Francesco Antonio Picchiatti e l'architettura classica: i 'restauri' dei palazzi Ruffo e Grasso, in...

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9 FRANCESCO ANTONIO PICCHIATTI E L ARCHITETTURA CLASSICA Luigi Abetti Francesco Antonio Picchiatti e l’architettura classica: i ‘restauri’ dei palazzi Ruffo e Grasso Quando si parla di classicismo o più in generale di rapporto con l’antico si parla di un modello non uni- voco, contraddistinto da una vastità di intrecci culturali, simbolici, politici ed economici che possono va- riare anche all’interno della medesima epoca. Secondo Gianfranco Spagnesi tutte le riproposizioni del lin- guaggio classico successive al 1750, dal Neoclassicismo ai revivals ottocenteschi, “debbono essere consi- derati come manifestazioni espressive che muovono da una cultura profondamente diversa: l’imitazione e la citazione, mai l’invenzione […], ripetendo forme ritenute archetipe di una classicità ideale, assunta come unico canone estetico. Questa è la qualità intrinseca che distingue queste ultime manifestazioni del classicismo da tutto quanto era accaduto anche molto tempo prima” 1 ivi compreso il classicismo seicen- tesco, cioè quando ancora gli architetti miravano ad una conoscenza filologica e critica dell’antico, il cui esito era una visione soggettiva della civiltà classica dato che ognuno estraeva da quel linguaggio una o più parole rinnovando così la sintassi. Senza entrare nel merito della questione, basti pensare che quella di Spagnesi è una posizione che rappresenta l’acme di quella revisione storiografica che ha spezzato quel- le omogeneità direzionali che avevano rese normative alcune espressioni e realizzazioni architettoniche che hanno visto per troppi anni semplificate contrapposizioni tra età, artisti e correnti. Questa revisione è indispensabile anche per intendere il rapporto tra Francesco Antonio Picchiatti (1614-1694) 2 e l’architettura classica. Come ho sottolineato 3 , Picchiatti iunior oltre a rappresentare se stesso fu anche erede della scuo- la dei regi ingegneri, vale a dire di una lunga e sedimentata tradizione architettonica che, in ambito na- poletano e per il periodo di nostro interesse, ha le sue radici con il progetto di Palazzo Reale, la nuova sede dei viceré ideata e iniziata nel 1600 da Domenico Fontana ingegnere maggiore del regno dal 1596 al 1607; suoi successori furono il figlio Giulio Cesare, ingegnere maggiore dal 1607 al 1627, Bartolomeo Picchiatti in carica dal 1627 al 1643, Onofrio Antonio Gisolfo e, appunto, il Nostro dal 1656 al 1694 4 . Ciò vuol dire che nella sua definizione concettuale di antico, oltre allo studio della trattatistica antica, mo- derna e contemporanea, ai soggiorni nell’Urbe 5 , alle campagne di scavo e all’esempio di pulizia formale cui l’aveva ricondotta Donato Bramante e i suoi epigoni, giocò un ruolo di fondamentale importanza la lezione dei Fontana e del padre Bartolomeo. Non a caso quando Gisolfo, preoccupato della possibile asce- sa di Cosimo Fanzago al rango di ingegnere maggiore, inviò la nota relazione alla Regia Camera della Som- maria non solo definì il bergamasco vassallo della Serenissima e “inabile” tanto nell’architettura milita- re quanto in quella civile, ma soprattutto lo apostrofò come “distruttore delle regole et inventore di nuo- ve chimere e schisme” 6 . Dal momento che anche la produzione fanzaghiana rivela l’elaborazione di un codice linguistico di matrice classicista 7 , Gisolfo non faceva altro che rivendicare un primato che spetta- va alla scuola dei regi ingegneri 8 , vale a dire ad una sorta di ‘detentori ufficiali’ del linguaggio classico adot- tato dal potere assoluto per essere riconosciuto a livello internazionale come padrone del passato e nel presente. Una politica culturale questa che affonda le radici nella cosiddetta rinascenza carolingia 9 . Sull’interesse di Picchiatti per l’antico non vi sono dubbi. Sappiamo che durante gli scavi per le fonda- menta dell’obelisco di San Domenico Maggiore eseguì il rilievo di un tratto delle mura greche con gli sti- piti della Porta Cumana 10 e, presumibilmente, studiò le opere di ingegneria civile e militare dell’area fle- grea. Anche le vestigia d’età classica ritrovate durante gli scavi per le fondamenta della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, del convento francescano di San Bonaventura a Santa Maria Capua Vetere (dal 1677) 11 e del- la chiesa di Santo Stefano a Capri 12 furono ricoperte solo dopo essere state accuratamente rilevate. Infi- ne, nel 1689, durante gli scavi di una cava nell’area vesuviana, Picchiatti non solo identificò una villa

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9FRANCESCO ANTONIO PICCHIATTI E L’ARCHITETTURA CLASSICA

Luigi Abetti

Francesco Antonio Picchiatti e l’architettura classica: i ‘restauri’ dei palazzi Ruffo e Grasso

Quando si parla di classicismo o più in generale di rapporto con l’antico si parla di un modello non uni-voco, contraddistinto da una vastità di intrecci culturali, simbolici, politici ed economici che possono va-riare anche all’interno della medesima epoca. Secondo Gianfranco Spagnesi tutte le riproposizioni del lin-guaggio classico successive al 1750, dal Neoclassicismo ai revivals ottocenteschi, “debbono essere consi-derati come manifestazioni espressive che muovono da una cultura profondamente diversa: l’imitazionee la citazione, mai l’invenzione […], ripetendo forme ritenute archetipe di una classicità ideale, assuntacome unico canone estetico. Questa è la qualità intrinseca che distingue queste ultime manifestazioni delclassicismo da tutto quanto era accaduto anche molto tempo prima”1 ivi compreso il classicismo seicen-tesco, cioè quando ancora gli architetti miravano ad una conoscenza filologica e critica dell’antico, il cuiesito era una visione soggettiva della civiltà classica dato che ognuno estraeva da quel linguaggio una opiù parole rinnovando così la sintassi. Senza entrare nel merito della questione, basti pensare che quelladi Spagnesi è una posizione che rappresenta l’acme di quella revisione storiografica che ha spezzato quel-le omogeneità direzionali che avevano rese normative alcune espressioni e realizzazioni architettonicheche hanno visto per troppi anni semplificate contrapposizioni tra età, artisti e correnti. Questa revisioneè indispensabile anche per intendere il rapporto tra Francesco Antonio Picchiatti (1614-1694)2 e l’architetturaclassica. Come ho sottolineato3, Picchiatti iunior oltre a rappresentare se stesso fu anche erede della scuo-la dei regi ingegneri, vale a dire di una lunga e sedimentata tradizione architettonica che, in ambito na-poletano e per il periodo di nostro interesse, ha le sue radici con il progetto di Palazzo Reale, la nuovasede dei viceré ideata e iniziata nel 1600 da Domenico Fontana ingegnere maggiore del regno dal 1596al 1607; suoi successori furono il figlio Giulio Cesare, ingegnere maggiore dal 1607 al 1627, BartolomeoPicchiatti in carica dal 1627 al 1643, Onofrio Antonio Gisolfo e, appunto, il Nostro dal 1656 al 16944.Ciò vuol dire che nella sua definizione concettuale di antico, oltre allo studio della trattatistica antica, mo-derna e contemporanea, ai soggiorni nell’Urbe5, alle campagne di scavo e all’esempio di pulizia formalecui l’aveva ricondotta Donato Bramante e i suoi epigoni, giocò un ruolo di fondamentale importanza lalezione dei Fontana e del padre Bartolomeo. Non a caso quando Gisolfo, preoccupato della possibile asce-sa di Cosimo Fanzago al rango di ingegnere maggiore, inviò la nota relazione alla Regia Camera della Som-maria non solo definì il bergamasco vassallo della Serenissima e “inabile” tanto nell’architettura milita-re quanto in quella civile, ma soprattutto lo apostrofò come “distruttore delle regole et inventore di nuo-ve chimere e schisme”6. Dal momento che anche la produzione fanzaghiana rivela l’elaborazione di uncodice linguistico di matrice classicista7, Gisolfo non faceva altro che rivendicare un primato che spetta-va alla scuola dei regi ingegneri8, vale a dire ad una sorta di ‘detentori ufficiali’ del linguaggio classico adot-tato dal potere assoluto per essere riconosciuto a livello internazionale come padrone del passato e nelpresente. Una politica culturale questa che affonda le radici nella cosiddetta rinascenza carolingia9. Sull’interesse di Picchiatti per l’antico non vi sono dubbi. Sappiamo che durante gli scavi per le fonda-menta dell’obelisco di San Domenico Maggiore eseguì il rilievo di un tratto delle mura greche con gli sti-piti della Porta Cumana10 e, presumibilmente, studiò le opere di ingegneria civile e militare dell’area fle-grea. Anche le vestigia d’età classica ritrovate durante gli scavi per le fondamenta della chiesa di Sant’Agostinoalla Zecca, del convento francescano di San Bonaventura a Santa Maria Capua Vetere (dal 1677)11 e del-la chiesa di Santo Stefano a Capri12 furono ricoperte solo dopo essere state accuratamente rilevate. Infi-ne, nel 1689, durante gli scavi di una cava nell’area vesuviana, Picchiatti non solo identificò una villa

