La metafisica delle pulsioni in "Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete"

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Raffaele Pinto La metafisica delle pulsioni in Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete in “Grupo Tenzone”, Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, Departamento de Filología Italiana UCM. Asociación Complutense de Dantología, Madrid, 1. La produzione letteraria di Dante può essere suddivisa in tre epoche, i cui snodi sono nitidamente identificabili nei due eventi “traumatici” che segnarono la sua esistenza: e cioè l’esilio (1302) e l’inizio della Commedia (1307) 1 . La propensione del poeta a reinterpretare in ogni momento della sua carriera i momenti precedenti rende difficoltosa la percezione di tali snodi e la rottura ideale che ciascuno rappresenta nei confronti dell’epoca che chiude. Come è noto, caratteristica precipua di Dante è quella di presentare, sul piano autoesegetico, la propia opera come un insieme coerentemente ordinato, sul piano evolutivo, anche quando è obbligato ad ammettere ripensamenti e a formulare ritrattazioni, che appaiono però sempre teleologicamente finalizzati al compito poetico ed intellettuale che in ciascun momento si assume. Il critico si scontra, quindi, analizzando ogni opera sua, con le interpretazioni che di essa lui stesso ha dato in momenti successivi (oppure contestualmente alla stesura di essa). Quelle due rotture sono però inequivocabili (per la 1 Sulla svolta che l’esilio rappresentò nelle modalità di scrittura di Dante, e in particolare sulla adozione della allegoria come nuovo strumento espressivo al servizio dei nuovi obiettivi vitali che si prospettavano al poeta, mi sono soffermato in Pinto 2007 (si vedano in part. pp. 125-131). Sul carattere ‘traumatico’ dell’ideazione della Commedia, rinvio a Pinto 2009a (in part. pp. 99-100). Sulla necessità di distinguere tali periodi, si veda Pinto 2009b (in part. pp. 42- 46). Il rinvio ad altri lavori miei è necessario da una parte per evitare inutili ripetizioni e dall’altra per illuminare i problemi posti dalla canzone sullo sfondo globale della evoluzione della poetica di Dante, che ho cercato di ricostruire nei miei precedenti studi. Chiedo venia, quindi, per la sovrabbondanza delle autocitazioni.

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Raffaele Pinto

La metafisica delle pulsioni in Voi che ‘ntendendo ilterzo ciel movete

in “Grupo Tenzone”, Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, Departamento deFilología Italiana UCM. Asociación Complutense de Dantología, Madrid,

1. La produzione letteraria di Dante può esseresuddivisa in tre epoche, i cui snodi sono nitidamenteidentificabili nei due eventi “traumatici” che segnarono lasua esistenza: e cioè l’esilio (1302) e l’inizio dellaCommedia (1307)1. La propensione del poeta a reinterpretarein ogni momento della sua carriera i momenti precedentirende difficoltosa la percezione di tali snodi e la rotturaideale che ciascuno rappresenta nei confronti dell’epocache chiude. Come è noto, caratteristica precipua di Dante èquella di presentare, sul piano autoesegetico, la propiaopera come un insieme coerentemente ordinato, sul pianoevolutivo, anche quando è obbligato ad ammettereripensamenti e a formulare ritrattazioni, che appaiono peròsempre teleologicamente finalizzati al compito poetico edintellettuale che in ciascun momento si assume. Il criticosi scontra, quindi, analizzando ogni opera sua, con leinterpretazioni che di essa lui stesso ha dato in momentisuccessivi (oppure contestualmente alla stesura di essa).Quelle due rotture sono però inequivocabili (per la

1 Sulla svolta che l’esilio rappresentò nelle modalità di scrittura diDante, e in particolare sulla adozione della allegoria come nuovostrumento espressivo al servizio dei nuovi obiettivi vitali che siprospettavano al poeta, mi sono soffermato in Pinto 2007 (si vedano inpart. pp. 125-131). Sul carattere ‘traumatico’ dell’ideazione dellaCommedia, rinvio a Pinto 2009a (in part. pp. 99-100). Sulla necessitàdi distinguere tali periodi, si veda Pinto 2009b (in part. pp. 42-46). Il rinvio ad altri lavori miei è necessario da una parte perevitare inutili ripetizioni e dall’altra per illuminare i problemiposti dalla canzone sullo sfondo globale della evoluzione dellapoetica di Dante, che ho cercato di ricostruire nei miei precedentistudi. Chiedo venia, quindi, per la sovrabbondanza delleautocitazioni.

risonanza che hanno nelle modalità di scrittura oltre chenei temi affrontati nei testi) e quindi mi sembra un utileesercizio considerarne gli elementi caratteristici, al finedi visualizzare meglio la reale linea evolutiva delle sueopere (indipendentemente dalla ortopedizzazione ideologicacui Dante sistematicamente la sottopone2). E mi soffermo,in particolare, sull’elemento più esterno ed appariscentedi tali modalità di scrittura, cioè sul rapportopoesia/prosa, quale esso si configura in ciascuna diqueste epoche.

Nella prima (fino al 1302) la attività letteraria diDante è costituita da una ingentissima produzione in versi,cioè quasi tutta la lirica compresi il Fiore e il Dettod’Amore. Fanno eccezione a tale dilagante ispirazionepoetica solo i capitoli in prosa della Vita Nuova.

Nella seconda (fra il 1302 e il 1307) il rapportoquantitativo poesia/prosa si inverte. Di fronte ai duetrattati (Convivio e De Vulgari) e alle prime quattro Epistole,abbiamo solo tre canzoni e alcuni sonetti.

2 Un effetto, sulla critica, di tale ortopedizzazione è l’illusioneottica che la Commedia fosse fin dal principio destinata ad esserescritta. Ingannati dall’autore, noi lettori interpretatiamo le opereprecedenti come propedeutiche (con maggiore o minore consapevolezza,in Dante) al capolavoro. Direi che quest’effetto agisce su tutti, maJohn Freccero formula l’idea in modo preciso (1989, p. 9): “Quandocita la sua poesia precedente nella Commedia, Dante intende suggerirciuna distanziazione, e fors’anche una distanziazione ironica, tra ilsoggetto poetico che egli è stato e il poema che stiamo leggendo.Probabilmente ciò vale per ogni autore che faccia riferimento ai suoilavori precedenti nell’ambito di un’opera che ha la struttura dellaconfessione; ma la cosa è particolarmente vera per Dante, la cuiintera carriera poetica fu un’ininterrotta askesis in preparazionedell’ultima grande opera. In una così lineare evoluzione, uno sguardolanciato all’indietro verso risultati poetici già conseguiti ha più ilsenso del trascendimento che del ritorno, più dell’auto-critica chedella auto-gratificazione. Come l’evoluzione spirituale del suoprotagonista, la storia poetica di Dante acquista retrospettivamenteil suo significato a partire dalla fine. La Commedia fornisce un nuovoquadro generale di riferimento entro cui tutta l’esperienza poeticadell’autore viene ordinata in vista di un esito non necessariamenteprevedibile in ciascun momento della storia, ma interpretabile aposteriori come sua inevitabile conseguenza”. La mia ricostruzione sibasa invece sulla ipotesi che l’ideazione della Commedia fuimprovvisa, traumatica, appunto, e quindi del tutto indeducibile dalleopere precedenti, il cui significato viene riplasmato per adattarlo alnuovo e definitivo paradigma.

Nella terza (dal 1307 in poi) il rapporto si inverteancora. Di fronte alla Commedia e alle Egloghe, abbiamo solodue trattati: la Monarchia e la Questio de aqua et terra, e poi8/9 Epistole.

La prima ovvia osservazione che suggerisce taledistribuzione per epoche è che la poesia è dominante nellaprima e nella terza mentre la prosa è dominante nellaseconda. Il trauma dell’esilio significò dunque,innanzitutto, l’abbandono della poesia come strumentoespressivo principale e la conversione alla prosa. Unpassaggio del Convivio (I ii 16) illustrerà perfettamente ilrapporto della prosa con l’esilio:

Temo la infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chilegge le sopranominate canzoni in me avere segnoreggiata; la qualeinfamia si cessa, per lo presente di me parlare, interamente, lo qualemostra che non passione ma virtù sia stata la movente cagione.

Nel quadro della generale finalità dell’opera, che èquella di ricostruire la propria fama intellettuale pressocoloro “nel cospetto de’ quali non solamente mia personainvilio, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì giàfatta, come quella che fosse a fare”, il commento in prosasvolge una funzione precisa, che è quella di dissiparel’immagine infamante, che i testi poetici potrebbero dare,di uno scrittore completamente signoreggiato dalla passione.L’osservazione va logicamente estesa a tutta la produzionein versi di Dante: se appassionate possono sembrare lecanzoni del Convivio, figuriamoci le petrose o il Fiore! Laprosa interviene, quindi, dopo l’abbandono di Firenze, percorreggere e razionalizzare l’immagine “fervida eappassionata” che la poesia, dominante nel periodofiorentino, suggerisce del poeta, che nella nuovasituazione esistenziale deve dimostrare (ad ospiti esignori che lo accoglieranno) la propria maturità e dignitàintellettuale, “temperata e virile” (Conv. I i 16).

Tale posisizone durò però fino al 1307 circa, cioèfino al momento in cui l’ideazione della Commedia significòper il poeta l’interruzione dei due trattati ed il ritornoalla poesia. Nei lavori citati ho spiegato perché sonoconvinto che tale ritorno alla poesia sia documentato edargomentato dalla lettera di accompagnamento a Moroellodella canzone ‘montanina’. Basti qui accennare al fatto che

il ritorno alla poesia viene figurato, nell’Epistola,attraverso l’immagine dell’amore che torna a signoreggiarel’anima di Dante:

... Amor terribilis et imperiosus ... tamquam dominus pulsus a patriapost longum exilium sola in sua repatrians ... regnat itaque Amor inme.

L’intero ragionamento dell’Epistola, che ruota intornoal ritorno di Amore che rientra in possesso dei suoiantichi domini, è parallelo al ragionamento inverso cheDante aveva svolto nel Convivio: se le condizionidell’esilio lo avevano indotto ad abbandonare la poesia (equindi l’amore), ora un nuovo evento (cioè l’ideazione el’inizio della Commedia) lo induce a riprendere la anticafonte di ispirazione (cioè l’amore) e l’antica formaespressiva, cioè la poesia. Il dato astrattamente formale (ossia la sempliceopposizione poesia / prosa) ha quindi implicazioni idealidi enorme rilievo, se ne risulta modificato l’atteggiamentodel poeta nei confronti di un tema come l’amore. E si pensial voltafaccia del De Vulgari rispetto alle posizioniprecedentemente espresse nella Vita Nuova circa il carattereesclusivo del tema erotico nella lirica, oppure alprivilegio concesso alla poesia morale (la rectitudo) controquella amorosa, nello stesso trattato.

D’altra parte, in relazione alla canzone di cui cioccupiamo in questo volume, appare subito evidente che allaevoluzione del rapporto poesia-prosa si accompagnal’evoluzione di due personaggi-mito essenziali in Dante(tanto nella poesia quanto nella prosa) e cioè Beatrice ela ‘donna gentile’ (che idealmente si affrontano in Voi che‘ntendendo): sembrerebbe infatti che a Beatrice e alla suasupremazia (nella prima e nella terza epoca) sia inqualche modo vincolata la scelta espressiva della poesia3,mentre alla ‘donna gentile’ e alla sua supremazia sia inqualche modo legata la scelta espressiva della prosa.

3 Che la supremazia di Beatrice significhi anche la supremazia tematicadell’amore, ciò, oltre che intuitivamente evidente, è ancheesplicitamente affermato in Vita Nuova, XXIV: “E chi volesse sottilmenteconsiderare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianzache ha meco”. E, in Io mi senti’ svegliar, 14: “e quell’ha nome Amor, sì misomiglia”.

In altra prospettiva si può osservare che, se ognunadi queste epoche deve necessariamente essere considerata inrapporto a quella che la precede, di cui rappresenta lasoluzione di continuità, è vero però che la prima di essesembra al riparo da tale rottura, eventualmenterappresentata, in quegli anni, proprio dalla prosaromanzesca della Vita Nuova, che inaugura appuntoquell’atteggiamento autointerpetativo che saràcaratteristico ed invadente nelle epoche successive. Nellasua eccezionalità, rispetto alla valanga di versi dellaprima epoca, la prosa della Vita Nuova insinua, ante litteram,quella vocazione alla prosa ermeneutica che verrà fuori conforza dopo l’esilio, e ne chiarisce le originariemotivazioni autoesegetiche, in modo tale da consentirci unaulteriore serie di equazioni: al compito prevalentementeespressivo della poesia si oppone il compitoprevalentemente (auto)esegetico della prosa.

La ingombrante presenza della Vita Nuova produce, però,anche un singolare e riduttivo effetto ottico, quello dimostrare tutta la produzione lirica del primo periodo nellaprospettiva esegetica del romanzo. Le conseguenze, sulpiano della intelligenza critica di tale produzione sonostate, a parer mio, devastanti, poiché il mito dellagentilissima, che del libello è protagonista, si è proiettato sudi essa lasciando in ombra (le ‘petrose’) o addiritturaespungendo (il Fiore e il Detto) alcune sezioni fondamentali,classificate, nei casi migliori, sotto l’etichetta dello‘sperimentalismo’, che però non ha altro senso che non siaquello di sancirne la irriducibile episodicità,eventualmente fungibile come materiale espressivo riciclatonella Commedia. È senz’altro possibile, invece, ricostruirele coordinate generali della lirica di Dante della primaepoca, sia sul piano tematico che evolutivo,indipendentemente dall’episodio della Vita Nuova, il cuisignificato risulterà anzi illuminato di nuova luce se losi subordina alla direzione ideale della poesia di Dantefino all’esilio. Il libello deve insomma servire asottolineare e a comprendere meglio i momenti in cui siarticola l’evoluzione della poesia di Dante, e non asoffocarli nella prospettiva lì dominante del mito diBeatrice.

