The Language of Julia Donaldson: Rhetoric, Style and Cognition
Julia Kristeva e la teoria della letteratura
Transcript of Julia Kristeva e la teoria della letteratura
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
1
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
Julia Kristeva e la teoria della letteratura
1. Biografia umana e intellettuale ....................................................................................................................................... 1
2. Presupposti teorici ........................................................................................................................................................... 4
3. La pratica critica: esempi ................................................................................................................................................. 9
Esempio 1 ........................................................................................................................................................................... 10
Esempio 2 ........................................................................................................................................................................... 12
Bibliografia ............................................................................................................................................................................... 14
1. Biografia umana e intellettuale
In una intervista del 19 aprile 2012 per la Radiotelevisione Svizzera (19 aprile 2012) Julia Kristeva
viene definita «un’intellettuale a trecentosessanta gradi nella grande tradizione filosofica francese».1
Un’intellettuale che è riuscita «con le sue analisi a interrogare la realtà da angolature diverse e
convergenti».2 Oggi Kristeva ha 73 anni, vive a Parigi con il marito Philippe Sollers ed è docente
emerita all’Université Paris Diderot – Paris 7. È molto attiva in ambito formativo oltre che come
scrittrice. Il suo ultimo libro – Pulsion du temps (marzo 2013) – è una ampia riflessione sul concetto
di tempo all’epoca della globalizzazione e dell’iperconnessione.
Gli inizi della riflessione linguista, filosofica, psicoanalitica e letteraria di Julia Kristeva si
collocano tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento e in larga parte sono contenuti nella sua tesi
di dottorato, La rivoluzione del linguaggio poetico (1974) e poi nel saggio Poteri dell’orrore.
Saggio sull’abiezione (1980). Immagini, interviste e testimonianze, ampiamente disponibili in rete,
consentono di ripercorrere concretamente la biografia umana e intellettuale di Kristeva e di
constatare il carattere profondamente transdisciplinare delle sue ricerche – un carattere eterogeneo
per utilizzare un concetto chiave del pensiero di Kristeva: filosofia, psicoanalisi, scienze umane si
intrecciano e dialogano nel suo pensiero, e ad esse si interseca costantemente l’interesse per il
linguaggio e per il luogo in cui esso si manifesta in modo privilegiato e cioè il testo letterario.
Eterogeneità, cioè coesistenza di differenze in dialogo l’una con l’altra, continua ridefinizione di
confini, sovvertimento sono concetti importanti nella ricerca di Kristeva, che acquistano una
consistenza corporea se li si considera incarnati nella sua biografia umana.
1 Roberto Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta. Incontro in due puntate con Julia Kristeva”. In: http://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/puntate/ [13.01.2015]. 2 ibid.
Kristeva nasce in Bulgaria nel 1941 e arriva in Francia nel 1965. Come persona proveniente
dai Balcani è segnata sin dalla nascita da una pluralità di tradizioni etniche: ebraica, greca, cristiana,
musulmana, turca. Il padre, seminarista greco-ortodosso prima di diventare medico, le trasmette
l’interesse per i testi religiosi. Gli interessi della madre, invece, sono rivolti alle scienze, in
particolare alla biologia. In Bulgaria Julia riceve un insegnamento di matrice comunista ma
impregnato di tradizioni culturali tedesche, ad esempio Nietzsche.3 Quando arriva in Francia, nel
1965, Julia ha 25 anni. Qui è determinante l’incontro con Philippe Sollers. E lo è in due direzioni:
da un lato perché Sollers è un intellettuale e uno scrittore con vaste conoscenze teologiche;
dall’altro perché la spinge ad appropriarsi della lingua francese che diventerà la lingua nella quale
Kristeva scrive le sue opere teoriche e i suoi romanzi.
Gli anni Sessanta e Settanta in Francia sono anni di una ricchezza intellettuale e culturale
straordinaria. Kristeva entra in contatto con i docenti dell’École des Hautes Études en Sciences
Sociales, in particolare con Lucien Goldman,4 marxista hegeliano e lukácsiano che diventa poi il
suo direttore di tesi. Ma è determinante soprattutto l’incontro con il gruppo che ruota intorno alla
rivista “Tel Quel”,5 la quale promuove in particolare la confluenza tra filosofia, scienze umane e
letteratura. Intorno alla rivista gravitavano intellettuali e scrittori come Roland Barthes, Jacques
Derrida, Michel Foucault, Georges Bataille, il compatriota Tzvetan Todorov e molti altri.
