerie, mercanti d’arte, direttori di museo, mecenati, collezionisti, membri di comitati di consacrazione, accademie, salons, giurie ecc.) e l’insieme delle autorità politiche e amministrative competenti in mate-ria d’arte [...] che possono agire sul mercato dell’arte [...], senza dimenticare i membri degli istituti che contribuiscono alla produzione dei produttori (Scuole di belle arti ecc.) e alla produzione dei consumatori atti a riconoscere l’opera d’arte come tale, ossia come valore, a cominciare dai professori e dai genitori, responsabili dell’iniziale inculcazione delle disposizioni estetiche55.

In definitiva, ci troviamo ancora una volta di fronte alla necessità di inserire poesie, poeti e rispettive ambizioni comunicative in un conte-sto che va molto al di là dei singoli atti di progettazione e creazione dei testi. Un contesto in cui ogni possibile mutamento del concetto di poesia condiviso dal grande pubblico – e, di conseguenza, ogni possibi-le attribuzione “popolare” del valore di poesia ai testi-oggetto concre-tisti – non può che essere inquadrato in una prospettiva di lungo termi-ne che sembrerebbe, a prima vista, agli antipodi rispetto alla radicalità

53 Cfr. Renato Poggioli, Teoria dell’arte d’avanguardia, Bologna, il Mulino, 1962, pp. 44-55 e Theodor W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, Torino, 1975, pp. 54-58.

54 Cfr. Hans Robert Jauss, Storia della letteratura come provocazione, Bollati Bo-ringhieri, Torino, 1999, e A. Compagnon, Il demone della teoria: letteratura e senso comune, Einaudi, Torino, 2000, pp. 228-233.

55 Bourdieu, Le regole dell’arte: genesi e struttura del campo letterario, cit., p. 305.

1�4 L’AvANGuARDIA PER TuTTI: CONCRETISMO E POESIA vISIvA TRA RuSSIA, EuROPA E BRASILE

quasi eversiva tipica, in genere, dei manifesti teorici delle avanguardie novecentesche.

è solo, in altre parole, attraverso la presa d’atto, da parte dell’arti-sta, di questo cambio di prospettiva – ovvero della necessità di puntare alla ricerca di mutamenti progressivi piuttosto che radicali – che le ambizioni concretiste di creare una nuova poesia “popolare” assumo-no un senso non velleitario e una potenziale efficacia legata proprio alla conseguente concezione dei testi non come grimaldelli culturali ad effetto istantaneo, ma piuttosto – ed è questo il filo rosso comune al nostro percorso analitico – come luoghi di dialogo, frizione e negozia-zione per quella complessa rete di relazioni dinamiche tra forze diverse (e spesso opposte) che caratterizza l’evoluzione artistica dal punto di vista sociale e culturale56. Una presa d’atto che abbiamo cercato di evidenziare, in particolare, nell’opera di Finlay, ma di cui si posso-no rilevare tracce non solo nelle altre esperienze concretiste prese in esame, ma anche, come ora vedremo, nell’ultima fase di quel movi-mento costruttivista che, nella Russia degli anni ’20, aveva gettato le fondamenta per il concretismo. In conclusione, ci sembra particolar-mente appropriata proprio un’osservazione di Majakovskij che nel 1928, poco prima che lo stalinismo annichilisse di fatto i progetti delle avanguardie, cercava di riaffermare la centralità e la validità e dei testi e degli obiettivi culturali del costruttivismo proprio reinquadrandoli – con parole che riecheggiano di fatto le sopraccitate considerazioni di Bourdieu – in una prospettiva sociale e temporale più ampia, eviden-ziando il problema attraverso una riflessione che, una volta depura-ta dai riferimenti al contesto sovietico in cui fu scritta, mantiene una valenza di fondo tutt’altro che inattuale:

Una genuina arte proletaria [e con arte proletaria qui Majakovskij intende la poesia costruttivista] deve essere comprensibile alle masse. Sì o no?

