La tutela cautelare nell'arbitrato
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INDICE SOMMARIO
PREMESSA .................................................. 7 INTRODUZIONE .............................................. 11
CAPITOLO PRIMO
L’ARBITRATO NELLA DISCIPLINA ITALIANA: LA COMPETENZA ESCLUSIVA DEL GIUDICE STATALE
1 La tutela cautelare nell’arbitrato: concetti e
problematiche nella classificazione tradizionale
1.1 Definizione e ragioni per una classificazione .... 15
1.2 Arbitrato amministrato e arbitrato ad hoc ........ 19
1.3 Arbitrato nazionale ed arbitrato estero .......... 20
1.4 L’arbitrato internazionale come species
dell’arbitrato domestico: problemi
interpretativi alla luce della riforma del
2006 e del diritto internazionale privato ........ 23
1.5 Arbitrato rituale ed irrituale ................... 28
2 La competenza esclusiva del giudice statale
2.1 L’art. 818: ratio e portata del divieto ......... 34
2.2 Estensione ed effetti del divieto (segue) ....... 41
2.3 Il procedimento cautelare di fronte al
giudice ordinario per controversie
compromesse in arbitri: competenza e
accoglimento, inefficacia, revoca e modifica
del provvedimento ............................... 46
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2.4 L’istruzione preventiva prima e dopo la
sentenza della Corte Costituzionale 28
gennaio 2010 n. 26 .............................. 51
CAPITOLO SECONDO
LA COMPETENZA CAUTELARE DEGLI ARBITRI NELLA DISCIPLINA
ITALIANA
1 Il limitato potere cautelare degli arbitri nel
sistema italiano
1.1 Il potere cautelare degli arbitri nel rito
societario ...................................... 57
1.2 Le eccezioni implicite: critica ................... 63
1.3 Limiti ed estendibilità dei poteri cautelari
degli arbitri ..................................... 69
2 Analisi delle ragioni del divieto e delle
soluzioni offerte
2.1 La chiave di lettura offerta dall’art 111 e
dai trattati europei ............................ 71
2.2 Orientamenti sull’applicabilità delle
astreints alla tutela cautelare e
all’arbitrato (rituale): chiave di lettura di
un’evoluzione normativa? ........................ 74
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CAPITOLO TERZO
LA TUTELA CAUTELARE NELL’ARBITRATO INTERNAZIONALE
1 La competenza concorrente degli arbitrati in
materia cautelare
1.1 Ragioni e utilità dello studio della tutela
cautelare nell’arbitrato internazionale ......... 81
1.2 La convenzione di New York e la convenzione di
Ginevra ......................................... 83
1.3 La legge modello UNICTRAL ....................... 86
1.4 Maggiori regolamenti arbitrali .................. 90
1.5 Breve rassegna di modelli adottati nelle
legislazioni nazionali .......................... 97
1.6 Rapporti tra giurisdizioni ordinarie e
giurisdizioni arbitrali per nell’emissione di
provvedimenti cautelari: affermazione del
modello a competenza concorrente ............... 103
2 Le misure adottabili
2.1 Tipologie di misure cautelari arbitrali; le
anti-suit injunctions .......................... 109
2.2 Le misure ex parte ............................. 115
2.3 Le misure pre-arbitrali ........................ 121
CONCLUSIONI .............................................. 125
BIBLIOGRAFIA ............................................. 131
RINGRAZIAMENTI ............................................ 145
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PREMESSA
Quando abbiamo concordato il titolo di questo lavoro con il
Professor Biavati, che ringrazio per la professionalità e
comprensione avuta in questi mesi, la prima cosa che ho
fatto è stato cercare su internet di cosa trattasse –non me
ne vogliano per il metodo coloro che della ricerca ne hanno
fatto una professione. È stato frustrante vedere pochi e
ripetitivi risultati che principalmente rinviavano
all’articolo 818. E consultando la norma nel codice la
reazione è stata non meno sconfortante: «Gli arbitri non
possono concedere sequestri, né altri provvedimenti
cautelari, salva diversa disposizione di legge».
Come si può strutturare una tesi su una norma che vieta?
Cosa riuscirò a scrivere su una cosa “che non si può fare”?
Questi erano gli interrogativi che mi riempivano la testa
quando ho iniziato ricercare documenti sull’argomento.
Gli esiti di due mesi di ricerca per “entrare nella
materia” non erano poi così scoraggianti: decine di
articoli dottrinali che, sebbene in maniera non sistematica
ed organica, componevano un quadro, un mosaico direi,
rappresentativo del complesso intreccio delle norme che
regolano i due istituti, la tutela cautelare e l’arbitrato.
E così l’obiettivo è diventato di tentare di dare una
visione di insieme ad una materia poco organica e trattata
con frammentarietà.
A dar forza alle mie opinioni inoltre non v’era (quasi)
alcun dato della giurisprudenza, come se l’argomento fosse
un caso di scuola. Dopo un mese dall’inizio della fase di
redazione mi sembrava di aver sotto mano un argomento
teorico, di monopolio e interesse dei soli studiosi; e
ritenevo superfluo il lavoro di uno studente che
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confrontandosi con gli scritti e le teorie dei migliori
giusprocessualisti civili si limitasse a tracciare le
linee guida della materia. Impiegavo ore per tirare le fila
e comporre discussioni che sembravano non aver alcun
risvolto pragmatico. Sempre crescenti però erano i rinvii
che incontravo nella letteratura al fenomeno internazionale
e comparativo. Così, timoroso della mole del lavoro che mi
aspettava, ho iniziato ad indirizzare la ricerca
nell’ambito internazionale e comparatistico. I risultati
sono stati sorprendenti. Infatti “si è aperto un mondo”, il
mondo dell’arbitrato internazionale; costituito da una
miriade di istituzioni, ognuna governata da regole proprie,
che emettono ogni anno migliaia di decisioni in materia
cautelare. Così mi è sembrato meno stravagante e non un
mero esercizio teoretico quello che la nostra dottrina, con
sforzo, ha tentato a più riprese di fare, cercando di
espandere all’indicibile i limiti del divieto e andandone a
ricercare le più profonde radici storiche e ontologiche. Mi
sono sembrate, così, meno di bandiera e più concrete quelle
battaglie sull’interpretazione (quasi maniacale) delle
norme o su complesse argomentazioni meramente ipotetiche.
Perché molte costruzioni, per quanto belle e solide, sono
grattacieli costruiti su fondamenta di carta -e mi pare che
ciò, da profano lo si veda con più chiarezza. Raffinati
esperimenti teorici che possono crollare al confronto con
un drammatico, poiché inesistente, riscontro pratico. Ma
non sono vani.
Come accenno in un passaggio dell’elaborato, le inversioni
di rotta giurisprudenziali e dei legislatori nascono sempre
dal basso: ora da un’argomentazione particolarmente
convincente di un avvocato che passa il vaglio del Supremo
Collegio, ora da una critica fondata che emerge da un
confronto fra gli studiosi, e così via. In questo caso la
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critica non solo è unanimemente gridata dalla migliore
dottrina italiana, ma corroborata da una pratica
internazionale che non lascia spazio a dubbi sulla
possibile configurabilità e legittimità.
Il problema, com’era già stato notato 1 , non è solo
giuridico. Il problema è anche economico, poiché una norma
del genere contribuisce ad escludere l’Italia dal traffico
degli scambi internazionali. I litiganti, già restii a
scegliere il nostro Paese come luogo dei loro affari, e
quindi delle loro potenziali controversie, non possono così
nemmeno contare su un’efficiente giustizia alternativa,
intrappolati come sono gli arbitri nelle strette maglie
cucite dalla legge.
Ed il problema, se si vuole, è anche politico, poiché
dimostra come il legislatore -che pure si è recentemente
confrontato con il tema dell’arbitrato- non ha saputo
recepire tutte le indicazioni che provenivano dalla prosa
giuridica. Né ha saputo fare una cosa ancor più semplice:
confrontare la propria legge con quella di tutti gli Stati
dell’UE. Si è arroccato in una posizione eremitica che
potrà essere abbandonata solo alla luce di una revisione
della maniera di effettuare certe scelte legislative.
Agli albori della formazione di un nuovo governo, che
colloca un politico al vertice del Ministero della
Giustizia, sembra riemergere con attualità il tema della
politica legislativa e della maggiore o minore inclusione
dei tecnici nella redazione delle leggi. So che in momenti
storico-politici come questo sembra blasfemo anche solo
pronunciarne il nome, ma qui si cerca solo di valutare il
ruolo di chi studia e si confronta quotidianamente con
1 BIAVATI, Spunti critici sui poteri cautelari degli arbitri, in Riv. Arb., 2013, p. 335 parla del nostro ordinamento come di «un’isola antica, che contribuisce a rendere il nostro paese luogo non particolarmente attrattivo per i litigators internazionali».
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queste tematiche; pur riconoscendo che la giustizia è una
materia omogenea che non può e non deve essere appannaggio
dei soli operatori giuridici, sembra opportuno domandarsi
se ed in che misura la politica può influire su scelte
prettamente di settore. E così si può accogliere con favore
la nomina di un politico come vertice della giustizia
italiana cosicché la politica -mai così distante dai
cittadini- si riprenda oneri e onori di certe scelte. Ma
perché vi siano anche gli onori, la politica ministeriale
non potrà che essere inclusiva nei confronti dei migliori
(e mistificati) tecnici che più umanamente sono studiosi e
pratici del diritto che dignitosamente nell’ombra
suppliscono ai vuoti della macchina giustizia.
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INTRODUZIONE
Il problema della tutela cautelare nell’arbitrato può
sembrare agli occhi di molti un problema tecnico, isolato e
tutto sommato di limitata importanza.
Il codice di procedura civile vi dedica una secca norma che
vieta agli arbitri di emettere provvedimenti cautelari. Per
sopperire a questa grave mancanza il legislatore ha
approntato così una normativa parallela, inserita nel
contesto del procedimento cautelare uniforme, che consente
alle parti di un arbitrato di chiedere la medesima tutela
al giudice statale.
Nel primo capitolo di questo lavoro, muovendo dalle
definizione e classificazioni fondamentali nell’arbitrato
applicate al tema della tutela cautelare, si tenta di
sistematizzare le norme che completano il quadro della
giurisdizione cautelare esclusiva dei giudici statali
nell’ambito dell’arbitrato. La sintetica disposizione
dell’articolo 818 in realtà cela grossi problemi di
raccordo con la disciplina cautelare uniforme. La vacatio
iurisdictionis creata dal articolo 818 non è infatti
colmata da una disciplina uniforme che regoli procedimento
cautelare in caso di compromesso, clausola compromissoria o
pendenza del giudizio arbitrale. Le norme sono contenute in
varie disposizioni sparse negli articoli 669-bis/669-
quaterdecies che si è cercato di ricostruire in un mosaico
uniforme. Nel secondo capitolo si è cercato di comporre in
maniera organica l’insieme delle residuali eccezioni
-implicite ed esplicite- all’interdizione contenuta
nell’articolo 818. La seconda norma della parte infatti fa
salve eventuali diverse disposizioni di legge ed è stata
inserita dal legislatore del 2006 con l’intento di
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coordinare quell’unica eccezione presente nella legge e
costituita dalla sospensione delle delibere assembleari. Ma
la clausola di salvezza, non limitandosi a richiamare
esplicitamente l’art. 35 del D. Lgs 5/2003, di fatto lascia
spazio ad un’ermeneutica aperta su eventuali altre deroghe
rinvenibili nel codice. Ed è così che si possono scovare
alcune limitate ipotesi che seppure non scalzano di un
passo il divieto, lo rendono un po’ meno perentorio e
soprattutto rilevano la poca idoneità dello stesso ad
essere costituivo di un insuperabile valore assoluto. È
sempre in questo contesto che si colloca il copioso
contributo dottrinale che a più riprese ha evidenziato
l’assenza di ragioni strutturali ed ontologiche del
divieto. Questo aspetto unito ad un’attenta comparazione
con il sistema internazionale, consentono di affermare che
tale divieto non trova più ragion d’essere nella
spiegazione classica, costituita dalla mancanza dei poteri
di imperium degli arbitri.
Proprio il dato comparativo e lo studio delle principali
legislazioni statali e dei maggiori regolamenti arbitrali,
affrontati nel terzo capitolo, mostrano la pochezza
argomentativa su cui si fonda il nostro articolo 818.
Allo stesso tempo dimostrano come invece la tutela
cautelare arbitrale sia una realtà concreta e che ricorre
sovente. Non è un mero esercizio teorico svolto dai
commentatori, ma una solida pratica consolidata da
migliaia di applicazioni.
Lo studio di questo complesso fenomeno è potenzialmente
sterminato; qui l’analisi delle condizioni, della
procedura, dei vari tipi di misure e del rapporto con le
corti statali si interfacciano e combinano con una
molteplicità di fonti di produzione (Convenzioni, leggi
nazionali e regolamenti arbitrali) andando a creare una
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struttura complessa ed eterogenea che sfugge ad una
catalogazione sistematica.
Per questo e per ragioni di brevità espositiva si è scelto
di esaminare solo certi aspetti principali della
disciplina, come le fonti, ed alcune selezionate misure per
le peculiarità che presentano.
A parte la suddivisione tematica e il doppio binario
argomentativo (disciplina interna ed internazionale), si è
provato ad esaminare la materia sotto la lente
d’ingrandimento del rapporto fra giurisdizione statale e
arbitrale in materia cautelare; come si può intuire, tanti
più poteri vengono affidati agli arbitri tanto meno bisogno
ci sarà di rivolgersi ai giudici togati. Nessuna
legislazione, tuttavia, arriva al punto di escludere in
toto la competenza dei giudici cui è sempre affidata, in
linea di massima, l’esecuzione forzata delle misure.
Quest’ultima considerazione può spingerci oltre a
speculazioni di carattere più generale: il legislatore
nell’affrontare il problema della tutela cautelare
nell’arbitrato ha chiuso la porta ad una soluzione più
vicina alla volontà manifestata dalle parti e più lontana
dall’obiettivo prioritario di alleggerire la macchina della
giustizia civile. Con un’incursione paternalistica il
legislatore ha riaffermato la superiorità della potestas
iudicandi statale a nocumento della libertà
contrattualistica delle parti. In questo senso mi sembra
che l’oggetto di questo scritto sia una buona proiezione di
un indirizzo di politica del diritto intrapreso dal nostro
legislatore. Farsi delle grandi domande per rispondere a
piccole questioni e viceversa è il metodo e l’obiettivo che
mi sono prefissato per dare più ampio respiro ad una
questione che altrimenti potrebbe essere relegata
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all’interesse di pochi studiosi certamente più preparati di
me.
Gli interrogativi che stanno a priori dell’argomento sono
due: può il tema della tutela cautelare nell’arbitrato
essere la cartina di tornasole del mal funzionamento della
giustizia civile in Italia? E quindi, le soluzioni
auspicate, potrebbero significare un mutato approccio del
legislatore capace di risolvere i problemi più generali
legati alla lentezza del processo civile?
Alla luce di queste domande mi accingo ad affrontare la
questione nella speranza di sollevare più dubbi che fornire
risposte.
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CAPITOLO PRIMO
L’ARBITRATO NELLA DISCIPLINA ITALIANA: LA COMPETENZA ESCLUSIVA DEL GIUDICE STATALE
SOMMARIO: 1. La tutela cautelare nell’arbitrato: concetti e problematiche nella
classificazione tradizionale. – 1.1 Definizione e ragioni per una classificazione. - 1.2
Arbitrato amministrato e arbitrato ad hoc. - 1.3 Arbitrato nazionale ed arbitrato
estero. - 1.4 L’arbitrato internazionale come species dell’arbitrato domestico: problemi
interpretativi alla luce della riforma del 2006 e del diritto internazionale privato. -
1.5 Arbitrato rituale ed irrituale. – 2 La competenza esclusiva del giudice statale. -
2.1 L’art. 818: ratio e portata del divieto. - 2.2 Estensione ed effetti del divieto
(segue).- 2.3 L’istruzione preventiva prima e dopo la sentenza della Corte
Costituzionale 28 gennaio 2010 n. 26. - 2.4 Il procedimento cautelare di fronte al
giudice ordinario per controversie compromesse in arbitri: competenza e accoglimento,
inefficacia, revoca e modifica del provvedimento.
1. La tutela cautelare nell’arbitrato: concetti e
problematiche nella classificazione tradizionale.
1.1 Definizione e ragioni per una classificazione
L’arbitrato, nella sua più ampia dimensione non giuridica
viene dipinto come un «luogo di relazioni fra giudicati e
giudicanti», un ambiente permeato da un alto grado di
omogeneità fra gli “attori sulla scena arbitrale”2; è uno
spazio sociale nel quale non c’è posto per il monopolio
statale del diritto costretto a cedere il passo alla
autonomia delle parti3 . Restringendo il campo di indagine
2 LA CHINA, L’arbitrato il sistema e l’esperienza, Milano, 2011, Prefazione 3 PUNZI, Arbitrato, II) Arbitrato rituale e irrituale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1999
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alle sole scienze giuridiche il fenomeno è viene inquadrato
dalla dottrina classica nella categoria dei mezzi
alternativi di risoluzione delle controversie4 (Alternative
Disputes Resolution), nella quale occupa una posizione di
rilievo 5 sia per la crescente diffusione 6 che per
l’evoluzione subita dalla normativa per mano del
legislatore e per il mutare degli usi commerciali.
La collocazione all’interno delle ADR non è pero pacifica;
se è vero che la legislazione Europea 7 e nazionale di
“tutto ciò che non è processo ordinario” ha avuto un forte
slancio nell’ultimo ventennio, all’interno di questa spinta
riformatrice, ben poco spazio è stato lasciato
all’arbitrato. Ciò non significa che la disciplina
dell’arbitrato non si sia evoluta in questo periodo,
tutt’altro. Significa solo che ha trovato collocazione
nell’ambito di interventi novellatori diversi rispetto a
quelli che si occupavano di strumenti alternativi di
risoluzione delle controversie (su tutti, la mediazione).
L’indirizzo dell’UE nella politica sulle ADR sembra va
4 COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile, Bologna, 2011, p.119 5PUNZI, Relazioni fra l’arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione delle liti, in Riv. Arb., 2003, p. 385 ss. 6 GIARDINA, Arbitrato, Diritto. Internaz. Privato e Proc., in Enc. Giur., Vol. II, Roma, 1999, p. 1. 7 il primo intervento della Commissione Europea risale al 1993 per il quale si rimanda a CAPPONI, Il Libro Verde sull’accesso dei consumatori alla giustizia, in Documenti Giustizia, 1994, p. 362 ss.; nel successivo intervento della Commissione vd. Libro Verde sui modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale del 19 aprile 2002, COM (2002) 196 def., dal quale è stato espressamente escluso l’arbitrato poiché «modo di risoluzione delle controversie assimilabile più ai procedimenti giurisdizionali che ai modi alternativi, in quanto il lodo arbitrale mira a sostituirsi alla decisione giudiziaria». Dalla direttiva che ne è seguita (CE n. 2008/52) veniva chiesto agli Stati membri di introdurre in maniera uniforme mediazione e conciliazione nei rispettivi ordinamenti nel quadro della armonizzazione delle A.D.R.. La stessa, ancora una volta, chiariva che «La presente […] non dovrebbe applicarsi alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale». Per ultimo si segnala che l’art. 81, comma 2°, TFUE alla lettera g. parla in generale di «sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie».
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senso di un’esclusione dell’arbitrato e ciò trova
fondamento nella affermazione del piano giurisdizionale in
cui esso si muove 8 . Questo, infatti, condivide con la
giurisdizione statale lo scopo e le forme 9 : le parti
chiedono tutela ad una persona terza e imparziale per la
soluzione di una lite, attraverso un provvedimento
decisorio. Al contrario sembrerebbe fuorviante e datata la
visione dell’arbitrato come terreno dove regna il fair play
e la ricerca di una soluzione condivisa fra le parti 10 .
Piuttosto si nota come l’arbitrato sempre più spesso prenda
in prestito gli strumenti tipici del procedimento ordinario
e che le differenze con il giudizio statale si riducano
sempre più a differenze meramente nominalistiche. Questo
dovrebbe bastare di per sé ad escludere l’appartenenza del
giudizio arbitrale alla categoria delle ADR almeno per come
essa è stata interpretata dall’UE e di conseguenza dagli
Stati membri.
Carattere peculiare dell’istituto è l’alterità 11 del
giudizio arbitrale alla giurisdizione statale, o in una
concezione più radicale, il rifiuto della giurisdizione
statale 12 . Tale autonomia dell’istituto è oggi confermata
8 vedi la ricostruzione della legislazione europea di RASIA, Tutela giudiziale europea e arbitrato, Bologna, 2010, pp. 21-25; DANOVI, Le ADR (Alternative Disputes Resolution) e le iniziative dell’Unione Europea, in Giur. It., 1997, p. 326 ss. 9 RASIA, Op. Ult. Cit., p. 35 parla di analogia nel «processo logico di formazione della decisione nell’arbitro e nel giudice» «al di là di ogni presa di posizione sull’equiparazione effettuale tra lodo e sentenza»; inoltre ricorda la sempre valida definizione di CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, p. 54 di «arbitrato come ‹‹equivalente giurisdizionale››, volto a perseguire un interesse alla composizione dei conflitti al quale lo stato ‹‹riconosce, sotto certe condizioni, idoneità a raggiungere lo stesso scopo a cui tende la giurisdizione›› ». 10 CORAPI, Arbitrato e tutela cautelare, in Riv. Dir. Comm. e Dir. Gen. Obbl., 2008, p. 479. 11 LA CHINA, Op. Ult. Cit. p. 22, ma in tal senso anche MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Torino, 2010, p. 357. 12 PUNZI, Arbitrato, Arbitrato rituale e irrituale, in Enc. Giur., Vol. II, Roma, 1999, p. 3.
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dall’equiparazione, da un lato, dell’atto introduttivo del
giudizio arbitrale alla domanda del rito ordinario avvenuto
con la L. 5 gennaio 1994 n. 25 e, dall’altro lato, del lodo
alla sentenza il cui deposito –dopo la riforma del 2006- è
divenuto persino superfluo ai fini dell’efficacia del
provvedimento stesso, rimanendo quest’ultimo necessario
solo per acquisire efficacia esecutiva e rendere idonea la
iscrizione e trascrizione dell’ipoteca. Proprio l’alterità
del giudizio arbitrale a quello statale costituisce il
punto di partenza di questo studio ed è tenendo a mente
questo aspetto che si deve leggere, da una parte, la scelta
del legislatore italiano di negare la tutela cautelare alle
controversie compromesse in arbitri, e dall’altra parte, la
critica praticamente unanime mossa dagli studiosi. Insomma,
in una disciplina che si scontra con un divieto così
perentorio e difficile da superare con la sola
interpretazione, l’unica lettura che sembra possibile è
offerta dalla ricostruzione dell’istituto in chiave
teleologica andando alla ricerca delle ragioni -magari
anche non prettamente giuridiche- che hanno spinto i vari
legislatori verso una scelta così impopolare, almeno fra
gli osservatori.
In un così vasto ed eterogeneo settore giuridico è quanto
mai utile ricorrere ad una classificazione dei vari tipi di
arbitrato sia per ragioni sistematiche che per concentrare
l’analisi in quegli ambiti che più ci interessano ai fini
di questa ricerca. La classificazione che segue non ha
pertanto pretese di esaustività, ma solo di introdurre
l’istituto dell’arbitrato e sottolineare alcuni di quegli
aspetti che sono più rilevanti nella intersezione con
l’istituto della tutela cautelare.
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1.2 Arbitrato ad hoc ed arbitrato amministrato
In primo luogo è opportuno effettuare una distinzione sulla
base della struttura dell’organo giudicante in arbitrato ad
hoc (o tradizionale) ed arbitrato istituzionale (o
amministrato). Si ha il primo laddove, volta per volta,
viene costituito un collegio arbitrale o un singolo arbitro
al fine di risolvere quella specifica controversia
compromessa. Si ha il secondo, invece, quando il
procedimento viene celebrato sotto l’egida di una stabile e
specifica istituzione a ciò preposta. Quest’ultima è
costituita normalmente da una camera arbitrale, dalle
Camere di commercio nazionali ed internazionali ovvero
dagli organi preposti da associazioni di categoria od
ordini professionali13. Questa possibilità è prevista anche
dallo stesso codice di procedura, che all’articolo 832 fa
espresso riferimento a «le istituzioni di carattere
associativo» (comma 4°) e a «l’istituzione arbitrale». La
stessa rubrica («Dell’arbitrato secondo regolamenti
precostituiti») lascia intendere che tipicamente tali
istituzioni si dotano di regolamenti propri, sebbene sia
già stata evidenziata la non necessaria coincidenza fra
arbitrato amministrato vero e proprio e quello meramente
regolamentato 14 . Non si può infatti escludere che un
compromesso di un arbitrato ad hoc rinvii ad un regolamento
13 «Osserva E.F. RICCI, Note sull’arbitrato amministrato, in Riv. dir. proc., 2002, p.1 che le istituzioni arbitrali hanno una triplice origine: associazioni di categoria, create al fine di consentire la soluzione di controversie fra i membri; associazioni indipendenti come l’A.i.a., che hanno come fine la diffusione dell’arbitrato e infine le istituzioni arbitrali come le Camere di commercio.» in PUNZI, Brevi note in tema di arbitrato amministrato, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2009, p. 1329 nota 12. 14 LA CHINA, Op. Ult. Cit., p. 3; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2012, p. 274 ss.; CORSINI, L’arbitrato secondo regolamenti precostituiti, in Riv. Arb., 2007, p. 295 ss.
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precostituito da un’istituzione, senza ad essa rivolgersi,
sebbene tale ipotesi comporti non lievi problemi di
raccordo con la eventuale disciplina prevista dal
regolamento che introduca elementi collegati
all’istituzione fisica15.
Uno di questi elementi ci introduce ad un tema peculiare
della ricerca che si approfondirà più avanti e che è
caratteristica propria solo dell’arbitrato istituzionale;
mi riferisco alle misure cautelari ante causam della cui
emissione può essere investito un comitato permanente, il
c.d. Emergency arbitrator, costituito presso l’istituzione
arbitrale. Di questo tipo di organo si sono dotate già da
tempo, le maggiori camere arbitrali internazionali ed
italiane e l’istituto sembra essere un valido argomento per
criticare la competenza esclusiva in materia cautelare dei
giudici italiani e per sollecitarne una pronta riforma (vd.
infra).
1.3 Arbitrato nazionale ed arbitrato estero
Sulla base dell’ordinamento cui l’arbitrato è collegato si
potrà distinguere inoltre fra arbitrato nazionale (o
domestico), estero (o straniero) ed internazionale.
I primi due tipi riguardano due facce della stessa
medaglia, dovendosi ritenere un arbitrato nazionale
piuttosto che estero quando il punto di vista
dell’osservatore coincide con l’ordinamento cui l’arbitrato
è collegato. Ad esempio per un osservatore italiano, sarà
15 ciò è confermato anche dall’esistenza del regolamento UNICITRAL per il quale si rimanda a BIAVATI, Arbitrato internazionale, in AA. VV.., Arbitrati speciali, a cura di CARPI, Bologna, 2008, p. 409 ss.
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nazionale l’arbitrato regolato dal c.p.c. ed estero quello
disciplinato da codici di rito spagnolo o tedesco e
viceversa. I singoli criteri di collegamento possono essere
di tipo geografico, come il luogo di pronuncia del lodo
ovvero di tipo giuridico, come la fissazione di una sede
legale dell’arbitrato ovvero ancora di tipo volontaristico
e rimesso, cioè, ad una manifestazione in tal senso della
volontà delle parti. 16 Nel sistema italiano, alla luce
della riforma del titolo VIII del libro IV del codice di
procedura civile del 2006, è l’elemento volontaristico ad
ancorare il giudizio privato all’ordinamento, rimanendo il
previo criterio territoriale -al più- un mero indice della
manifestanda volontà delle parti. Il legislatore, per
colmare un eventuale vuoto nel compromesso, ha previsto
all’art. 816 un meccanismo in base al quale è sempre
possibile individuare un luogo quale sede dell’arbitrato17.
Sebbene la differenza fra i due modelli sia solo un
problema di prospettiva, la qualificazione di un arbitrato
come straniero o domestico non è priva di conseguenze
nell’applicazione del procedimento relativo all’emissione
di provvedimenti cautelari. Infatti, come si vedrà più
ampiamente, l’art. 669-quinquies risolve il problema della
competenza in materia cautelare per lite compromessa in
arbitri assegnandola al giudice che sarebbe stato
virtualmente competente a conoscere del merito. Certa
dottrina18 ritiene tuttavia che la norma non è applicabile
16 PICOZZA, Il lodo italiano e i lodi esteri a seguito della riforma del 2006, in studi in onore di Carmine Punzi, Torino, 2008, p. 566 17 BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, in BOVE-CECCHELLA, Il nuovo processo civile, Milano, 2006, p. 73. 18 OLIVIERI, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile (legge 26 novembre 1990, n.353), in Riv. dir. proc., 1990, p. 697; CONSOLO, in CONSOLO-LUISO-SASSANI, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, p. 611; in giurisprudenza si veda per l’applicazione dell’art. 669-ter comma 3°, Trib. Venezia 6 luglio 1998, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1999, p. 92 ss. e Trib. Palmi 9 luglio 1998, in Giur. it., 1999, p. 121 ss. con nota di GENNARI.
22
per l’arbitrato estero argomentando che il giudice italiano
non sarebbe (virtualmente) competente per il merito e
propone di applicare il disposto degli artt. 669-ter, comma
3° e 669-quater, comma 5° c.p.c., che prevedono
l’attribuzione della competenza al giudice -competente per
materia o valore- del luogo in cui la misura dovrebbe
essere eseguita in Italia, sia per le misure ante causam
che per quelle in corso di causa. Tali rilievi sono veri
solo nei frequenti casi in cui per la controversia
compromessa in arbitrato estero non sussista la
giurisdizione del giudice italiano19, ma la considerazione
non sembra meritare l’estensione ad interpretazione di
portata generale 20 . Pertanto si ritiene che, laddove
sussista la competenza del giudice italiano per la causa di
merito, si farà riferimento all’art. 669-quinquies, quale
specificazione per le liti compromesse in arbitri, del
criterio generale ex 669-ter; al contrario, se (ma solo in
tal caso), non sarà competente per la causa di merito il
giudice italiano, allora si applicherà il procedimento che
risulta dal combinato disposto degli artt. 669-ter, comma
3°, e 669-quater, comma 5°, di cui supra. Infine laddove il
lodo estero sia già stato pronunciato e sia al vaglio del
giudizio di exequatur dei giudici italiani, è nello stesso
giudizio di delibazione che si deve individuare il
“giudizio di merito” ex 669-quater, rendendo così lo stesso
organo giudicante incaricato anche di risolvere le
eventuali questioni cautelari21.
