Hestia-Vesta, La Dea Segreta

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"Rea, soggiogata dall'amore di Crono, partorì a lui una prole gloriosa, Hestia, Demetra ed Hera dagli aurei calzari, ed il potente Ade, che ha la sua dimora sottoterra, avendo un animo spietato, e l'Ennosigeo dal cupo rimbombo, e Zeus dai prudenti pensieri..."

Così Esiodo canta Hestia, la Sacra Vesta dei Romani, Dea della casa e del focolare domestico; Hestia è colei che Rea generò per prima, fecondata da Crono "dalla falce ricurva"

Vedi il pdf

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Hestia, come precisa un inno omerico è la vergine augusta, bellissima, che tutti gli Dei desiderano

ma che lei respinse con fermezza.

Toccando la testa sacra di Zeus la Dea pronunciò un giuramento: restare vergine in eterno. Allora

Zeus le concesse il privilegio di sedere "nel centro della casa", di essere venerata in tutti i templi e in tutte le case dei mortali, di essere la Dea più sacra.

"Non vi sono banchetti per i mortali", afferma un inno in suo onore, "ove colui che liba per primo

non offra a Hestia, per prima e per ultima, il vino dolce come il miele...", cioè non dedichi a Lei, ed a Lei sola, il brindisi rituale vuotando la coppa sulla

fiamma del focolare.

Nota di Lunaria: ovviamente modernizzando l'archetipo, possiamo considerare Hestia la

protettrice di tutte le cose inerenti la cucina: tanto

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gli elettrodomestici quanto i piatti e l'attività del cucinare.

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Tutto ciò che ruota attorno alla vita in cucina (colazione, pranzo, merenda, cena...) può essere

consacrato a Hestia. Ovviamente questo è solo un aspetto (il più semplice e "per la vita di tutti i

giorni") di questa Dea che può essere presa come la protettrice di ogni casalinga o cuoca. Ora

vediamo l'aspetto più nascosto legato a Hestia ^.^

Hestia, quindi, legata al fuoco, ma quanto è diverso il suo fuoco da quello di Afrodite, il cui

fuoco "scioglie le membra" e infiamma le passioni! Il fuoco di Hestia è piuttosto un fuoco intimo,

custodito all'interno di ogni casa e nell'intimo di ogni persona.

Si chiamava "Vestibulo", a Roma, l'ingresso di ogni 5

dimora, dove ardeva giorno e notte il fuoco, simulacro della Dea Vesta/Hestia: la Dea è il

fuoco, vergine, perché non può che generare se stesso, purissimo e purificante perché intoccabile e distruttore di tutto ciò che è soggetto alle leggi

della morte e della putrefazione.

Nota di Lunaria: anche associare Hestia alle piccole fiamme delle candele mi pare appropriato

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Hestia è di frequente associata ad Hermes "dal Caduceo d'Oro"

vedi i pdf:

Non nell'Olimpo, vive la più sacra e nascosta delle Dee, ma fra i mortali: "Abitate con animo

concorde le belle dimore degli uomini che vivono sulla terra". Perché questo abbinamento,

Terra/Hestia-Hermes?

I poeti e gli storici dell'età classica vi accennano appena senza indugiare e probabilmente alludono

ad una domus terrestre che non è soltanto e semplicemente la casa (*) ma la persona. Ogni essere umano è, o dovrebbe essere, un tempio

vivente, e al tempo stesso il Sacerdote e la Sacerdotessa e custode di quel fuoco sacro che

rende l'uomo simile a un Dio e la donna simile ad una Dea. (**)

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(*) a proposito di casa... proprio oggi ho trovato questo delirio cattolico xD

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(**) Che poi, è lo scopo di una filosofia (più che religione) come il Paganesimo, sempre

ovviamente nella sua accezione moderna e quindi rivisitata con la nostra sensibilità attuale e tesa a

promuovere lo sviluppo di quelle potenzialità femminili soffocate nel monoteismo. Non c'è altro

scopo, nell'adorare questi archetipi, che non diventare Dee di se stesse, magnificate al meglio.