Ho proposto una prima approssimazione criticaall’insieme della lirica dantesca nel mio Pinto 2008, incui il modello psichico freudiano, con la sua distinzionefra pulsioni aggressive di morte e pulsioni sessuali divita e con il capitale concetto di ‘sublimazionepulsionale’, permette di visualizzare con un solo colpod’occhio il sistema di tutta la lirica di Dante anterioreall’esilio e, inoltre, anche della lirica di Cavalcanti,indissociabile da quella dantesca, sul piano storicocritico, perché i due amici costruiscono la loro poetica indialogo-polemica l’uno con l’altro4. Riproduco qui quelloschema, semplificandolo attraverso le sole canzoni (più laballata Voi che savete ragionar d’amore, che è necessarioincludere nella sezione del disdegno per il suo rilievostrategico5), perché il lettore abbia sotto gli occhi lamappa tematica e il diagramma cronologico:

(1ª fase) Firenze: fino al 1301

1. Poetica del disdegno1.1 LO DOLOROSO AMOR CHE MI CONDUCE1.2 E’ M’INCRESCE DI ME SÌ DURAMENTE 1.3 LA DISPIETATA MENTE CHE PUR MIRA 1.4 AMOR CHE MOVI TUA VERTÙ DAL CIELO1.5 IO SENTO SÌ D’AMOR LA GRAN POSSANZA 1.6 IO SON VENUTO AL PUNTO DELLA ROTA 1.7 AL POCO GIORNO ED AL GRAN CERCHIO D’OMBRA1.8 AMOR, TU VEDI BEN CHE QUESTA DONNA 1.9 COSÌ NEL MIO PARLAR VOGLI’ ESSER ASPRO1.10 AÏ FAUS RIS, POUR QUOI TRAÏ AVES4 Ho escluso da quello schema il Fiore per la sua eccentricità formale(si veda però lì la nota 30). Per il luogo che il poemetto occupanella prima epoca della produzione di Dante, rinvio al mio Pinto 2007,pp. 134-1485 Si veda Pinto 2008, pp. 80-85. Come si osserverà nello schema, itesti che nel Convivo risultano raggruppati intorno alla figura della‘donna gentile’, cioè Voi che ‘ntendendo, Amor che nella mente, Voi che savete,vengono riassegnati ciascuno alla sezione che ad esso compete. Inrealtà è solo la prospettiva ‘allegorica’ del Convivio che ne rendepossibile l’accostamento; letti indipendentemente da tale allegorismoa posteriori, i testi rivelano nitidamente i diversi momenti ideali acui appartengono.

(1.11 VOI CHE SAVETE RAGIONAR D’AMORE)

2. Poetica dell’umiltà

2.1 La lode2.1.1 AMOR CHE NELLA MENTE MI RAGIONA2.1.2 DONNE CHE AVETE INTELLETTO D’AMORE 2.2 Il lutto2.2.1 DONNA PIETOSA E DI NOVELLA ETATE2.2.2 LI OCCHI DOLENTI PER PIETÀ DEL CORE2.2.3 VOI CHE ‘NTENDENDO IL TERZO CIEL MOVETE

3. Poetica della nobiltà3.1 POSCIA CH’AMOR DEL TUTTO M’HA LASCIATO 3.2 LE DOLCI RIME D’AMOR CH’IO SOLEA

(2ª fase) Italia: 1302-1307

4. Poetica dell’esilio4.1 TRE DONNE INTORNO AL COR MI SON VENUTE4.2 DOGLIA MI RECA NELLO CORE ARDIRE 4.3 AMOR, DA CHE CONVIEN PUR CH’IO MI DOGLIA

Per “poetica del disdegno” intendo, freudianamente,una idea dell’amore per la quale le pulsioni di desiderioconservano il carattere originariamente sessuale delle loromete, eventualmente confondendosi con pulsioni violente ditipo sado-masochista. La figura di donna che riassume talepoetica è il fantasma ostile che si nega all’amante e loatterrisce con il suo devastante e mortifero potere.Rientra in tale categoria tutta la poesia di Cavalcanti ela parte quantitavamente più importante delle rime diDante.

Per “poetica della umiltà” intendo invece una ideadell’amore nella quale le pulsioni di desiderio siriorientano verso un oggetto che perde parzialmente ototalmente il suo carattere sessuale, sublimandosi indirezione etico-filosofica. La figura di donna che la

riassume è il fantasma della donna benigna che, nell’al diqua o dall’al di là, guida il soggetto verso la virtù e lasapienza. Essa rappresenta il superamento dellacavalcantiana poetica del disdegno e, a partire dal momentoin cui viene teorizzata (nella Vita Nuova), segna l’iniziodella rottura con l’amico. Presenta due fasi ben distintel’una dall’altra: quella della lode (in cui il contenutosessuale della pulsione viene neutralizzato attraverso lasublimazione religiosa della donna) e quella del lutto (incui la sublimazione dell’oggetto di desiderio implica ilsuo trasferimento in una dimensione trascendente, cioè lasua morte).

Infine la “poetica della nobiltà” (fortementeminoritaria nella prima epoca: solo due canzoni)rappresenta una lirica non ispirata dall’amore, che sirivolge a problematiche di tipo genericamente politico.Esse saranno dominanti nella produzione della seconda epoca(l’interlocutore è qui Guittone).

Una prima considerazione viene suggerita appunto dalrapporto fra le canzoni e la prosa che le interpreterà(nella Vita Nuova e nel Convivio). Nessuna delle canzoni deldisdegno è oggetto di interpretazione in prosa. Tutte lecanzoni dell’umiltà (e una delle due della nobiltà) sonoinvece oggetto di interpretazione in prosa (nello schemache precede le ho evidenziate in corsiva). Il senso diquesta opposizione è chiarissimo: la pulsionalità nondeviata dalla sua meta sessuale esclude la suarazionalizzazione interpretativa. Quando questa ipotesi siaffaccia, nella prosa (è il caso della ballata Voi che saveteragionar d’amore, citata nel Convivio), è solo per denunciarel’irrazionalità del desiderio che nel testo si esprime. Equindi nessun contenuto di verità è deducibile dallamanifestazione verbale di tale pulsionalità. L’erosmobilitato dal disdegno della donna è refrattario alla suaconversione in energia psichica al servizio della moralitào della razionalità. Si tratta di un assioma formulato daDante in varie occasioni. La più chiara è quella che, inConv. III, x, 2 serve appunto a spiegare l’apparenzadisdegnosa della donna in Voi che savete (e che quindiafferisce a tutti i testi ispirati dal disdegno delladonna):

quanto l'agente più al paziente sé unisce, tanto e più forte è però lapassione, sì come per la sentenza del Filosofo in quello DeGeneratione si può comprendere; onde, quanto la cosa desiderata piùappropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore, e l'anima,più passionata, più si unisce a la parte concupiscibile e piùabbandona la ragione.

Come risulta dai testi aristototelici pertinenti, edai loro commenti (di Tommaso ed Alberto), riportati da C.Vasoli nel suo commento, si tratta di un principio che fadipendere la intensità della passione dalla prossimitàdell’oggetto. Dante traduce pari pari il concetto sul pianoerotico, collegando alla prossimità della donna la violenzadella pulsione e quindi la impossibilità dirazionalizzarla6.

Dall’altra parte, ed al fine di realizzare taleprocesso di sublimazione e conversione, si situal’allontanamento dell’oggetto che la poetica dell’umiltàpredica. E sono appunto la deviazione della pulsione e lasua razionalizzazione e sublimazione ad implicare, almenopotenzialmente, il corredo interpretativo della prosa.Questa riempie un vuoto che la stessa poesia genera, suimargini del testo: cioè una glossa che manifesti il nuovooggetto non più sessuale che la pulsione ha messo a fuoco,e di cui il verso può solo registrare la tracciaemozionale. Prima ancora che la prosa intervenga spiegando,il testo poetico ha già allontanato l’oggetto, infrangendocosì la legge del desiderio, quale si è codificata nellatradizione romanza a partire dai trovatori, che postula unoggetto di desiderio concreto e fisico, sessualmenteattivo. Ma, se l’oggetto sessuale è scomparsodall’orizzonte di aspettative dell’amante, cos’è che ne hapreso il posto, alimentando ancora la ispirazione e lascrittura? Le canzoni della lode (Amor che nella mente, Donneche avete) chiariscono che si tratta di un processo disublimazione teologica: l’oggetto (la donna) investita daun fascio di significati religiosi, perde ogni attributosessuale per diventare proiezione del divino, assimilabilealle intelligenze celesti che attualizzano nel mondo lavirtù di Dio, oggetto di culto religioso, quindi, più chedi desiderio passionale. Poi le prime due canzoni del lutto6 Sulle implicazioni ‘romanzesche’ di tale assioma, quali sonoriscontrabili nei capitoli della Vita Nuova che commentano i tre sonettisul gabbo di Beatrice, rinvio al mio Pinto 1994, pp. 89-92.

realizzano sul corpo della donna il programma disublimazione pulsionale indicato attraverso la lode,essendo la morte di lei non l’annullamento della suapersona, ma, al contrario, la sua definitivaspiritualizzazione, poiché, libera del corpo, la sua animapotrà occupare il luogo al quale fin dal principio eradestinata, cioè il Paradiso. I motivi cristologici di Donnapietosa portano a termine l’operazione di sublimazioneteologica suggerendo l’identificazione fra la morte delladonna e quella di Cristo, del quale la donna eredita lafunzione redentiva. La sua scomparsa dall’orizzontepercettivo del poeta è compensata dall’incremento dellafunzione nobilitante che essa, dall’al di là, esercita sudi lui.

Si osservi ora che nulla implica, in tutte le canzoniconsiderate finora, che si tratti di più donne. Dantepotrebbe ben averle scritte tutte per un medesimo fantasmafemminile (che a volte ha un nome, Beatrice, e a volte unepiteto: la pietra, la pargoletta etc.). E credo che siadavvero irrilevante la questione sulla identità dellepresunte donne amate al poeta. Il fantasma femminile è uno,e Dante ne descrive le metamorfosi o l’evoluzione, peresplorare, in tutte le direzioni possibili, i valoripsicologici ed espressivi del desiderio. Se gli diamo ilnome di Beatrice, dobbiamo essere coscienti che nellalirica tale nome abbraccia tutte le figure femminili lìevocate (anche quelle che rispondono alla logica deldisdegno). È di questo fantasma dell’io che importadescrivere la pluralità di atteggiamenti emozionali e nondelle donne realmente esistite (o puramente fantastiche)sulle quali egli tale fantasma ha proiettato. La totaledipendenza del personaggio femminile dalla disposizionepsichica del poeta viene chiaramente enunciata da Dante indue occasioni, nel congedo di Amor che nella mente mi ragiona, incui la stessa donna appare al poeta secondo due apparenzediverse, quella della umiltà e quella del disdegno; e poi aproposito della enigmatica figura femminile cui siriferisce la canzone ‘montanina’. La epistola a Moroello,che ne costituisce la razo, dice infatti (2):

mulier … apparuit … meis auspitiis undique moribus et forma conformis,

chiarendo al lettore ingenuo che va alla ricerca didettagli anagrafici che questa donna (come qualunque altra)è, nel suo significato morale, mera proiezione di auspitiis,cioè attese, dell’io.

È su questo sfondo di compatta ed articolata unicitàdel fantasma femminile che rivela la sua eccezionalità lacanzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, la sola in cuiappaiano due donne a contendersi il desiderio del poeta. Ilche sembra innanzitutto dipendere da una irriducibileduplicità di visioni dell’eros e quindi della poesia. Ilproblema che pone la canzone è appunto quello della nontraducibiltà di esperienze erotiche diverse in un unicofantasma femminile, che sia sempre lo stesso nonostante idiversi contenuti pulsionali che esso mobilita nell’io.Ciò che blocca la procedura di assimilazione di una donnaall’altra, ossia (secondo la favola della Vita Nuova) lafunzione di schermo che una donna qualunque ha neiconfronti di Beatrice, è l’allontanamento radicaledell’oggetto di desiderio. In altre parole, qualunque donnaè suscettibile di somigliare a Beatrice, e quindi diidentificarsi con lei in un unico fantasma feminile, finchéBeatrice è percettivamente presente (o presentabile) alpoeta. Nel momento in cui essa muore o scompare taleprocedura di assimilazione non è più possibile. Laquestione può anche essere posta in questo modo. Finché lapassione si scatena nel soggetto in presenza della donnaamata (sia pure una presenza virtuale, di oggetto comunqueraggiungibile o avvicinabile), le sue modalità pulsionalisono traducibili l’una nell’altra, per quantoaffettivamente diverse, come lo sono la apparente crudeltàdi una donna sadicamente votata alla sofferenza dell’io ola benignità di una donna che è veicolo di trasporti edemozioni assimilabili al culto religoso. Su questo punto laVita Nuova è chiarissima, se vi leggiamo fra le righe unateoria del desiderio che sarà esposta compiutamente solonel Convivio. È infatti pur sempre la stessa Beatrice ladonna che assume atteggiamenti così diversi nei confrontidi Dante, dal momento dell’incontro a quello della morte.Le sue metamorfosi indicano appunto la plasticità dellapulsione, ossia la possibilità di modulare affettivamenteil fantasma di desiderio secondo gli altibassi emozionalidell’eros (che oscillano fra l’infernale sadismo di Lo

doloso amor che mi conduce e la gloria celeste di Donne che aveteintelletto d’amore). Quando, invece, tale fantasma scomparedall’orizzonte percettivo dell’io, il luogo da luiprecedentemente occupato viene riempito da un nuovofantasma che essendo presente percettivamente all’io sioppone all’altro in modo radicale, tanto che alla fine diesso importa esclusivamente la natura surrettizia, di chiha usurpato il luogo precedentemente occupato da un’altro.

Potremmo allora dire che il fantasma si sdoppia soloquando scompare e viene sostituito da un altro fantasma. Alriguardo la Vita Nuova è, ancora una volta, illuminante,nelle sue strategie di conversione romanzesca deidifferenti nuclei di ispirazione lirica. La reduccio ad unumsotto il segno del mito di Beatrice è infatti adombratadalla proliferazione di donne che accompagnano o‘schermano’ la gentilissima. In quanto controfigure oaccompagnatrici queste donne sono figure delle diversedeclinazioni del desiderio del poeta. La vera antagonistadi Beatrice, la Rivale, appare solo quando essa, al terminedi un processo di allontanamento che inizia all’altezza diDonne che avete, muore, scomparendo definitivamente7.