56 In quest’ottica, il percorso di riavvicinamento della poesia alla cultura “popola-re” che caratterizza la poesia concreta può essere avvicinato a quello intrapreso dalla cosiddetta “musica leggera” (e portato avanti in particolar modo, negli ultimi decenni, dalla “canzone d’autore” prima e dal rap poi). Un percorso, quest’ultimo, contraddistin-to, rispetto al concretismo, oltre che da evidenti peculiarità stilistiche e formali, anche da differenze fondamentali per quanto riguarda sia il punto di partenza (in genere la stessa cultura “commerciale” piuttosto che lo sperimentalismo avanguardistico), sia la direzio-ne del tragitto di “rottura” intrapreso all’interno del campo di produzione culturale (dal “basso” verso l’“alto” piuttosto che dall’“alto” verso il “basso”).

1�55. EPILOGO: TESTI PRODuCIBILI E IMPATTO COMuNICATIvO

Sì e no. Sì, ma con un correttivo dato dal tempo e dalla propagan-da. L’arte non nasce arte di massa, ma lo diventa come risultato di una somma di sforzi: analisi critica per valutarne lo spessore e l’utilità, diffusione organizzata mediante i canali statali, tempismo della diffu-sione di massa, corrispondenza tra le domande sollevate dal libro e la maturità delle risposte delle masse. Quanto maggiore è la qualità del libro, tanto più velocemente riuscirà a bruciare le tappe57.

57 Vladimir Majakovskij, Vas ne ponimajut rabočie i krest’jane, «Novyj Lef», no. 3, 1928, p. 38 [Trad. mia]. Il titolo dell’articolo è indicativo: «I proletari e i contadini non vi capiscono».

Appendice Testi

1��APPENDICE

Fig. 1.1. Eugen Gomringer, Silencio, 1954, in Emmett Williams (ed.), An Anthology of Concrete Poetry, New York, Something Else Press, 1967, pp. 117.

Fig. 1.2. Eugen Gomringer, Schweigen, 1954, in Vincenzo Accame, L’uso della parola nei vari tipi di poesia visuale, «Testuale», vol. 7, 1987, p. 92.

170 APPENDICE

Fig. 1.3. Seiichi Niikuni, River/Sandbank, 1963, in Emmett Williams (ed.), An Anthology of Concrete Poetry, New York, Something Else Press, 1967, p. 219.

171APPENDICE

Fig. 1.4. Reinhard Döhl, Apfel, 1965, in Emmett Williams (ed.), An Anthology of Concrete Poetry, New York, Something Else Press, 1967, p. 83.

172 APPENDICE

Fig. 1.5. Lucia Marcucci, È guerra d’eroi, in Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Filiberto Menna, Ermanno Migliorini, Luciano Ori, La poesia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1980, p. 29.

173APPENDICE

Fig. 1.6. Lucia Marcucci, I classici dell’amore, 1971, in Gillo Dorfles, Vit-torio Fagone, Filiberto Menna, Ermanno Migliorini, Luciano Ori, La poesia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1980, p. 60.

174 APPENDICE

Fig. 1.7. Ketty La Rocca, Bianco Napalm, 1966 in Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Filiberto Menna, Ermanno Migliorini, Luciano Ori, La poesia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1980, p. 29.

175APPENDICE

Fig. 2.1. Aleksandr Rodčenko,Vladimir Majakovskij, Pubblicità per la Rezinotrest, 1923, in Mikhail Anikst, Elena Černevič, Grafica commerciale sovietica degli anni Venti, Cantini, Firenze, 1990, p. 46.

17� APPENDICE

Fig. 2.2. Vasilij Kamenskij, Kartinija dvorec S. I. Ščukin, 1914, in Claudio Parmiggiani (a cura di), Alfabeto in sogno: dal carme figurato alla poesia con-creta, Milano, Mazzotta, 2002, p. 373.

