IL PARADIGMA SOCIO COGNITIVO E L'IPNOSI

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IL PARADIGMA SOCIO COGNITIVO E L’IPNOSI Di Raffaele Tuccillo Il paradigma socio cognitivo ha avuto vasta risonanza in tutti gli ambiti della psicologia, inclusa l’ipnosi, a partire dagli anni 60 del secolo scorso. Scopo di questo capitolo è identificare i cambiamenti nella pratica e nella teoria dell’ipnosi dagli anni ’60 ad oggi e i punti di contatto e gli scambi reciproci tra l’ipnosi e altri ambiti della psicologia, come la psicologia sociale e la psicologia di personalità grazie al nuovo approccio socio cognitivo. Prima di incominciare è giusto però accennare brevemente agli sviluppi dell’approccio socio cognitivo nel corso degli anni e identificarne i temi propri che saranno importanti anche nella ricerca sull’ipnosi. La social cognition, orientamento concettuale che ha prevalso nell’ambito della psicologia sociale dagli anni ’60, ha portato all’introduzione di concetti fondamentali per questa materia. Il concetto di schema, introdotto da Bartlett nel 1932, che è stato largamente utilizzato nell’ambito socio cognitivo, è definito come filtro organizzatore e guida dell’esperienza e ha come obiettivo l’esemplificazione della grande mole di informazioni che arrivano alla coscienza per far si che il soggetto possa fare una scelta (Amerio 1995). Lo schema quindi è fondamentale perchè da un lato indica cosa dobbiamo attenderci in una determinata situazione e dall’altro fornisce delle regole e degli attributi per pensare allo stimolo le quali ci facilitano la comprensione di esso anche se l’informazione relativa allo stimolo è indisponibile o ambigua (Tesser 1988). Esistono schemi di persona che si riferiscono a prototipi di persone, schemi di ruoli che si riferiscono a ruoli professionali o sociali e schemi di eventi come gli

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IL PARADIGMA SOCIO COGNITIVO E L’IPNOSI

Di Raffaele Tuccillo

Il paradigma socio cognitivo ha avuto vasta risonanza in tutti gli ambiti della

psicologia, inclusa l’ipnosi, a partire dagli anni 60 del secolo scorso. Scopo di questo

capitolo è identificare i cambiamenti nella pratica e nella teoria dell’ipnosi dagli anni

’60 ad oggi e i punti di contatto e gli scambi reciproci tra l’ipnosi e altri ambiti della

psicologia, come la psicologia sociale e la psicologia di personalità grazie al nuovo

approccio socio cognitivo.

Prima di incominciare è giusto però accennare brevemente agli sviluppi

dell’approccio socio cognitivo nel corso degli anni e identificarne i temi propri che

saranno importanti anche nella ricerca sull’ipnosi.

La social cognition, orientamento concettuale che ha prevalso nell’ambito della

psicologia sociale dagli anni ’60, ha portato all’introduzione di concetti fondamentali

per questa materia. Il concetto di schema, introdotto da Bartlett nel 1932, che è stato

largamente utilizzato nell’ambito socio cognitivo, è definito come filtro organizzatore

e guida dell’esperienza e ha come obiettivo l’esemplificazione della grande mole di

informazioni che arrivano alla coscienza per far si che il soggetto possa fare una

scelta (Amerio 1995). Lo schema quindi è fondamentale perchè da un lato indica cosa

dobbiamo attenderci in una determinata situazione e dall’altro fornisce delle regole e

degli attributi per pensare allo stimolo le quali ci facilitano la comprensione di esso

anche se l’informazione relativa allo stimolo è indisponibile o ambigua (Tesser

1988). Esistono schemi di persona che si riferiscono a prototipi di persone, schemi di

ruoli che si riferiscono a ruoli professionali o sociali e schemi di eventi come gli

script. Il concetto di script (copione), introdotto da Abelson nel 1976, si riferisce ad

una sequenza di eventi attesi da un individuo nei quali agisce come partecipante o

come osservatore; gli script di solito sono modalità di comportamento che

riguardano situazioni specifiche, tipico esempio è lo schema del ristorante.

Altro concetto fondamentale è quello dell’euristica di Tversky e Kahneman

(1973)cioè la regola per formulare un giudizio in maniera rapida ed efficiente, sono

stati individuati svariati tipi di euristiche: euristica della disponibilità, della

rappresentatività e dell’ancoraggio o accomodamento. Dallo studio di queste

caratteristiche del pensiero sociale delle persone è nata l’idea dell’individuo come

cognitive miser cioè economizzatore di risorse cognitive, il soggetto è visto come un

risparmiatore di energia che utilizza scorciatoie mentali ogni volta che può. In realtà

il profilo del cognitive miser è uscito fuori grazie a esperimenti di laboratorio spesso

artificiosi e che staccano i soggetti da riferimenti contestuali, quest’idea è stata

criticata da coloro che seguono l’ottica ecologica inaugurata da Gibson e che

pongono maggiormente l’accento sulle motivazioni e sugli scopi. Osservato da

questo punto di vista il comportamento dell’individuo non è da risparmiatore ma da

motivated tactician cioè tattico motivato. Le persone infatti si comportano come

“pensatori sociali flessibili che quando la posta in gioco è insignificante, possono

mostrare «avarizia», nel senso che si affidano a quelle scorciatoie mentali che

garantiscono il minimo indispensabile; quando però affrontano decisioni più

importanti, adottano strategie diverse, più efficaci” (Aronson, Wilson, Akert, 1997,

97).