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1. Frontespizio deltestamento a stampadi Fabrizio Ruffo1692incisioneNapoli, Archivio di Stato

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appartenuta a Pompeo, ma fu in grado di stilareuna perizia stratigrafica testimoniata da una lettera,menzionata dal Bianchini, che l’ingegnere maggioreinviò al matematico romano Adriano Aviano13.Strettamente connessa all’interesse per la civiltà clas-sica è l’attività di collezionista tanto da meritarel’epiteto di “perfetto antiquario”14, a dimostrazionedelle competenze e dell’autorevolezza raggiunta inambito locale e che può essere alla base degli in-terventi di ‘restauro’ di alcune residenze di fon-dazione quattrocentesca e cinquecentesca15. Dalmomento che lo studio e l’interesse dell’antico s’in-treccia con l’inclinazione al collezionismo riportoun inedito documento del 1675 dove Maria Capecevende a Picchiatti “medaglie antiche di rame ar-gento e pietre intagliate [cammei e sigilli] e libri”16.Questa polizza attesta nello stesso tempo quantofosse diffuso l’interesse per la numismatica, la sfra-gistica e la glittica nel Seicento napoletano ecome Picchiatti si procurava, visti gli impegni e l’etàpiuttosto avanzata, gli oggetti destinati alla sua rac-colta17 o a quelle dei suoi committenti anche sen-za spostarsi dalla capitale, com’è stato giustamenteipotizzato da Joachim Meyer18. Gli interventi nei palazzi Ruffo di Bagnara a via Me-dina e Grasso a San Paolo Maggiore furono direttaconseguenza del terremoto del 5 giugno 168819. Èindubbio che in entrambi i casi si trattò di inter-venti dettati da ragioni statiche, caratterizzati daprovvedimenti di consolidamento, di ricucitura erisarcitura delle lesioni dei muri maestri e di spi-na, di ingabbiamento con catene di ferro, di ri-costruzione dei solai, della realizzazione di sotto-murazioni, controventature e di sostituzione del-le strutture portanti lesionate20, ma è altrettantovero che le nuove inserzioni, soprattutto per pa-lazzo Grasso, furono condotte con grande sensi-bilità in modo da relazionarle al preesistente. Unaprassi che, almeno nel caso di palazzo Grasso, exDe Scortiatis, è strettamente connessa anche allafigura del colto e raffinato Lorenzo Grasso che pro-prio di Picchiatti conservò il rilievo della Porta Cu-mana21. In breve, se nel caso di palazzo Ruffo citroviamo di fronte ad un intervento di consolida-mento, nel secondo, invece, siamo di fronte ad untipo di intervento più articolato: di consolidamento,appunto, ma come vedremo anche di ‘restauro’22,di ammodernamento e di ampliamento.Nel caso di palazzo Ruffo, dopo la puntellatura, il

capo mastro fabbricatore Giacomo d’Adamoprovvide al rifacimento dei solai, ma siccomeCarlo Ruffo contrasse 3250 ducati di debito con ilpiù noto fratello minore Fabrizio è possibile che ilavori riguardarono anche la sostituzione di alcu-ni elementi di piperno (paraste, trabeazioni, cor-nici e quant’altro) che impaginavano la facciata prin-cipale e quelle del cortile23. Questo tipo di inter-vento di consolidamento e sostituzione degli ele-menti lesionati era molto diffuso nel Seicento e mes-so in pratica quando ci si trovava di fronte a palazzidi particolare importanza come dimostra il rifaci-mento della facciata principale di palazzo CapeceGaleota (già Beccadelli) a via Nilo, condotto da Do-nato Antonio Cafaro che si limitò alla sostituzio-ne di alcuni conci di piperno e all’inserimento delportale24. Nel caso del palazzo a via Medina furo-no rimosse “a cagione del tremuolo” parte delle ba-laustre marmoree che appaiono nella veduta di Ales-sandro Baratta del 1629 (fig. 2) e rimesse in ope-ra così come documentato nell’incisione di PaoloPetrini del 171825, dove è palese che il palazzo man-tenne la configurazione cinquecentesca dovuta adun intervento del 1567 circa che, sulla scorta delCelano26, è stato ricondotto a Giovan Francesco diPalma, detto il Mormando27, quando il palazzo ap-parteneva a Filippo della Noja principe di Sulmona.Come attesta l’incisione di Petrini la facciata era im-postata su due registri d’ordine gigante, ciascunoincludeva due piani, separati da una fascia marca-piano costituita da una trabeazione con fregio li-scio nella parte mediana, tre tenie sottostanti e cor-nice con dentelli nella parte superiore, che si ri-peteva negli architravi di finestre e balconi e cheritroviamo in tutte le opere dei Mormando, sia diGiovanni Donadio, sia di Giovan Francesco. Unacifra stilistica, quella dei Mormando, facilmente ri-conoscibile e destinata a ‘fare scuola’ per tutta ladurata del Cinquecento. Le finestre dell’ammezzatoe del primo piano nobile sono caratterizzate da cor-nici continue interne che di norma piegavano a 90°.L’altro elemento caratterizzante è il rivestimento abugnato del primo registro, in soluzione angolaree in corrispondenza del basamento delle finestre edel portale. Il leggero chiaroscuro dell’incisione diPetrini potrebbe indicare la possibile commistio-ne tra bugnato rustico (paraste angolari e basa-mento) e bugnato liscio (ornie delle aperture). Ele-menti questi che presentano più connessioni con

la cultura architettonica che contraddistingue la pri-ma fase del cantiere di palazzo Orsini di Gravina(1513-1549)28. Sul fatto che l’incisione raffiguri ilpalazzo di via Medina non vi sono dubbi; come hogià dimostrato, il titolo di duca di Bagnara toccòa Carlo e ai suoi discendenti e non al fratello Fa-brizio29, il quale nell’incisione che lo ritrae si fre-gia dei titoli di capitano dell’Ordine gerosolimita-no e di priore di Bagnara e Capua (fig. 1). A que-ste semplici, ma per allora serie questioni d’etichettava aggiunto il passo della relazione del 1744 di LucaVecchione dove oltre all’importanza del sito è op-portunamente sottolineata la bellezza della mo-numentale facciata principale “ben compartita e or-nata di piperni, di buona simetria”. Per completezzasegnalo che il palazzo fu completamente trasformatoda Ferdinando Fuga e non da Picchiatti nella se-conda metà del Settecento su committenza deid’Aquino, principi di Caramanico30. Per l’alzatoFuga utilizzò lo stesso sistema proporzionale di DiPalma, un reticolo modulare fondato sul quadra-to che determina i rapporti proporzionali tra pri-mo e secondo registro (fig. 3). Le modifiche con-dotte da Fuga riguardarono anche la distribuzio-ne degli ambienti intorno al cortile, dato che nel ri-lievo ottocentesco (fig. 4) anche il lato a monte èchiuso, quando sappiamo che nei palazzi del Cin-quecento c’era solitamente una loggia-porticato chedivideva il cortile principale dal giardino, che in talcaso è visibile nella veduta Baratta. Più complesso, invece, l’altro intervento inerentel’ex palazzo De Scortiatis a San Paolo Maggiore,

passato intorno al 1668 dal collezionista ed erudi-to Marino Cortese marchese di Rotondi31 al giuri-sta ed accademico ozioso Lorenzo Grasso (1632[?]-post 1691)32, per il quale Picchiatti ammodernò an-che la residenza baronale del casale di Pianura. Sitratta del palazzo a vico Cinquesanti 23 che ap-partenne a Giulio De Scortiatis, luogotenente delGran camerario della Regia Camera della Sommariadal 1484 al 1486. Celano, prima, e Luigi Catalani,poi, riportano che un intervento di restauro fu ese-guito alla fine del Seicento su commissione dei Gras-so, proprietari del palazzo fino al 184533. In effet-ti le nuove acquisizioni permettono con certezza didatare l’inizio dei lavori al 168934, quando a seguitodei danni provocati dal sisma di un anno prima Pic-chiatti assunse la direzione dei lavori fino al 1691.Se il capo mastro fabbricatore Carlo Airone fu oc-cupato nell’agganciare le catene di ferro, nel rin-forzo delle fondamenta, nel rifacimento dei solaie delle coperture; il mastro piperniere Alessio Vi-tolo fu impegnato nei lavori di piperno che ri-guardarono l’intero edificio e, soprattutto, il cor-tile principale che a quanto pare fu irrimediabil-mente danneggiato. Dopo i danni dell’ultimo con-flitto mondiale e la successiva demolizione delle fab-briche restano soltanto l’importante portale prin-cipale, costruito su commissione di De Scortiatis,