7 Petrarca colse bene il significato di questo episodio della Vita Nuovae lo trascrisse nel Canzoniere nel dittico formato dalla canzone 270 eil sonetto 271 (se ne è accorto Santagata: 1996, p. 1095). Il temasvolto dalla canzone è infatti l’insorgenza di un nuovo amore subitodopo la morte di Laura (come indica il sonetto: “L’ardente nodo ov’iofui d’hora in hora, / contando, anni ventuno interi presi”). Controtale passione l’amante fa valere il rapporto esclusivo che lo legavaal corpo di Laura ed ai suoi gesti (“L’arme tue furon gli occhi, ondel’accese / saette uscivan d’invisibil foco, / et ragion temean poco, /ché ‘ncontra ‘l ciel non cal difesa humana; / il pensar e ‘l tacer, ilriso e ‘l gioco, / l’abito honesto e ‘l ragionar cortese, / le paroleche ‘ntese / avrian fatto gentil d’alma villana, / l’angelicasembianza, humile et piana, / ch’or quinci or quindi udia tantolodarsi; / e ‘l sedere e et lo star, che spesso altrui / posero indubbio a cui / dovesse il pregio di più laude darsi. / Con quest’armivincevi ogni cor duro: / or se’ tu disarmato; i’ son securo” -vv. 76-90). La nuova tentazione si scontra quindi con la impossibilità didislocare la pulsione di desiderio dal corpo di Laura ad un altrocorpo di donna, poiché Amore esercita il suo dominio sul poetaesclusivamente attraverso quel corpo, che, dissolto, non può esseresostituito da un altro: “Or al tuo richiamar venir non degno / chésegnoria non ài fuor del tuo regno” (vv. 29-30). Mentre per altri ildominio esercitato da Amore si manifesta in modi diversi, cioèattraverso donne diverse (“Gli animi ch’al tuo regno il cieloinchina / leghi ora in uno et ora in altro modo; / ma me sol ad un

Esiste un riscontro testuale luminosamente chiaro ditale impossibilità della gentile di “stare per” Beatrice, equindi di rappresentarla, come avevano fatto le altre donneschermo. Nel cap. XXXVII della Vita Nuova, quando il poetarimprovera i suoi occhi perché si sono lasciati sedurredalla “donna pietosa” (cioè la gentile) che lo guarda concompassione, l’argomento che adduce contro di loro è ilseguente:

Or voi solavate fare piangere chi vedea la vostra dolorosa condizione,e ora pare che vogliate dimenticarlo per questa donna che vi mira; chenon mira voi, se non in quanto le pesa de la gloriosa donna di cuipiangere solete; ma quanto potete fate, ché io la vi pur rimembreròmolto spesso, maladetti occhi, ché mai, se non dopo la morte, nondovrebbero le vostre lagrime avere restate.

L’errore di cui il poeta si rimprovera è quello dicredere che lo sguardo pietoso della donna abbia comeoggetto lui stesso e non Beatrice. Invece di sentirsiaccompagnato nel dolore dalla gentile, egli dirotta il suodesiderio, sostituendo così il dolore per Beatrice con ilconforto che gli viene da lei. Costei, d’altra parte,fallisce fin dal principio la missione che il poetavorrebbe attribuirle, e cioè quella di mantenere vivo,attraverso il cordoglio, il ricordo dell’amata morta.

nodo / legar potêi, ché ‘l ciel di più non volse”, 91-94), per ilpoeta tale dominio è possibile solo attraverso il corpo, non piùesistente, di Laura. Il dialogo con Dante si svolge sottilmente sudiversi piani. Innanzitutto la ripresa del problema dell’apparizione,con il lutto, di un nuovo oggetto di desiderio; poi la natura fisicadel desiderio sessuale, che richiede un oggetto vivo e sensibilmentepresente; poi il conflitto interiore fra donne diverse (una viva,l’altra morta). E, su un livello ulteriore, si osserva la distanza chePetrarca stabilisce tra sé e Dante: mentre per questi la sostituzionedi una donna all’altra è plausibile, per l’aretino la cosa èimpossibile perché il suo oggetto d’amore non è un corpo, in generale,ma quel corpo, in particolare, che continuerà ad ossessionarlo anchedopo la morte. Quindi alla volubilità di Dante Petrarca oppone lapropria fedeltà al primo fantasma, con la qual cosa entrando nellapolemica che era stata già di Dante e Cino. A quest’ultimo allude,infatti, Petrarca, nei versi appena citati, ed al sonetto a Dante Poich’i fui, Dante, dal mio natal sito (vv. 12-14): “ch’un piacer sempre me lega edinvolve, / il qual conven che, a simil di beltate, / in molte donnesparte mi diletti”. Sulla polemica Dante - Cino, e sul ruolo che inessa svolge la “donna gentile”, rinvio al mio Pinto 2009b (in part. lepp. 48-64).

Il rapporto d’analogia che rendeva le altre donneschermo e controfigure di Beatrice, con la gentile nonfunziona, perché fra le due donne esiste una differenzasostanziale, essendo l’una morta e l’altra viva. Esse nonsono omologabili sotto un unico fantasma femminile. Ilproblema può essere formulato anche in questo modo: ilcontrollo che l’io di Dante esercita attraverso il fantasmasulle proprie pulsioni viene messo radicalmente indiscussione quando l’oggetto di desiderio (Beatrice)scompare, morendo, dal suo orizzonte percettivo. Laconversione metafisica di Beatrice (il suo trasferimentonell’al di là), pur così necessario alla conquista dellasalute per le conseguenze teologiche che essa rappresenta,ne indebolisce però la funzione di controllo psichico,cioè la sua capacità di sussumere i diversi lati deldesiderio dell’io. Morendo, Beatrice lascia un vuoto nellapsiche che sarà riempito immediatamente (cioè dopo l’annodi lutto rigoroso dell’episodio narrato nel cap. XXXV), dauna donna viva e presente che proprio in quanto viva epresente si contrappone all’altra, la beatrice morta edassente, la quale è chiamata a svolgere funzioni redentivecertamente risolutive, ma nell’immediato libera gliinvestimenti libidici di Dante, che si riorientano versoun’altra donna. D’altra parte se l’allontanamento radicale,cioè la morte di Beatrice, risponde alle esigenze disublimazione e razionalizzazione della pulsione e del suooggetto, l’apparizione dell’altra donna può solosignificare la resistenza del soggetto desiderante adassumere tale processo di snaturamento pulsionale. Ilconflitto fra donne diverse emblematizza, nelle forme delmito, il doloroso percorso della sublimazione, per il qualel’io deve rinunciare alla meta naturale, cioè sessuale, deldesiderio, per sostituirla con una meta di tipo spirituale.

2. Prima di verificare tale esegesi sul testo di Voi che‘ntendendo, la applicherò (brevemente) ai sonetti nei qualisi presenta il medesimo antagonismo fra donne diverse.

Per quella via che·lla Bellezza correquando a destare Amor va nella mentepassa Lisetta baldanzosamente, come colei che mi si crede tôrre.

Quand’ella è giunta a piè di quella torreche tace quando l’animo aconsente,odesi boce dir subitamente:"Lèvati, bella donna, e non ti porre!ché quella donna che disopra siede,quando di signoria chiese la verga,com’ella volse, tosto Amor glie ·l diede".E quando quella acommiatar si vededi quelle parti dove Amore alberga,tutta dipinta di vergogna riede8.

Ciò che Dante sembra qui drammatizzare è laimpossibilità di stabilire una relazione di analogia, osimiglianza, fra l’oggetto di desiderio legato allasensibilità, cioè Lisetta, o comunque la donna che èveicolo di bellezza, e l’oggetto di desiderio, giàsublimato, che si è insediato stabilmente nella ‘torredella razionalità’. Si tratta del conflitto cavalcantianofra razionalità e sensibilità che Dante ha superatospiritualizzando la donna, e al quale Guido è invecerimasto vincolato. La ‘vergogna’ di Lisetta deveprobabilmente intendersi come la ‘vergogna’ che Guidodovrebbe provare per il fatto di essere incapace dirazionalizzare l’eros9. Sebbene non esplicitamenteformulato, il conflitto fra le due donne è quello cheabbiamo osservato finora, cioè quello che si produce frauna donna presente solo mentalmente nel ricordo o nellaintelligenza, e una donna che, concretamente presente,stimola (con la sua bellezza) la sensibilità del poeta.8 Conservo la lezione Lisetta, invece di Licenza, perché lacontrapposizione di una donna reale a una figura allegorica è,d’accordo con le premesse di questo studio, motivo caratteristicodella seconda epoca di Dante, e non della prima.9 Una conferma di tali allusioni alla poetica dell’amico potrebbevenire dal sonetto di Guido Certo non è de lo ‘ntelletto accolto (“a un amico”,che sembra essere proprio Dante), che parla appunto della accoglienzache l’intelletto si rifiuta di accordare ad un desiderio disonesto(“quel che staman ti fece disonesto”). Col che Guido riprendel’antagonismo fra le due donne illustrato dal sonetto dantesco (cheegli descrive como opposizione fra “quella ch’è nel tondo sesto”, chein modo enigmatico rappresenta “lo ‘ntelletto”, e un “vil razzo”, cioèun ignobile sguardo di seduzione carnale, come è appunto quello diLisetta), salvo ritorcere contro Dante, ovviamente, l’accusa dispudoratezza. Depone in favore del rapporto intertestuale fra i duesonetti il verso 4: “t’aparve rosso spirito nel volto”, che potrebbealludere all’ultimo verso dell’altro sonetto: “tutta dipinta divergogna riede” .

La stessa dicotomia fra oggetto eticamente sublimato(cioè la donna che “ha in sé cortesia e valore / prudenza eonestà”) e oggetto che fa appello ai sensi con la suabellezza (cioè la donna che “ha bellezza e vaga leggiadria,/ adorna gentilezza”), appare nel sonetto Due donne in cimadella mente mia, ma questa volta declinata secondo la loroperfetta compatibilità, quindi secondo il paradigmaconciliativo che sarà proprio di Dante e non di Guido:

Due donne in cima dela mente miavenute sono a ragionar d'amore:l'una ha in sé cortesia e valore,prudenzia e onestà in compagnia;l'altra ha bellezza e vaga leggiadria,adorna gentilezza le fa onore:e io, merzé del dolce mio signore,mi sto ai piè della lor signoria.Parlan Bellezza e Virtù all'intelletto,e fan quistion come un cuor puote stareintra due donne con amor perfetto.Risponde il fonte del gentil parlarech'amar si può bellezza per dilettoe puossi amar virtù per operare.

Il sonetto ha una sua eccezionalità, perché presentacome plausibile la bigamia poetica, cioè la compresenza didue diversi fantasmi femminili (uno di bellezza, l’altro divirtù) nella mente e nel desiderio dell’io.

Lo schema di gran lunga prevalente è invece quello cheappare in Cavalcando l’altr’ier, che mette in scena ladislocazione del desiderio da un oggetto lontano (“’ivegno di lontana parte”) ad uno nuovo (e quindi prossimo).La lontananza fisica è figura della lontananza metafisica,e quindi il sonetto rientra perfettamente nella strategiadel lutto, contro la quale sistematicamente la logica dellapresenza fa valere le sue ragioni. Esiste infatti unaevidente parentela fra questo sonetto e Un dì si venne a meMalinconia, in cui, anche, Amore è latore di un messaggio didolore: la morte dell’amata (parentela che è statasegnalata da De Robertis, nel suo commento).

Se ora consideriamo i 4 sonetti dedicati alla donnagentile nella Vita Nuova, e li leggiamo indipendentementedalla prosa che li interpreta, osserviamo che solo uno diessi presenta in modo esplicito l’antagonismo fra due

donne, e cioè “L’amaro lagrimar che voi faceste, che oppone “lavostra donna ch’è morta” (il cuore parla agli occhi) al“viso d’una donna che vi mira”. Qui è inequivocabile lacontrapposizione di una donna morta, e quindimetafisicamente remota e perfettamente sublimata, ad unadonna viva che fa appello alla sensibilità del poeta. Neglialtri tre (Videro li occhi miei, Color d’amore e Gentil pensero) siparla semplicemente di una donna che ha compassione deldolore del poeta (che non è detto dipenda dal lutto per lamorte di altra donna). Il senso di questi ultimi è proprioquello di prospettare il superamento del disdegno delladonna attraverso fantasmi benigni, che mostrano compassioneal poeta sofferente. La loro ascrivibilità alla sezioneispirata dalla “donna gentile” (secondo l’interpretazionedella Vita Nuova) è subordinata alla invenzione di questa,cioè allo sdoppiamento del fantasma femminile, che forseintervenne quando le proteste di Guido resero chiare aDante le difficoltà teoriche di identificare in una unicafigura femminile (prima viva e poi morta) istanze didesiderio inconciliabili, la qual cosa, d’altra parte,dovette anche confermare al poeta la radicale novità delmito di Beatrice.

Strettamente legati a Voi che ‘ntendendo sono poi i duesonetti Parole mie e O dolci rime, che mettono in evidenza ilconflitto fra l’adesione all’oggetto presente e la suaripulsa. I due sonetti enunciano un doppio ripensamento: ilprimo sarebbe la sconfessione delle poesie composte per la‘donna gentile’ (la ‘pietosa donna’, di Vita Nuova XXXV) apartire da Voi che ‘ntendendo (il che esclude che la canzonepossa essere stata scritta dopo il sonetto Oltre la spera10):

10 Il carattere inaugurale della canzone, nella celebrazione del nuovoinnamoramento, è formulato con chiarezza: “voi che nasceste poi ch’iocominciai / a dir per quella donna in cui errai / Voi che ‘ntendendo il terzociel movete”. Si osservi, al riguardo, la palinodia di Purg. XXIV 49-51,che oppone all’esordio errato di Voi che intentendo (cominciai) quello rettodi Donne che avete (cominciando) “Ma dì s’i’veggio qui colui che fore /trasse le nove rime, cominciando / Donne che avete intelletto d’amore”. Miallontano quindi dalla opinione generale, che la situa dopo la VitaNuova, e che è stata nuovamente formulata da E. Fenzi nel suo recenteintervento: Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, in Le quindici canzoni. Lette dadiversi, I, 1-7, Lecce, 2009. In questo volume tale interpretazione vieneripresa, con dovizia di argomenti e proposte, da Juan Varela-Portas deOrduña nel suo saggio “D’un giro e d’un girare e d’una sete”. “Voi che ‘ntendendo…” dalcielo di Venere. Ad entrambi rinvio per un riepilogo del dibattito critico

Parole mie che per lo mondo siete,voi che nasceste poi ch’io cominciaia dir per quella donna in cui errai‘Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete’,andatevene a lei, che la sapete,piangendo sì ch’ell’oda i vostri guai;ditele: “Noi siam vostre, ed unque maipiù che noi siamo non ci vederete”.Con lei non state, che non v’è amore,ma gite a torno in abito dolentea guisa de le vostre antiche suore.Quando trovate donna di valore,gittateveli a’ piedi umilementedicendo: “A voi dovèn noi fare onore”.