Un grande segreto si nasconde, dunque, nel culto di Hestia; rigoroso e discreto, l'antico culto a Vesta che in Roma durò oltre mille anni, dal

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tempo di Numa Pompilio (un re-sacerdote) a quello dell'imperatore Teodosio (see, che da lì a

poco vide l'infezione cristiana germinare e propagandarsi ovunque come una peste malefica...

Nota di Lunaria)

Il tempio di Hestia/Vesta era il luogo più sacro della città, sia in Grecia che in Lazio; la Dea era la custode del Fuoco Sacro, da cui scaturisce la Vita.

L'elemento "Ur", il Fuoco Purificante e Rigeneratore era affidato alle Sacerdotesse di

Vesta, le Vestali

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Ovviamente, poteva mancare lo scopiazzamento cattolico delle Vestali?? Ma certo che no! Ecco della paccottiglia cattolica che scimmiotta le

immagini Pagane di Vestali e Sorellanza!

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LA VERA SORELLANZA FEMMINILE

Per approfondire la potenza e il prestigio delle antiche Sacerdotesse (che non erano le suore

cattoliche...), vedi il pdf:

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Per quanto riguarda il significato esoterico del Fuoco vedi:

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I Misteri di Vesta erano talmente elevati che chi li violava o profanava era condannato a morte; ne

seppe qualcosa il poeta Ovidio, che per aver divulgato cose inerenti al Mistero di Vesta finì i

suoi giorni sul mar Nero, in un luogo simile ad un mare di tenebra.

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Alla Dea venivano consacrate ogni anno 6 vergini, ancora bambine, scelte tra le fanciulle delle

famiglie più illustri. Per 10 anni erano istruite ed iniziate ai Misteri e ai Segreti della Dea e del

Fuoco; quindi per i 10 anni successivi esercitavano la funzione sacerdotale che consisteva nel

custodire e tenere sempre acceso il fuoco divino (*) che aveva la funzione di affrettare il percorso evolutivo verso l'immortalità; infine diventano maestre ed iniziatrici di altre fanciulle, dopo di che, se volevano, potevano tornare nel mondo e

sposarsi; comunque non risulta che molte Vestali si sian sposate alla scadenza del loro impegno. Le

Vestali godevano di enormi privilegi sociali e

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politici, ma non potevano violare il voto di castità; se una Vestale fosse stata scoperta, sarebbe stata sepolta viva e il suo seduttore fustigato fino alla

morte.

Tra le regole interne del Tempio, una era questa: "Il Fuoco Sacro alla Dea non può e non deve mai spegnersi"; se per disgrazia si fosse spento non

poteva essere riacceso con altra fiamma, ma prodotto di nuovo: le Vestali dovevano

riaccenderlo dal nulla, nel modo insegnato loro dalle maestre durante i 10 anni di noviziato.

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(*) L'idea di Fuoco Sacro è presente anche nel 20

culto di Brigid, pure quello scopiazzato dai cattolici!!!

Nell'alfabeto degli alberi, il calendario sacro ai Celti, è ugualmente la betulla che presiede il primo mese dell'anno

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solare (dal 24 dicembre al 21 gennaio). La betulla è quindi collegata alla rinascita del Sole. Benché in genere dedicata alla Luna, per la sua pelle delicata che ricorda lo splendore argenteo della Luna piena, talvolta è anche dedicata al Sole e alla Luna insieme, ma in questo caso è duplice: maschio e femmina. Nella festa che celebra il ritorno della luce, la nostra Candelora, la betulla è oggetto di speciale considerazione, nella persona di Santa Brigida il cui nome "Birgit" deriva dalla radice indoeuropea "Bhirg", betulla, che dà "birch" in inglese e "Die Birke" in tedesco. Santa Brigida di Kildare, presentata dagli agiografi come la figlia di un capoclan pagano, e diventata patrona d'Irlanda, era originariamente un'antica divintà celtica della rinascita del fuoco e della vegetazione, la figlia di Dagda, il Dio supremo venerato dai Druidi.