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2. AlessandroBarattaFidelissimae urbisneapolitanae cumomnibus viisaccurata et novadelineatio1629particolare conpalazzo RuffoCaramanicoNapoli, Galleria diPalazzo ZevallosStigliano

3. Napoli, palazzoRuffo Caramanicofacciata principale

e in asse a questo, una teoria di archi a tutto sesto.Prima della demolizione del 1961 era ancora pos-sibile vedere la configurazione assunta dal palaz-zo dopo le trasformazioni seicentesche e sette-centesche (sopraelevazione di almeno un piano echiusura dell’ala di testata). Al centro vi era il cor-tile a pianta quadrata caratterizzato su ogni lato dauna teoria di tre archi a tutto sesto ritmati da pa-raste doriche e concluse da una fascia di trabeazionecon fregio suddiviso da metope e triglifi. La diffe-renza stilistica degli impaginati del cortile rispet-to al portale (fig. 5) è lampante dal momento chesono il risultato di due distinte fasi, quattrocente-sca e seicentesca, contraddistinte sì dal recupero del-l’antico, ma concettualmente e tecnicamente di-verse35. Attualmente, sulla configurazione originariadel cortile non vi sono dati anche se è possibile chequello di Picchiatti ricalcasse lo schema in piantae alzato di quello preesistente. Più problematica in-vece appare la ricostruzione della parete di testa-ta del cortile, in asse al portale, che mascherava ungiardino pensile attestato dalla Mappa di Giovan-ni Carafa duca di Noja (1750-1775) e dai lavori in-trapresi nel 1668, quando il palazzo passò aiGrasso36. Tuttavia, è un dato di fatto che il cortilea lavori ultimati era chiuso su tutti i lati e impian-tato su un sistema proporzionale di nove modulia pianta quadrata con tre campate per lato cosìcome appare nella ricostruzione di Italo Ferraro37.Il terremoto in realtà fu l’occasione per costruireun cortile ex novo e due nuove ali laterali, quellaverso il ritiro del Sacro Tempio della Scorziata38 el’antistante, mentre in corrispondenza del lato inasse al portale principale, al di sopra della teoria diarchi, fu ricavata una loggia. Picchiatti progettò leteorie di archi del piano terra su cui furono alzatii ‘quarti’ dei piani superiori così come appaiono nel-le foto d’epoca pubblicate da Ferraro, chiudendola corte su tre lati; il quarto, invece, fu innalzatodopo il 1750. Credo che possa essere ascritta al Pic-chiatti anche l’inclusione delle finestre del piano am-mezzato, poi modificate in balconi, con la cornicetangente al sesto dell’arco. Soluzione questa che fudesunta dalle campate terminali e interne della fac-ciata principale di Palazzo Reale, dove anche il si-stema costruttivo è identico: sezioni di piperno au-toportanti che opportunamente intagliate com-pongono l’arco a tutto sesto (figg. 6-8).Nel caso di palazzo Grasso è ancora più evidente il

modo di rapportarsi di Picchiatti con l’architettu-ra classica, che rielaborata in modo personale è difatto filtrata dall’esperienza bramantesca; dato cheè all’Urbinate che si deve “la precisazione definiti-va di alcuni caratteri lessicali”39, a cominciare dal-l’ordine dorico che doveva essere sormontato da unarchitrave con fregio ritmato da triglifi con tanto diregula e sottostanti gocce (fig. 9). A questo puntoil ‘gioco’ dei prestiti e delle derivazioni sembrereb-be arrestarsi, a meno che non lo considerassimoun’attivazione legata ad una specifica tradizione ar-chitettonica che, in ambito locale, fa capo alla scuo-la dei regi ingegneri40 ed in primis a Domenico Fon-tana, giunto nella capitale vicereale nel 1593 dopoaver contribuito nella città eterna all’affermazionedel cosiddetto “stile Sisto V” (1585-1590)41. Ciò si-gnifica che nella tradizione dell’architettura localeirruppe quello che Sandro Benedetti ha definito“processo di semplificazione monumentalizzante”il cui manifesto romano è il Palazzo Lateranense,mentre quello napoletano è la facciata principale eil Cortile d’Onore di Palazzo Reale, dove oltre al si-stema delle proporzioni più allungate42 (si osservi-no a tale proposito le campate del primo registro)si riscontrano una serie di soluzioni che sia morfo-logicamente sia sintatticamente risultano del tuttonuovi. È il caso della doppia cornice interna dei bal-

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4. Pianta del pianoterra di palazzoRuffo Caramanico1851Napoli, Archivio di Stato

coni codificata nelle finestre del Palazzo Lateranensee replicata nei balconi di Palazzo Reale (mensole etimpani inclusi) e il modo di innestare i triglifi nelfregio dell’ordine dorico, per il quale, a propositodella Loggia delle Benedizioni, Benedetti osserva“che non scandiscono più in modo uniforme lo spa-zio del fregio, ma sono declassati a strumento di ver-ticalizzazione, onde legare le paraste alla cornice so-prastante; verticalizzando così l’impaginato deidue ordini sovrapposti. Con l’ulteriore eterodossascelta di giuocare liberamente nell’addensamento deitriglifi; creando un vero ‘terremoto’ nelle cadenze,col disporre – quasi attaccati – due triglifi sopra ogniparasta (quattro nelle paraste angolari) e svuotan-do lo spazio tra le paraste, facendovi ‘galleggiare’ unsolo triglifo sull’asse”43. Utilizzo, quest’ultimo, cheappare in modo semplificato nei fregi di palazzoGrasso e in modo letterale nel fregio della facciataeffimera di Santa Chiara. Si tratta, dunque, di un ar-ticolato sistema di relazioni sintagmatiche destina-te a fissare la tradizione che, al di là di Picchiatti ju-nior, troverà immediato riscontro nel chiostro di San-

t’Agostino alla Zecca, il cui ideatore, in base ai datiattuali, potrebbe essere Giovan Giacomo Confor-to o Picchiatti senior44. Per cui, non sorprende che, nonostante l’indiscu-tibile pulizia formale, Picchiatti offrì una versionepersonale dei ‘canoni’ bramanteschi e sangalleschi;si osservino il riempimento degli incavi semicirco-lari delle scanalature delle lesene di palazzo Gras-so, leit-motiv del Barocco napoletano solitamenterisolto con marmi policromi e intarsiati, e soprattuttol’articolazione delle basi che sono il risultato dellacommistione tra l’ordine tuscanico e ionico, nel sen-so che dopo il plinto e il toro del tuscanico sono in-seriti la scozia e il toro superiore proprio dell’ordi-ne ionico, come lo stesso Picchiatti aveva fatto anniaddietro per le basi delle paraste della facciata delPio Monte della Misericordia, dove però inserì, se-condo le indicazioni del Vignola per il tuscanico, an-che il listello all’innesto dell’imoscapo. Analogamenteanche per il sistema proporzionale delle campate atutto sesto il punto di partenza è costituito dal ri-mando all’architettura romana, all’esempio bra-mantesco delle campate del chiostro di Santa Ma-ria della Pace a Roma45 e a quelle della Loggia del-le Benedizioni del Palazzo Lateranense. Nel caso dipalazzo Grasso le tre campate di ciascuna ala era-no (e in parte sono) inscritte in altrettanti quadra-ti, che così proporzionano anche il cortile, il tuttocon un perfetto rapporto di 1:1, oggi irrimediabil-mente perduto. Dalla suddivisione in dodici partidel modulo generatore si ottiene la griglia a magliaquadrata che determina le relazioni proporzionalidi tutti gli elementi (basi, lesene, e architrave ritmatoda metope e triglifi). Inoltre, suddividendo in due

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5. Napoli, palazzoDe ScortiatisGrassoportale principale

