Il metodo carolingio. Identità culturale e dibattito teologico nel secolo nono, Turnhout 2008...

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NUTRI X STUDIES IN LATEANTIQUE MEDIEVAL AND RENAISSANCE THOUGHT STUDI SUL PENSIERO TARDOANTICO MEDIEVALE E UMANISTICO Directed by Giulio d’Onofrio 3 Ubi in eam deduxi oculos intuitumque defixi respicio nutricem meam cuius ab adulescentia laribus obversatus fueram Philosophiam BOETHIUS Consolatio Philosophiae, I, 3 Nutrix3.qxd 3-04-2009 9:26 Pagina 3

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NUTRI X

STUDIESIN LATE ANTIQUEMEDIEVAL ANDRENAISSANCE

THOUGHT

STUDISUL PENSIERO

TARDOANTICOMEDIEVALE

E UMANISTICO

Directed by Giulio d’Onofrio

3

Ubi in eam deduxi oculos intuitumque defixi

respicio nutricem meam cuius ab adulescentia

laribus obversatus fueramPhilosophiam

BOETHIUSConsolatio Philosophiae, I, 3

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La realizzazione di questo volume è stata resa possibile da un parziale contributo offerto dal Dipartimento di Latinità e Medioevo

dell’Università degli Studi di Salerno nell’ambito del Progetto di Ricerca ex-60% (esercizio finanziario 2007)

Per la storia del pensiero dell’alto Medioevo occidentale:modelli tradizionali e nuove chiavi di lettura.

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Pierpont Morgan Library, M. 302 (Ramsey Psalter), f. 2v.

Photographic credit:The Pierpont Morgan Library, New York.

D/2008/0095/65

ISBN 978-2-503-52862-5

Printed in the E.U. on acid-free paper

© 2008 Brepols Publishers n.v.,Turnhout, Belgium

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Armando Bisogno

Il metodo carolingioIdentità culturale

e dibattito teologiconel secolo nono

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Rabano Mauro, De universo, XV, 1, De philosophis.Montecassino,Archivio dell’Abbazia, ms. 132, f. 374.

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Parentibus, qui me docuerunt vivere,uxori, quae me docuit amare,

amicis, qui me docuerunt audere ac audire,magistris, qui me docuerunt studere,

alumnis, qui me docuerunt docere.

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CAPITOLO I L’ETÀ CAROLINGIA:NASCITA E SVILUPPO DI UN’IMMAGINE STORIOGRAFICA 13

CAPITOLO II I GRANDI DIBATTITI DEL SECOLO CAROLINGIO (780-860) 41

1. La disputa adozionista 421.1.Origini e fasi della disputa:Migezio,Elipando e Felice,p.42 • 1.2.Ladottrina di Elipando,p.48 • 1.3.Beato contro Elipando,p.51

2. La disputa sulle immagini 602.1.Bisanzio prima dell’iconodulia,p.60 • 2.2. Il secondo concilio di Ni-cea,p.62 • 2.3.L’intervento della Chiesa franca e la composizione dei Li-bri Carolini,p.64

3. Nuove dinamiche del dibattito teologico nell’età di Carlo il Calvo 71

CAPITOLO III LE ‘COLONNE DELLA SAPIENZA’: I PRINCÌPI DI ALCUINO 79

1. L’epistolario 791.1. Lettere agli amici, p. 82 • 1.2. Lettere ai discipuli, p. 87 • 1.3. Lettere airectores,p.93

2. L’esegesi biblica 1013. Le arti liberali 111

3.1. La grammatica, p. 112 • 3.2. La retorica, p. 120 • 3.3. La dialettica,p.126

CAPITOLO IV IL LABORATORIO DEL TEOLOGO:IL METODO ALCUINIANO ALLA PROVA 135

1. Il Liber contra haeresin Felicis 1362. Il Contra Felicem Urgellitanum 142

INDICE DEL VOLUME

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3. L’Adversus Elipandum Toletanum 1624. Il De fide sanctae et individuae Trinitatis 169

CAPITOLO VDAL CONCILIO DI FRANCOFORTE A LUDOVICO IL PIO 177

1. I Libri Carolini 1782. I Dicta 2033. Paolino di Aquileia 2094. La Scrittura e le artes: variazioni su un metodo 217

4.1.Fridugiso di Tours,p.217 • 4.2.Teodulfo di Orléans,p.224 • 4.3.Sma-ragdo di Saint-Mihiel,p.232

