La filiera del latte. Un confronto tra Emilia Romagna e Lombarida
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La filiera del latte alimentare
Una comparazione tra Emilia-Romagna e Lombardia
Rapporto di ricerca Ires Emilia-Romagna a cura di
Davide Dazzi e Gianluca De Angelis
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Ringraziamenti
La realizzazione del percorso di ricerca trova un appoggio fondamentale nelle metodologie sia quantitative
che qualitative. La diversificazione dei metodi di analisi si pone l’obiettivo di restituire un quadro di insieme
esaustivo e dettagliato. La raccolta delle informazioni da parte del gruppo di lavoro è stato possibile
soprattutto grazie allo spirito collaborativo di più soggetti che in diversa misura hanno contribuito alla
ricostruzione della base informativa e alla indicazione delle elementi di ricerca. È proprio verso di loro che
esprimiamo, come gruppo di lavoro Ires Emilia-Romagna, il ringraziamento più sentito.
In particolare il nostro ringraziamento particolare è indirizzato alle rappresentanze manageriali e alle
rappresentanze dei lavoratori delle imprese oggetto dello studio di caso: senza la loro disponibilità alle
interviste semi-strutturate non sarebbe infatti stato possibile delineare le singole specificità aziendali e
proporre una comparazione strategica. Un particolare ringraziamento, inoltre, va alle strutture sindacali
territoriali della Flai Cgil in Emilia-Romagna ed in Lombardia per la loro partecipazione, in fase di
istruttoria, ai focus group tematici attraverso cui sono stati esplorati i criteri di individuazione degli studi di
caso ed alle Segreterie di Flai Nazionale, Flai Cgil Emilia-Romagna, Flai Cgil Lombardia per la costante e
puntuale azione di coordinamento nelle diverse fasi di ricerca. Un ultimo e profondo ringraziamento è rivolto
alle diverse figure di esperti che, a diverso titolo, sono state coinvolte nella fase preliminare per fissare gli
elementi caratterizzanti la filiera del latte in Italia ed in Europa, in particolare si ringrazi: Prof. Roberto
Fanfani, Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna, Prof. Renato Pieri, Alta Scuola di
Economia Agro-alimentare di Cremona, dott. Marco Sassatelli, economista industriale Ires Emilia-Romagna,
il Prof. Rino Ghelfi della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, il dott. Giuseppe Zuliani, Resp.
Marketing di Conad Italia.
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INDICE
PREMESSA 5
Alcuni cenni metodologici 5
Obiettivi 6
I PARTE – DALLO SCENARIO INTERNAZIONALE AD UNA PANORAMICA NAZIONALE 8
Il mercato dell’Unione Europea 10
Importazioni ed esportazioni in Italia 14
I costi di produzione del latte 19
La filiera del latte come catena del valore 22
II PARTE – LE PRINCIPALI DIMENSIONI QUANTITATIVE DELLA FILIERA DEL LATTE
ALIMENTARE 24
Introduzione 24
La produzione di latte alimentare in Italia 24
Un quadro in forte trasformazione 28
Il focus tra Emilia-Romagna e Lombardia 31
LA TRASFORMAZIONE: LE AZIENDE E IL PRODOTTO 36 Il prodotto 44
LA DISTRIBUZIONE 51 La distribuzione in senso stretto 51
Tra distribuzione e trasformazione: le private-label 53
Private Label in Emilia-Romagna e Lombardia 54
L’indagine 54
Private-Label, l’analisi dei legami 56
III PARTE – ANALISI QUALITATIVA 62
GLI STUDI DI CASO 62 Studio di caso: Latteria Soresina 62
Studio di caso: Centrale del latte di Brescia 66
Studio di caso: Sterilgarda Alimenti 69
Studio di caso: Granarolo 74
Studio di caso: Parmalat 78
LETTURA TRASVERSALE 83 Le strategie delle imprese 83
Innovazione 85
Produzione a marchio e produzione private label 86
La produzione di latte: tra rigidità del tempo di produzione e varianza produttiva 87
Relazioni industriali 88
Il futuro del sistema latte 89
5
Premessa
Negli ultimi 15 anni la produzione di latte è sempre stata etichettata come un settore in crisi e sempre
soggetto a esternalità (squilibri climatici) o dinamiche di consumo (crescita della domanda di latte in paesi in
forte crescita) impattanti sul rapporto tra i nodi centrali della catena del valore: produzione, trasformazione e
distribuzione. I processi di cambiamento che hanno attraversato la filiera del latte si sono sviluppati lungo
alcune parole d’ordine, quali concentrazione della produzione, riduzione dei costi e recupero di marginalità
sul prodotto per l’industria di trasformazione e crescente peso della GDO nelle dinamiche produttive. I
rapporti di filiera appaiono, quindi, pesantemente destabilizzati con uno spostamento della marginalità sulla
distribuzione a discapito della trasformazione e della produzione, e quindi sul lavoro industriale e agricolo. Il
recupero del latte come prodotto a valore passa inevitabilmente per un nuovo equilibrio del sistema latte, e
quindi un’azione che investa tutte le fasi della filiera.
La filiera del latte in Italia è caratterizzata da un’articolazione molto ampia, che raccoglie numerosissimi
attori, dai produttori, alla trasformazione e alla distribuzione. Oltre al numero e alle differenti caratteristiche
degli attori coinvolti, la complessità della filiera del latte è generata dalle profonde differenze esistenti in
relazione alla tipologia e qualità del prodotto stesso nonché dalle specificità territoriali e regionali. Al fine di
fornire una ricomposizione attendibile del comparto in analisi e della sua evoluzione negli ultimi anni, è
fondamentale pertanto considerare ed includere tutte le principali differenze esistenti in relazione al prodotto,
alla modalità di produzione, ai principali attori del mercato, ai canali distributivi, alle differenze territoriali.
Alcuni cenni metodologici
Le complesse e mutevoli dinamiche che stanno attraversando i rapporti e gli equilibri di filiera impongono
una strutturazione metodologica ponderata e calibrata sia sulla articolazione della filiera stessa sia sulle
espressioni territoriali che la ricerca vuole assumere come approfondimento: Emilia-Romagna e Lombardia.
Proprio in virtù di tali caratteristiche, la ricerca consta di quattro fasi, caratterizzate dalla sovrapposizione di
diverse metodologie.
La prima, consiste in un’analisi desk relativa alle principali dinamiche osservabili per l’intera filiera
produttiva e sui diversi livelli territoriali e di mercato, da quello più ampio a quello più ristretto. Attraverso la
rilettura di analisi già condotte sui livelli transnazionali ed europei, in particolare, si sono riprese le principali
dinamiche di trasformazione della mappa di produzione e consumo di latte alimentare nel mondo ed in
Europa. Questo primo livello si completa con una più approfondita analisi della letteratura e dei dati esistenti
relativi al mercato italiano, leggendo i dati nella dinamica dei mutevoli rapporti lungo la catena del valore.
Proprio il posizionamento del nostro paese rende estremamente interessante approfondire le dinamiche della
produzione e del suo costo. A partire da questo livello di analisi si è avuto modo di introdurre le prime
differenziazioni territoriali tra le due regioni oggetto del focus di analisi: Emilia-Romagna e Lombardia.
Mantenendo la sovrapposizione dei livelli territoriali appena richiamata in relazione al rapporto tra le diverse
fasi della filiera del latte, si propone una descrizione quantitativa delle tre principali fasi di filiera:
produzione, trasformazione e distribuzione. Restringendo progressivamente il campo di indagine al comparto
lattiero caseario, il rapporto di ricerca analizza il consumo del latte alimentare, stressando l’argomento
attraverso due diversi modi guardare al fenomeno: il primo, che pone il consumo come uno dei driver per
l’innovazione di settore e, quindi, di competitività per le imprese; il secondo, che al contrario guarda alle
tendenze di consumo come ad una delle forme di pressione sui livelli intermedi della filiera, ovvero la
trasformazione. In questo senso si cercherà di restituire le principali dinamiche di relazione tra le imprese
produttive e quelle di distribuzione (attraverso la tecnica della network analysis).
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A partire dalle riflessioni scaturite dall’analisi della filiera, il rapporto di ricerca continua ponendo al centro
dell’analisi la trasformazione del prodotto, quindi la fase industriale, attraverso una metodologia di natura
qualitativa, quale lo studio di caso. Al fine di individuare i criteri in base ai quali scegliere le aziende oggetto
dello studio di caso si è avviata una istruttoria costruita su interviste collettive alle strutture territoriali di
rappresentanza (Flai provinciali di Lombardia ed Emilia-Romagna in) e ad esperti1. La fase di istruttoria ha
restituito quattro criteri di selezione individuando degli idealtipi strategici:
il territorio di localizzazione: ovvero mantenere un bilanciamento nella rappresentazione
territoriale degli studi di caso tra Emilia-Romagna e Lombardia
natura pubblica o privata dell’impresa per verificare se esistono differenze strategiche correlate
alla natura dell’azienda
l’appartenenza a centrali cooperative e strategie cooperative differenti (Confcooperative e
Legaccop) per metterne in evidenza delle divergenze o eventuali convergenze
il grado di internazionalizzazione del marchio per comprendere come le strategie dipendano dalla
dimensione del mercato di riferimento
il grado di incidenza delle private label sulle produzioni a marchio proprio.
Sulla base dei criteri evidenziati, le imprese selezionate per l’approfondimento qualitativo saranno:
per l’Emilia-Romagna: Parmalat e Granarolo
per la Lombardia: Latteria Soresina, Sterilgarda e La Centrale del Latte di Brescia
Obiettivi
Partendo da una contestualizzazione del prodotto latte in una dinamica internazionale, europea e nazionale, il
progetto si propone di investigare in quale misura e con quale orientamento le strategie dell’industria di
trasformazione siano mutate sotto la pressione del cambiamento dei rapporti di filiera. L’analisi porterà a
confronto modelli produttivi diversificati ma comunque localizzati nella due regioni italiane in cui la
produzione copre una larga quota della produzione nazionale, ovvero Emilia-Romagna e Lombardia.
Il perseguimento dell’obiettivo generale del progetto passa inevitabilmente attraverso il raggiungimento di
sub-obiettivi, uno per ogni singola articolazione operativa del progetto. La comprensione delle dinamiche
strategiche delle imprese di trasformazione e come queste si siano modificate sotto la pressione del
cambiamento dei rapporti di filiera poggia sulla necessità di analizzare la modificazione degli equilibri di
filiera lungo una dinamica temporale. I sub-obiettivi sono quindi così articolati:
1 Come esperti sono stati intervistati: Prof. Roberto Fanfani, Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna, Prof.
Renato Pieri, Alta Scuola di Economia Agro-alimentare di Cremona, dott. Marco Sassatelli, economista industriale Ires Emilia-
Romagna, il Prof. Rino Ghelfi della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, il dott. Giuseppe Zuliani, Resp. Marketing di
Conad Italia.
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Fase del progetto Obiettivo – domanda di ricerca
Fase A – Scenario internazionale ed europeo
Come sta modificandosi la mappa di produzione e consumo di latte nel mondo e
in Europa? Quali le differenze
Fase B – Il mercato del latte in Italia
L’Italia come principale importatore di latte in Europa: quali le relazioni
commerciali con gli altri Paesi? Quali le caratteristiche di prodotto e di mercato?
Quali le dinamiche di costo?
Fase C – La filiera del latte nelle sue fasi
Quali sono le principali dimensioni quantitative della filiera nelle sue diverse
fasi? Quali differenze lungo la variabile territoriale e temporale?
Fase D – Il consumo di latte e le strategie
distributive
In che modo le preferenze dei consumatori impattano sulla filiera? Il consumo
come driver per l’innovazione o come pressione sui costi della filiera? Quali
relazioni tra produttori e distributori dei marchi commerciali?
Fase E – Analisi sul campo: le strategie delle
imprese di trasformazione
Come stanno orientandosi le strategie delle imprese di trasformazione sotto la
pressione esercitata dal mutamento dei rapporti di filiera? Quale l’impatto sulle
condizioni di lavoro?
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I parte – Dallo scenario internazionale ad una panoramica nazionale
La produzione di latte complessivamente inteso, ovvero di tutte le specie, mostra negli ultimi due anni una
ripresa importante dopo una decelerazione nel corso del 2009. Se infatti il 2010 ed il 2011 segnano
rispettivamente un incremento pari all’1,6% e all’1,9%, il 2009 aveva fatto registrare un aumento di solo lo
0,7% dopo anni di crescita sempre superiore al 2%. Sebbene i dati relativi al 2011 presenti sul Rapporto
2011 – Il mercato del Latte2 rappresentino una stima, e quindi una somma espressa in una logica
previsionale, è possibile notare come la velocità di crescita della produzione si differenzi in base all’aerea
geografica. Se la produzione mondiale è cresciuta nel quinquennio 2006-2011 ad un tasso di crescita pari
all’8,7%, nell’Unione Europea la velocità di crescita è dell’1,9% e negli Usa del 7,4% mentre a trainare la
crescita sono soprattutto l’India con il 20% di aumento e la Cina con il 24,9% ed in forma importante ma
meno significativa il Brasile con il 16,7%. Letto in altro modo dei 58 milioni di latte prodotti in più nel 2011
rispetto al 2006, oltre ad 1/3 è stato prodotto in India e circa 1/6 in Cina. Complessivamente il continente
Asia ha registrato un incremento della produzione del latte pari al 16,4% tra il 2006 ed il 2011.
Tabella 1 : Produzione di latte di tutte le specie nei principali paesi produttori (milioni di tonnellate)
2006 2007 2008 2009 2010 2011
var. %
2006-2011
var. %
2009-2010
var. %
2010-2011
UE-27 153,5 152,9 154,5 153 154,9 156,4 1,9% 1,2% 1,0%
India 99,3 103,3 109 110 114,4 119,4 20,2% 4,0% 4,4%
USA 82,5 84,2 86,2 85,9 87,5 88,6 7,4% 1,9% 1,3%
Cina 36,5 39,8 40,2 40,6 43,4 45,6 24,9% 6,9% 5,1%
Pakistan 31,2 32,2 33,3 34,4 31,6 32 2,6% -8,1% 1,3%
Russia 31,4 32,2 32,3 32,6 31,7 31,1 -1,0% -2,8% -1,9%
Brasile 26,3 26,3 27,7 28,9 29,8 30,7 16,7% 3,1% 3,0%
Nuova Zelanda 15,2 15,6 15,2 16,7 17 17,2 13,2% 1,8% 1,2%
Turchia 12 12,3 12,2 12,5 12,2 12,2 1,7% -2,4% 0,0%
Ucraina 13,3 12,3 11,8 11,6 11,3 10,9 -18,0% -2,6% -3,5%
Messico 10,3 10,5 10,9 11 11,2 11,3 9,7% 1,8% 0,9%
Argentina 10,5 9,8 10,3 10,4 10,5 11,1 5,7% 1,0% 5,7%
Australia 10,1 9,6 9,2 9,4 9 9,1 -9,9% -4,3% 1,1%
Canada 8 8,1 8,1 8,2 8,4 8,4 5,0% 2,4% 0,0%
Giappone 8,1 8 8 7,9 7,8 7,7 -4,9% -1,3% -1,3%
Iran 7,5 7,7 7,6 7,8 8 8,1 8,0% 2,6% 1,3%
Colombia 6,8 6,7 7,4 7,5 7,4 7,4 8,8% -1,3% 0,0%
Sudan 7,3 7,4 7,4 7,4 7,5 7,5 2,7% 1,4% 0,0%
Bielorussia 5,9 5,9 6,2 6,6 6,6 6,9 16,9% 0,0% 4,5%
Altri Paesi 90,1 94,3 96,6 96,4 99,8 102,2 13,4% 3,5% 2,4%
Mondo 665,8 679,2 694,2 698,8 710 723,8 8,7% 1,6% 1,9%
I dati al 2010 sono provvisori mentre i dati al 2011 sono stimati
Fonte: elaborazioni Osservatorio Latte su dati Fao
Diversamente i valori più fortemente negativi si rintracciano in Ucraina, dove complessivamente la
produzione di latte è calata del 18%, e la Russia, dove a causa di una indisponibilità di foraggio e della
siccità la produzione di latte dal 2009 è crollata sensibilmente del 2,8% nel corso del 2010 ed ancora
dell’1,9% nel 2011.
Partendo dalla consapevolezza che il latte vaccino rappresenta a livello mondiale circa l’85% del latte
prodotto, è possibile tracciare delle correlazioni tra produzione di latte e consistenza delle vacche da latte. Se
la contrazione della produzione di latte registrata in Russia ed Ucraina è accompagnata da un consistente
2 A tal fine, il rapporto di ricerca fa un largo uso dei dati presenti nel Rapporto 2011, Il Mercato del Latte a cura del Professore Pieri e
delle banche dati disponibili sul sito della società di consulenza CLAL www.clal.it
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decremento delle vacche da latte (pari rispettivamente a -15% e -31% nel quinquennio 2006-2011),
l’importante aumento di produzione in Cina convive con un abbattimento del 3,5% del numero di vacche da
latte tra il 2006-2011: in questo caso la scelta del sostantivo “abbattimento” è quanto mai puntuale in quanto
la diminuzione cinese di vacche è imputabile alla destrutturazione del sistema produttivo indotta dalla fobia
dei consumatori per la questione della melamina3 (nel 2008 il numero di vacche da latte in Cina diminuisce
di circa 1,5 milioni di capi). Diversamente la crescita della produzione di latte in Brasile e India è
accompagnata da un progressivo aumento del numero di vacche da latte rispettivamente del 19% e 18,2% nel
periodo 2006-2011.
Oltre alla inevitabile correlazione con il numero di vacche, la produzione di latte è implicitamente correlata
con l’andamento demografico: oltre alla capacità produttiva la produzione è strettamente connessa con la
domanda interna. Come messo in evidenza dalle elaborazioni prodotte dalla società CLAL, il confronto tra
incidenza della produzione e della popolazione per area geografica individua gli spazi di equilibrio tra
capacità produttiva e consumo interno suggerendo la propensione all’export delle singole aree geografiche,
da un lato, e, vista in forma speculare, possibili bacini di consumo di prodotti lattiero-caseari, dall’altro.
Figura 1 : Confronto dei pesi percentuali tra popolazione e produzione di latte per macroaree geografiche
Popolazione 2001 Produzione latte vaccino 2001
Popolazione 2010 Produzione latte vaccino 2010
Fonte: nostre elaborazioni su dati Fao
I grafici proposti nella Figura 1 pongono a confronto i dati del 2001 e del 2010 per mostrare se ed in che
misura i rapporti tra produzione e popolazione si siano modificati nel tempo. L’Unione Europea a 27 pur
rappresentando una quota marginale in termini di popolazione, ovvero il 7,8% nel 2001 ed il 7,3% nel 2010,
produce latte al di sopra delle proprie potenzialità di consumo interno rendendo quindi disponibile una larga
3 Nel 2008, la contaminazione con melamina di partite di latte cinese in polvere ha suscitato l’allarme della comunità internazionale
ed ha portato l’Unione europea a restringere i controlli sul latte proveniente dalla Cina
Europa UE-27; 7,8
Europa altri; 4,0
Nord America; 5,2
Centro Sud America e
Caraibi; 8,6
Oceania; 0,5
Asia; 24,9
Asia Sud Est; 33,1
Asia Medio Oriente; 2,9
Africa; 13,2 Europa UE-27; 30,1
Europa altri; 12,3 Nord
America; 16,7
Centro Sud America e
Caraibi; 12,1
Oceania; 4,8
Asia; 13,4
Asia Sud Est; 4,6
Asia Medio Oriente; 1,8
Africa; 4,2
Europa UE-27; 7,3
Europa altri; 3,5
Nord America; 5,0
Centro Sud America e
Caraibi; 8,6
Oceania; 0,5
Asia; 25,9 Asia Sud Est; 31,4
Asia Medio Oriente; 3,1
Africa; 14,8 Europa UE-27; 24,6
Europa altri; 10,0
Nord America;
16,0
Centro Sud America e
Caraibi; 13,4
Oceania; 4,4
Asia; 16,1
Asia Sud Est; 8,2
Asia Medio Oriente; 2,0
Africa; 5,3
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quota di esportazione di latte e suoi derivati. Situazione simili vengono registrate per l’Oceania e per il Nord
America in quanto anch’esse rappresentano quote marginali in termini di popolazione, complessivamente
non superiore al 6%, ma producono quote superiori al 20% del latte vaccino mondiale. In altro modo
esistono vaste aree geografiche come l’Africa e l’Asia che pur rappresentando ampi bacini demografici pari
rispettivamente al 14,8% ed il 60,4% della popolazione mondiale producono il 5,3% ed il 26,3% del latte
vaccino mondiale con una sproporzione più evidente per il Sud Est Asiatico: appare evidente come esista una
incapacità produttiva locale di soddisfare il consumo interno di latte e quindi una potenziale area di crescita
sia in termini di consumo che in termini di produzione. In ultimo, esiste un’area intermedia individuabile nei
Paesi europei non Eu e nell’America Centrale e del Sud in cui la quota prodotta è maggiore rispetto al peso
demografico ma, come evidenzia anche CLAL, è ipotizzabile che il potere d’acquisto interno non permetta
un largo consumo di latte e dei suoi derivati.
Confrontando le variazioni di produzione di latte vaccino e della dimensione demografica tra il 2001 e 2010
si nota come al crescere dell’una cresce anche l’altra in quanto il miglioramento dei controlli igienici, il
progresso delle tecniche e l’educazione alimentare impattano positivamente su entrambe le variabili. L’unica
eccezione è l’Europa sia per i Paesi EU che per i Paesi non Eu. Per i Paesi EU-27 nel primo decennio del
2000 la popolazione cresce del 3,5% mentre la produzione di latte vaccino scende dell’1,5% mentre per i
Paesi europei extra-Eu si assiste sia ad una flessione demografica (-2,5%) sia ad una contrazione produttiva
(-1,1%).
Il mercato dell’Unione Europea
Considerato il ruolo centrale dell’Europa EU 27 nella produzione di latte, una disarticolazione per Paese
membro consente di comprenderne le concentrazioni produttive e quindi le relazioni produttive tra gli Stati.
Il dato disponibile si riferisce al latte consegnato alle latterie4, e non al latte prodotto, in quanto rappresenta
una modalità più certificata di misurazione del volume complessivo: in media europea le consegne di latte
pesano per circa il 90% sul latte prodotto. Le consegne di latte alla latterie, inoltre, offrono una espressione
del volume di latte per paese attraverso il monitoraggio di una delle prime fasi della filiera del latte trovando
una stretta connessione con l’oggetto della nostra ricerca. L’osservazione dei dati mostra come a trainare la
crescita del latte nel quinquennio considerato (2006-2011) siano i vecchi Paesi EU 15, con una crescita del
5,5%, con accelerazioni più evidenti nel corso del 2010. Nel corso del 2011, diversamente, si è assistito ad
un maggior dinamismo dei Paesi EU 10, ovvero i primi 10 Nuovi Paesi membri, mentre per gli ultimi due
nuovi ingressi, ovvero la Bulgaria e la Romania, si è assistito ad una contrazione del 3,4% in linea con il calo
del 26,6% del quinquennio.
In termini di tipologia di prodotti lattiero-caseari, la produzione europea è principalmente concentrata sul
latte ad uso alimentare con oltre 30 milioni di tonnellate. Tuttavia, i dati indicano come tendenzialmente la
produzione di latte destinato all’uso alimentare si sia fortemente contratto nel quinquennio con una brusca
riduzione proprio nel corso del 2011. La produzione di burro prosegue la sua discesa fino al 2010 per poi
rialzarsi in base al dato provvisorio del 2011 mentre la produzione di formaggi segue un percorso opposto
segnando una crescita continua fino al 2010 per poi flettersi nel 2011. Complessivamente le performance
positive più importanti le fanno segnare la produzione di formaggi e la polvere di siero, ad eccezione di
importanti decrementi nel corso del 2011, e soprattutto il latte scremato in polvere la cui produzione, pur se
ancora contenuta in termini assoluti, registra un aumento del 23,9% nel quinquennio con una impennata nel
2011 (+12,5%).
4 Proprio per la natura diversa della misurazione del latte è possibile che ci siano variazioni sui totali tra le tabelle presenti in questo
capitolo
11
Tabella 2 : Consegne alle latterie nei Paesi dell’Unione Europea (tonnellate x 1000)
2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 var. %
2006-2011
var. %
2010_2011
var. %
2011-
2012
Austria 2.672 2.661 2.705 2.709 2.781 2.904 1.563 8,7% 4,4% 4,7%
Belgio 2.837 2.879 2.849 2.955 3.067 3.101 1.598 9,3% 1,1% -0,2%
Danimarca 4.492 4.515 4.586 4.740 4.818 4.787 2.506 6,6% -0,6% 4,3%
Finlandia 2.348 2.293 2.254 2.281 2.289 2.255 1.161 -4,0% -1,5% 0,1%
Francia 22.850 22.910 23.814 22.842 23.361 24.607 13.025 7,7% 5,3% 2,4%
Germania 26.821 27.307 27.465 28.248 28.659 29.339 14.846 9,4% 2,4% -0,1%
Grecia 731 703 690 684 688 638 338 -12,7% -7,3% 1,3%
Irlanda 5.233 5.242 5.106 4.904 5.327 5.536 2.989 5,8% 3,9% 0,5%
Italia 9.936 10.091 10.177 10.560 10.408 10.260 5.208 3,3% -1,4% -3,6%
Lussemburgo 254 259 265 271 282 281 148 10,6% -0,4% 0,9%
Olanda 10.656 10.737 10.936 11.085 11.626 11.627 6.010 9,1% 0,0% 1,3%
Portogallo 1.851 1.836 1.890 1.869 1.824 1.837 987 -0,8% 0,7% 3,4%
Regno Unito 13.920 13.646 13.350 13.232 13.584 13.804 7.215 -0,8% 1,6% 1,5%
Spagna 5.759 5.717 5.849 5.750 5.832 5.950 3.097 3,3% 2,0% 2,5%
Svezia 3.130 2.986 2.955 2.931 2.860 2.850 1.477 -8,9% -0,3% 1,0%
TOTALE EU-15 113.491 113.782 114.891 115.060 117.404 119.778 62.166 5,5% 2,0%
Cipro 138 144 150 149 151 153 78 10,9% 1,3% 4,1%
Estonia 606 594 614 592 619 624 328 3,0% 0,8% 7,7%
Lettonia 592 630 635 594 625 662 339 11,8% 5,9% 10,8%
Lituania 1.297 1.350 1.382 1.276 1.278 1.317 626 1,5% 3,1% 7,5%
Malta 41 40 41 40 36 36 -12,2% 0,0% -
Polonia 8.813 8.735 9.112 9.136 8.990 9.296 4.981 5,5% 3,4% 9,4%
Repubblica Ceca 2.393 2.454 2.433 2.354 2.317 2.366 1.254 -1,1% 2,1% 7,3%
Slovacchia 962 964 946 852 800 811 438 -15,7% 1,4% 7,6%
Slovenia 511 531 524 517 519 526 275 2,9% 1,3% 3,4%
Ungheria 1.446 1.439 1.425 1.407 1.322 1.308 715 -9,5% -1,1% 9,7%
TOTALE EU-10 16.798 16.880 17.263 16.916 16.657 17.099 9.033 1,8% 2,7%
Bulgaria 789 757 681 578 539 499 253 -36,8% -7,4% -1,2%
Romania 1.107 1.144 1.053 979 901 892 463 -19,4% -1,0% 5,5%
TOTALE EU-2 1.896 1.901 1.734 1.558 1.440 1.391 716 -26,6% -3,4%
TOTALE UE-27 132.186 132.562 133.887 133.534 135.501 138.267 71.915 4,6% 2,0%
Le variazioni 2011-2012 sono calcolati come variazioni tendenziali al primo semestre,
Fonte: Eurostat
Tabella 3 : Produzioni lattiero casearie in Unione Europea, 2006-2011 (tonnellate x 1000)
2006 2007 2008 2009 2010 2011
var. %
2006-2011
var. %
2010-2011
Latte ad uso alimentare 32.443 31.705 31.684 31.419 31.504 30.431 -6,2% -3,4%
Panna con destinazione consumo diretto 2.396 2.461 2.413 2.406 2.463 2.489 3,9% 1,1%
Yogurt e altri 7.516 7.887 7.846 7.906 8.143 7.665 2,0% -5,9%
Burro 1.923 1.947 1.934 1.892 1.854 1.889 -1,8% 1,9%
Formaggi 8.055 8.150 8.216 8.221 8.427 8.407 4,4% -0,2%
Latte condensato 1.135 1.034 1.054 938 958 573 -49,5% -40,2%
WMP (polvere di latte intero) 792 794 865 749 772 749 -5,4% -3,0%
SMP (polvere di latte scremato) 955 993 949 1.133 1.052 1.183 23,9% 12,5%
Polvere di siero 1.386 1.658 1.609 1.489 1.695 1.589 14,6% -6,3%
Caseina e Caseinati 140 114 117 83 105 109 -22,1% 3,8%
I dati al 2011 sono provvisori (CLAL)
Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat
In una comparazione europea, i Paesi più grandi produttori di latte sono in ordine crescente la Germania (con
oltre il 21% del latte consegnato in tutta l’Eu-27 nel 2011), la Francia (con il 17,8%), il Regno Unito (con il
10%), l’Olanda (con l8,4%) ed infine l’Italia (con il 7,4%). In chiave dinamica è la Germania insieme
all’Olanda e Francia a crescere più rapidamente nell’ultimo quinquennio e a confermare la tendenza anche
nel 2011, mentre il Regno Unito registra una sostanziale stabilità nell’arco temporale considerato e l’Italia,
pur registrando una crescita importante (3,3%) nel quinquennio, mostra un andamento declinante negli ultimi
12
2 anni. La Polonia rappresenta con il 6,8% della produzione europea un caso anomalo in quanto conferisce
alle latterie di trasformazione meno latte di quel che produce.
Al fine di delineare l’orientamento dei singoli paesi agli scambi commerciali si ripropone anche a livello dei
singoli Stati Membri il rapporto tra peso della produzione e peso demografico al 20095. I più grandi
produttori di latte sono anche i Paesi più popolosi ma il rapporto disvela delle dinamiche tra di loro
differenti. La produzione di latte in Italia, o meglio la quantità di latte consegnato alle latterie di
trasformazione, ha un peso percentuale decisamente al di sotto del peso demografico e questo implica una
necessaria importazione di latte per soddisfare il fabbisogno interno: diverse fonti confermano come la
produzione italiana di latte riesca a coprire circa il 65/70% di autoapprovvigionamento6. Allo stesso modo
sembrano orientarsi altri paesi come la Spagna, la Romania ed il Regno Unito.
Figura 2 : Confronto tra peso percentuale della popolazione e della produzione di latte consegnato alle latterie per Paese dell’Unione Europea EU- 27, anno 2009
Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat e Fao
Diversamente i più grandi produttori di latte, espresso come latte conferito alle latterie di trasformazione,
mostrano il gap più evidente tra produzione e demografia. Germania, Francia e Olanda hanno una quota di
produzione europea decisamente superiore al loro peso demografico rendendo disponibile un ampio spettro
di prodotti lattiero caseari per l’esportazione. La comparazione tra demografia e produzione di latte, quindi,
5 La scelta dell’anno è vincolata alla disponibilità dei dati. 6 Il tasso di autoapprovvigionamento calcolato dall’Osservatorio Latte varia dal 66,7% del 2005 al 69,4% del 2010 mentre i dati Agea
variano dal 6,7% del 2005 al 67,3% del 2010, su dati provvisori
2,0
2,4
3,5
1,7
17,1
21,2
0,5
3,7
7,9
8,3
1,4
4,3
2,2 9,9
0,1
1,8
0,4
1,1
0,4
1,0
0,0 6,8
0,6
0,4
0,4
0,7
1,7
2,2
1,1
1,1
12,7
17,0
2,3
0,9
11,7
3,4
2,1
8,5
1,8
12,4
0,2
2,1
0,3
2,0
0,4
0,7
0,1
7,9
1,1
0,4
1,5
4,5
Austria
Belgio-Lussemburgo
Danimarca
Finlandia
Francia
Germania
Grecia
Irlanda
Italia
Olanda
Portogallo
Spagna
Svezia
Regno Unito
Cipro
Repubblica Ceca
Estonia
Ungheria
Lettonia
Lituania
Malta
Polonia
Slovacchia
Slovenia
Bulgaria
Romania
Popolazione 2009
Produzione 2009
13
dando per assodato una relazione tra produzione e consumo interno, costituisce uno strumento orientativo per
comprendere la propensione commerciale del singolo Paese.