19 LUISO, Arbitrato e tutela cautelare nella riforma del processo civile, in Riv. Arb., 1991, p. 255. 20 così PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2012 p. 219. 21 così App. Milano 2 Dicembre 1993, in Giur. it., 1994, I, p. 259 ss.
23
1.4 L’arbitrato internazionale come species dell’arbitrato
nazionale: problemi interpretativi alla luce della riforma
del 2006 e del diritto internazionale privato
Si può parlare in generale di arbitrato internazionale 22
per quell’arbitrato «che presenti elementi di
internazionalità, ovvero di estraneità rispetto ad un
determinato ordinamento nazionale». Non è possibile
individuare una definizione univoca per tutti gli
ordinamenti, poiché, mentre alcuni (come Francia e
Svizzera) hanno adottato una normativa ad hoc per
l’arbitrato internazionale, altri (Germania, Regno Unito e
Pasi Bassi), la hanno accorpata a quella dell’arbitrato
interno. I criteri di collegamento fra arbitrato domestico
ed arbitrato internazionale possono essere ricondotti al
modello oggettivo quando si fondano sulla natura della
controversia o sul luogo di esecuzione delle prestazioni
contrattuali, ovvero al modello soggettivo quando fanno
riferimento all’origine delle parti23.
L’Italia con la riforma del 1994 aveva adottato una
soluzione intermedia prevedendo un’autonoma disciplina, ma
stabilendo che fosse comunque applicabile quella dettata
per l’arbitrato interno laddove non esplicitamente
derogata. Tutta la normativa era ispirata alla Convenzione
europea sull’arbitrato commerciale internazionale
sottoscritta a Ginevra il 21 aprile 1961 ed era contenuta
negli artt. 833-838 c.p.c.. L’arbitrato internazionale era
anzitutto, è bene precisarlo, un arbitrato rituale italiano
22 spesso chiamato anche “transnazionale”; per tutti vedi BIAVATI, Arbitrato internazionale, in Arbitrati speciali, a cura di CARPI, Bologna, 2008, p. 394, che lo definisce come «controversie che producono effetti in più ordinamenti». 23 CARLEVARIS, La tutela cautelare nell’arbitrato internazionale, Padova, 2006, p. 17 ss.
24
fra soggetti privati 24 , in virtù della fissazione di una
sede legale nel territorio dello stato, come disposto dal
art. 816 prima dell’intervento del 2006, e pertanto lo si
doveva ritenere in rapporto di species a genus con
l’arbitrato nazionale25.
Il previgente art. 832 indicava i c.d. «indici di
internazionalità» 26 da individuare, al di là delle più o
meno estensive letture esegetiche, nel fatto che, al
momento della sottoscrizione del compromesso, almeno una
delle due parti avesse la residenza o la propria sede
effettiva all’estero (profilo soggettivo) ovvero che, ivi,
dovesse eseguirsi una parte rilevante delle prestazioni
nascenti dal rapporto al quale la controversia si riferiva
(profilo oggettivo). Fra le norme applicabili al solo
arbitrato internazionale ve n’era una, contenuta nel
disposto dell’art. 834, che consentiva alle parti di
«stabilire tra loro le norme che gli arbitri debbono
applicare». Laddove queste avessero scelto di rinviare ad
una normativa o regolamento che consentiva all’arbitro di
emettere provvedimenti cautelari, era lecito domandarsi
quale esito questi ultimi avrebbero avuto. Ebbene, quando
la legge del luogo cui le parti avevano rinviato prevedeva
il monopolio dei poteri cautelari in mano al giudice
statale, ogni accordo contrario delle parti sarebbe stato
da ritenere inefficace per quelle misure che necessitavano
-per essere fruttuose- dell’intervento coattivo del
24 Per distinguerlo dall’arbitrato di diritto internazionale pubblico, così PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2012, p. 304 nota 44. 25 BIAVATI, in Arbitrato: commento al titolo 8. del libro 4. del Codice di procedura civile, artt. 806-840, Bologna, 2001, a cura di CARPI, sub art. 832, p. 741; FAZZALARI, La riforma dell’arbitrato, in Riv. Arb., 1994, p. 17. 26 LA CHINA, Op. Ult. Cit., p. 284.
25
giudice27. Si osservava che la posizione che avrebbe potuto
assumere una corte straniera dinnanzi ad una richiesta di
intervento in materia cautelare, sarebbe dipesa dalla
singola lex loci e che, in ogni caso, questa avrebbe potuto
ritenere di non essere obbligata a prestare assistenza,
rendendo così il provvedimento dell’arbitro privo di
efficacia 28 . Altri facevano notare come tuttavia, anche
l’eventuale rinvio a regolamenti o normative più permissive
fossero mere «tigri di carta» stante l’impossibilità
dell’arbitro italiano di arbitrato internazionale di dare
esecuzione coattiva dei provvedimenti, facendo salvo solo
il residuo potere di persuasione nei confronti del giudice
cautelare 29 . Quanto al contenuto delle singole misure
cautelari si riteneva che alla stregua dell’art. 834 si
dovesse far riferimento, per quanto poi compatibili in
termini di applicabilità nell’ordinamento italiano, alla
lex causae.
Come accennato, il sistema appena esposto è stato tout
court abrogato dal D. Lgs. 40/2006 e con esso è scomparso
dal codice di rito anche lo stesso nomen di “arbitrato
internazionale”, rimanendo in vigore solo il novellato art.
832, di contenuto totalmente differente (di cui supra). La
scomparsa di una norma, tuttavia, non cancella la realtà
delle situazioni di fatto cui era dedicata: tutt’ora è
possibile conservare l’aggettivo di “internazionale” per
quell’arbitrato italiano che ha ad oggetto controversie di
commercio fra operatori di stati diversi. E ad esso si
dovrà oggi applicare, oltre alle norme in materia di
27 BONSIGNORI, L’arbitrato internazionale fra convenzione di Ginevra e codice di rito, in Riv. Arb., 1995, p. 379 ss. 28 BERNARDINI, Arbitrato internazionale e misure cautelari, in Riv. Arb., 1993, p. 20 ss. 29 BROGGINI, I provvedimenti cautelari nell’arbitrato internazionale: analogie e differenze delle soluzioni italiana e svizzera, in, Riv. Arb., 1991, p. 496.; LAUDISA, Arbitrato internazionale e tutela cautelare, in Riv. Arb., 2005, p. 457.
26
arbitrato interno in quanto non espressamente derogate 30 ,
anche quella che fu fonte ispiratrice della disciplina
codicistica, ossia la convenzione di Ginevra del 1961. In
particolare potrà rivivere la norma circa la scelta della
legge sostanziale applicabile, attraverso i generali
principi di diritto internazionale privato. E così, oggi,
gli arbitri internazionali sedenti in Italia dovranno
scegliere -in maniera meno discrezionale rispetto al
criterio formulato dal vecchio art. 834- la normativa
applicabile attraverso le «norme di conflitto del foro
(Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali, ovviamente, compresa), senza
esercitare alcuno speciale potere discrezionale»31.
Riassumendo, l’arbitrato internazionale italiano, a seguito
dell’abrogazione operata dalla riforma del 2006, è
disciplinato dalle stesse norme codicistiche dettate per
l’arbitrato domestico, incluso l’art. 818 c.p.c. 32 ; a
queste va aggiunto il diritto convenzionale e tutti quei
principi internazional-privatistici che nel loro complesso
consentono tra l’altro, di far rivivere la norma formulata
dal previgente art. 834 sulla legge sostanziale applicabile
all’arbitrato internazionale 33 . Così delimitato il piano
normativo su cui si poggia l’istituto, si dovrebbe guardare
al caso in cui le parti scegliessero una legge sostanziale
(o un regolamento) di riferimento che consentisse loro di
chiedere provvedimenti cautelari all’arbitro. Questi si
troverebbe a dover risolvere un conflitto tra diverse 30 CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., che segue specificando che «a seguito della riunificazione della disciplina dell’arbitrato, realizzata col D. Lgs. n. 40/2006, l’applicazione indistinta dell’art 818 a qualsiasi tipo di arbitrato va a fortiori ribadita» p. 253. 31 BRIGUGLIO, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, in Riv. Arb., 2005, p. 683. 32 GHIRGA, La nuova disciplina dell’arbitrato, in I libri de Le nuove leggi civili commentate, a cura di MENICHINI, Padova, 2010, sub art. 818, p. 310 ss. 33 BRIGUGLIO, Op. Ult. Cit., p. 683.
27
fonti: la volontà delle parti, il regolamento o la legge
diversa richiamata, e i principi generali ricavati dalla
prassi e dagli usi -per quanto applicabili all’arbitrato in
questione. Tale conflitto potrebbe riguardare persino
«fonti di uno stesso livello, allorquando la concessione ed
esecuzione della misura cautelare interessi fatalmente più
ordinamenti». Si dovrà procedere in tal caso al
coordinamento della lex loci (quella della sede
dell’arbitrato e, quindi, quella italiana nel caso in
oggetto), con la lex causae (ossia quella scelta nella
convenzione arbitrale), ma anche con la lex fori, vale a
dire quella che «governa il potere del giudice competente
per l’esecuzione» della stessa (che non sempre coincide con
la prima)34. Seppure in tale contesto sono rilevanti varie
norme potenzialmente in contrasto fra di loro, la prassi
internazionale ci suggerisce che, a dover essere applicata,
è proprio la legge della sede dell’arbitrato 35 ; e anche
laddove il coordinamento fra leggi non dovesse essere
lineare, difficilmente un tribunale pronuncerà
provvedimenti in contrasto con la lex loci 36 . Ciò pare
ancora più vero con riferimento alla legge italiana, stanti
le ragioni che stanno alla base del divieto ex art. 818
(vd. sub § 2.1). 34 HENKE, Le misure cautelari nell’arbitrato commerciale internazionale, in Riv. dir. proc., 2012, p. 1216. 35 BORN, International Commercial Arbitration, II, New York, 2009, p. 1961 ss. spec. 1962 «In many cases, the law applicable to the arbitral tribunal’s power to grant provisional measures will be the procedural law of the arbitration, tipically the arbitration legislation of the arbitral seat.» e nota 106 «In rare cases, the parties will agree that a foreign law, other than that of the place of the arbitration will govern the arbitration». 36 così PETROCHILOS, Procedural law in international arbitration, New York, 2004, p. 209: «arbitrators invariably rule that if the law of the seat prohibit them to order interim protections (…) they have no such jurisdiction»; BORN, Op. Ult. Cit., p. 1963 «Where the law of the arbitral seat forbids arbitrators from ordering provisional measures, they will ordinarily not do so.(…)The law governing the arbitration proceedings (almost always that of the arbitral seat) is the most natural legal system governing the powers of an arbitral tribunal…».
28
Si veda come l’intenzione di portare l’arbitrato
internazionale su un substrato normativo diverso da quello
dell’arbitrato domestico, appigliandosi anche a labili
interpretazioni fondate sulla prassi internazionale, trovi
comunque un limite inequivocabile nel divieto imposto dal
codice di rito. Pertanto è vano quel tentativo che,
partendo dalla distinzione fra arbitrato nazionale ed
internazionale, tracciata sulla parziale ed eventuale
scelta delle parti circa il diritto sostanziale
applicabile, cerchi di scardinare un sistema imperniato su
una disposizione che pare inderogabile. E anche ammettendo
che sia possibile una soluzione contraria, l’emissione del
provvedimento cautelare nell’arbitrato internazionale
italiano non sarebbe, a ben vedere, così differente da
quella nell’arbitro domestico, non potendosi comunque
escludere la competenza concorrente del giudice statale37:
le misure così emesse se non adempiute spontaneamente, non
potrebbero contare su un’assistenza nella fase esecutiva
del giudice statale; in caso di inadempimento potrebbero al
massimo far sorgere un’obbligazione risarcitoria38.
1.5 Arbitrato rituale ed irrituale
Fra le classificazioni in materia di arbitrato la vera
summa divisio è costituita dalla dicotomia arbitrato
rituale (o di rito civile) e arbitrato irrituale (o
libero). È bene precisare che non essendo questa la sede
per sviluppare adeguatamente l’argomento ci si limiterà
37 TOMMASEO, Lex fori e tutela cautelare nell’arbitrato commerciale internazionale, in Riv. Arb, 1999, p. 26 ss. 38 MARENGO in BRIGUGLIO-FAZZALARI-MARENGO, in La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, sub art. 818, p. 136 ss.
29
alle sole osservazioni che riguardano la tutela cautelare
nei due tipi di arbitrato.
È improrogabile a questo punto accennare allo schema
essenziale della tutela cautelare nell’arbitrato italiano;
mi appello da subito alla captatio benevolentiae del
lettore per la sommarietà e approssimazione dell’analisi
che segue, precisando che il tema verrà sviluppato nel
corso dello scritto. Orbene, l’art. 818 c.p.c. sancisce che
gli arbitri non possono concedere sequestri né
provvedimenti cautelari, facendo salve eventuali eccezioni
stabilite dalla legge. Stante il divieto, la competenza
cautelare è incentrata sulla giurisdizione statale e
disciplinata -per quanto compatibile- dal c.d. procedimento
cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis/669-
quaterdecies, così come modificato dalla l. n. 80/2005 39 .
Quest’ultima ha esteso all’arbitrato libero il potere di
concedere provvedimenti cautelari da parte del giudice
virtualmente competente a conoscere del merito; ciò appare
oggi un dato cristallino, scolpito chiaramente dalla legge,
ma ha rappresentato in passato uno degli aspetti più
fecondi e dibattuti sia in dottrina che in giurisprudenza.
Era maggioritaria40 la tesi che negava l’ammissibilità del
39 GHIRGA, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, in Riv. dir. proc., 2005, p.781 e ss. 40 in giurisprudenza: Cass. 25 Novembre 1995, n. 12225, in Contratti, 1997, p. 45 ss., nota di NODARI, arbitrato irrituale e tutela cautelare; Trib. Torino 14 Aprile 1997, in Giur. it., 1997, p. 556, nota di CHIARLONI, Davvero incompatibili tutela cautelare e clausola compromissoria per arbitrato libero?; Trib. Torino 4 dicembre 1995, in Riv. Arb., 1995, p. 705 ss., noti di SASSANI, Intorno alla compatibilità tra tutela cautelare e arbitrato irrituale; Trib. Napoli 7 agosto 1997, in Giur. it., 1997, p. 2070 ss. con nota di CORSINI; Trib. Vercelli 29 luglio 1998, in Riv. Arb., 1999, p. 81 ss., con nota di AULETTA, Contro il divieto di assistenza giurisdizionale (cautelare) per i compromittenti in arbitrato libero; ma vedi contra: Trib. Catania 16 ottobre 2001,in Società, 2002, p. 63 ss., con nota di COLLIA, Arbitrato e tutela cautelare; Trib. Roma 24 luglio 1997, in Foro it., 1998, p. 3669 ss., con nota di GRASSO, Ancora su arbitrato irrituale e tutela cautelare. In dottrina: CONSOLO in CONSOLO-LUISO-SASSANI, Op. Ult. Cit., p. 614; CANALE, Tutela cautelare e arbitrato irrituale, in Riv. Trim. dir.
30
ricorso all’autorità giudiziaria, in presenza di un patto
compromissorio per arbitrato irrituale, argomentando che
l’opzione per quest’ultimo, implicando la rinuncia alla
tutela giurisdizionale, comportava la automatica esclusione
di ogni competenza del giudice ordinario fino alla
decisione degli arbitri.
Prima della riforma del 1994 gran parte della
giurisprudenza riteneva che la domanda di protezione
cautelare in presenza di patto per arbitrato libero fosse
improponibile41, ma vi erano anche voci contrarie42. Anche
la dottrina prevalente si era conformata al parere dei
giudici, sull’argomento che la convenzione per arbitrato
irrituale costituisse rinuncia alla giurisdizione ordinaria
cautelare 43 , ma anche qui non mancavano opinioni
contrarie 44 , fondate sulla ricostruzione in chiave
negoziale dell’istituto. Tuttavia l’argomento più
convincente sembrava offerto da coloro i quali
sottolineavano come la scelta in direzione di una tutela
alternativa alla giurisdizione classica, non fosse propria
del solo arbitrato libero, ma «rappresentasse connotato
comune di ogni manifestazione del fenomeno arbitrale» 45 .
Infatti, prima del perfezionamento della formazione del Proc. Civ., 1197, p. 941 ss.; LAUDISA, Arbitrato rituale e libero: ragioni del distinguere, in Riv Arb., 1998, p. 223 ss.; CORSINI, Considerazioni sui rapporti tra arbitrato libero e tutela cautelare, in Riv. Dir. Proc., 2000, p.1163 e ss. 41 Cass. 17 giugno 1993 n. 6757, in Riv. Arb., 1995, p. 62 ss., con nota di VIGORITI, L’autonomia della clausola compromissoria per arbitrato irrituale; Cass. 30 ottobre 1991 n.11650, in Foro it., 1992, p. 1465 ss. 42 si veda lucida disamina di CANALE, Op. Ult. Cit., p. 941 nota 1. 43 SATTA, Note sull’arbitrato libero, in Rass. Arb., 1974, p. 169; VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, p. 173. 44 CONSOLO-LUISO-SASSANI, La riforma del processo civile. Commentario, Milano, 1991, p. 460, che nell’edizione del 1991 spiegava come l’azione di cognizione non fosse del tutto esclusa nel caso di arbitrato irrituale, ma solo posticipata al momento in cui l’assetto del rapporto fosse definito dalla pronuncia degli stessi arbitri irrituali. 45 PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2012, p. 213
31
lodo, difetta un giudice competente per il merito, a causa
dell’interdizione dello stesso, intrinseca al patto
compromissorio; proprio per questa ragione il 669-quinquies
attribuisce la funzione cautelare al giudice «che sarebbe
stato» competente a conoscere del merito. Quanto detto era
ed è vero tanto per l’arbitrato rituale quanto per quello
irrituale e sarebbe stato privo di fondamento applicare la
norma solo al primo. Inoltre, dalla disciplina introdotta
nel 1990, alcuni autori trassero due nuovi argomenti per
dimostrare il difetto di giurisdizione cautelare del
giudice ordinario. In primis con essa venne introdotto un
termine (artt. 669- octies e 669-novies) non superiore a 30
giorni –elevato poi a 60 dalla novella del 2005- per
instaurare il «giudizio di merito» in caso di domanda
cautelare ante causam; da tale locuzione si faceva
discendere l’impossibilità di applicare la norma in caso di
arbitrato irrituale che proprio un tale giudizio sembrava
escludere. Tuttavia il nodo era superato obiettando che,
dalla progressiva assimilazione dei due istituti, si
potesse discendere alla qualificazione dell’arbitrato
irrituale come “giudizio”, sebbene solamente sui generis46.
L’altra e più forte ragione veniva rinvenuta nell’art. 669-
novies, comma 4°, ove si prevedeva (e si prevede tutt’ora)
che il provvedimento cautelare perdesse efficacia, se la
parte che l’aveva richiesto «non presenta(sse) domanda di
esecutorietà in Italia… del lodo arbitrale» entro il
termine «eventualmente» previsto dalla legge, il quale
appunto era determinato -dall’allora non novellato art.
825- nella misura di un anno. Da ciò si faceva discendere
il corollario che, essendo il solo lodo proveniente da
arbitrato rituale destinato a conseguire il visto di
46 SASSANI, Intorno alla compatibilità tra tutela cautelare e arbitrato irrituale, in Riv. Arb, 1995, p. 709 ss.
32
esecutorietà, non potevano essere prospettati provvedimenti
cautelari relativi ad arbitrati liberi 47 . Del resto la
soppressione del termine de quo, riferito al deposito, ha
reso inapplicabile la disposizione che faceva invece
riferimento alla generica presentazione della domanda di
esecutorietà del lodo48.
La vexata quaestio è stata definitivamente superata dal
legislatore del 2005 che, anche allo scopo49 di eliminare i
dubbi sorti in dottrina e giurisprudenza, ha aggiunto
all’articolo 669-quinquies l’inciso «anche non rituali».
L’intervento si colloca nel solco di una progressiva
unificazione dei due tipi di arbitrato auspicata da
dottrina e giurisprudenza maggioritaria, e dallo stesso
legislatore che, sebbene nel quadro del solo arbitrato
societario, prevedeva con l’art. 35, comma 5° del D. Lgs.
5/2003 che «La devoluzione in arbitrato, anche non rituale,
di una controversia non preclude il ricorso alla tutela
cautelare a norma dell’art 669-quinquies del codice di
procedura civile». La disposizione in questione, oltre a
comportare l’unica (attuale) eccezione 50 esplicita al
divieto di cui all’art. 818, ha avuto il pregio di
introdurre con chiarezza un principio (quello
dell’indifferenza fra i due tipi di arbitrato ai fini 47 ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, p. 236; CONSOLO-LUISO-SASSANI, Op. Ult. Cit., p 459. 48PUNZI in BERNARDINI-DE NOVA- NOBILI-PUNZI, La riforma dell’arbitrato. Legge 5 gennaio 1994, n. 25, Milano, 1994, p.69. 49 si legge nella relazione che accompagna la legge di conversione 80/2005: «La commissione ritiene indispensabile, anche e soprattutto a seguito delle controversie sorte, in dottrina e in giurisprudenza, a proposito dell’arbitrato irrituale - e soprattutto a proposito di quale parte della normativa del codice sia applicabile anche all’arbitrato irrituale- l’introduzione di una norma di chiusura , che preveda l’applicazione delle norme sull’arbitrato a tutte le ipotesi di patto compromissorio, ove non sussista una volontà espressa delle parti in senso contrario. In ogni caso, la volontà delle parti non può escludere il principio del rispetto del contraddittorio, la sindacabilità in via di azione o di eccezione della decisione per vizi del procedimento, e la possibilità di fruire della tutela cautelare» 50 Sulla quale si tornerà ampiamente nel CAP I § 2.1.
33
dell’irrinunciabilità della tutela cautelare) che si
riverbera ben oltre l’ambito dell’arbitrato societario.
E l’indirizzo del legislatore, sia del 2003 che del 2005,
seguiva a sua volta l’impronta della Corte Costituzionale
che -già nel 2002- aveva dichiarato manifestamente
inammissibile la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 669-quinquies e 669-octies, per presunta
violazione degli artt. 3 e 24 Cost. 51 . Il giudice delle
leggi52, premettendo che le norme-parametro si limitavano a
costituire il raccordo fra il procedimento cautelare di
fronte al giudice statale e la decisione arbitrale di
merito, asseriva che l’interdizione lamentata dal giudice
remittente, non configurasse dubbi di legittimità
costituzionale, ma attenesse alla mera interpretazione del
sistema, di competenza esclusiva dello stesso. La
pronuncia, sebbene formalmente processuale, nascondeva
tuttavia un contenuto parzialmente decisorio; la Corte,
infatti, non si era fermata a dichiarare il rigetto per
ragioni tecniche, ma aveva argomentato nel senso di una
potenziale incostituzionalità dell’interpretazione del
giudice a quo, «avvertendo che il tunnel che sembrava
infinito sta(va) per concludersi»53.
Alle stesse conclusioni era giunto anche Barbuto che «senza
disturbare la Corte Costituzionale» aveva proposto
un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata
dell’art. 24 Cost. equiparativa della clausola di arbitrato
51 questione sollevata dal tribunale di Torino, sez. distaccata di Chivasso, con ordinanza di remissione del 21 maggio n. 733 in Riv. Arb., 2002, p. 85 ss., nota di AULETTA, Le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni non costituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali: la disapplicazione del principio in materia di arbitrato e tutela cautelare. 52 Corte Cost. 5 luglio 2002, n. 320, in Riv. Arb., 2002, p. 503, nota di SASSANI, La garanzia dell’accesso alla tutela cautelare nell’arbitrato irrituale. 53 SASSANI, Op. Ult. Cit., p. 508.
34
rituale ed irrituale «in ciò favoriti dalla legge 5 gennaio
1994 che sembra(va) avere neutralizzato gran parte delle
differenze prima esistenti fra i due istituti»54.
2. La competenza esclusiva del giudice statale
2.1 L’art. 818: ratio e portata del divieto
Come sopra accennato, l’art 818 rubricato «Provvedimenti
cautelari» stabilisce nel suo primo comma che «gli arbitri
non possono concedere sequestri né altri provvedimenti
cautelari, salva diversa disposizione di legge»; le ragioni
addotte a fondamento del divieto sono tradizionalmente tre.
Mi sembra doveroso iniziare dalla “tesi classica” 55 che
riconduce il divieto alla mancanza di poteri coercitivi
dell’arbitro; paradigmatico in questo senso è Calamandrei
il quale già nel 1936 sosteneva che «forse proprio per aver
intuito che le misure cautelari attengono più che alla
tutela dei diritti soggettivi, alla polizia del processo,
la giurisprudenza si è dimostrata restia ad ammettere che
agli arbitri possa esser conferito […] il potere di
conceder sequestri»56. La ragione del divieto verrebbe qui
ricondotta alla mancanza di imperium, di quei poteri
coercitivi riservati all’organo pubblico, o meglio, al
tutore dell’ordine pubblico (e, per la stessa ragione,
54 BARBUTO, Arbitrato irrituale e tutela cautelare, relazione svolta nel convegno “L’obiettivo sulla riforma processuale”, Torino, 2001. 55 sostenuta da CARNACINI, Arbitrato rituale, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1958, p 881 ss., in spec. 894; ma vd. anche VERDE, Diritto dell’arbitrato rituale, Torino, 2000 , p.358. 56 CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, p. 145.
35
sottratti a chi difetta di tale auctoritas, ovverosia
l’arbitro).
Un secondo orientamento, muovendo dalla negazione di
singoli strumenti di tutela sommaria 57 alla giurisdizione
arbitrale, ha esteso 58 la portata del divieto alla
generalità della tutela cautelare. In base ad esso, data la
asserita tipicità delle pronunce arbitrali, la ragione del
divieto sarebbe da imputare alla natura generalmente
sommaria della cognizione relativa all’assunzione di misure
cautelari. Rimarrebbero così escluse dalla giurisdizione
arbitrale tutte le tutele non fondate su un accertamento
pieno, a prescindere dal loro carattere cautelare.
Infine si deve dar conto di una terza minoritaria posizione
che rinviene il fondamento della norma nella «volontà di
tenere fermo il principio di totale estraneità alla materia
cautelare da parte di organi che non offrono quelle
garanzie di indipendenza ritenute indispensabili per la
pronuncia di provvedimenti destinati ad incidere
immediatamente […] sulla realtà sostanziale». Ad
integrazione di questo assunto starebbe il carattere
marcatamente pubblicistico delle disposizioni sulla tutela
cautelare, le cui conseguenze in ordine alle modalità di
esercizio della stessa, comporterebbero un incremento dei
poteri d’ufficio del giudice cautelare, sia nella fase
procedimentale che in quella attuativa59.
57 così in giurisprudenza: Cass. 16 gennaio 1991 n. 387, in Rep. Giust. Civ., 1991, voce Convalida di licenza e di sfratto (procedimento per), n. 2; Cass. 2 ottobre 1992 n. 10839, in Rep. Giust. Civ., 1992, voce Compromesso e arbitrato, n. 42; Cass. 29 Gennaio 1993 n. 1142, in Riv. Arb., 1994, p. 83 ss. nota di BRUNELLI, Provvedimento di ingiunzione e arbitrato,: alcune questioni vecchie e nuove. 58 AULETTA, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale, in VERDE, Diritto dell’arbitrato, Torino, 2005, p. 362 ss.; CECCHELLA, Il processo cautelare, Torino, 1997, p. 37 ss.; 59 ARIETA, Note in tema di rapporti tra arbitrato rituale ed irrituale e tutela cautelare, in Riv. Dìr. Proc., 1993, p. 750.
36
Già prima della riforma del ’94, parte rilevante della
dottrina 60 non aveva mancato di rilevare la debolezza
dell’argomento fondato sulla mancanza di imperium. È
pacifico che la scelta effettuata dal legislatore sia
frutto di un’opzione di politica legislativa che ben si
presta a critiche de iure condendo. Che la questione sia
frutto di una libera scelta del legislatore -e non
derivante da un’incompatibilità intrinseca all’arbitrato- è
dimostrato sia dalle soluzioni adottate nelle altre
legislazioni che da quella in uso in ambito internazionale.
Infatti, dopo l’allineamento operato in Spagna61, l’Italia
rimane l’unico esempio in Europa e uno dei rari casi nel
mondo 62 , in cui sopravvive un divieto del genere. La
stragrande maggioranza degli Stati ha, infatti,
riconosciuto da tempo prerogative cautelari agli arbitri, e
la perseveranza del legislatore italiano, che ignora sia le
critiche interne, sia lo schema ovunque prediletto, è
figlia del vecchio clima di sfiducia che da sempre
caratterizza l’istituto.
60 CONSOLO in CONSOLO-LUISO-SASSANI, Op. Ult. Cit., p. 458 ss.; CARPI, I procedimenti cautelari e l’esecuzione nel disegno di legge per la riforma urgente del c.p.c.: la competenza e il procedimento, in Riv. Trim. Dir. Proc., 1990, p. 1259; Luiso, Arbitrato e tutela cautelare nella riforma del processo civile, in Riv. Arb., 1991, p. 253. 61 Art. 23, Ley de arbitraje 23 diciembre 2003 n. 60, come riformata dalla Ley 20 mayo 2011 n. 11: « Salvo acuerdo en contrario de las partes, los árbitros podrán, a instancia de cualquiera de ellas, adoptar las medidas cautelares que estimen necesarias respecto del objeto del litigio. Los árbitros podrán exigir caución suficiente al solicitante.» (Salvo accordo contrario delle parti, gli arbitri potranno, su istanza di ciascuna di esse, adottare le misure cautelari che ritengano necessarie rispetto all’oggetto della controversia. Gli arbitri potranno fissare una cauzione sufficiente all’istante) in Riv. Arb., 2004, p. 197 ss.; CUCARELLA GALIANA, La potestad de los arbitros para decretar medidas cautelares, in Anuario de justicia alternativa – Especial ley 60/2003 de 23 de deciembre, de arbitraje, 2004, p. 85 ss. 62 insieme ad Argentina, Thailandia, Cina e Québec, fra gli ordinamenti più rilevanti così in nota HENKE, Le misure cautelari nell’arbitrato commerciale internazionale, in Riv. dir. proc., 2012, p. 1207, nota 3
37
Dall’analisi delle convenzioni internazionali, della legge
modello UNCITRAL e dei principali regolamenti arbitrali 63
si giunge alla medesima conclusione: le soluzioni offerte
sono variegate sul quomodo, ma non negano mai a priori il
potere cautelare agli arbitri.
