Julia Kristeva e la teoria della letteratura

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Verona, 8 aprile 2013 – Dottorato in Letterature straniere e scienze della letteratura 1 Giulia Ferro Milone – Università di Verona Julia Kristeva e la teoria della letteratura 1. Biografia umana e intellettuale ....................................................................................................................................... 1 2. Presupposti teorici ........................................................................................................................................................... 4 3. La pratica critica: esempi ................................................................................................................................................. 9 Esempio 1 ........................................................................................................................................................................... 10 Esempio 2 ........................................................................................................................................................................... 12 Bibliografia............................................................................................................................................................................... 14 1. Biografia umana e intellettuale In una intervista del 19 aprile 2012 per la Radiotelevisione Svizzera (19 aprile 2012) Julia Kristeva viene definita «un’intellettuale a trecentosessanta gradi nella grande tradizione filosofica francese». 1 Un’intellettuale che è riuscita «con le sue analisi a interrogare la realtà da angolature diverse e convergenti». 2 Oggi Kristeva ha 73 anni, vive a Parigi con il marito Philippe Sollers ed è docente emerita all’Université Paris Diderot – Paris 7. È molto attiva in ambito formativo oltre che come scrittrice. Il suo ultimo libro – Pulsion du temps (marzo 2013) – è una ampia riflessione sul concetto di tempo all’epoca della globalizzazione e dell’iperconnessione. Gli inizi della riflessione linguista, filosofica, psicoanalitica e letteraria di Julia Kristeva si collocano tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento e in larga parte sono contenuti nella sua tesi di dottorato, La rivoluzione del linguaggio poetico (1974) e poi nel saggio Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione (1980). Immagini, interviste e testimonianze, ampiamente disponibili in rete, consentono di ripercorrere concretamente la biografia umana e intellettuale di Kristeva e di constatare il carattere profondamente transdisciplinare delle sue ricerche – un carattere eterogeneo per utilizzare un concetto chiave del pensiero di Kristeva: filosofia, psicoanalisi, scienze umane si intrecciano e dialogano nel suo pensiero, e ad esse si interseca costantemente l’interesse per il linguaggio e per il luogo in cui esso si manifesta in modo privilegiato e cioè il testo letterario. Eterogeneità, cioè coesistenza di differenze in dialogo l’una con l’altra, continua ridefinizione di confini, sovvertimento sono concetti importanti nella ricerca di Kristeva, che acquistano una consistenza corporea se li si considera incarnati nella sua biografia umana. 1 Roberto Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta. Incontro in due puntate con Julia Kristeva”. In: http://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/puntate/ [13.01.2015]. 2 ibid.

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Verona,  8  aprile  2013  –  Dottorato  in  Letterature  straniere  e  scienze  della  letteratura    

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Giulia Ferro Milone – Università di Verona

Julia Kristeva e la teoria della letteratura

1. Biografia umana e intellettuale ....................................................................................................................................... 1

2. Presupposti teorici ........................................................................................................................................................... 4

3. La pratica critica: esempi ................................................................................................................................................. 9

Esempio 1 ........................................................................................................................................................................... 10

Esempio 2 ........................................................................................................................................................................... 12

Bibliografia ............................................................................................................................................................................... 14

1. Biografia umana e intellettuale

In una intervista del 19 aprile 2012 per la Radiotelevisione Svizzera (19 aprile 2012) Julia Kristeva

viene definita «un’intellettuale a trecentosessanta gradi nella grande tradizione filosofica francese».1

Un’intellettuale che è riuscita «con le sue analisi a interrogare la realtà da angolature diverse e

convergenti».2 Oggi Kristeva ha 73 anni, vive a Parigi con il marito Philippe Sollers ed è docente

emerita all’Université Paris Diderot – Paris 7. È molto attiva in ambito formativo oltre che come

scrittrice. Il suo ultimo libro – Pulsion du temps (marzo 2013) – è una ampia riflessione sul concetto

di tempo all’epoca della globalizzazione e dell’iperconnessione.

Gli inizi della riflessione linguista, filosofica, psicoanalitica e letteraria di Julia Kristeva si

collocano tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento e in larga parte sono contenuti nella sua tesi

di dottorato, La rivoluzione del linguaggio poetico (1974) e poi nel saggio Poteri dell’orrore.

Saggio sull’abiezione (1980). Immagini, interviste e testimonianze, ampiamente disponibili in rete,

consentono di ripercorrere concretamente la biografia umana e intellettuale di Kristeva e di

constatare il carattere profondamente transdisciplinare delle sue ricerche – un carattere eterogeneo

per utilizzare un concetto chiave del pensiero di Kristeva: filosofia, psicoanalisi, scienze umane si

intrecciano e dialogano nel suo pensiero, e ad esse si interseca costantemente l’interesse per il

linguaggio e per il luogo in cui esso si manifesta in modo privilegiato e cioè il testo letterario.

Eterogeneità, cioè coesistenza di differenze in dialogo l’una con l’altra, continua ridefinizione di

confini, sovvertimento sono concetti importanti nella ricerca di Kristeva, che acquistano una

consistenza corporea se li si considera incarnati nella sua biografia umana.

                                                                                                                         1 Roberto Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta. Incontro in due puntate con Julia Kristeva”. In: http://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/puntate/ [13.01.2015]. 2 ibid.