Clone cattolico della Dea Birgit

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La festa di santa Brigida che si celebra il 1° febbraio, era una delle quattro feste irlandesi ricordate da Cormac, vescovo di Cashel nel decimo secolo. Nella Britannia veniva mantenuto il fuoco perpetuo nel tempio di una Dea che i Romani identificavano con Minerva ma che in realtà era Birgit, a un tempo guaritrice e patrona dei Bardi - i quali possono essere paragonati agli sciamani - e dei fabbri. Ancora nel sedicesimo secolo "le suore" di Kildare tenevano acceso un fuoco che subito dopo la sepoltura della "santa" si sarebbe acceso da solo sulla sua tomba. "Kildare" significa "chiesa delle querce", essendo stato precedente un nemeton, un sacro bosco pagano.

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Le 19 suore vegliavano a turno il fuoco. Fu Enrico VIII a sopprimere tale pratica.La festa di santa Brigida apriva il mese di febbraio che da sempre era il mese delle purificazioni (dal latino "februare" = "purificare, fare espiazioni religiose"). A Roma, fino alla riforma effettuata da Giulio Cesare, era il mese dei morti e anche quello nel corso del quale ci si sforzava di eliminare gli influssi negativi. Vi si celebravano i Februali, istituiti da Numa Pompilio, al quale si doveva l'organizzazione religiosa. Questa antichissima festa dei morti si celebrava di notte, alla luce delle torce.

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Il 15 febbraio avevano luogo i Lupercali, in onore di Luperco (chiamato anche Fauno, considerato l'equivalente di Pan)Durante i Lupercali i sacerdoti del Dio, nudi, percorrevano le strade di Roma sferzando la folla con corregge ritagliate nel cuoio di un capro. Le donne sterili tendevano mani e schiene nella speranza di essere fecondate. La celebrazione dei morti era quindi connessa con le promesse di fecondità futura, in quanto i nuovi nati erano i morti reincarnati. I Lupercali furono soppressi da papa Gelasio nel 494 che li sostituì con la festa della Purificazione della Vergine, la Candelora, o festa delle candele perché veniva effettuata la solenne benedizione dei ceri, della luce nuova, rito d'origine celtica.

Nella mitologia germanica la betulla era l'albero di Donar-Thor, Dio del fulmine e della guerra, considerato più potente dello stesso Odino, in particolare in Norvegia.

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Secondo i proverbi russi la betulla ha ben 4 poteri: con i suoi rami si fanno torce, perché danno grandi fiamme chiare, e anche scope e verghe. Dal legno di betulla si ricava il catrame che impedisce alle ruote de carri di cigolare. E infine la linfa, il "sangue di betulla", molto usata nella fitoterapia. Ai piedi della betulla cresce spesso l'amanita muscaria (ovolaccio) usata dagli sciamani per andare in trance.

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Le credenze popolari associano l'ovolaccio ai rospi (e in inglese il fungo è chiamato "trono di rospo"), perché il rospo è ritenuto in rapporto con le potenze infernali e con la Luna e la pioggia.Secondo gli Orocci, popolo tunguso, le anime dei morti si reincarnavano nella Luna sotto forma di amaniti e così trasformati discendevano sulla terra.In Siberia si credeva che lo spirito della betulla fosse una donna, e che offrisse il suo seno: dopo aver bevuto il suo latte, l'uomo sente decuplicate le proprie forze.

Tratto da

Per quanto riguarda Vesta, riporto anche l'interpretazione che ne dà

http://www.centrostudilaruna.it/vesta-lascetizzazione-della-dea-madre.html

che mi sembra un'interpretazione interessante (e comunque da tenere conto); la riporto, e a fine scritto, riporto anche il mio personale parere.