6. Napoli, palazzoDe ScortiatisGrassoparticolare conl’impaginato delcortile

parti il quadrato di ciascuna campata, si ottengonodue rettangoli tangenti in corrispondenza dell’im-posta degli archi: quello inferiore conteneva gli in-gressi alle stalle e alle rimesse e quello superiore, in-vece, conteneva le finestre dei “mezzani”, solitamenteriservati alla servitù. Non c’è dubbio che dalle cam-pate di Palazzo Reale a quelle di palazzo Grasso sipassava da una dimensione monumentale dell’an-tico ad una ‘vivibile’, privata, il cui modello era ov-viamente la produzione palladiana che fu attivata inmodo originale, tanto da risultare irriconoscibile. Co-m’è stato accennato, l’intervento di palazzo Gras-so, oltre che dalla messa in sicurezza dell’esistente,fu caratterizzato da rifacimenti (solai e muri), am-pliamenti (almeno due ali) e ammodernamenti(cortile), ciò significa che i danni strutturali furononotevoli tanto da rendere verosimile anche un pri-mo smontaggio e rimontaggio del portale principalesegnato dall’anomalo innesto delle colonne latera-li (forse provenienti da una loggia o dal cortile pree-sistente), già osservato da Roberto Pane46. Infine, restano da segnalare le connessioni tra ar-

chitettura effimera e permanente. Di Picchiatti iu-nior sono noti gli apparati del 1666 progettati perle esequie di Filippo IV47 dove si trovano diverseanticipazioni di quanto avrebbe realizzato nella re-sidenza dei Grasso. Infatti, sia nella facciata effimeradella chiesa di Santa Chiara (fig. 10) che nell’im-paginato del catafalco del sovrano compare al di so-pra delle colonne doriche la canonica trabeazionecon fregio suddiviso in metope e triglifi che, ancorauna volta, fu direttamente desunta dal sistema gram-maticale codificato da Fontana e rilanciato da Pic-chiatti. Infatti, a Palazzo Reale, negli apparati e ne-gli impaginati di palazzo Grasso la successione goc-ce, tenia, triglifi, gocce, sottocornice e cornice è iden-tica; nei primi due casi dimensione monumentaleinclusa. All’inverso dagli stipiti del portale di pa-lazzo Grasso (figg. 11-12) e da quelli di Porta Ca-puana (figg. 13-14)48, Picchiatti colse i suggerimentiper mettere insieme le decorazioni con trofei e in-segne militari, simboli del potere assoluto, che com-paiono nel catafalco di Filippo IV. Gli stessi insie-mi di trofei li ritroveremo nei monumenti funebri

15FRANCESCO ANTONIO PICCHIATTI E L’ARCHITETTURA CLASSICA

7. Napoli, PalazzoReale, facciataprincipaleparticolare di unadelle campate dichiusura

8. Napoli, PalazzoReale, cortileprincipaleparticolare

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di Giovan Tommaso Blanc in San DomenicoMaggiore, messo in opera tra il 1672 e il 1675 daAndrea Falcone49, e in quello dei cardinali Fran-cesco Maria e Stefano Brancaccio nella chiesa diSant’Angelo a Nilo realizzato tra il 1686 e l’annosuccessivo da Bartolomeo e Pietro Ghetti, sempresu ideazione di Picchiatti50. Come abbiamo avuto modo di vedere quello di Pic-chiatti con l’antico fu un rapporto complesso siaper le ormai sedimentate tradizioni interregiona-li, sia per l’idea che gli artisti del Seicento poteva-no avere dell’antico. Come ingegnere maggiore delregno negli apparati per le esequie di Filippo IV fuattentissimo alle regole del linguaggio classico dalmomento che non inserì i dentelli sotto la cornicedella trabeazione dorica, ricorse alla canonica so-vrapposizione degli ordini e soprattutto applicò l’in-derogabile insegnamento del vuoto su vuoto e delpieno su pieno. Eppure, nonostante ciò, nella fac-ciata effimera di Santa Chiara non esitò al raddoppiodei triglifi, all’inserimento del portale con il sestopendulo, destinato ad avere grande fortuna nel se-colo successivo, e ricorse ad un sistema decorati-vo in linea col gusto del tempo (volute, punte lan-ceolate, vasi, rosoni, ecc.). Quest’atteggiamento, che

oscilla tra due poli apparentemente opposti (fun-zionale-tettonico e decorativo-non tettonico), si ri-specchia nella sua raccolta, una vera e propria Wun-derkammer, dove accanto agli artificialia vi erano“diverse cose naturali stravaganti”, vale a dire i na-turalia e tutti quegli oggetti che, per essere diffi-cilmente classificabili, venivano letti in chiave er-metica per accedere ai misteri del cosmo. Tra que-sti vanno considerati anche gli oggetti provenien-ti dalle campagne di scavo condotte nella regionedove potevano affiorare anche reperti appartenu-ti alle altre popolazioni pre-romane e mi chiedocome avrebbe reagito il Nostro davanti ad un ma-nufatto sannita dal momento che l’archeologia eraben lungi dall’essere una scienza storica? Certo laconoscenza dei testi, dei manoscritti, delle stampe,dei cammei, dei reperti archeologici e dei natura-lia che formavano le sue raccolte sarebbe di nonpoco aiuto per la decodificazione del suo sistemaconcettuale che rivela una ricchezza di pensieri, diimmagini e soprattutto la capacità di attingere in-differentemente da tutta la tradizione architettonicasenza la quale sarebbe stato impossibile l’elabora-zione di un personale codice linguistico e di gui-dare la fase di transizione dal pieno al tardo Barocco.

9. Napoli, palazzoDe ScortiatisGrassoparticolaredell’impaginato del cortile

10. Federico PescheMondo Celestein MarcelloMarciano, Pompefunebri dell’Universonella morte diFilippo IV [...],Napoli, EgidioLongo 1666particolare

FRANCESCO ANTONIO PICCHIATTI E L’ARCHITETTURA CLASSICA 17

13-14. NapoliPorta Capuanaparticolari con irilievi degli stipiti

11-12. Napolipalazzo De Scortiatis Grassoportale principaleparticolari con irilievi degli stipiti

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1 G. Spagnesi, Progetto e architet-ture del linguaggio classico (XV-XVIsecolo), Milano 1999, pp. 26-27.2 La bibliografia sull’attività diPicchiatti è vasta; pertanto si rinviaai contributi più significativi: B. DeDominici, Vite de’ pittori, scultoried architetti napoletani [1742-1743], ed. a cura di F. Sricchia San-toro e A. Zezza, II/2, Napoli 2008,pp. 736-745 (biografie di Pic-chiatti, Gennaro Sacco e ArcangeloGuglielmelli con introduzione enote di commento di Fabio Spe-ranza); R. Pane, Architettura dell’etàbarocca, Napoli 1939, pp. 125-132; F. Strazzullo, Architetti e in-gegneri napoletani dal ’500 al ’700,Napoli 1969, pp. 267-301; R. Mor-mone, Architettura a Napoli 1650-1734, in Storia di Napoli, VI, Na-poli 1970, pp. 1108-1117; A. Blunt,Neapolitan Baroque & Rocòco Ar-chitecture [London 1975], ed. it.Architettura barocca e rococò a Na-poli, a cura di F. Lenzo, Milano2006, pp. 127-129, aggiornamentoa pp. 297-299; G. Cantone,Napo-li barocca, Roma-Bari 1992, pp.150-166, 221-224; infine, A. Gam-bardella, Le opere di FrancescoAntonio Picchiatti nelle chiese diNapoli, Napoli 2004.3 L. Abetti, Architetti e maestranzedel Seicento napoletano dai docu-menti dell’Archivio Storico dell’Isti-tuto Banco di Napoli-Fondazione(I), in Quaderni dell’Archivio Stori-co. 2009-2010, Napoli 2012, pp.41-75.4 F. Strazzullo, Edilizia e urbanisti-ca a Napoli dal ’500 al ’700, Napoli19952 (1968), p. 34.5 Come quello del 1659 attestatodal Diario di Alessandro VII; cfr. D.Del Pesco, Napoli, capitale del vi-ceregno, in L’architettura del Sei-cento, Torino 1998, p. 248.6 F. Strazzullo,Architetti e ingegneri,cit., pp. 183-184, doc. III. È pos-sibile che la relazione sia successi-va al 1645, probabile anno dellaconcessione a Cosimo Fanzagodella carica di ingegnere maggioredel Regno, e sia alla base della suc-cessiva revoca avvenuta prima del1653; per tale aspetto si rimandaunicamente a F.A. Fiadino, CosimoFanzago ingegnere maggiore delRegno di Napoli e la sua attività nelPalazzo Reale (1649-1653), in