Kristeva nasce in Bulgaria nel 1941 e arriva in Francia nel 1965. Come persona proveniente

dai Balcani è segnata sin dalla nascita da una pluralità di tradizioni etniche: ebraica, greca, cristiana,

musulmana, turca. Il padre, seminarista greco-ortodosso prima di diventare medico, le trasmette

l’interesse per i testi religiosi. Gli interessi della madre, invece, sono rivolti alle scienze, in

particolare alla biologia. In Bulgaria Julia riceve un insegnamento di matrice comunista ma

impregnato di tradizioni culturali tedesche, ad esempio Nietzsche.3 Quando arriva in Francia, nel

1965, Julia ha 25 anni. Qui è determinante l’incontro con Philippe Sollers. E lo è in due direzioni:

da un lato perché Sollers è un intellettuale e uno scrittore con vaste conoscenze teologiche;

dall’altro perché la spinge ad appropriarsi della lingua francese che diventerà la lingua nella quale

Kristeva scrive le sue opere teoriche e i suoi romanzi.

Gli anni Sessanta e Settanta in Francia sono anni di una ricchezza intellettuale e culturale

straordinaria. Kristeva entra in contatto con i docenti dell’École des Hautes Études en Sciences

Sociales, in particolare con Lucien Goldman,4 marxista hegeliano e lukácsiano che diventa poi il

suo direttore di tesi. Ma è determinante soprattutto l’incontro con il gruppo che ruota intorno alla

rivista “Tel Quel”,5 la quale promuove in particolare la confluenza tra filosofia, scienze umane e

letteratura. Intorno alla rivista gravitavano intellettuali e scrittori come Roland Barthes, Jacques

Derrida, Michel Foucault, Georges Bataille, il compatriota Tzvetan Todorov e molti altri.

Indirettamente anche Jacques Lacan fa riferimento a “Tel Quel”: è infatti molto attento a quanto

pubblica la rivista. Kristeva frequenta i seminari di Lacan e diventa poi ella stessa nel 1979

psicoanalista. Testimonianza diretta di questa interazione tra letteratura, scienze umane, linguistica

e filosofia è il romanzo I samurai, pubblicato nel 1990 (tradotto in italiano nel 1991).6 Racconta

Kristeva:

                                                                                                                         3 Frequenta una scuola elementare di suore domenicane. Qui impara subito la lingua francese e riceve, benché si trovi in un paese comunista, una educazione religiosa, anche se in sordina. 4 Lucien Goldmann (Bucarest, 20 luglio 1913 – Parigi, 8 ottobre 1970) è stato un docente e sociologo rumeno, naturalizzato francese. 5 Rivista francese trimestrale fondata da Philippe Sollers e Jean-Edern Hallier nel 1960 e pubblicata dalle Éditions du Seuil. Ad essa collaborarono intellettuali, poeti e scrittori, per lo più marxisti, impegnati nella radicale trasformazione e critica del concetto di letteratura. Nei primi tempi la rivista dà spazio all'espressione poetica d'avanguardia, successivamente tenta di istituire legami tra letteratura, scienze esatte e scienze umane, politica, e filosofia: pubblica infatti le riflessioni della Kristeva sul legame tra marxismo e psicoanalisi, e quelle di Barthes sui rapporti tra semiologia e letteratura. 6 “Samurai” è, nella definizione dell’autrice, “un romanzo sulla vita passionale degli intellettuali francesi dalla metà degli anni Sessanta a oggi”. Il riferimento implicito è al romanzo di Simone de Beauvoir I mandarini (Einaudi 1955) di cui Julia Kristeva vuole rilevare il compito raccontando in forma romanzesca la storia e la cronaca d’una generazione di intellettuali. “Era la grande epoca dello strutturalismo e dei seminari con Lacan e Althusser, l’epoca in cui grazie a Foucault si cominciava a interrogarsi sulla follia e rinascevano intorno a Barthes gli studi letterari e semiologici, l’epoca di un ribollire d’idee intorno all’arte moderna, dell’avventura di ‘Tel Quel’. E della politica al primo posto, naturalmente: dal maggio 1968 nel Quartiere Latino alla Rivoluzione Culturale a Pechino. Ai maìtres à penser si sostituiscono oggi i guerrieri... La generazione dei Samurai non ha quel sentimento entusiasta ed euforico dell’impegno che ebbe la generazione Sartre – Beauvoir. Per questa generazione la coscienza del male esiste, ma come testimonianza della complessità della vita e della volontà di sopravvivere. È una generazione affascinata dalla ricerca del senso dell’esistenza persino nella morte, indotta dalla propria estrema gioia di vivere a considerare la vita come un’arte marziale”.

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«Ho cercato di raccontare tutto questo in forma romanzata nel mio libro I samurai. Gli intellettuali del

gruppo “Tel Quel” presero molti rischi dal punto di vista intellettuale. Di qui il titolo “I samurai”. Non

erano dei mandarini o delle persone in cerca di potere.7 Cercavano di pensare ai limiti della vita o ai

limiti del pensabile. E l’avanguardia letteraria è il luogo più propizio per questo. Cercavamo di

riflettere su avventure del tutto impensabili, come la follia di Antonin Artaud o gli estremismi di

George Bataille o lo stile di James Joyce. Tutto ciò in quegli anni, anni Sessanta inizio anni Settanta,

era del tutto inaudito e molto audace. […] in quel mondo, il gruppo “Tel Quel” mi ha sedotto con la

sua audacia, affermando in particolare due cose: che è attraverso il linguaggio che la società può

cambiare (di qui l’importanza della letteratura); e che le donne rappresentano una forza inaudita