Ma oltre ai profili comparatistico ed internazionale, è dai
commentatori italiani che arrivano le valutazioni più
critiche. Secondo un valido ragionamento «l’imperium […]
riguarda solo l’esecuzione coattiva delle misure cautelari,
che si rende necessaria ogniqualvolta il soggetto
destinatario non adempia spontaneamente; non riguarda,
invece, la pronuncia in sé del provvedimento che è né più
né meno esercizio della iurisdictio di quanto lo sia la
pronuncia di un lodo di merito, sebbene nel primo caso essa
si caratterizzi per il carattere strumentale e
provvisorio» 64 . Ma se si guarda bene, sono proprio la
strumentalità e provvisorietà tipiche del provvedimento in
questione, che dovrebbero garantire perlomeno lo stesso
trattamento assicurato ad una pronuncia ben più efficace
nella sfera sostanziale del soggetto inciso 65 , com’è il
provvedimento definitivo di merito idoneo al giudicato.
La circostanza che l’arbitro non sia in grado di far
eseguire le misure da lui emanate non basta a giustificare
l’asserita carenza di potere per emetterle 66 . E se
l’obiettivo del divieto fosse davvero esautorare il potere
cautelare dell’arbitro (nella sua componente coercitiva),
63 per i quali si rimanda al CAP III § 1.2, 1.3 e 1.4. 64 HENKE, Op. Ult. Cit., p. 1208. 65 così LUISO, Op. Ult. Cit., p. 253, ma contra G.F. RICCI, in Arbitrato: titolo 8. Libro 4. Codice di procedura civile, artt. 806-840, a cura di CARPI, sub art. 818 , p. 482 e LA CHINA, Op. Ult. Cit., p. 164, secondo cui «Vi sono, insomma, diversi e crescenti livelli di autorità e costruzione, ed all’arbitro è negato il secondo e più intenso: l’attitudine dei suoi atti non soltanto ad obbligare ma ad ottenere direttamente concreta attuazione del comando». 66 LAUDISA, Arbitrato internazionale e tutela cautelare, in Riv. Arb., 2005, p. 456.
38
il corollario da ricavare sarebbe un divieto generico di
emettere decisioni che ordinino alle parti un qualsivoglia
comportamento positivo o negativo. L’interpretazione, se
così ricostruita avrebbe conseguenze deleterie: «la fine
dell’arbitrato»67.
In conclusione, se lo Stato riconosce ad arbitri italiani
ed esteri di emettere lodi suscettibili di essere efficaci
(a seguito di exequatur), non si vede perché si dovrebbe
negare l’emissione di provvedimenti interinali il cui
contenuto è destinato a caducare a seguito dell’emissione
dei primi.
Dunque, si può dare per assimilata 68 l‘interpretazione
della potestà cautelare come attività stricto sensu
decisoria e non meramente amministrativa del procedimento
(quella che in apertura si era definita «di polizia del
processo»).
Non differenti sono le risposte che giungono dall’esame
dell’argomento fondato sulla natura sommaria della
cognizione cautelare. Se è vero, come dimostrato in
giurisprudenza, che certi strumenti (decreti ingiuntivi,
ordinanze di convalida di sfratto e ordinanze anticipatorie
ex artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater 69 ) sono sottratti
dal novero di quelli a disposizione dell’arbitro, non è
necessariamente vera l’estensione del divieto ad ogni forma
di cognizione sommaria. La ricostruzione, insomma, sembra
essere fondata sull’id quod plerumque accidit, ma non degna
di riguardare «qualunque forma di tutela sommaria ed
interinale». Infatti non c’è nessuna norma positiva che
vieti espressamente il ricorso a queste forme di tutela ed
67 sviluppa così l’argomento HENKE, Op. Ult. Cit., p. 1208 68 TOMMASEO, I provvedimenti d’urgenza. Struttura e limiti della tutela anticipatoria, Padova, 1983, p. 84 ss. 69 Sulle quali si veda in particolare CAVALLINI, Condanne speciali e arbitrato irrituale, in Riv. Arb., 1996, p. 681 ss..
39
anzi esistono in tal senso pronunce arbitrali provvisorie
idonee sia al giudicato che a costituire titolo esecutivo e
che al tempo stesso presentano i caratteri della tutela
sommaria e interinale70.
In questo senso è stato invocato da più parti
l’introduzione di un sistema di exequatur identico a quello
predisposto per l’esecuzione del lodo e che funga da
raccordo fra poteri arbitrali e giurisdizione statale. A
questa ipotesi è stata mossa una isolata critica secondo la
quale l’exequatur anzidetto «dovrebbe conferire al
provvedimento, in epoca successiva alla sua emissione, non
già la semplice efficacia esecutiva, bensì la capacità di
attuazione anche coattiva dello stesso, che costituisce
elemento intrinseco e genetico d’identificazione della
misura cautelare». E ciò sulla scorta della considerazione
che i provvedimenti cautelari, a differenza degli altri
provvedimenti sommari, non costituiscono titoli esecutivi
giudiziali 71 . La critica sembra tuttavia priva di
giustificazione. Non si vede come l’ingerenza del giudice
della delibazione possa avere questo effetto; è proprio
questo procedimento di verifica che dovrebbe garantire alla
misura cautelare l’idoneità a dispiegare effetti –anche
coattivamente- nella realtà sostanziale, di cui sarebbe
priva al momento della sua emissione da parte dell’arbitro.
In particolare non sembra condivisibile l’affermazione
secondo cui è impossibile distinguere ed autonomizzare fra
fase esecutiva e cognitiva ed anzi, sembra proprio
l’exequatur il miglior strumento di raccordo fra le due.
70 qui il riferimento è ai lodi parziali immediatamente impugnabili e a quelli c.d. interlocutori. Sul punto e per la ricostruzione delle varie posizioni vd. IZZO, Arbitrato e tutela cautelare, in RUBINO SAMMARTANO, Arbitrato, ADR, conciliazione, Bologna, 2009, p. 534 ss. 71 ARIETA, Op. Ult. Cit., p. 751
40
L’altra criticità espressa 72 nei confronti della procedura
di delibazione, verte sulla poca idoneità dell’istituto a
rendere fruttuoso il contenuto della misura cautelare; il
rischio di vedere vanificate le pretese dell’istante, una
volta trasferita la competenza al giudice togato, sono vere
e concrete, ma non sono caratteristica esclusiva
dell’istituto de quo. Sarebbe lapalissiano sottolineare
come il problema, infatti, è analogo a tutte le misure
cautelari diverse da quelle inaudita altera parte; e le
considerazioni effettuate a quel proposito sembrano qui
riproponibili: un approccio teleologico fondato sul rischio
di veder frustrate le proprie pretese cautelari non
giustifica una chiusura aprioristica ad ogni competenza
arbitrale.
In ogni caso, se sono comprensibili -anche se non del tutto
condivisibili- i timori verso un’apertura alla potestà
cautelare esclusiva dell’arbitro, altrettanto non si può
dire di fronte ad un cieco ostruzionismo verso un’apertura
al modello dell’exequatur cautelare. Infatti, riservare il
monopolio del sindacato cautelare ai giudici togati non
comporta alcun vantaggio, dato il controllo statale cui
sarebbe comunque sottoposta la decisione arbitrale. Se non
altro, nella soluzione a competenza concorrente, è
garantita l’efficacia di tutti quei provvedimenti cautelari
in cui il soggetto inciso non attui comportamenti contrari
alla buonafede allo scopo di sottrarsi all’efficacia della
cautela.
In merito alle perplessità sull’inidoneità strutturale
dell’arbitro al giudizio cautelare, è già stato rilevato73
come il legislatore abbia apprestato numerosi e sofisticati
strumenti a garanzia dell’imparzialità e indipendenza del
72 sempre ARIETA, Op. Ult. Cit., pp. 751-752, nota 29. 73 HENKE, Op. Ult. Cit., p. 1208
41
primo, e solo collocando la critica in un momento
precedente all’introduzione di detti strumenti se ne può,
al limite, comprendere la ragione. Ciò nondimeno sarebbe
interessante investigare sulle ragioni della perdurante
sfiducia negli arbitri e nell’istituto in generale, da
parte di certi osservatori.
In ultima analisi, affermare che il divieto ex art. 818 sia
«un dato di fatto duro a morire»74 è corretto, ma solo da
un punto di vista storico. La norma è, sì, sopravvissuta a
numerose riforme della materia, nonostante il parere
contrario della dottrina degli ultimi 25 anni, ma ciò non
non basta per eliminare la considerazione che la soluzione
è adottata è pur sempre frutto di una scelta di politica
legislativa, ed in quanto tale, superata75.
2.2 Estensione ed effetti del divieto (segue)
Costatata l’esistenza del divieto e rimandando al capitolo
successivo l’esame delle eccezioni esistenti nelle norme
positive o ricavabili per via ermeneutica, non rimane che
valutare l’estensione dello stesso egli effetti di
un’eventuale violazione.
Innanzitutto è opportuno giustificare l’inserzione del
divieto specifico di disporre sequestri da parte
dell’arbitro nell’apertura della norma («gli arbitri non
possono concedere sequestri»). Il testo vigente è quanto
rimane dopo la novella legislativa del 1990. Questa aveva
74 G.F. RICCI, Op. Ult. Cit., p. 481 75 CARPI, I procedimenti cautelari e l’esecuzione nel disegno di legge per la riforma urgente del c.p.c.: la competenza e il procedimento, in Riv. Trim. Dir. Proc., 1990, p. 1259; POZZI, Arbitrato e tutela cautelare: profili comparatistici, in Riv. Arb., 2005, p. 25
42
privato la norma del secondo comma che stabiliva la
ripartizione delle competenze fra giudice statale e
arbitro: il primo aveva il potere di autorizzare il
sequestro, o di convalidarlo se pronunciato dal secondo.
Ma, eliminata a seguito della l. 26 novembre 1990 n. 353,
la fase di convalida del sequestro, la disposizione in
esame era divenuta pleonastica, e perciò anch’essa
abrogata. Così contestualizzato, è possibile spiegare la
permanenza dello specifico richiamo, che ad oggi, invero,
non assume alcun valore particolare. Si può quindi
sostenere che il divieto è applicabile a tutti i
provvedimenti cautelari nominati o atipici76. Ciò era stato
affermato già prima della riforma, in virtù di
un’interpretazione estensiva della norma, anche se
l’operazione comportava alcuni problemi di raccordo con la
norma che individuava il giudice competente ad emanare
l’autorizzazione al sequestro77.
Tuttavia nell’esplicito e permanente riferimento ai soli
sequestri, è stata ravvisata una limitazione del divieto
solo ai provvedimenti cautelari di natura conservativa non
strumentale, rimanendo così esclusi quelli di natura
satisfattiva, come la provvisionale disposta con lodo
parziale suscettibile di esecuzione coattiva a seguito di
omologazione78.
Quanto agli effetti del divieto si è già accennato alla
difficoltà di raccordare le disposizioni legislative con
quelle presenti nel patto arbitrale nell’ambito di un
arbitrato internazionale con sede in Italia. Non si è
76 POZZI, Arbitrato e tutela cautelare: profili comparatistici, in Riv. Arb., 2005, p. 21 parla di «qualsiasi provvedimento extravagante contenuto nel codice civile o in altre leggi speciali»; Per il caso specifico dell’istruzione preventiva vedi sub CAP. I § 2.4. 77 CECCHELLA, L’arbitrato, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, diretto da PROTO PISANI, Torino, 1991, p. 148. 78 CARPI, nella relazione al seminario «Le misure d’urgenza e l’arbitrato» in Riv. Arb., 1991, p. 477.
43
detto, però, delle conseguenze di un eventuale patto
contrario delle parti; secondo una parte della dottrina79,
quest’ultimo sarebbe inefficace, con la conseguenza che i
giudici togati rimarrebbero comunque competenti in materia
cautelare e che le parti sarebbero prive di “dar mandato”
ad essi per ottenere attuazione coattiva dei provvedimenti
non self-executing. A questo indirizzo se ne affianca un
altro in base al quale alla violazione del divieto
conseguirebbe la sanzione di nullità 80 o, in alcuni casi,
l’inesistenza.
Per dirimere la questione è opportuno scomodare le nozioni
generali di norma imperativa. La regola generale è posta
dall’art. 1418, comma 1°: «il contratto è nullo quando è 79 LAUDISA, Op. Ult. Cit., p. 456; BRIGUGLIO-FAZZALARI-MARENGO, in La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, sub art. 818, p. 136 ss.;; BERNARDINI, Arbitrato internazionale e misure cautelari, in Riv. Arb., 1993, p. 20 «Se la legge del luogo dell’arbitrato prevede che tali poteri sono riservati in via esclusiva al giudice statale, ogni accordo contrario concluso tra le parti, sia direttamente che attraverso richiamo a regolamenti di arbitrato, sarà inefficace quanto a quelle misure che, se non spontaneamente osservate, devono essere eseguite con l’assistenza del giudice statale; BROGGINI, I provvedimenti cautelari nell’arbitrato internazionale: analogie e differenze delle soluzioni italiana e svizzera, in Riv. Arb., 1991, p.495 «nemmeno è ipotizzabile una rinuncia alla giurisdizione ordinaria a favore degli arbitri». 80 AULETTA, Op. Ult. Cit., p. 498 che precisa «almeno per quelle misure che se non spontaneamente ottemperate, avrebbero bisogno dell’assistenza della forza pubblica»; G.F. RICCI, Op. Ult. Cit., p. 485 secondo cui la tesi in base alla quale il patto non sarebbe nullo «seppur originale, sembra però contrastare con l’opinione prevalente che impone come limite al procedimento arbitrale il rispetto di inderogabili divieti di legge, fra i quali va ascritto in primis il divieto delle pronunzie cautelari che si impone anche alle parti e la cui violazione non può non incidere sul patto compromissorio, determinandone la nullità»; CASSANO, Il procedimento arbitrale, in Il diritto privato nella giurisprudenza – Transazione, arbitrato e risoluzione alternativa delle controversie, a cura di CENDON, Milano, 2006, p 318 che precisa che il divieto ex art 818 «non impedisce che le parti possano conferire tale potere nel patto compromissorio, né agli arbitri stessi di adottare la richiesta misura. Tale previsione, tuttavia, non priva il giudice ordinario del relativo potere, per cui la parte potrà sempre rivolgersi ad esso nonostante la contraria volontà manifestata nella convenzione arbitrale, né le parti potranno ottenere dallo Stato concreta assistenza per la concreta attuazione della misura cautelare concessa dagli arbitri»; TOMMASEO, Lex fori e tutela cautelare nell’arbitrato commerciale internazionale, in Riv. Arb, 1999, p. 24.
44
contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga
diversamente». La clausola di salvezza si riferisce in
particolare alle ipotesi in cui è prevista l’annullabilità
e alle altre ipotesi in cui la legge vi ricollega altre
sanzioni diverse dalla nullità, come l’invalidità 81 o
l’assoggettamento a sanzioni amministrative. Per
distinguere le norme imperative di cui alla prima parte del
comma 1° -cui è ricollegata la nullità- da quelle
rinvenibili attraverso la clausola di salvezza della
seconda parte della stessa norma –cui invece è
ricollegabile (anche) l’inefficacia- si deve guardare al
grado di imperatività del divieto. Affinché sia
riconducibile al primo dei due tipi di norma imperativa
«deve trattarsi di un divieto assoluto, siccome posto a
tutela di un interesse generale. In particolare:
a) comando o divieto assoluto è quello che non solo
non ammette una diversa volontà delle parti, ma neppure –
siccome posto a tutela di un interesse generale- una
eccezione o esonero previsti dalla stessa legge82;
b) comando o divieto posto a tutela dell’interesse
generale è quello formulato dalla legge o da fonti a questa
equiparate, non da fonti normative di grado inferiore»83.
81 Cass., 12 ottobre 1982 n. 5270, in Mass. Foro. It., 1982 «la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, giacché l’art 1418 c.c., con l’inciso «salvo che la legge disponga diversamente» impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia del pari consentito la validità, predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma». 82 su tutte si veda Cass., 4 dicembre 1982, n. 6601, in Giust. Civ., 1983, p. 1178 «ai fini di cui all’art 1418 c.c., le norme contenenti un divieto, anche se sanzionato penalmente possono essere considerate imperative, in difetto di un’espressa sanzione civilistica di invalidità, soltanto se dirette alla tutela di un interesse pubblico generale, la quale (salvi i casi in cui sia resa manifesta dalla lettera della norma) è ravvisabile se il divieto ha carattere assoluto, senza possibilità di esenzione dalla sua osservanza per alcuni dei destinatari della norma; 83 GALGANO, Il contratto, Padova, 2011, p. 287 ss. spec. 290.
45
Orbene, date queste premesse, mi sembra preferibile la tesi
che vi ricollega la più lieve sanzione dell’efficacia;
infatti se è vero che non v’è spazio per una statuizione
diversa delle parti (e in questo senso, sì, il divieto
potrebbe dirsi assoluto), altrettanto non può dirsi per la
«eccezione o esonero previsti dalla stessa legge». Non si
può trascurare in questa valutazione l’espressa clausola di
salvezza dell’articolo 818 parte seconda; e questo, a mio
avviso, consente anche di giungere alla speculazione che
l’asserita esigenza di riserva del giudice statale in
materia cautelare, non rivesta il carattere di «interesse
generale». L’apertura esplicita della legge a future ed
eventuali disposizioni in senso contrario, oltre a fungere
da raccordo per la già prevista ipotesi di sospensione
delle delibere assembleari, costituisce indice proprio del
mancato interesse del legislatore a riservare il sindacato
cautelare ai giudici togati. Ancora: il fatto che lo stesso
legislatore del 2005 non si sia fermato a prevedere una
deroga esplicita al provvedimento di cui all’art 35 D. Lgs.
5/2003, ma abbia aperto a potenzialmente illimitate
eccezioni future dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno,
l’indifferenza con cui questi si è approcciato al problema
nei tempi più recenti.
Infine si deve accennare dell’ammissibilità in una
convenzione arbitrale di un pactum de non petendo limitato
alla tutela cautelare, ossia della rinuncia alla tutela
cautelare del giudice ordinario. La risposta affermativa
deriverebbe, mutatis mutandis, dal fondamento
dell’arbitrato libero che è costituito proprio dall’accordo
delle parti sulla rinuncia alla tutela giurisdizionale. Si
argomenta che, se è ammesso un pactum de non exequendo 84,
84 Considerato indizio della natura irrituale di un arbitrato così AA. VV., Codice di procedura civile commentato. Art 633-840, diretto da
46
tanto più dovrebbe esser lecita una rinuncia pattizia alla
giurisdizione cautelare statuale 85 . Tuttavia questa
spiegazione sembra trovar fondamento solo nell’ordinamento
italiano che conosce la peculiarità dell’arbitrato
irrituale, mentre non ha ragion d’esistere negli
ordinamenti in cui è ammessa la tutela cautelare arbitrale.
2.3 Il procedimento cautelare di fronte al giudice
ordinario per controversie compromesse in arbitri:
competenza e accoglimento, inefficacia, revoca e modifica
del provvedimento.
Data l’interdizione agli arbitri dalla concessione di
misure cautelari, in caso di compromesso o clausola
compromissoria, la parte interessata ad ottenere un
provvedimento cautelare a tutela del proprio diritto, dovrà
rivolgersi al giudice dello Stato. Questi dovrà trattare la
questione come un normale procedimento cautelare e
applicare le stesse norme; data la peculiarità della
circostanza sono comunque necessarie delle precisazioni,
anche a rischio di ripetere quegli accenni fatti in sede di
distinzione dei vari tipi di arbitrato.
Dopo l’abrogazione del secondo comma dell’articolo 818, la
materia trova oggi disciplina negli artt. 669-quinquies,
669-octies, 669-novies e 669-decies c.p.c.; la prima norma
CONSOLO, Assago, 2010, sub art. 818, p. 1911; TOMMASEO, Arbitrato libero e forme processuali, in Riv. Arb., 1991, p.743. 85 TOMMASEO, Lex fori e tutela cautelare nell’arbitrato commerciale internazionale, in Riv. Arb., 1991, p. 23 e nota 45 in cui la rinuncia viene definita come specie di rinuncia all’azione. In giurisprudenza Cass., S.U. 27 aprile 1993 n. 4914, in Foro. It., 1994, c. 1534 ss., nota di VIDRI; Cass., 17 novembre 1984 n.5838, in Giur. It., 1987, c. 593 ss., nota di MARIANI, sulla eccezione di clausola compromissoria per arbitrato irrituale.
47
dispone che la domanda, in caso di controversia oggetto di
clausola compromissoria o compromessa in arbitri (anche non
rituali come visto nel § 1.5), «si propone al giudice che
sarebbe stato competente a conoscere del merito». La
ricerca del giudice concretamente competente dovrà avvenire
secondo gli ordinari criteri dettati nella seconda e terza
sezione del primo libro del codice; al contrario, si
dovranno applicare i criteri ex art. 413, in caso di
arbitrato nel rito lavoro di cui all’ art. 412-ter 86. Dal
combinato disposto con l’art. 669-ter si evince, poi, che
la domanda si propone al tribunale anche laddove competente
per il merito fosse il giudice di pace.
L’articolo 669-octies, comma 5°, stabilisce che, se è stato
concesso un provvedimento cautelare ante causam –ossia
prima della promozione del procedimento- e competente per
il merito è un arbitro, il soggetto che ha ottenuto il
provvedimento deve presentare l’atto introduttivo entro il
termine fissato dal giudice cautelare (comma 1°) o, in
difetto, non oltre sessanta giorni (comma 2°). La c.d.
domanda arbitrale deve contenere, sempre a norma del comma
5°, «l’intenzione di promuovere il procedimento arbitrale»,
la proposizione della domanda e la nomina dell’arbitro,
laddove ciò spetti alla stessa parte. La disposizione in
questione ha assunto notevole importanza nel dibattito 87
riguardante il momento dell’inizio del procedimento
arbitrale e, sotto diverso profilo, quello del tipo di atto
da considerare quale «atto introduttivo»88.
86 su cui si vedano le considerazioni di G. SANDULLI, Prospettive di riforma, quale futuro per l’arbitrato?, in Lavoro e Prev. Oggi, 2008, p. 925. 87 per la ricostruzione del quale vedi la brillante analisi di PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2012, p. 634; CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 1991, p. 140 ss. 88 G. F. RICCI. in Arbitrato: titolo 8. Libro 4. Codice di procedura civile, artt. 806-840, a cura di CARPI, sub art. 818 p. 486.
48
Il successivo art. 669-novies ricollega alla mancata
proposizione di detta domanda la sanzione dell’inefficacia.
Tuttavia la regola appena ricordata, secondo il disposto
dell’art 669-octies, comma 6°, non si applica «ai
provvedimenti d’urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e
agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli
effetti della sentenza di merito». La norma ha inserito nel
rito ordinario le novità che già l’art. 23 del D. Lgs.
5/2003 aveva introdotto nel rito societario. Le misure
escluse dalla comminatoria di inefficacia sono quelle che,
per ovviare al c.d. rischio di tardività e con scopo
deflattivo del contenzioso 89 , tentano di anticipare gli
effetti del probabile e futuro contenuto del provvedimento
dichiarativo di accoglimento della domanda 90 . A questi si
dovranno aggiungere anche quei provvedimenti conservativi
rinvenibili indirettamente nella nozione di cautelare
atipico91.
Un problema generico che la norma solleva, problema
generico e non peculiare al caso di instaurando giudizio
arbitrale, è quello sulla «incertezza della verifica
attitudinale di detti provvedimenti (quelli indicati
nell’art 669-octies comma 6°, ndr) ad essere idonei ad
89 BORGHESI, Tutela cautelare e strumentalità attenuata: profili sistematici e ricadute pratiche, in Atti del convengo della Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Ravenna 18 maggio 2006. 90 la c.d. strumentalità attenuata ha suscitato dubbi in dottrina per la sua legittimità costituzionale (presunta violazione degli artt. 3 e 111) per i quali si rimanda a GRAZIOSI, La cognizione sommaria del giudice civile nella prospettiva delle garanzie costituzionali, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2009, p. 137 ss. in versione integrale e completo di un più esauriente apparato di note, ID, in Studi in onore di Vittorio Colesanti, I, Napoli, 2009, p. 635 ss.; CIPRIANI, il procedimento cautelare tra efficienza e garanzie, in Il Giusto Proc. Civ., 2006, p. 26. 91 QUERZOLA, La tutela anticipatoria fra procedimento cautelare e giudizio di merito, Bologna, 2006, p. 19; BIAVATI, Prime impressioni sulla riforma del processo cautelarei, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2006, p. 565; MARINELLI, Note in tema cautelare nel nuovo rito societario, in Corr. Giur., 2004, p. 1249;
49
anticipare gli effetti della sentenza di merito. A ben
vedere, neppure 92 tutti quelli resi a norma dell’art 700
c.p.c. possono dirsi pienamente anticipatori e, pertanto,
suscettibili di stabilità» 93 . Considerate tali incertezze
interpretative, le parti, nel dubbio, saranno sempre
indotte a dar vita al giudizio di merito onde evitare il
pericolo di rendere inefficace il provvedimento. E ciò
rischia di vanificare, almeno in parte, la componente
deflattiva insita nella norma.
Altre cause di inefficacia del provvedimento previste
dall’art. 669-novies sono l’estinzione del giudizio di
merito (comma 1°), l’omesso versamento della cauzione di
cui all’art. 669-undecies e la «pronuncia di un lodo che
dichiari l’inesistenza del diritto a cautela del quale la
misura cautelare è stata concessa» 94 (ipotesi entrambe
previste dal comma 3°).
Il comma 4° n. 1 prevede, inoltre, che l’eventuale misura
cautelare concessa prima della devoluzione del merito ad
arbitrato italiano o estero perda efficacia se il
beneficiario non presenti nei termini domanda di
esecutorietà del lodo arbitrale. In proposito è opportuno
segnalare che, dopo la eliminazione di tale termine ad
opera della riforma del 1994, la disposizione non è più
applicabile e, secondo alcuni, il provvedimento così emesso
avrebbe una speciale efficacia ultrattiva 95 . Diverso è il
caso del sequestro conservativo che, ai sensi dell’art.
156-bis disp. att. c.p.c., non può essere convertito in
pignoramento se al lodo non viene conferita l’efficacia
92 la questione è controversa; vedi contra, G.F. RICCI, Op. Ult. Cit., p. 486. 93 SANDULLI, Tutela cautelare ed arbitrato, in Lav. e Previd. Oggi, 2008, p. 1597. 94 SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile. Appendice di aggiornamento alla tredicesima edizione, Padova, 2007, p.170. 95 G.F. RICCI, Op. Ult. Cit., p. 487.
50
esecutiva nel termine di 60 giorni, decorrente da quando la
domanda è divenuta proponibile (ossia dalla data della
comunicazione alle parti del lodo96).
Il n. 2 dello stesso comma prevede il caso in cui il lodo
dichiari inesistente il diritto oggetto di cautela e,
«coerentemente con i principi informatori del sistema» 97 ,
l’inefficacia è conseguenza diretta della sola pronuncia
del lodo, a prescindere dalla decorrenza dei termini per
impugnare.
Competente a dichiarare l’inefficacia o a rispristinare lo
status ante è lo stesso giudice che ha emesso il
provvedimento cautelare. Fin qui nulla quaestio, ma sorgono
dei problemi interpretativi nell’ipotesi in cui sia stato
proposto reclamo contro il provvedimento ed il reclamo sia
stato rigettato. Ci si chiedeva in dottrina se il giudizio
di reclamo avesse efficacia sostitutiva rispetto a quello
di emissione del provvedimento e, quindi, quale dei due
giudici fosse competente per la revoca e la modifica. Ma
sembra appurata98 la soluzione affermativa.
Infine si deve dar conto dell’art 669-duodecies che
disciplina l’attuazione del procedimento cautelare; dopo
aver conferito tale funzione al giudice che ha emesso il
provvedimento, dandogli potere di emettere le opportune
ordinanze per risolvere eventuali difficoltà, il codice
stabilisce che «ogni altra questione va proposta nel
96 sic LA CHINA, L’arbitrato il sistema e l’esperienza, Milano, 2011, p.116-117. 97 PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2012, p. 210 che probabilmente si riferisce all’art. 669-novies, comma 3°,che infatti non richiede il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara inesistente il diritto cautelato. 98 LUISO, Arbitrato e tutela cautelare nella riforma del processo civile, in Riv. Arb., 1991, p. 263; in giurisprudenza: Trib Bassano del Grappa 19 marzo 1999 con nota adesiva di BIANCHI, Competenza per la modifica o revoca del provvedimento cautelare emanato dal giudice collegiale in caso di giudizio di merito devoluto ad arbitri, in Riv. Dir. Proc., 2000, p. 263 ss.
51
giudizio di merito». In forza di tale disposizione, nel
caso di specie è d’obbligo rinvenire il giudice del merito
nell’arbitro mentre desta perplessità 99 il riferimento ad
«ogni altra questione».
Sebbene l’argomento sia controverso si ritiene che la
locuzione si riferisca principalmente «alle questioni che
nel processo esecutivo danno luogo alle opposizioni» sia
all’esecuzione che agli atti esecutivi100.
