Introduzione a una serie di scritti politici di Bruno Leoni, 2008, Liberilibri

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Bruno Leoni Il pensiero politico moderno e contemporaneo Bruno Leoni Il pensiero politico moderno e contemporaneo Euro 22,00 1 Bruno Leoni (1913-1967), allievo di Gioele Solari all’Università di Torino, insegnò Filosofia del diritto e Dottrina dello Stato all’Università di Pavia. Qui fondò e diresse la rivista «Il Politico». Fu presidente della Mont Pèlerin Society, il club fondato da Friederich von Hayek per riunire studiosi di ispirazio- ne liberale di diversi paesi. A lungo dimenticato in Italia, all’estero Leoni è stato un punto di riferimento costante per gli autori impegnati nella costruzione del paradigma dell’analisi economica del diritto. Nel 1995, è stata Liberilibri a tradurre in italiano il capo- lavoro di Bruno Leoni: La libertà e la legge. Presso i nostri tipi, è inoltre disponibile l’antologia Il diritto come pretesa (2004). Luigi Marco Bassani insegna Storia delle Dottrine politiche e Storia del pensiero politico contemporaneo all’Università di Milano. Fra le sue pubblicazioni: Il pensiero politico di Thomas Jefferson. Libertà, proprietà e autogoverno (2002); Marxismo e liberismo nel pensiero di Enrico Leone (2005). Antonio Masala è assegnista di ricerca presso IMT Alti Studi di Lucca. Il suo campo di studio verte sulla tradizione liberale contemporanea e sulla ridefini- zione della filosofia politica dei nostri tempi. È autore de Il liberalismo di Bruno Leoni (2003). La notorietà di Bruno Leoni è legata soprattutto ai suoi lavori di filosofia del diritto e teoria politica, ma egli fu anche un profondo conoscitore della storia del pensiero politico. Il pensiero politico moderno e contem- poraneo raccoglie per la prima volta tutti i suoi saggi storici – alcuni dei quali inediti o difficilmente reperibili. Essi comprendono, oltre ad un profilo del pensiero politico dell’Ottocento e del Novecento, interventi su tradizioni di pensiero diverse quali il socialismo, la democrazia e il liberalismo italiano del Novecento. Questo libro rappresenta una testimo- nianza preziosa: racconta il dialogo di un grande esponente del liberalismo classico novecentesco, con le dottrine che hanno segnato il corso del secolo breve.

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Bruno

Leoni

Ilpensieropolitico

moderno

econtem

poraneo

Bruno Leoni

Il pensiero politico modernoe contemporaneo

Euro 22,00

1

Bruno Leoni (1913-1967), allievo diGioele Solari all’Università di Torino,insegnò Filosofia del diritto e Dottrinadello Stato all’Università di Pavia. Quifondò e diresse la rivista «Il Politico».Fu presidente della Mont Pèlerin Society,il club fondato da Friederich vonHayek per riunire studiosi di ispirazio-ne liberale di diversi paesi.A lungo dimenticato in Italia, all’esteroLeoni è stato un punto di riferimentocostante per gli autori impegnati nellacostruzione del paradigma dell’analisieconomica del diritto. Nel 1995, è stataLiberilibri a tradurre in italiano il capo-lavoro di Bruno Leoni: La libertà e lalegge. Presso i nostri tipi, è inoltredisponibile l’antologia Il diritto comepretesa (2004).

Luigi Marco Bassani insegna Storia delleDottrine politiche e Storia del pensieropolitico contemporaneo all’Universitàdi Milano. Fra le sue pubblicazioni: Il pensiero politico di Thomas Jefferson.Libertà, proprietà e autogoverno (2002);Marxismo e liberismo nel pensiero diEnrico Leone (2005).

Antonio Masala è assegnista di ricercapresso IMT Alti Studi di Lucca. Il suocampo di studio verte sulla tradizioneliberale contemporanea e sulla ridefini-zione della filosofia politica dei nostritempi. È autore de Il liberalismo diBruno Leoni (2003).

La notorietà di Bruno Leoni è legatasoprattutto ai suoi lavori di filosofia deldiritto e teoria politica, ma egli fu ancheun profondo conoscitore della storiadel pensiero politico.Il pensiero politico moderno e contem-poraneo raccoglie per la prima volta tuttii suoi saggi storici – alcuni dei qualiinediti o difficilmente reperibili. Essicomprendono, oltre ad un profilo delpensiero politico dell’Ottocento e delNovecento, interventi su tradizioni dipensiero diverse quali il socialismo, lademocrazia e il liberalismo italiano delNovecento.Questo libro rappresenta una testimo-nianza preziosa: racconta il dialogo diun grande esponente del liberalismoclassico novecentesco, con le dottrineche hanno segnato il corso del secolobreve.

Hic sunt leones

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Titoli originali dei saggi

Democracy, Socialism and the Rule of LawTraduzione di Antonio Masala

La polémica “liberista” contemporánea en los Estados Unidos de AmericaTraduzione di Serena Sileoni

Per gentile concessione di Silvana e Didi Leoni© 2008 Liberilibri di AMA srl - Macerata

ISBN 978-88-95481-30-2

La collana “Hic sunt leones” è realizzata con gli auspicî e la partecipazione

dell’Istituto Bruno Leoni di Torino

Bruno Leoni

Il pensiero politico modernoe contemporaneo

A cura di Antonio Masala

Introduzione di Luigi Marco Bassani

Nota dell’editore

Con il presente volume nasce la nuova collana “Hic sunt leones”:formula che gli antichi geografi adottavano per indicare il confinetra il noto e l’ignoto, l’inesplorato. Oltre quella linea, l’uomo occi-dentale era costretto a confrontarsi con qualcosa che per lui era a untempo possibile e misterioso, al punto da sfidare ogni certezza con-solidata.La collana punta a richiamare l’attenzione, lungo percorsi diversi enon sempre del tutto coerenti, su temi e questioni di teoria politicache spesso vengono ignorati a causa del trionfo di dogmi, i qualitendono a celebrare le istituzioni del presente e di fatto contestanoche qualcosa, al di là delle colonne d’Ercole, ci sia davvero. In par-ticolare, in questa serie di volumi s’intende dare ospitalità ad alcunetra le migliori eresie del pensiero liberale e libertario, sottolineandocome la statualità estenuata del nostro tempo non rappresenti la“fine della storia”. Ci sono state civiltà prima dello Stato moderno,e probabilmente ce ne saranno anche dopo.Nell’aspirazione a realizzare un autentico affrancamento da dominîe costrizioni c’è d’altro canto qualcosa in cui ogni uomo può rico-noscersi. È la libertà che s’incontra quando si cammina in una terraincognita. Perché per vivere con realismo e moderazione nel nostro tempo èbene non escludere dall’orizzonte la possibilità e la realtà di quel-l’oltre.