177APPENDICE

Fig. 2.3. Vladimir Majakovskij, Rosta n. 473, 1920, in Id., Polnoe Sobranie Sočinenij v 13-ti tomach, Mosca, GIKhL, 1955-1961, vol. 3, p. 154. Il testo recita: «Vrangel’ a fondo / Vrangel’ via! / Vrangel’ è il nemico / Vrangel’ nel burrone!» (Trad. it. di Roberto Messina in Roberto Messina, Majakovskij artista, Rieti, Biblioteca Paroniana, 1993, p. 372).

17� APPENDICE

Fig. 2.4. Vladimir Majakovskij, Rosta n. 867, 1921, in Roberto Messina, Majakovskij artista, Rieti, Biblioteca Paroniana, 1993, p. 436. (Vuoi? Entra! / 1. Vuoi vincere il freddo? / 2. Vuoi vincere la fame? / 3. Vuoi mangiare? / Vuoi bere? / Affrettati ad entrare nel gruppo d’assalto del lavoro esemplare [Trad. it. di R. Messina in Ibidem]).

17�APPENDICE

Fig. 2.5. Vladimir Majako-vskij, El Lisickij, Moj Maj, 1923, in Mikhail Anikst, Ele-na Černevič, Grafica commer-ciale sovietica degli anni Venti, Cantini, Firenze, 1990, p. 118. Majakovskij e Lisickij scelsero di distribuire i testi più lunghi in più pagine secondo criteri ben precisi, anche al fine di non rendere il rapporto visivo tra testo e grafica troppo di-spersivo. La pagina riprodotta contiene la prima parte della poesia. Il testo, alla lettera: «A tutti / scesi per le strade, / il corpo spossato dalla mac-china. / A tutti / a quanti invo-cano una festa / alle schiene / sfinite dalla terra / Il primo di maggio / Il primo tra i maggi» [Trad. mia].

Fig. 2.6. Vladimir Majakovskij, El Lisickij, Ljublju, 1923, in Sophie Lisitskij-Küppers, El Lisitskij: pittore architetto tipografo fotografo, Editori Riuniti, Roma, 1992, p. 93.

1�0 APPENDICE

Fig. 2.7. Aleksandr Rodčenko, Vladimir Majakovskij, Pubblicità per la bir-ra Trechgornoe, 1925, in Magdalena Dabrowski, Leah Dickerman, Peter Ga-lassi (eds.), Aleksandr Rodchenko, New York, MoMA, 1999 (1998), p. 198. (La birra Trechnogornoe [lett.: dei tre monti] / distilla via / l’ipocrita e la vodka fatta in casa [Trad. mia]).

1�1APPENDICE

Fig. 2.8. Aleksandr Rodčenko, Vladimir Majakovskij, Pubblicità per la linea aerea Dobrolet, 1923, in Magdalena Dabrowski, Leah Dickerman, Peter Ga-lassi (eds.), Aleksandr Rodchenko, New York, MoMA, 1999 (1998), p. 186. (A tutti... Atutti... A tutti / Non è cittadino dell’URSS chi non è azionista Do-brolet [Trad. mia]).

1�2 APPENDICE

Fig. 2.9. Aleksandr Rodčenko, Vladimir Majakovskij, Pubblicità per il Mosselprom, 1923, in Magdalena Dabrowski, Leah Dickerman, Peter Galassi (eds.), Aleksandr Rodchenko, New York, MoMA, 1999 (1998), p. 197.

1�3APPENDICE

Fig. 2.10. Edificio del Mosselprom decorato da Aleksandr Rodčenko e Vladimir Majakovskij. Foto scattata nel 1925 e tratta da Selim O. Khan-Magomedov, Rodchenko: The Complete Work, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1987, p. 143.

1�4 APPENDICE

Fig. 3.1. Décio Pignatari, Terra, 1956, in Mary Ellen Solt, Concrete Poetry: A World View, Bloomington, Indiana University Press, 1968, p. 107.

1�5APPENDICE

Fig. 3.2. Ronaldo Azeredo, ruasol, 1957 in Claus Clüver, Reflections on Verbivocovisual Ideograms, «Poetics Today», vol. 3, no. 3, 1982, p. 139.