Nell’ambito della psicologia di personalità assume molto valore il concetto di Sè.

Iniziamo col dire che gli studi sui tratti o disposizioni personali cedono il passo agli

studi sull’individuo inserito all’interno di un tessuto sociale, ci si rende conto infatti

che il comportamento delle persone risulta molto più variabile a seconda dei contesti

piuttosto che stabile come era stato evidenziato dalle ricerche sulla personalità avulsa

dal contesto (Cervone e Williams, 1992). L’obiettivo non è più quello di individuare

dei tipi comuni di personalità con delle caratteristiche e dei comportamenti uguali in

ogni situazione, ma quello di studiare le competenze, le prestazioni, gli obiettivi e gli

standard degli individui in relazione con il contesto sociale, col loro ambiente di vita,

e individuarne le influenze reciproche.

Fondamentali sono i contributi di Markus e Nurius (1986) sui sé possibili cioè le idee

che ogni persona ha su quello che può diventare, vuole diventare e ha paura di

diventare, sono in sostanza gli obiettivi, gli scopi, le minacce che colorano l’esistenza

di una persona e orientano le sue scelte e i suoi comportamenti. Altro contributo

fondamentale è quello di Rosenberg (1985) che parla delle identità sociali multiple,

cioè i vari sé che un individuo ha e che sono connessi con le posizioni e i ruoli che

gioca nella vita; come ricorda lo stesso Rosenberg però “le identità personali possono

consistere anche di insiemi di caratteristiche e di messe in atto non associate a

particolari posizioni sociali” (Rosenberg e Gara, 1985, 88).

Altri importanti concetti sono quelli introdotti da Carver (1981/2003) delle self-

regulation e da Bandura della self-efficacy (1977). Il primo concetto che può essere

definito in italiano autoregolazione o autocontrollo si riferisce alla capacità

dell’individuo di esercitare autocontrollo su funzioni, stati e processi interni e quindi

portare il sé in linea con gli standard prefissati (Baumeister e Vohs, 2004). Le

emozioni sono un tramite fondamentale per capire quanto il comportamento emesso è

discrepante rispetto a ciò che l’individuo si era anteriormente prefissato. Il concetto

della self-efficacy o auto efficacia invece si riferisce alla capacità di un individuo di

emettere giudizi specifici sulla propria capacità di gestire particolari eventi. I giudizi

di auto efficacia sono emessi grazie a quattro fonti di informazioni: il risultato

positivo di una prestazione, le esperienze vicarie (l’osservazione dei risultati di altre

persone o modelli), la persuasione verbale e l’attività fisiologica.

Theodore Roy Sarbin

Gulotta (Gulotta 1980) nel suo esauriente manuale italiano di ipnosi, citando a sua

volta J. P. Sutcliffe e rifacendosi a una distinzione da tempo esistente nell’ambito

dell’ipnosi, definisce due approcci a questa materia diametralmente opposti, il primo

Credulo o che potremmo chiamare anche dello Stato, come lo definiremo in seguito

nel capitolo, il secondo Scettico o del Non stato. Il primo approccio vede come

fondamento dell’ipnosi lo stato di trance e ritiene che la testimonianza del soggetto

circa il proprio stato ipnotico sia veritiera e incontrovertibile. L’ipnosi è quindi uno

stato alterato di coscienza, i fenomeni che si evidenziano sono propri di questo stato e

si verificano come abbiamo già detto grazie alla trance. L’approccio opposto, cioè

quello definito Scettico o del Non stato, mette innanzi tutto in discussione il concetto

di trance e afferma che i fenomeni che si manifestano durante l’ipnosi sono

evidenziabili anche in soggetti non ipnotizzati. L’ipnosi non è uno stato alterato di

coscienza ma uno stato normale. Del secondo approccio fanno parte tutti quegli

studiosi dell’ipnosi che si sono ispirati nelle proprie ricerche al paradigma socio

cognitivo.

Theodore Sarbin è stato uno dei primi esponenti della teoria del Non stato. Gli

studiosi che intendono l’ipnosi come uno stato alterato di coscienza giustificano il

proprio punto di vista citando i test fenomenologici e cioè le risposte dei soggetti

ipnotizzati a suggestioni test, i comportamenti quindi suggeriti al soggetto

dall’ipnotizzatore come: rigidità muscolare, analgesia, allucinazione visiva e uditiva,

regressione di età, sordità o cecità ai colori, amnesia, risposte post-ipnotiche. Le

suggestioni test sono state standardizzate e raccolte nei cosiddetti test di profondità

ipnotica come: Stanford Hypnotic Susceptibility Scale (SHSS; Weitzenhoffer e

Hilgard, 1959, 1962); Harvard Group Scale of Hypnotic Susceptibility (HGSHS;

Shor e Orne, 1962); Barber Suggestibility Scale (BSS; Barber, 1969); Hypnotic

Induction Profile (HIP; Spiegel e Spiegel, 1978), solo per citare i più famosi.

Sarbin afferma che i test fenomenologici che hanno l’obiettivo di stabilire

l’effettività e la validità della trance falliscono e incappano in un ragionamento

circolare e tautologico (Sarbin e Coe, 1972), infatti vengono assunti sia come causa

dello stato ipnotico, sia come evidenza di esso, cioè come prova dell’effettiva

presenza di uno stato alterato di coscienza in ipnosi.