2.4 L’istruzione preventiva prima e dopo la sentenza della
Corte Costituzionale 28 gennaio 2010 n. 26
Trattando delle misure cautelari che il giudice togato può
emettere in luogo dell’arbitro, si è detto che il primo
debba applicare le norme del procedimento cautelare
uniforme, a nulla rilevando che la questione di merito sarà
trattata in sede di giurisdizione privata. Tuttavia in caso
di istruzione preventiva, la ”normale applicazione” del
rito cautelare non è sempre stata scontata.
L’articolo 669-quaterdecies nel disciplinare l’ambito di
applicazione del procedimento cautelare uniforme esclude
l’applicazione dello stesso alle disposizioni
sull’istruzione preventiva (artt. 692-699), eccezion fatta
per l’art. 669-septies 101 . Con tale norma di chiusura il
99 cfr. con BIAVATI, Spunti critici sui poteri cautelari degli arbitri, in Riv. Arb., 2013, p. 336 che rinviene nella disposizione in questione un’eccezione indiretta al divieto di cui all’art 818 (su cui vd. più diffusamente Cap II § 1.2. 100 Per un’analisi approfondita vd LUISO, Arbitrato e tutela cautelare nella riforma del processo civile, in Riv. Arb., 1991, p. 263; PROTO PISANI, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, in Foro It., 1991, 515 ss. 101 Per la verità a seguito della sent. Corte Cost. 16 maggio 2008 n. 144 è applicabile all’istruzione preventiva anche l’art 669-terdecies.
52
legislatore ha inteso determinare l’applicabilità del
procedimento cautelare a tutte le misure cautelari previste
dal codice di rito, dal codice civile e dalle leggi
speciali per quanto compatibili. Infatti, il giudizio di
compatibilità va effettuato comparando la disciplina
generale introdotta dalla l. 26 novembre 1990, n. 353 con
le peculiarità proprie delle singole misure cautelari
previste dal codice civile e da leggi speciali. A
dimostrazione di questo, è la stessa norma in analisi che
indica come ai procedimenti di istruzione preventiva si
applichi solamente l'art. 669-septies, attesa la diversità
del diritto posto a tutela dei due procedimenti:
processuale in quelli di istruzione preventiva, sostanziale
in tutti gli altri procedimenti cautelari102.
I provvedimenti degli articoli 692 ss. «puntano a
salvaguardare la fruttuosità del diritto processuale alla
prova e non incidono sulla realtà sostanziale». E dunque la
carenza del vincolo fra tutela cautelare istruttoria e
giudizio di merito è stata –a torto- ritenuta dal
legislatore non meritevole della tutela offerta
dall’incisivo rito cautelare uniforme103.
Al contrario non è mai stata dubitata l’indole cautelare
degli stessi 104 . L’orientamento è stato confermato a più
riprese anche dalla Consulta, che una volta 105 evidenziava
Ciò nonostante il legislatore del 2009 non ha aggiornato la redazione dell’articolo in questione all’interpretazione della Corte. 102 TOMMASEO, Variazioni sulla clausola di compatibilità (note in margine all’art. 669-quaterdecies c.p.c.), in Riv. Dir. Proc., 1993, p.697. 103 LICCI, Istruzione preventiva, arbitrato e art 669-quaterdecies : una convivenza possibile?, in Riv. Dir. Proc., 2010, p. 725. 104 BALENA, Istruzione. Istruzione. Procedimento di istruzione preventiva., in Enc. Giur., Vol. XVII, Roma, 1990, p. 5; CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 181; contra CALVOSA, Alcune questioni in tema d’istruzione preventiva, in Riv. Dir. Proc., 1951, p. 203 ss. 105 Corte Cost. 16 maggio 2008 n. 144 che individua la ragione giustificatrice comune alle due tutele, nel tentativo di evitare che
53
l’identicità di ratio con le misure cautelari stricto
sensu, mentre altre 106 ne rimarcava le comuni coperture
costituzionali. E dei provvedimenti cautelari “standard”
condivide anche le due caratteristiche principali, ossia
strumentalità -seppur solamente attenuata- e provvisorietà.
Quest’ultima in particolare è dimostrata dal fatto che, una
volta introdotto il giudizio di merito, gli effetti del
provvedimento cautelare sono destinati a cadere; e sempre
in quella sede sono fatte salve le questioni di
ammissibilità e rilevanza sollevabili nel giudizio, così
come la richiesta di rinnovazione 107 . Ma è stata l’altra
caratteristica principale a sollevare i maggiori problemi
di coordinamento; infatti è sull’asserita 108 lieve
strumentalità dei provvedimenti cautelari istruttori che si
giustificava la carenza di collegamento con la disciplina
cautelare uniforme e, quindi, la sua impossibile
applicazione.
Tuttavia, dopo l’introduzione nel codice di rito della già
ricordata 109 “strumentalità attenuata” per i provvedimenti
cautelari anticipatori non aveva più ragion d’esistere la
limitazione di cui all’art. 669-quaterdecies110.
la durata del processo incida negativamente sulla parte che beneficia del provvedimento. 106 Corte Cost. 22 Ottobre 1990 n. 471 e Corte Cost. 19 luglio 1996 n. 257 nella quale viene chiarito che l’esercizio dell’onere probatorio è da garantire con la stesso vigore –alla stregua del diritto alla prova ex art. 24 Cost.- tanto preventivamente che nella sede, per così dire “naturale”, della tutela cautelare. 107 BALENA, L’istruzione preventiva, in BALENA-BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006,p. 367 ss; PROTO PISANI, Procedimenti Cautelari, in Enc. Giur., Vol. XXIV, Roma, 1990, p. 36. 108 SALVANESCHI, I provvedimenti di istruzione preventiva, in Riv. Dir. Proc., 1998, p. 801. 109 vd supra Cap I, § 2.3. 110 Ciò mi pare confermare la tendenza del legislatore ad attuare riforme frettolose e “zoppe” in cui difficilmente riesce a dare omogeneità al sistema, nell’ambito dello stesso intervento novellatore.
54
È su queste basi che si inserisce la pronuncia della Corte
costituzionale del 2010111. La vicenda nasce dalla richiesta
di espletamento di un accertamento tecnico preventivo ante
causam, rigettato dal Presidente del Tribunale di la Spezia
su eccezione del patto compromissorio della controparte.
Nell’ordinanza di rigetto si adduceva che all’accoglimento
dell’istanza ostava l’art. 669-quaterdecies. In sede di
reclamo il Tribunale sollevava la questione di legittimità
di fronte alla Corte dell’art. 669-quaterdecies, nella
parte in cui, escludendo l’applicazione dell’art 669-
quinquies ai provvedimenti di cui all’art 696, impediva la
proposizione della domanda di accertamento tecnico
preventivo in caso di stipulazione di clausola
compromissoria, compromesso o pendenza di giudizio
arbitrale. Il giudice a quo nell’ordinanza di rimessione,
sottolineava un vuoto di tutela «non essendo possibile
ovviare al pregiudizio irreparabile dato dall’alterazione
dello stato dei luoghi e, in generale, di tutto quello che
può essere oggetto di accertamento tecnico preventivo».
Nell’ordinanza veniva sottolineato anche che il dubbio di
costituzionalità -per presunto contrasto con gli artt. 3 e
24 - non fosse risolvibile nemmeno mediante interpretazione
analogica o costituzionalmente orientata112.
La Consulta, investita della questione, confermava i dubbi
del remittente con un’eloquente sentenza additiva di
accoglimento che, tuttavia, non è riuscita a chiudere del
tutto la questione. Infatti la Corte, argomentando nel
senso di un’illegittima del 669-quaterdecies nella parte in
111 Corte Cost. 28 gennaio 2010 n. 26. 112 BONATO, L’arbitrato l’accertamento tecnico preventivo e la Corte costituzionale, in Giur. It., 2010, p. 1648 e in senso critico sull’ordinanza di remissione del Tribunale di La Spezia del 31 ottobre 2008, DELLE DONNE, Ancora sui rapporti tra arbitrato (anche irrituale) e accertamento tecnico preventivo: è davvero illegittimo l’art 669 quaterdecies nella parte in cui non prevede l’applicabilità a tali cautele dell’art. 669 quinquies? in www.judicium.it
55
cui impedisce ai compromittenti di applicare l’art. 669-
quinquies, fa espresso riferimento al solo caso
dell’A.T.P.. In dottrina ci si è domandati113 da subito se
il dictum fosse da interpretare in senso restrittivo,
escludendo così la proponibilità al giudice di una domanda
di ispezione o testimonianza, ma la risposta affermativa
sembra scongiurata poiché ritenuta irragionevole114.
Altro aspetto controverso è stato rinvenuto dalle
argomentazioni della Corte che, prima di «desumere
l’illegittimità dell’art 669-quinquies», ha «compiuto un
ragionamento più ampio, esaminando […] la compatibilità tra
l’accertamento tecnico preventivo e l’intera normativa
generale sui provvedimenti cautelari»115. In questa rassegna
comparativa non vi è accenno al tema della competenza e ciò
ha indotto qualcuno a ritenere che «in caso di stipulazione
di una controversia d’arbitrato, […] (quest’ultima, ndr)
spetti ad un giudice diverso da quello individuato dagli
artt. 693 e 696»116. Ma sembra privo di fondamento pensare
che dalla mancata correlazione di un singolo aspetto si
debba ricavare una “disciplina negativa” della competenza.
Piuttosto appare più ragionevole pensare che nel mancato
riferimento ad ogni singolo aspetto la Corte «abbia aperto
all’interprete la strada per applicare, a fronte di altre
deficienze della disciplina procedimentale dell’istruzione
113 TISCINI, La Corte costituzionale interviene sui rapporti tra istruzione preventiva e arbitrato, continua l’estensione del rito cautelare uniforme alla tutela preventiva della prova, in Riv. Arb., 2010, p. 73 ss. 114 BESSO, Istruzione preventiva e cautelare uniforme: una relazione tuttora, irrisolta, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2011, p.492; DELLE DONNE, La Consulta, l’istruzione preventiva e la forza espansiva del rito cautelare tra esigenze di compatibilità costituzionale e discrezionalità del legislatore, in Giur. It, 2010, p. 2117. 115 BESSO, Op. Ult. Cit., p.492. 116 BONATO, Op. Ult. Cit., p. 1651.
56
preventiva, disposizioni diverse e ulteriori rispetto agli
artt. 669-quinquies, 669-septies e 669-terdecies»117.
Inoltre è stato fatto notare come alla conclusione cui è
giunta la Corte si poteva comunque arrivare anche prima
della sentenza in commento, mediante un’interpretazione
«adeguatrice» e «costituzionalizzante» 118 ; e per altri
versi, prima della sentenza della Consulta, anche la
giurisprudenza aveva interpretato in via analogica l’art
669-quinquies per consentire l’espletamento
dell’accertamento tecnico preventivo anche in presenza di
patto arbitrale119.
117 BESSO, Op. Ult. Cit., p.492. 118 BONATO, Op. Ult. Cit., p. 1650. 119 Trib. Catania 22 Gennaio 1995, in Giur. It.,1995, p.820, nota di PULEO.
57
CAPITOLO SECONDO
LA COMPETENZA CAUTELARE DEGLI ARBITRI: LA DISCILINA
ITALIANA
SOMMARIO: 1 Il limitato potere cautelare degli arbitri nel sistema italiano. – 1.1 Il
potere cautelare degli arbitri nel rito societario. - 1.2 Le eccezioni implicite:
critica. – 1.3 Limiti ed estendibilità dei poteri cautelari degli arbitro. – 1.4
Esecutorietà delle misure cautelari emesse da arbitri. - 2. Analisi delle ragioni del
divieto e delle soluzioni offerte. - 2.1 La chiave di lettura offerta dall’art 111 e dai
trattati europei. - 2.2 Orientamenti sull’applicabilità delle astreints alla tutela
cautelare e all’arbitrato (rituale): chiave di lettura di un’evoluzione normativa?
1 Il limitato potere cautelare degli arbitri nel sistema
italiano
1.1 Il potere cautelare degli arbitri nel rito societario
Abbiamo finora analizzato i poteri cautelari del giudice
statuale nell’ambito di una controversia compromessa;
questi come visto, costituiscono la reazione e soluzione
che l’ordinamento appresta al divieto categorico dell’art.
818. Si è altresì accennato alle recenti aperture del
legislatore verso un modesto potere cautelare dell’arbitro.
Questo consiste di un numero circoscritto di strumenti di
cui solo uno è cristallizzato in una disposizione positiva,
mentre gli altri sono ricavabili attraverso interpretazioni
più o meno riconosciute in dottrina.
Anzitutto l’ipotesi manifesta è stata introdotta dal
decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 che ha istituito
l’arbitrato societario nel nostro ordinamento. La
58
disciplina “particolare” si applica, a norma dell’art. 34,
comma 1°, dello stesso decreto, a tutte quelle «ipotesi in
cui l’atto costitutivo di una società contenga una clausola
compromissoria. Restano pertanto fuori dalla disciplina
speciale tutti gli arbitrati che abbiano ad oggetto
controversie societarie, ma che non trovano fondamento in
una clausola compromissoria statutari»120 ; sono ad esempio
escluse le ipotesi che derivano da clausole compromissorie
contenute in patti parasociali, o più semplicemente da
compromesso 121 . Sono parimenti escluse dall’applicazione
dell’arbitrato societario tutte le società «che fanno
ricorso al mercato del capital di rischio a norma
dell’articolo 2325-bis del codice civile».
Da un punto di vista oggettivo lo stesso articolo pone
ulteriori confini. Da una parte si afferma la
compromettibilità in arbitri di «controversie che abbiano
ad oggetto diritti disponibili» (comma 1°); dall’altra,
invece, si esclude che possano essere oggetto di clausola
compromissoria «le controversie nelle quali la legge
preveda l’intervento obbligatorio del pubblico ministero»
(comma 5°).In dottrina122 esaminando i profili conflittuali
delle due disposizioni si è rilevato come i due criteri
sopra esposti sono da cumulare l’uno con l’altro.
Il successivo articolo 35 contiene due ipotesi
differenziate. La prima si cela dietro all’inciso «anche
non rituale» che al momento dell’emanazione della legge ha
rappresentato una vera e propria svolta. Infatti il
legislatore del 2003 sembrava aver recepito il messaggio
120 LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. Dir. Proc., 2003, p. 705 e 706. 121 La ragione è del tutto ovvia: non ha ragion d’essere un deferimento ad arbitri per una controversia già nata, in uno statuto o in un atto costitutivo che si collocano nel momento genetico della una società. così BRIGUGLIO, Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, in www.judicium.it. 122 LUISO, Op. Ult. Cit., p. 710.
59
(anch’esso mascherato dietro argomentazioni non necessarie
a supporto di un’ordinanza di rigetto) della Corte
Costituzionale 123 dell’anno precedente. Questo aveva messo
in discussione i capisaldi della vexata quaestio sulla
possibilità di ottenere tutela cautelare presso un giudice
togato anche in caso di clausola compromissoria per
arbitrato irrituale. Come abbiamo già osservato, però,
avremmo dovuto aspettare la novella del 2005 per una
disposizione incontrovertibile in tal senso.
Ma l’aspetto più rivoluzionario, e che tutt’ora rappresenta
un elemento di novità nell’ordinamento, è rappresentato
dalla disposizione che consente agli arbitri investiti
della questione di sospendere l‘efficacia delle delibere
assembleari (ai sensi dell’art. 2378 c.c.). Già
all’indomani della riforma legislativa in dottrina si
segnalava come, nonostante il contenuto innovativo della
norma, questa non bastasse, da sola, a superare in toto il
divieto di cui all’articolo 818. Se «il problema del
potere cautelare agli arbitri concerne non la pronuncia, ma
l’esecuzione del provvedimento» allora va da sé che la
misura in questione «ha vita facile» in quanto ordinanza
self-executing. E anche fra le misure ad esecuzione
spontanea risulta di attuazione particolarmente semplice,
dato che «non suppone un’incisione coattiva sulla
materialità delle cose, ma semplicemente paralizza
l’efficacia di una delibera, che si trova temporaneamente
privata dei propri effetti»124 .
Un profilo particolare su cui ha avuto occasione di
pronunciarsi la recente giurisprudenza 125 riguarda la
123 Corte cost. (ord.) 5 luglio 2002 n. 320 per la quale si rimanda a quanto detto nel Cap. I § 1.5. 124 BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, in Riv. Arb., 2003, p. 44. 125 Trib. Napoli, sez. VII, 6 febbraio 2012.
60
sospensione delle delibere ai sensi dell’articolo 2378
c.c. prima della costituzione del collegio arbitrale.
Infatti se da un lato risulta il carattere inderogabile
dell’articolo 35 del D. Lgs. 5/2003 («se la clausola
compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di
controversie aventi ad oggetto la validità di delibere
assembleari agli arbitri compete sempre il potere di
disporre […] la sospensione dell’efficacia della delibera),
dall’altro si deve dar conto della disciplina sostanziale
della misura cautelare in questione; la lettera dell’art.
2378 è chiara nell’indicare che «la misura in parola potrà
essere concessa soltanto in pendenza di arbitrato» 126 (ciò
viene desunto dall’espressione «con ricorso depositato
contestualmente al deposito […] della citazione» in
apertura del comma 3°). Da quest’ultima affermazione il
giudice partenopeo fa discendere che, anche in caso di
arbitrato, così come chiarito dalla riforma del 2005, la
sospensione della delibera «non può che essere disposta a
processo pendente e non già ante causam».
Per risolvere la diatriba è imprescindibile scomodare la
delicata questione del momento di inizio del procedimento
cautelare che, come già analizzato 127, dovrebbe coincidere
con la notificazione dell’atto con cui si dichiara di voler
promuovere il giudizio arbitrale. Tuttavia nel caso
dell’arbitrato societario è necessario specificare che la
legge prevede la possibilità di nomina dell’arbitro da
parte di un terzo, ciò che è accaduto nella fattispecie in
questione; orbene, in questo caso, il giudizio si può dire
pendente quando la parte abbia proposto l’istanza per
nominare l’arbitro al terzo incaricato. Dunque, è da questo
126 IZZO, Sulla sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari prima della costituzione del collegio arbitrale, in Le Società, 2012, p.570, 127 Vd Cap I § 2.3.
61
momento che la competenza si deve ritenere “traslata” in
capo agli arbitri, indipendentemente dalla tempestività
della nomina da parte del terzo o dalla costituzione del
collegio.
Il giudice designato dal Presidente del Tribunale per
confermare o revocare il decreto di sospensione da esso
emanato, pur riconoscendo «l’esigenza di contemperare le
prerogative di due distinte autorità (giudiziaria ed
arbitrale) senza che l’una possa condizionare, in modo
rilevante, anche l’altra» opta per «la natura concorrente
della potestà cautelare de qua, almeno nella fase anteriore
alla costituzione dell’organo arbitrale».
La pronuncia è solo l’ultima di una serie di decisioni
ascrivibili a 2 orientamenti interpretativi. Il problema
evidentemente scaturisce nello spazio temporale che
intercorre dalla notifica dell’istanza al terzo incaricato
di nominare il collegio e la concreta capacità di emettere
misure cautelari di quest’ultimo: da un lato vi è chi
sostiene che128 il dato letterale dell’articolo 35 non sia
superabile attraverso il procedimento di impugnazione delle
delibere di cui all’art. 2378 c.c., comma 3°; a conferma di
ciò starebbe la scelta operata dal legislatore del 2003 di
non consentire l’impugnabilità dell’ordinanza, onde evitare
ipotetici conflitti tra arbitro e giudice togato in sede
di revisione. La giurisprudenza che condivide questa
opinione, ritiene così ammissibile nelle more della
128 per la giurisprudenza considerata dal giudice partenopeo vedi Trib. Milano 4 ottobre 2005, in Giur. Comm., 2006, 1128, nota di CERRATO; Trib. Catania 14 ottobre 2005, in Giur. It., 2005, p. 1475, nota di CATALANO, che ha ritenuto inoltre inammissibile anche il ricorso ex 700 c.p.c.. Ma vedi anche Trib. Novara (ord.) 12 aprile 2005 in Tot Capita…? un anno e più di applicazione del rito societario fra incertezze e ricerca di uniformità in www.anfverona.it e Trib. Milano, 3 giugno 2010, in Corr. Giur., 2011, 1137 ss., nota di SALVANESCHI.
62
costituzione del collegio, il ricorso alla tutela d’urgenza
atipica (art. 700 c.p.c.).
Dall’altro lato 129 , invece, si ritiene che l’impugnazione
disciplinata dal codice civile sia utilizzabile finché non
si costituisce un collegio. Ed ad avviso del giudice
napoletano l’opzione per questa seconda teoria
rappresenterebbe anche la lettura più vicina al dettato
costituzionale.
Infine si deve segnalare l’opinione che legge nella
disposizione inserita dal legislatore una clausola di
riparto di competenze fra il giudice ordinario e il
costituendo collegio arbitrale130. E le conclusioni ricavate
non sono diverse da quelle fatte proprie nella decisione
analizzata: nell’attesa della costituzione del collegio si
dovrebbe ricorrere alle impugnazioni previste dall’art.
2378.
Ad avviso di chi scrive le ultime due tesi, muovendo da una
difficoltà fattuale (colmare il vuoto di tempo -talvolta
considerevole- in cui non si può ricorrere al collegio), si
scontrano inevitabilmente con il chiaro dato normativo
sancito dall’articolo 35. Inoltre la dimensione del
problema può essere ridimensionata quando le parti abbiano
previsto di ricorrere ad un costituendo arbitrato
amministrato che, come sempre più spesso accade, preveda
una figura corrispondente all’emergency arbitrator.
129 Trib. Milano 14 agosto 2010, in Corr. Mer., 2010, p. 1155; Trib. Milano(ordd.) 17 marzo 2009, in Riv. Arb., 2009, p. 311 ss. nota di VILLA e 20 settembre 2007, in Giur. It., 2008, p. 371 nota di SPIOTTA; Trib. Agrigento 4 novembre 2004, in Giur. Comm., 2007, p. 222, nota di CAMELLINI; in dottrina si veda RUFFINI, Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2004, p. 516 ss.; MOTTO, Esperienze del nuovo arbitrato societario, in Riv. Arb., 2006, p. 563; BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, in Giust. Civ., 2007, p. 491. 130 VILLA, Una poltrona per due: la sospensione delle delibere assembleari tra giudice privato e giudice statuale, in Riv. Arb., 2009, p. 315.
63
In ogni caso, certo è che il legislatore del 2003 non ha
brillato per lungimiranza; nell’introdurre una norma con
una così ampia portata innovatrice non si è nemmeno
preoccupato di risolvere quelle antinomie che, è
innegabile, emergono da una prima, superficiale lettura dei
due articoli.
1.2 Le eccezioni implicite: critica
Quella appena analizzata è l’unica eccezione prevista
positivamente nell’ordinamento italiano al divieto di
disporre misure cautelari che grava sugli arbitri. Tuttavia
un recente studio al fine di esplorare l’elasticità dei
limiti tradizionali posti dal divieto, ha dimostrato che si
possono ricavare alcune ulteriori eccezioni in via
interpretativa.
In primo luogo si riporta quella indirettamente ricavabile
dall’art. 669-duodecies. Si era già accennato alla norma in
materia di attuazione dei procedimenti cautelari emessi dal
giudice e a quei fini si era ritenuto senza dubbio
competente l’arbitro, quale giudice del merito. Ma è la
locuzione «ogni altra questione» a far sorgere dubbi:
essendo questa riferita all’attuazione e alle modalità
d’esecuzione dei provvedimenti cautelari è da approvare la
lettura che «assegna agli arbitri la cognizione delle
questioni sul quomodo dell’esecuzione»131.
131 così BIAVATI, Spunti critici sui poteri cautelari degli arbitri, in Riv. Arb., 2013, p. 336 che, in nota 25, fa riferimento a LUISO, Arbitrato e tutela cautelare nella riforma del processo civile, in Riv. Arb., 1991, p.264;in particolare vengono divise le questioni che danno luogo ad opposizione in tre categorie: a)quelle che formano l’oggetto delle opposizioni agli atti esecutivi per le quali «sembra che in ogni caso non vi sia alcun ostacolo a
64
Si fa notare come, seppure modesta, l’interpretazione in
questione ha il pregio di «aprire una breccia» rispetto
alla severa preclusione legislativa.
Inoltre, da una lettura a contrario dell’articolo 832 si
può ricavare un’eccezione implicita al divieto. Come si è
accennato sopra, l’articolo 832, così come novellato dal D.
Lgs. 40/2006 e, per questa ragione, «coevo alla modifica
permissiva apportata all’art. 818 (l’aggiunta della
clausola di salvezza, ndr)», tratta del rinvio a
regolamenti arbitrali con particolare, ancorché non
esclusivo, riferimento all’arbitrato amministrato. Dopo
aver disciplinato la soluzione fra disposizioni in
conflitto fra la convenzione arbitrale e il regolamento cui
le parti hanno rinviato, nel comma 6° viene trattato il
caso dell’efficacia della convenzione in caso di rifiuto
dell’istituzione arbitrale di amministrare lo stesso. In
questo caso la legge postula che si applichino in via
ritenere che esse rientrino fra quelle devolute al giudizio arbitrale». b)quelle che formano l’oggetto di opposizioni all’esecuzione e per le quali occorre distinguere ulteriormente a seconda che l’attuazione del provvedimento possa essere negata per ragioni processuali o sostanziali; l’A. fa notare come solo le seconde possano essere oggetto di sindacato dell’arbitro poiché le prime coincidono con il profilo relativo all’inefficacia che è devoluto «dall’art. 669-novies, al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare della cui efficacia si discute, e non al giudice del merito». c)quelle che devono essere proposte nel giudizio di merito. E fra queste, si noti bene, vi rientrerebbero anche quelle opposizioni che, in via interpretativa, potrebbero essere potenzialmente classificate come opposizioni agli atti (di cui alla lettera a) ). Ma mentre per queste ultime «sembra che in ogni caso- e cioè qualunque soluzione si voglia accogliere circa il modo con cui sono trattate nel procedimento di attuazione» debbano essere devolute al giudizio arbitrale, le altre (quelle “pacificamente da ritenere di merito”) non possono essere mai devolute alla decisione arbitrale. E ciò «per l’ovvia costatazione che non può essere imposta una decisione, la quale si fonda essenzialmente sul consenso di tutti gli interessati». Quanto detto è vero in primis poiché il terzo non è stato parte del patto compromissorio e dovrebbe esserlo a fortiori in quanto il patto non ha ad oggetto rapporti sostanziali fra le parti ed il terzo. Non è sufficiente una « «adesione» del terzo all’accordo arbitrale » e questi potrà solo «proporre le sue domande attraverso una autonoma e separata domanda di fronte al giudice indicato negli artt. 17 e 27».
65
sussidiaria le norme dei capi da I a V del titolo VIII,
libro IV del c.p.c., e fra queste, ovviamente anche l’art.
818. Ora date queste premesse, è stato proposto di dare una
lettura della disposizione nel senso che, laddove
l’istituzione decida di amministrare l’arbitrato si possa,
al contrario, derogare a tutti i capi precedenti e quindi
implicitamente anche al divieto di disporre misure
cautelari. Sembra fondato il rilievo che la capacità di una
fonte non legislativa –come lo sono i regolamenti- di
incidere sulle regole comuni possa poggiare su un mero
rinvio operato dalla legge, e che ciò sia sufficiente a
costituire eccezione della stessa 132 . È pero d’uopo
sottolineare come l’interpretazione offerta dell’ultimo
comma ha senso in tanto in quanto ci si muova nell’ambito
dell’arbitrato amministrato “sotto l’egida di
un’istituzione” e non anche quello ad hoc in cui le parti
abbiano semplicemente rinviato ad un regolamento
precostituito133.
In primo luogo 134 è stato fatto notare che la clausola di
salvezza fa riferimento a disposizioni di legge e che
l’espressione normalmente indica un’affermazione esplicita,
com’è ad esempio quella dichiarata nell’articolo 35 del D.
Lgs. 5/2003. Ma in proposito è stato eccepito come la legge
stabilisca precetti sia in maniera diretta che «mediante
rinvio ad altre fonti sublegislative»; e così l’art. 832
sebbene abbia il palese scopo di disciplinare l’arbitrato
amministrato (che già trovava peraltro la sua copertura 132 BIAVATI, Op. Ult. Cit., pp. 336-338 133 per la differenza fra i due tipi LA CHINA, L’arbitrato il sistema e l’esperienza, Milano, 2011, p. 3; CORSINI, L’arbitrato secondo regolamenti precostituiti, in Riv. Arb., 2007, p. 295 ss. 134 le critiche come riportato in BIAVATI, Op. Ult. Cit., nota 30 sono state formulate « nel dibattito che ha seguito la mia (di Biavati, ndr) relazione nel convegno del 3 dicembre 2012 («L’ausilio giudiziario all’arbitrato tra sostegno, controllo e interferenza»), fra gli altri, da Piero Bernardini, Antonio Briguglio e Giorgio De Nova».
66
positiva nell’art. 816-bis) è stato formulato con
espressioni che vanno ben aldilà della rubrica e pertanto,
nei limiti della ragionevolezza, ben si presta a reggere
una semplice lettura a contrario della norma, che non
necessita nemmeno di ragionamenti per assurdo.
Inoltre è stato osservato come con un’interpretazione in
questi termini verrebbe introdotta una «non giustificata
differenza fra l’arbitrato amministrato e l’arbitrato ad
hoc». Ma a ciò si può ben obiettare che non solo la scelta
rientra fra quelle opzioni di cui dispone liberamente il
legislatore, ma anche che la preferenza accolta da questi
risponde ad un più generale interesse deflattivo del
contenzioso cui aspirava tutta la riforma del 2006. E se
questa era l’intenzione del legislatore che ha riformato
l’art 832, a fortiori dovrebbero essere accolte
interpretazioni sistematiche che si collocano nella stessa
direzione teleologica.
Un’ulteriore appunto muove dalla lettera del comma 5° dello
stesso articolo che convalida ipotesi ulteriori di
sostituzione e ricusazione degli arbitri eventualmente
previste da regolamenti arbitrali “in aggiunta” a quelli
previsti dalla legge. Dalla formulazione si dovrebbe
ricavare una regola generale per cui i regolamenti
arbitrali non potrebbero «in alcun modo derogare al divieto
dell’articolo 818, perché essi possono soltanto integrare
le regole del codice per l’arbitrato rituale». E se è
vero, come è vero, che il codice indica che i regolamenti
arbitrali possano solo incrementare le ragioni per cui
ricusare o sostituire un arbitrato, non è necessariamente
vera la più generica proposizione secondo cui «il codice
non è derogabile tramite il rinvio a regolamenti
arbitrali».