Se si considera l’Unione Europea a 27 come un unico produttore di latte è possibile rilevare come i flussi
commerciali verso paesi terzi, non considerando quindi gli scambi commerciali interni al perimetro
dell’Unione Europea, mostrino una tendenza a consolidare l’orientamento all’esportazione di derivati del
latte e a contrarre ulteriormente le importazioni. Il latte alimentare non compare tra i principali prodotti di
scambio commerciale a testimonianza di come il mercato di riferimento sia principalmente vincolato ad una
prossimità geografica. Trascurando le importazioni per il loro modesto peso e per un trend decrescente per le
tipologie di prodotto considerate, è possibile osservare come le esportazioni incontrino nel 2008 un punto di
flessione per poi ritrovare uno slancio rilevante nel 2010, soprattutto grazie ai maggiori spazi commerciali
prodotti dall’intervento delle politiche agricole europee.
A crescere più dinamicamente nell’Unione Europea è un prodotto notoriamente “povero” come il latte
scremato in polvere che registra un + 509% nel quinquennio considerato e un + 37% nel corso dell’ultimo
anno disponibile. Al contrario un progressivo segno negativo lo registra l’esportazione di burro, così come
l’importazione del medesimo prodotto, e di latte intero in polvere.
Tabella 4 : Esportazioni ed importazioni da e verso Paesi Terzi dell’Unione Europea per prodotto lattiero-caseario, 2006-2011 (tonnellate x 1000)
2006 2007 2008 2009 2010 2011
var. %
2006-2011
var. %
2010-2011
Export
Burro 241 212 154 149 156 126 -47,7% -19%
Formaggi 587 596 555 578 676 683 16,4% 1%
SMP (polvere di latte scremato) 85 203 179 231 379 518 509,4% 37%
WMP (polvere di latte intero) 434 366 482 456 442 383 -11,8% -13%
Polvere di siero (wheypowder) 358 399 377 450 451 524 46,4% 16%
Latte condensato 212 228 225 229 244 219 3,3% -10%
Caseine 31,5 23,7 26,8 26,5 29,7 36 14,3% 21%
Caseinati 43,6 39,1 38,7 38,8 26 42,6 -2,3% 64%
Lattosio uso farmaceutico 90 92 94 114 115 136 51,1% 18%
Lattosio uso alimentare 5,3 9,7 12,5 15,9 12,7 7,9 49,1% -38%
Somma per prodotto esportato 2087,4 2168,5 2144 2288,2 2531,4 2675,5 28,2% 6%
Import
Burro 90 91 64 62 39,9 46,9 -47,9% 18%
Formaggi 101 94 84 84 82 74 -26,7% -10%
SMP (polvere di latte magro) 21,2 9,8 7,7 6 3,8 0,4 -98,1% -89%
Somma per prodotto importato 212,2 194,8 155,7 152 125,7 121,3 -42,8% -4%
I dati al 2011 sono provvisori (CLAL)
Fonte: GTIS (Global Trade Information Services)
Se dalla dimensione europea scendiamo al livello del primo produttore di latte nella EU-27, ovvero la
Germania, è possibile notare come la gamma di prodotti lattiero caseari importati ed esportati cambino
denotando come la dimensione territoriale e la distanza dai mercati giochino un ruolo determinante. Il primo
prodotto importato ed esportato è il latte sfuso per il quale le importazioni superano in quantità le
esportazioni. Se per le importazioni in Germania si rileva un ruolo importante per la polvere di siero
(wheypowder), per le esportazioni è da segnalare la quota importante e crescente del latte confezionato. La
crescita del latte confezionato tra le esportazioni tedesche non è un dato marginale se si considera che il
deficit produttivo dell’Italia sul prodotto latte: una crescita del latte confezionato implica l’ingresso nel
mercato italiano di latte non trasformato sul territorio italiano e quindi un potenziale elemento di criticità per
l’industria di trasformazione presente in Italia. Il dato inoltre sembra proporre un superamento del legame
stretto tra territorio e produzione che ha da sempre caratterizzato il prodotto latte ed introduce
inevitabilmente quel processo di banalizzazione del prodotto, o commodification, ovvero la trasformazione
del singolo prodotto in merce per la quale le differenze qualitative si assottigliano sino a scomparire: non si
14
commercializza più un’unità di prodotto ma un volume indistinto di merce riducendo al massimo i margini di
utile per l’industria manifatturiera.
Figura 3 : Esportazioni ed importazioni di prodotti lattiero caseari della Germania Esportazioni Importazioni
Fonte: GTIS (Global Trade Information Services) ed Eurostat (Elaborazioni CLAL)
Importazioni ed esportazioni in Italia
Considerato il rapporto tra produzione e popolazione e il tasso di autoapprovvigionamento per l’Italia appare
inevitabile che le dinamiche commerciali siano principalmente caratterizzate, almenoin termini quantitativi,
da una superiorità delle importazioni sulle esportazioni. Nel corso del 2010 e del 2011 i flussi commerciali
relativi ai prodotti lattiero caseari vivono una fase di espansione in entrambe le direzioni. Se le esportazioni
sono principalmente rappresentate dai formaggi, il cui volume continua a crescere a ritmi sostenuti negli
ultimi 2 anni, le importazioni sono trainate principalmente dal latte sfuso, con un incremento continuo e
sostenuto dal 2008, dal latte confezionato, con accelerazioni importanti nel 2009 e 2010 per poi flettersi nel
2011, e dai formaggi, con tassi di crescita positivi dal 2008. Relativamente alle importazioni di latte
confezionato è da segnalare come, nonostante la contrazione del 2011, la quantità registrata superi in valore
assoluto la quota rilevata nel 2008.
Dettagliando ulteriormente i prodotti più importati è possibile osservare come per il latte sfuso la larga
maggioranza è rappresentata dal latte sfuso intero mentre per il latte confezionato è il latte parzialmente
scremato ad incidere più significativamente. Mentre il latte sfuso, pur con intensità diverse, registra una
crescita costante di entrambe le sue tipologie, per il latte confezionato il 2010, come già osservato più in
generale, coincide con il punto di flessione dopo una rapida ascesa sia per il latte intero che per il latte
confezionato. Sommando le diverse importazioni di latte sfuso e confezionato e ponendo il risultato pari a
100, è possibile notare come tra il 2006 ed il 2010, l’anno di impennata del latte confezionato, la quota di
latte sfuso intero continui ad aumentare dal 55,4% al 57,2% mentre il latte sfuso scremato perda punti
percentuali scivolando dal 23,4% al 19,9%. Al contrario il peso percentuale complessivo del latte
confezionato guadagna punti percentuali passando dal 21,1% al 22,9% soprattutto grazie ad un aumento del
latte parzialmente scremato. I dati provvisori al primo semestre 2012 sembrano disegnare uno scenario
ancora diverso dove alla flessione del 2011 del latte confezionato segue una forte ripresa portandolo a quota
24,7% a danno soprattutto del latte sfuso intero che scivola al 51,8%.
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
1800
2000
2006 2007 2008 2009 2010Latte sfuso Crema di latte
Latte confezionato Yogurt
Polvere di siero (whey powder) Latte condensato
15
Tabella 5 : Esportazioni e importazioni di prodotti lattiero-caseari in Italia (tonnellate x 1000) 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Esportazioni
Formaggi 237 243 247 251 272 282
± % sull'anno precedente 1,5% 2,5% 1,6% 1,8% 8,3% 3,8%
Burro 11,8 13,3 8,6 9,6 27,3 9,5
± % sull'anno precedente -37,7% 12,9% -35,2% 11,9% 183,4% -65,4%
Importazioni
Latte e panna sfusi 1725 1503 1631 1685 1794 1972
± % sull'anno precedente 3,9% -12,9% 8,6% 3,3% 6,4% 9,9%
Latte confezionato 462 418 406 453 531 500
± % sull'anno precedente -3,6% -9,6% -2,8% 11,7% 17,2% -5,8%
Burro 52 54 55 52 74 58
± % sull'anno precedente -3,7% 3,8% 1,9% -5,5% 42,3% -21,6%
Formaggi 440 424 439 456 469 490
± % sull'anno precedente 5,2% -3,6% 3,7% 3,7% 2,8% 4,6%
WMP (polvere di latte intero) 12,5 21,3 22,9 23,7 25,3 27,3
± % sull'anno precedente -35,2% 70,4% 7,5% 3,5% 6,8% 7,9%
SMP (polvere di latte magro) 95 85 84 80 91 58
± % sull'anno precedente -10,4% -10,5% -1,2% -4,8% 13,8% -36,3%
Polvere di siero (wheypowder) 62 61 72 59 58 59
± % sull'anno precedente 19,2% -1,6% 18,0% -18,1% -1,7% 1,7%
Caseina 17,7 11,8 10,3 8,4 9,7 9,5
± % sull'anno precedente 1,1% -33,3% -12,7% -18,4% 15,5% -2,1%
Fonte: Istat e Gtis
Tabella 6 : Importazioni di latte confezionato e latte sfuso in Italia, 2006- I semestre 2012
I dati al 2012 sono provvisori
Fonte: Istat
Ma qual è la provenienza del latte importato? Esistono delle differenze per tipologia di latte? Attraverso
l’utilizzo di mappe è possibile mostrare la distribuzione delle importazioni al 2011 per paese di importazione
e per sotto-categoria di latte sfuso e latte confezionato. In generale è possibile osservare come e quanto siano
diversi i Paesi membri dai quali l’Italia importa latte, sia esso confezionato o sfuso, con una diversificazione
a seconda del prodotto.
Il latte confezionato intero è importato per quote superiori al 30% del totale importato dalla Germania e
Austria, dalla Francia e dalla Slovenia in misura importante ma in porzioni più contenute ed in forme
progressivamente più ridotte dalla Repubblica Ceca, dalla Slovacchia, dal Belgio, Olanda e dal Regno Unito.
In dinamica appare di interesse notare come tra il 2010 ed il 2011 le importazioni di latte intero confezionato
siano aumentate principalmente dall’Austria (+15,2%) e dalla Slovenia (+11,1%) mentre abbiano vissuto una
flessione dalla Germania (-17%), dalla Francia (-19,2%) e dalla Repubblica Ceca (-58%). I dati al primo
0
200.000
400.000
600.000
800.000
1.000.000
1.200.000
1.400.000
1.600.000
2006 2007 2008 2009 2010 2011
Confezionatointero
ConfezionatoParz. Scremato
Sfuso Sfusoscremato
6,4
6,8
6,4
6,2
6,7
5,9
7,6
14,7
15,0
13,5
15,0
16,2
14,3
17,1
55,4
55,6
56,7
58,6
57,2
58,6
51,8
23,4
22,6
23,4
20,2
19,9
21,1
23,5
2006
2007
2008
2009
2010
2011
I sem.2012
Confezionatointero
ConfezionatoParz. Scremato
Sfuso Sfusoscremato
16
semestre 2012 sembrano confermare una concentrazione di importazione dall’Austria da cui le importazioni
di latte confezionato intero crescono tendenzialmente ancora del 22,6%. A crescere tendenzialmente nel
primo semestre del 2012 sono poi le importazioni dalla Slovenia (+19,3%) e dalla Francia (+33%) mentre
quelle dalla Germania (-3%) e dalla Repubblica Ceca (-34%) continuano a mostrare segno negativo.
Al 2011, il latte confezionato parzialmente scremato è principalmente importato dall’Austria con una quota
superiore al 30%, poi dalla Germania e Francia con pesi determinanti e in forme progressivamente più ridotte
dalla Repubblica Ceca, Slovenia e a seguire Slovacchia, Belgio, Regno Unito e anche la Spagna. In dinamica
è possibile osservare andamenti tendenziali assimilabili, se non ancora più marcati, a quanto accade per il
mercato del latte intero confezionato. La variazione tendenziale tra il 2010 ed 2011 e tra il primo semestre
2012 sul primo semestre 2011 mostrano come le importazioni di latte confezionato parzialmente scremato
crescano unicamente dall’Austria (rispettivamente del 12,2% e del 16,9%) mentre diminuiscano da tutte le
altre aree europee: Germania (-11,4% nel 2011 e -0,8% nel I semestre 2012), la Francia (-4,3% nel 2011 e -
8% nel I semestre 2012), la Slovenia (-42,1% nel 2011 e -4,9% nel I semestre 2012) e la Repubblica Ceca (-
29,9% nel 2012 e -9% nel I semestre 2012).
Figura 4 : Mappe delle Importazioni di latte confezionato intero e parzialmente scremato in Italia per Paese di provenienza, 2011
17
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat
Diversamente dal latte confezionato, per il latte sfuso intero i principali paesi importatori per l’Italia sono la
Germania e la Francia per quote superiori al 30% del totale, poi Slovacchia, Ungheria e Slovenia in forme
comunque determinanti mentre l’Austria scivola in sesta posizione con una incidenza inferiore al 5%. In
ultimo, porzioni marginali di importazioni si rilevano in un ampio numero di paesi tra vecchi e nuovi Paesi
membri dell’Unione Europea: Spagna, Regno Unito, Repubblica Ceca, Olanda, Lussemburgo, Belgio,
Polonia, Grecia, Macedonia ed Estonia. In dinamica, le importazioni di latte sfuso intero mostrano nel 2011
una decisa contrazione dalla Germania (-9,5%) a cui segue un incremento diffuso dalla Francia (+26,4%),
dalla Slovenia (+2,8%), dalla Slovacchia (+54%) e dall’Ungheria (+32%). I dati congiunturali al I semestre
2012 mostrano variazioni tendenziali positive solo in Slovenia (+17,7%) ed Ungheria (-14,4%) mentre le
importazioni di latte sfuso intero continuano a scendere rapidamente in Germania (-22,2%) e mostrano una
inversione di segno in Francia (-33,5%) ed una sostanziale stabilità in Slovacchia (-0,9%).
Il latte parzialmente scremato sfuso è importato principalmente dalla Germania, ed in forme di rilievo da
Germania e Austria. La mappa delle importazioni indica, inoltre, come ad esportare latte sfuso parzialmente
scremato in Italia siano in forma più consistente l’Ungheria, la Slovenia e la Slovacchia ed in forme
progressivamente meno consistenti dal Belgio, Lussemburgo, Olanda, Repubblica Ceca, Regno Unito,
Svizzera e Polonia. In dinamica, le importazioni di latte sfuso parzialmente scremato registrano un
incremento diffuso nel 2011 - Germania (+10%), Austria (+13,9%), Francia (+30,7%) e Slovacchia
(+155,7%) – ed una sola contrazione dall’Ungheria (-20%). I dati al primo semestre 2012, invece, mostrano
un andamento più disomogeneo con la crescita delle importazioni di latte sfuso parzialmente da Germania
(+1,3%), Austria (29,9%) e Ungheria (54%) e una loro contrazione in Francia (-13,3%) e Slovacchia (-
29,7%).
18
Figura 5 : Mappe delle Importazioni di latte sfuso intero e parzialmente scremato in Italia per Paese di provenienza, 2011
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat
19
I costi di produzione del latte
Quanto fino ad ora argomentato stressa in particolare la specificità del caso italiano rispetto al contesto
europeo, in quanto pur essendo tra i principali produttori dell’Unione Europea EU 27 l’Italia produce solo
una quota del proprio fabbisogno interno imponendo una stretta relazione commerciale con gli altri
produttori europei, ed in particolare, come abbiamo visto, con Francia, Germania ed Austria. Proprio per la
sua forte dipendenza dall’estero, diventa prioritario un confronto con i prezzi di produzione tra l’Italia e
alcuni degli altri Paesi. Ovviamente il prezzo del latte alla produzione è strettamente connesso alla
destinazione del latte, all’area geografica di produzione, alla variabilità dei prezzi all’interno del mercato
lattiero-caseario e alla diversa composizione delle dinamiche dei costi di produzione.
Il prezzo del latte italiano subisce una continua flessione mensile ma in generale è possibile vedere come nel
periodo considerato (gennaio 2006-agosto 2012), riferendosi in particolare al prezzo di latte crudo alla stalla
con specifici parametri di quota di grassi e valore proteico in Lombardia, raggiunga il suo massimo agli inizi
del 2008 per poi calare fino all’estate del 2009 e risalire costantemente fino al termine del 2011. I prezzi al
2012, pur rappresentando una stima, registrano una contrazione al primo semestre del 2012 per poi
ridisegnare una curva crescente. In un contesto di forti relazioni commerciali, non è solo importante il prezzo
del latte prodotto italiano ma anche quello rilevato negli altri paesi importatori. Un confronto con le
principali regioni europee da cui l’Italia importa il latte mette in evidenza come il prezzo italiano del latte sia
il più alto con differenze medie che vanno dai 3,45 € per 100 litri rispetto alla Germania (Baviera) e 5,74 €
per 100 litri rispetto alla Francia (Rhône Alpes) fino agli 8,09 € per 100 litri rispetto all’Ungheria.
Tabella 7 : Prezzo del latte alla produzione in Italia e confronto con alcune principali regioni europee
Prezzo alla produzione del latte italiano (Lombardia)
gen-06-ago-2012 (€/100/lt)
Confronto prezzo di produzione tra principali regioni europee
2010-2011-2012 (€/100/lt)
m.g. 3,7% p.v. prot. 3,25% p.v. - euro per 100 lt (iva esclusa)
Fonte: elaborazioni CLAL
La determinazione del prezzo del latte è il risultato di pressioni di costo e ricavi e quindi di fattori di costo e
fattori di produttività e reddittività. Diverse ricerche7 condotte in Europa su campioni di imprese permettono
di sviluppare alcune comparazioni volte a costruire argomentazioni capaci di spiegare le differenze tra i
diversi Paesi Membri.
7Alcune di queste possono trovarsi inRapporto 2011, Il Mercato del Latte a cura del Professore Pieri, nelle banche dati disponibili sul
sito della società di consulenza CLAL www.clal.it, in De Roest K., Menghi A., Corradini E. (2012), Costi di produzione e
trasformazione del latte in Emilia-Romagna, CRPA, Opuscolo n.1/2012
30
32
34
36
38
40
42
44
gen-06 nov-06 set-07 lug-08 mag-09 mar-10 gen-11 nov-11 set-1235,2
31,4 29,9
26,2 27,5
29,4
39,6
35,5 33,0
31,3 31,6 33,6
38,5
33,5 32,0 30,2 30,2 31,0
Lombardia Baviera Rhône Alpes Ungheria RepubblicaSlovacca
RepubblicaCeca
2010 2011 2012
20
Qui di seguito si considerano le analisi di EDF (EuropeanDairyFarmers) sui costi e sui ricavi del latte nel
2009 per alcuni Paesi Europei. L’analisi prodotta da EDF risulta di estremo interesse in quanto coinvolge
allevamenti italiani produttori di latte alimentare con caratteristiche strutturali e produttive confrontabili con
il resto del campione europeo. Una prima osservazione dell’analisi EDF permette di comprendere come in
Italia i ricavi per 100 KG di latte siano i più alti in un confronto con gli altri paesi in dipendenza di una
maggiore valutazione del latte. È possibile però osservare come lo scarso peso della produzione di carne
differenzi l’Italia dagli altri termini di paragone compensando parzialmente il differenziale di prezzo,
raggiungendo il valore massimo in Francia. Se le dinamiche dei costi dipendono in particolar modo dalla
specializzazione produttiva, sono i costi dei fattori produttivi a tracciare le distanze più significative tra i
paesi a confronto. In particolare in Italia il maggior costo totale lordo della produzione di latte è spiegato da
costi più alti negli alimenti, ed in particolare nell’acquisto di mangimi e fertilizzanti, sementi ed
antiparassitari. Il divario di costo è principalmente imputabile alla scarsità di superfici foraggere e quindi al
più consistente ricorso di concentrati: per le aziende produttrici di Parmigiano Reggiano il gap di costo
aumenta per il divieto di utilizzare l’insilato di mais e quindi il necessario utilizzo di alimenti zootecnici.
Oltre al costo per alimenti, i costi diretti italiani sono significativamente più alti a causa di spese energetiche
più onerose, costi di fabbricati più rilevanti e spese veterinarie comparabili solo con quelle registrate in
Francia.
Le differenze di costo tra l’Italia e gli altri paesi aumentano se si considerano i costi dei fattori produttivi a
causa della minor produttività del lavoro, ovvero dalla più ridotta quantità di kg di latte prodotto in un’ora di
lavoro, e dal più alto costo del lavoro nonostante si rilevi una delle remunerazioni del lavoro più basse in un
confronto europeo.
L’osservazione tra gli ultimi grafici permette di cogliere le sinergie tra le singole informazioni: i più alti costi
di produzione in Italia sono sostenibili solo con dinamiche dei prezzi significativamente più alte che riescano
a produrre ricavi più alti degli altri e quindi generino profitti per gli allevamenti.
Tabella 8 : Ricavi e costi della produzione di latte nel 2009
Italia Germania Regno Unito Olanda Francia
peso % peso % peso % peso % peso %
Ricavi (€/100 kg)
Latte 41,74 84,0 27,06 74,0 26,69 78,1 27,42 73,2 30,18 72,2
Carne 2,39 4,8 4,24 11,6 3,69 10,8 3,49 9,3 4,76 11,4
Contributi 4,03 8,1 3,69 10,1 3,14 9,2 3,93 10,5 3,85 9,2
Altri ricavi 1,55 3,1 1,59 4,3 0,65 1,9 2,63 7,0 3 7,2
Totale ricavi 49,71 100,0 36,58 100,0 34,17 100,0 37,47 100,0 41,79 100,0
Costi (€/100 kg)
Acquisto animali 0,3 0,6 1,03 2,7 0,68 2,2 0,43 1,0 0,56 1,3
Alimenti e fertilizzanti 14,59 29,9 9,88 26,3 8,69 27,8 7,84 17,6 10,27 23,5
Macchine 4,71 9,7 5,59 14,9 4,36 13,9 7,45 16,7 6,15 14,0
Carburanti, elettricità, acqua 2,62 5,4 2,18 5,8 1,34 4,3 1,78 4,0 1,39 3,2
Fabbricati 4,28 8,8 2,16 5,7 1,33 4,2 3,79 8,5 3,08 7,0
Veterinario 2,27 4,7 1,57 4,2 1,48 4,7 1,87 4,2 2,22 5,1
Altri costi 4,55 9,3 0,67 1,8 3,31 10,6 3,35 7,5 5,18 11,8
Totale costi diretti 33,32 68,3 26,07 69,4 21,2 67,7 26,51 59,5 28,85 65,9
Costo del capitale fondiario 2,54 5,2 2,25 6,0 2,75 8,8 4,7 10,6 2,08 4,8
Costo del lavoro 11,46 23,5 7,35 19,6 5,95 19,0 7,42 16,7 10,61 24,2
Costo del capitale agrario 1,47 3,0 1,9 5,1 1,4 4,5 5,91 13,3 2,24 5,1
Totale costo dei fattori produttivi 15,47 31,7 11,5 30,6 10,1 32,3 18,03 40,5 14,93 34,1
Costo totale lordo 48,79 100,0 37,57 100,0 31,3 100,0 44,54 100,0 43,78 100,0
Utile lordo carne+ contributi 7,97 8,54 7,17 10,05 10,07
Costo netto di produzione 40,82 29,03 24,13 34,49 33,71
Remunerazione del lavoro (€/h) 11,21 14,84 12,66 11,95 8,35
Produttività del lavoro (Kg/h) 95 225 241 270 158
Fonte: EDF
21
Ma all’interno del singolo paese diverse sono le differenze tra i territori a seconda delle prevalenti
destinazioni del latte. Un’analisi dei costi di produzione prodotta da Ismea mette a confronto le principali
regioni italiane produttrici di latte. I dati permettono contemporaneamente di cogliere le specificità in un
rapporto interregionale e cominciare ad aprire il confronto tra le due aree di approfondimento all’interno del
rapporto di ricerca: Lombardia ed Emilia-Romagna. In Lombardia il costo di produzione risulta più basso
principalmente per il più basso costo dei mangimi acquistati (10,88 € contro i 17,48 € dell’Emilia-Romagna
in pianura e 17,22 € dell’Emilia-Romagna in montagna) tra i costi diretti. In Trentino così come nelle
imprese in montagna dell’Emilia-Romagna è elevata l’incidenza delle spese per l’acquisto di foraggi e dei
costi energetici.
Appare evidente come il costo di produzione del latte sia intimamente correlato alla destinazione del latte. Il
più alto costo dell’Emilia-Romagna, rispetto alla Lombardia, è dunque da attribuirsi alla prevalente
destinazione a Parmigiano Reggiano del latte prodotto i cui costi differiscono dalle aree di destinazione a
latte alimentare o Grana Padana a causa del più alto costo dei mangimi (17,48 € in pianura e 17,22 € in
montagna a fronte dell’11,51 € nelle aree a latte alimentare/Grana Padana su 100 kg di latte prodotto) e dei
costi energetici. Per quanto afferisce la produzione in Emilia-Romagna la distinzione di costo tra pianura e
montagna è prioritariamente imputabile al differenziale di costo totale dei fattori di produzione: in particolare
se in “pianura” è più alto il costo del lavoro dipendente, in “montagna” è il costo del lavoro familiare a
trainare verso l’alto il costo complessivo. Se complessivamente il costo del latte alla stalla a prescindere dal
luogo di produzione è spiegato in più larga quota dal prezzo degli alimenti, l’andamento a crescere dei prezzi
degli alimenti zootecnici registratosi fino dal 2009 unitamente agli effetti della siccità del 2012 sul prezzo dei
cereali impatterà sul costo e prezzo del latte, soprattutto per quello a destinazione Parmigiano Reggiano per il
più ampio uso di cereali e concentrati.
In ultimo, la comparazione tra costi e ricavi consente di sottolineare come nonostante le diverse strutture dei
costi nel 2010 la produzione di latte sia risultato particolarmente proficua in Emilia-Romagna (10,82 €/100
kg per la pianura e 12,35 €/100kg) con margini di profitto superiori a Trentino e Lombardia, rispettivamente
6,65 €/100kg e 4,92 €/100kg.
Figura 6 : Costi e ricavi del latte prodotto (100 kg di latte prodotto) per regioni italiane nel 2010
Fonte:Ismea
24,05 26,88 33,74 31,7 31,37 30,53
4,89 3,36
0,95 1,71 4,89
2,97
14,65 18,54
33,73
18,23
14,65 25,07
48,51 49,72
75,08
48,37
65,49
70,92
42,06 41,74
61,59
42,97
59,3
62,82
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Lombardia Veneto Trentino Sardegna Emilia-Romagna(Pianura)
Emilia-Romagna(Montagna)
Costi diretti Costi fattori produttivi Costi calcolati Ricavi del latte Prezzo del latte
22
La filiera del latte come catena del valore
Da una panoramica internazionale ed europea delle caratteristiche della produzione del latte e da una
riflessione sulla composizione dei relativi costi in una prospettiva prima europea e poi nazionale, si è voluto
sommariamente ripercorrere i tratti caratterizzanti la prima fase della lunga filiera del latte, ovvero la
produzione. Ma la filiera genera una catena del valore che trova nella produzione il suo inizio per poi
coinvolgere in forme e misure diverse le diverse fasi di trasformazione fino a giungere ai diversi canali di
distribuzione. Lo studio della filiera del latte, per essere esaustiva, deve, quindi, necessariamente estendersi
alle diverse fasi della lavorazione e commercializzazione del latte per comprenderne le singole specificità. Si
propone, quindi, qui di seguito una ricomposizione delle diverse fasi della filiera del latte per posizionamento
lunga la catena del valore e per prodotto. Una volta assimilati i rapporti di filiera, il rapporto di ricerca
continuerà nell’approfondimento delle fasi successivi alla produzione, ovvero alla trasformazione industriale
e alla distribuzione attraverso tecniche e metodologie differenti ma complementari.
Il Rapporto del Mercato 2011 realizzato dal gruppo di ricerca dell’Osservatorio sul Mercato dei Prodotti
Zootecnici, coordinato e curato dal prof. Renato Pieri, propone da anni una ricostruzione del valore sistema
latte lungo la filiera. Il lavoro accurato e tecnicamente sofisticato elaborato dal gruppo di ricerca stima al
2010 un valore industriale complessivo di 14,8 miliardi di euro (con una variazione tendenziale pari al
7,1%), comprendendo però solo i prodotti importati direttamente commerciati e non passati attraverso fasi di
trasformazione allo scopo di restituire una stima del valore del sistema latte dentro i confini nazionali.
Figura 7 : La catena del valore dei prodotti lattiero caseari in Italia nel 2010 (milioni di euro) –valore materie prime 2010=100
Materie prime nazionali
Materie prime
Materia prima importata
85,3% 100 14,7
2,70% sul 2009
6,70% sul 2009
37,20% sul 2009
Totale valore industriale
313,1 Latte UHT
7,10% sul 2009
42,4% 5,10% sul 2009
Latte alimentare
altri prodotti
Formaggi
16,5%
30,0%
53,5%
3,80% sul 2009
11,80% sul 2009
5,60% sul 2009
Latte fresco
57,6%
2,90% sul 2009
Valore finale generato dalla filiera
510,8
2% sul 2009
Totale retail
Totale export
Totale Horeca
57,8%
8,0%
34,1%
0,90% sul 2009
23,30% sul 2009
-0,20% sul 2009
I valori tra parentesi rappresentano le variazioni percentuali rispetto all’anno precedente Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat, Nielsen-Isma tratto dal Rapporto 2011, Il Mercato del Latte -p.14
23
Oltre ad aver generato un incremento valoriale per le materie prime di derivazione nazionale, la crescita del
prezzo del latte nel 2010, grazie all’importante aumento del prezzo dei formaggi grana, ha anche prodotto un
ri-orientamento verso l’estero delle politiche di approvvigionamento di materia prima per la realizzazione di
tutti quei prodotti non riconducibili alla lavorazione dei grana. Considerato l’alto valore di mercato dei grana,
larga quota del latte prodotto in Italia ha mantenuto una destinazione a Parmigiano Reggiano e Grana Padano
obbligando all’intensificazione del canale dell’import.
L’incremento del prezzo del latte ha così generato contemporaneamente un incremento valoriale delle
materie prime nazionali e delle materie prime importate. Ma non solo. La stessa produzione industriale ne ha
beneficiato con un incremento del 7,1% del proprio valore sul 2009 rimarcandone la stretta dipendenza dalla
produzione dei formaggi. Oltre il 50% del valore industriale del sistema latte è infatti spiegato, nel 2010,
dalla produzione dei formaggi mentre il latte alimentare ha un peso complessivo del 16,5%, con una quota di
valore più ampia per il latte fresco (Figura 7).
Alla crescita di oltre il 7,1% del valore industriale della trasformazione del latte non è però corrisposto un
ugual aumento del valore finale della filiera (+2%) in quanto l’aumento dei prezzi alla produzione non si è
immediatamente tradotto in un aumento del prezzo al consumo. È comunque da segnalare come le tre scelte
conclusive della filiera (retail, esportazioni, e HORECA ovvero hotel ristoranti e catering) vedano andamenti
diversi. Il retail, ovvero l’acquisto domestico, rappresenta da solo circa il 57% del valore in uscita dalla
filiera con un incremento dello 0,9% rispetto all’anno precedente: il valore finale della filiera in uscita retail
vede una contrazione di valore del latte alimentare ed, al contrario, un aumento del valore dei formaggi. Gli
hotel, ristoranti e catering assorbono circa il 34% del valore finale della filiera registrando una sostanziale
stabilità rispetto al 2009 mentre le esportazioni, trainate soprattutto dai formaggi DOP, segnalano un
incremento di valore pari a 23,3%.
Complessivamente è quindi possibile osservare come l’attraversamento di tutta filiera, ovvero dalla
produzione alla distribuzione, generi una crescita di oltre il 410% del valore delle materie prime mentre la
trasformazione accresca il valore delle materie prime di oltre il 210% ed il passaggio dalla trasformazione
alla distribuzione produca un innalzamento del valore di oltre il 60%. In ultimo, si noti come portando a 100
il valore finale della filiera la produzione incida nel 2010 per il 20%, la trasformazione industriale per circa il
42% e la distribuzione per circa il 39%. Una comparazione tra il 2009 ed il 2010 mostra come
sostanzialmente l’aumento dei prezzi alla produzione e l’incremento delle importazioni di materie prime non
abbiano portato a vistosi cambiamenti nelle fasi a valle di produzione in termini di incidenza del valore.