“Dobbiamo essere sensibili al contesto sociale e culturale all’interno del quale

facciamo le nostre osservazioni” (Sarbin e Slagle, 1979, 275) è il monito che

evidenzia l’apertura dell’ipnosi al paradigma socio cognitivo, e che mette in risalto

quanto importante sia per lo sviluppo di una teoria scientifica e quindi anche per

l’ipnosi l’uso delle metafore o di modelli presi in prestito da altre discipline. Se

all’inizio dell’ipnosi venivano presi a prestito metafore desunte dalla fisica

(magnetismo) e dalla geologia (profondità ipnotica), in seguito si è fatto uso

massiccio di metafore e di termini (allucinazioni, cataplessia, amnesia, dissociazione,

paralisi, ecc.) provenienti dalla psicopatologia. Mentre questi termini stavano a

significare stati psicopatologici gravi nell’ambito della psichiatria, nell’ipnosi stanno

invece a significare lo stato di trance. Con Freud poi diviene importante il paragone

tra disturbi neuropatologici dovuti a cause funzionali e disturbi psicogenici dovute a

cause psichiche come l’isteria. Proprio all’isteria viene accostata l’ipnosi da Charcot;

diventa però difficile distinguere coloro che fingono o simulano la malattia da coloro

che realmente ne soffrono, la questione viene risolta dai post-Charcotiani

domandandosi se la finzione sia cosciente o inconscia. Come per la psicogenesi

dell’isteria anche nell’ipnosi l’amnesia è importante solo che mentre nella prima è

spontanea nella seconda, l’amnesia post ipnotica, è indotta. Tutte queste similitudini e

scambi di termini da un contesto all’altro se da un lato servivano per spiegare meglio

i fenomeni a volte incomprensibili che si osservavano, dall’altro hanno fatto si che le

metafore fossero prese alla lettera divenendo dei falsi miti. Sarbin quindi tenta di

scevrare il campo da questi miti proponendo nuove metafore come cita il titolo di un

suo importante articolo (Sarbin e Coe, 1972).

Il concetto di ruolo diviene fondamentale, l’individuo infatti ha un copione da seguire

e il copione non dipende solo dal contesto ma il soggetto prende il ruolo di persona

ipnotizzata con i limiti imposti dalle sue aspettative, dai compiti che si è imposto e da

ciò che la situazione richiede, tenendo conto dell’importanza delle richieste e delle

aspettative delle persone presenti (Sarbine e Slagle, 1979). Mentre afferma che le

alterazioni fisiologiche quindi non sono specifiche della trance ipnotica, sottolinea

che i processi simbolici possono produrre cambiamenti nei processi biologici (Sarbin

e Coe, 1972). Il gioco di ruolo è la variabile indipendente. Il partecipare a qualsiasi

ruolo può essere concettualizzato in termini di maggiore o minore intensità ed è unito

a differenti livelli di dispendio di energia dell’organismo. Si può dire quindi che certi

cambiamenti fisiologici sono associati a certi gradi di coinvolgimento dell’organismo

in un ruolo particolare. Descrive quindi 8 livelli di coinvolgimento dell’organismo

nei diversi ruoli, da un nullo coinvolgimento nel primo livello, ad un coinvolgimento

“meccanico” in azioni che incomincia a divenire, con un aumento della tensione e

del ritmo della respirazione nel terzo livello, un vero e proprio coinvolgimento nel

quarto livello; si osserva qui il classico comportamento che prima veniva definito

sonnambolico, il soggetto è definito profondamente ipnotizzato. Il quinto è il livello

che raggiungono i soggetti con nevrosi istrionica o con reazioni di conversione,

l’intensità di partecipazione al ruolo è maggiore di quella presente in ipnosi, si

osserva il comportamento “come se”. Dal sesto fino all’ultimo livello si ha

sospensione delle azioni volontarie come si evidenzia in situazioni di conversione

religiosa, stati mistici, possessione. Le performance psicofisiologiche presenti in

questi livelli non possono essere mantenute a lungo senza danneggiare l’organismo è

anche presente un fallimento dei meccanismi di equilibrio; esempio caratteristico

degli ultimi livelli sono i casi di morte a causa del voodoo descritti da Cannon.

Theodore Xenophon Barber

E’ considerato, dagli studiosi che si occupano di ipnosi, il maggiore esponente della

teoria Scettica o del Non stato. Barber ha dato una forte spinta all’approccio del Non

stato con numerosi studi che a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo sono stati

non solo illuminanti per le scoperte fatte ma hanno anche segnato, agli studiosi

dell’ipnosi, la strada da percorrere. Nel 1969 esce un suo famoso libro, forse

decisamente il più famoso e cioè “Ipnosi: un approccio scientifico”; in quest’opera

sistematica e illuminante confuta le ragioni che sostengono il punto di vista

dell’ipnosi come stato alterato di coscienza, affermando che: 1) “i presupposti dello

stato ipnotico sono coinvolti in un ragionamento circolare” (concetto come abbiamo

visto sostenuto anche da Sarbin) ; 2) “le formulazioni teoriche imperniate sui concetti

di ipnosi o di trance ipnotica mancano di soddisfare i criteri essenziali per una teoria

scientifica utile” (Barber, 1972, corsivo dell’autore), non potendo essere né

confermate né respinte.