“Opus”, 6, 1999, pp. 351-376.7 Cfr. G. Cantone, Napoli barocca eCosimo Fanzago, Napoli 1984; Ivi,pp. 59-107.8 Sul concetto di “scuola” cfr. S. Be-nedetti, Fuori dal classicismo. Sin-tetismo, Tipologia, Ragione nel-l’architettura del Cinquecento,Roma 1984, che a p. 137 già sot-tolineava l’esigenza di “sottrarre daldisdegno critico le opere e gli au-tori che pur non avendo determi-nato grandi cambiamenti nel pa-norama stilistico, hanno contri-buito a determinare una civiltà ar-chitettonica, modificando arric-chendo e sviluppando nel tempo,ciascuno con la propria identitàcreativa, alcune conquiste. Questosignifica lavorare con attenzione siasulle singolarità che sulle perma-nenze presenti nelle singole ‘scuo-le’ artistiche; sviluppando la ri-flessione continuità-novità a parti-re dal ceppo di una tradizione re-lativamente rivissuta”. 9 Cfr. H. Pirenne, Mahomet etCharlemagne [Paris-Bruxelles1937], ed. it. Maometto e Carlo-magno, con prefazione di O. Capi-tani, Roma-Bari 19764, pp. 266-274.10 C. Celano,Notizie del bello, del-l’antico e del curioso della città diNapoli [1692], con aggiunte diG.B. Chiarini del 1856-1860, ed.consultata a cura di A. Mozzillo, A.Profeta e F.P. Macchia, II, Napoli1970, pp. 675-676.11 “Nel cavarsi i Fondamenti siscoprirono molte antichità dellavecchia Capoa, e di giorno in gior-no se ne scuoprono altre. Nell’Or-to dalla parte di mezzogiorno si tro-vò una stanza lavorata, ma senzaporta, con molte Nicchie attorno;loche fe credere servisse ad uso disepoltura. Anche nell’anno 1696[Picchiatti muore due anni pri-ma], in cavarsi la cantina si trova-rono molti Archi tutti fabbricati dimattoni, quali davano l’adito ad unlungo cammino sotterraneo, sempresostenuto da’ medesimi Archi […]”(Casimiro di S. Maria Maddalena,Cronica della Provincia de’ MinoriOsservanti Scalzi di S. Pietro d’Al-cantara nel Regno di Napoli, I, Na-poli 1729, p. 199).12 R. Pane, Capri. Mura e volte, Na-poli 19652 (1954), pp. 58-60.13 Cito da I.M. Iasiello, Il collezio-

nismo di antichità nella Napoli deiViceré, Napoli 2003, pp. 196-197 enota 544. 14 B. De Dominici, op. cit., III, p.739 e nota 4. Non a caso l’attivitàdi collezionista fu la prima carat-teristica ad essere sottolineata daisuccessivi biografi come FrancescoMilizia, primo dichiarato avversa-rio dell’architettura del Seicento, eCamillo Napoleone Sasso, mentre,anche per l’inesattezza e la man-canza di dati, tutto il resto passa-va in secondo piano. Ovviamentela conoscenza di tutta la produ-zione del Nostro, inclusi gli inter-venti qui riportati, non gli avreb-bero risparmiato quel biasimo cheMilizia riservò ai maggiori architettiitaliani, classicisti e non (cfr. F. Mi-lizia, Memorie degli architetti anti-chi e moderni [1785], II, Sala Bo-lognese 1978, p. 202 [F.A. Pic-chiatti]; C.N. Sasso, Storia de’ mo-numenti di Napoli e degli architet-ti che gli edificavano dallo stabili-mento della Monarchia, sino ai no-stri giorni, I, Napoli 1856, pp.353-354 [F. Picchiatti, G. Sacco, A.Guglielmelli e D. Lazzari]). Segnaloche entrambi gli autori non feceroaltro che ricopiare le Notizie di DeDominici.15 In questo tipo di interventi po-trebbe rientrare anche la stima deidanni che Picchiatti stilò nel set-tembre del 1657 per la casa “pic-cola” a strada Toledo di Mariannade Tappia, danneggiata dall’allu-vione del 1656 in corrispondenzadelle fondamenta, delle botteghe delpiano terra e della scala principale.Lavori che, tra il 1658 e il 1667, fu-rono eseguiti dall’architetto e tavo-lario Onofrio Tango. Per inciso, lacasa “piccola”, poi demolita con lamessa in opera del piano di ‘boni-fica’ del Rione Carità, era quella con-finante con la strada ‘Baglivo Uries’per la quale Gaetano Filangieripubblicò una serie di documenti ri-salenti al 1566-1567 che consento-no di attribuire l’edificazione dellaresidenza a Giovan Francesco DiPalma detto il Mormando; cfr. Do-cumenti per la storia, le arti e le in-dustrie delle province napoletane, acura di G. Filangieri di Satriano, V,Napoli 1883, pp. 18, 115, 340; VI,Napoli 1891, p. 327; invece, per lafigura e l’opera di Di Palma si ri-

manda a B. De Dominici, op. cit., I,Napoli 2003, pp. 569-583 (biogra-fia con introduzione e note di com-mento di F. Speranza); A. Blunt, op.cit., pp. 40-42. Infine, per l’apprez-zo cfr. Archivio di Stato di Napoli,Corporazioni religiose soppresse,Certosa di San Martino, 2209,53/100 (segnatura antica), Diversenote di denaro pagato alla Contessadel Vasto della Casa piccola di Tole-do, e de pagam(en)ti da lei fatti alMon(aster)o; già cit. in D. Marghe-rita, La strada di Toledo nella storiadi Napoli, Napoli 2006, pp. 70-71;poi L. Abetti, I palazzi nobiliari di viaToledo nelle fonti d’archivio, in“Scrinia. Rivista di archivistica, pa-leografia, diplomatica e scienze sto-riche”, 1-3, 2008, p. 170. 16 Cfr. infra l’appendice, doc. 1.17 B. De Dominici, op. cit., III, p.739 e nota 3; I.M. Iasiello, op. cit.,pp. 188-196.18 J. Meyer, Le Vite di Bernardo DeDominici e il disegno napoletano, inRicerche sul ’600 napoletano. Sag-gi e documenti.1999, Napoli 2000,p. 45.19 Cfr. E. Nappi, Il terremoto inCampania attraverso i secoli. Brevecronaca e notizie d’archivio sui ter-remoti in Campania dall’età roma-na ai nostri giorni, Napoli 1981. 20 Per gli eventuali approfondi-menti sulle tecniche costruttivedel tempo si rimanda a Muraturetradizionali napoletane. Cronologiadei paramenti tra il XVI ed il XIXsecolo, a cura di G. Fiengo e L.Guerriero, Napoli 1999; M. Russo,Note sulle tecniche costruttive na-poletane nell’età del viceregno spa-gnolo, in Atlante delle tecniche co-struttive tradizionali. Lo stato del-l’arte, i protocolli della ricerca. L’in-dagine documentaria, atti del I e IIseminario nazionale (Aversa, 22gennaio 2001; Agerola-Amalfi, 21-23 settembre 2001), a cura di G.Fiengo e L. Guerriero, Napoli2003, pp. 216-228.21 La notizia è stata riportata da N.Carletti, Topografia universale del-la città di Napoli, Napoli 1776, p.108, n. LXXIX (“Allorché il cele-bre architetto C. Fanzaga inventordell’Obelisco ne determinò la su-struzione, nel cavamento della fon-dazione fu incontrato l’antichissi-mo muro della Città vecchia, con

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gli stipiti, e parte dell’arco della Por-ta Cumana. Quelli notabilissimi ru-deri, in oggi sepolti fotto del pianoattuale della Città, furon ricono-sciuti da molti accurati Stimatoridelle antichità nostre; e ci assicurail Celano, che anche il Picchiatti, fa-moso architetto di quel temponon solo minutamente gli osser-vasse ma che ne formasse de’ pre-giatissimi disegni e quelli ci fu as-sicurato esser gli stessi, che noi nel-l’anno 1744 vedemmo conservaticon molta gelosia nel bellissimoMuseo del Grassi Conte di Pianu-ra”). Cfr. anche G. Cantone,Gugliee fontane di Cosimo Fanzago (I), in“Napoli nobilissima”, III s., XIII,1974, p. 57, nota 70.22 Cfr. G. Fiengo, Istanze di con-servazione dell’antico nella Cam-pania dell’età barocca, in Restaurotra metamorfosi e teorie, a cura diS. Casiello, Napoli 1992, pp. 65-90.23 L’attribuzione dell’intervento èstata fatta da L. Abetti, I palazzi no-biliari di via Medina a Napoli, in Re-sidenze nobiliari. Italia meridionale,a cura di M. Fagiolo, Roma 2009,pp. 63-71, intervento che è stato ri-costruito sulla base delle polizzepubblicate da R. Lattuada, La ri-costruzione a Napoli dopo il terre-moto del 1688. Architetti, commit-tenti e cultura del ripristino, in Con-tributi per la storia dei terremoti nelbacino del Mediterraneo (secc. V-XVIII), a cura di A. Marturano, Sa-lerno 2002, pp. 215-216, docc. 1-3.24 Cfr. D. Catello, Il palazzo del Pa-normita in Napoli: analisi storica eprospettive di restauro, in “Napolinobilissima”, IV s., XXXII, 1993,pp. 123-142; L. Abetti, La com-mittenza di Giacomo Capece Ga-leota tra il 1672 e il 1680, in Id., Ur-banistica, architettura e commit-tenza a Napoli in età barocca, Roma2012, pp. 97-140. 25 P. Petrini, Facciate delli palazzi piùcospicui della città di Napoli […],Napoli 1718.26 C. Celano, op. cit., III, p. 1407.27 M. Rosi, Rilievi Mormandei, Na-poli 1987, p. 51.28 Cfr. unicamente B. Gravagnuo-lo, Palazzo Orsini di Gravina, in Ilpatrimonio architettonico dell’Ate-neo Fridericiano, a cura di A. Frat-ta, I, Napoli 2009, pp. 147-172.29 Cfr. L. Abetti, Il palazzo napole-