Indice

Prefazione di Antonio Masala XIII

Introduzione di Luigi Marco Bassani XXIX

Il pensiero politico moderno e contemporaneo

parte primaStoria del pensiero politico dell’Ottocento e del Novecento

1 I due individualismi 52 Il pensiero politico e sociale dell’Ottocento

e del Novecento 13

parte secondaIl comunismo: teoria e pratica

1 Centralizzazione e limitazione delle libertà personali 213

2 Il “Capitale” di Carlo Marx, cent’anni dopo 257

parte terzaIl liberalismo italiano: Croce ed Einaudi

1 Benedetto Croce pensatore politico 289

2 Luigi Einaudi e la scienza del governo 3053 Conversazione su Einaudi e Croce 337

parte quartaDemocrazia, socialismo e libertà

1 La polemica “liberista” contemporaneanegli Stati Uniti d’America 377

2 A proposito di una recente analisi della “libertà” 411

3 Democrazia, socialismo e rule of law 421

Indice dei nomi 429

Secondo Pierre Manent il liberalismo «costituisce la cor-rente primaria e più importante e, per così dire, il bassocontinuo della politica moderna, europea e dell’interoOccidente da circa tre secoli»,1 eppure nel nostro paese – che certo in Occidente è saldamente collocato – nonsono certo molti gli scritti di storia del pensiero politicocaratterizzati da una forte impronta liberale classica. E,considerando la storia intellettuale italiana dell’ultimosecolo, ci si stupirebbe del contrario.

I saggi di Bruno Leoni (1913-1967),2 che sono qui pro-posti all’attenzione di studenti e studiosi, rappresentanouna felice eccezione. Professore di filosofia del diritto nel-l’ateneo pavese, Leoni è noto in tutto il mondo per unvolume del 1961, Freedom and the Law, fondato sull’ideache vi sia una connessione molto forte tra il diritto codi-ficato (le leggi votate dai parlamenti) e la pianificazioneeconomica. Contro questa degenerazione illiberale deldiritto, lo studioso torinese prospettava una riscopertadell’antica common law inglese, ritenuta ben più rispet-tosa dei diritti individuali e maggiormente compatibilecon una società di mercato.

E tuttavia Leoni non è stato solo un eminente filosofodel diritto: egli ha prodotto nel corso del tempo anche

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Introduzione

una serie di analisi sul potere, sull’economia e sulla storiadelle idee politiche e sociali contemporanee. Questi suoisaggi, vecchi, ma non invecchiati, sono stati raccolti peroffrire una prospettiva sul pensiero politico contempora-neo diversa da quelle usuali. Mentre per lo più i manualiconsiderano lo Stato la sintesi politica suprema e la demo-crazia rappresentativa il dover essere e il paradigma diogni elaborazione dottrinaria, in questo volume non dirado il lettore si imbatterà in riflessioni e affermazioni incontrasto con la dogmatica politica corrente, tanto aigiorni nostri quanto a quelli di svariati decenni or sono,ossia nel periodo in cui l’autore li scrisse.

Leoni è un pensatore della libertà intesa come libertàdallo Stato. Nella polarizzazione fra Stato e mercato – ilvero filo conduttore dell’analisi di questo geniale studioso,la cui orma comincia a farsi sempre più visibile anche inItalia ad oltre quarant’anni dalla morte – non sempre, adire il vero forse mai, le decisioni collettive saranno rite-nute più sagge di quelle di milioni di singoli individui cheagiscono liberamente nel mercato. Mauro Barberis segna-la forse l’aspetto cruciale della sua opera quando affermache «l’originalità di Leoni come teorico del diritto e dellapolitica [...] deriva dall’utilizzazione in campo giuridico epolitico dell’analogia con il libero mercato, concepito neitermini della Scuola economica austriaca».3

Le dottrine politiche non vengono qui presentate comeadeguate se esaltano la ricerca dell’unità e dell’omogeneitàfra i cittadini (vale a dire se seguono la inesorabile linea ditendenza dello “Stato moderno”) e manchevoli se invecela contrastano. In poche parole, il punto di vista comuneviene ribaltato: nello sviluppo della storia del pensieropolitico contemporaneo la ricostruzione di tutta la poli-tica attraverso lo Stato e la conseguente restrizione degli

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ambiti di autonomia individuale vengono considerate ilproblema e non la geniale soluzione moderna – oppurel’unica possibile – al dilemma dell’ordine politico.

I saggi qui antologizzati, traduzioni, lavori inediti,scritti di difficile reperibilità, delineano un percorso distoria del pensiero politico occidentale dell’Ottocento edi parte del secolo scorso. Si è ritenuto opportuno presen-tare qui anche il profilo storico preparato da Leoni perl’editore Marzorati quasi sessant’anni fa. Si tratta di linea-menti di storia delle idee politiche e sociali che presentanoautori e correnti, spesso con nomi e terminologia incon-sueti, in modo brillante e secondo un ben preciso orienta-mento di ricerca.

Questo indirizzo è fortemente debitore nei confrontidi uno dei maggiori liberali del Novecento, Friedrich A.von Hayek, e soprattutto del suo saggio, che chiamare in-fluente sarebbe riduttivo, Individualism: True and False,4

uno scritto molto ambizioso nel quale il filosofo ed eco-nomista di Scuola austriaca non soltanto ricostruisce ipresupposti dottrinari dell’intera tradizione liberale, col-locandola perlopiù in ambito culturale anglosassone, male cambia anche il nome in “individualismo”. La visionehayekiana dei “due individualismi”, l’utilizzazione delnuovo termine e in generale le tesi di fondo del saggiohayekiano, vengono fatte proprie da Bruno Leoni, anchese con alcune riserve, nelle pagine che qui riproponiamo.