Indirettamente anche Jacques Lacan fa riferimento a “Tel Quel”: è infatti molto attento a quanto
pubblica la rivista. Kristeva frequenta i seminari di Lacan e diventa poi ella stessa nel 1979
psicoanalista. Testimonianza diretta di questa interazione tra letteratura, scienze umane, linguistica
e filosofia è il romanzo I samurai, pubblicato nel 1990 (tradotto in italiano nel 1991).6 Racconta
Kristeva:
3 Frequenta una scuola elementare di suore domenicane. Qui impara subito la lingua francese e riceve, benché si trovi in un paese comunista, una educazione religiosa, anche se in sordina. 4 Lucien Goldmann (Bucarest, 20 luglio 1913 – Parigi, 8 ottobre 1970) è stato un docente e sociologo rumeno, naturalizzato francese. 5 Rivista francese trimestrale fondata da Philippe Sollers e Jean-Edern Hallier nel 1960 e pubblicata dalle Éditions du Seuil. Ad essa collaborarono intellettuali, poeti e scrittori, per lo più marxisti, impegnati nella radicale trasformazione e critica del concetto di letteratura. Nei primi tempi la rivista dà spazio all'espressione poetica d'avanguardia, successivamente tenta di istituire legami tra letteratura, scienze esatte e scienze umane, politica, e filosofia: pubblica infatti le riflessioni della Kristeva sul legame tra marxismo e psicoanalisi, e quelle di Barthes sui rapporti tra semiologia e letteratura. 6 “Samurai” è, nella definizione dell’autrice, “un romanzo sulla vita passionale degli intellettuali francesi dalla metà degli anni Sessanta a oggi”. Il riferimento implicito è al romanzo di Simone de Beauvoir I mandarini (Einaudi 1955) di cui Julia Kristeva vuole rilevare il compito raccontando in forma romanzesca la storia e la cronaca d’una generazione di intellettuali. “Era la grande epoca dello strutturalismo e dei seminari con Lacan e Althusser, l’epoca in cui grazie a Foucault si cominciava a interrogarsi sulla follia e rinascevano intorno a Barthes gli studi letterari e semiologici, l’epoca di un ribollire d’idee intorno all’arte moderna, dell’avventura di ‘Tel Quel’. E della politica al primo posto, naturalmente: dal maggio 1968 nel Quartiere Latino alla Rivoluzione Culturale a Pechino. Ai maìtres à penser si sostituiscono oggi i guerrieri... La generazione dei Samurai non ha quel sentimento entusiasta ed euforico dell’impegno che ebbe la generazione Sartre – Beauvoir. Per questa generazione la coscienza del male esiste, ma come testimonianza della complessità della vita e della volontà di sopravvivere. È una generazione affascinata dalla ricerca del senso dell’esistenza persino nella morte, indotta dalla propria estrema gioia di vivere a considerare la vita come un’arte marziale”.
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
3
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
«Ho cercato di raccontare tutto questo in forma romanzata nel mio libro I samurai. Gli intellettuali del
gruppo “Tel Quel” presero molti rischi dal punto di vista intellettuale. Di qui il titolo “I samurai”. Non
erano dei mandarini o delle persone in cerca di potere.7 Cercavano di pensare ai limiti della vita o ai
limiti del pensabile. E l’avanguardia letteraria è il luogo più propizio per questo. Cercavamo di
riflettere su avventure del tutto impensabili, come la follia di Antonin Artaud o gli estremismi di
George Bataille o lo stile di James Joyce. Tutto ciò in quegli anni, anni Sessanta inizio anni Settanta,
era del tutto inaudito e molto audace. […] in quel mondo, il gruppo “Tel Quel” mi ha sedotto con la
sua audacia, affermando in particolare due cose: che è attraverso il linguaggio che la società può
cambiare (di qui l’importanza della letteratura); e che le donne rappresentano una forza inaudita
[…]».8
Quando Kristeva arriva in Francia lo strutturalismo è un movimento che riveste ancora una grande
importanza. Nei paesi dell’Est, invece, in cui lo strutturalismo era noto da decenni nella forma
elaborata dai formalisti russi (primi decenni del Novecento), la problematicità delle argomentazioni
strutturaliste era già sentita come molto forte. Essa era stata messa in luce in particolare da Michail
Bachtin nei suoi scritti di teoria della letteratura, in particolare nel saggio “Il problema del
contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria” (1924).9 Kristeva fa proprio il
pensiero di Bachtin. Il contributo di Kristeva in questi anni, apporto che ella definisce
esplicitamente “post-strutturalista”, consiste nel ricondurre l’importanza della soggettività e della
storia – messa tra parentesi se non del tutto negata dallo strutturalismo – all’interno del linguaggio e
all’interno del testo letterario e delle operazioni critiche che ruotano intorno ad esso. Kristeva
afferma:
«E per fare questo [critica allo strutturalismo] mi sono molto basta sull’opera di Michail Bachtin, che
in Russia era già un post-strutturalista. […] egli cercava di introdurre l’elemento “storia” sotto forma
di colui che parla e di che cosa parla. In altre parole, non solo la struttura del testo, ma chi parla e a chi
si rivolge. Ne è conseguito il concetto secondo il quale una struttura dialoga con un’altra, le strutture
non sono chiuse su se stesse, ma interagiscono tra di loro. E che dunque ogni esperienza umana è in
relazione con l’altra. […] perciò il dialogo, e non solo il binarismo, definiscono l’essere umano.
Basandomi su Bachtin ho studiato, come lui, Rabelais, Dostoevskij, il romanzo francese e sono andata
7 Nel quadro dell'intera produzione di Simone de Beauvoir, I Mandarini (1954), insieme all'autobiografia – Memorie d'una ragazza perbene, L'età forte, La forza delle cose, A conti fatti –, è il romanzo più significativo ed emblematico. Nessuno meglio di Beauvoir avrebbe potuto raccontare la tumultuosa stagione del dopoguerra, in cui gli intellettuali francesi, i Mandarini appunto, erano gli indiscussi protagonisti della vita culturale e politica (basti pensare a Sartre e a Camus). Le vicende di Henri, Nadine, Anne, Dubreuilh, dei giovani «esistenzialisti» e delle ragazze che girano a vuoto riflettono le lacerazioni di un mondo che non sa trovare il suo equilibrio, sospeso com’è tra speranze, ideali e il duro confronto con la realtà. 8 Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit. 9 Michail Bachtin: “Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria”. In: Michail Bachtin: Estetica e romanzo [1975]. Torino: Einaudi, 2001.
progressivamente oltre lo strutturalismo, introducendo l’idea di intertestualità. Vale a dire il soggetto
parlante.»10
Nel passaggio dal sistema strutturale al problema dell’enunciazione del testo, cioè del soggetto,
della storia, del contesto e dei contesti Kristeva incontra e studia i lavori di Émile Benveniste e di
coloro che nella filosofia occidentale hanno parlato dell’importanza della soggettività e della storia,
in particolare Hegel, Husserl, Freud e il pensiero psicoanalitico.