67
Infine si sottolineava come consentendo la derogabilità del
codice a mezzo di uno strumento come un regolamento
arbitrale si potesse correre il rischio di incorrere in
gravi violazioni di principi essenziali . Oltre al puntuale
rilievo di come il rischio sia solo teorico, poiché i
regolamenti predisposti sono di regola provvisti di un
ampia gamma di garanzie del tutto identiche a quelle
predisposte per un processo ordinario, ve ne sono altri più
gravi di carattere teorico. Infatti si sottolinea come «le
garanzie essenziali dell’arbitrato sono le stesse che la
Costituzione prevede per la giustizia dello Stato» e che
mai un lodo potrebbe essere omologato se ne fosse privo.
Sul punto mi preme aggiungere che alla stregua della
normativa contrattualistica la violazione di diritti e
principi generali può costituire di per sé una violazione
di norma imperativa, fonte di nullità e rilevabile dal
giudice d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Il
fatto che i paciscenti decidano di rinviare ad un
regolamento contrattuale stabilito da terzi, non vale a
privare lo stesso contratto dell’elemento della volontà che
in questo caso è solo coincidente con quella preformulata
in un regolamento procedurale esterno; e così lo stesso
contratto sarà soggetto alle regole generali e su tutte,
quella di non essere in contrasto con norme imperative. Non
si vede quindi perché debba essere in questo caso sollevata
una critica di carattere generale, anzi generalissimo, in
questa specifica sede. Sta nella più essenziale logica
giuridica costatare che un accordo fra le parti non debba
derogare le norme imperative, così come sta nella logica
della sistemazione delle fonti del diritto il rispetto
dell’ordine gerarchico delle stesse.
L’interpretazione in questione rappresenta sicuramente un
terreno fertile per oltrepassare quelle resistenze
68
postulate dal dato normativo e corroborate
dall’atteggiamento diffidente di dottrina e giurisprudenza.
Meglio: costituisce dichiaratamente un espediente per
aggirare un ostacolo normativo altrimenti insuperabile
nonché un tentativo di osservare la tenuta dei limiti
classici del divieto. Date queste premesse le critiche
mosse a questa lettura, se da una parte possono essere
ritenute legittime sul piano logico-ermeneutico, dall’altra
contribuiscono a riaffermare il primato della legge anche
in un settore dove la volontà delle parti costituisce il
perno della disciplina e la matrice genetica dell’istituto.
Con ciò non si vuole dare un giudizio negativo
all’interprete che si è cimentato in esperimenti logici di
opposizione rispetto a quello appena proposto, solo perché
la tesi qui sostenuta offre, “allargando le maglie del
divieto”, migliori risultati. Ciò sarebbe oltretutto
intellettualmente disonesto, se non contrario all’onere di
ogni commentatore. Si vuole solamente sottolineare che
tutte le riforme legislative, i revirement delle corti o
più in generale qualsiasi cambiamento dell’opinione più
diffusa partono sempre da interpretazioni che d’acchito
possono sembrare estreme o fuorvianti, salvo poi rivelarsi,
quando l’idea è diventata condivisa ai più, lo standard
normale, il nuovo canone interpretativo. Orbene stupisce
che di fronte ad un palese tentativo di rendere più
elastico il dato normativo, proprio gli stessi autori che
ne chiedono a gran voce la riforma da un ventennio, si
prestino a critiche de iure condito.
69
1.3 Limiti ed estendibilità dei poteri cautelari degli
arbitri
Individuate le eccezioni esplicite e implicite al divieto
non è comunque superfluo effettuare delle considerazioni di
carattere generale sui requisiti e l’estensione che possono
o potrebbero avere i provvedimenti cautelari emessi da un
arbitro senza entrare in conflitto con la normativa di
divieto.
Anzitutto si è visto come possano trovare spazio solo quei
provvedimenti che non richiedono esecuzione, poiché è
proprio la mancanza di potere coercitivo a privare
l’arbitro del potere cautelare. E quindi vi saranno
certamente ricomprese le «misure che che autorizzano la
sospensione unilaterale della prestazione contrattuale e
misure di natura meramente dichiarativa». Diverso è invece
il discorso per quelle misure che si concretino in obblighi
di dare, fare o non fare 135 . Infatti quando la misura
richieda queste forme di attuazione sarà ulteriormente
opportuno distinguere fra le ipotesi in cui l’esecuzione
sia interamente demandata alla parte interessata, senza
necessità alcuna di attuazione coercitiva e quelle, al
contrario, in cui l’arbitro dovrebbe arrogarsi poteri
coercitivi per dare attuazione alla misura 136 . Per altri
invece il criterio distintivo è fra le misure in cui il
beneficiario può provvedere spontaneamente e quelle in cui
è comunque necessaria una condotta attiva o omissiva del
soggetto inciso. Si sottolinea infatti che anche se
potenzialmente l’arbitro potrebbe provvedervi, sarebbe
135 CARLEVARIS, La tutela cautelare nell’arbitrato internazionale, Padova, 2006, p. 276. 136 RUBINO- SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato: disciplina comune e regimi speciali, Assago, 2010, p. 794.
70
necessaria «l’assistenza del giudice statale per la loro
esecuzione»137.
Un accordo fra le parti finalizzato a conferire poteri
cautelari agi arbitrati, seppur legittimo e dotato di
efficacia fra i contraenti non potrebbe comunque
beneficiare dell’imposizione forzosa dello Stato.
Valorizzando l’aspetto negoziale dell’accordo si potrebbe
giungere all’emissione di provvedimenti «a struttura, ma
non ad efficacia cautelare». Questi avrebbero il potere di
vincolare la parte intimata ad adempiere il contenuto della
misura, ma non il giudice a darvi esecuzione138. Una misura
con tali caratteristiche, a ben vedere, anche se lasciata
alla spontanea ottemperanza delle parti potrebbe sempre
contare sull’incentivo strutturale dato dalla moral suasion
che l’arbitro potrebbe esercitare sul magistrato togato
affinché conceda un provvedimento analogo139. E un discorso
equivalente potrebbe essere fatto sulla capacità persuasiva
che può avere -in senso negativo- la mancata attuazione di
provvedimenti cautelari, al momento della decisione di
merito. Sebbene si nota, ciò dovrebbe costituire solo un
fattore «meramente psicologico» che involontariamente
influenza la decisione finale dell’arbitro, il quale non
potrebbe compromettere l’esito del giudizio dando alla
mancata esecuzione un’arbitraria funzione sanzionatoria140.
Tuttavia un accordo delle parti potrebbe al più
configurarsi come avente natura contrattuale e, se non
rispettato, soggetto alle medesime forme di tutela offerte
dall’ordinamento : il risarcimento del danno. La soluzione
137 CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., p. 277. 138 TOMMASEO, Lex fori e tutela cautelare nell’arbitrato commerciale internazionale ,in Riv. Arb., 1991, p. 29. 139 AULETTA, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale, in VERDE, Diritto dell’arbitrato, Torino, 2005, p. 498 ss. 140 POZZI, Arbitrato e tutela cautelare: profili comparatistici, in Riv. Arb., 2005, p. 33.
71
non è però pienamente soddisfacente141 poiché si rileva che,
se le parti hanno optato per una giurisdizione alternativa
a quella statale, è proprio il rimedio ordinario che
avrebbero voluto evitare. Tanto più quando il danno deriva
dal mancato rispetto di una misura provvisoria e
strumentale, che con tutta probabilità sarebbe destinata a
caducare in tempi molto più brevi delle more del giudizio
fondato sull’art. 1218 c.c..
2. Analisi delle ragioni del divieto e delle soluzioni
offerte
2.1 La chiave di lettura offerta dall’art 111 e dai
trattati europei
Dal quadro che emerge non sembrerebbero esistere vie di
fuga concrete o efficaci espedienti per aggirare il dato
normativo; o meglio, alcune ampie interpretazioni possono
spostare il problema più avanti estendendo ad ipotesi non
scontate (poiché non sintetizzate in norme dirette) lo
status di “diversa disposizione di legge” che consente di
superare il divieto imposto dallo stesso art. 818.
Ciò detto l’interprete che voglia avventurarsi nella
impervia strada del superamento di tale divieto non può
essere esonerato da una lettura costituzionalmente
orientata della norma. Lo studio cui si accennava sopra
prende le mosse dalle indicazioni offerte a tal proposito
dall’articolo 111 della Costituzione, ed in particolare dal
2° comma che postula il principio della ragionevole durata. 141 CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., p. 279.
72
In primo luogo si deve prendere atto che il principio non
si estrinseca solo e soltanto come «minore estensione
temporale dei processi, ma anche e soprattutto [come]
ragionevole distribuzione delle scarse risorse della
giurisdizione pubblica»142. In questo senso i giudici hanno
un dovere di allocare correttamente le risorse economiche a
disposizione e di distribuirle in maniera proporzionale
rispetto all’entità della causa143. E a nulla deve valere in
tal proposito la -seppur veritiera- considerazione che tali
risorse sono insufficienti rispetto a quelle necessarie per
una gestione dignitosa dell’ordinamento giudiziario. In
questo contesto si ipotizza una lettura della norma
costituzionale come recante la facoltà di ripartire ad 142 BIAVATI, Op. Ult. Cit., p. 344-345 e Osservazioni sulla ragionevole durata del processo di cognizione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2012, p. 475 ss.; LIAKOPOULOS , Equo processo nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nel diritto comunitari, Padova, 2007, p. 105 ss.; CITTARELLO, La durata ragionevole del processo: criteri di valutazione della “ragionevolezza” elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ed ordinamento italiano, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2003, p. 161 ss.; FABRI, Idee europee, chimera italiana: la giustizia di qualità, relazione al Convegno “Europa a Giudizio. Per un processo civile giusto moderno e europeo”. Asiago 16-17 Settembre 2011; contra, nel senso che l’art. 111 non sia in grado di incidere sulla lentezza poiché il problema dipende dal rapporto tra le norme processuali e le risorse destinate al processo, ANDRONIO, in BIFULCO-CELOTTO-OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, sub Art. 111, Torino, 2006, pag. 2115 e ss. 143 Si veda come termine di paragone il processo inglese che sebbene improntato ad un adversarial system rappresenta un esempio di gestione virtuosa delle risorse. Paradigmatico in tal senso è l’articolo 1.1 (rubricato «l’obiettivo prioritario») delle Procedure Rules: «1. These Rules are a new procedural code with the overriding objective of enabling the court to deal with cases justly. 2. Dealing with a case justly includes, so far as is practicable:
a) ensuring that the parties are on an equal footing; b) saving expense; c) dealing with the case in ways which are proportionate:
i) to the amount of money involved; ii) to the importance of the case; iii) to the complexity of the issues; and iv) to the financial position of each party;
d) ensuring that it is dealt with expeditiously and fairly; ande) allotting to it an appropriate share of the court's resources, while taking into account the need to allot resources to other cases»
su cui vedi PASSANANTI, Processo civile inglese, in Enc. Dir., Annali, vol. III, Milano, 2010, p. 971.
73
organi esterni incombenze non strutturalmente di monopolio
del giudice statale. Si chiede, in pratica, di spostare -o
per lo meno di dare alle parti la possibilità di spostare-
fuori dalla cognizione del giudice togato questioni per le
quali non è imprescindibile la sua parola. Le misure
cautelari rappresentano così un buon esempio di mansioni
delegabili ad un arbitro nel rispetto -da questo punto di
vista- delle priorità di decongestionamento dei tribunali e
ottimale impiego delle risorse umane ed economiche imposte
dalla Costituzione. In questa chiave interpretativa la
lettura sopra esposta dell’art. 832 sarebbe così fornita di
quel “backing” che la rende meno forzata e più
convincente144.
Un altro spunto interpretativo può essere fornito dall’art.
81 del TFUE in tema di cooperazione giudiziaria in materia
civile. Questo nel 2° paragrafo alle lettere e) e g)
promuove rispettivamente l’accesso effettivo alla giustizia
e lo sviluppo alternativo dei metodi per la risoluzione
delle controversie. Ora se è pur vero che dal lettera delle
disposizioni in questione non discende direttamente alcuna
norma potenzialmente in contrasto con quelle previste dal
codice di rito italiano, le prime sono sintomatiche
dell’indirizzo che il legislatore europeo chiede di
seguire.
Per altri versi ancora più significativo è il disposto
della lettera f) del medesimo paragrafo che sempre al fine
di migliorare la cooperazione giudiziaria indica la
sostanziale rimozione degli «ostacoli al corretto
144 Allo stesso modo, «seppure qui più fortemente manipolatrice», la rilettura del 111 Cost. in chiave costituiva del modello di case management, potrebbe dar adito ad un’interpretazione dell’art. 825 c.p.c.; si ipotizza un’equiparazione fra il provvedimento cautelare emesso da un arbitro ai sensi dell’articolo 832, come estensivamente interpretato (vd. Cap. II, § 1.2), ad un lodo ; sic BIAVATI, Op. Ult. Cit., pp. 341 e 345; LUISO, Arbitrato e tutela cautelare nella riforma del processo civile, in Riv. Arb., 1991, p. 253.
74
svolgimento dei procedimenti civili, se necessario
promuovendo la compatibilità delle norme di procedura
civile applicabili negli Stati membri». Se è vero che la
formula «procedimenti civili» potrebbe stare ad indicare
solo quelli presso le corti statali, non serve un grande
sforzo ermeneutico per farvi rientrare anche la procedura
arbitrale; anzi a tal fine è sufficiente un’interpretazione
sistematica che guarda alla norma immediatamente
successiva. Si potrebbe ben sostenere, infatti che
l’isolato caso italiano costituisca un elemento di
“rottura” della compatibilità delle norme di procedura
degli Stati membri. E in un certo senso l’elemento ostativo
al corretto svolgimento può essere rinvenuto nell’indiretto
aggravio che la norma porta alle nostre già intasate
cancellerie, anche se mi rendo conto che l’incidenza è
talmente bassa da poter essere ritenuta trascurabile. Del
resto per non ritenere artificiose queste letture serve un
approccio aperto alla volontà di modificare un dato
legislativo ben radicato e altrimenti difficilmente
manipolabile.
Al contrario sarà vano qualsiasi tentativo di rileggere
l’articolo 818 in chiave costituzionale se ci si pone con
un atteggiamento riluttante al cambiamento e ad
un’interpretazione adeguatrice.
2.2 Orientamenti sull’applicabilità delle astreints alla
tutela cautelare e all’arbitrato (rituale): chiave di
lettura di un’evoluzione normativa?
Sempre con riferimento all’esatta individuazione dei
ristretti limiti di competenza e di autonomia degli arbitri
75
nell’ordinamento italiano, è interessante affrontare un
ulteriore aspetto, apparentemente poco rilevante, ma al
contrario, molto indicativo per comprendere la difficoltà
della giustizia arbitrale a trovare terreno fertile nel
nostro paese, nonostante alcuni orientamenti
giurisprudenziali e dottrinari in controtendenza.
L’istituto cui mi riferisco è quello previsto e
disciplinato dall’art. 614-bis c.p.c..
L’astreinte, così come battezzato dalla dottrina, mutando
il termine dall’ordinamento francese, non è altro che la
previsione di una “penale” a carico della parte soccombente
che si dovesse rendere inadempiente all’esecuzione di un
provvedimento di condanna di obblighi di fare infungibili o
di obblighi di non fare. Ai sensi della norma citata, il
giudice, unitamente ad un provvedimento di condanna ad
obblighi di fare infungibili o di non fare, può prevedere,
su richiesta di parte, una somma di denaro dovuta
dall’obbligato per ogni <<violazione o inosservanza
successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del
provvedimento>>.
La dottrina, subito dopo l’introduzione della norma nel
nostro ordinamento 145 , si è molto impegnata a riempire di
contenuti una disposizione per alcuni aspetti lacunosa.
È tuttora aperto il dibattito, per esempio, intorno
all’applicabilità dell’istituto alla tutela cautelare e/o
d’urgenza, ovviamente a carattere anticipatorio.
145 La norma è stata introdotta dall’art. 49 L. 18 giugno 2009, n. 69, con decorrenza e relativa disciplina transitoria indicate sub art. 7.
76
Alcune pronunce di merito, infatti, hanno affermato
l’applicabilità delle astreints ai provvedimenti cautelari
e d’urgenza, ritenendola quasi ovvia, data
l’interpretazione letterale dell’art. 614 bis c.p.c. 146.
Di contro, parte della dottrina sostiene l’inapplicabilità
dell’istituto in genere ai provvedimenti scaturenti da
tutela a carattere sommario, affermando che <<la causa
dell’esclusione va ricercata nel fatto che ess[e] non
rientrano nel novero delle pronunce di condanna, sono
suscettibili di mera attuazione e si sottraggono
all’applicazione della disciplina dell’esecuzione
forzata>>147.
In senso contrario, altri autori hanno sposato
l’orientamento giurisprudenziale di cui poco sopra,
ritenendo l’applicabilità dell’astreinte alla tutela
cautelare abbastanza scontata148.
Tale digressione nel campo della tutela cautelare ordinaria
e non arbitrale, potrebbe apparentemente risultare fuori
tema. Al contrario, è interessante notare che la stessa
dottrina che sostiene l’applicabilità dell’istituto
richiamato alla tutela cautelare e d’urgenza, ne sostiene
anche l’applicabilità alla giurisdizione arbitrale. Allo
stesso modo, gli autori che affermano l’atreinte come non
applicabile alla tutela a carattere sommario ritengono lo
146 In tal senso Trib. Bari 10 Maggio 2001, n. 356, in www.giuriprudenzabarese.it e anche Trib. Cagliari, 19 ottobre 2009, in Foro It., 2011, p. 287. 147 TEDIOLI, Osservazioni Critiche All’art. 614 Bis Cod. Proc. Civ., in La Nuova Giur. Civ., 2013, p. 67. 148 BOVE, La misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c., in Riv. Trim Dir. Proc., 201°, p. 781 ss.
77
strumento coercitivo assolutamente al di fuori dei poteri
dell’arbitro.
In tal senso, dalla stessa dottrina già citata è stato
sostenuto che non può escludersi <<la possibilità che un
lodo arbitrale (rituale) sia rafforzato con la concessione
della misura coercitiva, posto che esso deve poter dare la
stessa tutela che altrimenti darebbe la sentenza
statale>>149.
Rispetto ai commenti dottrinari che reputano lo strumento
della coercizione indiretta (art. 614-bis c.p.c.)
estendibile ai poteri dell’arbitro, è interessante notare
che anche in questo ambito è, tuttavia, necessario
effettuare dei distinguo.
Alcuni autori, infatti, ritengono che la norma citata sia
applicabile all’arbitrato anche in mancanza di un‘espressa
previsione nell’accordo arbitrale e che il potere di
emettere provvedimenti coercitivi indiretti all’interno di
un lodo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 614-bis
c.p.c., debba affermarsi in maniera aprioristica150.
Altri, invece, sostengono che la possibilità che un lodo
arbitrale contenga provvedimenti di questo tipo si
configuri solo nell’eventualità in cui le parti, all’atto
della predisposizione dell’accordo arbitrale, <<esercitando
la legittima facoltà di stabilire le regole del giudizio
privato, prevedano espressamente il richiamo alle norme del
processo civile (ove compatibili) oppure, più
149 BOVE; Op. Ult. Cit., p.785; 150 CHIZZINI, in AA.VV., La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, Torino, 2009, sub art. 614-bis, p. 148.
78
semplicemente, prevedano l’operatività dell’art. 614 bis
c.p.c.>>151.
Ritengo che la questione di cui al presente paragrafo, per
quanto marginale, sia molto più rilevante di quello che
possa apparire. Affermare l’inapplicabilità dell’art. 614-
bis c.p.c. al potere degli arbitri, infatti, non può che
essere interpretato come una definitiva individuazione
della giustizia arbitrale come una giustizia di secondo
ordine, rispetto a quella ordinaria.
I provvedimenti di cui all’art. 614 bis c.p.c., infatti,
sono accessori rispetto ai provvedimenti di condanna e
costituiscono il tentativo del legislatore di favorire
l’esecuzione di sentenze che, in mancanza di una
appropriata esecuzione in forma specifica, rischiano di
restare provvedimenti inutili o comunque non soddisfacenti
per la parte vittoriosa.
Ove si dovesse riconoscere l’impossibilità per l’arbitro di
adottare pari provvedimenti, non si farebbe che conclamare
la minore efficacia ed efficienza di un lodo rispetto ad
una sentenza, con evidente effetto disincentivante nei
conforti del ricorso alla giustizia arbitrale rispetto a
quella ordinaria.
Da ultimo, sempre con riferimento all’istituto della
coercizione indiretta, risulta impietosa anche l’analisi
dal punto di vista comparatistico, ove si consideri che
nell’ordinamento belga ed in quello olandese, espresse
norme di Legge prevedono l’utilizzabilità per l’arbitro
dell’istituto dell’astreinte, mentre in quello francese ed
151 LUDOVICI, http://goo.gl/ot3dcx .
79
in quello elvetico è principio giurisprudenziale e
dottrinario ormai più che consolidato152.
Per ciò che riguarda il nostro ordinamento, non resta che
rimanere ad osservare come si evolveranno i vari
orientamenti e come quelli in tema di tutela cautelare e
d’urgenza, sicuramente più prolifici in termini
giurisprudenziali, influenzeranno anche quelli in tema di
arbitrato, con l’auspicio che una conclusiva affermazione
dell’applicabilità dell’art. 614 bis c.p.c. all’arbitrato
rituale, coincida con una definitiva consacrazione della
giustizia arbitrale come metodo di risoluzione delle
controversie effettivo, paritetico ed alternativo, rispetto
alla giustizia statale.
152 POZZI, Op. Ult. Cit., p. 33 spec. nt. 30.
81
CAPITOLO TERZO
LA TUTELA CAUTELARE NELL’ARBITRATO INTERNAZIONALE
SOMMARIO: 1 La competenza concorrente degli arbitrati in materia cautelare. – 1.1 Ragioni
e utilità dello studio della tutela cautelare nell’arbitrato internazionale. – 1.2 La
convenzione di New York e la convenzione di Ginevra. - 1.3 La legge modello UNICTRAL. –
1.4 Maggiori regolamenti arbitrali. – 1.5 Breve rassegna di modelli adottati nelle
legislazioni nazionali . – 1.6 Rapporti tra giurisdizioni ordinarie e giurisdizioni
arbitrali per nell’emissione di provvedimenti cautelari: affermazione del modello
concorrente. 2 Le misure adottabili. - 2.1 Le tipologie di misure cautelari arbitrali;
le anti-suit injunctions. - 2.2 Le misure ex parte. – 2.3 Le misure pre-arbitrali.
1 La competenza concorrente degli arbitrati in materia
cautelare
1.1 Ragioni e utilità dello studio della tutela cautelare
nell’arbitrato internazionale
L’analisi dei sistemi vigenti nel panorama internazionale è
un terreno molto più prolifico di quella limitata
all’ordinamento italiano; non solo come è ovvio per
l’estensione dell’esame ad un numero potenzialmente
illimitato di ordinamenti o trattati e strumenti di diritto
internazionale privato. Ma anche e soprattutto perché, come
anticipato, la tutela cautelare nell’arbitrato
internazionale è consentita praticamente ovunque anche se
con modalità e contenuti vari e molto differenti.
Così mentre la letteratura italiana elucubra su come
aggirare il dato normativo e quindi sull’an della materia,
in ambito internazionale la ricerca è sfaccettata solo
82
quomodo dando (quasi) per scontato che questo possa aver
luogo.
Data l’eterogeneità delle fonti (trattati e convenzioni,
leggi modello, leggi nazionali, regolamenti arbitrali) che
lo regolano, l’arbitrato internazionale si svolge con
modalità differenti a seconda di dove esso ha sede e delle
regole che vengono applicate. Pur essendo molteplici e
differenziate, le fonti dell’arbitrato internazionale
presentano uno spesso tratto comune che ci consente di
analizzarle come fenomeno uniforme. Il grado di
armonizzazione delle fonti internazionali dell’arbitrato
infatti è molto evoluto e ciò soprattutto grazie ad «una
forte convergenza fra le soluzioni concrete adottate»153.
Ai fini di questo studio, se da una parte si definisce
l’arbitrato internazionale in senso lato come «un fenomeno
di controversie fra soggetti con sede o interessi in
diversi ordinamenti» 154 dall’altra si deve constatare come
esso non possa prescindere totalmente dalle legislazioni
dei singoli stati dove poi la specifica misura dovrà essere
eseguita. E al contrario delle fonti convenzionali e dei
regolamenti, le singole leggi offrono soluzioni molto
variegate.
Tuttavia non è questa la sede 155 per studiare
approfonditamente tutte le soluzioni adottate nelle
legislazioni statali. Ci si limiterà quindi ad individuare
153 BIAVATI, Argomenti di diritto processuale civile, Bologna, 2011, p. 649. 154 BIAVATI, Arbitrato internazionale, in Arbitrati speciali, a cura di CARPI, Bologna, 2008. 155 per una rassegna esaustiva delle legislazioni nazionali in materia di misure cautelari e arbitrato vedi CARLEVARIS, La tutela cautelare nell’arbitrato internazionale, Padova, 2006 e, in dottrina internazionale, COLLINS, Provisional and protective measures in international litigation, Dordrecht, 1992; YEŞILıRMAK, Provisional Measures in International Commercial Arbitration, The Hague-London-New York, 2005; BOSCH, Provisional remedies in International Commercial Arbitration: a practioner handbook, Berlin-New York, 1994.
83
il diritto comune dell’arbitrato internazionale, ora
cristallizzato da un trattato o dalla legge modello
UNCITRAL, ora fatto proprio da una maggioranza rilevante di
regolamenti arbitrali. Solo dopo si completerà lo studio,
con una breve rassegna delle principali opzioni adottate
dai legislatori al fine di evidenziare il trend
sovrannazionale
In ultima analisi ci sembra questo il sistema migliore per
osservare dall’esterno quale sia il tratto saliente della
materia ponendosi come obiettivo ultimo il confronto fra
questo e l’ordinamento italiano.
1.2 La convenzione di New York e la convenzione di Ginevra
Fra le fonti internazionali di natura convenzionale in
materia di arbitrato riveste una posizione di primaria
importanza la convenzione di New York del 1958 156 ,
ratificata in Italia con la l. 19 gennaio 1962 n. 62.
Questa tratta principalmente dell’esecuzione e del
riconoscimento di lodi stranieri, ma non fa alcun cenno
alla materia cautelare. Tuttavia dopo aver precisato il
concetto157 di «convenzione scritta» (art II, par. 3), viene
156 GIOVANNUCCI ORLANDI, Convenzione di New York per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere (1958), in Le convenzioni di diritto del commercio internazionale, a cura di FERRARI, Milano, 2001, p. 443; BERNARDINI, Sentenza arbitrale e Convenzione di New York, in Riv. Dir. Proc., 2006, p. 89 ss.; GARDELLA, Stato della sede, stato dell'esecuzione del lodo e autonomia privata nell'arbitrato commerciale internazionale: un'analisi critica , in Rivista delle Società, 2012, pag. 970 ss; CARBONE, Il riconoscimento degli effetti dei lodi arbitrali nella Convenzione di New York del 1958: risultati e prospettive, in Riv. Dir. Int. Priv. Proc., 2011, p. 879, 157 «Per «convenzione scritta» s’intende una clausola compromissoria inserita in un contratto, o un compromesso, firmati dalle parti oppure contenuti in uno scambio di lettere o di telegrammi» art. II par 2.
84
sancito che, il Tribunale cui venga sottoposta una
controversia su di essa, debba rinviare la questione al
sindacato degli arbitri, sempre che non la ritenga «caduca,
non operante o non suscettiva d’essere applicata» 158 . In
questa sede è lecito domandarsi se l’«agreement in writing»
possa essere configurato o meno come suscettibile di
includere il mandato conferito all’arbitro per disporre
misure cautelari. E la risposta non è univoca 159 potendo
l’accordo compromissorio «essere redatto in termini tali da
ricomprendere, o viceversa escludere, la materia cautelare
dalla ‹‹legal relationship›› »160, 161.
Discorso diverso vale per la convenzione sull’arbitrato
commerciale internazionale adottata a Ginevra il 21 aprile
1961162. Questa, a differenza della prima, dedica un intero
paragrafo al problema, affermando che «una domanda di
misure provvisorie o cautelari indirizzata ad una autorità
giudiziaria non deve essere considerata come incompatibile 158 «The court of a Contracting State, when seized of an action in a matter in respect of which the parties have made an agreement within the meaning of this article, shall, at the request of one of the parties, refer the parties to arbitration, unless it finds that the said agreement is null and void, inoperative or incapable of being performed» art II, par 3; la traduzione non ufficiale è tratta da www.newyorkconvention.org. 159 A favore di una prevalenza della giurisdizione (non solo in ambito cautelare) statale su quella arbitrale vd REISMAN, Tribunals and Courts: An Interpretation of the Architecture of International Commercial Arbitration; contra RADICATI DI BROZOLO, The Control System of Arbitral Awards: A Pro-Arbitration Critique of Michael Reisman's “Architecture of International Commercial Arbitration”, entrambi in Arbitration — The Next Fifty Years — ICCA Congress Series No. 16 (Geneva 2011) a cura di VAN DEN BERG, Alphen aan den Rijn, 2012, rispettivamente pp. 17 ss e 74 ss.. 160 CARLEVARIS, La tutela cautelare nell’arbitrato internazionale, Padova, 2006, p. 158 161 per la dottrina internazionale BORN, International Arbitration: cases and materials, Alphen aan den Rijn, 2011, p. 814 nt. 5 riassume lucidamente l’interpretazione della giurisprudenza americana sia nel senso di proibire le corti nazionali dall’ordinare «prejudgment attachment»; vd più diffusamente anche pp. 854-855. 162 su cui si veda GIOVANNUCCI ORLANDI, Convenzione europea sull’arbitrato commerciale internazionale(1961), in Le convenzioni di diritto del commercio internazionale, a cura di FERRARI, Milano, 2001, p. 481 ss. e BONSIGNORI, L’arbitrato internazionale fra Convenzione di Ginevra e codice di rito, in Riv. Arb., 1995, p. 379 ss.