Barber arriva ad affermare tutto ciò analizzando come lo stato ipnotico sia dedotto,

dagli studiosi che intendono l’ipnosi come uno stato alterato di coscienza, in base a:

1) risposte dei soggetti ipnotizzati a suggestioni test (l’abbiamo già visto in Sarbin)

2) aspetto ipnotico cioè modificazioni nel portamento e nei movimenti come

rilassamento, mancata spontaneità, sguardo di trance, rallentamento psicomotorio;

3) relazioni di esperienze non comuni cioè resoconti da parte di soggetti che sono

stati ipnotizzati di provare esperienze insolite come sensazione di cambiamento delle

dimensioni del corpo o senso di irrealtà;

4) testimonianza di essere stato ipnotizzato cioè il fatto che i soggetti riferiscano,

dopo la fine della loro esperienza, di essere entrati in uno stato ipnotico.

Questi quattro tipi di comportamenti dei soggetti in ipnosi sono utilizzati dagli

studiosi che accettano la teoria dello Stato, sia come variabili dipendenti, cioè come

causa dello stato ipnotico, sia come evidenza di esso, cioè come prova dell’effettiva

presenza di uno stato alterato di coscienza in ipnosi; Barber quindi come Sarbin

descrive la teoria dello Stato come essenzialmente circolare. L’affermazione circa

l’ascientificità della teoria dello Stato alterato è invece dovuta al fatto che gli studiosi

pongono come causa del comportamento ipnotico lo stato di trance stesso, che se non

si ricorresse a spiegazioni circolari come quelle precedenti, dovrebbe essere preso per

buono senza che si abbia alcuna possibilità di verificarlo.

Barber intende quindi definire con esattezza quelle che sono le variabili dipendenti,

che devono essere spiegate, le variabili indipendenti che sono antecedenti alle prime

e le possibili relazioni funzionali tra di esse cioè tra variabili dipendenti e

indipendenti. Prese come buone le variabili dipendenti prima elencate, definisce una

lista di possibili variabili indipendenti che hanno relazioni con le prime e che sono:

1) variabili procedurali cioè istruzioni e suggestioni che a loro volta si dividono in:

a) variabili procedurali nel procedimento di induzione ipnotica:

- definire la situazione come ipnosi

- istruzioni motivanti

- suggestioni di rilassamento, sonnolenza e sonno

- affermazione che è facile rispondere alle suggestioni

b) altre variabili procedurali:

- parole specifiche delle suggestioni

- tono di voce in cui sono presentate le suggestioni

- metodo di presentazione delle suggestioni (viva voce, nastro registrato, ecc..)

- parole delle domande usate per provocare la testimonianza di essere stati ipnotizzati

2) variabili del soggetto come: caratteristiche di personalità, motivazioni,

atteggiamenti e aspettative riguardanti l’ipnosi o la situazione sperimentale in

generale

3) variabili dello sperimentatore come: le sue caratteristiche di personalità, il

prestigio, le motivazioni, gli atteggiamenti e le aspettative

4) variabili che riguardano l’interazione tra soggetto e sperimentatore.

Dall’interazione quindi delle variabili indipendenti sopra elencate con le variabili

dipendenti o conseguenti nascono una lista di 70 “generalizzazioni empiriche” con le

quali, nel suo libro “Ipnosi: un approccio scientifico”, Barber tenta di fornire una

base solida e sperimentale alla teoria dell’ipnosi come stato non alterato di coscienza.

Per meglio comprendere che cosa è il procedimento ipnotico lo scinde in quattro

componenti fondamentali che prese separatamente hanno tutte quante efficacia

nell’aumentare la riposta a suggestioni test e queste sono: definizione della situazione

come ipnosi, suggestioni di rilassamento, istruzioni a collaborare ed a tentare “ ascolti

attentamente ciò che le dico … Tutto ciò che le chiedo è la sua collaborazione, il suo

interesse” (Barber, 1972), dichiarazione che è facile rispondere alle suggestioni

“Chiunque abbia tentato, è riuscito in questi test … può facilmente immaginare e

realizzare le cose interessanti che le dirò” (ibid.). Queste sono le variabili

indipendenti chiamate variabili procedurali della situazione ipnotica elencate in

precedenza.

Innanzi tutto è importante dire che soggetti a cui vengono somministrati i test di

profondità ipnotica senza nessun tipo di procedimento di induzione e senza nemmeno

definire la situazione come ipnosi, “a livello basale” come si dice, manifestano già un

buon livello di risposta: nella serie di esperimenti condotti da Barber e Calverly

(Barber e Calverly, 1962, 1963, 1963) con la scala di suggestionabilità ipnotica BSS i

soggetti a livello basale superarono tre delle otto suggestioni test, nello studio di

Hilgard e Tart (Hilgard e Tart, 1966) con la scala di suggestionabilità ipnotica

Stanford i soggetti superarono tre delle dieci suggestioni test.

Dai dati sperimentali che Barber fornisce si attesta poi che i comportamenti ipnotici

esibiti dai soggetti sono dovuti in parte alla definizione della situazione. Si hanno

maggiori punteggi infatti in risposta a suggestioni test quando la situazione viene

definita test di immaginazione piuttosto che quando viene definita negativamente test

di credulità, e ancora si hanno punteggi più elevati quando ai soggetti si dice che

stanno partecipando a una ipnosi piuttosto che quando si dice loro che stanno

partecipando ad un esperimento con test di immaginazione.