In questa breve ricostruzione della biografia di Kristeva, si arriva così agli anni di una delle
ricerche fondamentali dal punto di vista teorico, linguistico e filosofico, La révolution du langage
poétique. L’avant-garde à la fin du XIXe siècle: Lautréamont et Mallarmé (1974).11 Già prima di
allora Kristeva aveva pubblicato importanti saggi,12 ma sicuramente La rivoluzione del linguaggio
poetico è una ricerca fondante dal punto di vista della teoria della letteratura e della critica del testo
letterario.
2. Presupposti teorici
A questo cerchiamo di addentrarmi in alcuni dei concetti che stanno alla base della teoria e della
pratica dell’approccio al testo letterario, o, come dice Kristeva, al linguaggio poetico e al suo
specifico potere sovversivo. Kristeva attribuisce un potenziale rivoluzionario a quei testi che aprono
il processo della significanza all’ingresso di immagini deformate, di suoni e di vocalizzazioni che
risalgono alle fasi pre-simboliche dell’acquisizione del linguaggio e della formazione del soggetto.
Nel fare questo la letteratura appare come una pratica socio-comunicativa13 che – grazie alla
produzione di nuovi significanti – è in grado di entrare in contrasto con i sistemi economici e
ideologici dominanti e di sovvertirli.
Proprio all’inizio della Rivoluzione del linguaggio poetico Kristeva critica le teorie della
linguistica formale. Il rinnovamento delle teorie del linguaggio, che la linguistica formale considera
come un sistema di segni arbitrario chiuso all’extralinguistico, si collega principalmente secondo
Kristeva a due aree di pensiero: una è la psicoanalisi – in particolare la scuola psicoanalitica di
Londra e in essa a sua volta, in particolare, il pensiero di Melanie Klein –; l’altra è costituita dai
concetti di soggetto dell’enunciazione (Benveniste) e di intenzionalità (Husserl). Ma vi sono anche
altri concetti che restituiscono al linguaggio dimensioni categoriali (soggettività, pulsioni,
10 Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit. 11 Paris: Éditions du Seuil, 1974. Traduzione italiana: La rivoluzione del linguaggio poetico: l’avanguardia nell’ultimo scorcio del diciannovesimo secolo: Lautréamont e Mallarmé. Venezia: Marsilio, 1979. 12 Vedi in particolare, Séméiôtiké. Ricerche per una semanalisi [1969], Milano: Feltrinelli, 1978. 13 Con il termine “pratica” Kristeva intende al contempo un procedimento – semiotico e simbolico – e un luogo di sutura ove si produce senso. In questa attività (l’arte e i testi sono pratiche di questo tipo) il soggetto non coincide mai con sé stesso, ma si pluralizza, si articola, si dialogizza.
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
5
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
intenzioni) delle quali la linguistica formale riteneva di poter fare a meno. Kristeva si riferisce agli
speech-acts di Searle e anche alle idee del materialismo storico, cioè al pieno inserimento e
coinvolgimento del processo di significanza o significazione all’interno degli sviluppi storico-
sociali.
Il processo della significanza (“procès de la signifiance”) si attua sulla base di due modalità di
funzionamento assolutamente interdipendenti, alla cui descrizione Kristeva dedica il primo ampio
capitolo della Rivoluzione del linguaggio poetico: il semiotico e il simbolico. Di queste due
dimensioni la prima precede la seconda in quanto è collegata con l’insorgenza della vita del
soggetto, inteso come individuo separato, in particolare separato dall’entità materna. Il termine
“semiotico” deriva evidentemente – e Kristeva lo chiarisce subito esplicitamente citandone
l’etimologia – dal termine greco semeion, «marca distintiva, traccia, indizio, segno precursore,
prova, segno inciso o scritto, impronta, figurazione». Però Kristeva precisa anche subito il senso che
per lei ha il termine “semiotico” nel contesto del discorso che sta costruendo. Kristeva lo mette cioè
in relazione con il concetto psicoanalitico di pulsione (“pulsion”): le pulsioni – fondamento della
vita psichica, della soggettività dell’individuo14 – “parlano” in un codice binario; esse sono infatti
cariche energetiche discrete, che pulsano e marcano, caratterizzate dal battere e dal levare, battito e
stasi, dall’intermittenza (nelle lingue neolatine “pulsare” significa appunto battere; da cui
“pulzone”, strumento di metallo per formare i caratteri da stampa).15 Scrive Kristeva:
«Delle quantità discrete di energia percorrono il corpo di ciò che diventerà un soggetto e nel processo
di costituzione del soggetto si dispongono sulla base delle costrizioni imposte al corpo dalla struttura
familiare e dalla struttura sociale.»16
Cioè l’agire articolante, marcante, delle pulsioni che attraversano il corpo fisico non avviene a caso,
o in virtù di qualche determinazione soprannaturale, ma sulla base dei vincoli imposti dal tempo
storico e dalle norme sociali nelle quali l’individuo si trova a vivere.