Il secondo sarebbe invece rappresentato dal ritornoalla gentile, dopo la breve parentesi di pentimento:

O dolci rime che parlando andatede la donna gentil che l’altre onora,a voi verrà, se non è giunto ancora,un che direte: “Questi è nostro frate”.Io vi scongiuro che no·ll’ascoltiateper quel signor che·lle donne inamora,ché nella sua sentenza non dimoracosa ch’amica sia di veritate.E se voi foste, per le sue parole,mosse venir inver’ la donna vostra,non v’arestate, ma venite a·llei.Dite: “Madonna, la venuta nostraè per raccomandarvi un che·ssi doledicendo: “Ov’è ‘l disio degli occhi miei?”.

Si tratta, in realtà, del doppio ripensamento narratonei capitoli XXXVII e XXXVIII del libello. Il sonetto Parolemie allude all’autorimprovero del cap. XXXVII, citato piùsopra, in cui il poeta redarguisce gli occhi per il fattodi essersi dilettati troppo nella contempazione dellagentile. Il sonetto O dolci rime allude invece alla successivaadesione del cuore alla gentile (cap. XXXVIII):

Ricovrai la vista di quella donna in sì nuova condizione, che moltevolte ne pensava sì come di persona che troppo mi piacesse; e pensavadi lei così: “Questa è una donna gentile, bella, giovane e savia, eapparita forse per volontade d’Amore, acciò che la mia vita si

sulla canzone.

riposi”. E molte volte pensava più amorosamente, tanto che lo cuoreconsentiva in lui, cioè nel suo ragionare.

L’oscillazione dell’io fra Beatrice e la gentile vieneperfettamente razionalizzata e verbalizzata nella divisionedel sonetto Gentil pensero, in cui l’autore spiega l’apparentecontraddizione fra l’autorimprovero di L’amaro lagrimar e lasuccessiva adesione alla gentile di Gentil pensero, checorrispondono esattamente alle situazioni esistenzialidescritte rispettivamente da Parole mie e da O dolci rime:

In questo sonetto fo due parti di me, secondo che li miei pensierierano divisi. L’una parte chiamo cuore, cioè l’appetito; l’altrachiamo anima, cioè la ragione; e dico come l’uno dice con l’altro. Eche degno sia di chiamare l’appetito cuore, e la ragione anima, assaiè manifesto a coloro a cui mi piace che ciò sia aperto. Vero è che nelprecedente sonetto io fo la parte del cuore contra quella de li occhi,e ciò pare contrario di quello che io dico nel presente; e però dicoche ivi lo cuore anche intendo per lo appetito, però che maggiordesiderio era lo mio ancora di ricordarmi de la gentilissima donna miache di vedere costei, avvegna che alcuno appetito n’avessi già, maleggiero parea: onde appare che l’uno detto non è contrario a l’altro.

Il cuore di Dante, cioè il suo desiderio, prima diorientarsi verso la gentile, conserva, durante un certotempo, l’antico oggetto d’amore, che cerca di evitare ilsuo accantonamento da parte della nuova venuta. L’avventuracon la gentile, di cui Voi che ‘ntendendo registra l’insorgere,implica dunque un conflitto della coscienza che soloprogressivamente va definendosi in suo favore. Il Convivio,d’altra parte, conferma il carattere inaugurale dellacanzone e che essa fu scritta contestualmente allesituazioni narrate nei capp. XXXVII-XXXVIII della VitaNuova. Si osservi come viene descritto l’inizio dell’amoreper la gentile che diede luogo alla composizione di Voi che‘ntendendo (II ii 3):

Ma però che non subitamente nasce amore e fassi grande e vieneperfetto, ma vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri, massimamentelà dove sono pensieri contrari che lo ‘mpediscano, convenne, prima chequesto nuovo amore fosse perfetto, molta battaglia intra lo pensierodel suo nutrimento e quello che li era contraro, lo quale per quellagloriosa Beatrice tenea ancora la rocca de la mia mente.

Esiste quindi una stretta contestualità fra lacanzone, i due sonetti e il personaggio della Vita Nuova.

Tale contestualità dissipa un fantasma che in modoricorrente attraversa la critica, cioè l’idea della doppiaconclusione della Vita Nuova, per cui i capitoli sullavittoria finale di Beatrice sarebbero stati aggiunti nellaimminenza del Poema (ed il libello si sarrebbeoriginariamente concluso con l’adesione del poeta al nuovoamore). L’episodio della donna gentile (e dei testi liriciche la riguardano) è, invece, tutto interno allaevoluzione descritta dal libello, e il doppio ripensamento faparte della natura conflittuale del personaggio, che primadi essere definitivamente accantonato, dopo la visionenarrata nel cap. XXXIX, produce oscillazioni e pentimenti(come è normale che accada se leggiamo l’esperienza ditradimento con la ‘donna gentile’ innanzitutto sul pianoromanzesco). Se tradimento c’è, nel vagheggiamento delnuovo fantasma, come vuole la Vita Nuova, è proprio questacoppia di sonetti che lo mette in evidenza, assegnandonela responsabilità alla canzone Voi che ‘ntendendo, alla qualeora finalmente veniamo.

3. Rispetto alla vexata quaestio circa il valore daattribuire alle affermazioni del Convivio (II ii 1-5 e XII2-8) sul significato allegorico della ‘donna gentile’ dellaVita Nuova, proporrei, d’accordo con le premesse di questolavoro, di considerare le autoesegesi del Convivio nonpertinenti ai testi scritti durante la prima epoca, perchéfunzionali ad un paradigma filosofico-letterario diverso11.Ciò vale, ovviamente, per la Vita Nuova (in cui la natura dipersonaggio e non di allegoria della “donna gentile” sembraindiscutile); ma vale poi anche per le canzoni che ilConvivio commenta, ed in particolare per Voi che ‘ntendendo, la11 Maria Corti (1983, p. 147) sintetizza efficacemente le “tre tesifondamentali” sulla questione: “1) Tutti i testi poetici riferitialla donna gentile nella Vita Nuova e nelle Rime, oltre che nel Conviviofurono composti per una donna, reale o immaginaria, ma donna esuccessivamente funzionalizzati al discorso sulla filosofia. 2) Itesti attribuiti alla donna gentile nella Vita Nuova si riferiscono auna donna reale, contrariamente a quanto dice Dante nel Convivio; glialtri testi sono nati come allegorie della filosofia. 3) Tutto stacome dice Dante nel Convivio: la donna gentile della Vita Nuova è giàfigura allegorica della filosofia; quindi tutti i testi riferiti alladonna gentile sono allegorici. Questo punto 3) è speculare e contrarioal punto 1)”.

cui protagonista, se la canzone fu scritta por ilpersonaggio della Vita Nuova, come a me sembra evidente,condivide di esso il carattere personale e nonallegorico12. Tutto ciò non significa che i personaggi e lesituazioni della Vita Nuova, primi fra tutti Beatrice e la‘donna gentile’, non abbiano anche un significatofilosofico13. Ma ce l’hanno (e come!) solo in secondaistanza, cioè su un piano interpretativo differente daquello romanzesco della storia che il libro narra. E sutale differente piano, il Convivio sì che rientra in giocoper chiarire il senso filosofico di quei personaggi, comevedremo subito.

Ciò premesso, la prima strofa della canzone spiegaimmediatamente l’occasione che l’ha ispirata. La selezionedei destinatari (le intelligenze motrici del cielo diVenere) è dovuta al fatto che da essi dipende la nuovapassione di cui Dante è vittima dopo la morte di Beatrice.Ciò che bisognerebbe cogliere, nei versi iniziali dellacanzone, è l’implicita alternativa fra un desideriostimolato direttamente dal Paradiso (dove ora si trovaBeatrice) e un desiderio stimolato dal cielo di Venere14.

12 Il problema riguarda, in effetti, proprio la canzone Voi che ‘ntendendo.Sulla differenza fra i due personaggi, quello della Vita Nuova e quellodel Convivio, esiste un accordo abbastanza generale fra gli studiosi (eGiorgio Petrocchi -1965- propone anzi di distinguerli condenominazioni differenti: ‘donna pietosa’ e ‘donna gentile’rispettivamente). Su Voi che ‘ntendendo, invece, il disaccordo è estremo,fra quanti la leggono secondo la storia raccontata nella Vita Nuova equanti la leggono secondo la allegoria teorizzata nel Convivio.Relativamente alla datazione della canzone (questione affrontata daFoster e Boyde nel loro commento, pp. 341-362), le indicazioni delConvivio la situerebbero intorno al febbraio del ’96, mentre quelledella Commedia (Par. VIII 34 sgg.) implicano una data di composizioneanteriore al marzo del 1294 (quando Carlo Martello soggiornò aFirenze).13 I testi commentati dalla Vita Nuova, infatti, sono anch’essipolisemici, se “grande vergogna sarebbe a colui che rimasse sottovesta di figura o di colore retorico, e poscia, domandato, non sapessedenudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero veraceintendimento” (XXV). Si tratta però di una polisemia molto diversa daquella teorizzata come allegorica nel Convivio. Sulla questione rinvioal mio Pinto 1994, pp. 109-177.14 Tutto il discorso ha senso, ovviamente, all’interno di unacosmovisione (come è quella di cui Dante partecipa) nella quale tuttociò che accade sulla terra (ed in particolare le alterazioni umoraliche nell’organismo scateno passioni e sentimenti) ha la sua origine

Il primo (cui alludono i versi 14-19) ha come oggetto unasostanza spirituale (Beatrice), che si fa presente all’ioattraverso la memoria; il secondo ha come oggetto unasostanza materiale (la ‘donna gentile’), che si fa presenteall’io attaverso gli occhi. L’appello alle intelligenzemotrici significa quindi: “poiché mi sono innamorato di unadonna in carne ed ossa, e poiché questo tipo di desiderioha origine nella influenza che voi esercitate, è logico cheio ora a voi mi rivolga per denunciare il conflittointeriore che tale desiderio ha provocato”. De Robertis hapuntualmente osservato la trama intertestuale che legal’avvio di Voi che ‘ntendendo a quello di Donne che avete. Le duecanzoni narrano appunto due tipi diversi di desiderio,quello per Beatrice, che ha natura teologica (poiché “èdisiata in sommo cielo”, e quindi cade sotto lagiurisdizione diretta di Dio) e quello per la ‘donnagentile’, che ha natura filosofica (poiché “è disiata”,potremmo dire, in un cielo inferiore). Si badi bene alfatto che la natura filosofica del personaggio nonsignifica che essa si identifichi con la filosofia (cosìcome la natura teologica di Beatrice non significa che essasi identifichi con la teologia). La neutralizzazioneesistenziale del personaggio (che viene ridotto al suo purovalore simbolico: la Filosofia, alla maniera di Boezio nelDe consolatione) è funzionale, nel Convivio, a scelteideologiche che saranno proprie della tappa dell’esilio, eche non devono interferire con la esegesi relativa allaproduzione della prima epoca della attività di Dante.

causale nei movimenti celesti ed astrali. Si faccia attenzione,infatti, allo scupolo con il quale Dante differenzia le diversegerarchie celesti alle quali soggiacciono le due donne. Mentre l’etàdi Beatrice viene calcolata, nella Vita Nuova, a partire dallerivoluzioni del cielo stellato (ottavo ed ultimo dei cieli visibili):“Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielostellato era mosso da la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’ungrado”, l’apparizione al poeta della ‘donna gentile’ viene calcolata(in Convivio II ii 1) a partire dalle rivoluzioni dell’epiciclo diVenere: “la stella di Venere due fiate rivolta era in quello suocerchio che la fa parere serotina e matutina secondo diversi tempiappresso lo trapassamento di quella Beatrice beata che vive in cielocolli angeli e in terra colla mia anima, quando quella gentile donnadi cui feci menzione nella fine della Vita Nuova parve primamente,accompagnata d’Amore, alli occhi miei e prese luogo alcuno nella miamente”.

Il Convivio, però, è prezioso nell’indicare ilretroterra filosofico della opposizione romanzesca fra ledue donne, che alludono a due diverse istanze metafisiche.Lo osserviamo in Conv. II viii, laddove lo scrittore ponela seguente questione:

Veramente qui nasce un dubbio, lo qual non è da trapassare senzadichiarare. Potrebbe dire alcuno: “Con ciò sia cosa che amore siaeffetto di queste intelligenze, a cu’ io parlo, e quello di primafosse amore così come questo di poi, perché la loro vertù corrompel’uno e l’altro genera? Con ciò sia cosa che innanzi dovrebbe quellosalvare, per la ragione che ciascuna cagione ama lo suo effetto,[perché], amando quello, salva quell’altro?15 A questa questione si puòleggiermente rispondere che lo effetto di costoro è amore, com’èdetto; e però che salvare nol possono se non in quelli subietti chesono sottoposti a la loro circulazione, esso transmutano di quellaparte che è fuori di loro podestade in quella che v’è dentro, cioè del’anima partita d’esta vita in quella ch’è in essa.

Qui Dante giustifica il cambiamento di oggetto d’amore(da Beatrice alla “donna gentile”) con il fatto chel’influenza amorosa del cielo di Venere abbraccia oggetti(subietti) terreni e non ultraterreni. Nel momento in cuiBeatrice muore la sua anima si trasferisce nell’Empireo, elì le intelligenze motrici di Venere non arrivano con laloro influenza (ne sono, semmai, influenzate). Quindi lapassione che esse suscitano, pur restando immutata nelsoggetto che le sperimenta, cioè Dante, viene dirottataverso un oggetto terreno, in carne ed ossa, cioè la ‘donnagentile’, sulla quale le intelligenze esercitano a pienotitolo la loro giurisdizione16. Il conflitto interiore frale due donne è dunque proiezione nell’io del conflitto fradue istanze culturali che per semplicità definiamo cometeologia e filosofia (conflitto che costituisce, come sisa, il più scottante dei problemi posti dall’aristotelismoalla cultura medievale). Che Dante, come avevano gia fattoGuinizzelli e Cavalcanti, traduca il tradizionale temaerotico nel dibattito filosofico del tempo, è cosa nota. Sitratta di osservare allora in che modo quel dibattito siatteggi, liricamente e romanzescamente, come lacerazione15 Ritocco lievemente il testo (aggiungendo un ‘perché’ interrogativonella seconda frase parallelo al ‘perché’ della prima), per renderepiù trasparente il senso della obiezione che Dante rivolge a sestesso. 16 Ho già affrontato la questione in Pinto 2009b, pp. 55-58.

fra amori e donne diverse, delle quali la seconda presentadifferenzialmente rispetto all’altra i caratteridell’oggetto visto (cioè concretamente sperimentato)rispetto all’altro che, essendo diventato puro spirito, nonè percepibile sensorialmente17.