I soggetti che partecipano a sedute di ipnosi si sono formati un’idea di cosa sia

l’ipnosi e sono consapevoli di ciò che significa essere ipnotizzati, si trovano quindi in

una situazione in cui ci si aspetta che collaborino e ci si aspetta che rispondano a

suggestioni tipo quelle presenti nei test di profondità ipnotica. Altra consapevolezza

dei soggetti è quella che suggestioni di rilassamento e di sonno inducono ipnosi,

quindi queste suggestioni informano il soggetto che il procedimento che si sta

utilizzando può essere un’ipnosi e che ci si aspetta da loro la massima partecipazione

e collaborazione come detto in precedenza.

Infine le istruzioni motivanti al compito e le dichiarazioni che è facile rispondere alle

suggestioni, impartite ai soggetti, risultano aumentare la responsività a molte

suggestioni test, a suggestioni che hanno come obiettivo ridurre la reattività al dolore,

a quelle che tendono ad aumentare le capacità di apprendimento, a quelle che

tendono a produrre allucinazioni e sogni e a quelle che hanno come obiettivo di

indurre amnesia.

Per quanto riguarda la seconda serie di variabili indipendenti definite come altre

variabili procedurali, Barber dimostra che suggestioni dirette di per sé stesse bastano

a volte per provocare la risposta dei soggetti alle suggestioni test, così come

producono o riducono in individui allergici una risposta allergica, provocano in

individui miopi un miglioramento dell’acutezza visiva o un aumento o riduzione del

ritmo cardiaco in soggetti normali. Osserva per giunta che le parole esatte delle

suggestioni ma anche il tono di voce hanno una loro importanza. Le suggestioni di

amnesia infatti hanno un effetto differente se date con tono di voce permissivo

“cerchi di dimenticare” o perentorio “lei non ricorderà” , un tono di voce fermo poi

produce un livello superiore di responsività rispetto ad un tono di voce indifferente,

in questo secondo caso infatti il soggetto potrebbe pensare che allo sperimentatore

non importa che il soggetto accetti la suggestione. E’ abbastanza indifferente poi,

almeno a livello sperimentale , se le suggestioni vengono presentate personalmente

dall’ipnotista-sperimentatore o se vengono presentate in modo relativamente

impersonale attraverso per esempio un nastro registrato, in entrambi i casi infatti si ha

una percentuale di risposte alle suggestioni test (alla scala BSS) uguale.

Infine le parole e il tono dell’interrogatorio sono fondamentali per sollecitare nei

soggetti la testimonianza di aver provato esperienze insolite, di essersi sentiti

ipnotizzati e di non essere stati capaci di resistere alle suggestioni. Una variazione di

esse può indurre una variazione nei resoconti dei soggetti che sono stati ipnotizzati, il

soggetto infatti secondo Barber; a) “è acquiescente a quanto è implicito nelle

domande dello sperimentatore” b) trovando le sue esperienze complesse e ambigue

non sa come definirle e “ per conseguenza è disposto ad accettare, per classificare le

sue esperienze, le categorie che gli sono state implicitamente offerte dalle specifiche

parole delle domande dello sperimentatore” (Barber, 1972).

Passiamo adesso ad analizzare l’influenza che per Barber esercitano le ultime due

variabili indipendenti, cioè la variabile soggetto e quella ipnotista.

Le attitudini positive sono descritte da Barber et al. (Barber, Spanos e Chaves, 1980)

come: acquisizione durante il corso della vita del concetto che essere ipnotizzato e

rispondere alle suggestioni è stimolante, utile e degno di considerazione; le

motivazioni positive rappresentano il desiderio di essere ipnotizzato o di provare le

esperienze suggerite, le aspettative positive in fine rappresentano la convinzione,

sempre da parte del soggetto, di poter essere ipnotizzato e provare le esperienze

suggerite.

Come è stato evidenziato anche da Hilgard et al. (Melie e Hilgard, 1964), le

attitudini, le motivazioni e le aspettative nei confronti dell’ipnosi sono fondamentali

per capire se un soggetto eseguirà i comportamenti suggeriti dall’ipnotista e se

riferirà una volta finita l’ipnosi di aver provato esperienze insolite e di essersi sentito

ipnotizzato. Indurre attitudini positive nei confronti dell’ipnosi infatti, come dimostra

Barber, produce un miglioramento in questi domini, mentre l’induzione di attitudini

negative produce un netto peggioramento. Già White (White, 1941) evidenziava

l’importanza della manipolazione delle motivazioni per produrre un una risposta

migliore in individui inizialmente poco motivati alla situazione ipnotica, Spanos

Barber e Chaves identificano quindi un programma di eliminazione delle aspettative

negative e di rinforzo di motivazioni e aspettative positive. Tale programma si

compone anche di manovre conoscitive e cioè di modalità quanto più dettagliate

possibili per descrivere la suggestione che il soggetto deve provare e di riduzione

delle indicazioni incoerenti con l’effetto suggerito. Le indicazioni incoerenti

rappresentano “sollecitazioni in contraddizione con il reale effetto che la suggestione

sta cercando di provocare” (Barber, Spanos e Chaves, 1980).

L’ultima variabile indipendente da considerare è quella che riguarda l’ipnotista. Al di

là delle caratteristiche personali che sembrano poco interessanti, fatta eccezione per

la fama e il prestigio che ha l’ipnotista e il fascino che esercita sul soggetto,

importante è considerare le sue proprie aspettative e quindi le variazioni che può

inconsciamente apportare nel tono di voce, nella somministrazione delle suggestioni

ecc. al variare di queste.