[…]».8

Quando Kristeva arriva in Francia lo strutturalismo è un movimento che riveste ancora una grande

importanza. Nei paesi dell’Est, invece, in cui lo strutturalismo era noto da decenni nella forma

elaborata dai formalisti russi (primi decenni del Novecento), la problematicità delle argomentazioni

strutturaliste era già sentita come molto forte. Essa era stata messa in luce in particolare da Michail

Bachtin nei suoi scritti di teoria della letteratura, in particolare nel saggio “Il problema del

contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria” (1924).9 Kristeva fa proprio il

pensiero di Bachtin. Il contributo di Kristeva in questi anni, apporto che ella definisce

esplicitamente “post-strutturalista”, consiste nel ricondurre l’importanza della soggettività e della

storia – messa tra parentesi se non del tutto negata dallo strutturalismo – all’interno del linguaggio e

all’interno del testo letterario e delle operazioni critiche che ruotano intorno ad esso. Kristeva

afferma:

«E per fare questo [critica allo strutturalismo] mi sono molto basta sull’opera di Michail Bachtin, che

in Russia era già un post-strutturalista. […] egli cercava di introdurre l’elemento “storia” sotto forma

di colui che parla e di che cosa parla. In altre parole, non solo la struttura del testo, ma chi parla e a chi

si rivolge. Ne è conseguito il concetto secondo il quale una struttura dialoga con un’altra, le strutture

non sono chiuse su se stesse, ma interagiscono tra di loro. E che dunque ogni esperienza umana è in

relazione con l’altra. […] perciò il dialogo, e non solo il binarismo, definiscono l’essere umano.

Basandomi su Bachtin ho studiato, come lui, Rabelais, Dostoevskij, il romanzo francese e sono andata

                                                                                                                         7 Nel quadro dell'intera produzione di Simone de Beauvoir, I Mandarini (1954), insieme all'autobiografia – Memorie d'una ragazza perbene, L'età forte, La forza delle cose, A conti fatti –, è il romanzo più significativo ed emblematico. Nessuno meglio di Beauvoir avrebbe potuto raccontare la tumultuosa stagione del dopoguerra, in cui gli intellettuali francesi, i Mandarini appunto, erano gli indiscussi protagonisti della vita culturale e politica (basti pensare a Sartre e a Camus). Le vicende di Henri, Nadine, Anne, Dubreuilh, dei giovani «esistenzialisti» e delle ragazze che girano a vuoto riflettono le lacerazioni di un mondo che non sa trovare il suo equilibrio, sospeso com’è tra speranze, ideali e il duro confronto con la realtà. 8 Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit. 9 Michail Bachtin: “Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria”. In: Michail Bachtin: Estetica e romanzo [1975]. Torino: Einaudi, 2001.

progressivamente oltre lo strutturalismo, introducendo l’idea di intertestualità. Vale a dire il soggetto

parlante.»10

Nel passaggio dal sistema strutturale al problema dell’enunciazione del testo, cioè del soggetto,

della storia, del contesto e dei contesti Kristeva incontra e studia i lavori di Émile Benveniste e di

coloro che nella filosofia occidentale hanno parlato dell’importanza della soggettività e della storia,

in particolare Hegel, Husserl, Freud e il pensiero psicoanalitico.

In questa breve ricostruzione della biografia di Kristeva, si arriva così agli anni di una delle

ricerche fondamentali dal punto di vista teorico, linguistico e filosofico, La révolution du langage

poétique. L’avant-garde à la fin du XIXe siècle: Lautréamont et Mallarmé (1974).11 Già prima di

allora Kristeva aveva pubblicato importanti saggi,12 ma sicuramente La rivoluzione del linguaggio

poetico è una ricerca fondante dal punto di vista della teoria della letteratura e della critica del testo

letterario.

2. Presupposti teorici

A questo cerchiamo di addentrarmi in alcuni dei concetti che stanno alla base della teoria e della

pratica dell’approccio al testo letterario, o, come dice Kristeva, al linguaggio poetico e al suo

specifico potere sovversivo. Kristeva attribuisce un potenziale rivoluzionario a quei testi che aprono

il processo della significanza all’ingresso di immagini deformate, di suoni e di vocalizzazioni che

risalgono alle fasi pre-simboliche dell’acquisizione del linguaggio e della formazione del soggetto.

Nel fare questo la letteratura appare come una pratica socio-comunicativa13 che – grazie alla

produzione di nuovi significanti – è in grado di entrare in contrasto con i sistemi economici e

ideologici dominanti e di sovvertirli.

Proprio all’inizio della Rivoluzione del linguaggio poetico Kristeva critica le teorie della

linguistica formale. Il rinnovamento delle teorie del linguaggio, che la linguistica formale considera

come un sistema di segni arbitrario chiuso all’extralinguistico, si collega principalmente secondo

Kristeva a due aree di pensiero: una è la psicoanalisi – in particolare la scuola psicoanalitica di

Londra e in essa a sua volta, in particolare, il pensiero di Melanie Klein –; l’altra è costituita dai

concetti di soggetto dell’enunciazione (Benveniste) e di intenzionalità (Husserl). Ma vi sono anche

altri concetti che restituiscono al linguaggio dimensioni categoriali (soggettività, pulsioni,

                                                                                                                         10  Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit.  11 Paris: Éditions du Seuil, 1974. Traduzione italiana: La rivoluzione del linguaggio poetico: l’avanguardia nell’ultimo scorcio del diciannovesimo secolo: Lautréamont e Mallarmé. Venezia: Marsilio, 1979. 12 Vedi in particolare, Séméiôtiké. Ricerche per una semanalisi [1969], Milano: Feltrinelli, 1978. 13 Con il termine “pratica” Kristeva intende al contempo un procedimento – semiotico e simbolico – e un luogo di sutura ove si produce senso. In questa attività (l’arte e i testi sono pratiche di questo tipo) il soggetto non coincide mai con sé stesso, ma si pluralizza, si articola, si dialogizza.