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"Ebbene, nella società romana, epitome praticamente fin dalla sua fondazione dei valori virili e marziali che al femminino sacro si contrappongono, tale processo di depotenziamento raggiunge una delle sue vette assolute nello sviluppo di un processo di ascetizzazione (e, conseguentemente, di asessualizzazione) della Dea Madre che si esplica in forma evidentissima nel culto di Vesta ma che si denota anche in numerosi culti paritetici quali quelli della “Magna Mater” e della “Bona Dea”,

finendo, in seguito, per trasfondersi in quelle che saranno le nascenti pratiche cristiane, già abbondantemente

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influenzate in questo senso dall’etica giudaico-essena e dall’evidente misoginia e sessuofobia paolina [...] E’ noto che Vesta fosse la Dea romana della terra, discendente diretta della Hestia greca della quale assume per intero tutte le caratteristiche, connotandosi come divinità della “madre terra”, con tutto quanto da ciò può derivare in termini di generatività, “allattamento” degli esseri viventi e sostentamento umano. Insomma, sul fatto che Vesta fosse una personificazione, una delle molte “facce” della Dea madre possono sussistere ben pochi dubbi e nella presenza a Roma di una divinità presente in tutto il bacino mediterraneo e praticamente in tutte le religioni del modo antico non vi è assolutamente nulla di stano, appartenendo essa ad uno degli archetipi culturali primari dell’intera umanità. Ciò che, però, risulta strano è la forma in cui tale culto si presenta già dal periodo monarchico, in particolare per quanto riguarda il servizio alla Dea: il tempio di Vesta era, infatti, accudito da sei vergini che avevano il compito di mantenere vivo il fuoco sacro acceso davanti alla statua della divinità, così come prescritto, secondo la tradizione, da Numa Pompilio, “Pontifex maximus” e secondo re di Roma, già nel VII secolo a.C.. Tale pratica continuò inalterata per tutto il periodo repubblicano e imperiale e le vergini “vestali”, per altro le sole sacerdotesse “a tempo pieno” della società romana, continuarono ad essere mantenute dallo stato fino all’assunzione del Cristianesimo come

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religione imperiale [...] Ciò che realmente le distingueva dalle altre matrone era unicamente un voto perpetuo e intoccabile di castità e celibato. Qual è il senso di questo voto in un ambiente in cui la morale sessuale era, agli occhi della successiva società cristiana, in fondo piuttosto aperta? Indubitabilmente il primo significato immediatamente attribuibile a questa caratteristica è quello di separazione dal normale contesto sociale femminile. Nella società romana la femminilità era definita unicamente in termini di matrimonio e riproduzione: una donna era tale solo se si sposava, divenendo così strumento di stabili alleanze, e aveva eredi a cui trasmettere le proprietà e affidare la continuità della stirpe. Per una donna essere qualsiasi cosa di differente rispetto al ruolo di moglie e madre rappresentava una anomalia. In qualche modo, dunque, l’ascetismo delle vestali potrebbe spiegarsi semplicemente con la volontà di creare una cesura tra loro e il mondo circostante, rimarcando la “santità” (un concetto, in realtà, piuttosto estraneo alla mentalità romana e che dovrebbe essere inteso, più che altro, nel senso di “ieraticità”) del loro ruolo. [...] Un particolare, legato alle regole sacre per la scelta delle Vestali, però, palesa un significato più profondo nel vincolo virginale [...] in definitiva, il loro voto verginale non era perpetuo e [...] sia per il dispiacere di essersi allontanate dal tempio, sia per la reverenza con cui erano considerate da

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uomini e donne, in realtà ciò che possiamo dedurre è che, in linea generale, la verginità vestale non era un valore in sé: se le prescelte dovevano servire la divinità dai dieci ai quarant’anni, in realtà ciò che sacrificavano era, negli anni riproduttivi, il loro potere generativo, la loro fertilità. In sostanza, dunque, le vestali “donavano” la propria generatività alla comunità, canalizzando le loro energie psico-fisiche alla continua rigenerazione dello stato romano, rappresentato dal fuoco imperituro, simbolo della prosperità e stabilità di Roma. [...] La fertilità, come caratteristica unicamente femminile, era, in fin dei conti, un notevole elemento di potere che si contrapponeva al potere “virile” di cui Roma si era fatta assoluta rappresentante. La rinuncia a tale potere da parte delle vestali era, dunque, dal punto di vista della logica simbolica, un atto di sottomissione fortissimo all’imperium maschile dello stato, con la loro abdicazione al ruolo femminile e alla contrapposizione diretta tra “eros” femminino e “thanatos” maschile, che, dal punto di vista mitologico, si estendeva su piani addirittura teologici.