Il motivo del mutamento di nomen è evidente: il “libe-ralismo” appariva già nel dopoguerra come un problemasemantico. Dichiarato obsoleto da quasi tutte le dottrinepolitiche che hanno accompagnato l’avvento delle societàdi massa (comunismo, fascismo, sindacalismo, socialde-mocrazia), il liberalismo ha dovuto subire attacchi anchenel suo stesso seno. L’Ottocento presentava già una forte

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frattura tra i differenti “liberalismi”: l’uno sempre anco-rato alla filosofia dei diritti naturali dell’individuo, l’altroalla dottrina utilitarista. E tuttavia una cosa accomunava iliberali di quell’epoca: la solida fiducia nel libero mercato.Il secolo successivo ha visto il mutamento radicale anchedi questo fortilizio teorico. Per la mentalità del XIX seco-lo un liberale contrario all’economia di mercato avrebberappresentato una sorta di contraddizione in termini, un“ircocervo” per usare la nota espressione con la quale pareche Benedetto Croce avesse bollato il “socialismo liberale”.5

Eppure, durante il Novecento molti intellettuali ab-bandonarono l’idea che il mercato fosse lo strumentomigliore per soddisfare le esigenze degli individui, e nonpochi di essi lo fecero senza tuttavia risolversi ad ammai-nare la bandiera del liberalismo.

In questo senso una figura paradigmatica appare quelladi John M. Keynes che, seppure abbia sferrato il maggio-re attacco teorico del secolo al capitalismo e alla libertàeconomica, si rifiutò sempre di chiamarsi fuori dalla gran-de famiglia della tradizione liberale. A partire dagli anniTrenta, nella convinzione di “salvaguardare” la tradizioneliberale, Keynes diffondeva la credenza intellettuale e po-polare dell’impossibilità per il capitalismo di produrre alivelli ottimali: senza il correttivo della spesa pubblica (del-la quale “più ce n’è, meglio è”) il sistema economico sa-rebbe soggetto a crisi cicliche di sottoproduzione e sotto-consumo. Il mercato appariva quindi la radice di tutti iproblemi: non produceva un livello “sufficiente” di spesaper la sanità, per lo sviluppo tecnologico, per l’istruzionee così via.

Keynes fornì una patente non solo “moderata” e razio-nale, ma anche “liberale”, all’interventismo governativonella libera economia e allo “Stato sociale”. In sostanza,

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istituzioni politiche liberali e dirigismo economico nonsolo erano in grado, ma dovevano convivere.

E tuttavia, al di là delle conclamate preferenze politichepersonali, Keynes nutriva alcune certezze riguardo allasua teoria economica: si trattava di un sistema dottrinaleche meglio si adattava a società totalitarie. La franca eorgogliosa confessione si trova nella prefazione all’edi-zione tedesca (datata 7 settembre 1936) del suo capolavoroThe General Theory of Employment, Interest and Money.

«La teoria della produzione aggregata», afferma Keynes,«ossia ciò di cui tratta questo volume, può più facilmenteessere adattata alle condizioni di uno Stato totalitario [einestotalen Staates] piuttosto [...] che in condizioni di liberaconcorrenza e con un ampio grado di laissez-faire.»6

Più recentemente, il maggiore scienziato italiano dellapolitica, Giovanni Sartori, si è sforzato di negare al libe-ralismo, rettamente inteso, qualsiasi preferenza per unsistema economico. Se a tratti qualcuno ha pensato di ac-costare liberalismo e capitalismo ciò sarebbe dovuto sem-plicemente a un nefasto accidente storico: «Disgrazia havoluto [... che] la trasformazione industriale dell’Occi-dente [sia] partita sotto gli auspicî della libera concorrenza,del “lasciar fare” e del vangelo liberistico della Scuola diManchester.» E Sartori si profonde in un esercizio di fan-tastoria: «Sfortuna? Sì, proprio sfortuna. Perché se il “li-beralismo” fosse stato inventato, mettiamo, un secoloprima nessuno gli avrebbe potuto attribuire le colpe eco-nomiche che non ha, e nessuno avrebbe potuto pasticciare– come a tutt’oggi si pasticcia – il liberalismo politico conil liberismo economico.» A suo avviso, allora, il liberali-smo «non è certo l’economia di mercato. È, invece, la teo-ria e la prassi della libertà individuale, della protezionegiuridica e dello Stato costituzionale».7

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Ma questa posizione, come si vede sempre riaffiorante,che afferma la piena compatibilità fra un’economia dicomando e le istituzioni liberali, non è quella di BrunoLeoni. Per quest’ultimo il liberalismo deve intendersicome resistenza della società civile di fronte al dilatarsi delpotere e all’imporsi della sovranità statale. E uno dei prin-cipali mezzi di libera espressione della società civile è pro-prio il mercato capitalistico.

Il mercato non appare certo a Leoni come una sempliceappendice dell’organizzazione politica. Se la scienza so-ciale del suo tempo si arrovellava nel tentativo di trovareun’alternativa possibile ed “equa” al sistema di mercato,senza con ciò distruggere alcune libertà fondamentali,Leoni rifletteva al contrario su come preservare capitali-smo e libertà individuali di fronte all’avanzata ipertroficadello Stato.

La ricostruzione di storia del pensiero proposta daLeoni risente, come accennavamo, dell’influenza hayekianasul tema dei due individualismi, quello razionalista franco-continentale (da rigettare) e quello anglosassone (da acco-gliere).