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intenzioni) delle quali la linguistica formale riteneva di poter fare a meno. Kristeva si riferisce agli

speech-acts di Searle e anche alle idee del materialismo storico, cioè al pieno inserimento e

coinvolgimento del processo di significanza o significazione all’interno degli sviluppi storico-

sociali.

Il processo della significanza (“procès de la signifiance”) si attua sulla base di due modalità di

funzionamento assolutamente interdipendenti, alla cui descrizione Kristeva dedica il primo ampio

capitolo della Rivoluzione del linguaggio poetico: il semiotico e il simbolico. Di queste due

dimensioni la prima precede la seconda in quanto è collegata con l’insorgenza della vita del

soggetto, inteso come individuo separato, in particolare separato dall’entità materna. Il termine

“semiotico” deriva evidentemente – e Kristeva lo chiarisce subito esplicitamente citandone

l’etimologia – dal termine greco semeion, «marca distintiva, traccia, indizio, segno precursore,

prova, segno inciso o scritto, impronta, figurazione». Però Kristeva precisa anche subito il senso che

per lei ha il termine “semiotico” nel contesto del discorso che sta costruendo. Kristeva lo mette cioè

in relazione con il concetto psicoanalitico di pulsione (“pulsion”): le pulsioni – fondamento della

vita psichica, della soggettività dell’individuo14 – “parlano” in un codice binario; esse sono infatti

cariche energetiche discrete, che pulsano e marcano, caratterizzate dal battere e dal levare, battito e

stasi, dall’intermittenza (nelle lingue neolatine “pulsare” significa appunto battere; da cui

“pulzone”, strumento di metallo per formare i caratteri da stampa).15 Scrive Kristeva:

«Delle quantità discrete di energia percorrono il corpo di ciò che diventerà un soggetto e nel processo

di costituzione del soggetto si dispongono sulla base delle costrizioni imposte al corpo dalla struttura

familiare e dalla struttura sociale.»16

Cioè l’agire articolante, marcante, delle pulsioni che attraversano il corpo fisico non avviene a caso,

o in virtù di qualche determinazione soprannaturale, ma sulla base dei vincoli imposti dal tempo

storico e dalle norme sociali nelle quali l’individuo si trova a vivere.

Ma su che cosa agisce la dimensione pulsionale fatta di intermittenze articolatorie? Tali

intermittenze articolatorie non hanno ancora nulla a che vedere con le parole, e neanche con i

fonemi di questo o quel sistema linguistico, bensì sono più affini ai suoni, ai ritmi, alle articolazioni

totipotenziali che il bambino emette prima di arrivare a selezionare, tra l’infinito numero di suoni di

cui è capace l’apparato fonatorio umano, quelli che sono significanti nella lingua madre. Quale è

per così dire la superficie di scrittura, di incisione sulla quale agisce la dimensione pulsionale? Per

                                                                                                                         14 «Processo dinamico consistente in una spinta (carica energetica, fattore di motricità) che fa tendere l’organismo verso una meta». In: Jean Laplanche – Jean Berdard Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Roma-Bari, Laterza, 1995. 15 Kristeva si differenzia da Freud, in quanto per lei le pulsioni non sono dicotomiche (vita/morte) ma eterogenee; v. La rivoluzione del linguaggio poetico, cit. p. 151 s. 16 Kristeva: La rivoluzione del linguaggio poetico, p. 23.

definire questo spazio – che è in realtà un non-spazio, in quanto si tratta di una entità pre-

geometrica e pre-spaziale – Kristeva si appoggia a Platone e al concetto di chora sviluppato nel

Timeo. La chora è

«una articolazione del tutto provvisoria, essenzialmente mobile, costituita dai movimenti e dalle loro

effimere stasi. […] Occorre che la chora, così come cerchiamo qui di descriverla teoricamente, segua

il discorso della rappresentazione, al fine di renderla intelligibile; ma in realtà la chora intesa come

rottura e articolazione – come ritmo – precede ogni evidenza, ogni verosimiglianza, è antecedente ad

ogni temporalità e spazialità.»17

Più avanti Kristeva afferma che la chora è una «totalità ritmata ma non ancora espressiva ».18 Essa

non è ancora un significante ma è la condizione perché si formino i significanti, non è possibile

assimilarla ad una immagine, ce la possiamo rappresentare solo come «ritmo vocalico o cinesico».

La chora è per Kristeva – come del resto già per Platone – madre e nutrice. Essa ha uno statuto

ontologico, è ricettacolo che accoglie e nutre ed è caratterizzata dunque in senso femminile-

materno.19 Val la pena di ricordare che è proprio su questo concetto di chora e di semiotico che si

appunteranno le argomentazioni critiche di Judith Butler esposte nel terzo capitolo del saggio

Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity.20 Qui in sostanza Butler dopo aver

messo in luce le aporie presenti nell’argomentazione della Kristeva ne critica la posizione

fondamentalmente essenzialista e pre-discorsiva. Butler rovescia il discorso e si domanda se il

materno postulato come pre-discorsivo non sia invece esso stesso il prodotto di un discorso, un

effetto stesso della cultura.21 Comunque, per Kristeva il semiotico è

«la modalità psicosomatica del processo della significanza, cioè una modalità non ancora simbolica

ma in grado di articolare (nel senso più ampio del termine articolazione) un continuum. […] Tutti

questi processi e relazioni, pre-simbolici e pre-sintattici, considerati in un’ottica genetica, sono da

ritenersi come i presupposti necessari all’acquisizione del linguaggio, con il quale essi non devono

essere confusi.»22 (p. 28)