Figura 8 : I rapporti di valore nella filiera lattiero casearia
Fonte: Elaborazioni Ismeadu dati Istat, Nielsen-Ismea, Osservatorio del latte
24
II Parte – Le principali dimensioni quantitative della filiera del latte
alimentare
Introduzione
Nel capitolo che segue saranno osservate le dimensioni quantitative delle principali fasi della filiera
produttiva del latte alimentare, ricorrendo a diverse basi informative e metodi di rappresentazione. Ciascuna
delle tre fasi di filiera prese in considerazione, produzione, trasformazione e distribuzione, sarà osservata
sotto tre punti di vista: il primo è l’ultima istantanea rilevabile dai dati Istat, attraverso cui saranno fornite le
quantità assolute della produzione all’ultimo anno disponibile, il 2010; il secondo punto di vista è quello
della dinamica temporale. Si cercherà cioè di sintetizzare i cambiamenti occorsi in ciascuna fase negli ultimi
anni. Infine, il terzo sottoparagrafo consiste in un confronto territoriale, ove possibile, tra le due regioni
oggetto della presente analisi: Emilia-Romagna e Lombardia.
La produzione di latte alimentare in Italia
Dei 112.077.959 quintali di latte raccolti in Italia presso le aziende agricole nel 2010, quasi 106 milioni di
quintali sono di latte vaccino (94,33%), proveniente essenzialmente dai 50.337 allevamenti di vacche da latte
censiti al 2010 nello stesso anno. Nella tabella 9 è in effetti possibile osservare come, a differenza di quanto
avviene per il latte di altre origini, tutte le regioni italiane contribuiscono alla produzione del latte di vacca,
sebbene con pesi sul totale e modalità estremamente diversi. Nella tabella subito successiva (Tab. 10), infatti,
si osserva come una quota maggiore del latte vaccino, pari al 59,33%, provenga dall’Emilia-Romagna e
soprattutto dalla Lombardia, con, rispettivamente, il 20,57% e 38,76% di latte prodotto. In realtà, come è
stato fatto notare da Pieri (2011: 101), a produrre oltre la metà (50,3%) del latte italiano sono solo otto
province, di cui quattro in Lombardia, Brescia (10,9%), Cremona (10,1%), Mantova (7,4%) e Lodi (3,9%);
due in Emilia: Parma, con il 5,3% di latte prodotto e Reggio Emilia, con il 4,8% e una, l’unica delle otto
province fuori dalle due regioni, piemontese, Cuneo con il 4,4%.
25
Tabella 9: Latte raccolto presso le aziende agricole dall'industria lattiero-casearia per tipo (quantità in Quintali). Dettaglio per regione - Anno 2010.
Regioni Latte di vacca Latte di pecora Latte di
capra Latte di bufala Totale
Piemonte 8.283.282 17.275 23.977 7.978 8.332.512
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 324.411 - 3.687 - 328.098
Lombardia 40.985.825 2.910 42.295 20.423 41.051.453
Liguria 233.446 - 1.185 - 234.631
Trentino-Alto Adige 5.145.290 - 9.700 - 5.154.990
Veneto 10.038.990 2.772 20.589 5.850 10.068.201
Friuli-Venezia Giulia 1.905.028 - 91 10.572 1.915.691
Emilia-Romagna 21.752.820 12.046 - - 21.764.866
Toscana 727.186 687.862 1.151 2.772 1.418.971
Umbria 631.729 29.613 114 - 661.456
Marche 564.737 34.112 - 2.620 601.469
Lazio 4.521.244 416.504 16.097 266.950 5.220.795
Abruzzo 318.593 34.278 348 - 353.219
Molise 707.421 - - 333 707.754
Campania 2.416.010 19.826 554 1.420.178 3.856.568
Puglia 2.369.246 36.336 8.239 10.217 2.424.038
Basilicata 241.510 1.258 3.333 765 246.866
Calabria 601.107 23.886 250 46 625.289
Sicilia 1.580.213 171.195 3.686 25.651 1.780.745
Sardegna 2.383.726 2.832.349 114.052 220 5.330.347
ITALIA 105.731.814 4.322.222 249.348 1.774.575 112.077.959
Fonte: ISTAT 2010
26
Tabella 10: Latte di vacca raccolto presso le aziende agricole dall' industria lattiero-casearia e contenuto in grasso e proteine (quantità in quintali) . Dettaglio per regione - Anno 2010.
Regioni
Latte di vacca raccolto
Quantità (val. ass.) Tenore percentuale di materia
grassa
Tenore percentuale di
proteine
% per
regione
Piemonte 8.283.282 3,83 3,4 7,83
Valle d'Aosta/Vallée
d'Aoste 324.411 3,55 3,52 0,31
Lombardia 40.985.825 3,78 3,39 38,76
Liguria 233.446 3,69 3,29 0,22
Trentino-Alto Adige 5.145.290 4,13 3,43 4,87
Bolzano/Bozen 3.648.418 4,23 3,45 3,45
Trento 1.496.872 3,86 3,37 1,42
Veneto 10.038.990 3,56 3,35 9,49
Friuli-Venezia Giulia 1.905.028 3,85 3,41 1,8
Emilia-Romagna 21.752.820 3,45 3,24 20,57
Toscana 727.186 3,64 3,23 0,69
Umbria 631.729 3,72 3,33 0,6
Marche 564.737 3,6 3,3 0,53
Lazio 4.521.244 3,63 3,23 4,28
Abruzzo 318.593 3,65 3,49 0,3
Molise 707.421 3,64 3,25 0,67
Campania 2.416.010 3,61 3,24 2,29
Puglia 2.369.246 3,64 3,33 2,24
Basilicata 241.510 3,58 3,33 0,23
Calabria 601.107 3,82 3,44 0,57
Sicilia 1.580.213 3,77 3,36 1,49
Sardegna 2.383.726 3,59 3,3 2,25
ITALIA 105.731.814 3,7 3,35 100
Fonte: ISTAT 2010
Già da queste prime osservazioni sugli ultimi dati disponibili è dunque possibile notare alcune
differenziazioni tra le varie regioni italiane. Se, infatti, generalmente la produzione alimentare è quella che
più di altre si intreccia con le molteplici caratteristiche dei territori, dalla conformazione fisica al tessuto
culturale e sociale, nel caso del latte e dei suoi derivati tali differenziazioni investono l’intera filiera, dalla
qualità del prodotto, al modo di raccoglierlo, trattarlo e distribuirlo. Si notino, in tal senso, le specificità del
tutto territoriali delle produzioni di latte non di vacca, soprattutto per quanto riguarda il latte di pecora e
capra in Sardegna e di bufala in Campania, così come rappresentate in Tabella 9.
Come si accennava, tuttavia, le differenziazioni non riguardano solo l’origine animale del latte prodotto.
Anche il tipo di unità produttive costituiscono un significativo elemento di differenziazione, questo sia per
quanto riguarda la produzione di latte, per così dire alla stalla, sia per quanto riguarda i siti di trasformazione.
Mentre per il secondo punto rimandiamo al paragrafo successivo, con riferimento al primo punto, basti
osservare la mappa in Figura 9, dove su base comunale sono state rappresentate le medie della consistenza
degli allevamenti di vacche da latte.
27
Figura 9: consistenza degli allevamenti (medie comunali Censimento dell'agricoltura 2010)
Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT
28
A fronte di una sostanziale omogeneità dell’ampiezza degli allevamenti in Italia, dove la gran parte non
supera i 50 capi e anzi l’ampiezza media nazionale è di 31,7 capi per allevamento, in determinate zone più
ampie dei singoli comuni, particolarmente adatte anche dal punto di vista fisico e geologico, la media cresce
fino ad oltre cinquanta capi, come avviene soprattutto nella pianura Padana ma anche in altre zone
pianeggianti d’Italia.
Un quadro in forte trasformazione
Quanto evidenziato nel paragrafo appena concluso è il risultato di profonde trasformazioni che hanno
riguardato l’intera filiera produttiva del latte per almeno l’ultimo decennio imputabili a diverse questioni che
solo in parte possono essere osservate sotto un profilo quantitativo e che, quindi, saranno oggetto delle
riflessioni che scaturiranno dalla fase di ricerca sul campo. Tuttavia, sin da ora è difficile immaginare di
poter tracciare le principali tendenze del settore senza almeno richiamare le molteplici fonti di pressione sul
comparto della produzione di latte, da quelle più interne alle dinamiche economiche, come la più aspra
competizione dovuta all’ingresso di nuovi attori sul mercato, i cambiamenti sul piano della domanda di beni
di consumo e la redistribuzione del potere all’interno della filiera8; arrivando a quelle più esterne, quali le
leggi, le certificazioni richieste e i disciplinari che di fatto incidono sulla sopravvivenza delle imprese in un
mercato delicato come quello lattiero.
Partendo dalla “stalla”, nell’arco temporale intercorso tra i due censimenti si è assistito ad un sostanziale
ingrandimento degli allevamenti. Stando ai dati del penultimo censimento, infatti, si è passati da una
consistenza media di 23,68 capi per allevamento nel 2000 ai 31,77 del 2010. Un incremento che di certo può
leggersi nell’ottica di una progressiva intensificazione dell’attività di allevamento. Come d’altra parte è
possibile osservare nella Tabella 11, in cui la variazione della produzione di latte dal 2002 al 2010 (l’arco
temporale di cui l’ISTAT rende disponibile le informazioni non censuarie), è aumentata del 6,17%.
A fronte di questo aumento, si rilevano comunque importanti differenziazioni tra le varie regioni e per
tipologia latte. Mentre la produzione di latte di pecora è pressoché invariata, le produzioni di latte caprino e
di bufala sono cresciute di circa il 55% e il 43%, quindi molto più di quello vaccino (+5,9%).
Osservando la Tabella 11, le suggestioni che se ne ricavano sono essenzialmente due, la prima è che a fronte
di un consistente calo della produzione registrato per nove regioni su venti, più nel mezzogiorno che nel
settentrione, le regioni che tengono sono anche quelle la cui produzione è più significativa, così da trainare
l’intero territorio sul terreno della variazione positiva. Ciò sembra correlarsi, e questa è la seconda
suggestione, ad un sostanziale fenomeno di specializzazione territoriale della produzione. Proviamo a
metterla a fuoco.
8 Cfr. tra gli altri, D. Freddi e G. De Angelis. "Le filiere dell'agroalimentare, della meccanica e della moda in provincia di Bologna".
Bologna. IRES Emilia-Romagna. 2012; reperibile all’indirizzo http://www.ireser.it/administrator/components/com_jresearch/files/publications/Testo%20rapporto%20filiere.pdf
29
Tabella 11: Latte raccolto presso le aziende agricole dall'industria lattiero-casearia per tipo (quantità in quintali) . Var % 2002 - 2010
Regioni Latte di vacca Latte di
pecora Latte di capra
Latte di
bufala Totale
Piemonte 6,88 977,67 1004,93 - 7,47
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 4,73 - - - 5,92
Lombardia 10,51 - 316,74 -48,19 10,54
Liguria -28,59 - -50,79 - -28,75
Trentino-Alto Adige 0,88 - 83,3 - 0,97
Bolzano/Bozen 1,82 - 1034,34 - 1,94
Trento -1,33 - -1,03 - -1,33
Veneto 1,86 -67,53 194,51 -11,78 1,93
Friuli-Venezia Giulia -33,94 - -61,11 60,35 -33,73
Emilia-Romagna 29,68 -58,76 -100 -100 29,49
Toscana -29,09 4,83 -75,49 -79,55 -16,53
Umbria -18,37 -21,31 -92,93 - -18,65
Marche 7,14 -23,24 -100 -63,63 3,91
Lazio -27,32 8,41 112,03 13,93 -23,75
Abruzzo -41,13 56,95 - -100 -37,26
Molise -28,47 - - - -28,44
Campania -16,66 3,57 -85,28 57,15 0,81
Puglia -9,13 -44,54 -68,72 -4,01 -10,55
Basilicata 9,16 -74,84 -13,02 25 7,02
Calabria 31,43 777,19 8,23 - 35,84
Sicilia 7,74 222,18 - 1142,18 17,01
Sardegna 17,34 -5,14 34,12 -98,46 4,18
ITALIA 5,89 0,17 54,84 42,81 6,17 Fonte: ISTAT
Al nord Friuli e Liguria riducono le produzioni per le fonti più consolidate (vacca e pecora), ma mentre in
Liguria non si sono rilevate altre variazioni positive, in Friuli cresce quella del latte di bufala. Si tratta
dell’unica regione del settentrione a modificare in positivo la produzione di latte di bufala, che invece
scompare del tutto in Emilia-Romagna e si riduce di quasi la metà in Lombardia. Anche per quanto riguarda
il latte ovino e caprino, le conformazioni morfologiche dei territori determinano sicuramente un impatto sulle
produzioni, favorendo alcune specializzazioni. È certamente il caso abruzzese, la cui produzione di latte di
bufala scompare e quella di latte vaccino si riduce di circa il 47%, mentre cresce di oltre il 56% la
produzione del latte di pecora. Analogamente in Campania, le produzioni subiscono una forte concentrazione
rispetto al latte di bufala, mentre vanno riducendosi quelle di altre origini. Al sud Sicilia e Calabria sono le
regioni che nel periodo hanno accresciuto maggiormente le produzioni, soprattutto per quanto riguarda
quelle di origine alternativa al latte vaccino. Il latte di pecora, infatti, nelle due regioni aumenta,
rispettivamente del 222% e 777%, mentre in Sicilia il latte di bufala ha un incremento pari al 1.142%.
Comunque se la Calabria è la regione che aumenta maggiormente la produzione complessiva di latte (36%),
in termini assoluti siamo molto al di sotto di altre regioni con produzioni più consolidate. L’Emilia-Romagna
30
e la Lombardia in particolare, oltre a produrre da sole quasi il 60% del latte prodotto in Italia, nel corso del
periodo hanno ulteriormente rafforzato la loro posizione, incrementando le produzioni rispettivamente del
29,5% e 11%. Si tratta di variazioni evidentemente legate alla produzione di latte vaccino, infatti se in
Emilia-Romagna le altre origini variano significativamente in negativo, in Lombardia l’incremento di oltre il
316% del latte caprino non incide sulla variazione totale (+10,54%), del tutto schiacciata su quella di
produzione di latte vaccino (+10,51%).
Con riferimento al solo latte vaccino, e come già accennato, il periodo ha visto un complessivo incremento
della produzione.
Tabella 12: Latte di vacca raccolto presso le aziende agricole dall' industria lattiero-casearia. Var. su 2002
Regioni Latte di vacca raccolto
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Piemonte -3,66 -5,8 -2,34 -5,38 -7,4 1,92 5,44 6,88
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste -9,1 -0,29 -0,3 1,31 6,68 -0,58 -9,46 4,73
Lombardia 3,35 0 -0,9 3,97 4,28 9,12 9,76 10,51
Liguria -21,92 0,55 0 -10,83 -12,71 -13,31 -32,27 -28,59
Trentino-Alto Adige 2,92 3,36 0,3 5,28 2,18 -4,39 -3,04 0,88
Veneto -5,6 -0,54 0,61 -11,02 -6,48 5,53 4,19 1,86
Friuli-Venezia Giulia -2,33 1,07 0,9 4,62 -4,67 -34,46 -33,94 -33,94
Emilia-Romagna -0,08 -0,56 -2,89 21,85 25,81 25,09 26,56 29,68
Toscana -8,25 3,76 0,63 -35,49 -40,77 -27,59 -24,8 -29,09
Umbria 9,67 0,56 -1,85 11,41 -8,85 -13,92 -20,97 -18,37
Marche -13,23 -0,56 -1,22 -15,46 27,81 11,97 -5,9 7,14
Lazio 3,6 -1,38 0,31 -10,39 -15,15 -15,48 -17,72 -27,32
Abruzzo -2,84 -0,56 -1,82 -38,14 -34,38 -36,08 -45,45 -41,13
Molise 2,08 -0,28 0 9,5 10,68 -5,13 -17,49 -28,47
Campania -0,83 3,19 0 -23,84 -17,87 -19,68 -15,26 -16,66
Puglia -7,53 -0,28 0,31 -22,02 -13,97 -8,97 -8,94 -9,13
Basilicata 6,75 -0,28 2,52 35,43 13,45 -14,76 20,87 9,16
Calabria 7,81 -2,89 -1,76 35,22 36,9 28,28 29,11 31,43
Sicilia -14,53 -1,12 -1,86 6 0,86 11,29 11,55 7,74
Sardegna -3,6 0 -1,51 6,16 8,87 5,08 20,1 17,34
ITALIA 0,07 0,27 -0,61 2,08 2,81 5,05 5,76 5,89
Fonte: ISTAT
A partire dal 2002 al 2010 la produzione è, infatti, cresciuta di circa il 6% e in particolare sono il 2006 e il
2008 gli anni caratterizzati dalla maggiore accelerazione. Il primo, il 2006, concentra l’incremento di
produzione in Emilia-Romagna, Basilicata e Calabria (+22% e +35% rispetto al 2002), il 2008 invece a
fronte del consolidamento dell’incremento in Emilia-Romagna (+25%), si osserva un aumento della
produzione in Lombardia (+9,12%) che più che raddoppia l’incremento meno importante avuto nel 2006
(+4%), mentre si ridimensiona quello delle due regioni del meridione.
Osservando la variazione anno su anno è più facile notare come, al netto delle dinamiche territoriali che
comunque prevalgono sul resto – non c’è un anno assolutamente negativo o uno assolutamente positivo –, sia
per l’Emilia-Romagna che per la Lombardia, le due regioni più significative, dopo un’annata di
accelerazione segue un biennio di sostanziale consolidamento.
31
Tabella 13: Latte di vacca raccolto presso le aziende agricole dall' industria lattiero-casearia. Var. su anno precedente
Regioni Latte di vacca raccolto
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Piemonte -3,66 -2,22 3,68 -3,11 -2,13 10,06 3,45 1,38
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste -9,1 9,6 -0,58 2,28 5,3 -6,8 -8,93 15,67
Lombardia 3,35 -0,08 2,08 -1,37 0,29 4,64 0,59 0,68
Liguria -21,92 -16,97 20,56 14,1 -2,11 -0,69 -21,87 5,43
Trentino-Alto Adige 2,92 1,8 4,83 -4,15 -2,95 -6,43 1,41 4,04
Veneto -5,6 3,45 -3,6 -5,49 5,1 12,84 -1,27 -2,23
Friuli-Venezia Giulia -2,33 5,17 15,57 -11,87 -8,88 -31,25 0,79 -0,01
Emilia-Romagna -0,08 0,74 0,78 20,11 3,25 -0,57 1,17 2,46
Toscana -8,25 -13,38 -10,23 -9,59 -8,18 22,25 3,86 -5,71
Umbria 9,67 -11,77 19,8 -3,88 -18,19 -5,56 -8,19 3,29
Marche -13,23 1,76 15,82 -17,33 51,19 -12,39 -15,96 13,86
Lazio 3,6 -5,91 -3,74 -4,51 -5,31 -0,38 -2,65 -11,67
Abruzzo -2,84 11,29 15,76 -50,58 6,08 -2,6 -14,65 7,93
Molise 2,08 -0,9 9,99 -1,59 1,08 -14,29 -13,02 -13,31
Campania -0,83 -3,05 -0,16 -20,66 7,84 -2,21 5,5 -1,65
Puglia -7,53 -5,39 11,25 -19,89 10,33 5,81 0,04 -0,21
Basilicata 6,75 19,1 -11,94 20,97 -16,23 -24,87 41,8 -9,68
Calabria 7,81 6,18 20,15 -1,69 1,24 -6,3 0,65 1,79
Sicilia -14,53 -5,61 29,45 1,5 -4,84 10,33 0,23 -3,41
Sardegna -3,6 3,25 4,15 2,41 2,56 -3,49 14,29 -2,3
ITALIA 0,07 -0,23 2,48 -0,23 0,71 2,18 0,68 0,12
Fonte: ISTAT
Quanto affermato vale sia per la Lombardia, i cui incrementi principali sono del 2003 e del 2008 ciascuno
seguito da un periodo di assestamento, sia per l’Emilia Romagna, dove a seguito di un incremento del 20%
nel 2006 rispetto all’anno precedente, il consolidamento negli anni successivi è stato caratterizzato da
modeste variazioni comprese tra il -0,57% del 2008 al +3,25% del 2007.
Il focus tra Emilia-Romagna e Lombardia Le dinamiche messe in evidenza sin qui riguardano l’intero territorio nazionale, ma si è anche visto come
difficilmente tali dinamiche possono essere lette senza continui riferimenti a quanto avviene nelle due
regioni oggetto del presente lavoro, di fatto la locomotiva del settore con il 25,3% degli allevamenti con
vacche da latte e il 49,6% dei capi presenti in Italia.
Ciò chiarisce perché sin dall’analisi delle prime fasi della produzione si è fatto riferimento a come la
specificità dei due territori caratterizzasse l’intero panorama nazionale. In tal senso, oltre al peso delle
zootecnie da latte regionali su quella nazionale, la consistenza degli allevamenti vista in precedenza
attraverso la rappresentazione cartografica costituisce un primo tratto distintivo dei territori emiliano-
romagnolo e lombardo dagli altri. Ciò sia osservando staticamente i dati all’ultimo aggiornamento
disponibile, sia con riferimento al confronto tra i due censimenti del 2000 e del 2010.
32
Per quanto riguarda il primo aspetto, nella mappa in Figura 10 è possibile notare, ad un maggior dettaglio di
quanto fatto in precedenza, come la zona da cui proviene circa la metà del latte italiano (49,9%9) sia anche
quella con una zootecnia da latte maggiormente strutturata, zona costituita essenzialmente dall’adiacenza tra
le province sud-orientali della Lombardia e nord-occidentali dell’Emilia-Romagna, cui si aggiunge la
provincia di Verona.
Nonostante un’apparente omogeneità, data dalla rappresentazione cartografica, le due regioni sono in realtà
molto diverse tra loro. Tale diversità può intravedersi a partire dall’osservazione del confronto tra i dati
censuari del 2000 e quelli del 2010. La consistenza media degli allevamenti, infatti, certamente superiore
nelle due regioni che nell’intero territorio italiano, è il risultato di due percorsi differenti. Nella Tabella 14 è
possibile osservare come i dieci anni tra i due censimenti abbiano fatto registrare una complessiva perdita di
significatività delle due regioni rispetto al territorio nazionale, sia in termini di aziende (-7%) che di capi (-
7,4%); ma anche che tale perdita ha avuto un significato diverso tra i due territori. Mentre, infatti, la perdita
in termini di aziende per l’Emilia-Romagna si accompagna ad una minore perdita in termini di capi
(rispettivamente, il -3,9% a fronte del -3,3%) in Lombardia ad una diminuzione delle aziende del 3%
corrisponde una perdita di capi del 4%. Da ciò deriva una maggiore intensificazione degli allevamenti
emiliano-romagnoli. Infatti, mentre dal 2000 al 2010 la consistenza media degli allevamenti nelle due regioni
è passata da 41,8 a 62,3 capi, le aziende emiliano-romagnole sono cresciute, mediamente, di 22,1 capi e
quelle Lombarde di 19.
9Il 49,9% è dato dalla somma di quanto conferito nell’ultima campagna 2010/2011 nelle provincie Lombarde di Brescia (10,9%),
Cremona (10,1%), Mantova (7,4%) e Lodi (3,9%); quelle Emiliane di Parma (5,3%), Reggio Emilia (4,8%), Modena (2,7%),
Piacenza (2,3%) e, infine, Verona (2,5%), (cfr. Pieri 2011: 201)
33
Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT
Figura 10: consistenza degli allevamenti (medie comunali Censimento dell'agricoltura 2010)
34
Tabella 14: Val. Assoluti e Percentuali di Numero Aziende e Capi per regione, consistenza media degli allevamenti
Val. Assoluti Val. %
Consistenza
media
allevamenti
2000 2010 2000 2010
2000 2010 Aziende Capi Aziende Capi Aziende Capi Aziende Capi
Lombardia 12.291 559.913 8.463 546.320 19,8 38,2 16,8 34,2 45,6 64,6
ER 7.688 275.838 4.272 247.632 12,4 18,8 8,5 15,5 35,9 58
Tot. ER+Lomb 19.979 835.751 12.735 793.952 32,3 57 25,3 49,6 41,8 62,3
ITALIA 61.931 1.466.818 50.337 1.599.442 100 100 100 100 23,7 31,8
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
La tendenza appena evidenziata, suggerita dall’osservazione dei dati censuari complessivi, può essere ancor
più visibile osservando la variazione del numero delle aziende e dei capi per classe dimensionale. In questi
termini, il confronto tra le due regioni e il territorio nazionale rappresentato nei due istogrammi successivi,
permette di entrare in un maggiore dettaglio.
Osservando la variazione delle aziende (grafico in Figura 11) si nota chiaramente come se complessivamente
le aziende a diminuire di più siano quelle di dimensioni più ridotte, ciò avviene più in Emilia-Romagna che
non in Lombardia. Le posizioni si invertono nettamente in corrispondenza delle aziende più grandi, dai 50 ai
99 capi, mentre per la classe successiva, quella cioè oltre i 99 capi, i valori assumono un segno positivo sia
per l’intero territorio nazionale (+37,9%) sia che, in misura minore, per l’Emilia-Romagna (+33%) e, ancora
minore, per la Lombardia (13,8%). Nel decennio quindi, a fronte di una complessiva perdita in termini di
aziende, si registra una maggiore contrazione di quelle di dimensioni più ridotte, una caratteristica più diffusa
in Emilia-Romagna che non in Lombardia e motivo della differenziazione dei trend tra le due regioni.
Quanto osservato per le aziende è necessariamente rilevabile anche per i capi di bestiame, che anzi
evidenziano le tendenze richiamate poco sopra. L’aumento delle dimensioni aziendali riduce, infatti, il
decremento complessivo, visto per le aziende, del numero dei capi sia in Lombardia che in Emilia-Romagna,
portando anzi quello nazionale sul terreno positivo della variazione (+9%).
Dunque, in sintesi, nonostante una riduzione del peso che le due regioni hanno sulla zootecnia da latte
nazionale in termini di fattori produttivi, dal 2000 al 2010 si è assistito ad una sostanziale trasformazione
degli allevamenti nel senso di una maggiore intensificazione. Osservazione valida più per l’Emilia-Romagna
che non per la Lombardia, dove già gli allevamenti si caratterizzavano per una maggiore consistenza. A
fronte di una certa riduzione delle aziende, infatti, si registra un inferiore decremento dei capi. Nei paragrafi
successivi si avrà modo di osservare come tale riduzione della frammentazione imprenditoriale alla “stalla”
si inserisca nel quadro, più esteso, della filiera produttiva di latte alimentare.
35
Figura 11: Var. % delle aziende per classi dimensionali tra i due censimenti
Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT
Figura 12: Var. % del numero di capi per classi dimensionali aziende
Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT
-33,3
-42,2 -46,5 -48,8
-29,9
13,8
-31,1
-45,9
-74,2 -68,1
-48,0
-20,9
33,0
-44,4
-26,8 -32,9 -22,3 -12,6
0,7 37,9
-18,7
-80,0
-60,0
-40,0
-20,0
0,0
20,0
40,0
60,0
1-5 6-9 10-19 20-49 50-99 Oltre 99 Totale
Classi di capi
Lombardia Emilia-Romagna Totale (a)
-37,2 -41,7
-46,5 -47,9
-28,3
27,6
-2
-53,7
-74,5 -67,9
-44,8
-19,3
52,8
-10,2 -31,2 -32,2 -21,7 -11,1
1,6 49,2 9,0
-100,0
-80,0
-60,0
-40,0
-20,0
0,0
20,0
40,0
60,0
1-5 6-9 10-19 20-49 50-99 Oltre 99 Totale
Lombardia Emilia-Romagna Totale (a)
36
La Trasformazione: le aziende e il prodotto Come per il primo livello della filiera produttiva del latte, quello della produzione, anche la trasformazione
deve essere vista in relazione alle forti differenziazioni territoriali che caratterizzano, in realtà, l’intero
settore. Si è detto, infatti, come per il settore alimentare più che per altri entrino in gioco oltre alle variabili
fisiche e geografiche dei territori, quelle più strettamente culturali e sociali.
Nel 2010 la struttura prevalente di raccolta e trasformazione del latte è il caseificio o centrale del latte. Si
tratta cioè di 1.364 unità sulle 2.051 presenti in Italia nell’anno di riferimento, una quota superiore al 66%.
Quanto affermato è valido, però, solo sul piano nazionale. L’osservazione cambia radicalmente, infatti, di
regione in regione. Basti confrontare le regioni che più delle altre contribuiscono in termini di unità
produttive, la Campania e l’Emilia-Romagna, con, rispettivamente, 358 e 393 unità produttive. Ebbene,
mentre in Campania il 91,3 di tali unità sono caseifici o centrali del latte, in Emilia-Romagna questo gruppo
non arriva al 35%, a tutto beneficio degli stabilimenti di enti cooperativi agricoli, il 58,5%. Una caratteristica
pressoché esclusiva dell’Emilia-Romagna.
Oltre alla natura imprenditoriale delle aziende, i dati nella Tabella 15 suggeriscono anche una forte
differenziazione territoriale sul piano della frammentazione rispetto alla raccolta del latte prodotto.
Confrontando, infatti, i dati sulla raccolta di latte e quello dei centri di raccolta, si osserva come mentre in
Lombardia ed Emilia-Romagna, le regioni più significative dal punto di vista della produzione, le unità di
raccolta hanno elaborato, rispettivamente, una media di 163.552 e 55.381 quintali di latte, in Campania, la
seconda regione per unità produttive dopo l’Emilia-Romagna, la stessa media arriva a 10.772 quintali di latte
per unità.
Tabella 15: Numero di unità produttive operanti nel settore lattiero-caseario, per tipo . Dettaglio per regione (2010)
Regioni
Caseifici e
centrali del latte
Stabilimenti di
aziende agricole
Stabilimenti di enti
cooperativi agricoli Centri di raccolta Totale
Piemonte 65 3 19 8 95
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 12 1 8 - 21
Lombardia 133 10 90 18 251
Liguria 14 1 - - 15
Trentino-Alto Adige 9 2 20 1 32
Veneto 76 1 46 12 135
Friuli-Venezia Giulia 20 - 26 4 50
Emilia-Romagna 136 19 230 8 393
Toscana 40 2 7 4 53
Umbria 17 - 1 1 19
Marche 10 2 1 3 16
Lazio 50 6 13 12 81
Abruzzo 26 1 5 3 35
Molise 28 1 1 1 31
Campania 327 3 9 19 358
Puglia 201 5 7 6 219
Basilicata 45 4 5 1 55
Calabria 58 2 1 1 62
Sicilia 47 2 3 3 55
Sardegna 50 - 23 2 75
ITALIA 1.364 65 515 107 2.051
Fonte: ISTAT
37
Così misurata, la frammentazione del tessuto produttivo va comunque letta alla luce di una progressiva
trasformazione, anch’essa diversificata su base regionale. Mentre, infatti, dal 2002 (primo anno disponibile a
seguito delle revisioni di Istat sulle banche dati disponibili) la media di latte raccolto ed elaborato per unità
produttiva in Italia è andata crescendo del 17% (dai 46.484 quintali del 2002 ai 54.645 del 2010), ciò non è
stato vero per tutte le regioni. Se nelle regioni più significative dal punto di vista della produzione lattifera,
Lombardia ed Emilia-Romagna, tale indicatore è cresciuto rispettivamente del 28,1% e dell’81,5%10
, ciò non
è avvenuto per la Campania. La regione con gli stabilimenti a più bassa ricettività nel 2010, infatti, è passata
da una media di 11.992 quintali di latte raccolto per unità nel 2002 ai 10.772 del 2010, caratterizzandosi così
per un -10% nella concentrazione del latte raccolto.
Sebbene con dati non confrontabili, della dinamica messa in evidenza poco sopra relativa alla
progressivamente minore frammentarietà della trasformazione in Italia danno conto anche le informazioni
fornite da Eurostat che, sebbene diverse per metodologia di raccolta ed esiti, sono l’unica occasione di poter
fare alcuni confronti con altri player europei.
Nel grafico che segue si può osservare comunque come gli stabilimenti a basso volume di raccolta ed
elaborazione non siano una peculiarità esclusivamente italiana. Al contrario, se in Italia la quota degli
stabilimenti di piccole dimensioni è del 76,9% nel 2009, in Grecia la stessa componente pesa il 94,6%. A
colpire, è piuttosto il valore assoluto cui queste quote fanno riferimento. Infatti, ferme restando le difformità
dai dati Istat cui si fa riferimento nel presente rapporto, se nel 2009 Eurostat ha contato in Italia 1.439
caseifici, in Germania ve ne erano 194, 79 in Austria, 441 in Francia, 618 in Spagna, 465 in UK e 877 in
Grecia.
Figura 13: Var.% del numero dei caseifici per ampiezza in alcuni Paesi europei (2006-2010)
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
10 Si è infatti passati dalla media del 2002 di 127.615 quintali a quella del 2010 di 163.552 per la Lombardia e dai 30.503 ai 55.381
quintali per unità produttiva in Emilia-Romagna.