«L’individualismo vero», afferma Hayek, «trova gli inizidel suo sviluppo moderno in John Locke [...] in BernardMandeville e David Hume, ed ha raggiunto la sua formacompiuta nell’opera di Josiah Tucker, Adam Ferguson eAdam Smith e [...] Edmund Burke [...] Nel XIX secolol’individualismo vero è rappresentato nella maniera piùesemplare nell’opera dei due più grandi storici e filosofidella politica vissuti in quell’epoca: Alexis de Tocquevillee lord Acton.»8

Ma è parimenti interessante la lista dei cattivi (coloro iquali sarebbero invece sotto la nefasta influenza del“razionalismo cartesiano” e vanno propriamente conside-

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rati una delle “fonti del socialismo moderno”) che subitodopo propone Hayek: «Gli Enciclopedisti, Rousseau e iFisiocratici», seguiti da Henry de Saint-Simon.9

L’individualismo “vero” non oppone individuo a so-cietà, ma è piuttosto «un tentativo di capire le forze chedeterminano la vita sociale dell’uomo».10 In sostanza, lavera alternativa è fra «l’ordine che troviamo nelle coseumane [inteso] come risultato imprevisto di azioni indivi-duali» e la visione secondo la quale «ogni ordine» sarebbeil frutto di un «deliberato progetto», quest’ultimo mar-chio di fabbrica della «Scuola cartesiana».11 In sostanza,esisterebbe un liberalismo/individualismo continentale dinatura razionalista, frutto del disegno umano, “costrutti-vista”, e uno empirista, essenzialmente britannico, chesviluppa le proprie dottrine sociali in accordo con l’ordi-ne spontaneo e naturale della società. Per presentarlo inaltri termini, secondo Hayek, il vizio di alcune correntipseudo-liberali sarebbe quello di voler reinventare la so-cietà, mentre il pregio della tradizione britannica consi-sterebbe nel considerare la società un dato.

Dario Antiseri sottolinea l’ancoraggio dello scrittohayekiano alla tradizione dell’individualismo metodolo-gico, secondo la quale «solo gli individui pensano, ragio-nano, agiscono», e collega questa ricostruzione alla visio-ne scientifica dell’autore de The Constitution of Liberty:«L’analisi delle conseguenze inintenzionali delle azioniumane intenzionali costituisce lo specifico, unico ed esclu-sivo compito delle scienze sociali.»12 E tuttavia la tesi deidue individualismi presenta tratti di rigido schematismoche oggi ci appaiono superati.

Se dovessimo ricercare l’impronta del progresso, comeci insegna Hayek, nel successo di una tradizione di pen-siero, o di una istituzione sociale, selezionata attraverso

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la storia umana, ben difficilmente costruiremmo un lim-pido atto di accusa nei confronti delle istituzioni illiberali(in primis l’ordine meno spontaneo che si possa immagi-nare, quello dello Stato moderno così come si è cristalliz-zato nel corso della sua plurisecolare evoluzione).13

«Il problema dell’analisi di Hayek», afferma NormanBarry, «è che l’evoluzione sociale non culmina necessaria-mente nel liberalismo classico che a lui sta così chiara-mente a cuore: vi sono molte istituzioni illiberali che sonosopravvissute [...] E tuttavia se siamo intellettualmentelegati alla tradizione, e se la nostra “ragione” è uno strumen-to troppo fragile per raccomandare soluzioni alternative,come possiamo valutare criticamente l’ordine anti-indivi-dualista e statalista della società che appare un prodottodell’evoluzione al pari di qualunque altra struttura?»14

Il rischio delle categorie hayekiane è quello di spingercida una celebrazione dell’“ordine spontaneo” e dei suoipensatori, alla asserzione di spontaneità dell’ordine, il chesi tradurrebbe in una sorta di hegeliana glorificazione del-l’esistente.

Ma al di là di ogni possibile rilievo critico, ciò cheoccorre vedere in questa sede è l’effettiva consistenza chela tesi di Hayek ha per Bruno Leoni. Vale a dire, fino a chepunto lo studioso italiano resti fedele nella sua ricostru-zione dottrinaria a una dicotomia che egli pur esplicita-mente adotta.

A prima vista, la risposta sembrerebbe del tutto positiva:qui «l’ombra di Hayek», per usare la felice espressione diLottieri,15 sembrerebbe avvolgerlo interamente: «L’indivi-dualismo razionalistico», sostiene l’autore de Freedom andthe Law, «considera l’individuo ragionante come puntodi partenza della società e delle istituzioni, concepite qualicreazioni consapevoli di uno o di molti individui delibe-

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ranti», tanto che il primato spetta alla «ragione individua-le umana, che organizza la società secondo un piano deli-berato» (pp. 8-9).

Ma già nella trattazione di von Humboldt emergono al-cune differenze. Mentre per Hayek questi era, con Goethe,un precursore di quel «culto dell’individualità distinta ediversa» che «è frequentemente rappresentato, con unacerta dose di verità, come una delle cause per cui i tede-schi non sono mai riusciti a sviluppare istituzioni poli-tiche libere»,16 Leoni si discosta dall’economista viennesequando sostiene che «Wilhelm von Humboldt [...] affer-ma nel modo più netto il principio fondamentale dell’in-dividualismo di tipo anglosassone: che lo Stato non sia unfine in se stesso, ma soltanto uno dei molti mezzi coi qualipossono essere raggiunti gli scopi dell’umanità, conside-rata come insieme di individui» (p. 54).

E anche le figure maggiori dell’utilitarismo – quei «se-guaci di Bentham» che ad avviso di Hayek «caddero sem-pre di più sotto l’influenza di un individualismo» raziona-listico di stampo continentale17 – sono presentate da Leoniin maniera assai più mossa e problematica, come perso-naggi di confine e di difficile incasellamento in una seccaalternativa fra individualismo “vero” e “falso”.

«La grande corrente dei cosiddetti Utilitaristi inglesiinclude rappresentanti dell’individualismo del tipo anglo-sassone spesso fortemente influenzati dall’individualismodi tipo francese. Pertanto gli Utilitaristi possono venirericompresi nella categoria generica degli individualisti,sebbene non sia sempre facile stabilire con quale tipo diindividualisti ognuno di essi può venire precisamenteidentificato» (p.56).

Se l’ambiguità si rinviene proprio nel fondatore dellaScuola, Leoni sottolinea però che «il radicalismo di Bentham

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[...] si muove per lo più nell’ambito dell’individualismo ditipo anglosassone» (p. 65).

Per quanto riguarda Adam Smith, uno dei campionidel vero individualismo hayekiano, Leoni rimarca al con-trario l’esistenza di «una stretta affinità, dovuta allacomune origine filosofica, tra le dottrine smithiane e deglieconomisti classici da un lato, e l’utilitarismo di tipo ben-thamiano e il cosiddetto radicalismo filosofico» (p. 78).