Se il semiotico è questa dimensione vocalica e ritmata legata al materno e ancorata nel corpo,

propria della fase senso-motoria (0–2 anni) dello sviluppo dell’individuo, e che si esprime in suoni

pre-fonetici, gesti, movimenti, ritmi, che cosa sia il simbolico è relativamente presto detto. Esso è il

linguaggio inteso come codice costituito, la sintassi normativa e tutte le categorie linguistiche

codificate. Esso si costituisce a partire dal semiotico di pari passo con la formazione del soggetto

                                                                                                                         17 Ibid., p. 23. 18 Ibid., p. 40. 19 Ibid., p. 25. 20 Routledge, Chapman and Hall, 1990. Traduzione italiana: Scambi di genere: identità, sesso e desiderio. Firenze: Sansoni, 2004. 21 Butler: Scambi di genere, cit. p. 125. 22 Kristeva: La rivoluzione del linguaggio poetico, cit., p. 28.

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parlante, come risultato sociale dell’interazione con l’altro. Kristeva insiste molto su questo aspetto

e afferma: «la nostra concezione del semiotico è inscindibile da una teoria della soggettività che

tenga conto della posizione freudiana e dell’inconscio».23 In questo ambito Kristeva segue non solo

il pensiero psicoanalitico, in particolare le riflessioni di Melanie Klein per quanto riguarda la

relazione madre-bambino, ma anche le formulazioni di Lacan circa la costruzione del soggetto, dal

corp morcélé, al riconoscimento di sé come “uno” nello specchio, al superamento del narcisismo e

al pieno ingresso nel simbolico (nella Legge del padre).

L’ingresso nel simbolico, nel mondo dei significati codificati, avviene grazie

all’attraversamento di una soglia, di un confine. È un momento che Kristeva – con riferimento al

concetto husserliano di thesis – chiama «fase tetica.»24 Essa è la fase in cui qualcosa viene posto

(dal greco, theo, pongo) e al contempo scisso, è «un taglio mediante il quale il soggetto compie il

processo di identificazione di sé e dei suoi oggetti.»25 Il soggetto si separa dalla chora e dal

semiotico e così facendo nasce all’ordine simbolico dei significati, cioè al linguaggio.

La separazione tra me e l’entità materna, tra me e l’immagine di me (imago), tra me e gli

oggetti corrisponde al possesso e all’uso di un linguaggio che denomina, scinde soggetto e oggetto e

li mantiene nella separazione. Scrive Kristeva:

«in questo modo […] la fase tetica ci appare come la soglia tra due ambiti eterogenei: il

semiotico e il simbolico. Il secondo include una parte del primo. La scissione tra i due si

manifesta ormai come scissione significate/significato.»26

Il riaffiorare della dimensione della chora materna nell’ordine simbolico avviene al prezzo della

disorganizzazione (anche psichica) e del riemergere nel linguaggio – e nelle pratiche letterarie – di

modalità proprie del semiotico, e cioè ecolalie, costruzioni olofrastiche, vocalizzazioni,

deformazione dell’ordine sintattico e del piano semantico, nonsense verbali. Kristeva ricorda

nell’intervista citata all’inizio le ricerche condotte insieme ai suoi studenti nei due luoghi che

simbolizzano la nascita e la crisi del soggetto parlante: il nido d’infanzia in cui il bambino

incomincia a parlare e l’ospedale psichiatrico in cui il discorso si sgretola, diventa delirio. Il

disturbo del linguaggio presente nelle malattie psichiatriche e neurologiche è notoriamente oggetto

di studio da parte dei linguisti, poiché attraverso le anomalie si riesce a comprendere il

funzionamento normale delle funzioni del linguaggio.

                                                                                                                         23 Ibid, p. 30. 24 Ibid., p. 41. 25 Ibid. 26 Ibid., p. 46.

Il concetto di semiotico e quello di abiezione sono fondamentali nella teoria e nella pratica

letteraria di Julia Kristeva. Il movimento violento di separazione dalla chora materna sta alla base

dell’elaborazione del concetto di abiezione e di abietto. L’abietto è un non-oggetto. E lo è perché

esso si costituisce nelle fasi più arcaiche del processo di significazione e della costruzione del

soggetto, prima della formazione del soggetto separato dai propri oggetti, prima dell’acquisizione

del linguaggio, in quelle fasi in cui l’individuo – che non è ancora un individuo – lotta per separarsi

dalla madre e diventare autonomo. L’esito di questa separazione non è mai definitivamente

acquisito. L’abietto ritorna. Il ritorno di questo materno-semiotico si incarna in persone o situazioni

che suscitano in noi sentimenti ambivalenti, orrore, disgusto, repulsione rifiuto, ma anche attrazione

e piacere. L’abietto, scrive Kristeva nel saggio Poteri dell’orrore (1980),

«ci confronta […] con i nostri più antichi tentativi di distinguerci dall’entità materna prima ancora di

ex-sistere al di fuori di essa grazie all’autonomia del linguaggio. Distinzione violenta e goffa, sempre

in procinto di ricadere nella dipendenza da un potere tanto rassicurante quanto soffocante.»27