In cambio di tale rinuncia (e in conseguenza a tale rinuncia non essendo più necessario un controllo esterno su donne che avevano così palesemente dimostrato a loro fedeltà all’entità statale), le vestali ricevano privilegi impensabili per qualunque altra romana:

– Quando usciva dal tempio ogni vestale era sempre 31

preceduta da un littore che portava un fascio, simbolo del potere statale, così da poter essere sempre e ovunque identificabile, alla stregua dei più lati magistrati (unicamente maschi), come autorità sacralizzata;

– Mentre tutte le donne di Roma rimanevano sempre e comunque, indipendentemente da rango ed età, sotto la potestà maschile, le vestali, fin dalla loro entrata nel tempio, erano sollevate da tale vincolo, tanto da poter prendere decisioni divergenti da quelle paterne, da poter condurre affari commerciali senza alcun tutoraggio parentale e da poter redigere testamenti;

– Mentre ad ogni altra appartenente al sesso femminile era proibito assistere a giochi sportivi e spettacoli teatrali le vestali avevano posti riservati (in età imperiale da Augusto stesso) di fronte a quelli del pretore che sovrintendeva a tali spettacoli;

– Al contrario di ogni altra romana, una vestale poteva apparire in giudizio, rendere testimonianza legale e addirittura partecipare ad ogni sorta di investigazione imperiale.

Personalmente tenderei più a vedere l'idea della verginità delle Vestali come la volontà estrema di non essere violate dai maschi: esattamente come lo Stato Romano doveva restare integro (e quindi

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non violato da invasioni di altri popoli che potevano sottometterlo) anche le Vestali dovevano restare chiuse: aprirsi ad un pene maschile sarebbe stato un abbassamento, un'abnegazione e una sopraffazione umiliante di fronte alla forza copulatoria maschile (che sappiamo molto bene che spesso degenera in stupri o comunque coiti bestiali) che lacera, trivella, entra dentro nel corpo femminile con irruenza e bestialità; più che dal punto di vista della negazione della fertilità (come suggerisce l'Autore) io la vedo più come la negazione del predominio maschile nell'atto sessuale (si tenga sempre presente che i primi rapporti sessuali, anche consenzienti, sono dolorosi, in fondo stiamo parlando di una parte di sé che, per quanto piccola, viene lacerata a sangue): "vergine", infatti, non va inteso come "frigida" (conservare l'imene non preclude affatto un godimento clitorideo, anzi, così come non preclude all'avere fantasie sessuali) perché questa è l'idea cristiana (e non certamente Romana o Pagana in generale, che mai demonizzò il piacere sessuale, escludendo certe esagerazioni filosofiche tendenti all'ascetismo che di tanto in tanto esacerbavano l'odio verso il sesso

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e il piacere e quindi anche verso la donna... ma è improbabile che tali stramberie che si esaurivano in questo o quel gruppuscolo maschile giungessero alle orecchie delle donne influenzandole...); in altre parole le Vestali vergini non erano affatto figure di donne alienate dal piacere sessuale o da un'eccitazione generica (cosciente o meno, si pensi ai sogni erotici) ma erano certamente donne preservate da una penetrazione del fallo maschile e il fatto che poche di esse si sposassero (non era negato, al termine del mandato) testimonia molto bene che anche loro erano consapevoli che il coito con un uomo avrebbe rappresentato una calamità, più che una fortuna: del resto è noto come la "prima volta" sia spesso traumatica, spiacevole, dolorosa, tutto il contrario di quello che certa propaganda cattolica fa credere ("il sesso è bello e lecito solo dopo le nozze"), dimenticandosi di insegnare alle loro ragazzine cattoliche che quasi mai è così (sposate o meno non fa differenza), che il dolore c'è e ci sarà anche più di una volta, spesso bruciante, spesso fastidioso o passeggero, ma che siamo ben lontane dall'idillio da "Romanzo

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Harmony".