77,64 76,93
19,47 21,13
56,96 56,96
65,76 66,19
83,85 84,95 86,45 84,95
95,44 94,60
16,68 17,44
11,05 11,34
16,46 21,52
17,69 17,27
9,28 9,06 4,96 4,09
3,31 4,17 4,18 3,89
17,37 16,49
13,92 8,86
7,26 7,91
2,75 2,10 2,48
3,66
19,47 14,95
3,80 6,33 3,63 3,36
1,37 1,46 1,72 2,37
32,63 36,08
7,59 6,33 5,67 5,28 2,75 2,43 4,39 4,95
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
2006 2009 2006 2009 2006 2009 2006 2009 2006 2009 2006 2009 2006 2009
Italia Germania Austria Francia Spagna UK Grecia
Fino a 5 000 t Da 5 001 a 20 000 t Da 20 001 a 50 000 t Da 50 001 a 100 000 t Oltre 100 000 t
38
Per quanto tradizionale, dunque, la produzione lattifera si caratterizza per un significativo processo di
trasformazione. Come visto per gli allevamenti, infatti, anche il tessuto produttivo di produzione e
confezionamento, nel periodo 2002-2010, è andato sensibilmente mutando qualificando su base territoriale le
trasformazioni di cui si dà conto. Ciò vale, infatti, soprattutto nel caso della regione più significativa
nell’ambito della trasformazione del latte: l’Emilia-Romagna. Il progressivo decremento del peso
dell’organizzazione cooperativa di trasformazione in Italia11
, infatti, è dovuto soprattutto alla trasformazione
del tessuto produttivo dell’Emilia-Romagna che, ad esclusione dei centri di raccolta, delle 160 unità
produttive perse nell’arco del periodo considerato, conta 150 unità in meno di natura cooperativa, 3 caseifici
e 7 stabilimenti di aziende agricole. Si tratta di un dato che chiarisce la lettura della Tabella 16. Infatti,
nonostante un complessivo aumento del numero dei caseifici e delle centrali del latte (+4,6%) e dei centri di
raccolta (+5,9%), dal 2002 al 2010 in Italia gli stabilimenti di trasformazione sono diminuiti del 9,7%.
Tabella 16: Var. % 2002-2010 del numero di unità produttive operanti nel settore lattiero-caseario, per tipo . Dettaglio regionale
Regioni Caseifici e centrali del
latte
Stabilimenti di
aziende agricole
Stabilimenti di enti cooperativi
agricoli
Centri di raccolta Totale
Piemonte -4,4 -50 -13,6 166,7 -4
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 71,4 0 -52,9
-16
Lombardia -5 -9,1 -25 -10 -13,7
Liguria 7,7 0 -100 -100 -11,8
Trentino-Alto Adige -10
-35,5 0 -23,8
Veneto -20 -50 -29,2 0 -22,4
Friuli-Venezia Giulia -20 -100 -50,9 -71,4 -46,2
Emilia-Romagna -2,2 -26,9 -39,5 33,3 -28,7
Toscana 5,3 -60 -12,5 33,3 -1,9
Umbria 6,3
-80
-9,5
Marche -9,1
-50 50 6,7
Lazio -12,3 500 62,5 20 6,6
Abruzzo -21,2 0 0 50 -14,6
Molise 0 -66,7 0 -50 -8,8
Campania 17,6 -70 -52,6 58,3 12,2
Puglia 2 -28,6 -30 0 -0,5
Basilicata 7,1 300 -37,5 -66,7 1,9
Calabria 52,6 100 0 0 51,2
Sicilia 113,6
0 50 103,7
Sardegna 6,4 -100 -8 100 -2,6
ITALIA 4,6 -19,8 -34,4 5,9 -9,7
Fonte: Istat
La perdita delle unità di natura cooperativa non riguarda comunque solo l’Emilia-Romagna. Sembra
piuttosto un fenomeno di carattere strutturale. Questo almeno stando ad osservare i dati relativi alle
distribuzioni per tipo di stabilimento nelle due regioni oggetto della presente analisi: Emilia-Romagna e
Lombardia. Nei due istogrammi a barre che seguono, infatti, la variazione delle distribuzioni di anno in anno
e per le due regioni segnano sì due panorami diversi, ma apparentemente risultanti da una tendenza comune:
quella, appunto, del decremento del ruolo delle cooperative nella trasformazione ed un incremento di quello
dei caseifici e delle centrali del latte. Senz’altro ciò è visibile per l’Emilia-Romagna, per le ragioni di cui si è
11 Su questo cfr il Rapporto sul mercato del latte del 2011, curato da R. Pieri ed edito da FrancoAngeli.
39
detto, ma anche la Lombardia non presenta un andamento particolarmente diversificato. Anche nel secondo
istogramma, infatti, si nota come a fronte di una sostanziale stabilità dei Centri di raccolta e degli
stabilimenti delle aziende agricole, diminuiscono le cooperative (-5,4%) e aumentano i caseifici e centrali del
latte (+4,88%).
Come rilevato per la produzione di latte, anche per quanto riguarda il tipo di unità produttive nella
trasformazione, le variazioni sul periodo per l’Emilia-Romagna risultano più consistenti che quelle per la
Lombardia. In particolare, si è visto come la progressiva riduzione degli stabilimenti di matrice cooperativa
suggerisca l’idea di un cambiamento strutturale della composizione, questo almeno fino all’inizio del periodo
di crisi economica. Dal 2008, infatti, si perde la progressività della tendenza evidenziata, a favore di una
maggiore variabilità che però, non incide sul trend complessivamente negativo del numero di stabilimenti,
variazioni più visibili nei due grafici in Figura 16 e Figura 17.
Figura 14: Composizione del tessuto produttivo per tipo di unità e anno - ER - 2002-2010
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Figura 15: Composizione del tessuto produttivo per tipo di unità e anno - Lombardia - 2002-2010
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
25,23
26,62
26,92
28,99
31,60
32,46
31,09
35,52
34,61
4,72
4,99
5,00
5,13
4,60
4,61
4,87
5,35
4,83
68,97
67,28
67,12
65,09
62,80
61,84
63,11
56,93
58,52
1,09
1,11
0,96
0,79
1,00
1,10
0,93
2,19
2,04
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Caseifici e centrali del latte Stabilimenti di aziende agricoleStabilimenti di enti cooperativi agricoli Centri di raccolta
48,11
52,50
52,17
52,48
53,09
54,28
50,76
55,60
52,99
3,78
3,93
4,35
4,26
4,00
4,09
4,55
3,86
3,98
41,24
35,36
35,14
34,75
34,55
33,09
37,12
32,43
35,86
6,87
8,21
8,33
8,51
8,36
8,55
7,58
8,11
7,17
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Caseifici e centrali del latte Stabilimenti di aziende agricole
Stabilimenti di enti cooperativi agricoli Centri di raccolta
40
Figura 16: Var. % su anno precedente numero unità produttive per tipo - ER 2002-2010
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Figura 17: Var. % su anno precedente numero unità produttive per tipo - Lombardia - 2002-2010
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
La natura delle unità produttive costituisce una tra la tante modalità di guardare al tessuto produttivo. Per
quanto interessanti possano essere le osservazioni che ne scaturiscono però, soprattutto per la significatività
-20,00
-15,00
-10,00
-5,00
0,00
5,00
10,00
15,00
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Caseifici e centrali del latte Stabilimenti di aziende agricole
Stabilimenti di enti cooperativi agricoli Totale
-20,00
-15,00
-10,00
-5,00
0,00
5,00
10,00
15,00
20,00
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Caseifici e centrali del latte Stabilimenti di aziende agricole
Stabilimenti di enti cooperativi agricoli Centri di raccolta
Totale
41
delle differenziazioni territoriali evidenziate, tale criterio non permette di comprendere gli impatti che le
trasformazioni rilevate hanno sulla manodopera del settore, così come non lo permette il confronto
dimensionale dei caseifici utilizzata Eurostat. La ragione è nelle diverse metodologie adottate nelle varie
rilevazioni. Infatti, se da un lato le informazioni dell’Istat utilizzate non dicono nulla delle dimensioni in
termini di addetti, dall’altro, quelle di Eurostat viste poco sopra descrivono le dimensioni dei caseifici
riferendosi alla quantità di materia prima utilizzata in un anno. Sono, invece, i dati amministrativi
dell’Archivio Statistico delle Imprese Attive dell’Istat a permettere l’osservazione delle trasformazioni del
tessuto produttivo anche sul piano della manodopera, ma trattandosi di “imprese” e non più di “unità
produttive”, bisogna tenere conto della difformità dai dati sin qui utilizzati che rende impossibile un
confronto diretto.
Ciò che risulta particolarmente interessante però, è come anche con il ricorso a questo diverso genere di dato
siano individuabili tendenze del tutto simili a quelle già evidenziate per gli allevamenti, in primo luogo, e per
gli stabilimenti, in secondo. Vediamo infatti, nelle tabelle che seguono, dalle variazioni del numero di
imprese e dei relativi addetti negli ultimi sei anni disponibili come Emilia-Romagna e Lombardia abbiano
avuto dei trend sostanzialmente diversi, ma orientati ad un appiattimento delle differenze.
Andando con ordine, nella prima tavola si può notare come mentre in Lombardia dal 2005 al 2007 a fronte di
un aumento delle imprese attive (+3,83) siano diminuiti gli addetti di quelle imprese (-8,85), in Emilia-
Romagna ad una diminuzione delle imprese del 3,49% ha corrisposto un aumento degli addetti del 19,12%,
una tendenza che si consolida nel triennio successivo con un ulteriore decremento delle imprese attive (-
10,88) e una sostanziale stabilità del numero di addetti (+0,04). Dal 2008 al 2010 in Lombardia, invece, la
perdita è stata omogenea e superiore al 7% sia in termini di addetti che di imprese.
Quindi, al netto dell’impossibilità di un confronto diretto tra i due periodi a causa del passaggio dalla
classificazione Ateco 2002 a quella del 2007 e dell’istituzione di una nuova provincia in Lombardia, quanto
osservato suggerisce anche per la fase trasformativa della filiera del latte la lettura già offerta per la fase
zootecnica: in sintesi, un processo disposto dalla combinazione di una sostanziale perdita di significatività
del settore in termini di lavoro e di un ingrandimento delle dimensioni aziendali soprattutto nelle aree a più
alta frammentazione.
42
Tabella 17: Var. su anno precedente del numero di imprese e di addetti; var. su intero periodo 2005-2007
Var. % anno su anno Var. % su intero periodo
2005-2006 2006-2007 2005-2007
Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti
LOMBARDIA Varese -16,22 -1,71 3,23 -0,71 -13,51 -2,41
Como 29,17 13,01 9,68 3,2 41,67 16,63
Sondrio 0 -1,18 0 -7,54 0 -8,63
Milano 6,82 20,16 3,19 -25,82 10,23 -10,87
Bergamo 0 -19,44 1,96 -30,23 1,96 -43,79
Brescia 1,37 3,04 1,35 -1,71 2,74 1,28
Pavia 0 84,57 -6,25 -46,83 -6,25 -1,86
Cremona 5,26 -0,68 0 -6,69 5,26 -7,32
Mantova -4,26 0,13 6,67 6,71 2,13 6,85
Lecco -11,11 -0,06 -12,5 -1,05 -22,22 -1,11
Lodi 5,26 6,87 0 -1,38 5,26 5,39
Totale 1,67 7,7 2,12 -15,37 3,83 -8,85
EMILIA-ROMAGNA Piacenza 0 5,92 -10,53 -0,72 -10,53 5,16
Parma -1,99 -41,82 -2,03 120,16 -3,99 28,1
Reggio Emilia -7,69 -12,47 -3,33 1,54 -10,77 -11,12
Modena -2,29 -6,88 -3,13 3,49 -5,34 -3,63
Bologna 4,26 53,55 10,2 2,05 14,89 56,71
Ferrara 0 6,11 28,57 -42,06 28,57 -38,52
Ravenna -6,67 -4,64 7,14 13,29 0 8,04
Forli'-Cesena -3,45 1,85 7,14 7,38 3,45 9,37
Rimini 16 8,65 -6,9 4,1 8 13,1
Totale -2,07 -7,36 -1,45 28,58 -3,49 19,12
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat (ASIA)
43
Tabella 18: Figura 16: Var. su anno precedente del numero di imprese e di addetti; var. su intero periodo 2008-2010
Var anno su anno Var su intero periodo
2008-2009 2009-2010 2008-2010
Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti
LOMBARDIA Varese -25 -13,51 22,22 1,11 -8,33 -12,54
Como -6,67 -2,7 -14,29 -7,21 -20 -9,72
Sondrio -12,5 1,32 0 -4,7 -12,5 -3,44
Milano 1,75 -13,32 -8,62 -0,18 -7,02 -13,47
Bergamo 4,88 9,23 -9,3 -2,18 -4,88 6,86
Brescia 11,54 -0,55 -10,34 -9,4 0 -9,9
Pavia 0 -5,93 -15,38 -5,07 -15,38 -10,7
Cremona -4,17 3,92 -4,35 -12,24 -8,33 -8,8
Mantova -4,17 -4,63 0 6,21 -4,17 1,29
Lecco 20 -8,78 -8,33 -0,39 10 -9,13
Lodi -11,76 0,8 -6,67 -4,57 -17,65 -3,81
Monza e della Brianza -16,67 8,64 -20 -4 -33,33 4,3
Totale -0,32 -4,91 -7,14 -2,94 -7,44 -7,71
EMILIA-ROMAGNA Piacenza 5 0,53 -4,76 -3,97 0 -3,47
Parma -5,66 -7,09 -6 -2,31 -11,32 -9,23
Reggio Emilia -1,75 48,86 -8,93 8,03 -10,53 60,82
Modena -14,29 5,92 0 -21,73 -14,29 -17,1
Bologna -12 -10,71 4,55 -6,27 -8 -16,31
Ferrara 0 -42,04 40 2,36 40 -40,67
Ravenna -28,57 -36,44 -20 0 -42,86 -36,44
Forli'-Cesena -5,88 7,8 0 2,55 -5,88 10,55
Rimini -25 -1,91 -16,67 -10,06 -37,5 -11,78
Totale -6,48 1,98 -4,71 -1,91 -10,88 0,04
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat (ASIA)
44
Il prodotto
È dal tessuto produttivo che si è provato a descrivere che sono stati prodotti e trattati igienicamente gli oltre
26 milioni di latte alimentare conferiti nel 2010, anche qui, con una forte differenziazione tra le diverse
regioni che andremo a vedere più avanti. Prima di entrare nel dettaglio regionale, infatti, nella Tabella 19 si
sintetizzano, per tipo di unità produttiva, la quantità delle principali produzioni nazionali classificate per
tipologia di prodotto finito e non solo per contenuto grasso o origine animale, come fatto sinora. A partire
dall’istantanea fornita dall’Istat è dunque possibile ragionare sulle trasformazioni della produzione nel corso
degli anni, e, in particolare, nel periodo dal 2002 al 2010 per il quale in termini di latte alimentare sono
andate aumentando le sole produzioni di latte intero UHT e parzialmente scremato fresco. Mentre sono
aumentate le produzioni casearie, traino del settore, soprattutto per quanto riguarda i formaggi a pasta dura,
con particolare riferimento al grana padano e agli altri grana. A diminuire è, invece, il parmigiano reggiano (-
2,50%) e soprattutto quello prodotto presso gli stabilimenti di aziende agricole (-22,88%), di enti cooperativi
(-11,27) e dei, già marginali, centri di raccolta (-100%). Mentre cresce del 33,49% la produzione di reggiano
presso caseifici e centrali del latte, confermando anche in termini di output quanto osservato prima per
imprese e addetti. A conferma di tale “riallocazione” della distribuzione, in effetti, a fine periodo per quasi
tutte le produzioni, sia in termini di latte fresco che di prodotti trasformati, l’origine prevalente è quella
relativa a caseifici e centrali del latte, sebbene ciò vari in base alle produzioni. Ad esempio il processo di
sterilizzazione del latte avviene per il 100% nei caseifici, mentre la produzione di latticello è per l’86% gli
stabilimenti di cooperative agricole. Come abbiamo visto, però, oltre alle esigenze del processo produttivo,
ad incidere sulla morfologia del tessuto produttivo concorre la territorialità di alcune produzioni e l’intreccio
con tipicità territoriali di altra natura. Nella produzione di parmigiano reggiano, ad esempio, giocano un
ruolo determinante gli stabilimenti cooperativi (69%), ciò in misura significativamente maggiore di quanto
non avvenga in altre produzioni, localizzate in territori in cui l’organizzazione cooperativa è meno
caratterizzante (cfr. Tabella 15 nel par. precedente).
45
Tabella 19: Materie prime raccolte e prodotti dall'industria lattiero-casearia, per tipo di unità produttiva (in quintali) - Anno 2010
Materie prime raccolte e prodotti ottenuti
dall'industria lattiero-casearia
Caseifici e
centrali del
latte
Stabilime
nti di
aziende
agricole
Stabilimen
ti di Enti
cooperativi
agricoli
Centri di
raccolta Totale
Materie prime raccolte
Latte di vacca 42.965.683 650.428 38.617.813 23.497.890 105.731.814
Latte di pecora 2.818.157 12.806 1.337.386 153.873 4.322.222
Latte di capra 188.465 2.702 57.197 984 249.348
Latte di bufala 1.506.663 24.135 196.477 47.300 1.774.575
Prodotti lattiero-caseari ottenuti: prodotti freschi
Latte alimentare 23.366.068 1.179 3.234.977 5.714 26.607.938
Latte intero 10.495.224 1.179 1.525.651 3.638 12.025.692
-intero pastorizzato 7.868.296 1.179 839.057 3.638 8.712.170
-intero sterilizzato 305.933 - - - 305.933
-intero uperizzato (procedimento UHT) 2.320.995 - 686.594 - 3.007.589
Latte parzialmente scremato 11.737.506 - 1.629.924 2.076 13.369.506
-parzialmente scremato pastorizzato 4.457.764 - 308.421 2.076 4.768.261
-parzialmente scremato sterilizzato 1.528.627 - - - 1.528.627
-parzialmente scremato uperizzato (procedimento
UHT) 5.751.115 - 1.321.503 - 7.072.618
Latte scremato 1.133.338 - 79.402 - 1.212.740
Latticello 79.213 - 468.797 - 548.010
Crema o panna da consumo 1.172.241 1.975 109.260 - 1.283.476
-con tenore in peso di materia grassa inferiore o
uguale al 29%
646.837 1.975 54.445 - 703.257
-con tenore in peso di materia grassa superiore al
29%
525.404 - 54.815 - 580.219
Latte fermentato (yogurt ed altri) 2.864.068 953 243.833 - 3.108.854
-con additivi 2.515.560 14 190.388 - 2.705.962
-senza additivi 348.508 939 53.445 - 402.892
Bevande preparate a base di latte 63.902 - - - 63.902
Altri prodotti freschi (latte gelificato, desserts,
ecc.) 91.036 - 137 - 91.173
Prodotti lattiero-caseari ottenuti: prodotti trasformati
Latte concentrato * - - - *
Prodotti lattiero in polvere * - - - *
* Il dato contrassegnato da * non è divulgabile ai sensi dell art. 9 del d.lgs. n. 322/89 Fonte: ISTAT
46
Tabella 20: Materie prime raccolte e prodotti ottenuti dall'industria lattiero-casearia, per tipo di unità produttiva (Var.% 2010 su 2002)
Materie prime raccolte e prodotti ottenuti dall'industria
lattiero-casearia
Caseifici
e centrali
del latte
Stabilimenti
di aziende
agricole
Stabilimenti
di Enti
cooperativi
agricoli
Centri
di
raccolta
Totale
Materie prime raccolte
Latte di vacca -19,59 -57,58 -0,81 295,16 5,89
Latte di pecora -2,97 -76,06 7,25 39,97 0,17
Latte di capra 124,66 -79,3 17,43 -93,61 54,84
Latte di bufala 42,52 -35,79 201,47 -42,78 42,81
Prodotti lattiero-caseari ottenuti: prodotti freschi
Latte alimentare -5,44 -65,52 -32,68 583,49 -9,87
Latte intero -16,24 -65,52 -39,3 419,71 -20,09
-intero pastorizzato -17,63 -65,52 -50 419,71 -22,46
-intero sterilizzato -63,4
-63,4
-intero uperizzato (procedimento UHT) 8,35
-17,81
1,01
Latte parzialmente scremato 3,47
-9,47 1426,47 1,71
-parzialmente scremato pastorizzato 52,97
-0,4 1426,47 47,9
-parzialmente scremato sterilizzato -28,61
-28,61
-parzialmente scremato uperizzato (procedimento UHT) -8,55
-11,36
-9,08
Latte scremato 35,54
-83,85
-8,66
Latticello 34,34
-0,98
2,93
Crema o panna da consumo 20,73 70,26 -51,12
7,35
-con tenore in peso di materia grassa inferiore o uguale al 29% 6,06 146,88 -29,41
2,25
-con tenore in peso di materia grassa superiore al 29% 45,51 -100 -62,56
14,25
Latte fermentato (yogurt ed altri) 29,26 -25,37 -42,94 -100 17,56
-con additivi 31,98 -98,26 -51,65 -100 17,62
-senza additivi 12,54 98,1 59,36
17,23
Bevande preparate a base di latte -11,35
-100
-13,48
Altri prodotti freschi (latte gelificato, desserts, ecc.) 155,49 -99,3 64,96 Fonte: ISTAT
47
Tabella 21: Materie prime raccolte e prodotti ottenuti dall'industria lattiero-casearia, per tipo di unità produttiva (Var.% 2010 su 2002)
Materie prime raccolte e prodotti ottenuti dall'industria lattiero-
casearia
Caseifici
e
centrali
del latte
Stabilimenti
di aziende
agricole
Stabilimenti
di Enti
cooperativi
agricoli
Centri
di
raccolta
Totale
Materie prime raccolte
Latte di vacca -19,59 -57,58 -0,81 295,16 5,89
Latte di pecora -2,97 -76,06 7,25 39,97 0,17
Latte di capra 124,66 -79,3 17,43 -93,61 54,84
Latte di bufala 42,52 -35,79 201,47 -42,78 42,81
Prodotti lattiero-caseari ottenuti: prodotti trasformati
Burro 0,66 -91,16 -30,13 33,66 -13,15
-normale -6,03 -91,03 -31,43 34,07 -18,34
-altro (compreso il burro da siero) 39,65 -100 0,8 -79,19 33,44
Formaggi 14,89 -42 -1,67 -58,6 9,73
Formaggi a pasta dura 8,76 -32,86 -0,56 -99,28 3,1
-parmigiano reggiano 33,49 -22,88 -11,27 -100 -2,5
-grana padano 18,6 -19,96 7
11,58
-altri grana 25,79 -97,49 1259,99
45,4
-pecorino (di tutti i tipi) 0,07 -81,88 3,77
1,21
-altri formaggi a pasta dura (asiago, montasio, ecc.) -9,43 -85,74 -0,6
-7,54
Formaggi a pasta semidura 17,67 -8,55 -21,12 250 5,38
-provolone e similari -2,77 -94,47 -20,54
-8,14
-caciocavallo -26,1 5,89 -75,76 101,94 -31,12
-fontina -10,87 -30,76 -32,99
-25,18
-altri formaggi a pasta semidura (emmental, fontina, ecc.) 97,66 61,39 -12,21 1240,26 51,53
Formaggi a pasta molle -4,14 -91,53 -28,72 -100 -7
-italico 6,06 -100 -89,85
-20,01
-taleggio -26,51 -100 45,2
-22,7
-gorgonzola e similari 22,04 -100 -72
12,98
crescenza e stracchino -11,68 -98,22 -72,86
-13,43
-altri formaggi a pasta molle (caciotte di tutti i tipi, ecc.) -16,51 -69,22 9,44 -100 -14,16
Formaggi freschi (a pasta filata, a pasta non filata, a base di crema) 25,69 -39,74 24,1 -59,23 24,68
-mozzarella di bufala campana
-mozzarella di bufala
-altri formaggi a pasta fresca (robiola, mascarpone, scamorza, ecc.)
Formaggi fusi -2,54 -100 581,66 -100 -9,36
Siero di latte
Utilizzato per la produzione di ricotta 74,59 -8,1 -3,81 19,55 59,21
Utilizzato sotto forma liquida per l'alimentazione del bestiame 23,98 -2,75 -46,9 78,02 -12,68
Utilizzato sotto forma concentrata -24,63
-100
-25,04
In polvere e in pezzi 101,08 -100 -8,29 72,34 Fonte: ISTAT
48
Di tale territorialità danno conto i dati sintetizzati nella Tabella 22 relativi alla differenziazione regionale dei
prodotti lattiero-caseari. Per quanto riguarda il latte alimentare, suddiviso per quota di contenuto grasso,
infatti, si nota come, nonostante una prevalenza complessiva della produzione di latte parzialmente scremato,
alcune regioni si distinguano per una maggiore produzione di latte intero. Si tratta, in particolare, di
Piemonte, Val d’Aosta, Trentino e Friuli-Venezia Giulia nel settentrione, il Lazio nel centro e Molise,
Campania, Basilicata e Calabria nel mezzogiorno. Anche se, di queste, solo il Lazio e la Campania hanno
una produzione di latte alimentare significativa tale da superare il milione di quintali prodotti.
Le distribuzioni delle due regioni oggetto del presente rapporto, Emilia-Romagna e Lombardia, rientrano
quindi nel modello prevalente e, osserviamo nei grafici nelle figure 16 e 17, lo fanno in maniera strutturale.
La sola variazione sul tema è infatti quella dell’ultimo triennio rilevato in Emilia-Romagna, in cui la quota di
latte scremato resta al di sopra dell’11%.
Tabella 22: Produzione industriale di latte alimentare, di burro e di formaggio (quantità in quintali). Dettaglio per regione - Anno 2010 -
Regioni
Latte alimentare trattato igienicamente
Burro
Formaggi
Intero
Parzialm.
Scremato Scremato Totale
A pasta
dura
A pasta
semidura A pasta molle Freschi Totale
Piemonte 518.424 440.190 11.471 970.085 25.187 201.830 52.579 468.149 291.304 1.013.862
Valle d'Aosta 5.784 3.219 - 9.003 1.127 2.466 24.365 2.180 839 29.850
Lombardia 2.775.026 3.930.924 369.839 7.075.789 338.160 1.360.388 506.811 685.440 1.755.841 4.308.480
Liguria 366.757 249.486 9.790 626.033 228 1.773 1.380 2.268 1.796 7.217
Trento 232.838 11.351 - 244.189 1.034 152.579 9.635 11.915 12.682 186.811
Veneto 1.031.318 1.177.214 34.209 2.242.741 252.090 503.100 85.592 169.832 380.911 1.139.435
Friuli-Venezia
Giulia 404.038 187.966 5.685 597.689 6.755 42.074 7.235 25.026 100.108 174.443
Emilia-Romagna 2.085.425 3.251.833 661.101 5.998.359 346.788 1.181.848 3.271 56.953 213.485 1.455.557
Toscana 461.333 327.739 10.633 799.705 45 123.068 30.664 22.716 163.095 339.543
Umbria 71.198 167.882 8.610 247.690 588 5.369 3.701 7.773 52.046 68.889
Marche 191.132 447.958 - 639.090 11.791 14.645 11.830 725 139.807 167.007
Lazio 1.145.173 868.901 10.219 2.024.293 5.210 60.241 7.438 19.439 202.685 289.803
Abruzzo 6.775 10.675 528 17.978 1.118 7.342 956 3.290 37.065 48.653
Molise 103.301 53.425 1.341 158.067 6.290 2.480 6.203 612 175.128 184.423
Campania 976.092 409.187 42.054 1.427.333 41.354 27.594 85.242 70.006 635.330 818.172
Puglia 448.771 673.438 - 1.122.209 9.216 6.387 27.593 15.281 365.319 414.580
Basilicata 11.000 9.000 - 20.000 403 424 8.105 722 42.315 51.566
Calabria 177.752 59.885 - 237.637 2.234 4.214 30.026 9.123 90.680 134.043
Sicilia 297.013 351.865 8.032 656.910 1.302 23.640 61.019 5.930 137.188 227.777
Sardegna 447.174 553.053 31.285 1.031.512 - 439.812 11.675 11.511 17.539 480.537
ITALIA 12.025.692 13.369.506 1.212.740 26.607.938 1.077.923 4.204.336 986.989 1.592.098 4.988.211 11.771.634
Fonte: ISTAT
49
Figura 18: composizione della produzione del latte alimentare raccolto in Emilia-Romagna (2002-2010)
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Figura 19: composizione della produzione di latte alimentare raccolto in Lombardia (2002-2010)
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
La produzione del latte scremato resta comunque marginale per entrambe le regioni. Nei grafici che seguono
si può osservare infatti come nonostante il picco positivo nella produzione di latte scremato e intero
registrato per il 2006 in Emilia-Romagna, e il picco negativo nella produzione di latte scremato nel 2009 in
Lombardia, sia il latte parzialmente scremato a determinare il trend generale.
38,11
33,51
30,86
30,62
38,52
32,24
29,21
30,03
34,77
55,68
60,05
62,52
62,51
52,01
57,93
59,05
58,56
54,21
6,21
6,44
6,62
6,87
9,47
9,83
11,74
11,41
11,02
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Intero Parzialmente scremato Scremato
46,32
50,14
48,05
49,93
40,80
45,36
40,30
42,63
39,22
49,95
43,32
45,90
44,76
53,24
48,37
52,92
53,31
55,55
3,72
6,54
6,06
5,31
5,96
6,26
6,78
4,06
5,23
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Intero Parzialmente scremato Scremato
50
Figura 20: produzioni del latte alimentare e formaggi in Emilia-Romagna - Var. su anno precedente - (2002-2010)
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Figura 21: produzioni del latte alimentare e formaggi in Lombardia - Var. su anno precedente - (2002-2010)
Fonte: Nostra elaborazione su dati Istat
-30,00
-20,00
-10,00
0,00
10,00
20,00
30,00
40,00
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Intero Parzialmente scremato Scremato
-60,00
-40,00
-20,00
0,00
20,00
40,00
60,00
80,00
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Intero Parzialmente scremato Scremato LATTE Totale FORMAGGIO Totale
51
La distribuzione
Sebbene logicamente la fase distributiva possa considerarsi l’ultima nella filiera organizzata, subito prima
cioè delle azioni che portano il prodotto ad essere consumato e smaltito dal singolo consumatore, nel corso
degli ultimi anni la distribuzione ha saputo conquistare spazi sempre più importanti nel settore
agroalimentare. Se, infatti, è il distributore che generalmente garantisce la vendita del prodotto con beneficio
dell’intera filiera, il declino delle opzioni distributive alternative alla grande distribuzione ha favorito la
concentrazione del potere contrattuale della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), indebolendo quello
delle fasi a monte. Il complessivo aumento dei costi di produzione agroalimentare di cui si è già trattato
altrove12
infatti, non si è distribuito omogeneamente dalla stalla al consumatore, ma, al contrario, proprio per
il potere contrattuale del distributore è andato comprimendo i margini di produzione e trasformazione,
lasciando per lo più invariati quelli propri e, per così dire, quelli attribuibili al consumatore. In effetti dato
che tra i principali fattori di competitività per la GDO stanno sicuramente il prezzo di vendita dei prodotti
esposti e la loro qualità, nell’esercizio della propria mission economica il distributore tende ad assumere il
punto di vista del consumatore facendone, in parte, la propria strategia. Colin Crouch addirittura nel suo
ultimo lavoro individua nella grande distribuzione un’occasione di democraticità, privata – aggiungeremmo.
L’esempio dell’autore è quello degli OGM: gli effetti dell’indecisione della politica sul tema dovuta al
pressing delle lobby, infatti, sono limitati dall’intervento stesso della grande distribuzione che ne vieta la
vendita all’interno dei propri spazi dichiarandoli GMOfree (2012).
Non solo in Italia, quindi, l’intervento della GDO nelle fasi a monte della filiera agroalimentare è sempre più
incisivo e può andare dal semplice controllo sulla materia prima all’intervento di trasformazione vera e
propria. D’altra parte un prezzo basso e una più ampia scelta non avrebbero potuto rappresentare le sole armi
nella conquista della fiducia di consumatori abituati a rivolgersi al negoziante di vicinato che garantiva
personalmente i prodotti venduti. È in tal senso che ci pare possa essere letta anche la questione delle Private
Label, i prodotti a marchio commerciale, che nel giro di pochi anni, vedremo, hanno trasformato il settore
alimentare e, quindi quello lattiero-caseario.