1�� APPENDICE

Fig. 3.3. Augusto de Campos, sem um numero, 1957, in Mary Ellen Solt, Concrete Poetry: A World View, Bloomington, Indiana University Press, 1968, p. 95.

1�7APPENDICE

Fig. 3.4. Lúcio Costa, Plano Piloto de Brasília, 1957, in http://www.iphan.gov.br/bens/Mundial/p8_9.htm. L’acronimo visibile nella figura in basso a si-nistra sta per «Plano Piloto de Brasília».

1�� APPENDICE

Fig. 3.5. Décio Pignatari, beba coca cola, 1958, in Mary Ellen Solt, Concrete Poetry: A World View, Indiana University Press, Bloomington, 1968, p. 108.

1��APPENDICE

Fig. 3.6. José Lino Grünewald, petróleo, 1957, in Emmett Williams (ed.), An Anthology of Concrete Poetry, New York, Something Else Press, 1967, p. 133.

1�0 APPENDICE

Fig. 3.7. Emilio Isgrò, Dio è un essere perfettissimo, 1964, in Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Filiberto Menna, Ermanno Migliorini, Luciano Ori, La poe-sia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1980, p. 29.

1�1APPENDICE

Fig. 3.8. Eugenio Miccini, La disfatta, 1964, in http://www.firenzemostre.com/cat/manifest.htm.

1�2 APPENDICE

Fig. 3.9. Lamberto Pignotti, Il neocapitalismo che crea un’atmosfera, 1965, in Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Filiberto Menna, Ermanno Migliorini, Lu-ciano Ori, La poesia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1980, p. 31.

1�3APPENDICE

Fig. 3.10. Décio Pignatari e Alexandre Wollner, mol...mol, 1965, in Amélia Paes Vieira Reis, Design concretista: um estudo das relações entre o design gráfico, a poesia e as artes plásticas concretistas no Brasil, de 1950 a 1964, Rio de Janeiro, Pontíficia Universidade Católica, 2005, p. 122.

1�4 APPENDICE

Fig. 3.11. Rubens Martin, Disenfórmio, anni ‘60 in Amélia Paes Vieira Reis, Design concretista: um estudo das relações entre o design gráfico, a poesia e as artes plásticas concretistas no Brasil, de 1950 a 1964, Rio de Janeiro, Pontífi-cia Universidade Católica, 2005, p. 119.

1�5APPENDICE

Fig. 3.12. Mirella Bentivoglio, Ti am/o, 1970 in Gillo Dorfles, Vittorio Fa-gone, Filiberto Menna, Ermanno Migliorini, Luciano Ori, La poesia visiva (1963-1979), Firenze, Vallecchi, 1980, p. 59.

1�� APPENDICE

Fig. 3.13. Ketty La Rocca, Noi due, 1968 in Lamberto Pignotti, Stefania Stefanelli, La scrittura verbo-visiva: le avanguardie del Novecento tra parola e immagine, Roma, Editoriale L’Espresso, 1980, p. 183.

1�7APPENDICE

Fig. 4.1. Ian Hamilton Finlay, Homage to Malevich, 1963, in Adriano Spa-tola, Verso la poesia totale, Salerno, Rumma, 1969, p. 31.

1�� APPENDICE

Fig. 4.2. Kazimir Malevič, Quadrato nero su sfondo bianco, 1913, in L’Uni-versale: Arte, Milano, Garzanti, 2005, p. 1502.

1��APPENDICE

Fig. 4.3. Ian Hamilton Finlay, Homage to Malevich, 1963, in Edwin Mor-gan, Essays, Manchester, Carcanet, 1974, p. 22.

200 APPENDICE

Fig. 4.4. Kazimir Malevič, Croce nera su sfondo bianco, 1913, tratto dal catalogo della mostra Kazimir Malevič: oltre la figurazione, oltre l’astrazione, Firenze, Skira, 2005.