Suggerisco di leggere le analisi di Simone de Beauvoir

o anche autrici come Luce Irigaray o Armanda Guiducci,

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e le loro analisi sulla sessualità psico-fisica femminile (in rapporto con i maschi, in special

modo)

Per esempio vedi queste frasi di Simone de Beauvoir:

"L'erotismo della donna è molto più complesso di quello dell'uomo e rispecchia la complessità della situazione femminile; lei ha addirittura due organi sessuali, dei quali uno non ha nessuna parte nella procreazione. Nella società patriarcale il piacere sessuale, perfino la sessualità stessa, sono stati negati alla donna: <<L'atto sessuale, per essa, se non è santificato dalle legge e dal sacramento, è colpa, rovina, sconfitta, debolezza...>>. La paura, il disgusto, la frigidità, la rassegnazione, il cinismo sono

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reazioni frequenti alla sopraffazione che subiscono nel rapporto sessuale con un uomo; spesso solo un rapporto lesbico le fa scoprire la propria sessualità."

"La penetrazione, o meglio, la riduzione della sessualità al rapporto genitale, è ancestralmente associata alla violenza, al dolore e alla minaccia di un figlio."

"Non è sorprendente che molte donne vivano l'omosessualità come liberatoria."

"In un mondo maschile, dove le donne, più o meno, sono costrette a recitarsi, dove la loro sessualità è negata, è mutilata, per adeguarla a quella maschile, l'omosessualità può essere la ricerca della propria femminilità, oltre a significare il rifiuto di farsi oggetto. << Tra donne l'amore è contemplazione; le carezze sono destinate meno ad impadronirsi dell'altra che a ricrearsi lentamente attraverso l'altra; il distacco è abolito, non c'è né lotta, né vittoria, né disfatta; in un'esatta reciprocità ognuna è nello stesso tempo soggetto e oggetto, padrona e schiava: la dualità è complicità.>>."

"Ogni fanciulla paventa la penetrazione, il dominio del maschio, e prova una certa ripugnanza del corpo maschile; viceversa, il corpo della donna è per lei come per l'uomo un oggetto di desiderio. [...] Non è sempre il rifiuto a farsi oggetto che porta la donna all'omosessualità; la maggior parte delle lesbiche cerca al contrario di impadronirsi dei

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tesori della propria femminilità."

"Tra donne l'amore è contemplazione; le carezze sono destinate meno ad impadronirsi dell'altra che a ricrearsi lentamente attraverso l'altra; il distacco è abolito, non c'è né lotta, né vittoria, né disfatta; in un'esatta reciprocità ognuna è nello stesso tempo soggetto ed oggetto, padrona e schiava: la dualità è complicità."

Sembra plausibile che le Vestali, in realtà, rifiutassero il coito col maschio (che ha in sé spesso una certa vena di "bestialità" nel fallo eretto che troneggia sulla donna sdraiata) ma non una sessualità tra donne: tenderei più a vedere la comunità delle Vestali come quello che restava e sopravviveva delle società matriarcali (se non ginocratiche), comunità di sole donne (si pensi anche al mito delle Amazzoni... mito che probabilmente deriva dalla rappresentazione di qualche popolo o tribù di sole donne, poi sopraffatto).

Inoltre dovremmo chiederci perché i riti delle Vestali fossero così segreti... gli stessi maschi non potevano violarli! Forse perché stiamo parlando di una società ginocratica che sotto la formale

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sottomissione allo Stato e all'Ordinamento Romano, nascondeva, in realtà, tutt'altra faccia?

Io non lo escluderei. Altrimenti, se le stesse Vestali fossero state tanto "vogliose" di rapporti con i maschi, non si capisce perché pochissime di loro si sposavano, al termine del loro Sacerdozio.

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Statua di Vesta-Hestia, V secolo a.C

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Statua di Vestale

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Gruppo di Vestali che assistono ad una cerimonia, rilievo del secolo I a.c

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