La distribuzione in senso stretto
Tra i vari settori produttivi, quello alimentare è tradizionalmente considerato anticiclico. Le abitudini
alimentari sono in effetti meno sensibili alla ciclicità economica, anche perché se in conseguenza della
perdita di reddito alcuni consumi possono essere rinviati, questo avviene comprensibilmente meno per quelli
alimentari. Anche l’ultima rilevazione Istat in materia di consumi conferma tale lettura. Nonostante il
protrarsi della crisi, infatti, è il 35,8% degli italiani a dichiarare di aver modificato le proprie abitudini
alimentari nel 201113
e di questi nella gran parte dei casi si è trattato di una riduzione quantitativa (65,1%)
prima che della qualità dei prodotti acquistati (13,3%). La tendenza descritta trova tra l’altro conferma nelle
parole dei testimoni contattati nella fase preliminare del presente lavoro, che sintetizzano l’atteggiamento
prevalente del consumatore nel concetto di “qualità discountizzata”, dato cioè dal perseguimento della
massima attenzione a criteri di qualità, sostenibilità, eticità, ma con forte attenzione alla convenienza, con
disaffezione rispetto alle marche (crescita del private label, discount e shopping itinerante).
A parte il mezzogiorno, dove aumenta la quota di spesa fatta negli hard-discount (dall’11,2% nel 2010 al
13,1% nel 2011), probabilmente legata all’aumento delle strutture disponibili sul territorio (+2,3% della
superficie tra il 2010 e 2011 – dati Nielsen), neppure la preferenza accordata dai consumatori ad una
12 Il riferimento è al già ripreso rapporto D. Freddi e G. De Angelis. "Le filiere dell'agroalimentare, della meccanica e della moda in
provincia di Bologna". Bologna. IRES Emilia-Romagna. 2012. 13 Il comunicato stampa del 5 luglio 2012 è disponibile online alla URL http://www.istat.it/it/files/2012/07/Consumi-famiglie-2011-
DEF.pdf?title=I+consumi+delle+famiglie+-+05%2Flug%2F2012+-+Testo+integrale.pdf
52
distribuzione più o meno moderna sembra subire variazioni molto importanti. Se, infatti, generalmente la
maggior parte delle famiglie fa la spesa alimentare in supermercati (67,5%), i negozi tradizionali e i mercati
rappresentano un’alternativa per alcuni generi in particolare, come il pane (il 47,7%), e in misura molto
inferiore, la frutta e verdura (16,4%) o il pesce (9,7%).
A questo quadro è possibile ricondurre anche alcune delle principali tendenze riguardanti il settore lattiero-
caseario. Nel rapporto sul mercato del latte Pieri sottolinea, infatti, come se anche gli acquisti del latte
alimentare – nel 2010 – si concentrino per il 75% in canali distributivi diversi da quelli tradizionali, tale
quota tocca l’80% per il latte UHT che comunque resta il prodotto preferito dai consumatori, soprattutto per
la praticità di acquisto e conservazione. In tal senso può essere spiegata la crescente attenzione dei
consumatori al latte microfiltrato, il cui trattamento più delicato dell’uperizzazione vera e propria lo rende
più simile al fresco, ma più duraturo di quest’ultimo.
Per quanto riguarda il latte fresco, invece, ancora Pieri evidenzia la crescita del segmento nella domanda
delle famiglie (+2% nel 2010 rispetto al 2009) e sottolinea come a fronte di un generico aumento della
domanda del latte Alta Qualità (+1,6%) corrispondano punte significative più elevate in determinate aree del
paese, come del +17,8% nel Centro.
Non si rilevano, invece, significativi scostamenti tra quanto evidenziato per l’intero territorio e le due regioni
oggetto del presente rapporto, Emilia-Romagna e Lombardia. Anche sul piano delle quote di spesa le due
regioni risultano grosso modo omogenee, sia tra loro che rispetto al territorio italiano. Come è possibile
notare nella Tabella 20, in cui sono stati ripresi i dati presentati negli ultimi due rapporti regionali sui
rispettivi sistemi agro-alimentari, tale omogeneità è rilevabile soprattutto con riferimento alla quota di spesa
per latte, formaggi e uova nell’ultimo anno disponibile.
Tabella 22: quote di prodotto per spesa alimentare anni 2000, 2006 e 2009 per Emilia-Romagna, Lombardia e Italia
2000 2006 2009
Italia Emilia-
Romagna Lombardia Italia
Emilia-
Romagna Lombardia Italia
Emilia-
Romagna Lombardia
Pane e cereali 16,8 17,5 17,7 14,1 15 17,5 17,4 18,6 17,6
Carne 23,3 23,2 22,8 22,6 22,1 22,1 22,8 21,6 23,2
Pesce 8,4 7,3 6,3 9,1 8,3 7,1 8,7 7,3 7,4
Latte, formaggi e uova 13,8 13,5 14,2 13,5 12,9 13,8 13,7 13,7 13,7
Oli e grassi 3,9 3,7 3,6 3,9 3,7 3,8 3,5 3,3 3,4
Patate, frutta e rotaggi 17,2 18,2 17,7 17,8 18,8 17,9 18,1 18,8 17,5
Zucchero, caffè, cacao etc 7,5 7,1 7,8 9,8 9,3 7,1 7,1 7 7,1
Bevande 9,2 9,4 9,9 9,2 9,9 10,7 8,9 9,9 10,1
Tot. 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio Agro-Alimentare dell’Emilia-Romagna (2011) e Rapporto sul Sistema
Agro-alimentare della Lombardia (2011)
Tornando all’intero territorio nazionale, per il quale i dati arrivano ad un dettaglio non disponibile per il
livello regionale, l’analisi dei consumi di latte alimentare per il 2010 ha evidenziato un certo dinamismo per i
due segmenti principali, a lunga conservazione e fresco, favorito sia da innovazioni più o meno sostanziali
del prodotto che ne aumenta la differenziazione, sia per un appiattimento dei prezzi sui livelli più bassi: si
tenga conto che tra dal 2009 al 2010 il prezzo del latte fresco è diminuito del 3,7% e quello dell’UHT del
4,9% (fonte Ismea14
). Anche se il confronto tra UHT e fresco non è praticabile in termini assoluti, in media
0,84€/L a fronte di 1,27 €/L nel 2010, l’abbassamento dei costi medi di ciascuno dei due segmenti è dato da
14Ismea Consumi, Dicembre 2010 in N°1/11 9 marzo 2011
53
una riduzione omogenea dei prezzi dei sottoprodotti. Come accennato, su questo tema ad incidere sono
evidentemente le strategie di prezzo portate avanti dai distributori, rispetto alle quali pesa la crescita del
prodotto venduto in promozione (il 25% nel 2011 – stando ai dati del rapporto sul sistema agro-alimentare
dell’Emilia-Romagna) e del prodotto private label e dell’alta differenziazione riscontrabile anche tra i
prodotti a marchio commerciale, il cui prezzo è invariabilmente più basso dell’omologo di marca.
Tra distribuzione e trasformazione: le private-label
Nonostante le difficoltà di sintesi relativamente ad un quadro così complesso, nel paragrafo precedente sono
emersi alcuni elementi che, intrecciati, costituiscono la trama attraverso cui è possibile guardare
all’evoluzione della fase distributiva della filiera.
La grande distribuzione torna, infatti, al centro delle abitudini di spesa delle famiglie italiane soprattutto
grazie alle politiche di contenimento dei prezzi, fondamentali con la crisi e con la contrazione del potere di
acquisto delle famiglie. Lo si è visto nel mezzogiorno, dove crescono sia le superfici destinate agli hard-
discount, sia il peso che questa formula distributiva ha nella spesa alimentare delle famiglie.
Il prezzo non può tuttavia costituire il solo fattore della competitività tra distributori. Si è potuto notare,
infatti, come le abitudini alimentari siano meno sensibili alle fluttuazioni del mercato e di come pure le
famiglie che dichiarano di aver modificato le proprie abitudini si sono mosse per lo più verso una riduzione
delle quantità acquistate e non della qualità. Piuttosto il successo della formula degli hard-discount e della
GDO in generale sembra essere dovuta alla combinazione tra una politica dei prezzi particolarmente
aggressiva, la capillarità dei punti vendita e la varietà dei prodotti esposti15
. Se del primo punto si è detto,
anche per quanto riguarda gli ultimi due la distribuzione moderna ha saputo intercettare le esigenze dei
consumatori: in primo luogo diversificando e diffondendo le superfici di vendita favorendo così il ritorno alla
spesa top up, più modesta ma più frequente; in secondo luogo, moltiplicando le referenze e in particolar
modo quelle a più alto valore aggiunto sia nelle fasce di gamma top, che di primo prezzo. Anche negli hard-
discount, infatti, ai prodotti confezionati, per lo più secchi, sono andati affiancandosi via via prodotti di
marchi leader di mercato, cibi freschi, precotti e pronti all’uso (food service), ma anche prodotti biologici e
fair-trade.
Anzi, proprio nell’ambito delle così dette private label, sebbene nate per le referenze di primo prezzo, sono
andati diffondendosi prodotti in grado di soddisfare un consumo meno legato al marchio di fabbrica e più
consapevole. In tal senso va letta la segmentazione delle referenze a marchio commerciale orientata a
particolari sensibilità di consumo, come possono esserlo quella dedicata alla salvaguardia e diffusione di
tipicità territoriali (è il caso di “sapori & dintorni” Conad, dei prodotti “FiorFiore” Coop o di “Esselunga
Top”), al biologico, che dopo l’avvio per Esselunga (Esselunga Bio) si è diffuso in praticamente tutte le
insegne, o persino alla filiera controllata, come è per i prodotti a marchio Coop, la prima azienda europea ad
aver ottenuto la certificazione SA8000, ai cui criteri etici e di comportamento devono aderire anche i
fornitori, sottoponendosi ad apposite visite ispettive.
La competizione sugli scaffali della GDO è andata perciò intensificandosi. Oltre al già vasto assortimento di
prodotti simili ma di marche diverse, l’insegna distributrice agisce da competitor al pari degli altri marchi
proponendo il proprio e provando ad intercettare, come un qualsiasi altro player, le esigenze di consumatori
sempre più attenti. Tuttavia, sebbene il distributore tratti se stesso al pari di un qualsiasi altro player, non è
così. Non solo infatti detiene il forte vantaggio dato dalla gestione dei propri scaffali, ma, a differenza degli
altri produttori, non produce, piuttosto commissiona la produzione di un certo prodotto a certe caratteristiche
15 Questo è quanto sottolinea anche il rapporto “Consumi alimentari e politiche di offerta della GDO in Italia”, realizzato nel 2010 da
Luca Pellegrini, Carla Santese e Barbara Mutti, per conto dell’Ente Bilaterale Nazionale Terziario
54
e ad un certo prezzo sfilandosi da alcune delle dinamiche specifiche che riguardano le aziende di
trasformazione. Tra queste fasi il marketing è senz’altro la principale, dato che per 100€ di spesa alimentare
si stima che 5€ siano destinati proprio alla pubblicità16
, ma si deve anche considerare una minore spesa per il
trasporto del prodotto, dato che per la private label non è richiesta la stessa capillarità di chi rifornisce i
negozi tradizionali. Queste brevi riflessioni valgono per tutti i prodotti a marchio commerciale, latte
compreso, che, anzi, data la diversificazione di cui è fatto oggetto rilevabile nei banchi frigo (e non solo)
sembra conservare un posto di riguardo.
Anche per quanto riguarda il latte, infatti, la strategia della grande distribuzione sembra essere quella della
segmentazione delle referenze di cui sopra, puntando alla soddisfazione delle esigenze di particolari fasce di
consumatori arricchendo la propria gamma con prodotti a valore aggiunto sempre maggiore. Qualcosa di
lontano, insomma, dalla whitelabel, il prodotto base con un’etichetta minima e contenente il solo nome del
prodotto stesso, ma non necessariamente alternativo. Il successo della strategia di differenziazione dei marchi
interni della GDO sta, infatti, nell’essere riusciti a “presidiare” con i propri prodotti tutti i livelli di prezzo
esistenti nel banco frigo, senza che all’abbassamento del prezzo venisse associato un abbassamento della
qualità. Si tratta di un percorso che comunque difficilmente sarebbe stato possibile senza la partecipazione
attiva di importanti aziende di trasformazione, una partecipazione che abbiamo provato ad indagare
direttamente attraverso la lettura delle etichette del latte venduto nelle principali catene commerciali delle
due regioni.
Private Label in Emilia-Romagna e Lombardia
Lo sforzo di indagine svolto presso i distributori di Lombardia ed Emilia-Romagna ha messo in luce diversi
aspetti che vanno però collocati su uno scenario che si caratterizza per tre punti chiave:
- Per la gran parte delle insegne indagate l’offerta del latte a marchio proprio è ricca e variegata, anche
se la gamma UHT lo è più che quella del fresco;
- Nonostante i produttori individuati siano più delle insegne distributrici, si è rilevata una certa
concentrazione in pochi produttori;
- Non si è rilevata una differenziazione tra i punti vendita delle due regioni.
L’indagine, svolta a scopo esplorativo, è da considerarsi un prototipo. In primo luogo, infatti i dati rilevati
non sono rappresentativi di tutti i punti vendita presenti nelle due regioni, ma delle insegne; inoltre,
nonostante un arco di tempo dedicato alla rilevazione non superiore ai due mesi, sono stati notati alcuni
cambiamenti che inducono a pensare ad una elevata volatilità dei dati rappresentati.
I dati rilevati sono stati elaborati e rappresentati con tecniche riconducibili alla network analisys, tale da
permettere di evidenziare i legami tra i due livelli della filiera, sebbene sul piano metodologico non si sia
fatto un vero ricorso a tale approccio.
L’indagine
Le insegne indagate pesano, in Italia, il 65,2% del mercato per il 2010 e sono rappresentative di tutte le
centrali di acquisto nonostante in Italia questo strumento sia utilizzato in modo diverso dall’esperienza
europea.
Mentre infatti le super centrali di acquisto in Europa costituiscono uno strumento strategico di lungo periodo
per le insegne aderenti, costruito sulla base di accordi di collaborazione che vanno oltre l’acquisto in
16Si tratta del rapporto di ricerca LA FILIERA AGROALIMENTARE tra successi, aspettative e nuove mitologie, curato da
NOMISMA per CONAD e presentato a Roma il 28 Ottobre 2009.
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comune, in Italia è soprattutto l’interesse al breve termine che orienta le adesioni e le continue mutazioni di
scenario17
. Questa è la principale ragione per cui si è optato per una rilevazione ad hoc sulle singole insegne,
anche se questo può significare aver sottorappresentato quelle centrali le cui insegne principali sono diffuse
in altre regioni. Si tenga conto, comunque, che gli accordi tra distributore e produttore sono solitamente
nazionali. Infatti, su molte delle etichette analizzate l’indicazione della provenienza è data dalla sigla accanto
alla scadenza, che indica uno tra i vari stabilimenti, tutti presenti in etichetta, riconducibili all’azienda
trasformatrice cui il distributore affida la produzione del prodotto. Per fare alcuni esempi, sulle etichette del
latte Carrefour, Conad e Pam sono elencati gli stessi stabilimenti, tutti invariabilmente riconducibili a
Granarolo S.p.A., anche se nell’etichetta il nome Granarolo non compare, sostituito da forme vaghe come G.
S.p.A. o dal solo indirizzo identificativo degli stabilimenti (cfr. Figura 23).
Tabella 23: quota di mercato in Italia delle insegne rilevate e delle relative Centrali di Acquisto (2011)
Centrale di acquisto/insegna Quota di mercato 2010 (Val. %)
Centrale Italiana 25,1
Coop 15,3
Despar 5,1
Sigma 3,6
Sicon 13
Conad 10,6
GR Finiper 6,6
Finiper 1,1
ESD Italia 11,5
Selex 8,1
AuchanCrai 9,7
Auchan 7,8
Simply/SMA *
AICUBE 4,9
Pam/Panorama 3,6
Carrefour 6,6
Esselunga 7,8
Lidl 2,4
EuroSpin 3,7
* Oggi è parte del gruppo Auchan
Fonte: Elaborazione Federdistribuzione su dati Nielsen
Un’ulteriore precisazione riguarda il concetto di provenienza. Nell’etichetta è infatti dato con precisione il
codice identificativo dello stabilimento, uguale per tutti paesi europei, che permette di risalire al proprietario
dell’unità locale grazie ad elenchi aggiornati e disponibili online18
, ma non dice nulla sulla provenienza del
latte. O meglio, se italiana, è dichiarata la zona di mungitura, ma non è possibile risalire né al comune nè
17 Di questo parlano Fanfani e Pieri nel rapporto dell’Osservatorio agroalimentare dell’Emilia-Romagna del 2012 “Il sistema agro-
alimentare dell’Emilia-Romagna. 18 Questo l’indirizzo al momento della scrittura: http://ec.europa.eu/food/food/biosafety/establishments/list_en.htm
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all’effettiva zona di allevamento. Così condotta, la rilevazione ha evidenziato i risultati sintetizzati nei
diagrammi presentati nelle pagine successive.
Figura 23: etichette di latte a marchio Conad, Pam e Carrefour, tutte indicano gli stessi stabilimenti di Granarolo
Private-Label, l’analisi dei legami
L’analisi delle reti, meglio nota come Network Analisys, è un approccio metodologico strettamente
quantitativo finalizzato all’osservazione dei legami tra singoli punti di una rete. Sebbene le tecniche
statistiche che sottostanno alla disposizione dei nodi sul piano sono a volte molto complesse, la possibilità di
rappresentare con un solo diagramma una grande quantità di relazioni e grandezze relazionali la rende
particolarmente fruibile. Trattandosi poi di legami complessi non necessariamente gerarchici, l’utilizzo
dell’analisi delle reti si rende particolarmente adatto allo studio di filiere produttive, di singole fasi o delle
relazioni dei singoli componenti.
I diagrammi che seguono sono la rappresentazione grafica delle relazioni rilevate tra le diverse insegne della
GDO e i produttori di latte per i marchi commerciali dell’insegna. L’utilizzo del plurale è d’obbligo, dato
che, non solo, come si è visto a ciascuna insegna possono corrispondere più linee di prodotti con marchi
diversi sebbene immediatamente riconducibili all’insegna, ma questa proliferazione non ha del tutto escluso
l’utilizzo di “white Label”, etichette che cioè non riportano il nome dell’insegna, ma solo del prodotto o
comunque sono da intendersi un’esclusiva della catena distributiva. In tal senso, si pensi al latte “Latte”
prodotto per Esselunga da MlékàrnaHlinsko, s.r.o., per Esselunga o il latte “latteria” prodotto per Lidl da
Padania Alimenti.
In tutti i diagrammi, le insegne della GDO sono rappresentate da un quadrato con angoli arrotondati, mentre i
produttori con un cerchio. Le frecce che li connettono, solide, tratteggiate o punteggiate, rappresentano
invece il tipo di fornitura: solido per il fresco, tratteggiato per l’UHT e punteggiato per i casi in cui
un’azienda fornisce entrambi i prodotti. Variano, invece, da grafico a grafico le posizioni dei nodi e le loro
dimensioni. Ciascuna combinazione evidenzia, infatti, un particolare aspetto della rete.
Nel primo diagramma le dimensioni dei nodi ne rappresentano il grado, ovvero la quantità di legami; la
disposizione è invece il tentativo di ottenere un layout che, in sostanza, avvicinasse i nodi tra loro più simili,
sul piano relazionale, dando conto anche della relativa centralità rispetto al network19
. La lettura che ne
deriva è che tra i produttori Sterilgarda e Padania Alimenti sono quelle che riforniscono il maggior numero di
imprese della GDO, differenziando il proprio campo di azione in base ai due segmenti UHT e fresco.
Sterilgarda fornisce infatti solo latte UHT, mentre Padania Alimenti solo latte fresco ad eccezione che per
19 Il layout del diagramma è dato da un algoritmo basato su Distances + N.R. + EqualEdgeLengths con prossimità misurata in base
alla distanza geodesica.
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Carrefour. Sempre nella prospettiva della differenziazione dei committenti risulta particolarmente
interessante la posizione di GmundnerMolkerei, un’azienda austriaca che confeziona latte UHT per Despar,
PAM, Selex e, soprattutto, COOP, per la quale confeziona praticamente la quasi intera linea di UHT,
biologico compreso. Dall’Austria arriva però anche il biologico fresco di Despar. Prodotto dalla Nom Ag,
nel caso della nostra rilevazione, ma che stando ai codici di etichetta in altre filiali o in altri periodi potrebbe
essere prodotto e confezionato dalla ObersteirischeMolkereieGen, una seconda azienda. Ciò significa che a
parità di confezione, marchio etc. non è detto che il latte biologico Despar provenga sempre e ovunque dallo
stesso fornitore. Si tratta di una pratica che avviene anche per il latte commercializzato dalle insegne
afferenti al gruppo commerciale Selex, che nell’etichettatura del fresco presenta i codici della centrale del
latte di Torino e di quella di Vicenza. La differenziazione dei fornitori per il late a marchio commerciale può
dunque riguardare anche uno stesso prodotto e non solo ricalcare la segmentazione UHT/fresco. Al di là
della segmentazione della fornitura, risulta evidente che in termini di relazioni commerciali le esportazioni di
latte confezionato a marchio commerciale spetti all’Austria, che tra l’altro è presente su entrambi i segmenti.
Cosa, quest’ultima, che non avviene né per la fornitura francese di Candia per Auchan, Carrefour e Simply;
né per il latte confezionato nella Repubblica Ceca da MlekarnaHlinsko per le insegne afferenti a Finiper e
per Esselunga. In entrambi i casi infatti le importazioni riguardano il solo latte UHT, sia in private label che
in whitelabel.
Parallelamente a quanto osservato per i fornitori, dal punto di vista della GDO si può notare come Esselunga
sia l’insegna che invece differenzia maggiormente la propria fornitura (con cinque diversi fornitori), così
come Carrefour, COOP, Despar e Selex, con quattro fornitori ciascuno; la diversificazione si riduce per gli
altri distributori, che, ad eccezione di Conad, risultano generalmente più piccoli in termini di quote di
mercato.
Un altro aspetto del quale si deve tener conto nell’analisi delle relazioni è, infatti, la quota di mercato
detenuta dalle insegne della GDO. Il secondo grafico (Figura 25), propone la stessa disposizione del primo,
ma con la grandezza dei nodi della GDO proporzionata alla quota di mercato rilevata ai dati più recenti
disponibili. Adottando questa prospettiva si può visivamente notare meglio come, dato il combinato disposto
tra differenziazione della fornitura e quota di mercato, Coop acquisti una centralità nella rete del tutto nuova
rispetto alla rappresentazione precedente e, con l’insegna, i suoi fornitori. Nella seconda rappresentazione, ad
esempio, il peso della fornitura di Granarolo si qualifica nella significatività, in termini di quota di mercato,
di Conad, per la quale fornisce l’intera gamma del fresco. Ancora più netta è poi la posizione di Latte Trento,
che oltre a fornire parte del fresco di Coop, fornisce sia fresco che UHT coprendo parte della gamma di
Sigma e Despar. Oltre ad essere l’unico fornitore a confezionare sia fresco che UHT per le stesse insegne, la
particolarità della posizione di Latte Trento è data dalla centralità relativa rispetto alla centrale di acquisto
Centrale Italiana, della quale fanno parte sia Coop, che Despar che Sigma. Nonostante poco sopra abbiamo
specificato che la rilevazione ha riguardato le singole insegne presenti nelle due regioni, senza tenere conto
delle centrali di riferimento né della loro effettiva penetrazione territoriale, da quanto appena osservato si
può risalire alla funzione che le centrali di acquisto potrebbero assumere rispetto alle aziende di fornitura. In
parte la stessa osservazione può essere condotta per la centrale AuchanCrai, data la vicinanza dei nodi
Auchan, Pam e Simply, ma si deve tenere conto del fatto che al momento in cui scriviamo Simply è parte del
gruppo Auchan e quindi potrebbe non dover essere più considerato un’insegna a sé.
L’ultimo aspetto, sul quale crediamo di poter concludere è, infatti, la volatilità di queste informazioni, ma
prima di arrivare a questo, ci soffermiamo ancora sui diagrammi e, in particolare, sull’ultimo (cfr. Figura 26).
La disposizione dei nodi in questo caso è infatti del tutto diversa da quella proposta precedentemente. Con il
layout per raggruppamenti principali si evidenziano le posizioni di Sterilgarda e Padania Alimenti rispetto
alle relazioni tra fornitori e insegne della GDO, che ribadisce un livello di coesione della rete decisamente
basso, con solo il 17% dei legami possibili. Il che ci permette di concludere, sinteticamente, su uno dei punti
con cui abbiamo aperto quest’ultimo paragrafo, ovvero quello del grande peso di poche aziende rispetto
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all’intera rete, Sterilgarda e Padania Alimenti per quanto riguarda la fornitura e Coop per quanto riguarda la
distribuzione. Si deve tuttavia tenere conto, lo dicevamo poche righe sopra, della volatilità di quanto rilevato.
La vicenda delle centrali di acquisto ne è un esempio, ma anche durante il periodo di rilevazione si è avuta
l’esigenza di aggiornare più volte alcune informazioni per essere sicuri di arrivare alla scrittura con dati il più
aggiornati possibile.
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Figura 24: diagramma della produzione di latte in private label per le principali insegne presenti in Emilia-Romagna e Lombardia – Grandezza nodi degree
Fonte: elaborazione Ires ER su rilevazione diretta
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Figura 25: diagramma della produzione di latte in private label per le principali insegne presenti in Emilia-Romagna e Lombardia – Grandezza nodi per quota di mercato GDO
Fonte: elaborazione Ires ER su rilevazione diretta
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Figura 26: diagramma della produzione di latte in private label per le principali insegne presenti in Emilia-Romagna e Lombardia – Principal Component Layout; Nodi degree
Fonte: elaborazione Ires ER su rilevazione diretta
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III parte – Analisi qualitativa
I rapporti della filiera del latte sono stati scomposti e riaggregati nell’intendimento di comprendere le
dinamiche lungo le quali si muove il sistema latte. Se fino ad ora sono state utilizzate principalmente
modalità di analisi quantitativa per analizzare le diverse fasi della filiera, in questa sede si propone la
restituzione di una analisi di natura qualitativa, ovvero gli studi di caso. Così come introdotto nella parte
iniziale, sono stati individuate complessivamente 5 imprese che sui due diversi territori (Emilia-Romagna e
Lombardia) si sono contraddistinte come player importanti, e strategicamente determinanti, nel mercato del
latte. Lo studio di caso si propone, attraverso interviste semistrutturate, di raccogliere il punto di vista
manageriale ed il punto di vista della rappresentanza sindacale per verificare eventuali divergenze e
convergenze rispetto alle strategie della impresa e le ricadute in termini di organizzazione del lavoro e
condizioni di lavoro.
Il rapporto si articola in due aree di analisi. Nella prima si propongono delle schede riepilogative riportanti i
tratti essenziali emersi dai diversi studi di caso in maniera tale da permettere una lettura puntuale per singola
impresa. Nella seconda si restituisce una lettura di sistema portando a sintesi le divergenze e convergenze dei
diversi orientamenti aziendali rispetto a specifiche aree tematiche. La possibilità di passare dal micro al
macro nella modalità di analisi garantisce di collocare il comportamento di una azienda dentro un contesto di
tendenza di sistema mantenendone, però, le specificità individuali.
Gli studi di caso
Studio di caso: Latteria Soresina
L’azienda
Latteria Soresina nasce nel 1900 come cooperativa di trasformazione del latte con la volontà di unificare gli
agricoltori con i produttori di latte. Attualmente la cooperativa conta circa 220 soci per un totale di circa 38
mila vacche ed il latte lavorato proviene esclusivamente dai soci conferenti presenti nei territori prossimi agli
stabilimenti produttivi. Il principale stabilimento produttivo è a Soresina, dove si copre tutta l’ampia gamma
di prodotti (Grana, Provolone, latte, burro ecc…), mentre altri stabilimenti più piccoli, con produzione più
specifiche, si trovano nel territorio circostante (Piadena e Forcello). Siti di confezionamento sono, inoltre,
dislocati nel territorio circostante. La Latteria Soresina conta anche una filiale commerciale negli Stati Uniti.
L’azienda è certificata ISO 9000 per la gestione della qualità e la certificazione di filiera CSQA al fine di
garantire il controllo lungo tutte le fasi di attraversamento del latte dalla produzione alla distribuzione.
Il fatturato nel 2011 è stati pari a circa 250 milioni di euro mentre quest’anno, a seguito dell’accordo con
Consorzio produttori Latte Milano, il fatturato dovrebbe arrivare a 300 milioni di euro.
Occupazione
Complessivamente tra gli stabilimenti di Soresina e Milano i dipendenti sono complessivamente 520. Solo lo
stabilimento di Soresina conta circa 260 dipendenti. Gli agenti storici plurimandatari sono complessivamente
circa 50 mentre per la tentata vendita ci sono 100 padroncini. Il mercato estero, inoltre, è presidiato da
alcuni agenti commerciali.
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A Soresina i dipendenti dedicati alla produzione di latte alimentare (fresco e UHT) sono circa 40 unità ed
altri 40 sono nel confezionamento. A Campegine, l’altro sito per il confezionamento, circa la metà dei 30
dipendenti sono donne. In generale il lavoro femminile è limitato al confezionamento o all’area impiegatizia.
Le politiche di assunzione prevedono in linea di massima un passaggio come lavoro in somministrazione (ex
interinale) o lavoro a termine orientato poi alla stabilizzazione contrattuale. I tempi di stabilizzazione sono
funzionali ai contenuti professionali dei profili lavorativi. Complessivamente gli interinali ed i contratti a
tempo determinato sono circa 50 su 520 con una incidenza particolare nella produzione di grana e nei
magazzini. Il processo di stabilizzazione per i lavoratori extra-comunitari è più lungo in quanto sono loro
stessi a volte a voler mantenersi in una flessibilità contrattuale per poter tornare per lunghi periodi dell’anno
nel paese nativo.
La crisi economico-finanziaria non sembra essersi riverberata sul livello occupazionale in quanto la Latteria
Soresina non ha mai aperto procedure di cassa integrazione o mobilità e ad oggi sta continuando le
assunzioni. Con l’affitto del ramo aziendale del Consorzio di Milano Soresina ha assunto circa 80 dei 100
dipendenti di Centrali Produttori Latte Milano.
Produzione
La capacità produttiva della latteria è principalmente orientata al Grana Padano, di cui la cooperativa è prima
produttrice. Con 420 mila forme di Grana all’anno, la Latteria Soresina produce circa il 10% dell’intera
produzione del Consorzio. In termini produttivi il provolone rappresenta il secondo prodotto per volumi
complessivi (la Latteria Soresina è l’unica a proporre sul mercato il provolone grattugiato) mentre il latte
alimentare, sia esso fresco o UHT, pesa per circa il 15-20% del fatturato annuo. Ora con l’annessione del
Consorzio di Milano la produzione di latte arriva a pesare per circa il 25%.
Se la produzione di UHT rappresenta un modalità di lavorazione del latte di più lungo corso, la produzione
del latte fresco è iniziata solo pochi anni fa (circa 7 anni) e recentemente rafforzata con l’annessione del
Consorzio Produttori Latte Milano attraverso l’affitto dello stabilimento. L’allargamento produttivo al latte
fresco nasce dalla necessità di rispondere alla richiesta di una centrale distributiva importante (Esselunga) e
dall’esigenza di approcciarsi ad un prodotto a più alta remunerazione rispetto al latte UHT.
Ad oggi, la produzione di latte UHT e latte fresco si equivalgono (circa 50% e 50%). Il latte biologico
rappresenta ancora una nicchia marginale.
Il peso dell’export è pari a circa il 20% del fatturato ma è spiegato totalmente dai formaggi in quanto il latte
alimentare non è esportato, ovvero trova nel mercato domestico la sua unica destinazione.
Strategie di impresa
La storia dell’impresa è caratterizzata da spinte strategiche e accelerazioni produttive che ne hanno
determinato dei punti di passaggio. Prima di tutto si è incrementato il latte raccolto e trasformato passando da
1,5 milioni negli anni ’90 ai quasi 4 milioni di oggi. In secondo luogo si è registrata una crescita importante
di tutti i prodotti, dal latte al grana, e l’importante introduzione del latte fresco. Altro elemento che ha
caratterizzato la storia aziendale è la scelta strategica di aprirsi anche al “grattugiato” ed alla “porzionatura”
attribuendo alla confezione una importante carica commerciale e quindi costruendo delle politiche
commerciali di orientamento verso il cliente finale: se la vendita della forma di Grana non permetteva una
visibilità del marchio verso il consumatore finale, la possibilità delle diverse modalità di confezionamento
del formaggio consente l’adozione di modalità di visibilità del marchio.