Barber propone un altro concetto molto interessante e foriero di implicazione

importanti nello studio dell’ipnosi, e cioè se questo fenomeno non è dovuto, come

egli dimostra, a uno stato alterato di coscienza, gli elementi che lo generano cioè le

variabili indipendenti, e le loro conseguenze cioè le variabili dipendenti potrebbero

essere utilizzate per spiegare altri fenomeni psicologici. D’altro canto molte branche

della psicologia, una fra tutte la psicologia sociale, potrebbero interessarsi di questi

aspetti ed esaminarli secondo propri paradigmi.

Eliminando completamente il concetto di trance ipnotica e cercando di apportare una

considerazione più ampia alle capacità di ogni soggetto, Barber mette in pratica un

programma di sviluppo delle potenzialità umane in cui, facendo egli stesso da

modello e poi invitando i soggetti a provare le suggestioni di controllo del dolore,

miglioramento dell’apprendimento, regressione di età e rilassamento, mette in pratica

tutti i punti in cui verte la sua teoria dell’ipnosi. Egli riesce a dimostrare la sua tesi e

cioè ancora una volta che l’ipnosi è uno stato normale di coscienza, che non si

discosta da altri fenomeni psicologici come quelli studiati dalla psicologia sociale e

che risultati simili a quelli indotti in un contesto ipnotico possono essere indotti in un

altro contesto che pur non avendo la stessa connotazione si serve di variabili

indipendenti simili come la motivazione, gli atteggiamenti, le aspettative e l’uso

preciso e consapevole delle suggestioni.

L’ultimo punto da trattare, facendo una disamina degli importanti studi di Barber sul

fenomeno ipnosi, è perfettamente introdotto dall’affermazione: “individui che

rispondono in maniera positiva a suggestioni difficili differiscono da quelli che

rispondono negativamente, in quanto essi tendono ad essere coinvolti in attività che

comprendono l’immaginazione associata ad un «arresto volontario della credulità»”

(Barber, Spanos e Chaves, 1980). Questa frase fa da corollario agli studi sulle

propensioni o insieme di tratti tipici (sembra più giusto parlare in questi termini

infatti più che citare vere e proprie caratteristiche di personalità) correlati con la

maggiore facilità a manifestare fenomeni ipnotici e lasciarsi andare a suggestioni.

Vengono individuati infatti tre tipologie di soggetti Fantasy-prone, Amnesia-prone,

Positively-set person.

Il primo tipo è costituito da soggetti aventi una lunga storia di credenze fantasiose,

memorie personali vivide che si estendono prima dei tre anni, “labilità o plasticità

psicosomatica (mind affecting body) e riportano storie molto enfatizzate di eventi

paranormali” (Barber, Kirsch et al., 1998) come esperienze di premonizione,

impressioni telepatiche, sogni rivelatori, esperienze extra corporee e contatti con

spiriti o fantasmi. Tipicamente da piccoli vivevano in un mondo di fantasia e le loro

immaginazioni vengono descritte come “reali come la realtà”, da adulti continuano ad

avere una vita profondamente influenzata dalle fantasie.

Gli amnesia-prone ,chiamati così perché mostrano amnesia spontanea per gli eventi

ipnotici (cosa non molto comune), esibiscono tutti una amnesia post ipnotica quando

viene loro suggerita, che spesso persiste anche dopo forti contro-suggestioni di

ricordare l’evento. Sono generalmente amnesici riguardo ai fatti accaduti prima dei 5

anni e il 40% di essi non ricorda nulla prima dei 6/8 anni. Spesso non sono in grado

di rammentare sogni o fantasie e durante la vita è capitato loro di vivere momenti di

“blanck state” periodi simili amnesici, privi di qualsiasi ricordo. C’è una qualche

indicazione che porta gli studiosi a ritenere che molti di questi amnesia-prone hanno

subito abusi fisici o psicologici durante l’età infantile.

L’ultimo tipo, i positively-set person, non permette che pensieri irrilevanti entrino

nella propria mente, ma concentra l’attenzione sulle suggestioni, allo stesso tempo

questi soggetti non sono passivi spettatori di quello che sta accadendo ma cercano il

modo di costruire attivamente l’esperienza che viene loro suggerita. Hanno positive

attitudini circa il concetto di ipnosi, circa la specifica situazione di test e nei confronti

dell’ipnotista, hanno motivazioni positive di fare bene quello che è stato loro

suggerito e aspettative positive riguardo al fatto che saranno ipnotizzati con successo

e che proveranno le esperienze per le quali vengono suggestionati.

Irving Kirsch

Il punto di vista teorico di Irving Kirsch in tema di ipnosi è fortemente influenzato

dalle ricerche che egli stesso ha condotto sulla teoria dell’aspettativa di risposta e

sull’effetto placebo, due campi della psicologia fortemente interconnessi.

Il primo concetto quello dell’aspettativa di risposta, che si ricollega alle teorie

“dell’azione ragionata” di Fishbein e Ajzen (Ajzen e Fishbein, 1980; Fishbein e

Ajzen, 1975), è definito come: “aspettativa circa le nostre reazioni non volontarie agli

eventi” (Kirsch 1990, 9). Mentre nella teoria dell’azione ragionata il ruolo

dell’intenzione è di produrre delle azioni volontarie, l’aspettativa di risposta invece

concerne la probabilità soggettiva che una riposta sarà stimolata. L’aspettativa di

risposta infine è auto confermante, quando infatti ci aspettiamo con molta

convinzione che qualcosa avvenga, ciò che attendiamo avverrà; questo meccanismo

è stato definito profezia che si autoadempie (Merton, 1948) ed è stato confermato, tra

gli altri, dall’ormai classico studio di Rosethal e Jacobson (Rosenthal e

Jacobson,1968).