Ma su che cosa agisce la dimensione pulsionale fatta di intermittenze articolatorie? Tali
intermittenze articolatorie non hanno ancora nulla a che vedere con le parole, e neanche con i
fonemi di questo o quel sistema linguistico, bensì sono più affini ai suoni, ai ritmi, alle articolazioni
totipotenziali che il bambino emette prima di arrivare a selezionare, tra l’infinito numero di suoni di
cui è capace l’apparato fonatorio umano, quelli che sono significanti nella lingua madre. Quale è
per così dire la superficie di scrittura, di incisione sulla quale agisce la dimensione pulsionale? Per
14 «Processo dinamico consistente in una spinta (carica energetica, fattore di motricità) che fa tendere l’organismo verso una meta». In: Jean Laplanche – Jean Berdard Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Roma-Bari, Laterza, 1995. 15 Kristeva si differenzia da Freud, in quanto per lei le pulsioni non sono dicotomiche (vita/morte) ma eterogenee; v. La rivoluzione del linguaggio poetico, cit. p. 151 s. 16 Kristeva: La rivoluzione del linguaggio poetico, p. 23.
definire questo spazio – che è in realtà un non-spazio, in quanto si tratta di una entità pre-
geometrica e pre-spaziale – Kristeva si appoggia a Platone e al concetto di chora sviluppato nel
Timeo. La chora è
«una articolazione del tutto provvisoria, essenzialmente mobile, costituita dai movimenti e dalle loro
effimere stasi. […] Occorre che la chora, così come cerchiamo qui di descriverla teoricamente, segua
il discorso della rappresentazione, al fine di renderla intelligibile; ma in realtà la chora intesa come
rottura e articolazione – come ritmo – precede ogni evidenza, ogni verosimiglianza, è antecedente ad
ogni temporalità e spazialità.»17
Più avanti Kristeva afferma che la chora è una «totalità ritmata ma non ancora espressiva ».18 Essa
non è ancora un significante ma è la condizione perché si formino i significanti, non è possibile
assimilarla ad una immagine, ce la possiamo rappresentare solo come «ritmo vocalico o cinesico».
La chora è per Kristeva – come del resto già per Platone – madre e nutrice. Essa ha uno statuto
ontologico, è ricettacolo che accoglie e nutre ed è caratterizzata dunque in senso femminile-
materno.19 Val la pena di ricordare che è proprio su questo concetto di chora e di semiotico che si
appunteranno le argomentazioni critiche di Judith Butler esposte nel terzo capitolo del saggio
Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity.20 Qui in sostanza Butler dopo aver
messo in luce le aporie presenti nell’argomentazione della Kristeva ne critica la posizione
fondamentalmente essenzialista e pre-discorsiva. Butler rovescia il discorso e si domanda se il
materno postulato come pre-discorsivo non sia invece esso stesso il prodotto di un discorso, un
effetto stesso della cultura.21 Comunque, per Kristeva il semiotico è
«la modalità psicosomatica del processo della significanza, cioè una modalità non ancora simbolica
ma in grado di articolare (nel senso più ampio del termine articolazione) un continuum. […] Tutti
questi processi e relazioni, pre-simbolici e pre-sintattici, considerati in un’ottica genetica, sono da
ritenersi come i presupposti necessari all’acquisizione del linguaggio, con il quale essi non devono
essere confusi.»22 (p. 28)
Se il semiotico è questa dimensione vocalica e ritmata legata al materno e ancorata nel corpo,
propria della fase senso-motoria (0–2 anni) dello sviluppo dell’individuo, e che si esprime in suoni
pre-fonetici, gesti, movimenti, ritmi, che cosa sia il simbolico è relativamente presto detto. Esso è il
linguaggio inteso come codice costituito, la sintassi normativa e tutte le categorie linguistiche
codificate. Esso si costituisce a partire dal semiotico di pari passo con la formazione del soggetto
17 Ibid., p. 23. 18 Ibid., p. 40. 19 Ibid., p. 25. 20 Routledge, Chapman and Hall, 1990. Traduzione italiana: Scambi di genere: identità, sesso e desiderio. Firenze: Sansoni, 2004. 21 Butler: Scambi di genere, cit. p. 125. 22 Kristeva: La rivoluzione del linguaggio poetico, cit., p. 28.
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
7
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
parlante, come risultato sociale dell’interazione con l’altro. Kristeva insiste molto su questo aspetto
e afferma: «la nostra concezione del semiotico è inscindibile da una teoria della soggettività che
tenga conto della posizione freudiana e dell’inconscio».23 In questo ambito Kristeva segue non solo
il pensiero psicoanalitico, in particolare le riflessioni di Melanie Klein per quanto riguarda la
relazione madre-bambino, ma anche le formulazioni di Lacan circa la costruzione del soggetto, dal
corp morcélé, al riconoscimento di sé come “uno” nello specchio, al superamento del narcisismo e
al pieno ingresso nel simbolico (nella Legge del padre).
L’ingresso nel simbolico, nel mondo dei significati codificati, avviene grazie
all’attraversamento di una soglia, di un confine. È un momento che Kristeva – con riferimento al
concetto husserliano di thesis – chiama «fase tetica.»24 Essa è la fase in cui qualcosa viene posto
(dal greco, theo, pongo) e al contempo scisso, è «un taglio mediante il quale il soggetto compie il
processo di identificazione di sé e dei suoi oggetti.»25 Il soggetto si separa dalla chora e dal
semiotico e così facendo nasce all’ordine simbolico dei significati, cioè al linguaggio.