Si consideri, nei versi 19-26, l’insistenza sul camposemantico del vedere (l’ho evidenziato in corsiva),concettualmente decisivo perché oppone la visibilità dellagentile alla invisibilità di Beatrice:

Or apparisce chi lo fa fuggiree segnoreggia me di tal vertuteche ‘l cor ne trema che di fuori appare.Questi face una donna guardareE dice: “Chi veder vuol la salute,faccia che li occhi d’esta donna miri,sed e’ non teme angoscia di sospiri”.

17 Sebbene convinto che il personaggio della ‘donna gentile’ della VitaNuova sia allegoria della filosofia, come vuole il Convivo, ÈtienneGilson (1986, p. 92) ha perfettamente capito e spiegato qual è ilconflitto di pensiero che l’antagonismo fra Beatrice e la “donnagentile” manifesta: “Quel est donc ce désir mauvais et contraire à laraison dont Dante s’accuse? C’est celui de substituer l’amour d’une choseterrestre, fût-elle aussi belle, aussi noble, aussi béatifiante que lasagesse philosophique, à l’amour d’une chose céleste telle que l’estBéatrice et sa béatitude. Car c’est bien de cela qu’il s’agit ici:Dante va-t-il, ou non, poursuivre la béatitude suprême où la Béatricecéleste l’invite à la chercher, ou l’oublier pour chercher la seulebéatitude terrestre sur le traces d’Aristote?”. Trivializza invece laquestione Bruno Nardi (1966, pp. 43-44): “Da viatores che tendevano allapatria, ma non l’avevano ancora raggiunta (quali erano Tommaso, DunsScoto, Egidio Romano e i loro seguaci), eran litigiosi fra loro, nonsdegnavano argomenti che i loro avversari trovavan sofistici, e paremettessero della compiacenza ad accusarsi reciprocamente perfinod’eresia. Del resto, è risaputo che tutte le eresie son venute fuorida dispute filosofico-teologiche su sacri testi. ‘Piene di tutta pace’e insofferenti di liti son certamente teologia e filosofia delle qualisia soggetto Dio… L’amore dunque della Filosofia prevalse sull’amoredi Beatrice perché ad un certo momento Dante si persuase che laFilosofia, simboleggiata dalla ‘Donna gentile’ com’egli la raffiguranella canzone del contrasto Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, fossedavvero la figlia di Dio, regina di tutto, cioè la Sapienza eterna, eche, come tale, superasse assai in perfezione Beatrice anche seassunta alla gloria dei cieli. La vicenda significa soltanto questo,che il poeta, varcata la soglia della gioventù, e postosi a studiarefilosofia, fu tentato da una più complessa forma d’arte, la poesiafilosofica”.

Si osservi poi la stretta contestualità dellaoccasione descritta qui con l’occasione narrata in VitaNuova XXXV (la prima apparizione della “donna gentile”):

Poi per alquanto tempo, con ciò fosse cosa che io fosse in parte ne laquale mi ricordava del passato tempo, molto stava pensoso, e condolorosi pensamenti, tanto che mi faceano parere de fore una vista diterribile sbigottimento. Onde io, accorgendomi del mio travagliare,levai li occhi per vedere se altri mi vedesse. Allora vidi una gentiledonna giovane e bella molto, la quale da una finestra mi riguardava…

La canzone allude proprio a tale iniziale epifania(“il cor ne trema che di fuori appare” = “mi faceano parerede fore una vista di terribile sbigottimento”), che siproduce in un momento in cui Dante ricorda Beatrice, comeprendendone il posto, cioè occupando il luogo fisico chelei ha lasciato vuoto. L’alternativa che ora lacera ilpoeta è fra il desiderio di un oggetto assente e ildesiderio di un oggetto presente, la qual cosa, tradottasul piano speculativo, significa l’alternativa fra unsapere di tipo teologico (che ha per oggetto coseinvisibili) e un sapere di tipo filosofico (che ha peroggetto cose visibili)18.

D’altra parte, nei versi 33-39, è proprio degli occhiche si depreca l’iniziativa, come nell’autorimprovero diVita Nuova XXXVII citato prima:

Degli occhi miei dice questa affannata:“Qual ora fu che tal donna gli vide!E perché non credeano a me di lei?Io dicea: “Ben negli occhi di costeiDe’ star colui che le mie pari uccide”.E non mi valse ch’io ne fossi accortaChe non mirasser tal, ch’io ne son morta”19.

Ma possiamo andare ancora un po’ più a fondo nellaricostruzione degli isomorfismi che Dante ha stabilito frail campo erotico e quello speculativo. Il vero problema,infatti non è rappresentato dagli occhi di Dante, che18 Rinvio sulla questione al mio Pinto 1994, pp. 92-97.19 Sul rapporto fra la canzone e i capp. XXXV-XXXIX della Vita Nuovainsiste Mario Pazzaglia (1965): “Lungi dall’impeto visionario di Donneche avete e di Donna pietosa, Voi che ‘ntendendo si fonda sulla trascrizionelimpida e spoglia, ma pervasa di di una delicata modulazioneaffettiva, del sentimento che è proprio delle rime e delle prose di VnXXXV-XXXIX.

mettono a fuoco un oggetto materialmente esistente sulquale possono essere dirottate quelle energie pulsionaliche la morte di Beatrice ha liberato. Se rileggiamo conattenzione i brani citati della canzone, vedremo cheugualmente responsabili del nuovo innamoramento sono gliocchi lei, e che anzi proprio il suo vedere scatena negliocchi di lui la nuova passione: “Qual ora fu che tal donnagli vide”. E l’incontro con lei è fatale non perché Danteveda nella donna un oggetto di spettacolare bellezza, ma,al contrario, perché si sente osservato da lei:

Allora vidi una gentile donna giovane e bella molto, la quale da unafinestra mi riguardava…

Perché Dante è oggetto di percezione visiva e non(solo) soggetto? Sul piano romanzesco il dettaglio forse èirrilevante, ed è stato infatti trascurato dalla critica(in generale poco attenta alle implicazioni squisitamentefilosofiche del libello). Sul piano speculativo, invece,l’alternativa è così essenziale che nel Convivio, aproposito di un luogo parallelo della canzone Amor che ne lamente mi ragiona (v. 86: “quantuqu’io veggia la ‘v’ella misenta”), l’autore si sente in dovere di spiegare il fattoche l’io appaia in veste di oggetto e non, come ci siaspetterebbe, di soggetto della seconda frase:

E non sanza cagione dico: là ‘v’ella mi senta e non là dov’io lasenta; ma in ciò voglio dare a intendere la grande virtù che li suoiocchi avevano sopra me: ché, come s’io fosse stato [vetro] così perogni lato mi passava lo raggio loro. E quivi si potrebbero ragioninaturali e sovra naturali assegnare; ma basti qui tanto avere detto:altrove ragionerò più convenevolmente.

Il luogo cui Dante allude non è la esposizioneallegorica, che sorvola sulla questione, ma un passaggiodel De Vulgari Eloquentia in cui viene trattato il tema dellalingua adamitica. Avendo sostenuto (contro la Genesi) cheAdamo parlò per la prima volta nel momento stesso in cui fuinvestito dal soffio divino vivificante, Dante aggiunge checonsidera nell’uomo l’esser sentito più propriamente umanoche il sentire:

Opinantes autem non sine ratione, tam ex superioribus quaminferioribus sumpta, ad ipsum Deum primitus primum hominem direxisse

locutionem, rationabiliter dicimus ipsum loquentem primum, moxpostquam afflatus est ab Animante Virtute, incunctanter fuisselocutum. Nam in homine sentiri humanius credimus quam sentire, dummodosentiatur et sentiat tanquam homo. Si ergo Faber ille atquePerfectionis Principium et Amator afflando primum nostrum omniperfectione complevit, rationabile nobis apparet nobilissimum animalnon ante sentire quam sentiri cepisse.

L’alternativa che tali luoghi presentano, cioè se l’iosia oggetto o soggetto di esperienza (sul piano percettivo,sul piano intellettuale, sul piano linguistico) troverà unaestrema e definitiva formulazione nel canto X dell’Inferno,nel passo relativo a Cavalcanti (soggetto oppure oggetto didisdegno nei confronti di Beatrice). Avendo già affrontatoil problema in altre sedi20, mi limito qui ad osservare chela posizione ‘oggettiva’ dell’io implica una prospettivagnoseologica di tipo averroista, poiché, se l’intelletto èseparato, l’io personale viene ‘usato’ dall’intellettoaffinché la conoscenza abbia luogo (l’io personale fornisceall’intelletto separato i fantasmi che vengono trasformatiin idee)21. È necessario tener conto di tali sviluppi edelle loro implicazioni per afferrare il significato‘filosofico’ della ‘donna gentile’: essa non alludesemplicemente ed in astratto alla filosofia, in opposizionealla teologia di cui è portatrice Beatrice. Nelle due donneDante ha proiettato le due anime dell’aristotelismo, che apartire dalla seconda metà del 200 infiammano con i loroconflitti le università europee: il teologismo di Beatricerappresenta l’aristotelismo di Tommaso, nella cui sintesiil Filosofo veniva finalmente integrato a pieno titolo20 Pinto 2000-2001; Pinto 2004.21 Riporto le posizioni di Sigieri (che sostiene la dipendenzaoggettiva e non soggettiva del corpo individuale dall’intelletto) e diTommaso (che deduce per assurdo dall’intelletto separato di Averroè ilfatto che il soggetto –Socrates- nel processo conoscitivo piuttostoche conoscere, è conosciuto): “Sunt igitur unum anima intellectiva etcorpus in opere, quia in unum opus conveniunt; et cum intelligeredependeat ex corpore quia dependet ex phantasmate in intelligendo, nondependet ex eo sicut ex subiecto in quo sit intelligere, sed sicut ex obiecto, cumphantasmata sint intellectui sicut sensibilia sensui” (De animaintellectiva, III); “ Patet … quod, ex hoc quod colores sunt in pariete,quorum similitudines sunt in visu, actio visus ni attribuitur parieti:non enum dicimus quod paries videat, sed magis quod videatur. Ex hoc ergoquod species phantasmatum sunt in intellectu possibili, non sequiturquod Socrates, in quo sunt phantasmata, intelligat; sedquod ipse, vel eiusphantasmata, intelligantur” (S.T. 1ª a. 76).

nella cosmovisione del cristianesimo, mentre la filosofiadella ‘donna gentile’ rappresenta l’aristotelismo radicaleche predicavano gli averroisti latini22. Quanto internoallo stilnovo fosse tale dibattito è lì a dimostrarlo lapoesia di Guido Cavalcanti, al quale non a caso è dedicatoil libello. L’invenzione della ‘donna gentile’, successivao forse concomitante a quella del lutto per Beatrice, èsegno della interiorizzazione di quei motivi averroisticari all’amico che resteranno sempre molto attivi nellapoetica di Dante, fino alla celebrazione di Sigieri nelParadiso23.

4. I versi 40-42, che sanciscono l’adesione dell’io alnuovo amore, contengono però anche un piccolo colpo discena. De Robertis ha notato che alle metafore guerreschedella strofa precedente si sostituiscono ora metafore ditipo religioso, attorno al concetto di umiltà, cheribaltano il significato psichico della donna, che ora siatteggia a redentrice sul modello di Beatrice. Inparticolare i versi finali trasferiscono da questa allanuova donna quei valori cristologici che rappresentavano lecontrassegne della gentilissima:

Ché se tu non t’inganni, tu vedraidi sì alti miracoli adornezza,che tu dirai: ‘Amor, segnor verace,

22 A proposito dell’aritotelismo di Dante, C. Vasoli (1995, p. 56)osserva: “Un passo del trattato IV del Convivio rende del tuttoesplicito quanto risultava alle ripetute citazioni o riferimentiaristotelici, parlando dei ‘Peripatetici’ come della ‘gente’ che tieneoggi lo reggimento del mondo in dottrina per tutte le parti e puotesiappellare quasi cattolica opinione’ (IV vi 16). Né dante esita adaffermare che, in ogni caso in cui venga meno la concordia deisapienti e sorgano divergenze, dubbi e contrasti, convenga procedere‘secondo l’opinione d’Aristotele e de li Peripatetici’, considerata,altrove, massimamente ‘verace’, in accordo con la costanteidentificazione scolastica di Aristotele con il ‘Philosophus’ pereccellenza e della sua dottrina con la più alta espressione dellaragione umana”. Non diversamente A. Maierù (1995, p. 157): “L’impiantoconcettuale adottato è nell’insieme di tipo aristotelico: alle operedel Filosofo e alle sue affermazioni (o alla sua autorità) Dantericonduce le proprie prese di posizione sulla scienza”. 23 Rinvio, sulla questione, al mio Pinto 2008, pp. 123-127.

ecco l’ancella tua, fa’ che·tti piace’.

Il mutamento di registro espressivo da una strofaall’altra è rivelatore, poiché suggerisce, da un parte, ilrischio che la nuova donna in carne ed ossa riprecipitil’io nella situazione descritta dalla poetica del disdegno,cioè nella sua sudditanza psicologica rispetto ad unfantasma violento ed ostile, fantasma evocato attraverso itermini e le metafore bellici (di matrice cavalcantiana)con i quali la donna viene inizialmente descritta: “chi lofa fuggire” (20), “il cor ne trema” (22), “angoscia disospiri” (26), “tal che lo distrugge” (27), “L’animapiange, sì ancor le·n dole” (30), “colui che le mie pariuccide” (37), “ch’io ne son morta”; e dall’altra suggerisceil superamento immediato di tale (paventato) contenutonegativo del fantasma, e la conseguente ascrizione delladonna alla poetica dell’umiltà, attraverso le immaginievangeliche dei versi citati qui sopra.