5. La razionalità al servizio della dottrina:Agobardo di Lione 2386. La seconda fase della disputa sulle immagini:Claudio,Dungal e Giona 2557. Rabano Mauro 271

CAPITOLO VIL’ETÀ DI CARLO IL CALVO 289

1. Pascasio Radberto di Corbie 2912. Ratramno di Corbie 3013. L’anima e la visione beatifica 3114. Godescalco di Orbais e i suoi avversari 324

4.1. Godescalco e Rabano Mauro, p. 324 • 4.2. Le tesi di Godescalco,p.328 • 4.3.Godescalco e Incmaro di Reims,p.332

CAPITOLO VIILA MATURAZIONE DEL METODO:GIOVANNI SCOTO ERIUGENA 343

1. Il De praedestinatione liber 3442. I limiti della ratio: le critiche di Prudenzio di Troyes 3563. Giovanni Scoto e il neoplatonismo dionisiano 3664. L’Omelia sul Prologo di Giovanni 3695. Il Periphyseon 376

CONCLUSIONE 387

BIBLIOGRAFIA 391

INDICE DEI NOMI 413

INDICE BIBLICO 427

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INDICE DEL VOLUME

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Nella prefazione alla sesta edizione della fortunata Histoire de laPhilosophie Médiévale, Maurice De Wulf ipotizzava che una voltarealizzata una completa ed onnicomprensiva classificazione delleopere ancora inedite o sconosciute, sarebbe emerso con tuttaevidenza un patrimonio dottrinale comune tra le diverse animefilosofiche del Medioevo latino1. A dispetto di questo auspicio,già nell’Introduzione, l’autore dell’Histoire operava però una nettadivisione all’interno dell’evoluzione del pensiero medievale, di-stinguendo tra una speculazione, quella Scolastica, degna di esserdefinita ‘filosofia’, e la restante cultura dell’età di mezzo, inadattao poco interessata ad ogni forma di speculazione. Gli stessi stu-diosi, che dal secolo XV in poi si erano occupati di storia della fi-losofia medievale, venivano nettamente distinti da De Wulf indue insiemi: da un lato, quelli che in modo approssimativo ave-vano giudicato oscura e dunque infruttuosa l’intera cultura filo-sofica medievale; dall’altro, coloro i quali avevano felicementecompreso la necessità di distinguere la Scolastica, età di profon-de contraddizioni ma anche di grandi sistemi speculativi, dallarestante produzione medievale, di gran lunga meno interessanteper la storia delle idee. De Wulf, che per formazione e sensibilitàriteneva essenziale lo studio e la comprensione dei temi dellateologia scolastica, mostrava con tutta evidenza questa predile-zione nelle poche pagine dedicate all’età carolingia ed in parti-

CAPITOLO PRIMO

L’ETÀ CAROLINGIA:NASCITA E SVILUPPO

DI UN’IMMAGINE STORIOGRAFICA

1 Cfr. M. DE WULF, Histoire de la Philosophie Médiévale, Louvain 1934, I, Pre-face, p. VI; tr. it. di V. Miano, Firenze 1944, p. 4.

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colare ad Alcuino di York, Rabano Mauro e Giona d’Orléans; lateologia carolingia, eccezion fatta per Giovanni Scoto, al qualeDe Wulf dedicava una corposa sezione, veniva descritta comeuna cultura intenta alla sola riproposizione di una già consolida-ta sapienza patristica, impegnata nel preservare la tradizione teo-logica cristiana dalla barbarie, ed incapace di produrre specula-zione originale.Anche Étienne Gilson, nella Philosophie au MoyenÂge, che ha rappresentato una tappa essenziale per la compren-sione e la divulgazione nel secolo XX del pensiero medievale,tratteggia la figura di Alcuino lodando l’intelligenza della suaerudizione, ma sottolineando quanto egli non fosse mai riuscitoad elaborare, al di là delle fonti che utilizzava, una speculazioneoriginale; indissolubilmente legato alla figura di Carlo Magno,impegnato a collaborare con la sua azione di recupero e salva-guardia del patrimonio della classicità, Alcuino viene descrittocome rigoroso e inflessibile difensore dell’ortodossia e dell’utilitàdella cultura patristica e greco-romana ai fini di una formazionecristiana, ma non capace di cogliere pienamente e, di conseguen-za, di approfondire gli elementi speculativi presenti nelle tradi-zioni alla quali era così legato2.