La scelta del “confezionato”, ovvero il grattugiato in busta ed il porzionato, è considerata la scelta strategica
più importante in quanto consente di vendere il formaggio anche prima della stagionatura.
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Innovazioni
Non esiste un centro Ricerca e Sviluppo specificamente dedicato, ma l’innovazione è una attività trasversale
all’ufficio qualità e marketing in quanto l’innovazione è spesso costruita non tanto sul prodotto quanto sulla
confezione: le scatole, sottovuoto, taglio a filo o taglio grosso, grattugiato ecc…L’innovazione è quindi
costruita molto sulle strategie di marketing tant’è che recentemente la Latteria Soresina ha iniziato anche una
comunicazione televisiva per valorizzare al meglio i propri prodotti.
L’impacchettamento consente una diversificazione del prodotto a seconda del consumatore finale. La
Latteria Soresina produce il latte UHT nel brick da 1 litro e ½ litro mentre il latte fresco si distribuisce nei
Pet; a Milano si produce anche per gelaterie e bar.
Sempre in una logica di investimento sulla innovazione, la Latteria ha allacciato dei rapporti con la Facoltà
di Agraria dell’Università di Piacenzasul fronte della produzione.
Rapporto con la filiera
Dei 3,2 milioni di quintali di latte conferito la totalità proviene dai soci e quindi dalla provincia di Cremona,
Brescia e anche Milano. L’ingresso del Consorzio di Milano non altera il rapporto intimo con il territorio in
quanto tutto il latte proviene da soci di Milano e Lodi aumentando la quantità di latte conferita a circa 4
milioni. Il latte lavorato è usato indistintamente per la realizzazione di tutti i prodotti siano essi formaggi duri
o latte alimentare, sia fresco che latte UHT. Il rapporto tra latte consegnato-latte trasformato, quindi,
risponde principalmente ad una logica di prossimità geografica.
La natura della cooperativa si esprime in una forte dimensione identitaria incardinata sul territorio e nella
relazione fiduciaria con i soci che, come sottolinea il rappresentante manageriale interpellato, non sono
fornitori ma, appunto, “soci”, per cui sono remunerati sulla base dell’andamento dell’impresa e non di un
prezzo regionale: “le cooperative vere non hanno un prezzo predefinito ma un prezzo che è funzione del
risultato”. La dimensione identitaria con il territorio lo si evince anche dalla scelta di produrre latte UHT con
latte proveniente dal territorio.
Se il latte fresco è stato spinto dalla richiesta della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) è altrettanto
vero che la GDO ne assorbe la più ampia quantità: circa il 60% del latte fresco prodotto è assorbito da
Esselunga. L’accordo con Milano, potenzialmente, potrebbe comunque cambiare questo rapporto in quanto
si produrrà con marchi locali per il latte fresco.
Complessivamente la GDO assorbe circa il 60% di tutti i prodotti Soresina, dal latte alimentare al Grana
passando per il provolone. La GDO non è rappresentata solo da Esselunga ma comprende una larga parte
delle centrali distributive come Coop, Conad, Sisaecc…La GDO mostra una grande attenzione alla qualità
del prodotto e tracciabilità dello stesso imponendo standard qualitativi molto alti il cui non rispetto
comporterebbe l’estromissione come fornitore e la perdita, dunque, di clienti importanti. A giudizio del
responsabile manageriale, la sensibilità del consumatore verso la “italianità” del latte impone, anche per la
GDO, una attenta selezione dei fornitori.
Oltre alla GDO, la distribuzione avviene attraverso la tentata-vendita dei prodotti a marchio proprio
attraverso la figura del “padroncino”.
Se il latte fresco viene assorbito in larga quota da Esselunga e tentata vendita, il latte UHT arriva attraverso
gli agenti sia al nord che al sud della penisola.
Organizzazione e condizioni di lavoro
La produzione per la GDO, in base alla testimonianza del responsabile manageriale, genera una complessità
nella gestione della varianza produttiva soprattutto a fronte delle iniziative promozionali. Se con gli agenti
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tradizionali è possibile una programmazione standard della produzione, per la GDO le richieste produttive
sono più variabili.
In termini organizzativi, la varianza produttiva è governata attraverso:
l’estensione dell’orario di lavoro (lavorando normalmente su 5 giornate, in caso di necessità si lavora
il 6 giorno),
attraverso l’utilizzo dello straordinario, che progressivamente sembra aver sostituito un più ampio
ricorso agli interinali,
evitando di accumulare periodi di ferie nei momenti dei picchi produttivi,
attraverso lo spostamento del personale da un reparto all’altro a seconda dei diversi carichi di lavoro
in quanto la lavorazione del latte UHT e del latte fresco contengono sovrapposizioni professionali,
considerato che la produzione di latte necessita di un minor impiego di personale rispetto alla
lavorazione del formaggio, le richieste aggiuntive di produzione dipendono in buona parte da un
incremento di capacità produttiva degli impianti.
Si precisa, però, che la gestione della richieste della GDO consente comunque dei margini organizzativi.
Negli ultimi anni, a giudizio del rappresentante sindacale, si è assistito complessivamente ad un incremento
dei volumi produttivi, ad un allargamento dei reparti ed ad un investimento in automazione non tanto come
reazione alla GDO quanto alla necessità di essere competitivi e produttivi per rimanere sul mercato.
L’automazione, in particolare, ha alleggerito il lavoro manuale, soprattutto nella produzione di formaggi, ma
ha intensificato il ritmo di lavoro comprimendo i “tempi morti”.
Contrattazione collettiva e relazioni industriali
Il clima di relazioni industriali è giudicato positivo e costruttivo e privo di elementi conflittuali. L’azienda si
dice aperta al dialogo e la rappresentanza sindacale riconosce di assumere un atteggiamento conciliante con
l’impresa. Negli stabilimenti di Soresina esiste una Rsu con un equilibrio sostanziale tra Cgil e Cisl,
maggioritario, ed una presenza marginale della rappresentanza Uil.
Il tasso di sindacalizzazione negli stabilimenti di Soresina è di circa il 60%.
Se i rapporti sindacali a Soresina sono sempre stati imperniati sul dialogo (non ci sono mai stati scioperi),
l’accordo con il Consorzio produttori Latte Milano ha generato delle ridondanze soprattutto nell’area
impiegatizia intensificando le relazione con le parti sindacali.
Le pratiche informative con i lavoratori e con i rappresentanti sindacali non rispondono sempre ad un
principio di tempestività ma spesso le decisioni aziendali, anche organizzative (come l’automazione), sono
prese senza un reale coinvolgimento delle rappresentanze sindacali.
La contrattazione di secondo livello coincide con un accordo integrativo territoriale relativo al mondo
cooperativo comprendendo, oltre a Latteria Soresina, altre 3-4 cooperative nella provincia. Il premio di
risultato previsto nell’accordo integrativo garantisce circa 1200-1300 euro in più su base annuale ed è legato
alla produttività (latte prodotto/ore lavorate), redditività (prezzo pagato ai produttori) e fatturato medi delle
cooperative facenti capo all’accordo territoriale. Complessivamente la Latteria Soresina incide per circa il
60% sulla determinazione del premio di risultato.
Prospettive di scenario futuro
La quota di produzione orientata alla GDO è probabilmente destinata a salire.La GDO non è vissuta solo
come elemento produttivo ma anche come driver di innovazione strategica. La possibilità di lavorare per la
GDO ha indotto una maggior attenzione al confezionamento, una rivisitazione delle politiche commerciali,
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l’apertura di reparti dedicati e quindi l’aumento occupazionale. In futuro è quindi possibile che le strategie di
risposta alla GDO rappresentino un fattore di ammodernamento e di competitività.
Studio di caso: Centrale del latte di Brescia
L’azienda
Insieme a Firenze e Salerno, la Centrale del Latte di Brescia ha una natura pubblica e questo elemento, in
base a quanto emerge dalle interviste, è uno degli elementi di più alta distinzione con gli altri centri
industriali di trasformazione. In primo luogo, la conduzione dell’impresa non è spinta da interesse personali a
seguire percorsi non convenzionali per incrementare la redditività. In secondo luogo, l’azienda esalta la
centralità del rapporto con il territorio. Le interviste, inoltre, pongono l’accento sulla necessaria rottura del
sillogismo tra pubblico ed inefficienza. Anche al momento del passaggio da latteria comunale a società per
azioni (1996) l’allora sindaco di Brescia, Martinazzoli, ha insistito perché la Centrale rimanesse pubblica
affinché si creasse un esempio di conciliazione tra natura pubblica e efficienza produttiva-economica.
Il comune di Brescia detiene il 96% di quota partecipativa della società e l’ingresso di nuove imprese nella
compagine societaria è, a giudizio del management aziendale, una via preferibile alla vendita in toto della
impresa a privati in quanto la Centrale è ancora fonte di entrate significative per il Comune (nell’ultimo anno
il Comune di Brescia ha preso circa 1,1 milioni di euro come dividendi).
Lo stabilimento e le linee produttive sono locate nello stabilimento bresciano la cui struttura risale al 1930.
L’incremento dei volumi produttivi e la gestione di prodotti a diversa deperibilità hanno portato alla
necessità di depositi esterni in cui stoccare il prodotto prima della consegna. La natura della produzione non
permette lo spostamento della azienda da un punto di vista impiantistico e proprio per questo l’adeguamento
della capacità produttiva si verifica raddoppiando la linea produttiva grazie all’introduzione di nuove
tecnologie e non con l’allargamento o lo spostamento dello stabilimento dalla sua sede originaria.
Occupazione
I dipendenti della Centrale sono circa 90 ma complessivamente le persone che in forme dirette o indirette
lavorano per l’azienda sono circa 140, includendo anche i padroncini per la distribuzione. Le persone in
produzione sono circa 30, in laboratorio circa 10, in magazzino 10, in manutenzione circa 5 e il resto è
prevalentemente impiegatizio. I dipendenti sono prevalentemente assunti a tempo indeterminato (circa il
90%) e i contratti non standard sono utilizzati per raggiungere profili professionali non presenti in azienda e
poco adatti ad un processo di internalizzazione.
Se prima le competenze specifiche venivano comprate sul mercato esterno, la crescita dell’impresa sul
mercato ha indotto una internalizzazione delle competenze strategiche per garantire la competitività nel
tempo.
Produzione
In termini complessivi per il comparto lattiero-caseario, la produzione della Centrale comprende latte, panna
fresca e mascarpone. Il latte pesa circa per il 55% del fatturato. Oltre alla produzione lattiero caseario, la
Centrale si è inserita nella vendita delle buste di insalata, con un peso di circa il 10% sul fatturato
complessivo. Recentemente la Centrale si è aperta anche alla commercializzazione a marchio di affettati
prodotti da una impresa di San Daniele nella intenzione di costruire una filiera bresciana dell’insaccato.
Relativamente al latte, la Centrale del Latte di Brescia produce latte fresco, latte UHT e latte microfiltrato.
La Centrale è stata la prima azienda nei primi anni ’60 a dotarsi di un impianto per la produzione di latte
UHT. Complessivamente il latte UHT pesa sul latte prodotto a marchio circa il 66% mentre il resto è tra latte
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fresco e latte microfiltrato. A giudizio della direzione aziendale, però, la produzione di UHT presenta delle
criticità in quanto a costi maggiori corrispondono margini più ridotti:
il raggiungimento di temperature più alte per l’UHT comporta costi superiori rispetto al latte
pastorizzato,
il costo del contenitore
Nella produzione di latte è da segnalare anche una quota marginale di latte biologico (circa il 5%).
Complessivamente la produzione del latte avviene per circa il 50% a marchio proprio e il restante per private
label. La quota di produzione a marchio è un bacino produttivo sul quale è possibile agire per governare la
varianza produttiva indotta dalla produzione per conto terzi: in caso di eccesso di richiesta a private label si
contrae la produzione a marchio mentre in caso di flessione della domanda da private label si incrementa la
produzione a marchio.
A giudizio della rappresentanza sindacale, il latte fresco negli ultimi anni è in calo e progressivamente
sostituito dal latte microfiltrato mentre la quota destinata alla GDO è in crescita.
Strategie di impresa
Il Direttore Generale ha rivestito, e riveste tuttora, l’incarico di Direttore Commerciale in quanto si ha piena
consapevolezza che “nelle aziende moderne è…la conoscenza delle dinamiche di mercato che determina le
scelte a monte”. Se infatti prima il mercato del latte era sostanzialmente protetto in quanto la shelf life di
pochi giorni rendeva praticamente impossibile la concorrenza, ora con l’ingresso delle private label, la
grande distribuzione e la sua capacità di spuntare condizioni contrattuali più vantaggiose, il perfezionamento
dei trasporti, la diversificazione e la qualità del prodotto hanno intensificato la concorrenza ed hanno portato
uno spostamento degli assi strategici dalla produzione alla distribuzione.
Negli ultimi 15 anni, la Centrale di Brescia ha attraversato diverse fasi strategiche. Se quindici anni fa
l’azienda ha puntato in particolar modo sulla estensione della gamma dei prodotti agendo anche da
intermediario commerciale, più recentemente alla produzione è stata riconsegnata la centralità strategica
nella consapevolezza che la competitività di una impresa poggia sulla sua reale capacità produttiva.
La produzione del latte poggia su scelte strategiche diverse e complementari a seconda del prodotto: forte
presidio del marchio sul territorio per il fresco e alto di gamma con UHT e microfiltrato fuori dalla provincia.
Innovazioni
La crescita dell’impresa è stata graduale nel tempo attraverso investimenti consistenti nel latte UHT e
microfiltrato e di recente si è ristrutturato il magazzino in maniera tale da rispondere meglio alle esigenze
produttive. Non esiste un ufficio ricerca e sviluppo specifico, ma la parte di ricerca è rivestita in forma ibrida
dal laboratorio qualità.
Da un punto di vista del packaging, la Centrale del Latte di Brescia ha iniziato, circa 12 anni, a ridurre i
rapporti con Tetra-Pak e ha sostituito i tradizionali contenitori con bottiglie PET prima per il fresco e poi
anche per il latte UHT: la Centrale di Brescia è la prima azienda al mondo a produrre latte UHT in bottiglie
pet. La realizzazione del nuovo contenitore è avvenuta in collaborazione con l’azienda tedesca Krones
contribuendo allo sviluppo di una lavorazione della plastica per soffiaggio capace di garantire una tenuta del
prodotto superiore a quanto riesca la lavorazione per estrusione. L’innovazione introdotta ha il pregio, a
giudizio dell’azienda, di imporsi sul mercato differenziandosi, di presentare un basso tasso di obsolescenza
come contenitore e di garantire la completa riciclabilità.
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L’attenzione all’ambiente, inoltre, non si esprime solo nella scelta nel contenitore ma nella piena adesione al
Protocollo di Kyoto: sono utilizzate solo energie rinnovabili dichiarate e l’energia acquistata proviene da
fonti rinnovabili al fine di contenere al massimo le emissioni di anidride carbonica.
La portata innovativa unitamente alla qualità e trasparenza del prodotto sono gli elementi di maggiore
competitività dell’impresa. Oltre al nuovo contenitore, la spinta innovativa ha portato all’adozione di
tecniche di trattamento termico per salvaguardare l’integrità del latte e all’allargamento della gamma dei
prodotti con l’introduzione del microfiltrato con una durata di circa 20 giorni.
Rapporto con la filiera
L’intervista alla parte manageriale osserva criticamente come l’obbligo di tracciabilità per legge sul latte
fresco sia una modalità ridondante in quanto una logica di competitività escluderebbe l’importazione da
destinare a latte fresco. Sarebbe più importante una tracciabilità del latte UHT, dove le componenti in quanto
plurime necessitano di un controllo più stringente sulla provenienza. La tracciabilità del latte UHT
consentirebbe di rendere più trasparente la concorrenza con i principali competitor.
Nonostante il territorio bresciano continui ad assorbire una larga quota della produzione della Centrale del
Latte, ovvero circa i 2/3, una quota importante dei prodotti della Centrale di Brescia supera i confini della
provincia bresciana arrivando a marchio proprio o con private label, oltre al resto del mercato italiano, anche
nel mercato inglese, statunitense e russo. Il latte non è un prodotto da esportazione in quanto i costi di
trasporto non lo permetterebbero. Diverse sono le GDO per cui la Centrale produce a marchio private label.
Non si produce, però, solo per private label per la grande distribuzione ma anche per marchi locali che si
appoggiano alla capacità produttiva della Centrale.
Organizzazione e condizioni di lavoro
Lo stabilimento, costruito negli anni 30, ha una struttura giudicata stretta da entrambi i punti di vista
nonostante i diversi adattamenti introdotti negli anni. La produzione del latte si sviluppa su turni di lavoro
diverse per sfruttare al massimo le norme vigenti. La produzione del latte fresco avviene di notte in quanto la
shelf life inizia dal trattamento termico e non più dal confezionamento, poi si procede con il latte
microfiltrato in sovrapposizione al latte UHT. Ci sono due linee di confezionamento diverso uno per il latte
UHT ed uno per il latte fresco e microfiltrato.
La varianza produttiva implicita in un mercato dinamico ed in un intenso rapporto con la grande
distribuzione è principalmente governata attraverso il regime degli orari e gli straordinari. Ad oggi, a
giudizio della rappresentanza sindacale, gli straordinari sono in diminuzione e la contrazione del latte fresco
ha anche comportato la riduzione delle persone nel turno notturno.
Proprio per la natura del prodotto finale, il rapporto fiduciario tra impresa e lavoratori garantisce la continuità
della capacità produttiva: “proprio perché il latte deve essere confezionato, il lavoratore si fa carico di una
certa responsabilità”, ovvero assicurare la fine del ciclo produttivo.
Le condizioni di lavoro, a giudizio della rappresentanza sindacale, sono buone. L’unico elemento di criticità
sollevata è relativa agli spazi ridotti della struttura produttiva.
Contrattazione collettiva e relazioni industriali
Il clima di relazioni industriali è giudicato positivo. La natura pubblica dell’impresa contribuisce a mantenere
i rapporti sindacali dentro una dimensione di reciproco confronto costruttivo. Negli anni in cui si sono
registrate delle perdite, infatti, è stata la stessa direzione a dichiarare che per la riorganizzazione necessaria
non si sarebbe scaricata sul lavoro.
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È presente un contratto integrativo aziendale siglato nel 2010 con validità triennale in cui si stabilisce un
premio per obiettivi costruito su criteri di produttività (kg in ingresso/ore lavorate) e redditività (margine
lodo). Al termine della vigenza dell’accordo (2013), l’accordo prevede che a titolo di salario aziendale verrà
consolidato ogni anno un “importo annuo lordo pari al 30% della media degli importi annui effettivamente
corrisposti nel periodo di vigenza del presente accordo triennale”: si procedi quindi ad un consolidamento
del premio per obiettivi maturato nel triennio precedente.
Il flusso informativo tra management e rappresentanza sindacale appare imperniato su un rapporto fiduciario
e di reciproco rispetto dei ruoli. Nella stessa parte introduttiva del contratto integrativo aziendale, le parti
concordano nel riconoscere il coinvolgimento dei lavoratori “fondamentale” al raggiungimento di obiettivi di
efficienza, produttività, redditività e di miglioramento continuo di processo e di prodotto.
In termini partecipativi, è da sottolineare come sia in discussione, ormai da tempo, un potenziale ingresso dei
lavoratori al capitale societario. L’alto valore della Centrale, però, non consentirebbe di raggiungere quote
partecipative in grado di garantire un potere decisionale determinante.
Il tasso di sindacalizzazione è di circa il 70% nella produzione e nei magazzini mentre nell’area impiegatizia
i tassi sono marginali.
Prospettive di scenario futuro
In uno scenario futuro le parti sembrano concordare sull’incremento dell’incidenza delle private label nella
programmazione della produzione industriale e sulla centralità dell’innovazione di prodotto ed estensione
della gamma in una logica di competitività. Sempre in una prospettiva futura, particolare rilievo viene
dedicato alla territorialità dei prodotti e quindi all’importanza di garantire la tracciabilità e assicurare
l’italianità della filiera come elemento distintivo rispetto ai competitor di prodotto.
Studio di caso: Sterilgarda Alimenti
L’azienda
Sterilgarda Alimenti nasce 1969 con la produzione di latte UHT e cresce costantemente negli anni
affermandosi nel mercato non solo del latte ma anche dei succhi di frutta. La crescita di volume produttivo
dell’impresa ha corrisposto anche ad una estensione dello stabilimento: nei primi anni ‘90 è stato costruito un
nuovo capannone aumentando le linee produttive ma, a giudizio della rappresentanza sindacale, ad oggi gli
spazi di lavoro cominciano ad essere nuovamente “stretti”. L’azienda si sviluppa su una superficie di oltre
45.000 mq su di un'area di oltre 400.000 mq. Le possibilità di ampliamenti per l'area coperta sono di oltre il
100%. L' azienda in questo settore raggiunge ad oggi un fatturato di oltre 240 milioni di euro anche grazie
alle collaborazioni con brand della distribuzione organizzata.Oggi l’azienda possiede con le seguenti
certificazioni:
Certificazione BRC-IFS, ovvero una certificazione pensata dalla GDO per i propri fornitori. Lo
Standard BRC (Technical Standard and Protocol for Companies
SupplyingRetailerBrandedFoodProducts) costituisce un modello riconosciuto in Inghilterra per
garantire che i prodotti a marchio siano ottenuti secondo standard qualitativi ben definiti e nel
rispetto di requisiti minimi. Lo Standard IFS (International Food Standard) è il corrispettivo del BRC
per i paesi dell’area centro-europea (Austria, Svizzera, Francia e Germania).
Certificazione SEDEX, ovvero la certificazione etica inglese
E l’autorizzazione di Export FDA, ovvero il certificato che autorizza la spedizione di merce
alimentare nel suolo degli Stati Uniti d’America
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Occupazione
Complessivamente l’azienda conta 265 dipendenti con un indotto complessivo di circa 500 lavoratori e
lavoratrici tra trasporti e distribuzione. Nei magazzini, diversamente, il personale dipende dalle cooperative.
Le persone dedicate alla produzione di latte sono circa 30/40 per turno e quindi complessivamente circa 1/3
dell’occupazione complessiva. In termini di genere, è prevalente l’occupazione maschile soprattutto in
produzione mentre in laboratorio prevale la presenza femminile.
L’occupazione in azienda è prevalentemente a tempo indeterminato e i nuovi ingressi sono finalizzati alla
stabilizzazione contrattuale. I contratti non standard sono funzionali o ad un inserimento o alla stagionalità.
Produzione
Lo stabilimento Sterilgarda Alimenti può essere considerato tra i siti di produzione e confezionamento UHT
con tecnologia Tetrabrik più moderni in Italia; ad oggi garantisce una capacità produttiva di 1.200 tonnellate
di prodotto al giorno nei comparti latte e derivati, prodotti speciali, succhi di frutta e bevande, sfruttando gli
otto impianti e le 27 linee di confezionamento.
L’azienda è inoltre leader di settore in Italia e all’esterno per la produzione di mascarpone con una capacità
produttiva pari a 40 tonnellate di mascarpone al giorno e 15 di ricotta. Importante considerare anche la
produzione, in costante crescita, dello yogurt e dei dessert, per la quale si utilizzano 3 linee di
confezionamento: la prima asettica per panna da cucina, budini e panne cotte a lunga conservazione, le altre
due altamente igienizzate per il confezionamento dello yogurt.
Complessivamente il latte rappresenta circa il 50% della produzione aziendale e la totalità del latte prodotto,
microfiltrato e non, è latte UHT in quanto il latte fresco è prodotto da Padania Alimenti, ovvero un’altra
azienda sita in Casalmaggiore (CR), la cui proprietà è per il 58% dei soci proprietari di Sterilgarda: esiste
quindi una suddivisione societaria incentrata sulla tipologia di prodotto. Le due società hanno una gestione
separata ma hanno evidentemente delle sinergie tant’è che Sterilgarda Alimenti produce il mascarpone per
Padania Alimenti che lo commercializza.
Considerato tutto il volume produttivo, circa il 65% è destinato alla Grande Distribuzione Organizzata
(GDO) di cui circa il 50% a marchio Sterilgarda e l’altro 50% in private label. Dall’intervista alla proprietà
emerge come esista un punto di equilibrio importante tra produzione a marchio e produzione private label
per la GDO: è importante collocare un volume produttivo capace di imporsi sul mercato senza, però,
sovrastare le private label.
Strategie di impresa
Fin dalle sue origini, l’impresa ha costruito la propria strategia di crescita sull’allargamento della gamma dei
prodotti.
Negli ultimi anni (4-5 anni), l’azienda ha puntato molto sulla qualità selezionando in forme più accurate i
diversi conferenti: una persona è stata assunta con lo specifico compito di verificare l’aderenza degli
standard di qualità dei diversi conferenti. La possibilità di verifica capillare consente di sapere costantemente
la tracciabilità del latte: se prima si comprava dai centri di raccolta, la nuova impostazione strategica prevede
l’interlocuzione diretta con i singoli acquirenti.
L’azienda ha incrementato negli ultimi anni le esportazioni passando dal 5% al 10% del fatturato annuo.
Oltre alle altre tipologie di prodotto (come il mascarpone), le esportazioni interessano anche il latte
microfiltrato ed il latte UHT soprattutto verso Inghilterra e Russia. È di interesse osservare come il latte
esportato UHT è principalmente di derivazione straniera.
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Complessivamente le esportazioni sono destinate verso la Cina, Giappone, Canada ed anche Brasile,
aprendosi quindi anche a mercati emergenti.
Da quanto emerge dall’intervista alla proprietà, le strategie incentrata sulla qualità del prodotto, sul rapporto
prezzo/servizio e sulla capillarità della distribuzione hanno assicurato una competitività all’impresa tale da
considerare come competitor non tanto i produttori nazionali (come Granarolo e Parmalat) quanto i
produttori europei che entrano nel mercato italiano del latte con un prezzo estremamente basso. Il prezzo del
latte confezionato importato dall’estero si riduce anche di 7-8 centesimi al litro evidenziando le criticità del
costo del latte italiano a causa, secondo la proprietà, del costo dell’energia, della frammentarietà della
produzione, del costo del lavoro e del sottodimensionamento della produzione italiana rispetto al fabbisogno
nazionale e quindi, inevitabilmente, alla questione delle quote latte.
Innovazioni
Oltre all’innovazione di processo, la spinta innovativa si esplicita nella ricerca di un packaging capace di
rispondere ai nuovi stili di consumo e nella ricerca di nuovi prodotti. Nel 2010, Sterilgarda Alimenti esce con
il latte microfiltrato UHT.
Importante risulta, inoltre, l’investimento nella innovazione tecnologica soprattutto orientata al packaging in
stretta collaborazione con l’azienda Tetrapak. Sempre relativamente all’innovazione tecnologica è da
segnalare la costruzione di un magazzino automatizzato attraverso cui si riesce a stoccare la produzione
(circa 400 mila bancali l’anno) e a governarne l’uscita attraverso “una unica bocca”, elemento
organizzativamente cruciale quando si hanno referenze commerciali diverse con prodotti e scadenze
differenziate.
Gli investimenti verso l’innovazione hanno interessato anche l’impatto ambientale della produzione con la
costruzione di un impianto di depurazione.
Sebbene l’azienda mostri una importante spinta all’innovazione, non esiste un ufficio ricerche
specificamente dedicato ma lo sviluppo innovativo si muove lungo il confine dell’informalità e attraverso le
competenze delle singole maestranze.
Rapporto con la filiera
Il 65% del latte lavorato dagli stabilimenti Sterilgarda ha una provenienza italiana mentre il restante 35%
deriva principalmente dall’Austria e Germania, ed in forma marginale anche dall’Ungheria. Il latte
microfiltrato è solo latte italiano. La “italianità” del latte viene garantita ai clienti che pongono particolare
attenzione alla tracciabilità del prodotto mentre a chi non lo richiede viene utilizzato il latte estero o un misto
tra latte estero e latte italiano. Il latte di denominazione italiana deriva in larga quota dalla Lombardia ma
anche da altri territori più lontani al sito produttivo. Il latte importato dall’estero è totalmente latte sfuso in
quanto l’azienda è una industria di trasformazione e non di commercializzazione del prodotto: solo in fase di
rinnovo del contratto aziendale, in base all’intervista alla rappresentanza sindacale, era circolata l’ipotesi che
l’azienda avrebbe importato direttamente latte confezionato direttamente dalla Germania per il vantaggio
economico ma poi la voce è caduta nel vuoto.
Lavorando in larga parte per la Grande Distribuzione, lo stabilimento produttivo è costantemente sottoposto
ad audit da parte di soggetti terzi. La Grande Distribuzione impone quindi il mantenimento di standard
qualitativi molto alti. Considerando la produzione complessiva, esistono dei rapporti di esclusiva con alcune
centrali distributive ma in generale è possibile osservare come Sterilgarda Alimenti produca indistintamente
per molte delle principali catene, da Esselunga (con una incidenza crescente) ad Auchan, da Coop alla Conad
fino a Despar. L’azienda fornisce i suoi prodotti, non necessariamente solo latte, anche a diversi discount, tra
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cui Lidl ed Eurospin, i cui livelli di standard qualitativi rimangono comunque molto alti. Ne consegue che
tutta la catena di distribuzione ponga dei vincoli di qualità molto elevati alla industria produttrice.
La preponderanza di produzione destinata alla GDO, mette l’impresa in una condizione di continua tensione
produttiva tant’è che è la stessa proprietà ad evidenziare come la Distribuzione “stia strozzando l’industria”
conducendola ad “una competizione tirata molto sul prezzo” e come i rapporti di filiera non dovrebbero
trovare una contrapposizione tra produzione e trasformazione ma una loro “alleanza” per fronteggiare la
GDO.
Organizzazione e condizioni di lavoro
Producendo in larga quota per la GDO, si impone, per stessa ammissione della parte proprietaria, una
capacità produttiva e organizzazione del lavoro flessibile soprattutto per far fronte alle iniziative
promozionali e alle accelerazioni produttive. Se la capacità produttiva si muove lungo i margini di
produttività che gli impianti riescono a garantire, la flessibilità organizzativa è incentrata sulla estensione
degli orari di lavoro, sulle competenze maturate in azienda e sulla disponibilità/responsabilità dei lavoratori.
La capacità produttiva aggiuntiva per rispondere ai picchi è assicurato portando a saturazione la capacità
produttiva. La disponibilità/responsabilità dei lavoratori per la sostenibilità del ciclo produttivo del latte,
invece, si esplicita nel garantire la produzione per 16 ore giornaliere ed eventualmente il sabato mattino
straordinario in caso di picchi di richieste. Le 16 ore di produzione giornaliera di latte sono disposte su due
turni di 9 ore (8+1 ora di straordinario a turno ogni giorno per la sterilizzazione prima ed il lavaggio poi).
Lavorando solo UHT non è previsto il turno notturno per la produzione del latte anche perché le linee
produttive non garantiscono la sterilità dopo 16-17 ore di produzione continua. Il lavoro notturno, invece, è
previsto per la produzione di succhi. Fino ad ora la gestione della varianza produttiva è stata gestita
attraverso l’utilizzo dello straordinario come alternativa al ciclo continuo, ipotesi che, a giudizio della
rappresentanza sindacale, irrigidirebbe l’organizzazione del lavoro e la capacità di reazione ai picchi
produttivi. L’utilizzo dello straordinario eccede a volte anche il limite contrattuale ma non legislativo.
Contrattazione collettiva e relazioni industriali
Il clima di relazioni industriali è positivo così come è buono il rapporto con i lavoratori. L’intervista alla
proprietà evidenzia, infatti, l’importanza di costruire una politica delle risorse umane capace di “condividere”
con i lavoratori “ancor di più i successi dell’impresa”. Il clima collaborativo di relazioni industriali sembra, a
giudizio della rappresentanza sindacale, vivere una fase interlocutoria: lo stesso spostamento della direzione
in una sede esterna allo stabilimento produttivo ha allungato la “filiera della comunicazione” tra le parti.
La disponibilità alla flessibilità lavorativa è, a giudizio della rappresentanza sindacale, l’elemento di
maggiore competitività dell’impresa. La disponibilità/responsabilità dei lavoratori alla produzione del latte
viene riconosciuta nell’ambito del contratto integrativo aziendale che prevede un premio di produzione
notevolmente superiore alla media di settore. Nello specifico il premio di produzione previsto dall’accordo
integrativo esce dai criteri del premio per obiettivi introdotti dall’accordo del luglio del 1993 e introduce un
premio in cifra fissa: “in considerazione della non attuabilità…della costruzione di un salario per obiettivi,
basato su dati storici aziendali e conseguentemente per l’identificazione dei parametri di riferimento per il
sistema del relativo calcolo, si è convenuto di confermare l’erogazione a tutti i dipendenti assunti a tempo
indeterminato, del premio di produzione in cifra fissa per 14 mensilità utili ai fini del TFR”.