La separazione tra me e l’entità materna, tra me e l’immagine di me (imago), tra me e gli
oggetti corrisponde al possesso e all’uso di un linguaggio che denomina, scinde soggetto e oggetto e
li mantiene nella separazione. Scrive Kristeva:
«in questo modo […] la fase tetica ci appare come la soglia tra due ambiti eterogenei: il
semiotico e il simbolico. Il secondo include una parte del primo. La scissione tra i due si
manifesta ormai come scissione significate/significato.»26
Il riaffiorare della dimensione della chora materna nell’ordine simbolico avviene al prezzo della
disorganizzazione (anche psichica) e del riemergere nel linguaggio – e nelle pratiche letterarie – di
modalità proprie del semiotico, e cioè ecolalie, costruzioni olofrastiche, vocalizzazioni,
deformazione dell’ordine sintattico e del piano semantico, nonsense verbali. Kristeva ricorda
nell’intervista citata all’inizio le ricerche condotte insieme ai suoi studenti nei due luoghi che
simbolizzano la nascita e la crisi del soggetto parlante: il nido d’infanzia in cui il bambino
incomincia a parlare e l’ospedale psichiatrico in cui il discorso si sgretola, diventa delirio. Il
disturbo del linguaggio presente nelle malattie psichiatriche e neurologiche è notoriamente oggetto
di studio da parte dei linguisti, poiché attraverso le anomalie si riesce a comprendere il
funzionamento normale delle funzioni del linguaggio.
23 Ibid, p. 30. 24 Ibid., p. 41. 25 Ibid. 26 Ibid., p. 46.
Il concetto di semiotico e quello di abiezione sono fondamentali nella teoria e nella pratica
letteraria di Julia Kristeva. Il movimento violento di separazione dalla chora materna sta alla base
dell’elaborazione del concetto di abiezione e di abietto. L’abietto è un non-oggetto. E lo è perché
esso si costituisce nelle fasi più arcaiche del processo di significazione e della costruzione del
soggetto, prima della formazione del soggetto separato dai propri oggetti, prima dell’acquisizione
del linguaggio, in quelle fasi in cui l’individuo – che non è ancora un individuo – lotta per separarsi
dalla madre e diventare autonomo. L’esito di questa separazione non è mai definitivamente
acquisito. L’abietto ritorna. Il ritorno di questo materno-semiotico si incarna in persone o situazioni
che suscitano in noi sentimenti ambivalenti, orrore, disgusto, repulsione rifiuto, ma anche attrazione
e piacere. L’abietto, scrive Kristeva nel saggio Poteri dell’orrore (1980),
«ci confronta […] con i nostri più antichi tentativi di distinguerci dall’entità materna prima ancora di
ex-sistere al di fuori di essa grazie all’autonomia del linguaggio. Distinzione violenta e goffa, sempre
in procinto di ricadere nella dipendenza da un potere tanto rassicurante quanto soffocante.»27
Questo apparato teorico – concetti di semiotico, simbolico e di abietto – riesce a dare conto di
alcuni fenomeni tematici e formali presenti nel linguaggio letterario, in particolare i fenomeni che
riguardano la letteratura delle avanguardie e il carattere sperimentale dei loro testi. La
sperimentazione riguarda le forme codificate dei generi e degli stili letterari, l’uso stesso della
sintassi e della semantica codificata. Oltre che di Mallarmé e di Lautréamont Kristeva si occupa di
Artaud, Joyce, Borges, Céline e Proust. Cita inoltre i testi di Dostoevskij e Kafka come
rappresentanti di questa irruzione della ritmicità semiotica nel linguaggio poetico. Ricordiamo che a
Proust è dedicato il seminario dottorale del 2013 all’Univeristé Diderot – Paris 7 dove Kristeva è
docente emerita. Ricorda Kristeva nell’intervista alla Radio svizzera:
«Dato che non ho mai tagliato i legami con la letteratura, è emerso che la letteratura della fine del XIX
secolo e di tutto il XX secolo – e qui mi riferisco alla letteratura dell’avanguardia, alla letteratura
sperimentale – […] cerca di penetrare nelle nostre profondità. Ebbene questa è una letteratura che
tratta della crisi. Del momento catastrofico nell’essere umano. Per esempio si riscontrano molti
elementi depressivi in Mallarmé o vicini alla psicosi in Artaud. Si osserva una conoscenza
estremamente acuta della perversione in Bataille e altri. Mi sono spinta il più possibile in questa
direzione senza minimamente patologizzare la letteratura, ma cercando di mostrare che essa non è un
decoro, ma che sonda in profondità e che costruisce un sapere profondo della vita psichica».28
27 Julia Kristeva: Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione [1980]. Milano: Spirali, 2006, p. 15. 28 Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit.
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
9
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
3. La pratica critica: esempi
Ma cosa significa tutto questo nella pratica della critica letteraria? Nella pratica letteraria il
semiotico riappare come elemento eterogeneo, «aggressore» del simbolico.29 Questa irruzione
dell’eterogeneo (dell’estraneo) «mostra la possibilità di un processo della significanza differente da
quello di un pensiero unificante»,30 conciliante, rappacificante.
Con il concetto di «eterogeneo» Kristeva intende le distorsioni e gli effetti estranianti, le
discontinuità che si producono nel linguaggio poetico quando la dimensione semiotico-materna fa
breccia e penetra nell’ordine simbolico incrinandone la linearità, la forma pura, chiusa. Si produce
così una nuova organizzazione testuale che Kristeva chiama «dispositivo semiotico»31 e che si
manifesta in distorsioni logiche e sintattiche, neologismi, paragrammi, ecolalie, ripetizioni,
onomatopee e sinestesie, vocalizzazioni, giochi di parole, nonsense, ma anche nella distorsione
delle strutture narrative e nella sovversione dei generi. I mutamenti – rispetto ad un codice
linguistico normativo e ad un canone letterario – hanno luogo sia a livello fonematico e sintattico,
sia a livello del discorso narrativo (sul piano della storia con la fluttuazione dei punti di vista) e
intertestuale (interazione con altri testi e con altri ambiti discorsivi).