Questa immagine di un’età carolingia impegnata nella acriti-ca riproposizione della tradizione classica e patristica non nascenel secolo XX, ma si forma lentamente, a cominciare dalla storio-grafia quattrocentesca, ed impone, a chi voglia analizzare, per de-scriverne le caratteristiche, il metodo utilizzato dai teologi caro-lingi, una riflessione preliminare.

L’analisi dell’identità culturale di un periodo storico da un latomira a verificare l’esistenza di elementi che abbiano permesso,coscientemente o meno, ai protagonisti dell’età oggetto di studiodi sentirsi parte di un unico universo di riferimento; dall’altro,guarda ai risultati che tale età ha prodotto, alla conoscenza che leepoche successive ne hanno avuto ed alla considerazione di cuiha goduto, per capire in che misura essa abbia influenzato la sto-ria del pensiero. In quest’ottica, è indubbio che la prima e piùevidente connotazione del ‘metodo carolingio’ sia cronologica, si

2 Cfr. É. GILSON, La philosophie au Moyen Age, Paris 1922, pp. 191-193 (tr. it.di M.A. del Torre, Firenze 1973, pp. 230-233).

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identifichi cioè con tale espressione l’insieme di competenzepossedute dagli intellettuali che hanno vissuto nell’Europa do-minata da Carlo Magno e dai suoi eredi. Se dunque un ‘metodocarolingio’ non può che indicare un sistema di formazione ederudizione nato e sviluppatosi tra la fine del secolo ottavo e lametà del nono, esso non esaurisce in questa collocazione storicail suo valore: in quanto carolingio, nasce in un determinato uni-verso politico e culturale, ma, in quanto metodo, implica l’esi-stenza di norme, strumenti e finalità universalmente condivisi edapplicati. Sarà dunque indispensabile indagare il contesto storiconel quale questo metodo ebbe la possibilità di prendere forma, e,subito dopo, analizzare le diverse dottrine e le opere degli intel-lettuali carolingi, per verificare, alla fine, l’esistenza di una comu-ne metodologia. Ma, proprio per condurre tale verifica in dina-mico confronto con il pregiudizio che ancora all’inizio delsecolo XX pesava su tutta la produzione teologica carolingia pre-eriugeniana, è preliminarmente utile indicare gli elementi chenel corso dei secoli hanno contribuito a dar vita a tale valutazio-ne negativa.

In questa analisi, non è agevole distinguere gli approcci piùscientificamente orientati alla produzione di un giudizio storicoadeguatamente documentato, fondato cioè su testimonianze soli-de e filologicamente vagliate, dalle operazioni di semplice sintesiacritica di un patrimonio di fonti spesso disordinato ed eteroge-neo3. In ogni epoca la filosofia ha tentato di guardare retrospetti-vamente alla sua storia, per rintracciare nella tradizione elementi

3 Per un’analisi del problema della nascita della storia della filosofia come di-sciplina, che non può trovare luogo in queste pagine, si rimanda a M. DAL PRA,Storia della filosofia e della storiografia filosofica. Scritti scelti, Milano 1996; G. SEVERI-NO, Filosofia, storia della filosofia e storiografia filosofica alle soglie del nuovo millennio, inLa trasmissione del sapere filosofico nella forma storica, a c. di L. MALUSA, I, Milano1999, pp. 143-167; M. A. DEL TORRE, Le origini moderne della storiografia filosofica,Firenze 1976. Per una valutazione del percorso storico dall’erudizione cinque-centesca alla storiografia del secolo XIX, si rimanda alla Storia delle storie generalidella filosofia, diretta da G. SANTINELLO; del progetto complessivo sono stati realiz-zati sinora cinque volumi, affidati a curatori diversi: I.Dalle origini rinascimentali al-la “Historia philosophica”, a c. di F. BOTTIN, Brescia 1981; II. Dall’età cartesiana aBrucker, a c. di F. BOTTIN - M. LONGO - G. PIAIA, Brescia 1979; III/1-2. Il secondoilluminismo e l’età kantiana, a c. di I. F. BALDO, Padova 1988; IV/1-2. L'età hegelia-na. La storiografia filosofica nell'area tedesca, a c. di B. BIANCO, Padova 1995 e La sto-riografia filosofica nell’area neolatina, danubiana e russa, a c. di A. JIMÉNEZ GARCÍA,Pa-dova 2004;V. Il secondo ottocento, a c. di C. CESA, Padova 2004.