A pensarci bene, l’alternativa che presenta la canzonenon è troppo diversa da quella che nel congedo di Amor chenella mente, oppone la seconda canzone commentata nel Convivioalla ballata Voi che savete ragionar d’amore:

Canzone, e’ par che tu parli contraroal dir d’una sorella che tu hai,ché questa donna che tanto umil faiella la chiama fera e disdegnosa.Tu sai che ‘l ciel sempr’è lucente e chiaro,e quanto in sé non si turba già mai;ma li nostri occhi per cagioni assaichiaman la stella talor tenebrosa.Così, quand’ella la chiama orgogliosa,non considera lei secondo il vero,ma pur secondo quel ch’a lei parea.

L’amore per questa donna, dice il poeta, è unaesperienza solo apparentemente negativa e distruttiva perl’io; in realtà essa rappresenta, per le virtù della donna,la condizione della sua guarigione e del suo benessere. Èun difetto soggettivo quello che, nella ballata, fecescambiare il potere benigno (l’umiltà) della donna con unpotere ostile e perverso (il disdegno). È secondo taledifetto di percezione, quindi, che la ballata ha parlato,confondendo la verità con l’apparenza. Il nesso che lacanzone stabilisce con la ballata, lungi dal rivelare un

inesistente valore allegorico della ballata stessa (cheinvece accentua ed esaspera i motivi già cavalcantiani deldisdegno, declinati secondo la violenza espressiva epulsionale caratteristica di Dante), istituisce un rapportodi analogia fra due modalità di manifestazione deldesiderio, quella aspra e violenta della poetica deldisdegno, e quella dolce e benigna della poeticadell’umiltà. Analogia che significa alla fin fine questo: idue fantasmi di donna che mobilitano tali pulsioni, sono inrealtà lo stesso fantasma, che in momenti diversi dellavita del poeta si atteggia in modi diversi.

C’è però una differenza sostanziale fra la situazioneprospettata in Amor che nella mente e quella prospettata in Voiche ‘ntendendo: lì, infatti, non c’era una donna morta apolarizzare il desiderio del poeta, ma solo una donnacelebrata per le sue virtù semidivine, esattamente come inDonne che avete24. E quindi era ancora possibile immaginare24 Non c’è, in effetti, alcun elemento interno alle due canzoni chefaccia pensare che si tratti di donne diverse, in Donne che avete e Amorche nella mente (per una comparazione fra i due testi, rinvio al mio Pinto2008, pp. 115-117). E c’è invece un dettaglio che conferma (direiclamorosamente) la sostanziale interscambiabilità delle due canzoni(in quanto riferite alla stessa donna). Nella divisione di Donne che avete,a proposito dei versi 51-56: “De li occhi suoi, come ch’ella limova, / escono spirti d’amore inflammati, / che feron li occhi a qualche allor la guati, / e passan sì che ‘l cor ciascun retrova: / voi levedete Amor pinto nel viso, / là ‘ve non pote alcun mirarla fiso”,Dante scrive: “Questa seconda parte si divide in due; che ne l’unadico de li occhi, li quali sono principio d’amore; ne la seconda dicode la bocca, la quale è fine d’amore. E acciò che quindi si lievi ognivizioso pensiero, ricordisi chi ci legge, che di sopra è scritto chelo saluto di questa donna, lo quale era de le operazioni de la boccasua, fue fine de li miei desiderii mentre ch’io lo potei ricevere”. Èevidente la svista: i versi descrivono le operazioni degli occhi, nonquelle della bocca. E invece, nella prosa, proprio di queste ultime ilpoeta sottolinea il valore, preoccupato del fatto che non ne appaianoimmediatamente chiari i contenuti non sessuali. A prescindere dallaillazione, pur plausibile, che “excusatio non petita est accusatiomanifesta”, il lapsus di Dante è subito spiegato nella sua genesi sepensiamo al luogo esattamente corrispondente della canzone Amor chenella mente mi ragiona, cioè i versi 55-58: “Cose appariscon nello suoaspetto / che mostran de’ piacer’ di paradiso, / dico negli occhi enel suo dolce riso / che le vi reca Amor com’a suo loco”. Qui sì cheappaiono le operazioni della bocca (non il saluto, ma il riso). QuandoDante scrive il commento della Vita Nuova, l’altra canzone, il cuicontenuto è perfettamente sovrapponibile a quello di Donne che avete,essendo stata scritta per lo stesso personaggio femminile,

che lo stesso fantasma femminile si atteggiasse in mododiverso, in funzione delle aspettative e delle inclinazionipulsionali dell’io. Si consideri poi che l’anterioritàlogica, se non anche cronologica, di Amor che nella menterispetto a Voi che intendendo è documentata, in modo credoinoppugnabile, dal fatto che mai la donna si presenta comesoggetto di visione nei confronti dell’io (quando si parladei suoi occhi se ne parla come di un oggetto dacontemplare e la cui potenza è capace di trasformare chi laguarda, come in Donne che avete, e non come organo visivo chemette a fuoco il soggetto). E quindi le due canzoni (Donneche avete e Amor che nella mente) vanno senz’altro ascritte allastessa poetica, quella della lode, che precede la stagionedel lutto25. L’esser guardato (invece che guardare) èinterferisce con questa, sotto la pressione di un “vizioso pensiero”,cioè un contenuto sessuale rimosso, che urge nella mente del poeta. Èil classico meccanismo del lapsus descritto da Freud.25 La comprensione del fatto che Amor che nella mente sia una rima di lode,sostanzialmente analoga a Donne che avete, e quindi idealmenteindirizzata a Beatrice, dissipa il problema relativo alla suacitazione, nel II canto del Purgatorio, ed in particolare l’incongruenzadi far cantare a Casella una canzone di contenuto allegorico. Fedele,come sempre, alla sua cronologia poetica reale, Dante lascia intenderequi non solo che Amor che nella mente è una canzone d’amore come tutte lealtre, ma anche che l’errore (rilevabile nella canzone) consiste nelfatto di metterla in musica, alludendo con ciò all’episodio narratonel cap. XII della Vita Nuova, in cui Amore consiglia al poeta didedicare a Beatrice, indignata per il comportamento scostumatodell’amante, una ballata accompagnata da una melodia (“falle adornaredi soave armonia ne la quale io sarò tutte le volte che faràmestiere”). Ciò che è in discussione, sia qui che nell’episodio diCasella, è il carattere subalterno di una poesia che miraesclusivamente a sedurre la sensibilità (nella fattispecie delPurgatorio, paralizzando le anime ed annullando la loro ansia diredenzione). L’accompagnamento melodico del testo rappresenta appuntoquesto arcaico carattere subalterno, limite che la lirica italiana,attraverso il divorzio del testo dalla musica, fin dalle origini avevasuperato. Nella Vita Nuova Dante mostra la propria inclinazione, duranteun certo periodo, nei confronti di tali aspetti deteriori dellapoesia, e in Purgatorio II rievoca questo momento attraverso larichiesta rivolta a Casella, che non implica certo la originariadestinazione di Amor che nella mente al canto, ma solo la sua potenzialefruizione melodica, cioè sensuale, essendo una poesia d’amore, sia purteologicamente sublimato. Dal punto di vista, poi, del discorso sullamusica nella Commedia, è evidente la contrapposizione fra il primodegli inni sacri cantati dalle anime purganti e la canzone profanacantata da Casella: al canto religioso che proietta l’anima in alto,verso l’espiazione e verso il cielo, si oppone il canto profano che

infatti elemento caratteristico della stagione e dellaesperienza di Dante successivi alla morte di Beatrice. Ètale morte, cioè l’invenzione del lutto, ciò che determinainnanzitutto l’inversione del rapporto visivo fra soggettoe oggetto (fra l’io e la donna) e poi lo sdoppiamentodell’unico fantasma femminile nelle due donne, una morta el’altra viva, che si contendono il desiderio del poeta. Edè in seguito alla morte di Beatrice, infine, che l’istanzarazionalistica implicita nella poetica dell’umiltà si rendeautonoma (attraverso il personaggio della gentile)catalizzando quei valori filosofici che risultanoincompatibili con una visione teologica del mondo. Non sorprende, allora, che il congedo avvisi illettore circa le difficoltà della canzone:

Canzone, io credo che sarano radicolor che tua ragione intendan bene,tanto la parli faticosa forte.

In questo testo sono in gioco non solo le ragioniprofonde della poesia di Dante (in dialogo-polemica conquelle di Cavalcanti) ma anche un arditissimo sconfinamentonelle polemiche filosofiche dell’epoca, circa il conflittofra ragione e fede, circa l’antagonismo fra aristoteliciortodossi e aristotelici radicali. Certo che saranno radi,quelli che la capiranno! Bisognava disporre diun’attrezzatura filosofica, per capirla, che nessun poetadell’epoca (a parte gli amici intimi) aveva!

Ciò che in effetti la canzone rivela è la incoercibiletendenza alla razionalizzazione che a partire da un certomomento domina nella poesia di Dante. Nel momento in cui lagentile prende il posto di Beatrice, occupando il luogomateriale che lei aveva lasciato vuoto, immediatamenteagisce su di lei lo stesso meccanismo sublimante che avevatrasformato il fantasma originariamente ostile di Beatricein fantasma benigno e redentivo. Si ripete cioè con lagentile, ma in modo fulmineo, la stessa metamorfosi di cuiera stata protagonista la gentilissima, il che la rende unarivale estremamente pericolosa, poiché in questo modo lanuova donna si prospetta come una ipotesi di risoluzione

imprigiona la sensibilità, seducendola, ed impedendo all’anima diintraprendere l’ascensione. Sul significato dell’episodio, e più ingenerale sul discorso musicale di Dante, si veda Cappuccio, 2005.

dei conflitti psichici scatenati dal desiderio nonnecessariamente legata alla trascendenza. Si tratta,insomma, di una razionalizzazione del desiderio, e di unasublimazione pulsionale, non teologica, quale pure sarebbestata deducibile dall’averroismo, che non nega certo larazionalità del mondo, ma aristotelicamente la deduce dallesue interne leggi di funzionamento, senza far ricorsoall’intervento divino (per la cosiddetta teoria della“doppia verità”). La ‘donna gentile’ allude insomma allapiù grave delle minacce che l’aristotelismo rappresentatavaper la cultura medievale, e cioè alla possibilità di unainterpretazione scientifica e non teologica del mondo.L’asprezza del dissidio interiore fra i due fantasmifemminili è proiezione, sul piano delle pulsioni didesiderio dell’io, del conflitto fra ortodossia ed eresiache nel seno dell’aristotelismo si era venuta a creare26.Se l’obiettivo del libello è quello di invertire il segnomorale dell’amore, trasformando un’esperienza patologica edalienante in condizione di benessere spirituale, e se taleprocesso può essere portato a termine solo con “il fedeleconsiglio de la ragione”, l’autore deve scegliere fra duetipi di razionalità, quella che assume la trascendenzacome fondamento della vita morale, e quella che invece simantiene entro i limiti del reale sperimentabile. Dellaprima è veicolo il fantasma di Beatrice, di cui il ricordoe la apertura teologica verso la trascendenza sonosufficienti ad imbrigliare la pulsionalità dell’io; dellaseconda è veicolo invece la donna gentile, che depura erazionalizza le pulsioni di desiderio attraverso enonostante la presenza fisica.

Il fatto che Dante si inclini alla fine verso la primaimplica però uno scacco della seconda solo apparente. E nonsolo perché, a partire dall’esilio, la poetica di Danteevolverà proprio in direzione del recupero del suointellettualismo, ma soprattutto perché l’istanzarazionalizzatrice che lei rappresenta accompagnerà il poetafino alla fine. Si osservi, al riguardo, la paradossalesituazione in cui Dante si viene a trovare nei confrontidel suo amico averroista, che dall’aristotelismo radicalededuceva il carattere fatalmente negativo ed irrazionaledel desiderio, per principio estraneo ad ogni possibile

26 Si veda il sintetico trattamento del tema in Vasoli 1965.

razionalizzazione. Proprio l’averroismo, che per Guidospiega il carattere necessariamente irrazionale dell’amore,per Dante rappresenta una delle possibili vie della suarazionalizzazione. La sconfitta della gentile, nella VitaNuova, potrebbe anche essere intesa come un tentativo diavvicinamento alle posizioni di Guido, se però l’altraipotesi, quella della beatrice che dall’al di là proteggel’amante e lo salva, non fosse anch’essa irricevibiledall’amico. Ma in ogni caso tale cammino alternativo allafede nella trascendenza, questo razionalismo dellaimmanenza e della sensibilità, si presenta come un vitalestimolo alla esplorazione intellettuale e poetica di Dante,di cui resta ancora da verificare, in tutte le sueimplicazioni, la presenza attivissima nella Commedia27.L’utopia della ‘donna gentile’ si rivela così come unaipotesi clamorosamente ‘moderna’, di una razionalità che,priva di supporti mitico-religiosi, tuttavia svolga il suoufficio di trasformare positivamente l’energia mobilitatadal desiderio, invece di reprimerla, di canalizzarlavirtuosamente attraverso imperativi categorici (lasaggezza, la compassione) che non fanno appello all’oscuroe torbidamente ambiguo universo del mito religioso, cosìferino nel suo retroterra di sadica crudeltà (la beatricedel disdegno), ed evocano invece la possibilità, o ilsogno, di un mondo compiutamente umanizzato.

5. È alla cronologia poetica reale che bisogna pensare,per intendere le allusioni di Dante alla propria biografiaerotico-letteraria, nella Commedia, in cui il nuovoparadigma, contestuale alla redazione del Poema e di essogiustificazione, salva, per così dire, quel contenutopersonale (cioè di personaggio) della ‘donna gentile’ cheil Convivio aveva sacrificato28. E ciò vale, innanzitutto,per le accuse di infedeltà che Beatrice gli rivolge nel

27 Oltre che ai già citati Pinto 2000 e 2001, nei quali ricostruisco latrama di temi averroisti che sfocia nell’episodio dedicato a GuidoCavalcanti nel canto X dell’Inferno, rinvio ai miei Pinto 2002 e Pinto2006, nei quali ho cercato di mostrare la massiccia presenza dielementi averroisti, ripettivamente, nel canto XXIV del Purgatorio (ladefinizione di poetica dei versi 52-54) e nel XXVI dell’Inferno (ilmonologo di Ulisse).