L’effetto placebo è l’esempio di aspettativa di risposta più conosciuto e più studiato

e per Kirsch il fulcro stesso della teoria sull’ipnosi ma ancor più della teoria sulla

terapia psicologica. Secondo Kirsch “un placebo può essere definito come un

trattamento o una componente di un trattamento che produce effetti alterando le

aspettative delle persone” (Kirsch, 1990, 43), per questo motivo ci si è chiesti se tutte

le terapie psicologiche basano la loro efficacia sull’effetto placebo. Naturalmente non

è così, ci sono differenze notevoli, circa la validità tra i vari tipi di terapie

psicologiche e queste differenze non sono tutte da ascrivere alle aspettative delle

persone riguardo la bontà della terapia e la possibilità di guarigione. Tuttavia studiare

l’effetto placebo è un modo per capire come modificare le aspettative dei pazienti e

per studiare gli ingredienti di cui è composta una terapia psicologica. Frank nel suo

libro Persuasion and Healing (1973) individua almeno 4 ingredienti specifici di una

terapia:

1) La relazione terapeutica tra un paziente e una terapeuta che è una persona che ha

una certa esperienza e possiede dei mezzi e delle tecniche che possono guarire il

paziente.

2) Il setting nel quale avviene la terapia come: ospedali, cliniche, uffici ecc..

3) La struttura teorica sulla quale è basata la terapia, ci sono infatti differenti teorie

per differenti tipi di terapie

4) I rituali o procedure terapeutiche che sono correlati alla struttura teorica.

Ritornando ai placebo preme dire che non sono tutti ugualmente efficaci ma che

alcuni lo sono più di altri, come evidenziato nello studio di Bäckman, Kalliola e

Östling (1960). Un placebo iniettato alcune volte potrebbe essere più efficace di un

placebo somministrato per via orale, come ad esempio, ritornando al campo della

psicoterapia, tecniche di rilassamento, o di immaginazione potrebbero essere più

efficaci se presentate al paziente come tecniche ipnotiche o viceversa. Infine dati

ricavati da una meta-analisi di Barker, Funk e Houston (1988), che riguarda

solamente gli studi in cui il gruppo di controllo riceve una terapia credibile e

plausibile, che quindi non mina la validità dell’effetto placebo, evidenziano che non

soltanto il placebo ha una sua validità sul 47% delle persone (che quindi guarisce solo

grazie al placebo), ma che questa validità aumenta nel follow-up con il 76% delle

persone che guarisce.

Kirsch definisce l’ipnosi un placebo non ingannevole in quanto, fugare i miti

riguardo alle sue caratteristiche magiche e modificare in questo modo le aspettative

delle persone, tende ad aumentare, piuttosto che diminuire l’efficacia della tecnica.

Ritiene l’ipnosi uno stato normale di coscienza, e appoggia quanto già detto da Hull e

cioè che “differenze tra uno stato normale e ipnotico sono quantitative più che

qualitative. Non c’è nessun fenomeno prodotto in ipnosi che non potrebbe essere

prodotto ad un livello più basso da suggestioni date in una normale condizione di

veglia” (Hull 1933, 39, in Kirsch, 1990).

Kirsch, valutata l’evidenza che le suggestioni da sole, senza essere precedute da

un’induzione ipnotica, bastano a far apparire tutti i fenomeni visibili nell’ipnosi,

aggiunge però che la tecnica ipnotica serve ad aumentare la suggestionabilità.

Distingue tre componenti fondamentali per l’aspettativa di risposta ipnotica:

1) percepire la situazione come ipnosi che determina quando l’aspettativa di risposta

ipnotica verrà emessa. Classico esempio è l’esperimento della commissione reale del

1784, allorquando una commissione di studiosi (tra i membri incaricati c’erano

Baily, Laurent de Jussieu, Frenklin e Lavoisier) si riunì per volere del re di Francia

per esaminare la validità del mesmerismo. Fu dimostrato che l’immaginazione senza

magnetismo produce convulsioni, ma il magnetismo senza immaginazione non

produce nulla. Secondo Kirsch “nessuna procedura specifica è necessaria per elicitare

i fenomeni ipnotici. In questo caso, le induzioni ipnotiche sono simili ai placebo”

(Kirsch, 1990, 148)

2) percezioni di ruolo che determina che tipo di riposte ipnotiche verranno emesse.

Questo tipo di aspettative di ruolo sono state indagate ampiamente, come abbiamo

già visto, da Sarbin e riguardano le credenze delle persone circa il proprio ruolo

durante un’ipnosi, ma riguardano anche i significati e le metafore che si utilizzano

per spiegare i fenomeni ipnotici.

3) auto percezione di ipnotizzabilità, quanto una persona si ritiene suggestionabile

che determina se le risposte ipnotiche avverranno o meno. Le caratteristica di

personalità generalmente associata all’ipnosi come la absorption, la capacità nel

lasciarsi assorbire da attività immaginative, non è direttamente correlata

all’ipnotizzabilità ma alle aspettative di risposta che sono invece fortemente e

direttamente correlate all’ipnotizzabilità così come evidenziato dallo studio di

Council, Kirsch e Hafner (1986). Allo stesso modo le strategie immaginative non

aumentano in maniera diretta l’ipnotizzabilità ma rendono i soggetti più

suggestionabili modificandone le aspettative come dimostrato dallo studio di Kirsch,

Council e Mobayed (1987). Le aspettative delle persone possono essere modificate

in molti modi ma bisogna anche ricordare che l’induzione ipnotica stessa è una

procedura che causa la modifica di tali aspettative.