85
con la convenzione di arbitrato, né come una proposizione
in merito, della causa, al tribunale giudiziario>> 163 . La
disposizione in questione sancisce la compatibilità fra
tutela cautelare e convenzione arbitrale164; il paragrafo 4
tratta in particolare della situazione in cui le proprietà
o i beni di una qualsiasi delle parti nei confronti della
quale la domanda cautelare è inoltrata, si trovino in un
paese diverso rispetto a quello in cui ha sede
l’arbitrato165. La ratio che soggiace all’art. VI.4 non è da
intendere nel senso che la richiesta dell’istante per
ottenere assistenza dal tribunale statale valga come
rinuncia alla giurisdizione arbitrale 166 . Con le parole
«judicial authority» si devono, inoltre, ricomprendere non
solo i Tribunali che svolgono la funzione di cognizione, ma
anche quelli dell’esecuzione cui la legge ricolleghi la
competenza di emettere o far eseguire misure cautelari.
Niente quindi, nella lettera dell’art VI.4, impedisce ai
tribunali arbitrali di emettere provvedimenti cautelari.
Inserendo la norma nel più ampio quadro della riforma,
finalizzata a statuire i rapporti fra giurisdizione
ordinaria e arbitrale, si può notare come questa
costituisca un «riconoscimento positivo
163 art. VI.4 Convenzione di Ginevra « A request for interim measures or measures of conservation addressed to a judicial 49 authority shall not be deemed incompatible with the arbitration agreement, or regarded as a submission of the substance of the case to the court»; traduzione non ufficiale nel testo della legge di ratifica 10 maggio 1970 n. 418 www.giustizia.it; per un commento vd in dottrina internazionale HASCHER, Commentary on the European Convention 1961, in Yearbook Commercial Arbitration, vol. XXXVI , 2011, pp.504-562 164 in questo senso Pretore Verona 19 Aprile 1985, Pama Industrie S.p.A. c. Shultz Steel Company e Banca Nazionale del Lavoro, in Yearbook, XII, Alphen aan den Rijn ,1987, pp. 494-496. 165vd Tribunal Supremo, 21 January 1989, Ferre Marítima Española SA c. T. Baglantzis e altri, in Yearbook, XXI, Alphen aan den Rijn, 1996, pp. 673-675. 166 Tribunal Supremo, 8 October 2002, Scandlines, AB, e altri. c. Ferrys del Mediterraneo, S.L., in Yearbook, XXXII, Alphen aan den Rijn, 2007, pp. 555-566;
86
dell’interpretazione suggerita dalla dottrina già
nell’ambito della Convenzione di New York»167. Anche se non
v’è alcuna certezza in merito alla possibilità per gli
arbitri di disporre misure cautelari, sembra che sia la
prassi arbitrale168 che quella delle corti169 vada nel senso
di una competenza perlomeno concorrente.
Sulla base dei soli trattati per ora analizzati non si può
ricavare una regola comune e valida in ogni occasione, ma
si dovrà, al contrario, guardare e decidere il singolo caso
in base alla scelta del singolo strumento cautelare e
soprattutto della legge di procedura del luogo dove ha sede
l’arbitrato.
1.3 La legge modello UNCITRAL
La legge modello UNCITRAL sull’arbitrato commerciale
internazionale, già nella previa stesura del 1985 prevedeva
una regolamentazione sulle misure cautelari. Come
suggerisce il nome, la legge ha come primo obiettivo quello
di fungere da modello per le legislazioni nazionali e
quindi di ravvicinare le distanze e uniformare la
disciplina dell’arbitrato il più possibile. Nella sua
versione originale la normativa aveva riscosso un discreto
successo entrando senza grosse modifiche in svariati
ordinamenti; esemplari sono i casi della legislazione
tedesca e spagnola che rispettivamente nel 1997 e nel 2003 167 BORIO, L’arbitrato commerciale internazionale. Genesi e svolgimento dell’arbitrato in Italia. l’arbitrato fra imprese di stati diversi. La decisione degli arbitri, la sua circolazione in Italia e all’estero e la sua impugnazione. Le istituzioni permanenti, Milano, 2003, p. 50. 168 ICC, case n. 4415, in JDI, 1984, p. 592, nota di JARVIN 169 vd. per la Spagna, Audencia provincial di Cadiz, 12 Giugno 1992, Bahia Industrial, S.A. c. Eintacar-Eimar, S.A., in Y. Comm. Arb., 1993, p. 616 ss.
87
hanno adottato due normative sull’arbitro chiaramente
ispirate a quella dell’UNCITRAL170.
La riforma del 2006 sembra aver dato grande importanza al
tema delle misure cautelari: al vecchio articolo 17,
infatti, è stato sostituito l’intero capo IV A a sua volta
suddiviso in 5 sezioni per un totale di 11 articoli. La
complessa disciplina consta di una parte generale in cui
viene data la definizione di interim measures in base alle
quali gli arbitri ordinino alle parti di:
a) mantenere o rispristinare lo status quo in attesa
della soluzione della controversia;
b) compiere o astenersi dal compiere azioni che
rischiano di provocare attuale o imminente danno o
pregiudizio allo stesso processo arbitrale;
c) garantire somme a mezzo delle quali il futuro
vincitore si possa soddisfare; o
d) assicurare fonti di prova che potrebbero essere
rilevanti o determinanti per la soluzione della
controversia.171
Si ritiene tuttavia che «l’elencazione sia più
esemplificativa che tassativa» dato che ogni ipotesi è
sufficientemente ampia da poter ricomprendere al suo 170 Alla legge si sono ispirate oltre 50 normative fra cui quelle di: Australia, Belgio, Bermuda, Bulgaria, Canada, Cipro, Danimarca, Giappone, Grecia, India, Messico, Nuova Zelanda, Nigeria, Norvegia, Russia, Scozia, Singapore e alcuni Stati degli U.S.A.; per la lista completa vd. www.goo.gl/9Onz8C. 171 Art 17(2) UNCITRAL Model Law: «An interim measure is any temporary measure, whether in the form of an award or in another form, by which, at any time prior to the issuance of the award by which the dispute is finally decided, the arbitral tribunal orders a party to: (a) Maintain or restore the status quo pending determination of the dispute; (b) Take action that would prevent, or refrain from taking action that is likely to cause, current or imminent harm or prejudice to the arbitral process itself; (c) Provide a means of preserving assets out of which a subsequent award may be satisfied; or (d) Preserve evidence that may be relevant and material to the resolution of the dispute.»
88
interno numerose misure differenti 172 . E in questo senso,
del resto, disponeva anche la norma prima della novella
ricomprendendo fra gli strumenti a disposizione degli
arbitri «such interim measures of protection as the
tribunal consider necessary in respect of the subject-
matter of the dispute».
Il successivo art. 17A specifica poi che per le misure ex
17(2) a, b, e c è necessario verificare l’esistenza delle
due classiche condizioni del fumus boni iuris (17°(1) a) e
periculum in mora (17A(1) b), mentre per quelle relative
alle prove i due requisiti verranno richiesti solo «to the
extent the arbitral tribunal consider appropriate».
A corredo delle misure così inquadrate la legge prevede
degli strumenti finalizzati a rendere efficace le stesse.
Tra questi vi sono i preliminary orders (17B e 17C), una
prescrizione concessa inaudita altera parte «not to
frustrate the purpose of the interim measure requested»173 e
l’obbligo di disclosure (17F); quest’ultimo non assume la
tipica valenza della dichiarazione di indipendenza
dell’arbitro174. Qui, piuttosto, l’obbligo di dichiarazione
di ogni «material change in the circumstances on the basis
of which the measure was requested or granted» è rivolto
alle parti ed ha finalità attuative.
Infine la legge prevede all’articolo 17E le provision for
security. Tra queste ha fatto discutere la costituenda
prassi di applicare la security for costs, ossia una
172 BIAVATI, Op. Ult. Cit., p. 446-447 173 Sul quale si veda l’evoluzione dei lavori del working group COPPO, Provvedimenti cautelari e arbitrato internazionale: le misure cautelari ex parte nei lavori di revisione dell’art 17 della legge modello UNCITRAL, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2007, p. 931 ss; per la trattazione delle misure ex parte si rimanda al CAP III § 3.1. 174 questa normalmente consiste nel dovere dell’arbitro di rendere noti tutti i rapporti che potrebbero compromettere la sua imparzialità.
89
cauzione per le spese legali, voce di non poco rilievo nei
procedimenti arbitrali175.
Oltre a questi strumenti la legge prevede due articoli per
il riconoscimento «as binding» e l’esecuzione -da parte
delle corti statali competenti- delle misure emesse dagli
arbitri. E la disciplina, come è evidente, funge da
raccordo fra le due giurisdizione andando a costituire un
sistema di potestà concorrente. In particolare viene
stabilito dall’art 17H che la misura deve essere
riconosciuta o eseguita indipendentemente dal paese in cui
è stata emessa, che le parti debbono comunicare ogni evento
modificativo o estintivo della misura e che la corte può
riservarsi di ordinare una security. Nell’art 17I sono
invece elencate tassativamente le cause che consentono ad
una corte rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di una
misura. La volontà di creare collaborazione fra le corti
statali e i tribunali arbitrali è confermata dal secondo
paragrafo in cui si afferma che è esclusa ogni revisione
del merito della decisione.
Infine nella stessa direzione va l’articolo che chiude il
capo e che disciplina le misure cautelari che può disporre
una corte in costanza di arbitrato. Per espressa previsione
dell’art. 1, par. 2, della stessa legge, anche a
quest’ultima ipotesi si applica la regola per cui i
tribunali dei paesi in cui è in vigore la Model Law «shall
have the same power of issuing an interim measure».
175 Il Black’s Law Dictionary la definisce « A security which a defendant in an action may require of a plaintiff who does not reside within the jurisdiction of the court, for the payment of such costs as may be awarded to the defendant», www.goo.gl/aFymts; nella dottrina internazionale vd RUBINS, In God we trust: all other pay cash: security for costs in international commercial arbitration, in American Review Int. Arb., 2000, 307 ss; GU, Security for Costs in International Commercial Arbitration, in Journal Of Int. Arb., 2005, p. 167 ss che definisce lo strumento «one of the most neglected and misunderstood forms of interim relief».
90
1.4 I maggiori regolamenti arbitrali
Per diffusione e importanza storica sembra doveroso
trattare per primo il regolamento della International
Commercial Chamber, di seguito ICC.
La Commission of Arbitration della ICC dopo due anni di
lavori è riuscita ad approvare il nuovo regolamento, che è
entrato in vigore il 1° Gennaio 2012176. Uno degli aspetti
più importanti della modifica riguarda l’introduzione
dell’arbitro d’urgenza (art. 29) per il quale si rimanda
alla trattazione nel § 3.2; qui ci si limiterà invece al
contenuto dell’articolo 28 177 sulle misure cautelari in
generale. Questo in realtà costituisce l’esatta
trascrizione del vecchio art. 23 che, quando introdotto nel
1998, risultò particolarmente innovativo rispetto al
precedente impianto normativo (1988). Infatti, la norma
rendeva esplicito il potere degli arbitri di emettere
provvedimenti cautelari, antecedentemente ricavabile solo
in via interpretativa178.
176 Per le modifiche introdotte al regolamento vd MAZZA, Il nuovo Regolamento di Arbitrato della ICC, in Riv. Arb, 2013, p. 43 ss; 177 Art 28: 1) Salvo diverso accordo tra le parti, non appena ricevuto il fascicolo, il tribunale arbitrale può, su istanza di parte, adottare ogni misura provvisoria o cautelare che ritenga opportuna. Il tribunale arbitrale può subordinare l’adozione di tali misure alla prestazione di un’idonea garanzia ad opera della parte istante. Tali misure sono adottate con ordinanza motivata, oppure con lodo, come il tribunale arbitrale ritiene opportuno. 2) Prima della trasmissione del fascicolo al tribunale arbitrale, e in circostanze appropriate anche successivamente, le parti possono chiedere all’autorità giudiziaria misure provvisorie e cautelari. La richiesta di tali misure a un’autorità giudiziaria o l’istanza d’esecuzione delle misure disposte dal tribunale arbitrale non è considerata violazione o rinuncia alla convenzione arbitrale e non pregiudica i poteri del tribunale arbitrale al riguardo. Tali richieste e i provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria devono essere notificati senza indugio al Segretariato. Quest’ultimo ne informa il tribunale arbitrale. 178 Per la verità una previa esplicitazione della potestà cautelare degli arbitri era avvenuta già nel 1990 con le Rules for a Pre-
91
Il nuovo articolo è strutturato in due paragrafi: uno sulle
misure arbitrali, l’altro su quelle giudiziali. La norma
nel suo complesso dispone che entrambi gli organi siano
dotati del potere di emettere provvedimenti cautelari;
quello degli arbitri, in particolare, può essere escluso
dal «diverso accordo delle parti» o subordinato ad
«un’idonea garanzia». La stessa limitazione, pur non
essendo presente anche nel paragrafo successivo, sembra
poter essere ricavata in via interpretativa179. A proposito
si segnala che la giurisprudenza, anche di segno
differente 180 , richiede che «la rinuncia alla facoltà di
adire i giudici sia formulata in modo espresso e non
equivoco, o quanto meno risulti dal riferimento ad un
regolamento arbitrale»181.
Il combinato disposto dei due paragrafi va quindi a
delineare un sistema a competenza concorrente che comprende
non solo le domande cautelari stricto sensu, ma anche le
relative istanze d’esecuzione. La competenza concorrente si
articola in maniera differente a seconda che la misura
cautelare sia richiesta ante causam182 o in corso di causa.
Infatti il secondo paragrafo esordisce facendo riferimento
Arbitral referee procedure, soggette tuttavia al meccanismo dell’ opt-in, limitate alle sole misure ante causam e utilizzate in occasioni sporadiche. Sul punto vedi MAZZA, Op. Ult. Cit., p. 46. Questione trattata anche nel Cap. I, § 2.3. 179 DERAINS-SCHWARTZ, A guide to the ICC rules of arbitration, The Hague, 2005, p. 302. 180 Ammette la possibilità, ad esempio, la Corte di Cassazione francese, 18 novembre 1986, in Société Atlantic Triton c. République populaire de Guinée et Société guinéenne de pêche (Soguipêche) mentre si è opposta quella americana ormai da tempo: Anaconda v. American Sugar Refining Co., 322 U.S. 42 (1944). 181 CARLEVARIS, in BRIGUGLIO-SALVANESCHI, Regolamento di arbitrato della camera di Commercio Internazionale. Commentario, sub art 23: misure cautelari e provvisorie, Milano, 2005, p. 412. 182 Il riferimento indistinto ai provvedimenti ante causam è frutto del mancato adeguamento dell’articolo 28 all’inserimento della figura dell’Emergency arbitrator (nuovo art 29), avvenuto ad opera della riforma del 2012. Come si è già accennato, infatti, l’articolo 28 è la trascrizione esatta del articolo 23 del regolamento emanato nel 1998, in cui non era presente la norma sulle misure prearbitrali.
92
al momento anteriore alla costituzione del tribunale
arbitrale e «in circostanze appropriate anche
successivamente»; in queste due occasioni le parti possono
rivolgersi alternativamente anche alle corti statali. Ma la
formulazione della norma sembra esprimere chiaramente, per
le misure arbitrali richieste dopo la costituzione degli
arbitri, una preferenza verso la competenza del tribunale
arbitrale e, solo in via subordinata, verso quella dei
giudici togati183.
Quanto agli aspetti procedurali, la norma che indica la
necessaria istanza di parte («le parti possono chiedere
all’autorità giudiziaria») come condizione per l’emissione
dela misura, esclude -ovviamentemente- la possibilità di
provvedimenti d’ufficio 184 . Altra condizione di
procedibilità è costituita dalla possibilità per gli
arbitri di chiedere un’idonea prestazione di garanzia, con
finalità di evitare domande «obviously abusive»185.
La disciplina ICC non tipizza alcuna misura in particolare,
lasciando ampio spazio alla discrezionalità dei giudici186,
ai quali «è concesso un margine di autonomia nel forgiare
la cautela nel caso concreto». Fra le misure che meritano
particolare attenzione v’è la già ricordata cautio
iudicatum solvi 187 la cui natura cautelare discende dal
183 MUSTILL, Conservatory and provisional measures, in MUSTILL-BOYD, The law and practice of commercial arbitration in England, London-Edinburgh, 1989, p. 118. 184 CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., p. 421. 185 ICC n. 12542/EC (ord.), in ASA Bulettin, 2005, p. 685 ss. 186 CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., p. 432 distingue le misure a disposizione degli arbitri ICC in quelle «tendenti ad evitare l’aggravarsi o l’estendersi di una controversia, misure tendenti a garantire la futura esecuzione della decisione sul merito, e misure relative alla produzione o conservazione delle prove». 187 COLANDREA, La cautio iudicatum solvi alla luce di una recente ordinanza della camera di Commercio Internazionale, in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 2007, p. 329 ss. L’A. conclude per l’esistenza di norme processuali a carattere transnazionale che consentono l’applicazione della cautio a prescindere dai requisiti contemplati nelle varie discipline nazionali e ne rinviene il fondamento nella lex mercatoria;
93
potere dell’arbitro di decidere sulle spese dell’arbitrato
ai sensi dell’art 37.
Il regolamento della London Court of International
Arbitration (LCIA) 188 prevede già dal 1985 delle norme
relative alle misure cautelari. Le Rules si distinguono in
particolare per la disciplina puntuale dei singoli
provvedimenti che possono emettere gli arbitri (par. 1)189,
FOUCHARD-GAILLARD-GOLDMAN, International commercial arbitration, The Hague-Boston-London, 1999, p. 688,che sottolinea come nel caso «where a party appears to have deliberately organized its insolvency while commencing what may prove to be lenghty and expensive arbitral proceedings against its co-contractor […] the arbitrators may consider necessary […] to order the insolvent party –or both parties- to deposit the sums required to cover the reimbursement of the other party’s arbitration costs, in the event that at the end of the proceedings an award of costs is made». Gli Aa. riportano a sostegno dell’ammissibilità, le decisioni (nt 158) ICC n. 6632 (Bruxelles 27 gennaio, 1993), non pubblicato e ICC n. 3896 (Franatome S.A. c Atomic Energy Organization of Iran (AEOI),110 J.D.I. 914(1983) nota di JARVIN). Per il rifiuto della security for costs nella casistica della Corte Internazionale vd. ICC n. 7047 in ICC Bullettin, 1997, n. 1, p. 61. 188 per il regolamento completo consulta www.goo.gl/HVQtlp; per un’analisi delle modifiche con efficacia a partire dal 1° gennaio 1998 vd. WINSTANLEY, The New Rules of The London Court of International Arbitration (LCIA), 8 Am. Rev. Int. Arb. 59, (1997); per un’analisi comparativa dei regolamenti delle più importanti istituzioni vd. MARCHAC, Interim measures in international commercial arbitration under the ICC, AAA, LCIA and UNCITRAL rules, in Am. Rev. Int. Arb., 1999, vol. 10, p. 123. 189 Art. 25 par. 1: The Arbitral Tribunal shall have the power, unless otherwise agreed by the parties in writing, on the application of any party: (a) to order any respondent party to a claim or counterclaim to provide security for all or part of the amount in dispute, by way of deposit or bank guarantee or in any other manner and upon such terms as the Arbitral Tribunal considers appropriate. Such terms may include the provision by the claiming or counterclaiming party of a cross-indemnity, itself secured in such manner as the Arbitral Tribunal considers appropriate, for any costs or losses incurred by such respondent in providing security. The amount of any costs and losses payable under such cross-indemnity may be determined by the Arbitral Tribunal in one or more awards; (b) to order the preservation, storage, sale or other disposal of any property or thing under the control of any party and relating to the subject matter of the arbitration; and (c) to order on a provisional basis, subject to final determination in an award, any relief which the Arbitral Tribunal would have power to grant in an award, including a provisional order for the payment of money or the disposition of property as between any parties.
94
tra cui figura anche la security for costs (par. 2)190. Un
terzo ed ultimo paragrafo191 prevede la regola generale in
base alla quale la competenza cautelare arbitrale non deve
pregiudicare il diritto alla cautela presso i giudici
statali, mai prima della formazione del tribunale arbitrale
e, solo in casi eccezionali, successivamente. Il
collegamento con le «appropriate circumstances» del nuovo
regolamento della ICC è lampante: si ritiene infatti che la
formulazione della camera inglese sia più restrittiva
facendo così apparire il giudice statale in una posizione
residuale di mera assistenza rispetto al tribunale
arbitrale 192 , ma si avverte che la questione è meramente
interpretativa.
190 Art. 25 par. 2: The Arbitral Tribunal shall have the power, upon the application of a party, to order any claiming or counterclaiming party to provide security for the legal or other costs of any other party by way of deposit or bank guarantee or in any other manner and upon such terms as the Arbitral Tribunal considers appropriate. Such terms may include the provision by that other party of a cross-indemnity, itself secured in such manner as the Arbitral Tribunal considers appropriate, for any costs and losses incurred by such claimant or counterclaimant in providing security. The amount of any costs and losses payable under such cross-indemnity may be determined by the Arbitral Tribunal in one or more awards. In the event that a claiming or counterclaiming party does not comply with any order to provide security , the Arbitral Tribunal may stay that party's claims or counterclaims or dismiss them in an award. 191 Art. 25 par. 3: The power of the Arbitral Tribunal under Article 25.1 shall not prejudice howsoever any party's right to apply to any state court or other judicial authority for interim or conservatory measures before the formation of the Arbitral Tribunal and, in exceptional cases, thereafter. Any application and any order for such measures after the formation of the Arbitral Tribunal shall be promptly communicated by the applicant to the Arbitral Tribunal and all other parties. However, by agreeing to arbitration under these Rules, the parties shall be taken to have agreed not to apply to any state court or other judicial authority for any order for security for its legal or other costs available from the Arbitral Tribunal under Article 25.2. 192 DONOVAN, Powers of the arbitrators to issue procedural orders including interim measures of protection, and the obligation of parties to abide by such orders, in ICC Bull., 1999, n. 1, p. 69 : «a greater justification will be required for an application to the courts after constitution of the tribunal».
95
Inoltre si deve dar conto del regolamento arbitrale
UNCITRAL così come revisionato nel 2010 dopo 8 sessioni del
Working Group II193. L’articolo 26194 introduce una lunga e
dettagliata disciplina che ha innovato molto rispetto a
quella del 1976. Ma a ben vedere ricalca a grandi linee
193 PETROLICHIS, Introductory Note to the 2010 UNCITRAL arbitration rules, in Int. Legal Materials, 2010, p. 1640 194 Art. 26 Reg. UNCITRAL: 1. The arbitral tribunal may, at the request of a party, grant interim measures. 2. An interim measure is any temporary measure by which, at any time prior to the issuance of the award by which the dispute is finally decided, the arbitral tribunal orders a party, for example and without limitation, to: (a) Maintain or restore the status quo pending determination of the dispute; (b) Take action that would prevent, or refrain from taking action that is likely to cause, (i) current or imminent harm or (ii) prejudice to the arbitral process itself; (c) Provide a means of preserving assets out of which a subsequent award may be satisfied; or (d) Preserve evidence that may be relevant and material to the resolution of the dispute. 3. The party requesting an interim measure under paragraphs 2 (a) to (c) shall satisfy the arbitral tribunal that: (a) Harm not adequately reparable by an award of damages is likely to result if the measure is not ordered, and such 18 harm substantially outweighs the harm that is likely to result to the party against whom the measure is directed if the measure is granted; and (b) There is a reasonable possibility that the requesting party will succeed on the merits of the claim. The determination on this possibility shall not affect the discretion of the arbitral tribunal in making any subsequent determination. 4. With regard to a request for an interim measure under paragraph 2 (d), the requirements in paragraphs 3 (a) and (b) shall apply only to the extent the arbitral tribunal considers appropriate. 5. The arbitral tribunal may modify, suspend or terminate an interim measure it has granted, upon application of any party or, in exceptional circumstances and upon prior notice to the parties, on the arbitral tribunal’s own initiative. 6. The arbitral tribunal may require the party requesting an interim measure to provide appropriate security in connection with the measure. 7. The arbitral tribunal may require any party promptly to disclose any material change in the circumstances on the basis of which the interim measure was requested or granted. 8. The party requesting an interim measure may be liable for any costs and damages caused by the measure to any party if the arbitral tribunal later determines that, in the circumstances then prevailing, the measure should not have been granted. The arbitral tribunal may award such costs and damages at any point during the proceedings. 9. A request for interim measures addressed by any party to a judicial authority shall not be deemed incompatible with the agreement to arbitrate, or as a waiver of that agreement.
96
quella dettata dalla stessa UNCITRAL per la Model Law e
quindi valgono le argomentazioni svolte sopra. A quelle si
aggiunga solo la considerazione della reiterata mancanza di
una specifica norma sulle security for costs, anche se,
come si è visto, si discute in giurisprudenza di una
applicazione in via interpretativa, e dell’inopportuna
soppressione delle interim award che «lascia aperto il
problema di quale forma rivestire ora la misura cautelare
al fine di garantire che alla stessa possa essere data
esecuzione in un determinato ordinamento in caso di mancata
spontanea adesione dell'altra parte»195 . Dal confronto tra
le due normative risultano mancare all’appello solo gli
articoli 17E(2) e 17F(2) del legge modello oltre a tutta la
disciplina sul riconoscimento ed esecuzione delle misure
cautelari da parte dei tribunali e quella sulle misure
direttamente emanate da questi ultimi (art 17H, 17I e
17J); tuttavia, è inutile costatarlo, l’omissione dipende
dal fatto che in un regolamento arbitrale non potrebbe mai
trovar spazio una disciplina dei rapporti con la
giurisdizione delle corti. Questa, al contrario, ha ragion
d’essere e anzi rappresenta la sede ideale se regolamentata
in una fonte che ha l’aspettativa di fungere da modello per
altre legislazioni nazionali, come la Model Law.
Infine mi sembra doveroso accennare che anche i regolamenti
arbitrali italiani, nonostante il divieto imposto dalla
legge, tendano a riconoscere la potestà cautelare agli
arbitri. Al fine di evitare disposizioni in contrasto con
la legge , però, questi sono sempre costretti ad inserire
una clausola di salvezza196 che serva da coordinamento con
il dettato della legge.
195 BERNARDINI, La revisione del regolamento di arbitrato dell'UNCITRAL, in Riv. Comm. Int., 2010, p. 683 ss. 196 si veda ad esempio l’art. 19 del regolamento A.I.A.: «il tribunale arbitrale può […] adottare provvedimenti d’urgenza su materie che
97
1.5 Breve rassegna di modelli adottati nelle legislazioni
nazionali
Le legislazioni nazionali sull’arbitrato hanno un impatto
significativo sulla disponibilità del rimedio cautelare di
un arbitrato internazionale. Un arbitro raramente potrà
garantire tutela cautelare a meno che la legge applicabile
all’arbitrato, tipicamente quella del luogo dove siede
l’arbitro, non consenta di far ciò. Parimenti, una misura
cautelare emessa da un arbitro difficilmente potrà essere
eseguita da una corte nazionale se la legge non consente
tali misure. Nel passato la tendenza dei legislatori era di
negare il potere cautelare agli arbitri a prescindere dalla
ben consolidata autorità di un arbitro internazionale di
ordinare dette misure 197 . Pian piano il trend è cambiato
verso una legislazione che consenta agli arbitri
l’emissione di misure cautelari, con limitazioni più o meno
estese che variano da giurisdizione a giurisdizione.
Dall’esame delle legislazioni nazionali oggi si possono
distinguere le soluzioni adottate in tre modelli: quelle
che disciplinano direttamente il riparto di competenze fra
giudice togato e arbitro, quelle che non fanno accenno
rientrano nella disponibilità delle parti e in ogni altra materia in cui ciò sia consentito dalla disciplina legislativa e regolamentare applicabile». Il regolamento merita attenzione anche per la costituzione di un comitato permanente per la trattazione di misure prearbitrali (comma 3°) e per facoltà concessa agli arbitri di « una cauzione alla parte istante e determinare una penale per il caso di inottemperanza ». Dello stesso tenore è anche l’art 22 comma 2° del regolamento della Camera Arbitrale di Milano su cui in generale vd. COLESANTI, Volontà delle parti e regolamenti arbitrali (con particolare riferimento a quello della Camera Arbitrale di Milano), in Riv. Dir. Proc., 2011, p. 245 ss. 197 È ad esempio il caso del concordato cantonale della Svizzera del 1969 che riservava il potere di emettere provvedimenti cautelari ai Tribunali interni (art 26, co. 1°) sebbene fosse concesso agli arbitri il potere raccomandare misure cautelari e alle parti di sottoporvisi spontaneamente(co. 2°).
98
espresso198 -lasciando così ampio spazio discrezionale alle
parti circa la ripartizione della potestà cautelare- ed
infine gli Stati, come l’Italia, in cui la potestà
appartiene esclusivamente ai giudici togati. Al contrario
non si riscontrano leggi nazionali che diano agli arbitri
il potere esclusivo di emettere e far eseguire misure
cautelari.
Appartiene al primo modello la LDIP Svizzera del 1987 che
che ha reso inefficace il vecchio Concordato intercantonale
per l’arbitrato internazionale 199 . Così l’art 183 dispone
oggi che «salvo diversa pattuizione delle parti, il
Tribunale arbitrale può, ad istanza di parte, ordinare
provvedimenti cautelari o conservativi». Se poi la parte
incisa si rifiuta di eseguire spontaneamente la misura, gli
arbitri potranno chiedere la collaborazione del giudice
competente il quale «applica il suo proprio diritto». La
disposizione appena esaminata, se da una parte consente di
stabilire quali poteri spettano al giudice e quali
all’arbitro, non entra sufficientemente nel merito da poter
stabilire che genere di controllo debba effettuare il primo
in caso di richiesta di intervento. In dottrina già da
tempo si sottolineava come non si potesse «identificare con
certezza la funzione effettiva del giudice dell’esecuzione,
che spazia da un controllo di conformità della misura
ordinata dall’arbitro con l’ordinamento statuale (‹‹applica
198 sottolinea BORN, International Commercial Arbitration: Law and practice, Alphen aan den Rijn, 2012, p. 204-205 il caso degli Stati Uniti dove «the FAA is silent on arbitrors’ powers to order provisional measures. Although some early U.S. decisions held that arbitrators lacked authority to issue provisional relief (absent contrary agreement). U.S. courts generally hold that the parties’ agreement that the arbitrators have the power to grant interim measures will be implied, absent contrary indication». 199 infatti per l’art. 176 della stessa legge: «Le disposizioni del presente capitolo si applicano ai tribunali arbitrali con sede in Svizzera, sempreché al momento della stipulazione del patto di arbitrato, almeno una parte non fosse domiciliata né dimorasse abitualmente in Svizzera».