Paradiso Terrestre (canti XXX-XXXI del Purgatorio). Se siparte dal fatto che tale infedeltà si riferisceessenzialmente (anche se non esclusivamente, come vedremo)all’episodio della Vita Nuova, le cose sono subito piùchiare, innanzitutto la femminile scenata di gelosia concui il poeta viene violentemente redarguito. Certo, talescenata implica qualcos’altro, perché il conflitto mentalefra le due donne non è solo erotico. Ma anche nella VitaNuova era così, anche nel libello le due donne alludevano, inastratto, a due tipi di desiderio (in presenza e in assenzadell’oggetto) e quindi a due tipi di saperi (la filosofia ela teologia) contrapposti l’uno all’altro. Tali saperi,però, erano poeticamente rappresentabili solo a condizionedi incarnarsi in “reali esperienze erotiche”, cioè inpersonaggi che sono innanzitutto se stessi, e dopo, ma solodopo, anche altro da sé: poiché il ‘poetico’, per Dante eper la tradizione lirica a lui pertinente, coincide conl’’erotico’, non esistendo tema, poeticamente trattabile,che non sia mediato e filtrato da una esperienza amorosa eda una figura di donna29. Da questo punto di vista lacontinuità della Commedia rispetto alla Vita Nuova èassoluta, poiché ne riprende l’apriori erotico (comel’epistola di accompagnamento alla ‘montanina’ dichiaraesplicitamente). Ed altrettanto radicale è la rottura conil paradigma poetico ed ideologico del Convivio, che si basaappunto sulla confutazione di tale assioma30. Quando nel

28 “Non si può escludere che la mancata allegorizzazione di Amor che ne la mente mi ragiona e Voi che ‘ntendendo nella Commedia sia un omaggio che la fictio del poema rende alla verità storica: alla data del 1300, quellecanzoni erano ancora certamente canzoni d’amore, e come tali certamente le avevano lette o ascoltate Casella e Carlo Martello” (Giunta, 1998, p. 60). 29 Rinvio, sulla questione, al mio Pinto 2003, pp.16-34.30 “Lo primo che cominciò a dire sì come poeta volgare, si mosse peròche volle fare intendere le sue parole a donna, a la quale eramalagevole d’intendere li versi latini. E questo è contra coloro cherimano sopra altra matera che amorosa, con ciò sia cosa che cotalemodo di parlare fosse dal principio trovato per dire d’amore” (VitaNuova, XXV). Rinvio, per l’analisi del passaggio, ai miei Pinto 1994,pp. 109-122; e Pinto 2003, pp. 303-304. Sul voltafaccia della Commediarspetto al De Vulgari, Giunta (1998, p. 57) scrive: “Il trinomiovirtù-amore-armi che nel De Vulgari governava il repertorio tematicodella poesia volgare attraverso la dottrina dei magnalia, riceve nellaCommedia una drastica semplificazione: non solo cala il sipario suicantori romanzi della rectitudo, ma di fatto tutta la poesia lirica viene

Trattato il poeta dice che il personaggio della donnagentile non era una donna in carne ed ossa ma l’allegoriadella filosofia, non fa altro che applicare alla Vita Nuovail nuovo modello esegetico, che implica l’abolizione del‘romanzesco’, cioè della finzione biografica che rende‘letterari’ (in senso moderno) la Vita Nuova ed i testi checommenta, e l’adozione, in luogo suo, della Filosofia(ritenuta più seria e più degna per un intellettuale chedeve cercarsi un nuovo ruolo e nuovi committenti).

Il legame di Purg. 73 sgg. con Vita Nuova XXXV-XXXVIII èsottolineato dalla ripresa, nei vv. 94-96:

ma poi che ‘ntesi ne le dolci temprelor compatire a me, più che se dettoavesser: ‘Donna, perché sì lo stempre?’31,

della osservazione del cap. XXXV:

Con ciò sia cosa che quando li miseri veggiono di loro compassionealtrui, più tosto si muovono a lagrimare, quasi come di se stessiavendo pietade, io senti’ allora cominciare li miei occhi a volerepiangere.

Il legame è logico, sul piano romanzesco, dal momentoche la stessa apparizione di Beatrice al protagonista èstata ricollegata dal poeta al rapporto che con lei ebbe inpresenza, cioè in vita (vv. 34-36):

E lo spirito mio, che già cotantotempo era stato ch’a la sua presenzanon era di stupor tremando affranto…

E quindi la requisitoria di Beatrice allude alcontesto preciso dell’episodio della donna gentile (vv.124-126):

Sì tosto come in su la soglia fuidi mia seconda etade e mutai vita,questi si tolse a me diessi altrui.

Il riferimento, anche sul piano cronologico, nonpotrebbe essere più chiaro. Si tratta di un tradimento

a identificarsi senz’altro con la poesia d’amore”.31 Per la discussione relativa alla lezione compatire, rinvio a ChiavacciLeonardi 1994, pp. 903-04.

innanzitutto erotico: trascorso un anno dal trapasso, Danteruppe il legame di fedeltà che lo legava a Beatrice e siinnamorò di un’altra donna. L’alternativa fra le due donneè poi anche l’alternativa fra un oggetto di desiderio veroed eterno (l’anima di Beatrice, che si è trasformata indonna beata) ed un oggetto di desiderio falso e caduco (ladonna gentile che lo sedusse con il fascino della suapresenza fisica):

Quando di carne a spirto era salita,e bellezza e virtù cresciuta m’era,fu’ io a lui men cara e men gradita;e volse i passi suoi per via non vera,immagini di ben seguendo false,che nulla promession rendono intera.

Gli echi boeziani non significano certo che non sitrattasse di una donna in carne ed ossa! Al contrario,proprio perché era una donna in carne ed ossa quellaesperienza produce la ripugnanza del filosofo, che vedel’anima intrappolata dal piacere dei sensi. Chi sostieneche qui Dante allude alla donna-filosofia del Convivio cadein una grave contraddizione, perché una allegoria nonrappresenta alcun rischio per l’anima, essendo cosaastratta e incorporea. L’anima si perde quando la irretiscela seduzione esercitata da cose ben sensibili, come lo è ilcorpo di una donna. Ciò che semmai colpisce è che Beatricenon faccia nessuna allusione, qui, alle precedentiesperienze di tradimento di Dante, quelle che, nel cap. XIVdella Vita Nuova, la inducono a negargli il saluto. È unalogica ben strana quella di rimproverare al poeta iltradimento in morte e non quelli in vita. Ma, come vedremosubito, le cose non stanno esattamente così.

I versi successivi alludono ai vani tentativi diBeatrice di ricondurre Dante a sé attraverso sogni edapparizioni, il che corregge lievemente i capitoli finalidel libello, nei quali è narrata la vittoria finale delladonna che riesce a ricondurre a sé l’amante proprioattraverso una visione. Ma Beatrice parla qui come sequella vittoria fosse solo provvisoria o illusoria:

Né l’impetrare ispirazion mi valse,con le quali e in sogno e altrimentilo rivocai: sì poco a lui ne calse!

Segue poi il ricordo delle scene iniziali dell’Inferno,il che significa che Dante innesta la cronologia fittiziadel viaggio (l’anno 1300) nella cronologia reale delle sueopere, cancellando dalla sua ricostruzione la tapparappresentata dall’esilio, che è compresa in un periodosuccessivo al viaggio stesso (vv. 136-141):

Tanto giù cadde, che tutti argomentia la salute sua eran già corti,fuor che mostrarli le perdute genti.Per questo visitai l’uscio d’i morti,e a colui che l’ha qua su condotto,li prieghi miei, piangendo, furon porti32.

Al di là di ogni considerazione sulla svolta chel’ideazione della Commedia rappresenta sul piano dellaautoesegesi del poeta, esistono ragioni strutturali perchél’esilio (e le opere scritte in quel periodo) venganoescluse dalla biografia letteraria che il Poema descrive.L’esilio, infatti, in quanto esperienza futura,profetizzata in vari luoghi della Commedia, è tema cosìessenziale al testo che non potremmo neppure immaginarlauna Commedia senza un protagonista che poco a poco vascoprendo il futuro d’esule che l’aspetta, il che implica,però, l’eradicazione dalla propria coscienza d’autore diquel paradigma poetico-ideologico incentratosull’allegorismo della donna gentile che era stato svoltonel Convivio. Dal che deduciamo, inoltre, che l’allegorismodel trattato filosofico non ha nulla a che vedere conl’allegorismo della Commedia, il cui fondamento è proprioquello (opposto), del figuralismo33 e della metaforicità34,cioè della realtà esistenziale (o immaginata come tale) che

32 Nel suo eccellente commento, A. M. Chiavacci Leonardi segnala iluoghi paralleli della Vita Nuova cui si riferiscono questi versi dellaCommedia. A proposito del biografismo letterario di Dante, osserva:“Questa breve parlata racchiude dunque, nel giro di undici terzine(vv. 109-141), il racconto circostanziato della biografia morale diDante e del suo rapporto con Beatrice, fatto attraverso le sue opere.Non si potrebbe essere più precisi né più ‘storici’. Forse in nessuntesto letterario, prima dei tempi moderni, si può trovare unautobiografismo così esplicito, e insieme così allusivo e mitico, comeè quello di questa scena”.33 Alludo al senso che il termine ha nei classici studi di E. Auerbach.34 Si veda Pinto 1994, pp. 157-177.

ogni sovrasenso ha nella sua dimensione letterale (mentreil Convivio intende tale dimensione come puramentefittizia). Relativamente al personaggio che ci interessa,la prospettiva della Commedia (in particolare i canti XXX eXXXI) è quindi rivelatrice, poiché recupera il significatoche esso aveva nei testi in cui compare prima che essovenisse allegorizzato nel trattato.

Nelle domande di Beatrice del canto XXXI (vv. 22-30),sorprendiamo un altro dettaglio che si riferisce alpersonaggio della Vita Nuova:

Ond’ella a me: “Per entro i mie’ disiri,che ti menavano ad amar lo benedi là dal qual non è a che s’aspiri,quai fossi attraversasti o quai catenetrovasti, per che del passare innanzidovessiti così spogliar la spene?E quali agevolezze o quali avanzine la fronte de li altri si mostraro,per che dovessi lor passeggiare anzi?”.

L’espressione “passeggiare anzi”, di cui M. Barbi hachiarito il senso di “passare con frequenza davanti allacasa della amata”, allude con esattezza, come tutte lealtre, ad un concreto episodio del libello, e cioè allacostante ricerca di lei da parte del protagonista, per lacompassione che vede dipinta nei suoi occhi:

Avvenne poi che là ovunque questa donna mi vedea, sì si facea d’unavista pietosa e d’un colore palido quasi come d’amore; onde moltevolte mi ricordava de la mia nobilissima donna, che di simile coloresi mostrava tuttavia. E certo molte volte non potendo lagrimare nédisfogare la mia tristizia, io andava per vedere questa pietosa donna,la quale parea che tirasse le lagrime fuori de li miei occhi per lasua vista.

Dove il poeta “andava per vedere” questa donna, losappiamo dal cap. XXXV, in cui ci è stato narrato che Dantesi sentì osservato “da una finestra”, quindi da una casa.Nelle forme estremamente allusive del libello, il branocitato allude al corteggiamento dell’amante, come illinguaggio diretto della Commedia esplicita. E poi, soprattutto, leggiamo in trasparenza il tradimentodi Dante nella sua risposta (vv. 34-36):

Piangendo dissi: “Le presenti cosecol falso lor piacer volser miei passi,tosto che ‘l vostro viso si nascose”.

È qui l’errore di cui il poeta, attraverso Beatrice,si rimprovera: essersi lasciato sedurre dalle “presenticose”, cioè cose il cui significato si esaurisce nella loroimmanenza esistenziale, opposte al sentimento dellatrascendenza cui fa appello Beatrice (senza peraltroescludere da sé il fondamento esistenziale). In terminifreudiani, ciò che Dante si rimprovera, attraversol’evocazione della donna gentile, è il fatto di non aversaputo sublimare la pulsione sessuale orientandola verso unoggetto ideale, di avere ben presto sostituito a taleoggetto ideale un nuovo oggetto reale, presente ai suoiocchi e alla sua sensibilità. Sul piano intellettuale,invece, ciò che si rimprovera è l’adesione ad una visione‘filosofica’ del mondo, che riduce drasticamente lacomponente teologica (inclinandosi quindi più o menosistematicamente verso l’averroismo).

Tale incapacità di sublimare la pulsioneriorientandola in direzione dell’oggetto ideale, vienerinfacciata da Beatrice a Dante nei versi 49-57:

Mai non t’appresentò natura o artepiacer, quanto le belle membra in ch’iorinchiusa fui, e che so’ ‘n terra sparte;e se ‘l sommo piacer sì ti fallioper la mia morte, qual cosa mortaledovea poi trarre te nel suo disio?Ben ti dovevi, per lo primo stralede le cose fallaci, levar susodi retro a me che non era più tale.

L’indignazione di Beatrice nei confronti delladebolezza di Dante si comprende alla luce dellacosmovisione del poeta e della sua antropologia,aristotelico-tomiste nelle coordinate essenziali, edarricchite dalla sua personale concezione della poesia. Inmodo schematico, si può dire che nell’universo esiste unacontinuità progressiva fra la pura materia (o “materiaprima”) e il puro spirito (Dio), nella quale il rapportomateria-spirito si va progressivamente sbilanciando infavore della prima (verso il basso) o in favore dellaseconda (verso l’alto). La conoscenza e il desiderio umani

riflettono tale progressione ascensionale, e dovrebbero, senon insorgono ostacoli o errori, progressivamenteascendere dagli oggetti sensibili a quelli sovrasensibili.La traiettoria di Beatrice manifesta, nell’evoluzione delpersonaggio dalla vita alla morte, tale naturaleascensione. Il desiderio di Dante avrebbe dovuto adattarsial mutamento dell’oggetto spiritualizzandosi a sua volta,ed invece si è lasciato trattenere nella materialitàdell’oggetto attraverso l’amore per la donna gentile35.

Decisiva, per intendere come la prospettivaermeneutica della Commedia si innesti nella storia poeticadi Dante è la terzina successiva, nella quale i riferimentialla propria esperienza lirica sono puntuali esorprendenti:

Non ti dovea gravar le penne in giuso,ad aspettar più colpo, o pargolettao altra novità con sì breve uso.