tano di Fabrizio Ruffo, in Residen-ze nobiliari, cit., pp. 72-74.30 La conferma è in P. D’Antonio,Nuove acquisizioni per edifici civilidi Ferdinando Fuga a Napoli, in“Napoli nobilissima”, III s.,XXXVI, 1997, pp. 111-118.31 Cfr. infra l’appendice, doc. 2.32 C. Celano, op. cit., II, p. 709, chesottolineava le competenze delGrasso in araldica e materia feu-dale; e poi B. De Dominici, op. cit.,III, p. 111 e nota 81 di A. Zezza.33 C. Celano, op. cit., II, p. 709, ri-porta: “Questa dal detto Lorenzo èstata rifatta ed abbellita, ponendo-vi l’iscrizione ‘Siste, viator, etc.’”; L.Catalani, I palazzi di Napoli [1845],ed. consultata Napoli 1969, p. 48.34 Cfr. infra l’appendice, docc. 3-15.35 R. Pane (Il Rinascimento nel-l’Italia meridionale, I, Milano 1975,p. 212) data il portale (colonne la-terali escluse) alla fine del Quat-trocento e gli archi del cortile ametà Cinquecento. 36 Cfr. doc. 1.37 I. Ferraro, Napoli. Atlante dellacittà storica. Centro Antico, Napo-li 2002, p. 232, che nella nota 12estende l’intervento cinquecente-sco, ipotizzato da Pane per l’inne-sto delle colonne del portale, anchealla messa in opera dell’impagina-to di piperno del cortile.38 Cfr. R. Ruotolo, Ritiro della Scor-ziata, in Napoli Sacra. Guida allechiese della città, VIII, Napoli 1994,pp. 492-493; G. Boccadamo, “Or-dinationi et Regole” del Sacro Tem-pio della Scorziata, in Archivio per lastoria delle donne, a cura di A. Va-lerio, I, Napoli 2004, pp. 145-166. 39 G. Spagnesi, op. cit., p. 172. 40 Per comprendere l’importanzadella scuola dei regi ingegneri, cfr.F. Strazzullo, Architetti e ingegne-ri, cit.; G. Fiengo, I Regi Lagni e labonifica della Campania felix du-rante il viceregno spagnolo, Firen-ze 1987; D. Del Pesco, op. cit., pp.222-225; L. Abetti, Architetti emaestranze, cit.41 R. Wittkower, Art and Architec-ture in Italy: 1600 to 1750 [Har-mondsworth 1958], ed. it. Arte e ar-chitettura in Italia 1600-1750, To-rino 19932, pp. 11-14.42 Tale osservazione, riferita allaproduzione romana di Fontana, sideve a Guglielmo De Angelis d’Os-

sat in una conferenza tenuta al-l’Istituto di Studi Romani il 9 apri-le 1985 come riportato da G. Spa-gnesi, op. cit., p. 202, nota 6. 43 S. Benedetti, Intorno a Domeni-co Fontana, in Id., Architettura delCinquecento romano, a cura di L.Marcucci, II, Roma 2011, p. 760.44 Per la prima fase del chiostro(1626-1630) sono documentati,quando alla guida del cantiere è at-testato Giovan Giacomo Conforto,un mastro Nicolò in qualità dicapo degli “scarpellini” (identifi-cato con Nicola Carletti) e, dopo il1630, un certo “Agostino inge-gnere” (identificato con il prioreAgostino Francolino). Conforto,com’è noto, morì nel 1630 e al 1632gli agostiniani saldavano il mar-moraro Giuseppe Pelliccia per lerestanti colonne del chiostro (que-sti dati sono stati desunti da V. Rus-so, Sant’Agostino Maggiore. Storiae conservazione di un’architetturaeremitana a Napoli, presentazionedi S. Casiello, Napoli 2002, pp. 96-101); a questo punto è possibile chealla morte di Conforto il chiostrorimase incompiuto per essere poicompletato sotto la direzione delpriore Francolino o, ancora, dopoil 1641, quando alla guida del can-tiere subentrò Bartolomeo Pic-chiatti. In attesa di ulteriori dati chechiariscano la paternità dell’operaè utile soffermarsi sulla differenzastilistica che intercorre tra le co-lonne doriche di marmo bianco diCarrara con doppio collarino mo-danato e la sovrastante teoria di ar-chi a tutto sesto che denuncia unaserie di analogie con il sistemastrutturale e decorativo dell’impa-ginato del Cortile d’Onore di Pa-lazzo Reale (conci di piperno au-toportanti, mascheroni che deco-rano i conci in chiave d’arco e tra-beazione con fregio suddiviso inmetope e triglifi).45 Cfr. J. Summerson, The ClassicalLanguage of Architecture [London1963], ed. it. Il linguaggio classicodell’architettura. Dal Rinascimentoai maestri contemporanei, Torino20022, pp. 17-18, tavv. 16-18.46 R. Pane, Il Rinascimento, cit., p.212.47 Cfr. L. Abetti, Gli apparati per leesequie di Filippo IV, in Id., Urba-nistica, architettura, cit., pp. 141-197;

inoltre, per una lettura completa de-gli apparati, si rimanda a I. Mauro,“Sontuoso benché funesto”. Gli ap-parati per le esequie di Filippo IV aNapoli (1665-1666), in “Napolinobilissima”, V s., IX, 2008, pp.113-130.48 La connessione tra i due monu-menti è già stata colta da R. Pane,Il Rinascimento, cit.49 Cfr. V. Rizzo, Scultori della se-conda metà del Seicento, in Seicen-to napoletano. Arte, costume e am-biente, a cura di R. Pane, Milano1984, p. 374, docc. 10-11; F. Lo-fano, Un episodio di committenzadel Seicento napoletano: AndreaFalcone e i marmi della cappellaBlanc (e il possibile soggetto di undipinto di Rubens), in “Valori Tat-tili”, 0, 2011, pp. 73-85.50 Cfr. V. Rizzo, Ferdinandus San-felicius Architectus Neapolitanus,Napoli 1999, pp. 27-28, 40-41;Id., Ulteriori scoperte sulla scultu-ra napoletana dal Seicento al Sette-cento: da Giulio Mencaglia a Giu-seppe Picano (Documenti ed opereinedite, seconda parte), in Quader-ni dell’Archivio Storico. 2004, Na-poli 2005, pp. 180-184, 191-196,docc. 14-23, 27.

FRANCESCO ANTONIO PICCHIATTI E L’ARCHITETTURA CLASSICA

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Appendice documentaria

1. Archivio Storico del Banco di Napoli, SacroMonte e Banco della Pietà, giornale di cassa,matr. 698, 5 novembre 1675, partita di ducati 240A Francesco Antonio Picchiatti ducati duecentoquaranta, e per lui alla signora Maria Capece acomplimento di ducati duecento settanta sei, equesti sono per il prezzo, e valore de madaglieantiche di rame argento, e pietre intagliate, e li-bri a lui venduti a 4 ottobre 1675 così d’accor-dio fatto tra di loro, e per lei a don Gioacchi-no Portaluni per altritanti a compimento di du-cati ducento settanta sei, con firma in piè di det-to don Gioacchino Portaluni.