Rispetto ad Hayek, Leoni rivaluta enormemente l’ap-porto francese alla storia del liberalismo. Per quest’ultimonon è il solo Tocqueville a salvarsi, ma tutta la «Scuolafrancese [...] nella prima metà del secolo XIX», a partire daBastiat, alla quale si deve «la critica aggressiva e dissolven-te del concetto di Stato, inteso come l’entità astratta,impersonale e irresponsabile, che nella Francia della Ri-voluzione e di Napoleone aveva ereditato tutti i poteridella monarchia assoluta» (p. 86).

Anzi, secondo Leoni, «è abbastanza evidente l’apparte-nenza degli economisti classici francesi (per certi rispettiin misura anche maggiore che non in taluni degli econo-misti della Scuola inglese) a quella corrente di pensiero cheabbiamo chiamato individualismo di tipo anglosassone»(p. 87). Non si deve al riguardo dimenticare che Hayek, inun lavoro successivo, giunse addirittura a decretare l’«as-senza totale di una vera tradizione liberale in Francia»,18

proposizione che perfino i più ferventi hayekiani credoavrebbero difficoltà a sottoscrivere.

In definitiva, mi sembra che si possa affermare cheLeoni, pur adottandone la tesi di fondo, “addomestichi”Hayek, rendendo assai meno schematiche le frontieredelle categorie sull’individualismo e in minor grado geo-graficamente connotate il che, almeno a parer mio, lerende anche più “digeribili”. La tradizione politica conti-

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nentale, proprio come quella anglosassone, nella ricostru-zione leoniana presenta una, cento, mille eccezioni, finoad essere di manica larga.

I differenti accenti fra i due studiosi sono d’altra partefrutto di una prospettiva politica non perfettamente con-vergente. Mentre l’interesse preminente del filosofo deldiritto italiano è per i critici della democrazia, dello Statomoderno e dei suoi miti, e in questo egli coglie l’essenzadel “vero” liberalismo, l’economista viennese non mette-rà mai in discussione la maggiore appetibilità di un ordi-namento di tipo statuale (che produrrebbe, per sua stessanatura, “certezza”) rispetto a qualunque altra forma diorganizzazione delle convivenze. Così critico nei con-fronti della più gran parte delle elaborazioni dottrinarie aldi là della Manica, Hayek si dimostra assai meno sospet-toso rispetto alle costruzioni istituzionali del Continente,fino a considerare Rechtsstaat, État de droit, Stato didiritto varianti non involutive del rule of law anglosassone.

Pronto a riconoscere i grandi contributi della tradizio-ne antistatalista continentale nel campo della storia delpensiero politico, Bruno Leoni si dimostra invece assaipiù critico nei confronti delle istituzioni giuridiche conti-nentali: per lui lo “Stato di diritto” non è in alcun modoequiparabile al rule of law. Nella migliore tradizione delliberalismo continentale, da Montesquieu a Constant aTocqueville, Leoni coglie proprio all’interno della storiaistituzionale e giuridica anglo-americana, e segnatamentenella tradizione della common law, i tratti distintivi cheseparano i due Occidenti.

Il pensiero politico italiano è efficacemente rappresentatonegli scritti leoniani su Croce ed Einaudi, incentrati sultema, all’epoca ultraclassico, del rapporto fra liberismo e

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liberalismo. Si tratta di un’analisi chiara nella quale Leonidifende le ragioni della libertà e del mercato sia contro letesi del filosofo napoletano che, talvolta, contro quelle del-l’economista piemontese. Ben rispettoso del «suo esem-pio e [del] suo impulso morale», Leoni, al di là di una fi-nanco eccessiva bonomia nei confronti del filosofo, nonpuò fare a meno di dissentire da Benedetto Croce su di unpunto cruciale. «Il problema della libertà», egli afferma,appare «come una determinata libertà degli individui,ossia come loro indipendenza dalla coercizione degli altriindividui, e il problema di tale indipendenza pone – eoipso – il problema della libertà del mercato, che è poi – odovrebbe essere – l’indipendenza degli individui dallacoercizione altrui in materia di produzione e di consumo»(p. 301). Leoni era infatti assai contrario al tentativo cro-ciano e di tanti altri prima e dopo di lui di «espungere illiberismo dal liberalismo come ideologia politica partico-lare» (p. 302).

Animato da un rispetto parimenti profondo per l’uomoe per lo studioso, certo apprezzando «il liberalismo einau-diano, che si concretizza [...] soprattutto al plurale, in unaserie di classificazioni ed elencazioni del significato deltermine libertà e nella rispettiva indicazione di come que-ste libertà possono attuarsi nella realtà»,19 Leoni non può,talvolta, non essere pungente anche nei confronti di LuigiEinaudi. Come è noto, quest’ultimo era convinto dellabontà di un certo tipo di intrusioni pubbliche nella liberaeconomia e della iattura rappresentata invece da altrischemi interventistici. L’unico intervento che egli consi-derava accettabile era quello “liberista”, il quale però nonavrebbe dovuto spingersi oltre un certo “punto critico”.Tale punto critico appare a Leoni piuttosto evanescente:per Einaudi «si deve cercare attraverso una serie di tenta-

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tivi, quasi che, effettivamente, con i tentativi si possa cer-care qualche cosa che non è definibile» (pp. 350-351).

All’economista piemontese, tuttavia, Leoni riconoscela correttezza di molte posizioni, fra le quali spiccanoalcune anticipazioni fondamentali in tema di monopolî esoprattutto la fondamentale distinzione fra “monopolîlegali” e “monopolî volontari”.20 Come è noto, secondoLeoni, l’unico monopolio illegittimo è quello legale, ossiasostenuto dalla coercizione statale, mentre egli «difende lalegittimità dei monopolî economici che emergono sponta-neamente dalle scelte di produttori e consumatori, avver-sando ogni legislazione che [...] ponga ostacoli alle intera-zioni volontarie dei proprietari».21

Ma non meno importante è il saggio, inedito, su Centra-lizzazione e limitazione delle libertà personali, scaturitodall’invito a tenere una lezione nell’ambito di un corso sulmarxismo-leninismo promosso dal CESES nel biennio1966-1967. Il tema che Leoni qui poneva era per i tempi ei luoghi assolutamente nuovo. Mentre gli altri studiosi – marxisti e/o critici del comunismo sovietico – si inter-rogavano su questioni classiche, dal materialismo dialetticoal revisionismo, al ruolo di Mao nella storia del comu-nismo, Leoni affermava che «accentramento economico eaccentramento politico [...] sono logicamente [...] connes-si» (p. 214). Egli segnalava, con un occhio al presunto“mondo libero”, che «un processo di accentramento deipoteri politici [...] tende a determinare un sistema di cen-tralizzazione economica» (p.214). E in effetti, come sinota subito, egli parla a nuora perché suocera intenda. Sela storia della Russia sovietica non presenta soluzioni dicontinuità rispetto a quella zarista sotto il profilo dellacentralizzazione, ciò ha indotto qualcuno ad illudersi«che la centralizzazione economica, se praticata in società

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storiche diverse e tradizionalmente più favorevoli di quellarussa alle libertà civili, avrebbe potuto, o potrebbe, assu-mere forme politicamente liberali» (p.215).