Anche Jacques Derrida, che negli stessi anni lavora sugli stessi autori – Mallarmé, Artaud,
Bataille, Sollers – parla di taluni testi letterari “moderni” che, piuttosto di altri, sembrano in grado
di «aprire dei varchi (opérer des frayages) od operare delle effrazioni» in ciò che ci rappresentiamo
come il canone letterario, conforme ad una concezione estetica che tende a tenere sotto controllo i
contenuti e le forme.32
L’ultima parte dell’intervento cerca di esemplificare come questo apparato teorico che vede nella
letteratura il significante privilegiato per il sovvertimento dei linguaggi codificati e dei canoni possa
essere utile alla comprensione del testo letterario. Il primo esempio è tratto dall’analisi che Kristeva
riserva ai romanzi di Céline. A Céline Kristeva dedica tutta la seconda parte del saggio Poteri
dell’orrore. Il secondo si riferisce al racconto di E. T. A. Hoffmann, Il piccolo Zaccheo detto
Cinabro. Un racconto che condensa in sé proprio quelle caratteristiche di testo sovversivo: nei temi
e nella forma, esso si apre infatti ad un contatto con le dimensioni del semiotico e dell’abiezione.
29 Kristeva: La rivoluzione del linguaggio poetico, cit., p. 47s. 30 Ibid., p. 166. 31 Ibid., 207. 32 Jacques Derrida: Posizioni, a cura di Giuseppe Sertoli. Verona: Bertani editore, 1975, p. 100s.
Esempio 1
Iniziamo con Céline.33 Scrittore molto controverso per il suo atteggiamento antisemita, è noto
soprattutto per i romanzi Voyage au bout de la nuit (1932)34 e Mort à crédit (1936),35 nei quali lo
scrittore tematizza variamente oltre all’esperienza delle due guerre mondiali la sua esperienza di
medico, gli incontri con personaggi marginalizzati e asociali, le relazioni complicate con il mondo
femminile. Il mondo céliniano si pone – nella lettura che ne dà Kristeva – ai confini tra la
rappresentazione dell’apocalisse, della violenza, della crudeltà e dell’orrore, e il riso carnevalesco,
in una contaminazione delle dimensioni del tragico e del comico, e nella sovversione dell’ “umano
civilizzato” e del “divino”. Scrive Kristeva: «Alle ambivalenze semantiche del carnevale, che sa
accostare l’alto e il basso, il sublime e l’abietto, Céline aggiunge lo spietato annientamento
dell’apocalisse».36 Da un punto di vista tematico il dolore, la paura, l’orrore, il disgusto, l’abiezione
ma anche il riso e la fascinazione segnalano la presenza di emozioni che abitano i territori di
confine tra semiotico e simbolico. Dice Kristeva con riferimento a Céline:
«Questi stati abissali [di Céline], questi tuffi nel baratro della vita psichica, laddove la separazione tra
me e l’altro, tra il soggetto e l’oggetto svanisce, facendomi precipitare nell’osmosi con l’altro, fascino
o abiezione… Tutto questo Céline lo esplora in profondità, come quando parla del femminile o di sua
madre […], evidenziando una notevole e dolorosissima perdita di limiti della soggettività. Ma sa anche
esplorare stati di grande idealizzazione, come quando il narratore si identifica con il corpo di una
ballerina.»37
La vicinanza al semiotico è evidente nei testi celiniani non solo nei temi ma anche nel
rimaneggiamento della sintassi e del lessico, nello stile, nel costante e duro lavoro con la lingua:
«Lo stile – afferma Céline – è un certo modo di forzare le frasi […] di farle uscire con delicatezza
dai gangheri per così dire, di spostarle forzando così il lettore a spostare anche lui il suo senso.»38
Kristeva parla di una «mutazione del linguaggio in stile»,39 e in questo Céline si rivela uno
«specialista della lingua parlata.»40
Nel paragrafo “La segmentazione: intonazione, sintassi soggettività” contenuto nel saggio
Poteri dell’orrore Kristeva analizza le strategie linguistiche formali mediante le quali Céline
traduce l’oralità in scrittura. Fra queste spicca un costante rimodellamento della struttura normativa
33 Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches (Courbevoie, 27 maggio 1894 – Meudon, 1 luglio 1961). Lo pseudonimo, con il quale firmò tutte le sue opere, era il nome della nonna materna. 34 Trad. it.: Viaggio al termine della notte. Milano, 1978. 35 Trad it.: Morte a credito. Milano, 1964. Altri romanzi di Céline: Le Pont de Londres / Guignol's Band II (1964), trad. it. Il ponte di Londra. Torino, 1971 e Rigodon (1969), trad. it. Rigodon. Milano, 1970. 36 Kristeva: Poteri dell’orrore, cit., p. 158. 37 Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit. 38 Cit in Kristeva: Poteri dell’orrore, cit., p. 235 39 Ibid., p. 222. 40 Ibid., p. 223.