Vediamo adesso come spiega Kirsch la percezione di involontarietà dei

comportamenti emessi in ipnosi. Come spiegato da Norman e Shallice (Norman e

Shellice, 1986), il comportamento pianificato e non è controllato da schemi sensori

motori organizzati gerarchicamente. In cima a questa gerarchia c’è un sistema di

supervisone attenzionale che seleziona l’azione che deve essere intrapresa. Questo

alto livello gerarchico può essere identificato con la coscienza e l’intenzionalità,

mentre quando è attivata la gerarchia degli schemi comportamentali a meno che non

ci siano complicazioni non è richiesto un alto livello di coscienza e di attenzione,

questo tipo di automatismo rende quindi possibile lo svolgimento di un grande

numero di azioni contemporaneamente. Bisogna anche dire che una volta innescata la

gerarchia, ciascuno dei suoi componenti può anche essere attivato da stimoli

ambientali. Il concetto di implementation intention, azione implementatrice di

Gollwitzer (1993, Kirsch et al., 1999 ) riguarda invece la decisione conscia di mettere

in pratica un atto in specifiche situazioni ambientali, questa intenzione è formata

prima che venga iniziata praticamente l’azione ma al momento stesso della

performance non richiede che intervenga una scelta cosciente, intenzionale o

consapevole. Il comportamento tuttavia è da classificare come intenzionale dal

momento che è diretto ad uno scopo ed è preceduto da una decisione cosciente.

Spesso viene detto che un comportamento è automatico quando è una routine, quando

è stato praticato molte volte in passato e non rappresenta più una novità, tuttavia

possiamo ritrovarci di fronte a comportamenti che “possono essere descritti con

molto difficoltà come routine” (Kirsch et al., 1998, 56) che vengono eseguiti

automaticamente in una maniera molto flessibile. Classico esempio è il linguaggio, ci

troviamo di fronte ad una azione che viene eseguita volontariamente, decidiamo di

parlare e di dare un determinato messaggio, ma molte delle azioni che vengono

intraprese non sono sotto il diretto controllo cosciente e vengono eseguite

automaticamente come i movimenti delle labbra, della lingua e di tutto l’apparato

fonatorio. Quindi la questione da porci è “non quale comportamento è automatico e

quale è volontario ma a che livello una particolare azione è volontaria” (Valacher,

Wegner 1987; Kirsch 1998, 56). Il sistema di supervisione attenzionale, oltre a stare

alla cima della gerarchia di schemi, potrebbe anche variare la sua posizione a seconda

della difficoltà dell’azione intrapresa, delle abilità di colui che la intraprende e

naturalmente degli ostacoli che si incontrano.

Ritornando all’ipnosi bisogna considerare che la valutazione di involontarietà data

dai soggetti sotto ipnosi riguardo alle loro azioni non è un errore ma sicuramente è

una valutazione post facto ed è dovuta al raggiungimento o meno dell’obiettivo

stabilito previamente, nel considerare questo tipo di valutazione non bisogna però

dimenticare ciò che è stato discusso in precedenza ovvero il peso dell’aspettativa di

risposta nell’economia dell’azione stessa. Quindi anche l’esperienza della

involontarietà come altre esperienze fatte in ipnosi è dovuta all’auto conferma di una

aspettativa culturalmente determinata, gli script che contengono al loro interno le

suggestioni informano i partecipanti che le risposte stanno accadendo senza la loro

volontà e ancora questa sensazione di involontarietà e accresciuta dal fatto che gli

stati soggettivi sono spesso ambigui e che il vocabolario riguardante le sensazioni

corporee e le emozioni corporee è imperfetto. Come nota Trope (1986, Kirsch, 1999)

quindi se le sensazioni o i segnali del corpo sono ambigui, il contesto nei quali sono

sentiti può influenzare l’etichetta che viene data e la comprensione del significato.

Nell’ipnosi quindi possiamo osservare che in due modi le risposte sono elicitate

direttamente dalla suggestione: il primo per cui le risposte sono iniziate

automaticamente come parti di un piano di azione premeditato. Questo è dimostrato

dalla correlazione tra responsività e attitudine verso l’ipnosi e dall’influenza del

rapporto ipnotista-ipnotizzato sulle risposte ipnotiche con i vari gradi di compliance

con le istruzioni che precedono le suggestioni come chiudere gli occhi o estendere le

braccia. Il secondo invece ha a che vedere direttamente con l’implementation

intention di Gallowitzer e riguarda il modo in cui le risposte sono stimolate

direttamente dalle suggestioni. Gallowitzer come detto in precedenza dice che

l’azione implementatrice porta a iniziare automaticamente un’azione che era prevista,

quando gli appropriati segnali ambientali sono rilevati. In questo caso quindi durante

l’ipnosi si ha una generale azione implementatrice, per cui anche se non conosciamo

esattamente quello che dovremmo fare ci lasciamo guidare dall’ipnotista, e così le

nostre azioni sono indotte automaticamente dalle suggestioni.

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