Complessivamente il premio di produzione, dopo l’ultima rivalutazione in occasione del rinnovo
dell’accordo, passa a 390 euro mensili. La consistenza del premio di produzione è il risultato di consolidate
relazioni sindacali maturate negli anni. Le modalità di costruzione del premio di produzione sono
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recentemente state messe in discussione dalla proprietà orientata a muoversi verso un premio per obiettivi
individuali ed una rivisitazione del premio anno su anno (mentre prima era garantita per 4 anni).
Esiste una Rsu composta da 5 membri. Il tasso di sindacalizzazione è intorno al 50% e gli iscritti al sindacato
sono prevalentemente in produzione. A giudizio del sindacato, i nuovi assunti si avvicinano più difficilmente
al sindacato.
Prospettive di scenario futuro
Secondo la proprietà lo strapotere della GDO rispetto all’industria e la capacità della prima di tirare una
competizione sulla seconda incardinata sul prezzo deriva da un eccesso di produttori in Italia e quindi da un
eccesso di offerta per la GDO. In uno scenario futuro, però, si osserva come tale asimmetria di rapporto
appaia insostenibile in quanto le imprese hanno eroso al massimo i propri margini ed “hanno finito i soldi” e
conseguentemente anche il rapporto con la GDO dovrà trovare un riposizionamento per continuare ad
esistere.
In una prospettiva futura, quindi o i rapporti si modificano o l’eccesso di produttori sul mercato nazionale
porterà alla necessità di approdare su mercati esteri con prodotti a più lunga conservazione e di investire
maggiormente sull’innovazione di prodotto sul mercato nazionale.
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Studio di caso: Granarolo
L’azienda
Nata dal Consorzio Bolognese Produttori Latte (1957), unitosi poi con cooperativa Felsinea Latte nel 1972,
nell'arco di vent'anni la Granarolo estende le proprie attività lungo l'intero Paese. Da sempre, la peculiarità
dell'azienda è lo stretto rapporto tra produzione, trasformazione e distribuzione del latte, un rapporto che non
è andato perduto neppure oggi, dopo la trasformazione in S.p.A. avvenuta nel 1990 e la significativa
diversificazione produttiva che vede ormai Granarolo competere sull'intero comparto lattiero-caseario.
Ad oggi il gruppo Granarolo S.p.A. è per il 77,5% di proprietà di Granlatte, per il 19,8% di Intesa Sanpaolo e
per il 2,7% di Cooperlat. La Società controlla a sua volta C.S.L. S.p.A., Granarolo Iberica, Latticini Italia
S.r.L., ZeroquattroS.r.L. (all'82%) e Calabrialatte al 50%.
Occupazione
In termini di occupazione Granarolo è senz'altro uno dei gruppi più consistenti dell'intero settore
agroalimentare. Oltre ai circa 1.179 addetti di Granarolo S.p.A. vanno infatti considerati i 593 addetti di
Zeroquattro, 224 di Latticini Italia, i 21 di Calabria Latte, i 57 del Centro Sperimentale del Latte, cui sono
riconducibili anche 5 addetti della controllata CSL France e i 4 addetti di Granarolo Iberica, per un totale di
2.083 addetti nel 2011 cui andrebbero aggiunti i circa mille allevatori consorziati. Più del 50% degli addetti
sono inseriti con mansioni operaie cui si aggiungono un 39,5% di impiegati. Sia il 2010 che il 2011 sono stati
chiusi con una complessiva crescita occupazionale, rispettivamente del 27,7% nel 2010 e del 6,1% nel 2011
sull'anno precedente, dovuta alla costituzione delle nuove società Zeroquattro e Latticini Italia. Escludendo le
acquisizioni e le nuove società, in effetti, il quadro muta sensibilmente. In particolare dal 2009 al 2011 il
numero di occupati della capogruppo Granarolo S.p.A. diminuisce progressivamente fino ad un -19%,
passando da 1.456 addetti a 1.179. Dai quali andrebbero altresì decurtati ulteriori 118 lavoratori in Cassa
Integrazione a 0 ore che al 2011 rientravano ancora nel conteggio complessivo e appartenenti agli
stabilimenti di Rimini, di Sermoneta di Latina e della Centrale di Milano.
Quanto descritto è il risultato dei processi di riorganizzazione che Granarolo sta portando avanti per far
fronte alle strategie messe in atto sia rispetto al mercato italiano che a quello internazionale. Pur non
trattandosi di ristrutturazioni dovute direttamente alla crisi economica, infatti, nelle parole dell'azienda gli
obiettivi di crescita sono perseguiti essenzialmente attraverso il riassetto e la ricollocazione delle produzioni
sui vari stabilimenti in base alle tecnologie esistenti e alle destinazioni dei prodotti. É in tal senso che può
essere letto il recente inasprimento delle relazioni industriali che contrappongono gli interessi dell'azienda a
ricollocare le produzioni sul territorio italiano e quello dell'organizzazione sindacale, la cui azione è
finalizzata ad evitare che tali ricollocazioni determinino la concentrazione degli investimenti in alcune
singole aree produttive a discapito dell'occupazione delle altre. Questo ragionamento verte comunque in
prevalenza sul caseario. Per il latte alimentare, infatti, al momento non sono emerse conflittualità dovute a
cambiamenti nella strategia aziendale, sebbene anche in questo caso è possibile notare le tracce di una
segmentazione delle referenze tra i diversi stabilimenti e marchi. In particolare facciamo riferimento a
Latticini Italia, ex Lat-Bri, vocata principalmente alla produzione di latte per marchi privati e commerciali.
Produzione
Al momento Granarolo produce latte fresco e UHT, latticini freschi yogurt e, da poco, sta ampliando la
gamma con la produzione di formaggi stagionati.
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Granarolo è la prima in Italia con il 24% di quota di mercato sul fresco, seconda è Parmalat, mentre sull'UHT
le parti si invertono. Granarolo si è da sempre distinta per la trasformazione del latte raccolto in Italia presso
i suoi conferitori, il che rende Granarolo leader sul prodotto fresco. Diversamente, quindi, l’UHT risponde
ad esigenze di prodotto commodity, un ragionamento valido soprattutto per quanto riguarda la produzione in
conto terzi.
Strategie di impresa
L’azienda trasforma e confeziona latte e derivati del latte, ma il latte alimentare è sempre meno al centro
delle strategie di impresa. Mentre fino a qualche anno fa, infatti, la produzione casearia era spesso in perdita
e sostenuta dai proventi del latte alimentare , adesso, soprattutto con l'intervento della GDO come competitor
e le perdite in termini di latte venduto per la crisi, il caseario sta assumendo una centralità sempre maggiore
sia in relazione al mercato interno che, soprattutto, a quello esterno. Il cambiamento di strategia si evince
chiaramente dalle recenti acquisizioni e ristrutturazioni tra le quali recente è l'acquisizione del caseificio
Podda in Sardegna specializzato nella produzione casearia stagionata. In secondo luogo, si deve tenere conto
dello spostamento di alcune produzioni di formaggi freschi in stabilimenti con tecnologie che si usano di
solito per l'estero e non per il mercato italiano (da Bologna a Usmate in Brianza). Rispetto al latte, invece,
l'acquisizione di Lat-Bri ha permesso la messa a regime della produzione di latte a costi più ridotti,
concentrando nello stabilimento di Usmate la gran parte della produzione per le Private Label che comunque
affianca anche la produzione di latte a marchio proprio negli stabilimenti storici, tra cui soprattutto quello di
Soliera (MO) oltre che in quello di Bologna stesso. Data la sofferenza degli impianti, infatti, l'inserimento di
formati per i marchi privati permette di fare economie di scala e di produrre un latte che costa effettivamente
meno, benché sia lo stesso prodotto di quello a marchio Granarolo. Il prodotto a marchio privato rappresenta
comunque una quota marginale, non oltre il 7% del fatturato, questo perché Granarolo non si costituisce
come un leader di costo e al di sotto di un certo livello di prezzo non può andare.
Per quanto riguarda il mercato interno, quindi, l'azienda deve tenere conto della sempre maggiore diffusione
del prodotto latte a marchio commerciale e il progressivo abbattimento dei prezzi che hanno determinato un
calo del valore attribuito dal consumatore al prodotto stesso. Diventa perciò strategico creare, aggiungere,
valore al prodotto, con l'innovazione, con la valorizzazione della propria distintività. In tal senso possono
essere lette le più recenti innovazioni, finalizzate alla ricerca di un nuovo target, di nuovi spazi di mercato.
D'altra parte, non sembra poter essere trascurato il consumatore medio, quello che cerca semplicemente il
prezzo più basso. Per arrivare a quel tipo di consumo però servono strutture produttive in grado di fare il
costo più basso e dedicate essenzialmente a quello. Se poi in Italia il mercato si restringe, se si consuma
meno, allora bisogna trovare fuori nuovi spazi di mercato. Ma l'export non può basarsi sul latte, né sul fresco
né sull'UHT che costa meno altrove. Il prodotto esportabile è, infatti, quello a maggior valore aggiunto oltre
che il più trasportabile. Al momento Granarolo è presente all'estero con il formaggio fresco, una novità
dell'ultimo biennio che ha portato la quota di estero sul fatturato a 60 mln su 950 mln. Anche su questo ha
giocato un certo ruolo l'acquisizione di Lat-Bri, che ha contribuito su quei 60 con 40 milioni di fatturato. Al
momento tale quota è comunque relativa solo al fresco – mozzarella, mascarpone etc. – mentre è previsto a
breve l'ingresso di Granarolo nel mercato dello stagionato dop sia interno che esterno.
Questo non esclude comunque l'interesse di Granarolo rispetto al NormalTrade, che si intende sostenere
anche attraverso il rafforzamento della rete distributiva e logistica. In tal senso ci pare di poter leggere la
nascita e il sostegno di Zeroquattro s.r.l..
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Innovazioni
Quello lattiero è un settore maturo. Le innovazioni si riducono spesso al packaging e all'introduzione di latti
speciali che però non sempre hanno un sufficiente riconoscimento da parte del pubblico, né giustificano gli
ingenti investimenti necessari per l'inserimento e il lancio sul mercato. Nell'ottica della valorizzazione del
prodotto latte Granarolo ha agito per lo più con interventi incrementali e sul packaging. In tal senso possono
essere lette le più recenti novità relative alla confezione da 1,5 lt, al latte per consumatori di religione
musulmana e alla valorizzazione in etichetta della filiera controllata ed italiana.
Gli investimenti in R&S sono invece dedicati essenzialmente a progetti che hanno più che altro a che fare
con il caseario o con linee specifiche di prodotti. Di ciò si occupano prevalentemente i circa venti addetti del
reparto di ricerca e sviluppo cui si aggiungono consulenze per specifici progetti. Come ad esempio i pediatri
per la linea baby food.
Il reparto risulta sottodimensionato rispetto all'attenzione che Granarolo dedica all'innovazione, ma si
preferisce segmentare i progetti in base alle effettive strategie di medio e lungo termine. Non tutto ciò che è
presentato come innovazione è in effetti da intendersi leva strategica.
Rapporto con la filiera
Il latte conferito a Granarolo viene da tutto il territorio nazionale e la filiera costituisce in gran parte la forza
e la peculiarità del marchio. La filiera di Granlatte copre il 65% 70% del fabbisogno. Il resto è un latte
acquistato sul mercato, parte italiano e parte estero. Ogni stabilimento ha la sua zona, ma poi in caso di
esigenze particolari possono esserci degli scambi. In ogni caso la filiera è governata da Granlatte e non da
Granarolo. Granarolo esprime il proprio fabbisogno e poi Granlatte verifica se riesce o meno a coprire
l'intero fabbisogno gestendo le eccedenze di materia prima o la scarsità attraverso un sistema di
compensazione. In caso di mancata copertura da parte è previsto l'acquisto di latte estero o da altri conferitori
ma in misura variabile e comunque segmentata per linea di prodotto. In altre parole mentre il latte
AltaQualità è sempre prodotto con il latte dei produttori associati, ciò che non rientra nella gamma top
potrebbe non esserlo.
La precedenza di acquisto è comunque assicurata ai singoli soci prima ancora che alle cooperative di soci, in
tal senso Granarolo ha dei vincoli chiari, orientati al sostegno della filiera con metodi industriali. Se si
produce troppo latte sarà cioè l'industria a valorizzarlo al meglio, d'altra parte Granarolo è espressione della
consorzio di raccolta che deve trasformare il suo latte.
D'altra parte anche la filiera a monte rientra nelle strategie aziendali. Anche in previsione dell'abolizione
delle quote latte, quello che si sta cercando di fare è di aumentare la produzione di latte consolidando e
saturando i conferitori associati.
Organizzazione e condizioni di lavoro
Dal punto di vista aziendale il modello organizzativo è considerato il perno della strategia di innovazione,
quella che cioè porterà a nuovi parametri di flessibilità e di risposta al mercato. Il perseguimento di tale
strategia è però innanzitutto culturale e in quest'ottica Granarolo sembra disposta ad investimenti
significativi. Sotto questo titolo va ad esempio il progetto You&G (Granarolo e Young) che ha portato
all'inserimento di risorse giovani destinate alla futura dirigenza. Si deve poi aggiungere che il cambiamento
della strategia aziendale, orientato all'introduzione dei formaggi stagionati nel core business, implicherà
l'inserimento di nuove competenze in azienda, sia nella fase produttiva che in quella di vendita. La
stagionatura comporta infatti oltre che nuove lavorazioni, la previsione della domanda futura del prodotto da
parte del consumatore, una prospettiva completamente diversa da quella adottata nel fresco.
77
Dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro vero e proprio, invece, i ragionamenti sono altamente
diversificati in base alle aree di produzione e, soprattutto, in base agli stabilimenti. Per quanto riguarda la
produzione del latte, in particolare, a Bologna – cinquanta addetti sui 500 dell'intero sito – non risultano
cambiamenti significativi rispetto agli ultimi venti anni. É emerso inoltre come i circa dieci addetti alla
pastorizzazione costituiscano un'unità essenzialmente autonoma per la propria organizzazione interna, ma
capace di garantire la copertura del fabbisogno produttivo giornaliero, e fissato gerarchicamente, con un
sistema di riserve. Anche la produzione di formaggi freschi è suscettibile di una certa varianza dovuta oltre
che alla stagionalità dei prodotti all'attività di promozione e alle richieste della GDO. In questo caso però le
variazioni sono programmate a due o tre settimane e, in base al fabbisogno, vengono attivati moduli
produttivi più o meno articolati, anche supportati da lavoratori in somministrazione.
Questo risulta essere in effetti l'unica modalità e occasione di lavoro a termine. Almeno nello stabilimento di
Bologna, dove comunque si riconosce un percorso di stabilizzazione della durata di circa due anni rafforzato
dal diritto di prelazione in caso di assunzioni a tempo indeterminato sia per i tempi determinati che per i
somministrati. Per quanto riguarda l'impiego di manodopera femminile, sebbene completamente assente in
certi reparti, in quelli dove è presente le lavoratrici svolgono le stesse mansioni dei loro colleghi.
Non sono state rilevate particolari difficoltà relative alla salute e sicurezza dei lavoratori.
Contrattazione collettiva e relazioni industriali
Nonostante un clima di relazioni industriali generalmente stabile e costruttivo, il recente cambiamento di
strategia e le conseguenti acquisizioni da parte di Granarolo hanno inasprito i rapporti. Soprattutto in
relazione allo stabilimento di Bologna, quello oggetto del presente rapporto, il trasferimento di alcune
produzioni – ricotta e mascarpone – nel nuovo stabilimento di Usmate ha determinato la preoccupazione
delle organizzazioni sindacali rispetto al futuro dello stabilimento di Bologna e al mantenimento dei livelli
occupazionali. In particolare poi, la consapevolezza delle difficoltà del settore rende i lavoratori più deboli e
meno disposti a comprendere eventuali iniziative di rottura con la dirigenza, anche se i livelli di
sindacalizzazione sono rimasti quelli tradizionali (circa 200 su 500 addetti).
Per quanto riguarda la contrattazione collettiva recentemente sono stati messi in discussione i criteri di
identificazione della quota variabile del salario. In particolare l'azienda aveva espresso l'intenzione di
introdurre criteri di valutazione del tutto individuali basati sulle assenze e sulla disciplina. Al momento però
tale approccio sembra essere stato abbandonato a beneficio di quelli preesistenti di efficienza e redditività
che, al 100% degli obiettivi, hanno garantito nel 2011 1. 900euro in più.
Prospettive di scenario futuro
In diversi casi è emerso il peculiare rapporto tra Granarolo e la sua filiera. Inevitabilmente quindi, con
riferimento allo scenario futuro, la soglia del 2015, quando cioè verranno abrogate le limitazioni alla
produzione europea del latte, costituisce il centro di diversi ragionamenti.
Il latte italiano costa infatti più di quello europeo. Altrove ci sono economie di scala diverse. L'Italia ha pochi
spazi, allevamenti piccoli e uno scarso supporto infrastrutturale. Questo senza voler escludere le quotazioni
del latte assunte in relazione all'andamento degli stagionati dop. Il fatto che i concorrenti di Granarolo
paghino il latte 3 o 5 centesimi meno acquistandolo fuori (Lactalis) costituisce un elemento di forte criticità
se si pensa che la variazione per la Granarolo è stata di circa il 30% su prodotti che hanno un’incidenza sul
fatturato del 60%.
Risulta perciò evidente come in relazione al latte alimentare Granarolo rischia di vedere via via ridotti i
propri spazi di mercato senza una valorizzazione delle proprie caratteristiche. La filiera è senz'altro uno degli
aspetti, ma a quello va aggiunto il rapporto con il territorio. La strada delle certificazioni è una di quelle
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tenute in alta considerazione da parte dell'azienda. Specialmente quelle che offrono un incremento di valore
aggiunto all’organizzazione o al prodotto.
In tal senso l’ISO9000 non basta più. Oggi e domani ancora di più saranno quelle sul Life CycleAssessment
che faranno la differenza, perché oltre ad avere un valore economico ne hanno uno sociale ed etico. Si pensi
ad esempio alla Carbon FootPrint che in certi paesi inizia ad essere esposta sull'etichetta dei prodotti.
Il valore aggiunto di cui parla Granarolo è quindi ricercato a 360 gradi, oltre al prodotto in sé e al modo di
presentarlo, una quota del suo valore è data dalla sua origine, dalla sua eticità, in tal senso acquistano
rilevanza quei progetti non lucrativi come la banca del latte umano donato, o il sostegno della filiera del latte
in Tanzania; nonché dal suo rapporto col territorio, che passa sia attraverso il sostegno della filiera che nel
rapporto con la GDO. Anche se le grandi metrature sono ormai in diminuzione, i negozi di prossimità fanno
comunque capo alla GDO, che continuerà a governare il mercato. Dal punto di vista della filiera, invece, dal
2015 ci sarà inevitabilmente una selezione dei più piccoli a vantaggio dei più grossi. Le stalle piccole non
saranno sostenibili economicamente, oltre che ambientalmente, e si spingerà verso una forte intensificazione
della produzione.
Studio di caso: Parmalat
L’azienda
Fondata da Calisto Tanzi agli inizi degli anni '60 Parmalat è cresciuta soprattutto grazie alla diffusione del
latte a lunga conservazione. Lontana dall'idea della cooperazione dopo la quotazione in borsa ha avviato una
fase di diversificazione del business che ha toccato diversi settori, da quello del turismo a quello
dell'entertainment anche sportivo con l'acquisto del Parma A.C..
La storia recente di Parmalat è tuttavia distante dalle esperienze degli anni '80 e '90. Nel 2003 infatti il nome
della società esce dalle pagine economiche e sportive per entrare in quelle di cronaca. É l'anno del crac, della
rabbia dei risparmiatori, dell'arresto del suo fondatore e del commissariamento dell'azienda.
Tra il 2003 e il 2007, sotto la dirigenza del commissario straordinario Enrico Bondi, alcune cessioni e marchi
rimettono in sesto le casse di Parmalat fino al 2011, quando la manifestazione di interesse di acquisto da
parte di Lactalis riporta il nome Parmalat sulle prime pagine di tutti i quotidiani italiani, e non solo, per oltre
due mesi, fino all'Opa, lanciata nel Marzo del 2011.
A fine 2011 sono controllate da Parmalat a diverso titolo le italiane SATA S.r.l. Dalmata S.r.l. Latte Sole
S.p.A. Centrale del Latte di Roma S.p.A. e Carnini S.p.A.; fuori dall'Italia vanno invece la Parmalat Portugal
Prod. Alim. Ltda (Portogallo) Curcastle Corporation NV (Antille O.), Parmalat Canada Inc. (Canada),
Parmalat Botswana (PTY) Ltd (Botswana) OOO Parmalat MK (Russia), Parmalat Romania SA (Romania),
OaoBelgorodskij (Russia), Parmalat South Africa (PTY) Ltd (Sud Africa) Parmalat ProdutosAlimentares
(Mozambico), Parmalat del Ecuador (Ecuador), Parmalat Colombia (Colombia), Parmalat FoodProducts
(Australia) e Parmalat Australia (Australia). A queste andrebbero poi aggiunte le controllate dal gruppo
Lactalis, in Italia la Egidio Galbani S.p.A. e Italatte S.p.A., e in Francia LactalisBeurres&Cremes S.n.c. e la
finanziaria B.S.A. Finance S.n.c.
Occupazione
Al 2011 erano riconducibili al gruppo in Italia 2.042 addetti, in calo 88 persone rispetto al 2010. Mentre i
dipendenti di Parmalat erano 1.630 persone, di cui 58 dirigenti, 864 tra quadri e impiegati e 708 operai.
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Produzione
Parmalat è presente in Italia con diversi marchi per lo più riconducibili al latte (Parmalat, Omega3 plus,
Dietalat, PhysicalVaalia e Zymil) e ai succhi di frutta (Santal). Il latte UHT è quindi il prodotto principale al
quale sono via via stati affiancati i latti speciali e funzionali. Nel 2011 dei 4.491 milioni di Euro fatturati dal
gruppo il 59,2% è dovuto al latte (comprese panna e besciamella) e il 32,1% a derivati del latte che non
necessariamente sono presenti sul mercato italiano. Si deve in effetti considerare che l'Italia incide sul
fatturato per il solo 22%.
In Italia, a fronte di un complessivo calo dei volumi di vendita del 1,1% sul 2010, Parmalat fa registrare un
+0,3% per il latte UHT (il 44% dei volumi complessivi) soprattutto per i prodotti Zymil. Il latte pastorizzato
rappresenta il 34% del fatturato, diminuisce del 3,3%.
Al momento è attiva un'esternalizzazione su Santal che quindi non riguarda il latte rispetto al quale tali
processi non rappresenterebbero alcuna opportunità di risparmio.
Strategie di impresa
Subito dopo il lancio dell'OPA su Parmalat da parte di Lactalis la strategia dei nuovi proprietari era
sintetizzata nell'avvio della costituzione del principale gruppo lattiero caseario al livello mondiale, unendo i
10 mln di fatturato di Lactalis ai 4 di Parmalat e facendo confluire in Parmalat le attività di Lactalis relative
al latte confezionato in Europa20
. Contestualmente si parlava di ampliamento delle possibilità di fatturato
all'estero, con particolare riferimento ai Paesi emergenti, e, soprattutto di consolidamento della filiera italiana
e dell'occupazione in Italia.
In realtà da quel 27 aprile molte cose sono cambiate, infatti sulle affermazioni che abbiamo sintetizzato
pesano gli 1,5 mld di euro spesi per l'acquisto infragruppo di Lactalis USA che, dal punto di vista del
sindacato, non hanno facilitato l’avvio delle relazioni già complesso per le ingenti operazioni di
ristrutturazione di cui parleremo più avanti.
É in questo complesso quadro che vanno collocate le informazioni rilevate attraverso le interviste e le
premesse degli accordi sindacali.
Quello che comunque emerge con chiarezza è che per quanto riguarda il latte la sopravvivenza dei prodotti di
marca sarà sempre più legata alla valorizzazione del prodotto attraverso servizi e differenziazione. La crisi ha
in effetti accelerato quel processo di progressiva svalutazione del prodotto latte dovuto alla forte pressione
sul prezzo operata dalla GDO. L'impatto in tal senso è stato duplice, oltre all'iniziale calo della quantità si è
infatti verificato quello che in termini tecnicisi chiama downgrading del carrello, ovvero la stabilità delle
quantità acquistate ma a prezzi inferiori.
La competitività del prodotto di marca non è quindi sul prodotto semplice, ma si gioca tutta sul servizio
offerto, sul packaging, sul marketing e sulle differenziazioni mirate del prodotto per intercettare nuovi
consumatori. Ampliare la gamma significa proprio cercare nuove opportunità di consumo, come il latte per
l'infanzia, il latte funzionale etc.
Al momento della scrittura non sono riconducibili a Parmalat produzioni in conto terzi (Private Label), ma
l'intenzione è quella di incrementare la quota di mercato anche per mezzo di questo sistema. Quello che però
nelle intenzioni dell'azienda viene definito come un'opzione necessaria che non esclude lo sviluppo e gli
investimenti preoccupa fortemente l'organizzazione sindacale. L'opzione PL andrebbe infatti a rappresentare
un terzo della produzione complessiva di latte UHT e parte del fresco, il settore più in sofferenza. Mentre
fare Private Label nelle parole dell'impresa rappresenta la possibilità di stare sul mercato per poter perseguire
gli obiettivi a mezzo di innovazione e investimenti, per il sindacato, alla luce dell'acquisizione di Lactalis
20Cfr. Svolta su Parmalat: Lactalis lancia l'Opa su Il Sole 24 ore, del 27/04/2011
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USA e della chiusura di alcune linee in Italia teme la dequalificazione del lavoro, del prodotto stesso e delle
possibilità di creare valore attraverso la Ricerca e Sviluppo.
Al momento comunque, a fronte di un accordo per l'investimento di 160/180 mln di euro per il sostegno dei
due canali, l'innovazione e la valorizzazione del marchio da un lato e la razionalizzazione della produzione
per l'entrata nel mercato delle Private Label dall'altro, si rileva la preoccupazione per il destino dei 120
esuberi e di quelli che potrebbero essere individuati a breve in conseguenza dell'implementazione del
modello organizzativo per processo (Product Unit) su Collecchio. L'interesse di Lactalis sullo stabilimento di
Parma è comunque certo, dato che proprio su Collecchio sarà installata una nuova linea per il
confezionamento in HDPE (PET).
Innovazioni
Quello del latte è un settore maturo in cui le innovazioni più frequenti riguardano il packaging più che il
prodotto vero e proprio o il processo.
Parmalat si è comunque contraddistinta, nella sua storia, per le significative innovazioni di prodotto che
l'hanno portata a conquistare spazi di mercato prima inesistenti. Zymil è sicuramente l'apripista dei latti a
valore aggiunto che costituiscono, oggi, parte della strategia di Parmalat. Accanto al delattosato – la cui
invenzione risale a oltre trenta anni fa – vanno presi in considerazione i latti funzionali, quelli cioè dedicati
alla cura e salute del corpo, come Omega3, per la salute cardiaca; Calcium Plus per il calcio e Fibresse per la
regolarità intestinale. Ci sono poi i latti dedicati a particolari esigenze di consumo, come il Prima Crescita
per i bambini.
Quelle richiamate sono comunque innovazioni ormai consolidate e le cui tecnologie non necessariamente
possono considerarsi una prerogativa di un solo marchio. Lo stesso vale per alcune innovazioni incrementali,
o comunque relative al packaging. Sebbenel'introduzione del microfiltrato – nella caratteristica bottiglia blu
– sia l'innovazione cardine rispetto al fresco, ormai anche gli altri player hanno adeguato le proprie
tecnologie all'ottenimento di un latte fresco che si conservi comunque più a lungo del normale pastorizzato.
Restando sul packaging, l'introduzione del PET e la riduzione dell'uso del tetrapack è un aspetto del tutto
centrale e che può offrire diversi spazi di marketing. Oltre apermettere una più facile conservazione del
prodotto grazie al tappo con la vite, infatti, è più riciclabile del tetrapack – o quanto meno lo è alla stessa
maniera su tutto il territorio. Al momento non risulta comunque che la questione ambientale entri, o sia
entrata, nei processi decisionali della società, se non nella forma del risparmio, e con particolare riferimento
ad alcuni stabilimenti in cui sono da poco state attivate innovazioni di processo e organizzative sperimentali.
Infatti, nell'ottica del doppio livello di business che è stato messo in evidenza rispetto alla strategia
dell'azienda, oltre al consolidamento delle produzioni di latti speciali e ad investimenti su progetti non ancora
definiti, si deve tenere conto di uno sforzo in termini di innovazione organizzativa relativamente allo
stabilimento di Collecchio in cui da un modello organizzativo per funzioni si è passati ad uno per prodotto.
Lo snellimento è riconducibile essenzialmente alla totale responsabilizzazione di ciascuna Product Unit
rispetto all'intero processo produttivo del prodotto, dalla ricezione delle materie prime allo stoccaggio del
prodotto finito.
Rapporto con la filiera
Rispetto alla forza del marchio Parmalat, il rapporto con la filiera è senz'altro il punto più debole. Ciò vale in
particolar modo per la parte di filiera a monte. Infatti sebbene i fornitori italiani della materia prima risultano
stabili, il latte italiano riguarda la parte meno significativa della produzione Parmalat e, in particolare, solo
alcune aree geografiche tra cui spicca il centro Italia in conseguenza dell'acquisizione della Centrale del Latte
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di Roma. Esclusa questa peculiarità, infatti, la quota di latte non italiano potrebbe non essere trascurabile
dato che le importazioni arrivano anche fino al 60% del fabbisogno.
Le differenze di trattamento e controllo dei latti di diversa provenienza sono comunque scarse. Infatti, mentre
con il latte italiano successivamente al contatto con il fornitore Parmalat verifica la certificazione di qualità e
che l'azienda sia fiscalmente attendibile, con il latte importato la verifica ex ante riguarda solo la posizione
fiscale, mentre la qualità è controllata prima che il latte sia immesso nel ciclo.
La filiera a valle è invece costituita essenizlamente da GDO e NormalTrade. In base al tipo di cliente variano
le quote e i tipi di latte venduto. Il fatturato derivante dalla GDO è per l'85% dovuto all'UHT e per il 15%
fresco. Nel NormalTrade UHT e fresco si equivalgono. Anche sul fatturato complessivo, l'apporto è
equivalente. Per questa segmentazione della fornitura il fresco soffre più dell'UHT visto che il NormalTrade
è in sofferenza rispetto alla GDO. Si deve poi tenere conto del fatto che non tutta l'Italia è uguale e che al
nord la GDO pesa più che al sud.
Organizzazione e condizioni di lavoro
Il lavoro non standard è utilizzato per far fronte alle stagionalità di alcuni prodotti e alle esigenze di
promozionalità dei prodotti. Sebbene il rapporto con la GDO non ha esplicitamente avuto impatti sulle
condizioni di lavoro, si deve tenere conto che la flessibilità richiesta alla produzione è necessariamente legata
alla flessibilità richiesta dalla distribuzione. Tanto più che la direzione di Parmalat è, in parte, quella della
produzione in conto terzi.
Il processo produttivo, soprattutto quello di pastorizzazione, è più automatizzato che in passato, ma
essenzialmente è rimasto lo stesso.
Contrattazione collettiva e relazioni industriali
Nonostante le complicate vicissitudini dell'azienda, tradizionalmente il clima di relazioni industriali in
Parmalat si è caratterizzato per una certa distensione, clima messo in discussione dagli ultimi eventi. Infatti,
dopo l'acquisto di Lactalis, la nuova proprietà ha presentato un piano industriale che non ha del tutto
soddisfatto il sindacato, soprattutto rispetto alle promesse iniziali (cfr. Par. “la strategia dell'azienda). La
questione dell'acquisto attraverso la cassa Parmalat di Lactalis USA ha favorito l'instaurarsi di sospetti
sull'effettiva strategia della proprietà che al momento si è caratterizzata per l'identificazione di circa 93
esuberi, dovuti alle chiusure della centrale di Genova (latte pastorizzato), gli stabilimenti di Carnini a
Cilavegna (PV) (latte pastorizzato) e poi Villa Guardia (CO). Alcuni interventi organizzativio riguarderanno
inoltre Rimini, dove alcuni trasformati passeranno direttamente alla Galbani, sempre del gruppo Lactalis.
Dal punto di vista aziendale le ristrutturazioni potrebbero essere ricondotte alla nuova proprietà, che essendo
già presente nel settore lattiero caseario in Italia potrebbe non volere “doppioni”. Analisi suggerita ad
esempio dallo spostamento delle produzioni di Rimini che da Parmalat sono passate alla Galbani.