Questo apparato teorico – concetti di semiotico, simbolico e di abietto – riesce a dare conto di

alcuni fenomeni tematici e formali presenti nel linguaggio letterario, in particolare i fenomeni che

riguardano la letteratura delle avanguardie e il carattere sperimentale dei loro testi. La

sperimentazione riguarda le forme codificate dei generi e degli stili letterari, l’uso stesso della

sintassi e della semantica codificata. Oltre che di Mallarmé e di Lautréamont Kristeva si occupa di

Artaud, Joyce, Borges, Céline e Proust. Cita inoltre i testi di Dostoevskij e Kafka come

rappresentanti di questa irruzione della ritmicità semiotica nel linguaggio poetico. Ricordiamo che a

Proust è dedicato il seminario dottorale del 2013 all’Univeristé Diderot – Paris 7 dove Kristeva è

docente emerita. Ricorda Kristeva nell’intervista alla Radio svizzera:

«Dato che non ho mai tagliato i legami con la letteratura, è emerso che la letteratura della fine del XIX

secolo e di tutto il XX secolo – e qui mi riferisco alla letteratura dell’avanguardia, alla letteratura

sperimentale – […] cerca di penetrare nelle nostre profondità. Ebbene questa è una letteratura che

tratta della crisi. Del momento catastrofico nell’essere umano. Per esempio si riscontrano molti

elementi depressivi in Mallarmé o vicini alla psicosi in Artaud. Si osserva una conoscenza

estremamente acuta della perversione in Bataille e altri. Mi sono spinta il più possibile in questa

direzione senza minimamente patologizzare la letteratura, ma cercando di mostrare che essa non è un

decoro, ma che sonda in profondità e che costruisce un sapere profondo della vita psichica».28

                                                                                                                         27 Julia Kristeva: Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione [1980]. Milano: Spirali, 2006, p. 15. 28 Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit.

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3. La pratica critica: esempi

Ma cosa significa tutto questo nella pratica della critica letteraria? Nella pratica letteraria il

semiotico riappare come elemento eterogeneo, «aggressore» del simbolico.29 Questa irruzione

dell’eterogeneo (dell’estraneo) «mostra la possibilità di un processo della significanza differente da

quello di un pensiero unificante»,30 conciliante, rappacificante.

Con il concetto di «eterogeneo» Kristeva intende le distorsioni e gli effetti estranianti, le

discontinuità che si producono nel linguaggio poetico quando la dimensione semiotico-materna fa

breccia e penetra nell’ordine simbolico incrinandone la linearità, la forma pura, chiusa. Si produce

così una nuova organizzazione testuale che Kristeva chiama «dispositivo semiotico»31 e che si

manifesta in distorsioni logiche e sintattiche, neologismi, paragrammi, ecolalie, ripetizioni,

onomatopee e sinestesie, vocalizzazioni, giochi di parole, nonsense, ma anche nella distorsione

delle strutture narrative e nella sovversione dei generi. I mutamenti – rispetto ad un codice

linguistico normativo e ad un canone letterario – hanno luogo sia a livello fonematico e sintattico,

sia a livello del discorso narrativo (sul piano della storia con la fluttuazione dei punti di vista) e

intertestuale (interazione con altri testi e con altri ambiti discorsivi).

Anche Jacques Derrida, che negli stessi anni lavora sugli stessi autori – Mallarmé, Artaud,

Bataille, Sollers – parla di taluni testi letterari “moderni” che, piuttosto di altri, sembrano in grado

di «aprire dei varchi (opérer des frayages) od operare delle effrazioni» in ciò che ci rappresentiamo

come il canone letterario, conforme ad una concezione estetica che tende a tenere sotto controllo i

contenuti e le forme.32

L’ultima parte dell’intervento cerca di esemplificare come questo apparato teorico che vede nella

letteratura il significante privilegiato per il sovvertimento dei linguaggi codificati e dei canoni possa

essere utile alla comprensione del testo letterario. Il primo esempio è tratto dall’analisi che Kristeva

riserva ai romanzi di Céline. A Céline Kristeva dedica tutta la seconda parte del saggio Poteri

dell’orrore. Il secondo si riferisce al racconto di E. T. A. Hoffmann, Il piccolo Zaccheo detto

Cinabro. Un racconto che condensa in sé proprio quelle caratteristiche di testo sovversivo: nei temi

e nella forma, esso si apre infatti ad un contatto con le dimensioni del semiotico e dell’abiezione.

                                                                                                                         29 Kristeva: La rivoluzione del linguaggio poetico, cit., p. 47s. 30 Ibid., p. 166. 31 Ibid., 207. 32 Jacques Derrida: Posizioni, a cura di Giuseppe Sertoli. Verona: Bertani editore, 1975, p. 100s.

Esempio 1

Iniziamo con Céline.33 Scrittore molto controverso per il suo atteggiamento antisemita, è noto

soprattutto per i romanzi Voyage au bout de la nuit (1932)34 e Mort à crédit (1936),35 nei quali lo

scrittore tematizza variamente oltre all’esperienza delle due guerre mondiali la sua esperienza di

medico, gli incontri con personaggi marginalizzati e asociali, le relazioni complicate con il mondo

femminile. Il mondo céliniano si pone – nella lettura che ne dà Kristeva – ai confini tra la

rappresentazione dell’apocalisse, della violenza, della crudeltà e dell’orrore, e il riso carnevalesco,

in una contaminazione delle dimensioni del tragico e del comico, e nella sovversione dell’ “umano

civilizzato” e del “divino”. Scrive Kristeva: «Alle ambivalenze semantiche del carnevale, che sa

accostare l’alto e il basso, il sublime e l’abietto, Céline aggiunge lo spietato annientamento

dell’apocalisse».36 Da un punto di vista tematico il dolore, la paura, l’orrore, il disgusto, l’abiezione

ma anche il riso e la fascinazione segnalano la presenza di emozioni che abitano i territori di

confine tra semiotico e simbolico. Dice Kristeva con riferimento a Céline:

«Questi stati abissali [di Céline], questi tuffi nel baratro della vita psichica, laddove la separazione tra

me e l’altro, tra il soggetto e l’oggetto svanisce, facendomi precipitare nell’osmosi con l’altro, fascino

o abiezione… Tutto questo Céline lo esplora in profondità, come quando parla del femminile o di sua

madre […], evidenziando una notevole e dolorosissima perdita di limiti della soggettività. Ma sa anche

esplorare stati di grande idealizzazione, come quando il narratore si identifica con il corpo di una

ballerina.»37

La vicinanza al semiotico è evidente nei testi celiniani non solo nei temi ma anche nel

rimaneggiamento della sintassi e del lessico, nello stile, nel costante e duro lavoro con la lingua:

«Lo stile – afferma Céline – è un certo modo di forzare le frasi […] di farle uscire con delicatezza

dai gangheri per così dire, di spostarle forzando così il lettore a spostare anche lui il suo senso.»38

Kristeva parla di una «mutazione del linguaggio in stile»,39 e in questo Céline si rivela uno

«specialista della lingua parlata.»40

Nel paragrafo “La segmentazione: intonazione, sintassi soggettività” contenuto nel saggio

Poteri dell’orrore Kristeva analizza le strategie linguistiche formali mediante le quali Céline

traduce l’oralità in scrittura. Fra queste spicca un costante rimodellamento della struttura normativa

                                                                                                                         33 Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches (Courbevoie, 27 maggio 1894 – Meudon, 1 luglio 1961). Lo pseudonimo, con il quale firmò tutte le sue opere, era il nome della nonna materna. 34 Trad. it.: Viaggio al termine della notte. Milano, 1978. 35 Trad it.: Morte a credito. Milano, 1964. Altri romanzi di Céline: Le Pont de Londres / Guignol's Band II (1964), trad. it. Il ponte di Londra. Torino, 1971 e Rigodon (1969), trad. it. Rigodon. Milano, 1970. 36 Kristeva: Poteri dell’orrore, cit., p. 158. 37 Antonini: “Il linguaggio, l’amore, la rivolta”, cit. 38 Cit in Kristeva: Poteri dell’orrore, cit., p. 235 39 Ibid., p. 222. 40 Ibid., p. 223.

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della frase francese (S–V–O), tanto che lo scrittore arriva a produrre un «ritmo generalmente

binario e a sbalzi»,41 in cui il nucleo informativo del messaggio è enfatizzato a scapito dell’ordine

sintattico. Inoltre mediante l’uso della punteggiatura Céline si dà «mezzi supplementari per

frastagliare, ritmare, musicare la sua frase.»42

Vediamo questo esempio:43

Kristeva si domanda quale potrebbe essere il valore psicologico di questa tecnica. E la riconduce

alle prime fasi di apprendimento del bambino, fasi in cui il contenuto dell’informazione, il suo

carattere impellente, prevale sulla strutturazione logico-sintattica della frase. Conclude l’analisi

dicendo che «la scrittura “parlata” di Céline compie questa rimemorazione».44

Altrettanto interessante è l’analisi dell’utilizzo da parte di Céline delle ellissi, segnalate dai tre

punti di sospensione che «proliferano» nei suoi testi.45 Kristeva descrive alcune pagine come

letteralmente «crivellate di bianchi in cui l’emozione non si lascia vestire con frasi.»46 Onomatopee,

esclamazioni e punteggiatura vengono a «striare» la frase inscrivendo l’affetto «al di qua e al di là

delle parole, nel gesto della voce indicato dai segni di interpunzione.»47 Kristeva trae l’esempio che

segue dal romanzo Rigodon (1969):48

                                                                                                                         41 Ibid., p. 226. 42 Ibid. 43 Ibid. 44 Ibid., p. 228. 45 Ibid., p. 229. 46 Ibid., p. 235. 47 Ibid., p. 234. 48 Ibid., p. 233.

In questo esempio è come se oralità e visualità trapassassero l’una nell’altra, senza confini netti. In

questo modo «nel suono e nel grido [esplode] un affetto più vicino possibile alla pulsione,

all’abiezione come al fascino … Vicino all’innominabile.»49

Esempio 2

Come secondo esempio di avvicinamento al testo letterario sulla base di questo approccio teorico

facciamo riferimento al racconto di E.T.A. Hoffmann Il piccolo Zaccheo detto Cinabro, pubblicato

a Berlino nel 1819.50 Hoffmann (1776-1822) non è soltanto un acuto e ironico osservatore della

realtà storica e sociale che lo circonda ma anche un audace sperimentatore dal punto di vista

linguistico-formale, dissolutore di forme e in ciò pienamente e profondamente romantico.

Nel racconto del Piccolo Zaccheo, il cui protagonista è un essere deforme, a metà strada tra

l’umano, l’animale, il vegetale e forse altro, l’abiezione del personaggio (la sua vicinanza alla

dimensione semiotico-materna) viene messa a tema non solo nella deformità corporea del

personaggio, ma anche nel linguaggio disturbato che egli usa e in quello del narratore che ci parla

del personaggio. Onomatopee, vocalizzazioni, distorsioni a livello semantico e sintattico

caratterizzano le produzioni verbali del protagonista.