99
il proprio diritto››), a quella della ripetizione formale
dell’ordinanza, allo scopo di rivestirla della qualifica di
esecutività» sino a «quella più intensa di un vero riesame
e verifica della presenza delle condizioni effettive poste
alla base della misura (di solito sintetizzabili con il
periculum in mora e il fumus boni iuris)»200.
La Spagna, dotatasi di un impianto normativo che consente
agli arbitri di assumere misure cautelari sin dal 2003, ha
recentemente riformato la Ley de arbitraje.
Con la legge 60/2003 (c.d. La) si è concesso loro di
emettere provvedimenti cautelari (art. 23) definendo che
gli stessi possano essere sollecitati ad un tribunale anche
prima dell'avvio del procedimento arbitrale (art 11.3). La
legge (art 23.1) stabilisce che su accordo delle parti e su
istanza di una di esse è consentito agli arbitri di
emettere i provvedimenti cautelari che ritengano più
opportuni; sulle misure che emettono hanno la facoltà di
esigere un adeguata cauzione (art 23.2) dallo stesso
soggetto istante. Se non esclusa –direttamente o per rinvio
ad un regolamento esterno- la potestà cautelare si intende
tacitamente accettata. La disposizione appena illustrata
«concede agli arbitri la potestà dichiarativa rispetto alle
misure cautelari, pur continuando a sottrarre la potestà
esecutiva sulle stesse» 201 . Detta esecuzione spetterà al
tribunale del luogo dove deve essere eseguito il lodo o, in
difetto, quello del luogo dove le misure avranno efficacia
(art. 8.3). La riforma, come accennato, ha inoltre
stabilito che anteriormente alla costituzione del collegio
o nelle more della stessa, le parti possano chiedere tutela
200 BROGGINI, I provvedimenti cautelari nell’arbitrato internazionale: analogie e differenze delle soluzioni italiana e svizzera, in Riv. Arb., 1991, p.501-502 201 GONZALO QUIROGA, La nuova legge spagnola sull’arbitrato, in Riv. Trim. Dir. Proc Civ., 2005, p. 889 ss, spec. 900.
100
pre-cautelare al giudice ordinario risolvendo una disputa
sull’interpretazione del vecchio articolo 722 della Ley de
enjuiciamiento civil- il codice di procedura civile
spagnolo. Inoltre l’azione combinata delle leggi 5/2011 e
11/2011, partendo dall’assunto che i risultati ottenuti
dalla previa legge fossero abbondanti («la formulación
unitaria del arbitraje, el reconocimiento del arbitraje
internacional, el aumento de la disponibilidad arbitral,
sus reglas sobre notificaciones, comunicaciones y plazos,
el apoyo judicial al arbitraje o su antiformalismo»202), ha
ritenuto che alcuni aspetti «fossero migliorabili» al fine
di «dotar de mayor seguridad y confianza jurídica esta
institución, para acrecentar la celebración de
procedimientos arbitrales, sobre todo desde el plano
internacional». In questa ottica il legislatore ha
riformato l’articolo 722 confermando che alle parti è
consentito chiedere misure cautelari ante causam 203 senza
che ciò comporti una tacita rinuncia al patto d’arbitrato,
come in passato era stato dubitato204. In ultima analisi e
come nitidamente riassunto nel preambolo V della La le
potestà giudiziali e arbitrali in materia cautelare «son
alternativas y concurrentes, sin perjuicio del juego del
principio de buena fe procesal».
In Inghilterra l’Arbitration Act del 1996 ha ingrandito lo
spettro dei poteri cautelari degli arbitri già in parte
desumibili da i testi precedenti. Oggi le misure trovano
collocazione nelle sezioni 38 e 39 della legge che
202 Preambolo della Ley 20 mayo 11/2011 in www.goo.gl/YFrCQ 203 FACH GÒMEZ, El Arbitraje en España: principales novedades aportadas por la Ley 11/2011, in Riv. Arb., 2012, p. 285 ss spec. 285. 204 MAGROSERVET, La adopción de medidas cautelares en el procedimiento arbitral en la nueva Ley 60/2003, de 23 de diciembre, de arbitraje, en relación con la Ley 1/2000, de 7 de enero, de enjuiciamiento civil, in Diario La Ley, 2004, p. 5.
101
disciplinano rispettivamente i poteri generali esercitabili
dagli arbitri e il potere di emettere «provisional awards».
Quanto ai primi la norma si pone a completamento
dell’articolo 34 rubricato «Procedural and evidencial
matter»; il comma di apertura reca una disposizione aperta
in base alla quale le parti sono libere di concordare quali
poteri concedere al tribunale arbitrale205. Tali poteri non
sono da ascrivere alla sola categoria delle misure
cautelari, ma in generale a poteri di conduzione del
processo che precedentemente appartenevano alla competenza
esclusiva dei tribunali 206 . Nei commi successivi 207 sono
previsti 4 specifici poteri che, al contrario, si presumono
esistenti salvo diverso accordo delle parti: security for
costs, misure sulla proprietà, esami delle parti e dei
testimoni e misure atte a preservare fonti probatorie.
205 Arbitration Act sez. 38.1: «the parties are free to agree on the powers exercisable by the arbitral tribunal for the purposes of and in relation to the proceedings» 206 MERKIN, Arbitration Act 1996, London-Singapore, 2005, p. 102. 207 Arbitration Act Sez. 38.2 e ss: (2)Unless otherwise agreed by the parties the tribunal has the following powers. (3)The tribunal may order a claimant to provide security for the costs of the arbitration. This power shall not be exercised on the ground that the claimant is— (a)an individual ordinarily resident outside the United Kingdom, or (b)a corporation or association incorporated or formed under the law of a country outside the United Kingdom, or whose central management and control is exercised outside the United Kingdom. (4)The tribunal may give directions in relation to any property which is the subject of the proceedings or as to which any question arises in the proceedings, and which is owned by or is in the possession of a party to the proceedings— (a)for the inspection, photographing, preservation, custody or detention of the property by the tribunal, an expert or a party, or (b)ordering that samples be taken from, or any observation be made of or experiment conducted upon, the property. (5)The tribunal may direct that a party or witness shall be examined on oath or affirmation, and may for that purpose administer any necessary oath or take any necessary affirmation. (6)The tribunal may give directions to a party for the preservation for the purposes of the proceedings of any evidence in his custody or control.
102
La sezione 39 208 tratta invece delle misure anticipatorie
della decisione di merito ed è costruita –salvo alcuni
riferimenti esemplificativi- sulla scorta dei provvedimenti
finali che il tribunale arbitrale ha il potere di assumere.
Tuttavia, in maniera apparentemente contraddittoria, le
misure di cui alla sezione 39 possono essere emesse solo se
le parti hanno espressamente conferito il potere al
tribunale arbitrale. Infatti se la sezione 38 ritiene
superfluo un espresso accordo delle parti per consentire
l’emissione di security for costs –di indubbia matrice
cautelare- altrettanto non basta per l’emissione di
provisional awards per i quali è richiesta un’espressa
pattuizione delle parti. Tuttavia in dottrina si fa notare
come «in realtà la diversità di trattamento si giustifica
perché il legislatore ha voluto, innovando notevolmente
rispetto al passato, sottrarre del tutto alle corti statali
la questione della cauzione per il pagamento delle spese
relative al procedimento arbitrale, dotando il solo arbitro
di un efficace metodo con cui sanzionare il relativo
inadempimento. Per gli altri provvedimenti cautelari,
contraddistinti da un contenuto più vago ha invece
preferito mantenere il consueto livello di garanzia che
208 Arbitration Act Sez. 39: (1)The parties are free to agree that the tribunal shall have power to order on a provisional basis any relief which it would have power to grant in a final award. (2)This includes, for instance, making— (a)a provisional order for the payment of money or the disposition of property as between the parties, or (b)an order to make an interim payment on account of the costs of the arbitration. (3)Any such order shall be subject to the tribunal’s final adjudication; and the tribunal’s final award, on the merits or as to costs, shall take account of any such order. (4)Unless the parties agree to confer such power on the tribunal, the tribunal has no such power. This does not affect its powers under section 47 .
103
deve tributarsi alle ragioni del claimant»209. Ed è proprio
il rapporto con le corti statali l’aspetto più innovativo
dell’Arbitration Act; infatti, la sezione 44.3 prevede che
i giudici togati possano intervenire su istanza di parte
«if the case is one of urgency» per emettere misure
conservative delle prove o relative alla proprietà. Se, al
contrario, difetta il requisito d’urgenza, l’intervento
delle corti è subordinato al permesso del tribunale
arbitrale o, in mancanza, all’accordo delle parti. La
disposizione è particolarmente incisiva e merita una
profonda riflessione sulla netta separazione del ruolo
delle corti ispirata da un clima di reciproca fiducia e dal
principio di non interferenza. Nella medesima direzione va
anche il comma 6 della stessa sezione mediante il quale i
giudici delle corti possono autorizzare il tribunale
arbitrale a caducare gli effetti del provvedimento
cautelare ante causam emesso dai primi.
Questo e gli altri poteri descritti hanno un forte impatto
sul procedimento ed impressionano se confrontati con il
dato normativo italiano
1.6 Rapporti tra giurisdizioni ordinarie e giurisdizioni
arbitrali nell’emissione di provvedimenti cautelari:
affermazione del modello a competenza concorrente
Il ricorso al giudice ordinario per ottenere tutela
cautelare in una controversia compromessa in arbitri
solleva due problemi; da una parte la richiesta al
tribunale potrebbe teoricamente costituire violazione
209 ZUFFI, L’arbitrato nel diritto inglese, Torino, 2008, pp. 97-98 nota 20.
104
dell’accordo arbitrale e dall’altra, il solo atto di
rivolgersi all’organo statale potrebbe comportare di per sé
rinuncia alla giurisdizione arbitrale per il merito210. Del
resto, il c.d. effetto negativo della convenzione arbitrale
era avvallato anche da norme convenzionali come il
protocollo di Ginevra per il regolamento pacifico delle
controversie internazionali del 1923211 (art. 4 par. 1) e la
convenzione di New York (art. II par. 3) 212, 213.
Il problema è da collocare nel più ampio rapporto che
intercorre fra arbitro e giudice; e proprio nel solco
dell’evoluzione di questo rapporto, anche in tema di
provvedimenti cautelari si è passati da un clima quasi
conflittuale fra i due giudici ad uno di collaborazione.
Forse ciò anche in virtù della ripensata ubicazione
dell’arbitrato fuori dal campo delle ADR propriamente dette
e dentro un terreno permeato da ostilità e ontologicamente
conflittuale, com’è quello dell’arbitrato. Di più. Il
modello a competenza concorrente che si va affermando
(meglio: che si è affermato) nelle legislazioni nazionali e
210Solleva il dubbio, da ultimo, anche BORN, International Arbitration: law and practice, Alphen aan den Rijn, 2012, p. 208-209. 211Art. 4 par 1 Protocollo di Ginevra (1923): «The tribunals of the Contracting Parties, on being seized of a dispute regarding a contract made between persons to whom Article 1 applies and including an arbitration agreement whether referring to present or future differences which is valid in virtue of the said article and capable of being carried into effect, carried into effect, shall refer the parties on the application of either of them to the decision of the arbitrators» 212 Art. II par 3 Convenzione di New York: «The court of a Contracting State, when seized of an action in a matter in respect of which the parties have made an agreement within the meaning of this article, shall, at the request of one of the parties, refer the parties to arbitration, unless it finds that the said agreement is null and void, inoperative or incapable of being performed». 213 FOUCHARD-GAILLARD-GOLDMAN, Op. Ult. Cit., p. 402 ss; in giurisprudenza per un rigetto della competenza della corte di uno Stato parte della Convenzione di New York, a favore di quella –esclusiva- del collegio arbitrale vd. McCreary Tire & Rubber c. CEAT S.p.a., ma anche Coopers c. Ateliers de la Motobécane; contra vd. carolina power & Light Company c. URANEX.
105
nei trattati sarebbe per alcuni la cartina di tornasole
dello spirito di cooperazione che caratterizza le due
giurisdizioni affinché l’arbitrato si consolidi come
efficace alternativa alla giustizia civile214.
Si sono già analizzati i vantaggi 215 , gli svantaggi, le
fonti e quindi le ragioni complessive a favore di una
214 REDFERN-HUNTER, Law and practice of international commercial arbitration, London, 1991, p. 337. 215 Nella dottrina internazionale YEŞILıRMAK, Provisional Measures in International Commercial Arbitration, The Hague, 2005, p. 49 ss. ne individua nove differenti: «
1) Perhaps the most important reason is the utmost respect to the sanctity of contract, which is evidenced and should be enforced as it exists in the agreement to arbitrate.…
2) Respecting the risk allocation agreed between the contracting parties at the time the contract was entered into also supports arbitral jurisdiction.…
3) If resolution of a final remedy in regard of a dispute is entrusted to arbitrators, the same trust should logically be shown to arbitral domain in deteremining a provisional remedy concerning the same dispute.
4) Arbitrators are generally in a better position than judicial authorities to identify whether a request for a provisional remedy is used as a dilatory tactic or as an offensive/abusive weapon or instead if there is a genuine need. This is beacuse […] the arbitrators follo the case ‹‹from start to finish››. […] Further, in many cases, the reference to a court is a tactical decision to gain advantage over the adversary. For instance, a party may apply to its own national court, which may be more receptive to an interim measure request. Thereby, the grant of the request may have an impact on the arbitral tribunal’s decision, on the responding party, or on both.…
5) It is arguable that an arbitrators’ expertise, in regard of a given case, makes them a more suitable forum to deal with the case. Thus, a request for interim protection of rights may occur in a timelier manner when risolved by the arbitrators.
6) Arbitration generally, has a less disruptive effect on the parties’ overall commercial relationship.…
7) It is highly likely that, in proceedings for a provisional measure before arbitrators, parties’ arguments, subject matters of arbitration (e.g. trade secrets), and, in some cases, the mere existence of arbitration may remain confidential.…
8) The type and form of arbitral measures are generally flexible and crafted to the specific case; consequently, arbitrators, unlike judicial authorities, may issue the most suitable type and form of the decision by taking into consideration various aspects of a case.
9) Finally, arbitral provisional measures, are less costly than judicial measure.[…]Another important reason is that arbitrators, generally, have the freedom, by taking into consideration circustamces of each case […] to make decision on seceral issue that affect costs.… In many occasion, if
106
potestas cautelare –più o meno estesa- degli arbitri;
rimangono solo da commentare la ragioni per una
sistematizzazione ed internazionalizzazione216 del modello a
competenza concorrente.
Anche se il “luogo” naturale per l’emissione dei
provvedimenti cautelari sarebbe il tribunale arbitrale, in
certi casi l’esercizio del relativo potere è inefficace o
impossibile; ciò a causa di certi limiti e carenze
principalmente relazionati alla natura e al funzionamento
dell’arbitrato 217 , specialmente internazionale. Da qui la
scelta operata nelle fonti convenzionali e poi sostenuta
dalla dottrina maggioritaria di ritenere il modello a
competenza concorrente il più efficace fra quelli
teoricamente ipotizzabili.
La maggior parte degli ordinamenti e dei regolamenti che
adottano lo schema a potestà cautelare ripartita applicano
il «freedom of choice approach» che consiste nel dar
libera scelta alle parti -sia prima che dopo la
designazione del collegio- circa il foro da adire. Ma si
avverte che tale approccio è suscettibile di essere
utilizzato abusivamente, come «arma processuale». La
libertà di scelta nuoce in particolare alla giurisdizione
arbitrale, in quanto essa può esser sempre limitata e
ridimensionata dall’accordo delle parti, pertanto
l’equilibrio fra l’autonomia delle parti ed il
arbitrators determine for instance, that a requested measure is udesd as a tactical weapon they simply deny it…».
216 Sebbene si sia già fatto tanto, infatti, nessun trattato diffuso è arrivato ad ipotizzare una precisa disciplina in grado di specificare i poteri e ripartire i compiti dei due giudici; solo una norma specifica e tassativa consentirebbe la deroga delle singole discipline statuali e la uniformazione del sistema. 217 Alcuni di tali problemi sono stati superati in via interpretativa auspicando la creazione di una corte arbitrale internazionale su cui SCHWEBEL, The creation and Operation of an International Court of Arbitral Awards, in HUNTER-MARRIOTT-VEEDER, The Internationalisation of International Arbitration, London-Dordrecht-Boston, 1995, p. 115 ss.
107
coinvolgimento della corte deve essere sempre fatto
operando un bilanciamento in favore della prima;
l’intervento del tribunale dovrebbe essere accettato
laddove «the exercise of arbitral power to grant
provisional measure [would be], in general, ineffective or
such power [wouldn’t be] available at all».
Secondo un altro approccio, adottato da un numero ridotto
di legislatori nazionali218, il rapporto di concorrenza fra
le giurisdizioni deve essere puntualmente regolato. In
quelle discipline, così, la competenza dei giudici togati
va da un rapporto di complementarietà alla giurisdizione
arbitrale sino a quello di sussidiarietà. In questo modo si
vuole regolare la fattispecie in maniera da ridurre le
situazioni di incertezza e consentire un accesso limitato
ai tribunali statali. E così viene riconosciuto come
complementare il ruolo delle corti fino a quando non
avviene una determinazione delle parti circa la
costituzione e composizione del tribunale arbitrale. Mentre
si colloca in un rapporto orientato alla sussidiarietà dopo
la designazione del tribunale arbitrale. L’accesso ai
giudici ordinari rimane parimenti secondario quando sia
stato pattuito fra le parti la possibilità di ricorrere ad
un emergency arbitrator. 219
Secondo alcuni regolamenti, poi, il ricorso ai tribunali
ordinari per ottenere tutela cautelare è subordinato
all’esistenza di determinate circostanze. Il regolamento
ICC220, ad esempio, dopo aver distinto fra misure cautelari
pre e post arbitrali, subordina l’emissione delle seconde
ad opera di giudici togati al verificarsi di «circostanze
appropriate». La norma sembra indicare che il ricorso alle
218 come per esempio in Lussemburgo, Malesia, Carolina del Nord e Belgio. 219 YEŞILıRMAK, Op. Ult. Cit., p. 86-89. 220 per il quale si rimanda al Cap. III § 1.5.
108
autorità giudiziarie è concesso in un maggior numero di
casi rispetto alle precedenti «exceptional circumstances».
Tuttavia l’approccio delle ICC rules alla doppia
giurisdizione è lievemente mutato rispetto alla precedente
stesura. Infatti la riforma intervenuta nel 2012 inserendo
nell’art. 29 la disciplina dell’Emergency arbitrator ha
dedicato l’intero 7° comma221 al rapporto fra giudici togati
e arbitri d’urgenza durante la procedura. La norma precisa
che l’assoggettamento alle disposizioni sulle misure pre-
arbitrali non impedisce alle parti di presentare
all’autorità giudiziaria competente la medesima istanza,
prima della richiesta all’organo arbitrale permanente; in
«appropriate circumstances» le parti possono presentar
domanda anche a seguito della richiesta all’emergency
arbitrator. La scelta terminologica, come si può notare, è
la stessa di quella adottata per le misure cautelari in
corso di causa e pertanto sembrano valide -mutatis
mutandis- le considerazioni elaborate in quella sede: il
potere dei giudici permane nei casi in cui «l’urgenza o la
natura della misura [rendono] inefficace qualsiasi
alternativa alla tutela statale, o quando il tribunale
arbitrale, benché costituito, [è] posto nell’impossibilità
temporanea di agire, per esempio, perché uno dei suoi
membri sia sospeso temporaneamente dall’esercizio delle
funzioni» 222. Inoltre sono da considerare come appropriate
221 Art 29 comma 7°: « The Emergency Arbitrator Provisions are not intended to prevent any party from seeking urgent interim or conservatory measures from a competent judicial authority at any time prior to making an application for such measures, and in appropriate circumstances even thereafter, pursuant to the Rules. Any application for such measures from a competent judicial authority shall not be deemed to be an infringement or a waiver of the arbitration agreement. Any such application and any measures taken by the judicial authority must be notified without delay to the Secretariat.» 222 Argomentazioni svolte da CARLEVARIS, in BRIGUGLIO-SALVANESCHI, Regolamento di arbitrato della camera di Commercio Internazionale. Commentario, sub art 23: misure cautelari e provvisorie, Milano, 2005,
109
tutte le circostanze che dilatano la tempistica della
procedura d’urgenza come la ricusazione di un arbitro223 o
l’imprescindibile necessità di eseguire una misura
all’estero; a quest’ultimo proposito si deve ritenere che
se il giudice dell’esecuzione della misura prearbitrale
sarà di stato differente rispetto a quello dello sede
dell’arbitrato sia più celere chiedere la misura
direttamente all’autorità giudiziaria competente piuttosto
che essere costretti successivamente ad avviare una più
lenta procedura
2. Le misure adottabili
2.1 Tipologie di misure cautelari arbitrali; le anti-suit
injunctions
Prima di entrare nel merito delle principali misure
cautelari adottate nella prassi internazionale dai
tribunali arbitrali è opportuno effettuare una ricognizione
sulle differenti categorie e sul fondamento della
distinzione.
Innanzitutto i tipi di misure arbitrali variano in ogni
giurisdizione nazionale e sotto il diritto internazionale
sia pubblico che privato. In ciascuna delle suddette
p. 440 in relazione alle vecchie «circostanze eccezionali» previste dal regolamento ICC per le misure in corso di causa e a fortiori da ritenere valide per le «appropriate circumstances» ante causam, di ampiezza minore. Non sembrano parimenti adattabili le considerazioni sulla dilatazione dei tempi causate dall’inadempimento dell’obbligo di provvedere alla copertura dell’apposito fondo spese, in mancanza della quale, a norma dell’art. 29 comma 1° e art. 1 comma 3° della quinta appendice, il procedimento non può essere cominciato. 223 era giunta alle stesse conclusioni anche la giurisprudenza francese nell’analogo caso di un référé-provision; vd. Cass. 20 marzo 1989 n. 86-17204, in Rev. Arb., 1989, p. 494.
110
giurisdizioni sarebbe possibile tracciare una distinzione
funzionale tra i diversi tipi di misure. Sebbene talvolta
esse assumano nomi differenti a seconda degli ordinamenti
(o addirittura all’interno dello stesso stato, a seconda
che si trovino in un regolamento arbitrale o in una legge,
convenzione ecc.), le misure in sostanza ricorrono
periodicamente. Tuttavia, anche a causa della difficoltà di
tradurre da lingua a lingua parole che identificano un
fenomeno preciso (magari rappresentativo di una prassi
tipica di un area geografica), e a causa della grande
varietà di misure rinvenibili nella pratica commerciale
internazionale, non sempre è possibile catalogare una data
misura dentro una categoria tipica delimitata da un nome.
Inoltre è frequente riscontrare nei regolamenti arbitrali
la definizione di certe misure accompagnate
dall’elencazione (come accade nel regolamento LCIA) di
altre apparentemente tipizzate; a volte queste seconde
fungono da mere esemplificazioni della definizione, mentre
altre volte sono specificazioni di casi particolari che i
redattori hanno positivizzato. Non sempre è agile capire a
quale dei due casi ci si trovi di fronte e
l’interpretazione di regolamenti arbitrali non può nemmeno
contare sulla quella forza e ridondanza propria dei
precedenti giurisprudenziali delle corti statali.
Ciò premesso si possono distinguere funzionalmente le
misure arbitrali in tre grandi categorie: misure destinate
a cristallizzare lo status quo o a ripristinare lo status
quo ante (preservation orders), misure relative alla
condotta dell’arbitrato e alle relazioni fra le
parti(regulation orders), e infine misure che intimano di
111
tenere o di astenersi dal tenere, una certa condotta
(injunctions o performance order)224.
A parte questa indicativa divisione ed a causa dell’ampia
libertà degli arbitri di creare nuove forme di misure
cautelari che sfuggono ad un intento classificatorio è
fallimentare un approccio sistematico alla materia, oltre
che poco opportuno in una ristretta sede investigativa come
la presente. Pertanto l’analisi si limiterà soltanto ad
alcune selezionate misure, scelte più che altro per le loro
peculiarità, relazionate ora all’oggetto della cautela, ora
ai soggetti coinvolti nel procedimento cautelare, ora al
momento dell’emissione del provvedimento.
La fumosità della classificazione appare quanto mai
evidente con la prima misura trattata: le anti-suit
injunctions. Queste sono definite come «strumenti […]
attraverso i quali il giudice ordina alla parte cui sono
rivolti di non compiere determinate attività in un altro
processo, spesso in corso o da celebrarsi in un altro
stato» 225 . Proprio per la sua attitudine ad essere sia
preventiva, che in corso di causa, la misura potrebbe ben
collocarsi rispettivamente nell’ambito delle injunction (di
cui portano il nome) o declinarsi come ordine finalizzato a
ristabilire la situazione preesistente226.
A prescindere dalla classificazione tali misure consistono
in un obbligo di non facere e sono state spesso usate nella
tradizione common law a sostegno dell’efficacia
dell’arbitrato. Infatti spesso i giudici impongono con
esse alla parte di non compiere attività probatoria in
224 BERGER, International economic arbitration, in Studies in transnational economic law, a cura di HORN-BAUXBAUM, Deventer, 1993, p. 339 ss. 225 ATTERITANO, Anti-suit injunctions in ambito arbitrale: provvedimenti illeciti o semplicemente odiosi?, in Riv. Arb., 2010, p. 442 226 in questa dimensione sembra collocarla anche CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., p. 412-413.
112
altro processo o, in maniera ancor più incisiva, di non
chiedere l’exequatur di una sentenza straniera. In tal modo
sono i giudici continentali a vedere la propria autonomia
ridotta ed a subirne le conseguenze, non potendo essi -per
ragioni legate alla tradizione giuridica- disporre di
questi stessi strumenti.
Le stesse misure possono avere anche segno negativo e
consistere nel divieto imposto da un giudice di adire un
arbitro o chiedere l’esecuzione di un lodo al fine di
boicottare l’arbitrato (cc.dd. anti-arbitration
injunctions). Ma il fenomeno che qui più ci interessa 227
sono i medesimi provvedimenti assunti durante un arbitrato.
In questo caso, come è ovvio, l’ingiunzione prenderà la
forma di ordine di intraprendere o di astenersi dal
cominciare un giudizio di merito di fronte al giudice
ordinario; ed è evidente che tale ordine troverà fondamento
nella stessa convenzione arbitrale. Fra le attività di cui
si ordina l’astensione, ben possono rientrare anche
attività esse stesse di natura cautelare sollecitate al
giudice ordinario; se è vero che «the provisional nature of
interim orders enables the arbitrators to rewiev decisions
taken by the courts», laddove gli arbitri considerassero la
misura della corte «unwarrented», nulla impedirà loro «to
[order] the works to cease» 228 . Per queste ragioni
«arbitrators are therefore in a position to order the
parties to abandon the implementation of a protective
227 Per effetti delle anti-suit injunction nel diritto interno degli stati vedi LUPOI, Conflitti transnazionali di giurisdizione, Milano, 2002, 861 ss e anche antisuit injunctions e arbitrato, in Riv. Arb., 2006, p. 441 ss; GAJA, Convenzione di New York sull’arbitrato e anti-suit injunction, in Riv. Dir. Int., 2009, p. 503 ss.; D’ALESSANDRO, La Corte di Giustizia dichiara le anti-suit injunction a tutela dell’arbitrato inglese incompatibili con il sistema del Reg. 44/2001 (nota a sentenza), in Riv. Arb., 2009, p. 67 ss.; per la dottrina internazionale GAILLARD, Anti-suit injunctions in International Arbitration, Parigi, 2005, 228 FOUCHARD-GAILLARD-GOLDMAN, Op. Ult. Cit., p. 723.
113
measure previosuly obtained from a court»229. E per essere
ammessi oltre agli ordinari requisiti di ogni provvedimento
cautelare, qui si dovranno rinvenire ulteriori elementi,
quali la violazione di norme legislative o convenzionali da
parte del giudice togato che ha emesso o che è in procinto
di emettere provvedimenti cautelari.
Inoltre si ritiene che gli arbitri a differenza dei giudici
ordinari «do not represent the interest of a State» e
pertanto «may decide on the jurisdiction of a judge without
breaching state sovereignty» 230 . Gli stessi non saranno
nemmeno soggetti al rispetto delle regole di international
comity (Reg. 44/2001231 e della Convenzione di Lugano) ma si
ritiene debbano rispettare dei principi di base232.
229 Osservazioni svolte sempre da FOUCHARD-GAILLARD-GOLDMAN, Op. Ult. Cit., p. 723 a commento di Amco Asia c. Indonesia di cui si riporta il testo che segue: «an international Tribunal is not bound to follow the result of a national court. one of the reasons for instituing an internarional procedure is precisely that parties –rightly or wrongly- feel often more confident with a legal institution which is not entirely related to one of the parties. If a national judgement was binding on an international Tribunal such a procedure could be rendered meaningless. Acoordingly, no matter how the legal position of a party is described in a national judgement, an International Arbitration Tribunal enjoys the right to evaluate and examine this position without accepting res judicata effect of a national Court. In this evaluation, therefore, the judgements of a national court can be accepted as one of the many factors which have to be considered by the arbitral tribunal». Per il lodo vd. ICSID Case No. ARB/81/1, Amco Asia c. Republic of Indonesia, 1026-1027 (1985). 230 LEVY, Anti-suit injunction Issued by arbitrators, in GAILLARD, Op. Ult. Cit., p. 117; contra KARRER, Interim Measures Issued by Arbitral Tribunals and the Courts: Less Theory, Please, in ICCA Congress Series No. 10 (New Dehli 2000), a cura di VAN DEN BERG, Alphen aan den Rijn, 2001, p. 93 ss. specc. 97, 106. 231 qui il riferimento è al caso 27 Aprile 2004 n. C-159-02, Turner c. Grovi, con il quale la Corte di giustizia ha ritenuto le anti-suit injunction in contrasto con la Convenzione di Bruxelles-I. 232 LEVY, Anti-suit injunction Issued by arbitrators, in GAILLARD, Op. Ult. Cit., p. 117-119: « 1) Each court or arbitral tribunal has the power to decide on its own jurisdiction:
The Arbitral Tribunal would, however, have had serious reservations about ruling on the lack of jurisdiction of a state Court and issuing a decision, which could purport to deny a party access to justice before such a state Court. It is a fundamental principle that each Court and Arbitral Tribunal has jurisdiction
114
Date queste premesse, si ritiene che gli arbitri pur
potendo adottare dette misure ne dovranno fare un uso
ragionevole e comunque soggetto a limitazioni. In
to rule on its own jurisdiction or, in other words, has Kompetenz-Kompetenz.