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di continuità o di difformità. In età rinascimentale in particolaresi manifestò per la prima volta l’esigenza di integrare in un’operadi sintesi di tale genere la complessità dei sistemi filosofici medie-vali. Gli eruditi che si impegnarono in questo sforzo furono pre-liminarmente costretti a chiarire il ruolo e lo statuto che eranostati propri della filosofia nel corso dei secoli della grande specu-lazione teologica cristiana.A tal fine, essi tentarono di individua-re gli elementi caratterizzanti dell’età medievale, utilizzando i frutti di tale ricerca per dimostrare, in alcuni casi, la sostanzialecontinuità tra le diverse epoche, ed in altri, la loro profonda distanza. Questo approccio rese inutile ogni aspirazione a rico-struire le tracce del lento passaggio dai saperi pagani alla sapienzacristiana; storici e studiosi preferirono infatti analizzare con mag-giore attenzione le dottrine ritenute più influenti, tralasciandol’universo di autori minori che avevano concretamente permes-so la lenta metabolizzazione della cultura antica.

Tale sforzo si concretizzò nella elaborazione di grandi sillogi,frutto dell’accumulazione e del confronto scarsamente critico difonti non controllabili, e accomunate da fattori scelti arbitraria-mente e senza pretese di completezza. In queste opere il ruolodell’intera speculazione medievale risulta ampiamente minorita-rio, e, nello specifico, l’età carolingia è pressoché ignorata. Nel Dequatuor sectis philosophorum di Marsilio Ficino, ad esempio, appareevidente una precisa volontà di segnalare gli elementi di conti-nuità tra la tradizione filosofica antica e quella moderna, relegan-do l’epoca medievale a semplice momento di passaggio e di ve-rifica di un determinato percorso teoretico4. In una celebrelettera inviata nel 1489 a Martino Uranio (Martino Prenninger),Ficino illustra che la scelta tra le due strade percorribili per giun-gere alla verità, quella «philosophica» e quella «sacerdotalis», purnon prescindendo dalla conoscenza della successione cronologi-ca dei diversi pensatori, non è ad essa strettamente vincolata. Se

4 Cfr. MARSILIUS FICINUS, De quatuor sectis philosophorum, ed. O. Kristeller, inSupplementum Ficinianum: Marsilii Ficini Florentini philosophi Platonici opuscola inedi-ta et dispersa, Firenze 1937. Cfr. anche IOHANNES BAPTISTA BUONINSEGNI, Epistolade nobilioribus philosophorum sectis et de eorum inter se differentia, ed. in L. STEIN,Handschriftenfunde zur Philosophie der Renaissance. I. Die erste «Geschichte der antikenPhilosophie» in der Neuzeit, in «Archiv für Geschichte der Philosophie», 1 (1888),pp. 532-553.

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infatti ci sono stati filosofi antichi, come Platone, che hanno sa-puto conciliarle entrambe, e per questo vanno venerati, occorrestudiare ed approfondire anche coloro i quali, nei secoli successi-vi, si avvicinarono soltanto a tale risultato, come Boezio ed Enri-co di Gand; questo studio, conclude Ficino, non richiede che siricostruisca con precisione l’iter storico e dottrinale che dalla fi-losofia platonica conduce sino alla speculazione medievale5. Lostudio del Medioevo, periodizzato senza particolare dovizia stori-ca, non è dunque per Ficino funzionale alla comprensione del valore reale degli autori menzionati; le categorie filosofiche ap-paiono infatti extratemporali, ed è solo l’aderenza dei diversi au-tori a questi paradigmi a renderli meritevoli di figurare in una piùgenerale storia delle idee.