È però vero che Lactalis non è da molto tempo in Parmalat e che quello attuale possa considerarsi un periodo
di reciproca osservazione. Il tavolo delle trattative in effetti è al momento rimasto invariato rispetto al
periodo precedente. I rapporti sono tra sindacato e dirigenza Parmalat e solo nei casi in cui gli incontri hanno
una rilevanza nazionale al tavolo assiste un consulente di fiducia Lactalis che però non interviene. Questa
composizione suggerisce l'idea di un progressivo detrimento dell'autonomia di Parmalat che però è tutto da
verificare.
Prima dell'acquisto da parte di Lactalis, comunque, la contrattazione è sempre stata un punto di riferimento
sia sotto il profilo della partecipazione, sia per la qualità del lavoro. Il progetto delle aree integrate andava
infatti nella direzione di un miglioramento della vita lavorativa più che delle sole condizioni di lavoro. Si
trattava, in sostanza, di accordi trasversali alle diverse aree produttive. L'ultimo di questi accordi è quello
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sulle professionalità nello stabilimento di Collecchio, risalente al 1997 e ripreso nel 2007, che identificava
dei percorsi di miglioramento individuale chiamati “sentieri di carriera”, favoriti da percorsi formativi
personalizzati e gestiti attraverso commissioni paritetiche. In questo senso, la riduzione delle modalità di
partecipazione alle sole tecniche previste dalla produzione just in time – vediil Kanban – risulta un
arretramento del coinvolgimento dei lavoratori.
Prospettive di scenario futuro
Lo spazio dell'industria di marca sarà sempre più ridotto e, in Europa, l'industria arriverà ad essere un
servizio per la GDO. Anche se difficilmente arriverà a quel tipo di estremi, la situazione italiana si
caratterizza per un percorso analogo. D'altra parte le PL valgono il 25% 30% del mercato e sono in crescita, è
poi è comunque la GDO che decide dove e come posizionare i prodotti. All'impresa di marca restano le fasi
di lancio dei nuovi prodotti e i prodotti a maggior valore aggiunto.
Si aggiunga a ciò che la GDO non crea alcun valore per la filiera e che nel frattempo crea problemi al
NormalTrade. Ecco perché gli spazi che restano al prodotto di marca devono essere costantemente cercati e
ampliati con un impegno costante in ricerca e sviluppo, anche perché non è detto che dopo la fine della fase
recessiva che ha portato al downgrading del carrello, i consumi torneranno a crescere.
Sebbene sulla carta lo scenario sintetizzato non esclude necessariamente l'intervento di Parmalat nel mercato
della produzione per conto terzi, nel prossimo futuro, ci dice uno dei rappresentanti dei lavoratori,sarà
l'equilibrio tra le due componenti a fare la differenzatra un “grande marchio” e una “grande latteria”.
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Lettura trasversale
L’attraversamento mediante un approccio meramente qualitativo di casi, ovvero imprese, così differenti per
dimensione, struttura, articolazione strategica e mercato impone una doverosa cautela nella trattazione delle
possibili aree di sovrapposizione adottando un principio di diversificazione. Se infatti rispetto ad alcune aree
tematiche è possibile intravedere delle linee di tendenza in qualche modo accostabili, in altri ambiti tematici,
soprattutto quelle strettamente dipendenti dalla struttura dell’impresa, esistono delle zone di forte separatezza
tra imprese grandi e imprese medio-piccole. Nella descrizione delle aree tematiche di analisi trasversale sarà
quindi posto un accento dove la dimensione della impresa o di un gruppo industriale agisce da elemento di
discrimine.
Le strategie delle imprese
Pur se la dimensione aziendale impatta significativamente sulle scelte strategiche delle imprese, proprio su
questo tema gli studi di caso restituiscono comportamenti e scelte riconducibili a categorie interpretative
convergenti. I diversi studi di caso sembrano disegnare un orientamento strategico delle diverse imprese non
centralizzato sul latte fresco. Se la Granarolo, leadership di prodotto in questo senso, sembra spostare, anche
attraverso le recenti acquisizioni, il proprio baricentro strategico sui formaggi, anche le altre imprese
sembrano assumere un posizionamento strategico non incardinato sul latte fresco: se per Sterilgarda Alimenti
produce solo latte UHT e per Soresina il latte fresco ha un peso marginale in termini di fatturato, la Centrale
del Latte di Brescia sembra contrarre la produzione di latte fresco a favore del latte microfiltrato mentre
Parmalat esplicita nello stesso accordo del 24 settembre 2012 sulla gestione dei processi di ristrutturazione
che “il primo quadrimestre del 2012 evidenzia, per il mercato italiano del latte fresco, un ulteriore calo del
5,7%”. Il ruolo secondario del latte fresco dentro una logica strategica non deve essere confuso, però, con un
suo abbandono produttivo: il latte fresco continua ad essere rilevante come volume di prodotto ma non
appare determinante negli scenari strategici che le imprese si prospettano. Le implicazioni di tale scelta si
riverbera non solo sulla organizzazione del processo produttivo (il latte fresco infatti si produce nel turno
notturno) ma si riflette anche nel legame con il territorio, sul processo di commodification del prodotto latte
attivando una relazione con la crescente quota importata di latte confezionato e nel rapporto con la Grande
Distribuzione Organizzata (GDO).
In generale, è comunque osservabile una perdita di strategicità del latte alimentare come prodotto di marca in
quanto l’abbattimento dei consumi, conseguente alla crisi economico-finanziaria, ha accelerato la
svalutazione del prodotto latte imputabile alla forte pressione competitiva sul prezzo, esercitata dalla GDO
negli ultimi anni. Inoltre, il processo di svalutazione del prodotto latte risulta ancora in una fase iniziale in
quanto la quota di volume di prodotto a destinazione private label nel latte alimentare è sì cresciuta
rapidamente ma non ha ancora raggiunto il livello di copertura registrato in altri paesi europei e quindi
dispone, potenzialmente, di ancora ampi margini di crescita: in base a quanto premesso nell’accordo
Parmalat del 24 settembre le quota a volume di private label è cresciuta, nel latte fresco, dal 5,7% nel 2007 al
22% attuale, con punte di oltre il 30% in alcune regioni. Lo spostamento strategico dal latte fresco, in
particolare, e dal latte alimentare, più in generale, congiuntamente ad una importante flessione dei consumi
spinta dal crollo del potere d’acquisto ed un downgrading del carrello, indica in un più consistente
orientamento all’export una soluzione strategica nel prossimo futuro delle industrie di trasformazione nel
lattiero-caseario: aprendosi a prodotti a più lunga deperibilità e a più alto valore aggiunto (i formaggi e i
derivati del latte) e uscendo da un mercato domestico frenato dalla crisi dei consumi, le imprese nel settore
vedono nel mercato estero uno scenario verso cui sempre più orientarsi.
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Oltre a restituire una perdita strategica del latte fresco, gli studi di caso mostrano come le scelte strategiche
delle imprese poggino sulla estensione della gamma di prodotti da proporre sul mercato, in produzione
propria o come intermediario commerciale (si veda ad esempio la produzione di affettato e insalata della
Centrale del Latte di Brescia). All’interno dei prodotti lattiero-caseari le scelte delle imprese vertono su una
crescente diversificazione del prodotto puntando sul completamento della gamma (come Granarolo che
dispone della gamma completa), su una differenziata qualità del prodotto (dal latte funzionale al
microfiltrato), sulla tracciabilità (italianità del prodotto e della filiera e relative certificazioni) e sulla
intercettazione di mercati diversi in funzione delle diverse dinamiche di consumo (consumo critico con il
latte biologico ed il latte per i mercati di religione musulmana). In sintesi, la competitività sul latte nel
mercato domestico passa attraverso la valorizzazione della qualità del prodotto tramite una sua crescente
differenziazione e sul packaging.
Anche nella produzione di latte UHT si propone una diversificazione di prodotto per qualità e tracciabilità
con implicazioni diverse nei rapporti di filiera. Se la Centrale di Brescia e della Latteria Soresina, ad
esempio, producono latte UHT sempre con lo stesso latte prodotto sul territorio circostante, Sterilgarda
Alimenti, quando non è esplicitamente richiesta l’italianità della produzione, e le stesse Granarolo e Parmalat
producono latte UHT per private label con latte estero. Le imprese a più forte vocazione territoriale
mantengono la propria dimensione identitaria anche rispetto ai prodotti a minor margini di reddittività.
In termini strategici è possibile notare come la sola impresa che esporta latte trasformato in Italia è
Sterilgarda Alimenti. Tutte le altre imprese, invece, producono latte per il mercato domestico e le
esportazioni interessano solamente prodotti a più alto valore aggiunto (formaggi). La possibilità per
Sterilgarda di approcciarsi al mercato estero è principalmente imputabile alla sua leadership di costo, ovvero
la capacità di avere consolidato delle strutture di costo in grado di competere con gli altri produttori europei
nei loro mercati nazionali. Il posizionamento strategico di Sterilgarda Alimenti è tale che non considera tra i
primi competitor gli altri produttori nazionali di latte, quali la stessa Granarolo o Parmalat, ma le stesse
industrie straniere che commercializzano direttamente il latte sul mercato italiano.
In termini generali è possibile individuare due poli strategici lungo i quali si posizionano le diverse imprese
interessate dagli studi di caso. Da una parte si ha un approccio strategico che rimanda ad una leadership di
costo e dall’altra si identifica un approccio strategico relativo ad una leadership di prodotto. Se la prima è
incentrata su una ottimizzazione delle strutture di costo, la seconda ruota intorno alla capacità di imporsi sul
mercato attraverso la qualità e la diversificazione del prodotto e la visibilità e il riconoscimento del marchio.
Ovviamente le strategie possono esprimersi anche congiuntamente e non necessariamente le imprese si
riflettono completamente in un polo o nell’altro ma, piuttosto, esprimono intensità diverse di orientamenti
strategici verso l’uno e l’altro polo. Se la Granarolo si inserisce prevalentemente nella la leadership di
prodotto e la Sterilgarda Alimenti interpreta la leadership di costo, Parmalat sembra aver assunto
recentemente una strategia policentrica con spinte proprie alla competitività di prodotto e spinte alla
competitività di costo, quali un’apertura importante, non ancora misurabile, verso la produzione in private
label per “sostenere i volumi produttivi, recuperare efficienza, assorbire i costi, nonché contrastare nel
tempo la pesante perdita di volumi generata dagli andamenti di mercato, in particolare per quanto attiene al
latte fresco” (Accordo 24 settembre 2012). La Latteria Soresina e la Centrale del Latte di Brescia
costruiscono la loro strategia intorno all’intimità del rapporto con il territorio garante di una qualità di
prodotto, distanziandosi da un modello di leadership di costo: il rapporto con la GDO, come vedremo nel
prossimo paragrafo, non ha quindi alterato l’identità valoriale di queste imprese ma ha principalmente
rappresentato uno strumento di espansione commerciale e produttiva.
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Innovazione
Gli studi di caso concordano nel considerare quello del latte un mercato maturo in cui le innovazioni di
processo e di prodotto assumono ormai forme incrementali e dove lo sforzo innovativo è principalmente
riversato nel packaging e nel marketing orientato ad estendere la visibilità del prodotto.
Contemporaneamente tutte le imprese interpellate pongono al centro delle proprie strategie gli investimenti
in innovazione. Anche in questo caso, la classe dimensionale delle imprese agisce sulla intensità della spinta
innovativa ma si palesa una sostanziale convergenza rispetto alle direttrici che tale spinta assume.
In primo luogo tutte le imprese puntano all’innovazione di prodotto, orientata a trovare tipologie di prodotto
capaci di interpretare e inseguire le evoluzioni delle dinamiche di consumo e garantire nella diversificazione
la qualità del prodotto: dal prodotto biologico al latte microfiltrato, dal latte ad alta qualità al latte delattosato,
dal latte per bimbi ai latti funzionali. Gli elevati standard di qualità imposti dalla certificazione e dalle
logiche competitive hanno ridotto il gap qualitativo tra le marche ed indotto a concentrare lo sforzo
innovativo verso i prodotti a più alto valore aggiunto.
In secondo luogo, l’innovazione di processo si traduce principalmente nell’automazione del lavoro e
nell’automatizzazione del magazzino capace di gestire prodotti diversi con scadenze differenziate. Fattore
determinante per gli interventi sul processo è anche la crescente attenzione per l’impatto ambientale: la
Centrale del Latte di Brescia è al 100% dentro il protocollo di Kyoto. Rispetto all’innovazione di processo,
oltre alle tecniche di trattamento termico introdotte dalla Centrale del Latte di Brescia, è da mettere in
evidenza come nel caso Parmalat la ricerca di efficienza e produttività finalizzata al mantenimento
competitivo passi anche attraverso il rilancio di una “nuova filosofia industriale” incardinata su due filoni di
natura organizzativa:
Introduzione di tecniche di lean manufacturing per il recupero di efficienza e l’orientamento al
miglioramento continuo, già sperimentato nello stabilimento di Collecchio (Parma)
l’applicazione di un modello organizzativo per processo anziché per funzioni, ovvero la creazione di
una struttura produttiva dotata di unità operative per “prodotto” con la piena responsabilità
gestionale dei processi dalla ricezione delle materie prime fino allo scarico a magazzino dei prodotti
finiti. Inizialmente tale modello organizzativo sarà implementato nello stabilimento di Collecchio
per poi estendersi a tutti gli stabilimenti del Gruppo. L’introduzione dell’innovazione organizzativa
sarà accompagnata, così come contenuto negli accordi sindacali, da un pieno coinvolgimento dei
lavoratori e da percorsi formativi imperniati sulla multifunzionalità e polivalenza le cui linee guida
saranno definitivi in sede della Commissione Tecnica Paritetica di Gruppo e applicate nei singoli
stabilimenti mediante un confronto con le rappresentanza sindacali.
In ultimo, è il packaging l’elemento su cui si riversano i maggiori sforzi innovativi e conseguentemente le
politiche di marketing. Rispetto al packaging le modalità innovative si muovono verso la diversificazione per
dimensione, per forma, per materiale (dal brick al pet), personalizzazione del formato e chiusura del
contenitore (tappo a vite). A tal proposito la quasi totalità delle imprese ha rapporti consolidati con l’azienda
TetraPak con la quale si sono sviluppate sinergie in termini di progettazione e realizzazione di contenitori. In
questo contesto, si distingue la Centrale del Latte di Brescia che ha infatti ridotto nel tempo i rapporti con
TetraPak per avviare una propria linea di packaging in collaborazione con l’azienda tedesca Krones: si sono
così realizzati bottiglie in PET capaci di esaltare la personalizzazione del contenitore, garantire la sicurezza
del prodotto con un processo di lavorazione a soffiaggio e rispettare l’ambiente. Anche Parmalat e Granarolo
hanno avviato ormai da anni la produzione di latte in bottiglia in PET per offrire nuovi spazi di marketing nel
rispetto ambientale e, soprattutto Granarolo, per valorizzare attraverso la trasparenza del contenitore la
qualità del prodotto. L’attenzione all’ambiente rappresenta quindi, sebbene ancor non diffusamente, un
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driver per l’innovazione e in questa logica le certificazioni giocano un ruolo di primo piano: è la stessa
Granarolo, in particolare, a sottolineare che la certificazione di qualità non sia più sufficiente per rimanere
sul mercato lattiero-caseario ma sempre di più sia necessario approcciarsi alla certificazione sul Life
CycleAssessment nel rispetto di valori non solo economici ma anche etici, sociali e ambientali in una logica
di responsabilità sociale d’impresa.
L’investimento in innovazione si muove lungo una strutturalità proporzionale al livello dimensionale. Nelle
imprese di più piccole dimensioni, quali quelle intervistate in Lombardia, non esiste un ufficio Ricerca e
Sviluppo con persone specificamente dedicate ma spesso l’attività di sviluppo dei prodotti è inglobata dentro
l’area di controllo qualità. Nelle imprese più strutturate, invece, quali la Granarolo e la Parmalat, ci sono aree
di Ricerca e Sviluppo con un budget e personale specificamente dedicate: gli studi di caso, però, evidenziano
come l’attività di ricerca e sviluppo sia principalmente dedicato ai formaggi e ai derivati del latte.
Produzione a marchio e produzione private label
Tutte le imprese coinvolte dagli studi di caso hanno sviluppato o intendono sviluppare rapporti con la GDO
non solo in termini commerciali ma anche produttivi. Ovvero tutte le imprese, in misura più o meno marcata,
producono a marchio proprio utilizzando i canali di distribuzione della GDO e producono per la GDO a
private label. Nessuna produce esclusivamente in private label ma è sempre presente una produzione a
marchio proprio. Come le interviste mettono in evidenza, la produzione a marchio proprio viene utilizzato in
chiave di flessibilità produttiva in funzione della variabilità delle richieste della GDO: in una logica di
mantenimento dei rapporti in essere è la produzione a marchio ad aumentare o diminuire a seconda dei
volumi di prodotto domandati e destinati a private label.
Il rapporto tra produzione a marchio e produzione private label trova una sua esplicitazione anche
nell’equilibrio tra i volumi produttivi riversati sullo stesso canale distributivo. Come emerge dalle interviste a
Sterilgarda Alimenti, è importante mantenere un bilanciamento tra le due produzioni rispetto allo stesso
soggetto distributore per evitare che il proprio marchio metta in ombra la private label.
Le interviste alle imprese produttrici di latte evidenziano come la produzione private labelper la GDO sia
nelle linee strategiche di tutte le imprese inserendosi in misura diversa in base al posizionamento tra due
condizioni strategiche, da leadership di costo a leadership di prodotto: l’orientamento a produzione private
label è più spiccata nella leadership di costo mentre risulta più contenuta nella leadership di prodotto.
Considerata l’alta incidenza della GDO sulle dinamiche produttive è indubbio che sia proprio la
distribuzione a dettare gli standard di riferimento. Da un lato, la GDO induce ad alzare i propri standard
qualitativi di prodotto e di processo: le certificazioni di qualità e le stesse certificazioni di filiera sono
condizioni minime richieste dalle stesse centrali di distribuzione, cui si aggiungono le visite periodiche di
controllo (audit) effettuate da personale specializzato. Al contempo, però, la GDO esercitando una pressione
sul prezzo del prodotto stabilisce anche lo standard minimo per le strutture di costo della produzione sotto i
quali non sarebbe conveniente produrre. Le interviste, infatti, mettono in evidenza come per le imprese con
le più alte quote di prodotto destinato a private label, come la Sterilgarda Alimenti, è il cliente, ovvero la
GDO, ad aver indotto una maggiore attenzione alla tracciabilità e qualità del prodotto agendo anche sulla
organizzazione del lavoro: proprio a Sterilgarda Alimenti di recente è stata prevista l’introduzione di una
figura specifica con la responsabilità di controllare gli standard di produzione di ogni singolo produttore
conferente. Diversamente, le imprese con strutture di costo marginale significativamente superiori a quanto
sarebbe industrialmente conveniente per una produzione private label mantengono, o hanno mantenuto
finora, un atteggiamento cauto nei confronti delle private label. Le imprese leader di prodotto, fresco la
Granarolo e latte UHT Parmalat, hanno una articolazione di garanzie e qualità del prodotto, una diffusione e
transnazionalità del marchio, una capillarità produttiva e distributiva, un capitale umano e tecnologico che
non le rendono del tutto compatibili alle esigenze della GDO. La resistenza alla GDO sembra però perdere la
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sua forza a fronte della persistente contrazione dei consumi e la pesante perdita di volumi generata dagli
andamenti di mercato. La Granarolo, infatti, produce in private label quote di prodotto marginale mentre
Parmalat è approdata alle private label solo recentemente e non se ne conosce, ad oggi, l’incidenza reale.
L’apertura di Granarolo alla produzione in conto terzi ha modificato solo in parte l’approccio dell’azienda al
mercato, infatti il grosso della produzione resta sul segmento del fresco e a filiera controllata, mentre
Parmalat sembra aver prodotto un’inversione di tendenza strategica più marcata accettando l’ineluttabilità di
una competizione anche sul costo e quindi aprirsi “alla produzione per conto terzi” al fine di sostenere i
volumi produttivi, recuperare efficienza e assorbire i costi fissi.
La GDO, inoltre, come ben emerge nel caso di Latteria Soresina, è anche driver per l’innovazione e le
strategie di prodotto. L’introduzione del latte fresco nella gamma dei prodotti della Latteria Soresina, infatti,
è il risultato di una richiesta di Esselunga innescando il bisogno di nuove linee produttive e, quindi,
inevitabilmente nuova occupazione. Inoltre, uscendo dallo stretto confine del latte, la relazione con la GDO
ha prodotto per la Latteria Soresina un investimento importante nella modalità di impacchettamento del
formaggio Grana Padano imponendo una trasformazione strategica non marginale con ricadute occupazionali
di positivo rilievo. Commercializzando non più solo le forme di Grana stagionate, ma anche il porzionato ed
il grattuggiato l’impresa si è trovata ad incentrare le proprie strategie di marketing sulla visibilità del marchio
imponendosi come prodotto di più largo consumo: non è un caso che solo recentemente si è avviata la
comunicazione televisiva per una più attenta valorizzazione dei prodotti.
La produzione di latte: tra rigidità del tempo di produzione e varianza produttiva
La produzione del latte è per sua natura vincolata alla deperibilità del prodotto stesso imponendo un processo
lavorativo all’interno di un lead time di produzione non derogabile. Allo stesso tempo il crescente peso della
GDO nella definizione della programmazione produttiva sia per la quota a marchio sia, e soprattutto, per la
quota destinata a private label implica una capacità produttiva flessibile atta a rispondere rapidamente alle
variabili domande dei volumi di prodotto. Come le interviste sottolinenano unanimemente, le iniziative
promozionali delle GDO ed in generale le politiche commerciali delle centrali distributive producono nella
industria una varianza produttiva e quindi impongono degli strumenti di governo della flessibilità. Due
diverse forze apparentemente contrapposte sembrano caratterizzare la produzione del latte: da un lato la
rigidità dei tempi di produzione e dall’altro la flessibilità dei volumi produttivi.
A fornire una risposta operativa alla rigidità dei tempi di produzione del latte concorrono in forma
determinante il capitale tecnologico, le competenze del personale ma soprattutto quello che potremo definire
la responsabilità dei singoli lavoratori, ovvero l’atteggiamento responsabile dei lavoratori nei confronti delle
necessità produttive delle imprese. La produzione di latte, infatti, appare ancora caratterizzato da un rapporto
“artigianale” verso il lavoro e soprattutto verso il prodotto finale. Nei lavoratori si evidenzia la
consapevolezza diffusa che la lavorazione del latte impone un trattamento particolare per garantire la qualità
del prodotto enfatizzando la rilevanza della disponibilità del singolo affinché la lavorazione venga portata a
termine. La visione “artigianale” della lavorazione del latte si sostanzia in tutta la sua evidenza nelle imprese
di più piccole dimensioni, dove esiste ancora un rapporto diretto tra management e lavoratori, ma appare
visibile anche nelle imprese più strutturate: nella stessa Granarolo, infatti, chi lavora il latte fresco costituisce
una sorta di unità autonoma capace di organizzarsi per garantire la copertura del fabbisogno produttivo
giornaliero.
Parallelamente la varianza produttiva, ovvero la capacità di rispondere in termini produttivi alle mutevoli
richieste del mercato trova diversi strumenti di governo qui sintetizzabili in:
- flessibilità occupazionale attraverso l’utilizzo di forme contrattualmente flessibili in risposta ai picchi
produttivi e alla stagionalità. Sebbene tutte le imprese ricorrano a forme di lavoro temporaneo, nessuna ne
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evidenzia un abuso: le politiche occupazionali delle imprese interpellate sono volte principalmente alla
stabilizzazione contrattuale della nuova occupazione;
- l’estensione dell’orario di lavoro attraverso l’utilizzo dello straordinario. Rispetto alla flessibilità
produttiva, l’organizzazione del lavoro risponde principalmente attraverso l’allungamento dell’orario di
lavoro sulla stessa giornata o prevedendo una giornata di lavoro aggiuntiva al lavoro settimanale. Tutte le
imprese fanno ricorso allo straordinario in misura più o meno spinta: anche in questo caso è possibile
osservare come l’intensità dello straordinario è strettamente dipendente al posizionamento strategico, ovvero
più è forte la prossimità alla leadership di costo più è strutturalmente frequente il ricorso allo straordinario. È
da rilevare, inoltre, come la strutturazione ed il consolidamento delle relazioni industriali agiscano da
elemento di regolamentazione dell’uso dello straordinario e quindi dove le relazioni industriali sono più
ispirate ad un modello aziendalista lo straordinario supera il limite previsto dal contratto nazionale;
- saturazione della capacità produttiva, ovvero la possibilità di poter disporre di margini di produttività
imputabili al funzionamento di più linee produttive. Tutte le imprese, infatti, affermano di lavorare a capacità
produttiva ridotta e poter così accelerare in funzione delle esigenze produttive;
- disponibilità dei lavoratori. Il comportamento individuale non risponde solo al criterio di rigidità del
lead time di produzione ma sembra giocare un ruolo importante nella gestione della varianza produttiva
imposta dalla grande distribuzione. Se infatti lo straordinario è l’elemento principale di governo della
varianza produttiva è proprio nella disponibilità dei lavoratori a scambiare il proprio work-life balance che si
sostanzia la capacità di risposta di una impresa.
Relazioni industriali
I singoli strumenti di gestione della varianza produttiva trovano nelle relazioni industriali uno spazio di
stretta connessione. La disponibilità ed il comportamento responsabile dei lavoratori si alimentano dentro un
clima di relazioni industriali non conflittuale ed è proprio dentro questo solco che sono soliti muoversi i
rapporti con la rappresentanza sindacale. Questo risulta particolarmente vero per le imprese a più stretta
vocazione territoriale o dove l’orientamento produttivo a private label è più spinto, ovvero dove i valori
cooperativi (Latteria Soresina) o la natura pubblica (Centrale del Latte di Brescia) sono orientati ad una
valorizzazione della relazione con il territorio o dove la disponibilità dei singoli come elemento di governo
della varianza produttiva (Sterilgarda Alimenti) assume un ruolo strategico determinante. Le imprese più
strutturate dimensionalmente, come Parmalat e Granarolo, presentano un sistema di relazioni industriali
necessariamente più complesso dove, invece, il conflitto non è escluso come modalità di raffronto,
soprattutto a fronte dei diversi processi di ristrutturazione: la cronaca recente di Parmalat ne è un esempio
lampante. Le dinamiche occupazionali disegnano ambiti dentro i quali la positività delle relazioni industriali
viene alimentata o contrastata: il clima di relazioni industriali sostanzialmente collaborativo delle aziende di
più piccole dimensioni si accompagna a trend occupazionali crescenti mentre laddove sono in atto processi di
ristrutturazione, anche occupazionale, gli spazi di relazioni industriali collaborative si assottigliano.
Di tutte le aree tematiche toccate nell’analisi trasversale quella relativa alle relazioni industriali presenta una
divaricazione importante rispetto alla dimensione dell’impresa. I gruppi industriali analizzati, infatti,
presentano una formalità, un consolidamento di esperienze partecipative e procedure di regolamentazione
negoziale che non si riscontrano, e difficilmente potrebbero rintracciarsi, in azienda di più ridotta
dimensione. L’esistenza di commissioni tecniche paritetiche o bilaterali nazionali e di stabilimento con
finalità di programmazione della formazione (Granarolo) o di analisi dell’avanzamento dell’innovazione
tecnico-organizzativa e dei programmi di investimento (Parmalat) sono espressione di pratiche di relazioni
industriali più strutturate e consolidate e forme di partecipazione più formalizzate. Nonostante le imprese più
grandi rappresentino esempi relativamente avanzati di relazioni industriali, le interviste alla rappresentanza
sindacale ne evidenziano, comunque, alcuni elementi di debolezza: se per la Granarolo si erano messi in
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discussione i criteri di costruzione del “salario variabile” nel tentativo aziendale di spingere di più su un
sistema premiante individuale, per Parmalat si sottolinea come l’introduzione di elementi partecipativi
riconducibili al Total Quality Management rappresentino un arretramento dal punto di vista del reale
coinvolgimento dei lavoratori.
La diversa strutturalità delle relazioni industriali la si evince anche dalla composizione dei criteri per il
calcolo del premio variabile di risultato o “salario variabile”. Sebbene un elemento centrale nella gestione
della varianza produttiva e nella tenuta della qualità del prodotto, quale appunto la
disponibilità/responsabilità del singolo, si nutra positivamente in un contesto di relazioni industriali
collaborative, nessun accordo integrativo nelle imprese di minori dimensioni richiama il comportamento
responsabile del singolo come criterio di riconoscimento di un premio di risultato o quantomeno inserisca
parametri gestionali. O almeno formalmente. Il premio di risultato è infatti correlato tendenzialmente ad
indici di produttività e reddittività aziendale trascurando di considerare l’apporto del singolo alle logiche
produttive e alla qualità del prodotto. In un caso specifico, ovvero nella Sterilgarda Alimenti, il premio di
produzione esprime, almeno informalmente, lo scambio tra disponibilità dei lavoratori e retribuzione:
uscendo dagli accordi interconfederali sul premio per obiettivi, l’accordo integrativo prevede una cifra in
forma fissa a tutti i lavoratori rivalutabile ad ogni rinnovo contrattuale significativamente superiore a quanto
corrisposto nelle altre imprese, esprimendo la rilevanza strategica della disponibilità/responsabilità dei
lavoratori rispetto al governo della varianza produttiva in una impresa orientata principalmente alla
produzione in private label. Diversamente nelle imprese con un più articolato e consolidato rapporto di
relazioni industriali il salario variabile è costruito su parametri sia di reddittività e produttività che di qualità
nella gestione del proprio lavoro con diversificazioni di obiettivi non solo per siti produttivi ma anche per
aree professionali.
Il futuro del sistema latte
Gli studi di caso consentono, in ultimo, di restituire i possibili scenari del sistema latte secondo la diversa
percezione delle imprese. I fattori su cui gli sforzi di prospettiva si sono concentrati hanno riguardato
prevalentemente il rapporto tra trasformazione e distribuzione e il problema della produzione del latte in
Italia una volta concluso il regime delle cosiddette “quote latte”. Rispetto a quest’ultimo punto tutti
convergono nel considerare l’abbandono delle “quote latte” un punto di radicale trasformazione dei rapporti
di filiera in quanto l’aumento della produzione produrrà una forte contrazione dei prezzi il cui effetto sarà
una selezione dei produttori più piccoli a vantaggio dei produttori più grossi: si prevede quindi una
accelerazione del processo di accentramento produttivo già fotografato dai dati statistici. Dal punto di vista
del mercato, quindi Private Label e leader di categoria saranno determinanti nello sviluppo dello scenario
futuro ea soffrire saranno i così detti Follower
Sul primo punto, ovvero sul rapporto tra trasformazione e distribuzione, emergono visioni differenti:
le imprese più strutturate, che forti della notorietà si sonoin un primo momento mostrate refrattarie
alla produzione in private label per la GDO per non supportare modalità competitive incentrate sulla
contrazione del prezzo, prevedono una crescita della incidenza della GDO nelle strategie di mercato
avendo quest’ultima la possibilità di beneficiare anche della ripresa dei negozi di prossimità e quindi
una crescente competitività centrata sul prezzo;
le imprese a più alta vocazione territoriale prevedono un ruolo sempre più centrale della GDO anche
nella definizione delle strategie produttive della industria ma i cui effetti non saranno
necessariamente limitati ad una competizione sul prezzo. Anzi, al rapporto con la GDO è attribuita
in parte la spinta all’innovazione e all’ammodernamento produttivo;
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laddove si registra un più spinto orientamento alla produzione in private label per la GDO si
considera insostenibile il mantenimento dello sbilanciamento di potere a favore della GDO sulla
industria. Si ipotizza infatti per il futuro la costruzione di un nuovo equilibrio tra trasformazione e
distribuzione conseguente all’esaurimento dei margini che la GDO può ulteriormente estrarre
dall’industria.
Comunque venga vissuto il rapporto con la GDO, tutte le interviste esprimono come per la competizione sul
mercato domestico sia determinante l’innovazione di prodotto e il sapersi imporre attraverso la logica della
qualità. Sebbene si registri una sostanziale convergenza rispetto ad un incremento delle esportazioni dei
prodotti caseari per far fronte alle contrazioni di consumo sul mercato domestico, solo Sterilgarda Alimenti,
unica azienda esportatrice di latte, individua anche nell’export uno degli scenari futuri possibili per il
prodotto latte, nel tentativo di districarsi in un mercato domestico caratterizzato da un eccessivo numero di
competitor.