2) Admittedly, in upholding their jurisdiction, arbitrators implicitly declare that any other court or arbitral tribunal is prevented from ruling on the same subject matter. In due course, domestic courts, at least those of the seat of the arbitration, will have the last word in this respect. Arbitrators must satisfy themselves with this ruling and may not order performance in kind of the arbitration agreement. The Algiers Accords of January 19, 1981 set up an international arbitral tribunal responsible for deciding disputes between Iran and the United States. In E-System Inc. v. Iran this tribunal made the above distinction and also requested:
[t]he Government of Iran to move for a stay of the proceedings before the Public Court of Tehran until the proceedings in this case before the Tribunal have been completed.
In this case, the Claimant sought to have Iran enjoined from prosecuting before its own courts an action that it could have initiated before the arbitral tribunal as a counterclaim. The arbitral tribunal noted that it would have jurisdiction over a counterclaim, which would exclude the jurisdiction of any other tribunal, but that its jurisdiction was not exclusive. Hence, the arbitral tribunal refused to order Iran to withdraw its action before the Iranian courts but ordered Iran to request a stay of the latter in order to ensure that its jurisdiction and authority was fully effective. The Tribunal noted:
This Tribunal has an inherent power to issue such orders as may be necessary to conserve the respective rights of the Parties and to ensure that this Tribunal’s jurisdiction and authority are made fully effective.
3) A fortiori, unless a matter has been referred to it, an arbitral tribunal may not order a party to withdraw a court action, which would be tantamount to depriving a party of its substantive rights:
In the opinion of the Arbitral Tribunal, … [Claimant’s] request for Injunctive Relief is inconsistent with this fundamental feature of provisional and conservatory measures. [Claimant] is not seeking an order requiring [Respondent] to request a stay of the [Court] action pending the final award in the arbitration. Rather, Claimant is requesting the Arbitral Tribunal to grant an order requiring (Respondent] to withdraw the [Court] Action with prejudice.
[…]It is debatable whether an arbitration agreement gives rise to a strict obligation (i.e., a duty) which, if violated, may result in an award of damages. Jurisdiction is something that is declared, not something that can be ordered. Declaring jurisdiction enables the arbitrator to rule on the merits of the dispute before him but does not comprise the power to exclude the jurisdiction of others. » In ultima analisi si ritiene che gli arbitri possono solo stabilire la loro propria giurisdizione ciò che di fatto può scoraggiare le parti dall’adire la corte domestica o altro tribunale arbitrale. Ciononostante gli arbitri non possono imporre le parti dall’astenersi, né possono decidere sulla giurisdizione di una corte e tantomeno sulla cogenza della causa dinanzi al tribunale.
115
particolare si ritiene che le anti-suit saranno appropriate
solo quando appariranno necessarie per proteggere il
procedimento arbitrale, ovverosia quando una parte stia
fraudolentemente tentando di scalzare la competenza del
tribunale arbitrale. E pertanto si dovrà la massima cautela
nell’emanazione del provvedimento in questione considerando
che gli effetti delle anti-suit possono essere ben più
nocivi degli stessi problemi che cercano di risolvere.
Infine non è forse superfluo sottolineare che l’adozione di
queste misure richiede a priori la potestà degli arbitri di
concedere la tutela cautelare e pertanto non potranno
essere emesse in tutti quegli ordinamenti, come l’Italia,
dove ciò non è permesso.
2.2 Le misure ex parte
Un ulteriore distinzione che suole ricorrere nella
letteratura riguarda i soggetti coinvolti nella decisione
cautelare. E da questo angolo prospettico si rileva come le
misure possono essere emesse sia a seguito di
contraddittorio che inaudita altera parte (ex parte measure
nel lessico giuridico internazionale). Nell’ipotesi
ordinaria il collegio convoca le parti per ascoltarle in
contraddittorio sulla richiesta di tutela cautelare
avanzata da una di esse. Tuttavia non sempre ciò è
possibile e non è infrequente, specialmente nell’arbitrato
internazionale, la pratica di svolgere il contraddittorio
in conferenza telefonica o videoconferenza, attraverso
l’ausilio di strumenti elettronici. Infatti accade spesso
che le parti risiedano in Stati differenti e che l’attesa
del tempo necessario per la convocatoria potrebbe
116
pregiudicare il diritto di cui si chiede tutela. Tuttavia
nonostante questi strumenti possano facilitare una più
rapida emissione di misure, rimangono casi in cui è proprio
la natura della misura richiesta che ostacola la sua
emissione in contraddittorio fra le parti; sono i casi in
cui la misura necessità “dell’effetto sorpresa” per essere
efficace, o la circostanza è di tale urgenza da non poter
attendere nemmeno la più rapida convocazione delle parti.
Numerosi ordinamenti prevedono l’adozione delle misure
inaudita altera parte, ma ormai è pacifica la constatazione
che in questi casi il contraddittorio non è estromesso (ciò
che sarebbe incostituzionale nella maggioranza degli
ordinamenti europei, nonché contrario al disposto dell’art.
6 CEDU), ma semplicemente differito al momento e nella sede
della (eventuale) revoca, modifica o conferma della misura
cautelare.
Un problema tipico delle ex parte measures in ambito
cautelare si ha quando detti provvedimenti sono richiesti
prima della costituzione del tribunale (ex parte pre
arbitral emergency measures of protection); se infatti
questi ultimi sono in linea di principio ammissibili, certa
dottrina ritiene che il tempo di costituzione del collegio
finalizzato all’emissione di dette misure sia di per sé
scoraggiante alla promozione della domanda233.
A sostegno della poca opportunità (sia chiaro, anche se
legittima) di chiedere tali misure ad un tribunale
arbitrale v’è la costatazione le stesse richiedono
esecutibilità per se, e che questa trova la sua sede ideale
233 CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., p. 343 «non è ovviamente concepibile la costituzione del tribunale arbitrale senza che una parte ne sia informata» e YEŞILıRMAK, Op. Ult. Cit., p. 221 : «such measures would normally be available from an arbitral tribunal once such tribunal is formed long after the time of a dispute’s appearance». Tuttavia entrambi gli autori sembrano così escludere l’ammissibilità di una tale richiesta rivolta ai sempre più numerosi comitati permanenti.
117
nelle corti statali. Anche per questa ragione si sostiene
che «it is noteworthy that the request for and the grant
of ex parte measures occasionally occur in arbitration
practice». E a sostegno dell’affermazione viene riportato
un sondaggio svolto dalla AAA che mostra come solo una
misura cautelare su cinquanta avanzata a detta camera
consista nella richiesta di provvedimento inaudita altera
parte234.
Pertanto sebbene teoricamente possibili e legittime le
misure ex parte, e solo nelle seppur modeste applicazioni
pratiche, si devono confrontare con due grandi obiezioni:
il diritto di essere ascoltati in contraddittorio (the
right to be heard) ed il principio dell’imparzialità.
Quanto alla prima tornano alla mente le lezioni classiche
di diritto processuale 235 sulla legittimità della carenza
prima facie del contraddittorio fra le parti. In quella
sede si suole dire che questo non è estromesso, ma
semplicemente compresso, differito; e che il diritto si
riespande se ed in quanto la parte destinataria del
provvedimento ne faccia domanda in sede di modifica o
revoca della misura. Al contrario, la parte incisa e a
conoscenza del provvedimento, che si asterrà dal dare
impulso al procedimento cautelare verrà irreversibilmente
(fino alla decisione finale, si intende) colpito dalla
tutela. Mentre varia da ordinamento ad ordinamento 236 la
procedura e il dovere/potere di dare impulso al giudizio di
revoca o conferma resta ovunque pregiudicato il diritto
della parte incisa dal provvedimento che, destinataria di
234 sempre YEŞILıRMAK, Op. Ult. Cit., p. 221 riporta i dati tratti da NAIMARK-KEER, Analysis of UNCITRAL Questionnaires on Interim Relief, in Mealey's Int. Arb. Rep., 2001, p. 23 ss. 235 PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p. 341. 236 per una rassegna delle modalità di istaurazione o integrazione del contraddittorio vd. CARLEVARIS, Op. Ult. Cit., p. 344-346.per il momento
118
regolare notifica, decida di non partecipare al giudizio o
di partecipare e rinunciare alle difese, consentendo in
questi casi l’emissione del provvedimento senza
integrazione del contraddittorio. Queste tuttavia non sono
unanimemente ritenute applicabili anche all’arbitrato.
Infatti c’è chi sostiene che tali regole sono incompatibili
con il giusto processo arbitrale inteso come pieno ed
eguale accesso all’organo giudicante in ogni fase ed
eventualità del procedimento. Le osservazioni non sembrano
prive di fondamento in tutti i casi in cui non sia
regolamentata una disciplina, cadenzata da termini
perentori, che garantisca alla parte incisa il diritto di
eccepire gli argomenti addotti da controparte. E ben
possono trovare fondamento quelle critiche basate
sull’articolo 6 CEDU 237 (sebbene non direttamente
applicabile). Ma laddove ipoteticamente venisse programmato
un sistema di integrazione del contraddittorio differito,
analogo a quello predisposto dai vari legislatori
nazionali, non si vede perché non se ne dovrebbe
riconoscere l’ammissibilità. E le considerazioni sulla
«doubtful … practical attraction»238 delle misure ex parte
non servono a smentire la potenziale legittimità delle
stesse. In tal senso può essere indice di un’apertura e di
un possibile futuro sviluppo l’inserimento nella Model Law
UNCITRAL dei già commentati articoli 17B e 17C.
Il principio di imparzialità nell’ambito dell’arbitrato
internazionale consiste, anche, nel divieto di prendere
contatti privatamente con qualsiasi delle parti; in questa
coniugazione particolare si manifesta come divieto di
intrattenere rapporti con il soggetto istante la domanda ex
237 VAN HOUTTE, Ten reasons against a proposal for Ex Parte Interim Measures of Protection in Arbitration, in Arb. Int., 2004, p. 89 238 BORN, International Commercial Arbitration: Law and practice, Alphen aan den Rijn, p. 210.
119
parte. L’analogia con il medesimo principio nell’ambito di
un processo di fronte ad una corte non regge; infatti si
ritiene che mentre «a judge is a servant of the state and
has responsabilities flowing from public policy which go
beyond those of an arbitrator, [the] duties [of the latter]
may be terminated by the parties»239. Qui il riferimento va
al fenomeno dell’arbitro “non-neutrale”, conosciuto
soprattutto negli arbitrati ad hoc come arbitro vicino ad
una delle parti: nella prassi questo arriva a non firmare
il lodo contrario alla parte che ufficiosamente
“rappresenta”. Alla luce di ciò si capisce la diversa
conformazione del principio di imparzialità che, allo scopo
di preservare il dialogo tribunale-parte in un ambiente
pubblico e permeato dal contraddittorio, costituisce il
presidio per scacciar via quei legittimi dubbi
sull’indipendenza degli arbitri. Nel caso delle misure ex
parte, tuttavia, è imprescindibile tale contatto privato
con il tribunale e pertanto si ammette che il divieto debba
essere valutato caso per caso e che la protezione cautelare
dei diritti possa costituirne una ragionevole eccezione.
Inoltre al fine di salvaguardare l’apparenza di
imprazialità, ogni comunicazione relativa alla misura da
emettere inaudita altera parte dovrà essere registrata e
comunicata alla controparte incisa, prima dell’istaurazione
del contraddittorio in sede di revoca o conferma del
provvedimento240.
Dal punto di vista qualitativo la misura ex parte, sebbene
non formalmente di contenuto e ampiezza analoghi ad una
inter partes, dovrà avere qualche requisito in più.
Innanzitutto l’istante avrà l’onere di provare che il
239 REDFERN-HUNTER, Law and practice of international commercial arbitration, London, 2004, p. 199. 240 YEŞILıRMAK, Op. Ult. Cit., p. 225.
120
collegio abbia giurisdizione sul caso; e tale prova dovrà
essere ancor più convincente nel caso in cui si rivolga ad
un comitato d’emergenza. Ciò non tanto perché gravato di
qualche onere ulteriore o particolare, ma per l’ovvia
necessità di vincere la diffidenza di un collegio cui si
chiede una misura prima dell’inizio del procedimento e
all’insaputa della parte destinataria. Particolarmente
convincenti dovranno essere le motivazioni che spingono a
chiedere il provvedimento inaudita altera parte e
particolarmente evidenti le condizioni dell’azione
cautelare.
L’assenza di una delle parti alla formazione della
decisione cautelare comporta, inoltre, il più oneroso
dovere di buonafede di allegare tutti i fatti, le
circostanze ed i documenti a fondamento dei quali si
chiede la misura e la cui violazione può essere, da sola,
fonte del risarcimento contrattuale241.
L’emissione della misura ex parte può essere accompagnata
da una security a titolo di garanzia dell’eventuale e
futuro danno che potrebbe esser cagionato dall’applicazione
delle misura; la costituzione della security può costituire
anche condizione sospensiva242, 243.
Infine, come si è già accennato, il tema delle misure ex
parte, per quanto interessante e fonte di proficui
dibattiti dottrinali, ha avuto tuttavia uno scarso rilievo
pratico. Ciò in particolare è dovuto all’impossibilità
dell’arbitro di far eseguire la misura emessa senza
241 per l’applicazione nell’arbitrato WIPO vd HORNING, Interim Measures of Protection; Security for Claims and Costs; and Commentary on the WIPO Emergency Relief Rules (in Toto): Article 46, in Am. Rev. Int. Arb., 1998, p. 173. 242 BERGER, International Economic Arbitration, Deventer-Boston, 1993, p. 337. 243 per altre «safeguarding measures» a tutela del soggetto inciso dalla misura CASTELLO, Arbitrators Should have the power to Grant Interim Relief Ex Parte, in Disp. Res. Journ., 2003, p. 9 ss.
121
notificarla alla parte destinataria con conseguenze
evidentemente nocive per l’esito della procedura. Per porre
rimedio al problema si è da tempo consolidata la prassi che
consiste nell’ordine interinale dell’arbitro di conservare
lo status quo nelle more della procedura cautelare. La
parte sarà così destinataria di una raccomandazione che, se
trascurata, può certo influire negativamente sull’opinione
dell’arbitro cautelare circa la buonafede della parte
disobbediente.
2.3 Le misure pre-arbitrali
Nel primo paragrafo di questa sezione si sono analizzate le
anti-suit injunctions per le particolari finalità che
perseguono, mentre nel secondo quelle ex parte come
peculiari rispetto ai soggetti coinvolti nel processo
decisionale. Se si guarda invece dal punto di vista del
momento in cui vengono pronunciate, meritano un focus le
c.d. Emergency arbitral provisional measures244 (che vengono
definite con terminologia diversa in ogni istituzione
arbitrale). Queste nascono per sottrarre il monopolio sulle
misure dei giudici ordinari prima della costituzione del
tribunale arbitrale, alla luce della evocata competenza
cautelare propria degli arbitri. Anche in questo caso il
fondamento della competenza cautelare prearbitrale è da
rinvenire nell’intenzione delle parti di veder la loro lite
risolta «by a neutral/party-determined authorithy». Inoltre
chiedere alle parti di rivolgersi ad una corte significa
chieder loro di scegliere il foro che hanno deliberatamente
244 Sulle quali ci si era soffermati parenteticamente commentando la novella apporta alle ICC Rules nel Cap. III, § 1.4
122
evitato, con tutte le probabilità che questo non coincida
con quello del luogo dove risiede la parte destinataria
della misura, ciò che viene definito «an open invitation
for abuse»245.
Prima che si consolidasse la prassi arbitrale dei comitati
permanenti si rinvenivano in dottrina cenni circa la
possibilità di creare «[a] one or three members standing
panel» cui si poteva dar mandato, in ogni momento
antecedente o –con tutti gli inconvenienti del caso-
simultaneo a quello della domanda, di risolvere il futuro o
contemporaneo conflitto246. Si noti come tale situazione, un
po’ rudimentale, presentasse come grande svantaggio quello
di tenere in piedi un collegio con tutti i costi che ne
derivavano. Per questa ragione e per il crescente successo
che hanno acquisito gli arbitrati istituzionali si è andato
affermando il modello dei comitati permanenti.
Nel vasto panorama dei regolamenti arbitrali il tema delle
misure arbitrali è affrontato con due approcci che si
rispecchiano in due tecniche legislative contrapposte. Da
una parte si hanno quei regolamenti che includono la
normativa sulla procedura d’urgenza all’interno del testo o
in un’appendice comunque considerata parte integrante della
convenzione d’arbitrato. Pertanto le parti, a meno che non
vogliano esplicitamente rinunciare all’efficacia di tali
245 YEŞILıRMAK, Op. Ult. Cit., pp. 115 e 116: «Experience demonstrates that this forum would generally be the home court of the requesting party or another forum, but would certainly not be the home court of the non-moving party». L’a. precisa inoltre (nota 9) che «the reasons for preference of such mechanism over litigation are generally similar to the reasons in support of arbitral jurisdiction to grant provisional measures». 246 Sempre al fine di riaffermare l’arbitrato come strumento “totale” e svincolato rispetto alle corti, si sono diffuse nel tempo forme accelerate di svolgimento della procedura arbitrale (c.d. expedited arbitration) che consentono anche una più rapida formazione del collegio. Vd. ad. es. art. 9 LCIA o le Expedited Arbitration Rules della WIPO; per un commento MORTON, Can a World Exist Where Expedited Arbitration Become a Default Procedure?, in Arb. Int., 2010, p. 103 ss.
123
norme (attraverso un meccanismo di opt-out), le
accetteranno implicitamente sottoscrivendo il regolamento
interno. Dall’altra parte si hanno invece due regolamenti
autonomi: per includere nel convenzione d’arbitrato anche
la procedura di référé pre-arbitral, si dovrà quindi
esplicitamente richiamarla nel patto sottoscritto
(meccanismo opt-in) 247 , 248 . Anche se nella pratica le due
cose quasi sempre coincidono, in realtà la differenza di
documenti fra il regolamento arbitrale e le regole per le
misure pre-arbitrali è cosa diversa rispetto al meccanismo
di adesione alle regole (opt-in e opt-out). Il fallimento
del modello opt-out si è mostrato in particolare nella
scarsissima applicazione delle ICC Arbitral Referee
Procedure del 1990; così, la riforma del 2012 ha integrato
nel corpo del testo (art. 29) la procedura d’emergenza, più
ampiamente disciplinata nell’allegato V: in tal modo si
sono convertite le modalità di adesione alla procedura opt-
in.
I requisiti necessari che determinano la necessità di
emettere provvedimenti di urgenza rimangono dentro la sfera
discrezionale dell’arbitro; e la misura di tale discrezione
si è dimostrata nella pratica variabile a seconda dei casi,
247 un esempio del primo si ha nel regolamento ICC, come da ultimo riformato, nel regolamento AIA (già dal 1994) e nelle ICDR International Arbitration Rules. Al contrario le Rules for a Pre-Arbitral referee procedure della ICC (in vigore dal 1990 fino all’introduzione del nuovo regolamento), le SIAC Arbitration Rules e le SCC Arbitration Rules rappresentano due modelli del meccanismo di opt-in. 248 Da notare che nel 2005 YEŞILıRMAK, Op. Ult. Cit., p. 116 parlava di due differenti opzioni con cui le istituzioni arbitrali potevano gestire le procedure d’urgenza: «they can expressly provide for a mechanism in their arbitration agreement to obtain an emergency provisional measure, or the parties can use one of the few institutional arbitration rules which provide for such mechanism». Oggi la tendenza sembra invertita e gli organismi permanenti non sono «pochi» -come si veniva commentato solo 8 anni fa- mentre stanno scomparendo le situazioni in cui il presidente dell’istituzione arbitrale assume ad interim le funzioni cautelari fino alla costituzione del collegio arbitrale.
124
delle circostanze, della nazionalità delle parti e della
natura della controversia. Ciononostante alcune linee guida
possono essere comunque tracciate. In primo luogo,
similmente a quanto accade per le misure cautelari
“ordinarie”, sono necessarie le tipiche condizioni
dell’azione cautelare (fumus e periculum) 249 ; in secondo
luogo ed in aggiunta sono imprescindibili il carattere
dell’urgenza o dell’emergenza: un immediato danno o
un’irreparabile perdita che si verificherebbero laddove la
misura non venisse garantita.
Le misure d’urgenza sono quindi uno strumento effettivo e
rapido strumento
In conclusione si può ritenere che data la menzionata
discrezione conferita agli arbitri questa procedura è
divenuta nel tempo un sempre più agile ed efficace
strumento per contrastare situazioni d’urgenza; a questo si
aggiunga il peso che può derivare dalla possibilità di
azionare certi rimedi250 contro «recalcitrant parties».
L’esistenza di tali procedure aiuta quindi a garantire la
l’efficacia dell’arbitrato nel conferire concretezza alla
tutela provvisoria e strumentale dei diritti nella fase
pre-costitutiva del tribunale. Di ciò ne sono prova il
numero crescente di regolamenti che ne fanno menzione e il
sempre maggior spazio che questi vi dedicano.
249 DONOVAN, The scope of enforceability of Provisional Measures in International Commercial Arbitration: A Survey of jurisdictions, the Work of UNCITRAL and Proposals for Moving Forward, in ICCA Congress Series No. 11 (London 2002), a cura di VAN DEN BERG, Alphen aan den Rijn, 2003, p. 82 ss individua altri 5 requisiti a complemento: 1)prima facie estabilishment of jurisdiction 2)prima facie estabilishment of case 3)urgency 4)imminent danger, serious or substantial prejudice if the measure requested is not granted 5)proportionality 250 YEŞILıRMAK, Op. Ult. Cit., p. 157.
125
CONCLUSIONI
Il titolo apparentemente specifico del presente lavoro
potrebbe spaventare un lettore all’oscuro di una regola
precisa del codice di procedura civile. E tale lettore
potrebbe ritenersi soddisfatto nel leggere la lettera
dell’articolo 818 che a chiare lettere indica il divieto
per gli arbitri di disporre qualsiasi provvedimento
cautelare. E farebbe poca fatica per scoprire che le
diverse disposizioni di legge, previste a mo’ di eccezione
aperta, che prevede lo stesso articolo si sostanziano in
una sola eccezione circoscritta alla materia societaria, e
quindi, di portata settoriale. Nulla lascerebbe intuire che
in realtà quel titolo “La tutela cautelare nell’arbitrato”
è sin troppo generico per descrivere un fenomeno che trova
la sua migliore incarnazione in una prassi internazionale
consolidata da tutti i migliori regolamenti arbitrali.
Lo stesso argomento sarebbe probabilmente più asettico per
uno studioso di diritto di un altro paese che, leggendo il
proprio codice di rito, scoprirebbe una normativa che
redistribuisce il potere cautelare fra arbitro e giudice.
Il suo lavoro si sostanzierebbe nella puntuale descrizione
del fenomeno, come regolato da quel codice di procedura, e
nelle microscopiche differenze riscontrabili nei
regolamenti arbitrali e nelle altre leggi di altri stati.
Tali differenze riguarderebbero solo il quantum e il
quomodo dei poteri cautelari degli arbitri.
Ma presumibilmente esaurirebbe gli argomenti controversi
sulla sua legge nazionale in poche pagine e si potrebbe
concentrare sull’aspetto più concreto del problema: la
tutela cautelare nell’arbitrato internazionale.
126
Quest’aspetto purtroppo passa in secondo piano per un
collega italiano, che difficilmente riuscirà a concentrarsi
sulla prassi internazionale non potendo trovare
applicazione dentro i confini dello stato. E questa è la
ragione della mancanza, nel titolo della tesi,
dell’aggettivo italiano o internazionale. Perché studiare i
due fenomeni nello stesso lavoro chiederebbe uno spazio che
va oltre quello qui consentito 251 . Ciò non significa
ignorare il fenomeno dal punto di vista internazionale, ma
valutarne gli aspetti salienti in chiave comparativa
rispetto alla normativa interna. È proprio da tale
confronto che emergono con la massima evidenza le
differenze ed il gap che ci separa dall’arbitrato
internazionale.
Data queste premesse è doveroso riassumere in brevi righe
il problema latente che si cela dietro la disposizione
dell’articolo 818. Per far ciò è indispensabile partire
dalla ratio dell’istituto; nel secondo capitolo si
ricostruisce, anche attraverso il pensiero dei maestri
classici del diritto processuale civile, l’origine storica
della norma. Fino a due decenni fa la ratio del divieto
veniva individuata dalla dottrina maggioritaria, se non
unanime, nella mancanza del potere di imperium degli
arbitri per emetter misure cautelari. L’affermazione però
si è dovuta presto confrontare con l’argomento che se agli
arbitri si conferisce il potere di emettere un lodo idoneo
a dispiegare definitivamente i suoi effetti nella realtà
materiale, allora si dovrebbe conceder loro anche il potere
di emettere un provvedimento provvisorio destinato a
caducare con la decisione finale. A questo dato
251 Si segnala in materia la più volte citata monografia di CARLEVARIS, La tutela cautelare nell’arbitrato internazionale, Padova, 2006. L’opera è l’unica che descrive in materia esaustiva la normativa interna ed internazionale;
127
insuperabile, non ha però avuto seguito nessun adeguamento
della legge. Infatti il legislatore si è confrontato a più
riprese con la materia dell’arbitrato, ma non ha mai
provveduto a cambiare la parte principale della norma.
Nel 2006, al tempo dell’ultima riforma, il legislatore non
poteva non conoscere l’opinione fortemente maggioritaria
che si levava dalla dottrina. Ciononostante, pur mettendo
mano alla disposizione, è stato sordo alle richieste
avanzate dagli studiosi e si è limitato ad inserire una
clausola aperta a diverse disposizioni di legge (oltre che
risolvere, così, l’antinomia creata con l’ipotesi prevista
nel D. Lgs 5/2003). Ed oltre che sordo è stato anche cieco:
pur conoscendo la soluzione dominante in tutti i principali
ordinamenti e regolamenti, ha deliberatamente scelto di non
abrogare la norma. Per usare un linguaggio caro ai
penalisti si potrebbe dire che l’atteggiamento del
legislatore in quella occasione è oscillato fra la colpa
cosciente ed il dolo eventuale. Sicuramente erano già state
rappresentate le possibili conseguenze extraprocessuali
derivanti dal conservare inalterato il divieto. Non è dato
sapere, però, se la scelta è stata adeguatamente soppesata,
o se è stata frutto di una mera anche se certi indizi
«testimoniano [del]la natura particolarmente persistente
dei convincimenti alla base del divieto».
Tale perseveranza del legislatore oltre che dare adito a
critiche de iure condendo presta il fianco a valutazioni
che hanno a che fare con la volontà dell’individuo.
La scelta di sottrarre la tutela cautelare ad un soggetto
terzo ed imparziale, ma non designato da un organo statale
contiene un giudizio etico. Contiene, di preciso, una
valutazione negativa sulla capacità dell’arbitro di
prendere una decisione con maggior contenuto discrezionale.
La misura cautelare richiede, infatti, una più ampia
128
capacità di discernere “cosa è giusto”, proprio per il suo
carattere sommario; e ciò prescinde dal fatto che si
autorizzi lo stesso arbitro ad emettere un lodo capace di
dispiegare effetti maggiori e perpetui, poiché
paradossalmente, tale potere deriva anche dalle garanzie
offerte dalla procedura ordinaria. In questa maniera
l’ingerenza compiuta lo riveste di una connotazione
caratteristica di Stato Etico252, promotore del bene comune
al di là dell’individuo. Sembra così esasperarsi il
concetto aristotelico di Stato come “un tutto superiore
alla somma delle sue parti”. Ma tale dottrina olistica
sembra essere superata nelle democrazie occidentali già da
tempo ed è quanto di più distante ci possa essere dalla
logica dell’arbitrato. Piuttosto sembrano più vicine e
coerenti alla materia dell’arbitrato le affermazioni di
libertà liberale dove lo Stato deve governare il meno
possibile e limitarsi ad assicurare la garanzia dei diritti
individuali253.
In particolare chi si rivolge ad un collegio arbitrale
chiede che la risoluzione della propria controversia
avvenga in tempi ragionevoli. E questo configura un diritto
a portata individuale oltreché collettiva.
In fondo se si guarda bene la tutela cautelare e
l’arbitrato vanno nella stessa direzione. Il primo trova la
sua ragione d’esistere nella maggior velocità di
risoluzione delle controversie; la seconda costituisce la
soluzione patologica al problema della lentezza dei
processi. Ma entrambi non esisterebbero o avrebbero
252 HEGEL, Lineamenti della filosofia del diritto, Bari, 1979, p. 238: lo definisce «sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile». Ma vedi anche la definizione dello stato hegeliano (qui conrapposto alla Costituzione) di BOBBIO, Studi hegeliani. Diritto, società civile, stato., Torino, 1981, p. 72. 253 BOBBIO, Teoria generale della politica, Torino, 1999, p. 231.
129
un’importanza del tutto marginale se la giustizia fosse
efficiente, veloce.
Alla luce di ciò mi sembra di poter rispondere
affermativamente all’interrogativo posto al termine
dell’introduzione: l’oggetto di questa tesi può costituire
una rappresentazione del malfunzionamento della giustizia
civile e la soluzione a questo problema potrebbe essere un
tassello per migliorarne l’efficacia. Niente di più.
Inoltre in chiave finalistica una scelta del genere sarebbe
l’indice di un mutato costume di fare le leggi: mettere al
centro l’individuo e di lato -a sostegno- lo Stato, e non
viceversa.
131
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