Questa prospettiva, pur mostrandosi estremamente funzionaleper una lettura trasversale del processo storico, non forniva alcu-na indicazione sulle modalità del suo dispiegarsi nel tempo.Affer-mare l’esistenza di idee filosoficamente universali, infatti, nonequivaleva a descrivere gli elementi di continuità storico-dottri-nale tra età antica ed evo moderno. Non a caso, in quest’ottica,epoche come l’età carolingia venivano tralasciate perché prive didottrine che dimostrassero la persistenza della antica sapienza fi-losofica. L’opera di Ficino non rimase isolata nel contesto rinasci-mentale. Nell’Adversus Theodorum Gazam in perversionem problema-tum Aristotelis di Giorgio Trapezunzio, ad esempio, AlbertoMagno, Duns Scoto, Egidio Romano e Tommaso vengono de-scritti come interpreti autentici della tradizione aristotelica6; glistessi autori, del resto, rientrano nel novero dei filosofi che Gio-vanni Pico della Mirandola si impegna a trattare nella sua Oratiode hominis dignitate7.Anche in queste opere, manca un riferimen-

5 MARSILIUS FICINUS,Marsilius Ficinus florentinus Martino Uranio Praenygero, ed.in ID., Opera omnia, Basileae 1576, ex Officina Henricpetrina [repr.Torino 1962],p. 899,2; e in R. KLIBANSKY, The Continuity of the Platonic Tradition During theMiddle Ages, London 1939 [repr. München 1981], pp. 45-47.

6 Cfr. GEORGIUS TRAPEZUNTIUS, Adversus Theodorum Gazam in perversionemproblematum Aristotelis, in Kardinal Bessarion als Theologe, Humanist und Staatsman, ac. di L. Mohler, 3 voll., III, Paderborn 1942, p. 324.

7 Cfr. IOHANNES PICUS MIRANDOLENSIS, Oratio de hominis dignitate, XXXI, p.189 e seqq., ed. E. Garin, Pordenone 1994 (ed. Studio/Tesi, 1), p. 106, pp. 50-54:«At superfluum inquiunt hoc et ambitiosum. Ego vero non superfluo modo, sednecessario factum hoc a me contendo, quod et si ipsi mecum philosophandi ra-tionem considerarent, inviti etiam fateantur plane necesse est. Qui enim se cui-

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to alla lenta evoluzione che conduce dall’età antica a quella me-dievale, e l’unico elemento di continuità spirituale e teoretica tratradizione pagana e pensiero cristiano è individuato nella divinaazione che, come dirà un secolo più tardi il De osculo ethnicae et christianae philosophiae di Pausius, «parla alla sapienza antica e si ri-vela nelle Scritture e nell’incarnazione»8.

La difficoltà di costruire una solida prospettiva storica divienecosì il principale difetto di queste prime sillogi. Se infatti da unlato essa costituisce un limite che rende incompleti gli studi tesi amostrare una sostanziale continuità tra l’epoca medievale e quel-

piam ex philosophorum familiis addixerunt, Thomae videlicet aut Scoto, quinunc plurimum in manibus, faventes, possunt illi quidem vel in paucarum que-stionum discussione suae doctrinae periculum facere.At ego ita me institui, ut innullius verba iuratus, me per omnes philosophiae magistros funderem, omnesscedas excuterem, omnes familias agnoscerem. Quare, cum mihi de illis omnibusesset dicendum, ne, si privati dogmatis defensor reliqua posthabuissem, illi vide-rer obstrictus, non potuerunt, etiam si pauca de singulis proponerentur, non esseplurima quae simul de omnibus afferebantur. Nec id in me quisquam damnet,quod me quocumque ferat tempestas deferar hospes. Fuit enim cum ab antiquisomnibus hoc observatum,ut omne scriptorum genus evolventes, nullas quas pos-sent commentationes illectas preterirent, tum maxime ab Aristotele, qui eam obcausam anagnostes, idest lector, a Platone nuncupabatur, et profecto angustae estmentis intra unam se Porticum aut Achademiam continuisse. Nec potest ex om-nibus sibi recte propriam selegisse, qui omnes prius familiariter non agnoverit.Adde quod in una quaque familia est aliquid insigne, quod non sit ei communecum caeteris. Atque ut a nostris, ad quos postremo philosophia pervenit, nuncexordiar, est in Ioanne Scoto vegetum quiddam atque discussum, in Thoma soli-dum et equabile, in Egidio tersum et exactum, in Francisco acre et acutum, in Al-berto priscum, amplum et grande, in Henrico, ut mihi visum est, semper sublimeet venerandum. Est apud Arabes, in Averroe firmum et inconcusum, in Avempa-ce, in Alpharabio grave et meditatum, in Avicenna divinum atque Platonicum.Estapud Graecos in universum quidem nitida, in primis et casta philosophia; apudSimplicium locuplex et copiosa, apud Themistium elegans et compendiaria, apudAlexandrum constans et docta, apud Theophrastum graviter elaborata, apud Am-monium enodis et gratiosa. Et si ad Platonicos te converteris, ut paucos percen-seam, in Porphirio rerum copia et multiiuga religione delectaberis, in Iamblicosecretiorem philosophiam et barbarorum mysteria veneraberis, in Plotino pri-vum quicquam non est quod admireris, qui se undique prebet admirandum,quem de divinis divine, de humanis longe supra hominem docta sermonis obli-quitate loquentem, sudantes Platonici vix intelligunt. Pretereo magis novitios,Proculum Asiatica fertilitate luxuriantem et qui ab eo fluxerunt Hermiam, Da-mascum, Olympiodorum et complures alios, in quibus omnibus illud to Theion,idest divinum peculiare Platonicorum simbolum elucet semper».