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
11
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
della frase francese (S–V–O), tanto che lo scrittore arriva a produrre un «ritmo generalmente
binario e a sbalzi»,41 in cui il nucleo informativo del messaggio è enfatizzato a scapito dell’ordine
sintattico. Inoltre mediante l’uso della punteggiatura Céline si dà «mezzi supplementari per
frastagliare, ritmare, musicare la sua frase.»42
Vediamo questo esempio:43
Kristeva si domanda quale potrebbe essere il valore psicologico di questa tecnica. E la riconduce
alle prime fasi di apprendimento del bambino, fasi in cui il contenuto dell’informazione, il suo
carattere impellente, prevale sulla strutturazione logico-sintattica della frase. Conclude l’analisi
dicendo che «la scrittura “parlata” di Céline compie questa rimemorazione».44
Altrettanto interessante è l’analisi dell’utilizzo da parte di Céline delle ellissi, segnalate dai tre
punti di sospensione che «proliferano» nei suoi testi.45 Kristeva descrive alcune pagine come
letteralmente «crivellate di bianchi in cui l’emozione non si lascia vestire con frasi.»46 Onomatopee,
esclamazioni e punteggiatura vengono a «striare» la frase inscrivendo l’affetto «al di qua e al di là
delle parole, nel gesto della voce indicato dai segni di interpunzione.»47 Kristeva trae l’esempio che
segue dal romanzo Rigodon (1969):48
41 Ibid., p. 226. 42 Ibid. 43 Ibid. 44 Ibid., p. 228. 45 Ibid., p. 229. 46 Ibid., p. 235. 47 Ibid., p. 234. 48 Ibid., p. 233.
In questo esempio è come se oralità e visualità trapassassero l’una nell’altra, senza confini netti. In
questo modo «nel suono e nel grido [esplode] un affetto più vicino possibile alla pulsione,
all’abiezione come al fascino … Vicino all’innominabile.»49
Esempio 2
Come secondo esempio di avvicinamento al testo letterario sulla base di questo approccio teorico
facciamo riferimento al racconto di E.T.A. Hoffmann Il piccolo Zaccheo detto Cinabro, pubblicato
a Berlino nel 1819.50 Hoffmann (1776-1822) non è soltanto un acuto e ironico osservatore della
realtà storica e sociale che lo circonda ma anche un audace sperimentatore dal punto di vista
linguistico-formale, dissolutore di forme e in ciò pienamente e profondamente romantico.
Nel racconto del Piccolo Zaccheo, il cui protagonista è un essere deforme, a metà strada tra
l’umano, l’animale, il vegetale e forse altro, l’abiezione del personaggio (la sua vicinanza alla
dimensione semiotico-materna) viene messa a tema non solo nella deformità corporea del
personaggio, ma anche nel linguaggio disturbato che egli usa e in quello del narratore che ci parla
del personaggio. Onomatopee, vocalizzazioni, distorsioni a livello semantico e sintattico
caratterizzano le produzioni verbali del protagonista.
A livello fonematico la ripetizione insistente del fonema /r/ percorre come una vibrazione di
sottofondo tutto il racconto. Il suono legato al fonema /r/ – che si ritrova in tutta una serie di
espressioni verbali riferite a Zaccheo-Cinabro – indica in modo onomatopeico la vibrazione
prodotta dal movimento di un insetto. E infatti Zaccheo, fra le numerose denominazioni con le quali 49 Ibid., p. 235. 50 E.T.A. Hoffmann: “Klein Zaches genannt Zinnober”. In: E.T.A. Hoffmann: Sämtliche Werke in sechs Bänden. Frankfurt a. M.: Deutscher Klassiker Verlag, 1985-2004. Band 3. Versione it.: “Il piccolo Zaccheo detto Cinabro”, traduzione di Carlo Pinelli. In: E.T.A. Hoffmann: Romanzi e racconti. Volume III. Torino: Einaudi, 1969.
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
13
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
il testo cerca di afferrare la sua essenza, viene anche detto “maggiolino”. La presenza di
Zaccheo/Cinabro si annuncia acusticamente alle orecchie dei personaggi e del lettore, ancor prima
che la sua figura sia visibile agli occhi:
«A due dita dalle orecchie di Fabiano risuonò un lungo e stridente “Prr… prr!” e nell’attimo
stesso due stivali gli volarono sopra la testa e un piccolo, stranissimo affarino nero gli ruzzolò
tra le gambe.»51
Il fonema /r/ compare in forma raddoppiata e a volte anche triplicata in numerose altre espressioni.
Ad esempio, il maestoso struzzo che fa da guardiano all’abitazione del mago Prosper Alpanus
risponde a Fabiano con un sonoro e vibrate «Quirrr!»
«– Annunziaci al signor dottore, bello mio!... – Lo struzzo si limitò a dire: – Quirrr!... – e gli
beccò un dito. – Accidentaccio!... – strillò Fabiano. – Questo birbaccione è un dannatissimo
uccello per davvero!...»52
Quando cerca di parlare Zaccheo alias Cinabro produce suoni che assomigliano al ringhiare di un
cane o ai suoni emessi da un felino. Secondo Kristeva – che si appoggia in proposito alle ricerche di
Ivan Fónagy sui residui pulsionali presenti nella fonazione –, nel linguaggio restano tracce della
dimensione affettiva legata ai processi pulsionali-semiotici, dai quali il soggetto faticosamente
emerge per affacciarsi alla dimensione simbolica. In questo contesto il fonema /r/, presente in
numerose espressioni che si riferiscono ai suoni emessi dal deforme protagonista Zaccheo,
rappresenta l’eterogeneità della dimensione pulsionale, in quanto è associato sia agli aspetti
piacevoli che a quelli aggressivi e distruttivi della pulsione. Attraverso questi ed altri suoni – ad
esempio è detto di Zaccheo che squittisce o strilla, e qui l’onomatopea è legata alla ripetizione dei
suoni presenti nelle espressioni “quiek” e “quäk” – il lettore è portato a fare un’esperienza corporea
declinata in senso acustico dell’abiezione del personaggio.