A livello fonematico la ripetizione insistente del fonema /r/ percorre come una vibrazione di

sottofondo tutto il racconto. Il suono legato al fonema /r/ – che si ritrova in tutta una serie di

espressioni verbali riferite a Zaccheo-Cinabro – indica in modo onomatopeico la vibrazione

prodotta dal movimento di un insetto. E infatti Zaccheo, fra le numerose denominazioni con le quali                                                                                                                          49 Ibid., p. 235. 50 E.T.A. Hoffmann: “Klein Zaches genannt Zinnober”. In: E.T.A. Hoffmann: Sämtliche Werke in sechs Bänden. Frankfurt a. M.: Deutscher Klassiker Verlag, 1985-2004. Band 3. Versione it.: “Il piccolo Zaccheo detto Cinabro”, traduzione di Carlo Pinelli. In: E.T.A. Hoffmann: Romanzi e racconti. Volume III. Torino: Einaudi, 1969.

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il testo cerca di afferrare la sua essenza, viene anche detto “maggiolino”. La presenza di

Zaccheo/Cinabro si annuncia acusticamente alle orecchie dei personaggi e del lettore, ancor prima

che la sua figura sia visibile agli occhi:

«A due dita dalle orecchie di Fabiano risuonò un lungo e stridente “Prr… prr!” e nell’attimo

stesso due stivali gli volarono sopra la testa e un piccolo, stranissimo affarino nero gli ruzzolò

tra le gambe.»51

Il fonema /r/ compare in forma raddoppiata e a volte anche triplicata in numerose altre espressioni.

Ad esempio, il maestoso struzzo che fa da guardiano all’abitazione del mago Prosper Alpanus

risponde a Fabiano con un sonoro e vibrate «Quirrr!»

«– Annunziaci al signor dottore, bello mio!... – Lo struzzo si limitò a dire: – Quirrr!... – e gli

beccò un dito. – Accidentaccio!... – strillò Fabiano. – Questo birbaccione è un dannatissimo

uccello per davvero!...»52

Quando cerca di parlare Zaccheo alias Cinabro produce suoni che assomigliano al ringhiare di un

cane o ai suoni emessi da un felino. Secondo Kristeva – che si appoggia in proposito alle ricerche di

Ivan Fónagy sui residui pulsionali presenti nella fonazione –, nel linguaggio restano tracce della

dimensione affettiva legata ai processi pulsionali-semiotici, dai quali il soggetto faticosamente

emerge per affacciarsi alla dimensione simbolica. In questo contesto il fonema /r/, presente in

numerose espressioni che si riferiscono ai suoni emessi dal deforme protagonista Zaccheo,

rappresenta l’eterogeneità della dimensione pulsionale, in quanto è associato sia agli aspetti

piacevoli che a quelli aggressivi e distruttivi della pulsione. Attraverso questi ed altri suoni – ad

esempio è detto di Zaccheo che squittisce o strilla, e qui l’onomatopea è legata alla ripetizione dei

suoni presenti nelle espressioni “quiek” e “quäk” – il lettore è portato a fare un’esperienza corporea

declinata in senso acustico dell’abiezione del personaggio.

Ma la vicinanza alla dimensione pulsionale-semiotica si manifesta anche nella deformazione

della sintassi normativa e delle convenzioni semantiche proprie della lingua tedesca. Ad esempio, le

frasi pronunciate da Zaccheo sono caratterizzate da arcaismi o neologismi che suonano affettati e

artificiosi se confrontati con il linguaggio standard. Ciò accade, ad esempio, quando Zaccheo

ringrazia utilizzando la parola «Gratias, signore!»,53 termine religioso arcaicizzante sicuramente non

di uso comune all’epoca. Inoltre la sintassi che il protagonista utilizza oscilla fra una notevole

elaborazione della frase e una semplicità infantile che ricorda – a dispetto del rango sociale del

                                                                                                                         51 Hoffmann: “Il piccolo Zaccheo”, cit., p. 42. 52 Ibid., p. 93. 53 Ibid., p. 43.

personaggio – l’uso delle olofrasi nel linguaggio infantile (10-12 mesi). Ad esempio, rispondendo

alle effusioni del professore di estetica che si complimenta con lui, Cinabro esclama: «Lasciami –

lasciami – mi fai male – male – male ti strappo gli occhi – ti morsico il naso!»54 Oppure, dopo che è

stato scoperto l’imbroglio e la sua vera identità è stata rivelata, Cinabro grida: «Principe Barsanuph

– Altezza – salvi il suo ministro – il suo favorito! – Aiuto – Aiuto – lo stato è in pericolo – la Tigre

pezzata di verde – Male – male!»55

In queste performance linguistiche il ministro Cinabro non solo dimostra di non riconoscere e

di non rispettare le convenzioni e i ruoli, ma si mostra vicino al mondo emotivo pulsionale, dato che

utilizza strutture sintattiche frammentate, ripetitive e olofrastiche. Tutto un complesso di sentimenti,

pensieri e desideri viene condensato nell’unica parola “male” (“weh”). La proliferazione dei trattini

e l’uso non convenzionale dei segni di interpunzione segnalano lo sconvolgimento dell’ordine

simbolico e il riaffiorare di contenuti non semantizzabili. Tutto ciò rinvia ad un fenomeno di

irruzione del mondo semiotico-pulsionale al livello della formulazione della frase. Il ministro

Cinabro, regredito alle fasi infantili, in cui il linguaggio condensa emozioni, pensieri e desideri,

esprime in un’unica espressione di dolore ricerca di aiuto e rabbia impotente.

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