8 Cfr. MUTIUS PANSA [PAUSIUS], De osculo ethnicae et christianae philosophiae un-de Chaldeorum,Aegyptiorum,Persarum,Arabum,Graecorum et Latinorum mysteria tam-quam ab Hebraeis desumpta fidei nostra consona deducuntur, Marpurgi 1605, typisPauli Egenolphi, p. 442.

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la antica, dall’altro ha soltanto il valore di un espediente polemi-co utile agli studiosi intenzionati a dimostrare l’inconciliabilitàdelle due tradizioni.A distanza di due generazioni, il nipote di Pi-co, Gianfrancesco della Mirandola, nel suo Examen vanitatis doctri-nae gentium (1520) indica ad esempio che il compito che il «pa-truus» si era prefissato, vale a dire mostrare la continuità teoreticatra la tradizione cristiana e la speculazione di Platone ed Aristo-tele, era una illusione; ben più utile appariva infatti evidenziare glierrori dei pagani, e sottolineare il positivo atteggiamento dei filo-sofi cristiani, Agostino in particolare, che avevano preferito mo-strare l’incompatibilità della filosofia antica con i dati della rivela-zione9. Platone, filosofo per eccellenza, doveva dunque essereemendato più che compreso o conciliato con le Scritture.Anchein questo caso, l’assenza di una prospettiva realmente storica im-pedì all’autore di descrivere un percorso lineare di sviluppo, unitinerario attraverso il quale la filosofia del Medioevo avesse po-tuto realmente metabolizzare e superare la speculazione classica.

Nell’ambito di una comune indifferenza nei confronti dellostudio dell’evoluzione del sapere filosofico, tanto le tesi di Gian-francesco Pico e degli ‘anticoncordisti’, quanto quelle ‘concordi-ste’ dei suoi predecessori trovarono ampia eco, producendo testiestremamente validi per la loro accuratezza. È il caso del De pe-renni philosophia di Agostino Steuco. Dedicato al pontefice PaoloIII, il testo è diviso in nove libri, nei quali si prescinde dall’ordinecronologico, ma si seguono percorsi tematici, legati ai singoli fi-losofi (la «Platonis et Aristotelis theologia» occupa ad esempiol’intero libro quarto) o a dottrine generali (come il «De mundicreatione» o il «De immortalitate animorum» dei libri settimo enono). L’opera di Steuco, soffermandosi sulle grandi scuole del-l’antichità e sulle tradizioni sapienziali (caldaiche, ebraiche, erme-tiche, etc.), costituisce una testimonianza preziosa nel tentativo diricostruire una storia della storia delle idee. La logica che guidaSteuco nella elaborazione della sua opera è infatti una linea am-piamente concordista, che tenta di conciliare tutte le grandi tra-dizioni filosofiche anteriori al cristianesimo, per poi mostrarne lacongruenza complessiva non solo con i singoli autori medievali,

9 Cfr. IOHANNES FRANCISCUS PICUS E MIRANDOLA, Examen vanitatis doctrinaegentium et veritatis Christianae disciplinae, Mirandolae 1520, Iohannes MaciochiusBundenius.