In sostanza, è chiaro che Leoni ha in mente soprattuttoAntonio Gramsci e i suoi seguaci, la sua polemica si rivolgecontro l’illusione che ha «condotto a vagheggiare sul pia-no politico una centralizzazione “democratica”, nella qualela separazione dei poteri e le libertà civili potrebbero [...]coesistere con la centralizzazione delle scelte economichesecondo un piano delle autorità» (p. 215). Così facendoegli non attaccava il comunismo sovietico, operazionetroppo semplice per uno studioso profondo, ma, dimo-strando l’intima coerenza del sistema comunista e ponen-do al cuore dell’intero organismo la centralizzazione siaeconomica sia politica come due facce della stessa meda-glia, egli avvertiva i marxisti nostrani che il “pacchetto”era unico, ed era realizzato comme il faut proprio nellapatria del socialismo realizzato. Al contempo, natural-mente, si trattava di un programma dal quale le libertàpersonali erano bandite al pari di ogni possibilità del cal-colo economico. In questo senso, il saggio mi sembra cheavvalori le conclusioni a cui era giunto Antonio Masalaper quanto riguarda il liberalismo di Bruno Leoni: «Lasua critica del binomio legislazione-pianificazione sembrainvestire, più che il socialismo, lo Stato interventistademocratico, il quale, dal punto di vista teorico, si presen-ta ai suoi occhi più come una gradazione del totalitarismoche una vera alternativa ad esso.»22 Se il comunismo – dot-trine, realizzazioni, utopie – è ben presente nel panoramaintellettuale di Leoni, ciò che a lui sta veramente a cuoreè il nostro mondo occidentale: una terra di confine, né deltutto assoggettata, né pienamente libera, nella quale sisarebbero decise le sorti della libertà politica ed economica.

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Come critico di Marx, nelle riflessioni sul Capitale acento anni dalla sua pubblicazione, scritto un anno primadell’annus mirabilis di Marx nel mondo, Leoni si mostralibero e irriguardoso come ogni studioso dovrebbe esserenei confronti di qualunque icona. A suo avviso, «i concettifondamentali [del Capitale] appaiono viziati da una se-mantica incerta; ma è soprattutto l’esperienza del mondoeconomico concreto, di quel mondo che noi concepiamooggi come fatto non già di “atomi” o di “cristalli” o di“tessuti cellulari” o di altre simili materie e metafore mar-xiane, ma di valutazioni, di giudizi, di scelte continue diuomini vivi [...] l’esperienza di questo mondo umano, cosìreale e vario e complesso, che appare irrimediabilmenteignorata nel discorso di Marx» (p. 261).

E qui soccorre una definizione di uno dei suoi pochi allie-vi diretti: nel 1980, nel periodo di eclissi della sua opera,Mario Stoppino aveva parlato a proposito di Leoni di«individualismo integrale».23 Dal punto di vista del sog-getto di riferimento della sua elaborazione, ricordavaStoppino, «i semplici e comuni individui occupano il cen-tro dell’orientamento intellettuale di Leoni, non soltantoin senso metodologico e in senso etico, ma anche comeingredienti essenziali e quasi esclusivi di ogni teoria e in-terpretazione».24 Un teorico del libero mercato, dunque,che ha posto al centro della propria riflessione i milioni disingoli individui che ogni giorno partecipano a questa isti-tuzione. Chiaro allora che la sua prospettiva intellettuale,prima ancora delle sue scelte politiche, gli rendesse indi-geribile l’autore del Capitale, perché «l’esperienza di que-sto mondo umano, così reale e vario e complesso, [...] appareirrimediabilmente ignorata nel discorso di Marx» (p. 261).

Leoni si rivelava profeta di lungo periodo quando

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dichiarava l’obsolescenza senza appello del più famosotesto del filosofo-economista di Treviri: «Opere econo-miche, se pur scritte in tempo più antico, appaiono [...]assai più vive, oggi, di questa di Marx, non solo nello stile,ma nell’approccio, non solo nel metodo, ma nella comu-ne umanità» (p. 262).

La critica serrata della teoria marxiana del valore-lavoro,esercizio non certo nuovo, ma che Leoni porta a terminein modo elegante e preciso, costituisce la parte centrale delsaggio. Contrariamente alla voga italiana dell’epoca che loreputava “solo” un sommo filosofo, Leoni prende invecesul serio Marx come economista. Indica alcuni errori me-todologici, discute l’irrisolto problema della trasforma-zione dei valori in prezzi, ma soprattutto mette in lucecome la ben nota reticenza marxiana a discutere dellafutura società comunista non derivasse soltanto dalla suapaura di passare per utopista. Ignorando la vera funzionedello scambio nell’economia capitalistica (che, com’è noto,per Marx si risolveva nella produzione di merci attraversoil comando del capitale sul lavoro salariato) egli non potevaneanche porsi i problemi cruciali di un’economia socialista.

«Chi e come avrebbe [...] stabilito», nella nuova econo-mia, «in modo soddisfacente per ognuno degli ex opera-tori, quanto convenisse loro di produrre, e quanto di con-sumare? E sulla base di quali procedimenti le decisionirelative sarebbero state attuate in modo da evitare disper-sioni e distruzioni di beni? [...] Queste domande nelladottrina marxiana non hanno ottenuto alcuna risposta,per la semplice ragione che esse non si presentarono pro-babilmente mai alla mente dell’autore del Capitale. Cosìaccadde che questo libro non offrisse, né potesse offrire,alcuna teoria del calcolo economico in un’economia co-munista, ossia non offrisse né potesse offrire alcuna al-

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ternativa seria al cosiddetto sistema capitalistico del qualepur proclamava la pretesa “ingiustizia” e profetava la spa-rizione» (p. 282).