2. Ivi, giornale di cassa, matr. 601, 13 agosto1668, partita di ducati 137.3.6 Al magnifico Lorenzo Crasso ducati cento tren-tasette tarì 3.6., et per lui a mastro Giovan Batti-sta Mirabella capo mastro de fabricatori disse sonoper tanti che esso ha speso e con sue liste ne li hadato conto per servitio del suo palazzo sito a SanPaolo Maggiore di questa città che fu dell’illustremarchese delli Rotundi venduto ad istanza de cre-ditori in Sacro Consiglio et ad esso rimasto ad estin-to di candela come più offerente in banca del ma-stro d’atti listo il tutto per riparare mura per farmura nove, refettioni, residii; et altre cose neces-sarie et detti ducati 137.3.6. sono ciò è per cin-quantasette giornate di mastri per nove giorni dibattitura di astrico, et della taglima alla strada percento et ventidue giornate di manipoli per tren-ta cinque salme di calce per quarantasei salme dipietra e tra esse dieceotto dette spaccatoni, pertrenta salme di rapillo per cinquanta due salme dipezzolame per cento e cinque salme di taglima perle strade del giardino, per settecento mattoni dop-pii, e ducento semplici per riparare la volta del-la stalla che minacciava roina, e rifare in altri luo-ghi i mancanti per due tarzenali grandi, uno tra-ve e due travecelli più piccoli per sostegno di al-cune camere, per novanta tegole, e canali per va-rii tufoli e seditori di creta per trentadue salme disfrattatura di sfabricatura per dicedotto salme disfrattatura di cloaca per due licenze di strada, eper tutte è qualsiasi cosa da lui spesa in servitio,riparo, e refettione, ò fabrica nova da lui fatta, èfatta fare nel suo palazzo atteso resta con il pre-sente pagamento appurato il conto sodisfatto leliste è intieramente sodisfatto del tutto in piede viè firma di Giovan Battista Mirabella.

3. Ivi, giornale di cassa, matr. 900, 9 ottobre1688, partita di ducati 891.2.5. Al signor don Lorenzo Crasso ducati ottocentonovanta uno tarì 2.5. e per lui a Carlo Airone ma-stro fabricatore per tanti dà detto Carlo sin’ho-ra spesi per servitio della sua casa palatiata sitaall’incontro delle mura della chiesa, e case di San

Paulo e propriamente attaccata al tempio delleScorziate per causa del danno fatto in detta casadal terremoto socceduto in questa città alli 5 digiugno passato cioè nella compra di diversi le-gnami, corree, travi, borde, ienelle, chiancarelle,stantari, monaci, cavalli, scorse per pontellare, por-tatura di detti legnami, di più carra di calce, inportatura di detta calce, per catene di ferro, et tra-verse, cioè le catene di ferro tonno, e le traversedi ferro quadro, e lavoratura d’esse, per pietre,et asche, per sfrattatura delle pietre per il muroparte caduto, e parte buttato a terra, per rapil-lo, mastria d’esso Carlo, et altri fabricatori, e ma-nipoli, tanto per pontellare detta casa quanto percavar le pedamenta, et fabrica fatta sino a 26 set-tembre passato 1688 conforme all’istruttione da-tali dal magnifico Francesco Picchiati regio in-gegniero, eletto per la Gran Corte della Vicariaa fine di vedere il bisogno teneva detta casa di det-ta riparatione e stante detto pagamento resta so-disfatto detto Carlo per tutto quello sin a dettodì 26 settembre 1688 ha fatto in detta casa. In pièvi è firma del signor giudice Vidmano e per luia Gioseppe Pastena per altri tanti.

4. Ivi, giornale di cassa, matr. 913, 9 agosto 1689,partita di ducati 20A don Lorenzo Crasso ducati venti e per lui a Car-lo Airone capomastro fabricatore a compimen-to di ducati trecento sittanta sei tarì 3, atteso l’al-tri ducati 356.3 per detto compimento l’ha da luiricevuti in più, e diverse partite cosi bancali comedi contanti, e pagamenti fatti d’ordine del dettomastro Carlo a diversi che hanno dato materia-li, e detti ducati 376.3 sono per tanti da lui spe-si in varii piperni per finestre, e per cancellate, perdisfare una lamia, e fare due astrichi sotto, e so-pra nel bascio di fuori, per una porta, e finestraal detto, per fare l’astrico, e finestra ad una stal-luccia, per fare un’astrico con mattoni quatri nelprimo anticamara dell’appartamento; rifatte, e mu-tate cinque finestre, fatta una ciminiera, et una sa-lita di legname al bascio, et un’necessario, rifat-to, e nettato un’corso antico dell’acqua piovanatrà le mura del palazzo, e strada maestra, per qua-gliare diversi travi, et accomodare più aperture dimura, per sfrattatura di terreno, per calce, per ra-pillo, per pezzolame, per pietre, per piperni, e fat-tura di pipernieri, per cinque travi, e due borde,per cinquecento chiancarelle, per fattura di ma-stri d’ascia, di mastri fabricatori, manipoli, par-relli, per chiodi, e perni, per giornate sue, e d’al-tri da lui chiamati, e per ogni altra spesa, il tuttoper servitio del suo palazzo sito a San Paolo at-taccato al tempio delle Scortiate sino li 8 del pre-sente mese, et anno, il tutto servata la forma, mi-sura, et apprezzo fatta dal regio ingegniero Fran-cesco Picchetti, siche con detto pagamento restaintieramente sodisfatto d’ogni, e qualunque cosaper tutto il sudetto di, dichiarando ancora, che peraltre fabriche antecedentemente fatte nel detto suo

palazzo n’è stato similmente intieramente sodi-sfatto con polise bancali per detto nostro bancoe per lui a Pietro di Crapio per altri tanti.

5. Ivi, giornale di cassa, matr. 905, 21 gennaio1689, partita di ducati 22A don Lorenzo Crasso ducati ventidue e per luia Carlo Arione capomastro fabricatore a com-pimento di ducati 783 atteso l’altri ducati 761 l’haricevuti parte contanti, e parte per diversi ban-chi, e detti sono per tanti da lui spesi per più ca-tene di ferro, traverse, per travi, ianelle, berdi, te-gole, canali, tavole, calce, pezzolame, pietre, ra-pillo, sfrattatura di terreno, empitara di cantine,cavatura di fossi, e pedamenta di nuovo fatte, pi-perni, risarcitura di cancellate, licenze della fi-delissima città, risarcitura di mura, astrichi di nuo-vo fatte, fabrica nova dalla parte del Tempio del-le Scortiate, fabrica nova del muro della scala, piùchiodi, e perni per il finimento del tetto, e pri-ma anticamera, per risarcimento delli staffii allaporta della scala, per la sua mastria, giornate d’al-tri mastri fabricatori e manipoli, e parrella, il tut-to per servitio, e rifacimento del suo palazzo sitoa San Paulo rovinato dal passato terremoto nelscorso anno 1688 e per ogni altra spesa, ò fati-che da lui fatte, sicche col presente pagamentoresta da lui sodisfatto di qualsiasi conto, ò pre-tendenza sino a 10 corrente. Dichiaro ancora, chedell’altre opere fatte prima, fatiche, e spese ne èstato intieramente sodisfatto per detto nistro ban-co giudicate dal ingegniero Francesco Picchiat-ti. In piè vi è firma del signor giudice Vidman eper lui a Consalvo Coci per altri tanti.

6. Ivi, giornale di cassa, matr. 916, 20 settembre1689, partita di ducati 6A don Lorenzo Crasso ducati sei e per lui a ma-stro Carlo Arione sono a compimento di ducatiduecentosettantadue, atteso l’altri ducati 266parte n’ha ricevuto di contanti, e parte per il me-desimo nostro banco, e detti sono in conto del-l’ultima fabrica da lui fatta nel suo palazzo di Pia-nura sino a 2 settembre 1689, e misurata dal re-gio ingegniero Francesco Antonio Picchietti perdoversene dal medesimo fare la relatione iustali prezzi convenuti, e per lui a Giovan AntonioCamaldo per altri tanti, e per lui a Geronimo Ca-puano per altri tanti.

7. Ivi, giornale di cassa, matr. 922, 13 aprile 1690,partita di ducati 45A Lorenzo Crasso ducati quarantacinque e perlui a mastro Alessio Vitolo a compimento di du-cati centoquarantacinque, atteso l’altri ducati 100l’ha da lui ricevuti per nostro banco, e di contanti,e detti ducati 145 sono per l’intiero prezzo, e fi-nal pagamento di tutti li piperni, e lavoratura d’es-si per servitio del suo palazzo sito in San Paulosiche col presente pagamento resta intieramen-te sodisfatto, né resta a conseguire cosa alcuna,

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APPENDICE DOCUMENTARIA 21

e per lui a Carlo Loccorete per altri tanti, e perlui a Gioseppe Pastena per altri tanti.

8. Ivi, giornale di cassa, matr. 922, 13 aprile 1690,partita di ducati 20A Lorenzo Crasso ducati venti e per lui a mastroAlesio Vitolo a compimento di ducati novanta,atteso l’altri ducati 70 l’ha da lui ricevuti in piùe diverse volte di contanti, e detti ducati 90 sonoin conto di piperni, e lavori d’essi fatti, e faciendiper servitio del suo palazzo, sito a San Paulo, edetti lavori, e piperni da apprezzarsi dal ma-gnifico ingegniero Francesco Antonio Picchiatti(polizza edita da M. La Banca, Notizie su alcu-ni palazzi di Napoli di via Tribunali per i secoliXVII-XVIII, in Istituto Banco di Napoli-Fon-dazione, Quaderni dell’Archivio Storico. 2007-2008, Napoli 2009, p. 578, doc. 42).