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ma con gli aspetti più generali della dottrina10. Steuco elaborauna snella genealogia della sapienza, donata ad Adamo e da luitrasmessa a Noè e, per il suo tramite, agli Armeni ed ai Caldei, perpoi trovare ospitalità nella Grecia platonica. Tale approssimativacronologia tradisce lo scarso interesse di Steuco per le classifica-zioni geografiche e temporali, e la predilezione per la trattazionedei principali temi della speculazione filosofica e teologica: psico-logia, teologia trinitaria, angelologia e demonologia, problemadella creazione del mondo. In Steuco, la riflessione di Ficino ap-pare pienamente compiuta: la sapienza emerge infatti come risul-tato dell’incontro tra pensiero antico e speculazione dei Padri, enon come processo storico di accumulazione. Termini come«mens», «animus» ed «anima», «verbum», «sanctitas», la cui pre-senza è trasversale e metastorica, sono per lui segni di una «sa-pientia» che rimane, nei suoi dati di fondo, invariata, e che per-mette uno studio comparato di Platone, Aristotele, Porfirio,Plotino,Proclo e di tutta la tradizione ebraica ed ermetica succes-siva o contemporanea. La filosofia dunque si evolve come disci-plina nata dall’incontro della «sapientia» e della «pietas», che guar-dano nella medesima direzione, perché derivano dalla stessa fontedi ogni sapere, a prescindere dal cammino storico compiuto.

Se Steuco rappresenta la continuità concordista della linea fi-ciniana, Giovanni Battista Crispo nel suo De ethnicis philosophiscaute legendis, pubblicato negli stessi anni, propone una visionedella storia della filosofia diametralmente opposta, e dunque an-ticoncordista11. Nell’incipit dell’opera, Crispo offre un elenco de-gli autori trattati, menzionando, nel «catalogus philosophorum»,solo pensatori greci.A cominciare dai platonici e dal platonismoin generale, nell’elenco posto a prefazione dell’opera i paganivengono descritti come autori da leggere con cautela, quandonon da rigettare perché eretici. L’opera di Crispo porta alle estre-me conseguenze l’anticoncordismo di Gianfrancesco Pico, per-ché non solo non si preoccupa di verificare una concordanza tra

10 Cfr.AUGUSTINUS STEUCHUS EUGUBINUS,De perenni philosophia, I, 1, Lugdu-ni 1540, Seb. Gryphius, p. 323: «Ut unum est omnium rerum principium, sicunam atque tandem de eo scientiam semper apud omnes fuisse multarumquegentium ac litterarum monimenta testantur».

11 Cfr. IOHANNES BAPTISTA CRISPUS, De ethnicis philosophis caute legendis, Ro-mae 1594, in aedibus Aloysij Zannetti.

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Platone ed Aristotele, ma si impegna a dimostrare che essi sonotanto contrari alla fede, da rendere inutile ogni sforzo teso allaconciliazione tra le loro dottrine e le verità rivelate. Le «legescautionis», infatti, vogliono che le teorie dei filosofi vengano ac-cettate solo se sottoposte al consenso dei concili, dei Santi Padrie dei teologi; Crispo dunque procede all’analisi dei temi che ri-tiene di maggiore difficoltà, e per ognuno di essi propone l’inter-pretazione platonica, le eresie che essa ha prodotto, e appunto le«cautiones», le citazioni dei Padri ritenuti degni di fiducia. L’elen-co delle auctoritates che Crispo menziona è vasto e significativo, enon comprende alcun autore d’età carolingia: lo pseudo-Dionigi(De divinis nominibus),Agostino (in particolar modo Retractationese De civitate Dei),Tommaso (la Summa), Gregorio di Nazianzo eGregorio di Nissa, Beda e Tertulliano.

Con la storiografia a lui coeva Crispo condivide, dunque, nonsolo la valutazione della tradizione patristica, che appare slegatada un discorso di storia delle idee e intesa come principio rego-latore per interpretare ed eventualmente rigettare la speculazionepagana, ma anche la completa omissione di riferimenti alla spe-culazione d’età carolingia. È improbabile che tale circostanza siadovuta esclusivamente ad una mancanza di informazioni. Neglistessi anni in cui Steuco e Crispo pubblicavano le loro opere, in-fatti, la conoscenza delle opere teologiche di epoca carolingia co-minciava a diffondersi tramite florilegi di testi slegati cronologi-camente, ma riuniti per affinità tematica, e attraverso le primeedizioni di singole opere. In particolare, anche grazie alla diffusio-ne manoscritta tradizionalmente ampia di buona parte della suaproduzione, Alcuino fu tra i primi ad essere considerato perso-naggio integrante della tradizione esegetica patristica, e dunquead essere inserito in raccolte di testi e in progetti monografici12.