201APPENDICE

Fig. 4.5. Ian Hamilton Finlay, Acrobats, 1964, in Yves Abrioux, Ian Hamilton Finlay: A Visual Primer, Edinburgh, Reaktion Books, 1985, p. 184.

202 APPENDICE

Fig. 4.6. Ian Hamilton Finlay, Wave Rock, 1966, in «The Beloit Poetry Journal», vol. 17, no. 1, 1966, p. 1.

203APPENDICE

Fig. 4.7. Ian Hamilton Finlay, Cloud, 1968, in Alec Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, Edinburgh, Polygon, 1995, p. 31.

204 APPENDICE

Fig. 4.8. Ian Hamilton Finlay, Grove of Silence, 1986, in Zdenek Felix, Pia Simig, (eds.), Ian Hamilton Finlay: Works in Europe 1972-1995, Ostfildern, Hatje Cantz, 1996. Pagine non numerate.

205APPENDICE

Fig. 4.9. Ian Hamilton Finlay, Enterprise, 1975, in Ian Hamilton Finlay, Ron Costley, Heroic Emblems, Calais, Z Press, 1977. Pagina non numerata.

Fig. 4.10. Ian Hamilton Finlay, Midway, 1977. Le immagini dell’opera sono tratte dal sito Internet della Tate Gallery: http://www.tate.org.uk/servlet/ViewWork?cgroupid=999999961&workid=4322&searchid=8920.

20� APPENDICE

Fig. 4.11. Ian Hamilton Finlay, Nuclear Sail, 1974, in Yves Abrioux, Ian Hamilton Finlay: A Visual Primer, Edinburgh, Reaktion Books, 1985, p. 179.

207APPENDICE

Fig. 4.12. Ian Hamilton Finlay, Garden Temple, 1980, in Alec Finlay (ed.), Wood Notes Wild: Essays on the Poetry and Art of Ian Hamilton Finlay, Edinburgh, Polygon, 1995, p. 115.

20� APPENDICE

Fig. 5.1. Ian Hamilton Finlay, L’ordre d’avui, 1999, in Peter Coats: Carving, Sculpture, Lettering, http://www.peter-coates.com/selected/the_present_order.html.

20�APPENDICE

Fig. 5.2. Lamberto Pignotti, L’avanguardia tutta nuova, 1968, in AA.VV, Lamberto Pignotti, Firenze, Edizioni META, 1999, p. 19.

210 APPENDICE

Fig. 5.3. Ian Hamilton Finlay, The Present Order, 1983, in http://www.greatcompany.org.uk/edinburgh_social_events_gallery.php

211APPENDICE

Fig. 5.4. Edwin Morgan, Message Clear, 1967, in Edwin Morgan, Collected Poems, Manchester, Carcanet, 1996, p. 159.

212 APPENDICE

Fig. 5.5. Edwin Morgan, Manifesto, 1967, in Edwin Morgan, Collected Poems, Manchester, Carcanet, 1996, p. 136.

213APPENDICE

Fig. 5.6. Tristan Tzara, “Pour faire un poème dadaïste”, 1920, in Tristan Tzara, Oeuvres complètes, vol.1, Paris, Flammarion, 1975, p. 382.

Pour faire un poème dadaïste

Prenez un journal.Prenez les ciseaux.Choisissez dans le journal un article ayant la longeur que vous

comptez donner à votre poème.Découpez l’article.Découpez ensuite avec soin chacun de mots qui forment cet article

et mettez-les dans un sac.Agitez doucement.Sortez ensuite chaque coupière l’une après l’autre.Copiez consciencieusement dans l’ordre où elles ont quitté le sac.Le poème vous resemblera.Et vous voilà un écrivain infiniment original et d’une sensibilité

charmante, encore qu’incomprise du vulgaire.

214 APPENDICE

Fig. 5.7. Caetano Veloso, Gilberto Gil, Batmacumba, 1968, in AA.VV., Tropicália: ou panis et circensis, Philips, R 765.040L, 1968.

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