9. Ivi, giornale di cassa, matr. 923, 27 aprile 1690,partita di ducati 18A Lorenzo Crasso ducati dieced’otto e per luia Gioseppe Garofano a compimento di duca-ti 40, atteso gl’altri ducati 22 l’ha ricevuti da Gio-van Battista Graglia suo erario in Pianura, e det-ti ducati 40 sono in conto di ducati cinquanta-quattro per ventisei travi e mille e cinquecen-to chiancarelle per servitio del suo palazzo sitoa San Paolo siche resta a conseguire ducati quat-tordici per finale pagamento, e l’ha da manda-re chiacarelle ducento per l’intiero numero e perlui a Camilla Conerio per altri tanti e per lui aGioseppe Pastena per altri tanti.

10. Ivi, giornale di cassa, matr. 923, 3 giugno1690, partita di ducati 12.2.10A Lorenzo Crasso ducati dodeci tarì 2. 10. e perlui a Gioseppe Garofano a compimento di ducatisessantasei tarì 2.10, atteso l’altri ducati 54 per det-to compimento l’ha da esso parimente ricevuti, edetto ducati 66 tarì 2. 10. sono per lo prezzo cioèdi numero 26 travi, e 1500 chiancarelle ordinarie,primamente mandateli e poi per altre numero 50chiancarelle di palmi quattro l’una, altre nume-ro 50 di palmi quattro e mezzo l’una, altre numero50 di palmi cinque l’una, per quattro grosse ianelled’accetta, e per numero 11 lorde, il tutto per ser-vitio del suo palazzo sito a San Paolo, che si stàrifacendo, e resta con detto pagamento intiera-mente sodisfatto, con firma di detto Gioseppe Ga-rofano, et anco del signor Gioseppe Guaschi.

11. Ivi, giornale di cassa, matr. 925, 12 maggio1690, partita di ducati 23A Lorenzo Crasso ducati ventitre e per lui a ma-stro Alessio Vitolo a compimento di ducaticento ottantuno tarì 2 atteso il di più l’ha da luiricevuto in diverse volte, e detti sono per prez-zo di pietra di piperno conduttura e lavoraturadi essi per servitio della sua casa palatiata sita aSan Paulo per la refettione che in atto si sta fa-

cendo in detta sua casa per causa del danno av-venuto per causa del passato terremoto 1688, etil tutto servata la relatione del magnifico regio in-gegniero Francesco Antonio Picchetti con resterintieramente per tutto li 10 maggio 1690 sodi-sfatto con firma in piè del detto Alessio.

12. Ivi, giornale di cassa, matr. 931, 18 settem-bre 1690, partita di ducati 60.1.15.Al detto [Lorenzo Grasso] ducati sessanta tarì 1.15e per lui a Gaetano de Donato, a compimento diducati seicento venti tarì 4.5 atteso gl’altri l’ha daesso ricevuti in più volte de contanti alla fine d’ognisettimana, e detti sono per il suo lavoro e magi-sterio del opere a giornata da lui fatte nel suo pa-lazzo sito a San Paolo nella refettione di esso at-tualmente si stà facendo per causa del passato ter-remoto nel anno 1688 per la refettione del quar-to, seu appartamento laterale al Tempio delle Scor-tiate incominciata dalli 30 settembre 1689, sinoa 15 settembre corrente atteso per quello è statospeso per causa di detta refettione sino al dettomese di settembre 1689 nestà fatta relatione e pro-dotti li pagamenti nelli atti fatti in Vicaria, appressoil mastro d’atti Antonio d’Amato, et approvati det-ti pagamenti, e spese con decreto di detta GranCorte conforme appare da detti atti a quali [si ri-manda] e detti ducati 620.4.5. sono cioè per ca-vamenti di terra di pedamenti, e fabrica in essi fat-ti di mura, pilieri lamie, forme sopra legname, astri-che, et altri, tanto in esequitare d’appedare il murodivisorio motivato trà detto suo palazzo e dettoTempio delle Scortiate, quanto in fare l’edifico del-la rimessa al piano del cortile, stanza di dentro fa-brica delle camere delli mezani sopra detta rimessa,l’edificio della camera lunga, seu galeria a destradel ballaturo a piano reale, stanza simile sopra diquella per il secondo ordine del appartamento disopra, astrico della loggia, sopra le colonne soprail cortile positura in opera di tutte le pietre di pi-perno nuove lavorate per li pilieri, arco, cornice,porte di rimesse, e di dette stanze, balconi dellimezani, e del piano reale con le fabricature del-le mura motivate, dove se sono fatte dette stan-ze, e per altri lavori de residui concernenti a det-ta refettione et altro fatto per servitio di detto la-voro, restando con detto pagamento intiera-mente sodisfatto sino a 15 settembre corrente, eper lui a Giovanni Antonio Mastroti per altri tan-ti con firma del signor giudice Guaschi.

13. Ivi, giornale di cassa, matr. 931, 18 settembre1690, partita di ducati 18.2.15.Al detto [Lorenzo Grasso] ducati dieceotto tarì2.15 e per lui a Nicola Villano a compimento diducati sessanta cinque, atteso l’altri l’ha da essoricevuti in più volte de contanti infine d’ogni set-timana e detti sono per l’intiera sodisfationedi duelegni di cercua rustici di lunghezza palmi 30 l’uno,e di grossezza palmi 2½ per faccia posti per l’ar-chitravi sopra le colonne di piperno del ballato-

re principale, seu loggia verso il cortile con la loroportatura, ponitura in opera, affacciatura, comeanco per il suo lavoro di magisterio in lavorare litravi, chiancarelle, ienelle, borde per l’astrichi, squa-tratura di dette cercue, fattura delli ingarzi, e den-ti per vorili [dal lat. voro, inghiottire], insieme, equesto dalli 30 settembre 1689; sino a 15 settembrecorrente; quale lavoro ha servito per la refettio-ne del quarto, seu appartamento novamente rifattodalla parte del Tempio delle Scortiate, con che re-sta intieramente sodisfatto sino a detto di 15 set-tembre corrente; con dichiaratione che per quel-lo è stato speso per causa di detta refettione sinoal detto mese di settembre 1689 nestà fatta rela-tione e prodotti li pagamenti nell’atti fatti in Vi-caria, appresso il mastro d’atti Antonio d’Amato,et approvati detti pagamenti, e spese con decre-to di detta Gran Corte, conforme appare da det-ti atti, a quali per confirma del signor giudice Gua-schi, e per lui a Pietro de Caprio per altri tanti.

14. Ivi, giornale di cassa, matr. 931, 18 settem-bre 1690, partita di ducati 60.2.10Al detto [Lorenzo Grasso] ducati sessanta tarì2.10 e per lui a Domenico Saracino, a compi-mento di ducati 570 atteso l’altri l’ha da esso ri-cevuti in diverse volte de contanti infine d’ognisettimana e detti sono per l’intiera sodisfationedi tutta la pozzolame, rapillo, pietre, sfrattatu-ra di terreno per servitio della refettione del suopalazzo sito a San Paolo vicino al Tempio delleScortiate per causa del danno patito nel terremotodel anno 1688, per servitio del opera di detta re-fettione, cominciata dalli 30 settembre 1689, in-sino a 15 settembre corrente del quarto, seu ap-partamento rifatto dalla parte di detto Tempio,siche con detto pagamento resta intieramente so-disfatto sino al detto di 15 settembre corrente;con dichiaratione che per quello è stato speso percausa di detta refettione sino al detto mese set-tembre 1689; ne stà fatta relatione, e prodotti lipagamenti nell’atti fatti in Vicaria, appresso il ma-stro d’atti Antonio d’Amato, et approvati dettipagamenti, e spese con decreto di detta GranCorte, conforme appare da detti atti, a quali perconfirma del signor giudice Guaschi, e per lui aGiovanni Antonio Mastori per altri tanti.

15. Ivi, giornale di cassa, matr. 932, 19 agosto1690, partita di ducati 15.1.10Al dottore Lorenzo Crasso ducati quindeci tarì1.10. all’abate Agnese Chioga a compimento deducati diecinove tarì 2.4, atteso l’altri li ha ri-cevuti di contanti, e detti sono per l’intiero prez-zo di tante salme di calce forte, et dolce man-datoli in diversi tempi per servitio del suo pa-lazzo sito a San Paulo guastato nel terremoto conil quale pagamento resta intieramente sodisfattoper tutto li 22 luglio 1690 e per lui ad AntonioSolone per altri tanti.