La pargoletta è evidente allusione a quei testi liricinei quali viene descritta una giovane donna che con il suopotere (di origine metafisica) atterrisce l’amante. Quindinon solo la ballata I’ mi son pargoletta, e i sonetti collegati,ma anche testi come Amor che movi tua virtù dal cielo e Al poco giornoe al gran cerchio d’ombra36. L’allusione è così precisa, e nellostesso tempo così fuggevole, che non possiamo non vederequi il riferimento all’insieme dei testi che configurano lapoetica del disdegno (fra i quali, si badi bene, si trovaanche Lo doloroso amor che mi conduce, espressamente dedicata aBeatrice). La cronologia ideale che qui l’autore suggerisceè quindi quella di una poetica del disdegno che nel suoinsieme sarebbe successiva alla esperienza del lutto e daconsiderare come deviazione ed errore (rispetto al mito diBeatrice). La qual cosa da una parte riconferma ildiagramma autoesegetico della Vita Nuova, che situa ogniesperienza anteriore alla morte di lei sotto il segno diBeatrice, attraverso la finzione delle donne schermo, e lacompleta situando sotto il segno della donna gentile tuttele rime del disdegno. Dall’altra, però, tale diagrammacontraddice l’evidenza dei testi, che parlano di una donna

35 Rinvio, per una trattazione più ampia della questione, al mio Pinto 2004b, pp. 177-189.36 Sulla questione rinvio al mio Pinto 2008, pp. 107-111.

gentile amata per la sua pietà, e che quindi si oppone alledonne celebrate o esecrate per la loro crudeltà. Ma larequisitoria di Beatrice mira a situare sotto una unicaetichetta tutte le esperienze che non siano riconducibilialla poetica della umiltà, l’unica che, nella prospettivadella Commedia, sia assumibile dal poeta come propriapreistoria lirica, quella poetica che appunto, nel cantoXXIV, è stata rivendicata e celebrata da lui come ‘dolcestil novo’.

Tale distorta apertura metafisica della lirica diDante (quale si esprimerebbe nelle rime dedicate allapargoletta o nelle petrose) viene poi indicata da una parolache sorprenderebbe in questo constesto, se non laleggessimo alla luce della sua cosmovisione e della suapoetica: novità37. Il senso poetico della espressione èchiaro: alla novità di Beatrice e della poetica della lodesi oppone la novità della donna gentile e della poeticadisdegno, la prima relativa ad oggetti d’amore eterni, laseconda relativa ad oggetti d’amore di “breve uso”. Ma ilconcetto di novità ha anche un valore metafisico, poichéafferisce appunto, ma sul piano cosmico, alla differenzafra l’eterno ed il tempo38. Dio è, in Purg. X 94, “Colui chemai non vide cosa nova”, e, d’altra parte, la creazione deicieli e delle loro intelligenze motrici viene descritta, inPar. XXIX 16, in questo modo:

in sua etternità di tempo fore,fuor d’ogni altro comprender, come i piacque,s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.

Di tali nuovi amor “La pargoletta … bella e nova”, èprodotto (perverso) ed immagine (degradata), che si opponealla Beatrice di Donne che avete, della quale “Dio ne ‘ntendedi far cosa nova”. Si osservi la metafisica influenza dicui è portatrice la pargoletta (11-14):

Ciascuna stella negli occhi mi piovedel lume suo e della sua virtute;le mie bellezze sono al mondo nove,però che di là su mi son venute…,

37 Senz’altro da rigettare la lezione concorrente: vanità, che banalizzala complessità del nodo dei problemi che qui il poeta cerca disciogliere.38 Mi sono soffermato sulla questione in Pinto 2005.

e, d’altra parte, si osservino i deleteri effetti che essasuscita sul poeta, in stretta osservanza del verbocavalcantiano (20-24):

e io che per veder lei mirai fiso,ne sono a rischio di perder la vita;però ch’io ricevetti tal feritada un ch’io vidi dentro a li occhi sui,ch’i’ vo’ piangendo e non m’acchetai pui.

La pargoletta è dunque controfigura (ossia: schermo) diBeatrice, poiché ne rappresenta il lato oscuro e negativo,quello che viene svolto nei testi compresi sottol’etichetta di “poetica del disdegno”, che sviluppano lacavalcantiana alienazione d’amore in direzione metafisica.Proprio per questo, non può essere considerata sua rivale,come lo è invece la gentile, che prende il posto di Beatricein quanto a lei radicalmente opposta (come oggetto vivo neiconfronti dell’oggetto morto). La rilettura della propriastoria poetica che Dante porta a termine nella Commedia, eche ha il suo momento di maggiore tensione autoesegeticanella terzina che stiamo commentando, identifica la poeticadel disdegno con la donna gentile della Vita Nuova, la qualcosa implica non solo una falsificazione della realeevoluzione della propria poetica, ma anche una clamorosasmentita di quanto egli stesso aveva affermato nel commentodel terzo trattato del Convivio al congedo di Amor che nellamente: lì il disdegno della ballata Voi che savete venivacontrapposto alla donna gentile; qui, invece il disdegnodella pargoletta viene implicitamente attribuito alpersonaggio della donna gentile. Il risultato è quello diidentificare un momento essenziale della poetica del lutto,come è il personaggio della ‘donna gentile’, con tutte lepoesie del disdegno, isolando la poetica della umiltà,nella variante della lode, come unico momento positivodella propria genealogia lirica, quello che verrà celebratoin Purg. XXIV attraverso Donne che avete.

6. Sul carattere palinodico della autocitazione di Par.VIII, 34-39 ha insistito soprattutto T. Barolini (1993, pp.56-76), seguita da M. Picone (2002, pp. 122-123):

“Noi ci volgiam coi principi celestid’un giro d’un girare e d’una sete,ai quali tu del mondo già dicesti:Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete;e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,non fia men dolce un poco di quïete”.

E non potrebbe essere altrimenti, considerato ilcontenuto del testo, che celebra la rivale di colei che oraè proprio lì, accanto al poeta, ricevuto nel cielo diVenere da Carlo Martello, figura politica di rilievo, maanche amico, come sapremo subito, di Dante.Indipendentemente dal Convivio, anch’esso certo coinvoltonella palinodia, è infatti propio alla donna gentile e allesue implicazioni filosofiche che la ritrattazione èdiretta. I due piani, quello romanzesco e quello filosoficosono, come sempre, nitidamente distinti e perfettamentesintonizzati. Si osservi, allora, la reazione di Dante allacitazione della propria canzone, che, in presenza diBeatrice, se non è una gaffe, suona come un atto di accusa:

Poscia che li occhi miei si fuoro offertia la mia donna reverenti, ed essafatti li avea di sé contenti e certi,rivolsersi alla luce…

Il poeta si volge a Beatrice perché è lei laprincipale implicata in quel testo che dichiara iltradimento della sua memoria. Il dettaglio è di unasottigliezza psicologica estrema: come se il beato avessevoluto sotterraneamente rimproverargli l’infedeltà cheDante nel mondo consumò contro Beatrice, il poeta si giraverso di lei paventando un rimprovero o un gesto, comunque,di riprovazione.

Notevole la riverenza degli occhi, a riaffermare che ipentimenti del paradiso terrestre sono sinceri e che diquell’avventura non è rimasto nella memoria davvero piùnulla. Ma più notevole ancora è il fatto che Beatricetaccia. In questa situazione di tensione estrema, saremmocuriosi di sapere come accoglie, la gentilissima, l’allusione

alla rivale, ci aspetteremmo un’espressione di cruccio, senon verso Dante almeno verso la “pargoletta o altra novità”che le viene sbandierata sotto il naso. E invece il poetaci dice semplicemente che Beatrice fece i suoi occhi “di sécontenti e certi”, ossia: li rallegrò e li rassicurò con lasua presenza. Quindi, banalmente, era lì, non era andatavia. Sembra decisamente troppo poco, sul piano romanzesco,per un momento scottante come questo. Troppo poco, se nonci ricordassimo di ciò che la donna gentile rappresentava,sul piano percettivo, nei confronti di Beatrice.Intervenuta nella vita del poeta a un anno dalla suascomparsa, lei era appunto l’oggetto visibile che sicontrapponeva all’oggetto non più visibile. E nel cap.XXXVII, quando “li miei occhi si cominciaro a dilettaretroppo di vederla”, saranno appunto gli occhi ad essererimproverati per il fatto di lasciarsi sedurre da una donnain carne ed ossa, invece di piangere la memoria diBeatrice. Il conflitto fra le due donne è tutto internoall’orizzonte visivo di Dante, che la morte dell’una halasciato sguarnito, e che l’altra occupa, colmando il vuotoche si è venuto a creare nella visione del poeta.L’impassibilità di Beatrice è dunque solo apparente. Quilei parla con la sua semplice presenza, con la sua puravisibilità. Con l’una e con l’altra, lei rassicura Dantecirca la sua esistenza: quel timore d’averla persa, per ilfatto di non vederla, che in passato gli fece cercareun’altra, qui viene dissipato, poiché qui, nell’altromondo, le anime sono visibili, e i suoi occhi, contenti,non dovranno cercare chi li soddisfi, né, certi della suapresenza, dubiteranno della sua esistenza. La genialitàdella scena sta nel fatto di aver di nuovo contrapposto ledue donne, ma invertendo il rapporto percettivo delsoggetto nei loro confronti: ora, cioè qui, nell’altromondo, nel cielo dell’amore, quella che c’è e si vede èBeatrice, mentre quella che non c’è e non si vede èl’altra. Beatrice non ha alcun risentimento da manifestare,perché l’altra, semplicemente, non esiste, lei ne preso ilposto, occupando quello spazio di visibilità e di presenzanel quale sulla terra la gentile l’aveva sostituita.Che il problema sia proprio questo, quello del rapportopercettivo con l’oggetto, cioè la sua visibilità, loconferma poi, in modo clamoroso, l’altro piano, quello

filosofico, nel quale le due donne, come sappiamo,rappresentano la teologia (cioè l’aristotelismo ortodosso)e la filosofia (cioè l’aristotelismo radicale). T.Barolini, nelle pagine già citate, ha acutamente messo inrapporto la autocitazione di Voi che ‘ntendendo con laritrattazione relativa alle intelligenze motrici del cielodi Venere: mentre in Conv. II v queste intelligenze sonoidentificate con i Troni39 (seguendo la dottrina diGregorio Magno), nella Commedia esse sono identificate coni Principati40 (seguendo la dottrina di Dionigil’Areopagita). Le ragioni di tale mutamento di dottrinasono ben riassunte da M. Picone (2002b):

L’opposizione Gregorio vs Dionigi traduce, sul piano della storiagenerale, l’opposizione che esiste, sul piano della formazionepersonale, fra l’autore del Convivio e l’autore della Commedia. Mentreil primo ricerca una conoscenza enciclopedica, ed è indirizzato versouna verità raggiungibile con una strumentazione razionale, il secondopreferisce la visione alla ricerca, la rivelazione alla nozioneenciclopedica, e la verità divina alla verità razionale.

Ma, in rapporto al tema che ci interessa, è undettaglio relativo alla fictio romanzesca del Poema che ci facapire le implicazioni filosofiche della autocitazione diVoi che ‘ntendendo. Dopo aver enumerato le gerarchie angeliche,Beatrice conclude il ragionamento e il canto, in questomodo:

E Dïonisio con tanto disioa contemplar questi ordini si mise,che li nomò e distinse com’io.Ma Gregorio da lui poi si divise;onde, sì tosto come li occhi apersein questo ciel, di sé medesmo rise.E se tanto secreto ver profersemortale in terra in terra, non voglio ch’ammiri:ché chi ‘l vide qua su gliel discopersecon altro assai del ver di questi giri.

39 “… e quelli di Venere siano li Troni; li quali, naturati de l’amoredel Santo Spirito, fanno la loro operazione, connaturale ad essi, cioèlo movimento di quello cielo, pieno d’amore, dal quale prende la formadel detto cielo uno ardore virtuoso, per lo quale le anime di quagiuso s’accendono ad amore, secondo la loro disposizione”. 40 “Poscia ne’ due penultimi tripudi / Principati e Arcangeli sigirano; / l’ultimo è tutto d’Angelici ludi” (Par. XXVIII 124-126).

La superiorità di Dionisio nei confronti di Gregoriodipende dalla fonte privilegiata da cui ottennel’informazione (Paolo), il che significa che la teologiarappresenta una teoria più ‘potente’ della filosofia, perla strumentazione di cui dispone (di tipo rivelativo). EGregorio, pur teologo, in questo caso, si è attenuto adaltri criteri. Cos’è, però, che dirime la questione (peraltro molto dibattuta) sulle gerarchie angeliche? Non sitratta né di un argomento di fede (cioè di autorità) né diun argomento di tipo filosofico (cioè sillogistico).Gregorio capisce di avere sbagliato, e sorride del suoerrore, solo quando, morto, può constatare visivamente larealtà delle cose. Il vero, che nel mondo si discopreattraverso la rivelazione, nell’altro mondo si sperimentapercettivamente: si vede41. Il che ci fa capire in checonsista la superiorità di Beatrice rispetto alla gentile:lungi dal negare la fisicità dell’oggetto di desiderio econoscenza, il teologismo di cui la gentilissima è portatricelo riafferma in una dimensione infinitamente più certa eduratura, che è quella dell’eterno. Grazie alla mediazionedi Tommaso, Dante può dedurre dall’aristotelismo lasalvezza dei corpi nell’al di là, cioè la persistenza dicerti aspetti della loro materialità (per esempio lavisibilità) anche nell’altro mondo.

Comprendiamo allora che il problema filosofico postodella canzone Voi che ‘ntendendo, e ritrattato qui dal poeta, èlo stesso che, su un altro piano, pongono le gerarchieangeliche: l’autentico oggetto d’amore deve esseredesiderato indipendentemente dalla percezione che i sensine possano avere, così come il vero metafisico non puòessere ricercato con la sola razionalità, senza il supportodella strumentazione rivelativa. D’altra parte, propriocome Beatrice torna ad essere percettivamente presente alsuo amante nell’altro mondo, così il vero metafisico sidispiegherà visivamente e percettivamente agli occhi dellamente filosofica, in modo definitivo, solo nell’al di là.

41 Il primato della visione, nella beatitudine, che implica il saldoancoraggio di Dante al razionalismo tomista contro il volontarismofrancescano, viene affermato proprio in questo canto, pochi versi piùsopra (109-114): “Quinci si può veder come si fonda / l’esser beato nel’atto che vede, / non in quel ch’ama, che poscia seconda; / e delvedere è misura mercede, / che grazia partorisce e buona voglia: /così di grado in grado si procede”.

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