In conclusione, se per tutte le tradizioni politiche la rico-struzione della propria mappa intellettuale, l’incasella-mento dei pensatori di riferimento, il dibattito sulle lorograndezze relative, il ripensamento critico dei contributipiù rilevanti sono essenziali al fine di impostare corretta-mente le battaglie politiche del presente, data l’opacitàsemantica e le torsioni concettuali alle quali il termine“liberalismo” è sottoposto da molto tempo, uno dei modipiù sicuri per comprendere il tipo di liberalismo sposatoda un pensatore è proprio quello di vedere come egli stes-so ricostruisce la “grande tradizione”.

Allora, in queste pagine si potranno trovare strumentianalitici di studio su tradizioni politiche, discussioni teo-riche e pratiche sulla libertà, ma allo stesso tempo essesaranno assai utili agli studiosi del pensiero di BrunoLeoni. Giacché, in fondo, si tratta della documentazionepiù esaustiva di un problema che appare cruciale per ognipensatore: la ricostruzione della propria scuola di pen-siero. Se il tema della natura del liberalismo/individuali-smo appare già ben delineato in tanti scritti di Leoni – e larisposta è veramente univoca: esso coincide con l’auto-affermazione della società e degli individui nei confrontidello Stato – qui si possono trovare le linee essenziali peruna perimetrazione storica di tale tradizione.

Non credo sia un abbaglio causato dalla mia professionedi storico del pensiero politico a farmi ritenere questo untassello cruciale per comprendere fino in fondo il libera-lismo di Bruno Leoni.

Luigi Marco Bassani

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1 P. Manent, Histoire intellectuelle du liberalisme: dix leçons,Calmann-Lévy, Paris 1987, p. 7.

2 Su B. Leoni cfr.: P. H. Aranson, Bruno Leoni in Retrospect,in «Harvard Journal in Law & Public Policy», XI, 3, 1988; E.Baglioni, L’individuo e lo scambio. Teoria ed etica dell’ordinespontaneo nell’individualismo di Bruno Leoni, ESI, Napoli2004; M. Barberis, Diritto e legislazione. Rileggendo Leoni, in«Rivista internazionale di filosofia del diritto», LXXIII, 2, 1996;M. Barberis, introduzione a B. Leoni, Il diritto come pretesa,a cura di A. Masala, Liberilibri, Macerata 2004; N. Bobbio,Bruno Leoni di fronte a Weber e a Kelsen, in «Il Politico»,XLVII, 1, 1982; R. Cubeddu, Friedrich A. von Hayek e BrunoLeoni, in «Il Politico», LXVII, 3, 1992; R. Cubeddu, Il liberali-smo di Bruno Leoni, introduzione a B. Leoni, La libertà e lalegge (1961), Liberilibri, Macerata 1995; A. Febbrajo, Diritto edeconomia nel pensiero di Bruno Leoni, in «Sociologia del di-ritto», 1-2, 1990; A. Febbrajo, postfazione a B. Leoni, Il dirittocome pretesa, cit.; F. A. von Hayek, Bruno Leoni lo studioso, in«Il Politico», 1, 1968; C. Lottieri, Le ragioni del diritto. Libertàindividuale e ordine giuridico nel pensiero di Bruno Leoni,Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; A. Masala, Il liberalismo diBruno Leoni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003; S. Menocci,L’antiformalismo di Bruno Leoni nei suoi rapporti con le corren-ti del realismo giuridico, DiGips, Siena 2003; M. Stoppino, Lagrande dicotomia diritto privato-diritto pubblico e il pensiero diBruno Leoni, in «Il Politico», 1, 1982; M. Stoppino, Potere epotere politico nel pensiero di Bruno Leoni, in «Quaderni discienza politica», VII, 1, 2000.

3 M. Barberis, introduzione a B. Leoni, Il diritto come pretesa,cit., pp. XXIV-XXV. Se ben apprezzabile è la contestualizzazio-ne nell’ambito della filosofia del diritto dell’analisi leoniana,risulta invece difficile comprendere cosa intenda uno studiosodel calibro di Barberis quando afferma, nella medesima intro-duzione: «Nello “Stato” di Leoni [...] fatti salvi pochi beni (nondiritti) fondamentali, quali vita e famiglia – qualsiasi sopraffa-zione è autorizzata, purché resti individuale, non coinvolgadecisioni collettive» (p. XXXIII).

4 In F. A. von Hayek, Individualism and Economic Order, Uni-versity of Chicago Press, Chicago 1948, pp. 1-32 (la conferenza

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dalla quale il saggio scaturisce è del 1945), trad. it. di A. M.Cossiga, Individualismo: quello vero e quello falso, con prefa-zione di D. Antiseri, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997. Ingenerale, sui rapporti fra Leoni e Hayek, cfr. C. Lottieri, Leragioni del diritto, cit., pp. 13-50. In queste meditate pagine,Lottieri mette ben in evidenza la distanza teorica che separaHayek, convinto campione dello Stato di diritto e della certez-za della norma come argine all’arbitrio, rispetto al policentri-smo giuridico di Bruno Leoni e sfata il mito di un Leoni haye-kiano per mostrare che l’incontro teorico fra i due studiosi eamici avvenne semmai attraverso una parziale ricezione delletesi leoniane da parte dell’economista viennese.

5 Cfr. F. Fantoni, L’ircocervo possibile. Liberalismo e socialismoda “Critica Sociale” ai “Quaderni di giustizia e libertà”, Angeli,Milano 2003, pp. 15-17 e 109-110.

6 Cfr. B. Schefold, The General Theory for a Totalitarian State?A Note on Keynes’s Preface to the German Edition of 1936, in«Cambridge Journal of Economics», IV, 2, 1980, pp. 175-176.