12 Sulla tradizione manoscritta dell’opera di Alcuino, cfr. P. GODMAN, Il perio-do carolingio, in Lo spazio letterario del Medioevo, 1. Il medioevo latino, III, Roma1993, [339-373], p. 339: «Raramente la letteratura carolingia è stata tramandata inmodo sistematico. I concetti di paternità, attribuzione ed autenticità di un’opera,che nei secoli VIII e IX erano normalmente applicati allo studio dei classici, furo-no utilizzati molto raramente con riferimento agli scritti contemporanei. Un’ec-cezione a questa regola è rappresentata dalle lettere in prosa di Alcuino, che ven-nero raccolte insieme sia durante la sua vita sia dopo la sua morte. Proprio imotivi che sono alla base di questa eccezione evidenziano però una delle princi-pali caratteristiche degli scritti del periodo carolingio: la loro funzione eminen-

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I. L’ETÀ CAROLINGIA

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La prima pubblicazione a stampa di Alcuino, il De fide sanctae Tri-nitatis, risale infatti agli ultimi anni del secolo XV. Nel frontespi-zio dell’Homiliarius Doctorum pubblicato a Basilea nel 1493 da Ni-colaus Keßler vengono rappresentati otto Padri della Chiesa13: afianco di Girolamo, Agostino, Beda ed Ambrogio, Alcuino vi èraffigurato con l’indice rivolto verso il cielo, in una rappresenta-zione divenuta poi iconica e riportata anche nelle edizioni sei-centesche.Nel corso del secolo XVI, la pubblicazione a stampa de-gli scritti tecnici ed esegetici di Alcuino diviene pressochécompleta. Non solo infatti il De fide venne presentato, tra il 1493ed il 1598, nelle otto ristampe dell’Homiliarius ed in cinque edi-zioni monografiche, ma trovò posto anche, alla fine del secolo,nella seconda edizione della celebre Sacra bibliotheca di Marguerinde la Bigne. Il testo dello studioso parigino si inscrive nella lungaserie di raccolte che, senza una particolare sistematicità, riportanotesti spesso slegati. Pur pubblicando infatti, nel quattordicesimo equindicesimo volume, un ampio numero di opere di intellettualicarolingi, da Teodulfo di Orléans a Claudio di Torino,da Giona diOrléans ad Agobardo di Lione, Pascasio Radberto, Amalario diMetz, Ratramno di Corbie e Floro di Lione, la Bibliotheca nonpropone alcun approfondimento esegetico, non premette nessu-na introduzione ai testi né commenti storici di raccordo; la com-prensione della collocazione cronologica e teoretica delle opere èaffidata al lettore, del quale si presuppone un’ampia conoscenzadell’età carolingia. Diverse edizioni, in questi anni, propongonosenza alcun apparato storico-critico testi poco conosciuti; in par-ticolare, del corpus alcuiniano, le Quaestiones in Genesin, il Com-mento al Vangelo di Giovanni, il De rhetorica et virtutibus, pubbli-cato in due edizioni dal Molther, il De virtutibus et vitiis ed ilcommento ai Salmi ebbero particolare fortuna editoriale14.

temente pratica. Le epistole di Alcuino furono utilizzate quale modello di stile la-tino, di cortigiano decorum, di comportamento spirituale e diplomatico. Eranodocumenti pubblici, concepiti per una cerchia di lettori molto più ampia dei lo-ro destinatari immediati. All’interno di una cultura in cui l’acquisizione di unostile latino chiaro ed elegante era requisito fondamentale per l’esercizio dellamaggior parte delle attività amministrative ed ecclesiastiche, la finalità esemplaredella prosa carolingia era della massima importanza».

13 Cfr. Homiliarius Doctorum, a Paulo Diacono collectus, Basileae 1493, NicolausKeßler.

14 Per tutti i riferimenti bibliografici delle edizioni dei testi alcuiniani nel XVI

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IL METODO CAROLINGIO

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