Ma la vicinanza alla dimensione pulsionale-semiotica si manifesta anche nella deformazione
della sintassi normativa e delle convenzioni semantiche proprie della lingua tedesca. Ad esempio, le
frasi pronunciate da Zaccheo sono caratterizzate da arcaismi o neologismi che suonano affettati e
artificiosi se confrontati con il linguaggio standard. Ciò accade, ad esempio, quando Zaccheo
ringrazia utilizzando la parola «Gratias, signore!»,53 termine religioso arcaicizzante sicuramente non
di uso comune all’epoca. Inoltre la sintassi che il protagonista utilizza oscilla fra una notevole
elaborazione della frase e una semplicità infantile che ricorda – a dispetto del rango sociale del
51 Hoffmann: “Il piccolo Zaccheo”, cit., p. 42. 52 Ibid., p. 93. 53 Ibid., p. 43.
personaggio – l’uso delle olofrasi nel linguaggio infantile (10-12 mesi). Ad esempio, rispondendo
alle effusioni del professore di estetica che si complimenta con lui, Cinabro esclama: «Lasciami –
lasciami – mi fai male – male – male ti strappo gli occhi – ti morsico il naso!»54 Oppure, dopo che è
stato scoperto l’imbroglio e la sua vera identità è stata rivelata, Cinabro grida: «Principe Barsanuph
– Altezza – salvi il suo ministro – il suo favorito! – Aiuto – Aiuto – lo stato è in pericolo – la Tigre
pezzata di verde – Male – male!»55
In queste performance linguistiche il ministro Cinabro non solo dimostra di non riconoscere e
di non rispettare le convenzioni e i ruoli, ma si mostra vicino al mondo emotivo pulsionale, dato che
utilizza strutture sintattiche frammentate, ripetitive e olofrastiche. Tutto un complesso di sentimenti,
pensieri e desideri viene condensato nell’unica parola “male” (“weh”). La proliferazione dei trattini
e l’uso non convenzionale dei segni di interpunzione segnalano lo sconvolgimento dell’ordine
simbolico e il riaffiorare di contenuti non semantizzabili. Tutto ciò rinvia ad un fenomeno di
irruzione del mondo semiotico-pulsionale al livello della formulazione della frase. Il ministro
Cinabro, regredito alle fasi infantili, in cui il linguaggio condensa emozioni, pensieri e desideri,
esprime in un’unica espressione di dolore ricerca di aiuto e rabbia impotente.
Bibliografia
Julia Kristeva, Intervista 19 aprile 2012 per il programma “Laser”. In: RSI RETEDUE
(Radiotelevisione Svizzera).
http://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/puntate/ [15.01.2015]
Julia Kristeva: Pouvoirs de l’horreur. Essai sur l’abjection. Paris: Éditions du Seuil, 1980. Trad. it.: Poteri
dell’orrore. Saggio sull’abiezione. Milano: Spirali, 2006.
Julia Kristeva: La révolution du langage poétique. L’avant-garde à la fin du XIXe siècle: Lautréamont et Mallarmé
Paris: Éditions du Seuil, 1974. Trad. it.: La rivoluzione del linguaggio poetico: l’avanguardia nell’ultimo scorcio
del diciannovesimo secolo: Lautréamont e Mallarmé. Venezia: Marsilio, 1979.
Julia Kristeva: Semeiotikè: recherches pour une sémanalyse. Paris: Éditions du Seuil, 1969. Trad. it.: Séméiôtiké.
Ricerche per una semanalisi. Milano: Feltrinelli, 1978.
Michail Bachtin: “Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria”. In:
Michail Bachtin: Estetica e romanzo [1975]. Torino: Einaudi, 2001.
Judith Butler: Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity. Routledge, Chapman and Hall, 1990.
Traduzione italiana: Scambi di genere: identità, sesso e desiderio. Firenze: Sansoni, 2004. 54 Ibid., p. 64. 55 Ibid., p. 148.
Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura
15
Giulia Ferro Milone – Università di Verona
Eva Angerer: Die Literaturtheorie Julia Kristevas. Von Tel Quel zur Psychoanalyse. Wien: Passagen Verlag,
2007.
Megan Becker-Leckrone: Julia Kristeva and Literary Theory. Houndmills, Palgrave, 2005.
Louis-Ferdinand Céline: Voyage au bout de la nuit [1932]. Trad. it.: Viaggio al termine della notte. Milano:
Corbaccio, 2011.
Louis-Ferdinand Céline: Rigodon [1969]. Trad. it.: Rigodon. Torino: Einaudi, 2007.
Jacques Derrida: Posizioni. Colloqui con Henri Ronse, Julia Kristeva, Jean-Louis Houdebine, Guy Scarpetta e
Lucette Finas. Verona: Bertani, 1975.
E.T.A. Hoffmann: “Klein Zaches genannt Zinnober”. In: E.T.A. Hoffmann: Sämtliche Werke in sechs
Bänden. Frankfurt a. M.: Deutscher Klassiker Verlag, 1985-2004. Band 3. Versione it.: “Il piccolo
Zaccheo detto Cinabro”, traduzione di Carlo Pinelli. In: E.T.A. Hoffmann: Romanzi e racconti.
Volume III. Torino: Einaudi, 1969.
Stacey Keltner: Kristeva. Thresholds. Cambridge: Polity Press, 2011.
Jaen Laplanche – Jean Berdard Pontalis: Enciclopedia della psicoanalisi. Roma-Bari: Laterza, 1995.
Noelle McAfee, Julia Kristeva (Routledge Critical Thinkers), New York, Routledge, 2004.
The Kristeva Reader. Julia Kristeva, edited by Toril Moi. New York: Columbia University Press, 1986.