7 G. Sartori, Democrazia. Cosa è, Rizzoli, Milano 1993, pp. 197-198.8 F. A. von Hayek, Individualismo: quello vero e quello falso, cit.,

pp. 42-43.9 Ibid., p. 43 e p. 69. È stato correttamente notato che i soli Fisio-

cratici sono tipicamente considerati parte della tradizione libe-rale; né gli enciclopedisti, né Rousseau, né tantomeno Saint-Simon sono invece inclusi in tale tradizione. Cfr. R. Raico, Les libéraux français du 19ème siècle: une oeuvre injustementoubliée, <www.euro92.com/new/article.php3?id_article=620>.

10 Ibid., p. 45.11 Ibid., p. 48. 12 D. Antiseri, prefazione all’edizione italiana di F. A. von Hayek,

Individualismo: quello vero e quello falso, cit., pp. 9, 14.13 Studiare lo Stato come una sorta di ordine spontaneo, un “pro-

cesso a mano invisibile” che si è sedimentato nel corso della sto-ria dell’Occidente, sarebbe un esercizio impossibile prima chefallace. Gianfranco Miglio affermava che «non è esagerato con-siderare l’idea astratta e “personalizzata” dello “Stato” come il ca-polavoro del pensiero politico occidentale, e, ad un tempo, la piùsofisticata delle “finzioni” dietro cui, da sempre, gli uomini checompongono la classe politica sono costretti a celarsi» (G. Miglio,

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Genesi e trasformazioni del termine-concetto “Stato” [1981], inLe regolarità della politica, Giuffrè, Milano 1988, vol. II, p. 825).La migliore storiografia sullo Stato non ha dubbi in proposito:lo Stato è un’invenzione, non una scoperta; cfr., fra gli altri, TheFormation of National States in Western Europe, a cura di C.Tilly, Princeton University Press, Princeton 1975; G. Poggi, LoStato. Natura, sviluppo e prospettive (1991), Il Mulino, Bologna1992; P. Schiera, Lo Stato moderno. Origini e degenerazioni,CLUEB, Bologna 2004; Lo Stato moderno in Europa. Istituzionie diritto (2002), a cura di M. Fioravanti Laterza, Roma-Bari 2004.

14 N. Barry, The Tradition of Spontaneous Order, in «Literatureof Liberty», 5, 1982, p. 46.

15 Cfr. C. Lottieri, Le ragioni del diritto, cit., p. 13. 16 F. A. von Hayek, Individualismo: quello vero e quello falso, cit.,

p. 72. Egli aggiunge: «Siffatto tipo di “individualismo” non solonon ha niente a che fare con il vero individualismo, ma può anzidimostrarsi un grave ostacolo al funzionamento tranquillo diun sistema individualistico» (p. 73).

17 Ibid., p. 43.18 F. A. von Hayek, The Constitution of Liberty, University of

Chicago Press, Chicago 1960, p. 431, n. 1. Di quest’opera esisteuna recente e accurata traduzione italiana, promossa da Lo-renzo Infantino: La società libera, con prefazione di L. Infan-tino e scritti di S. Ricossa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007.

19 A. Masala, Il liberalismo di Bruno Leoni, cit., p. 112. 20 La questione dei monopolî nella teoria economica fu affrontata

da Leoni ben più diffusamente che in questo volume in Mito erealtà dei monopoli, in «Il Politico», 4, 1965; ora in La sovranitàdel consumatore, prefazione di S. Ricossa, Ideazione, Roma1997, pp. 129-165.

21 C. Lottieri, Le ragioni del diritto, cit., p. 45.22 A. Masala, Il liberalismo di Bruno Leoni, cit., p. 240. 23 Cfr. M. Stoppino, L’individualismo integrale di Bruno Leoni, in

B. Leoni, Scritti di scienza politica e teoria del diritto, Giuffrè,Milano 1980, pp. VII-XLIX.

24 M. Stoppino, introduzione a B. Leoni, Le pretese e i poteri: leradici individuali del diritto e della politica, Società Aperta,Milano 1997, p. XIX.

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Bruno

Leoni

Ilpensieropolitico

moderno

econtem

poraneo

Bruno Leoni

Il pensiero politico modernoe contemporaneo

Euro 22,00

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Bruno Leoni (1913-1967), allievo diGioele Solari all’Università di Torino,insegnò Filosofia del diritto e Dottrinadello Stato all’Università di Pavia. Quifondò e diresse la rivista «Il Politico».Fu presidente della Mont Pèlerin Society,il club fondato da Friederich vonHayek per riunire studiosi di ispirazio-ne liberale di diversi paesi.A lungo dimenticato in Italia, all’esteroLeoni è stato un punto di riferimentocostante per gli autori impegnati nellacostruzione del paradigma dell’analisieconomica del diritto. Nel 1995, è stataLiberilibri a tradurre in italiano il capo-lavoro di Bruno Leoni: La libertà e lalegge. Presso i nostri tipi, è inoltredisponibile l’antologia Il diritto comepretesa (2004).

Luigi Marco Bassani insegna Storia delleDottrine politiche e Storia del pensieropolitico contemporaneo all’Universitàdi Milano. Fra le sue pubblicazioni: Il pensiero politico di Thomas Jefferson.Libertà, proprietà e autogoverno (2002);Marxismo e liberismo nel pensiero diEnrico Leone (2005).

Antonio Masala è assegnista di ricercapresso IMT Alti Studi di Lucca. Il suocampo di studio verte sulla tradizioneliberale contemporanea e sulla ridefini-zione della filosofia politica dei nostritempi. È autore de Il liberalismo diBruno Leoni (2003).

La notorietà di Bruno Leoni è legatasoprattutto ai suoi lavori di filosofia deldiritto e teoria politica, ma egli fu ancheun profondo conoscitore della storiadel pensiero politico.Il pensiero politico moderno e contem-poraneo raccoglie per la prima volta tuttii suoi saggi storici – alcuni dei qualiinediti o difficilmente reperibili. Essicomprendono, oltre ad un profilo delpensiero politico dell’Ottocento e delNovecento, interventi su tradizioni dipensiero diverse quali il socialismo, lademocrazia e il liberalismo italiano delNovecento.Questo libro rappresenta una testimo-nianza preziosa: racconta il dialogo diun grande esponente del liberalismoclassico novecentesco, con le dottrineche hanno segnato il corso del secolobreve.