Fortuna e natura dei proverbi arabi, in La fortuna dei proverbi. Identità dei popoli. Marco besso e...

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FONDAZIONE MARCO BESSO La fortuna dei Proverbi Identità dei popoli Marco Besso e la sua collezione

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ISBN 978-88-7575-211-8

Euro 25,00

FONDAZIONE MARCO BESSO

La fortuna dei Proverbi Identità dei popoliMarco Besso e la sua collezione

Nel 1887, il bibliofilo Marco Besso pubblica un libro dal titolo Roma nei proverbi e neimodi di dire. La fonte d’ispirazione fu la preziosa collezione di edizioni paremiologicheche egli acquistò nel corso della sua vita, custodita, ancora oggi, presso la Bibliotecaprivata della Fondazione, da egli stesso istituita a Roma nel 1918. Oggi come allora, lacuriosa sezione paremiologica ha continuato a suscitare grande interesse anche negliautori di questo libro. Sagaci, scherzosi o irriverenti, i proverbi hanno delineato dasempre un ponte tra tradizione ed attualità. Il libro è frutto di una attenta e sapientericerca arricchita da interessanti riferimenti letterari e di attualità che prendono spuntodalla tradizione popolare. Si affronta il tema della “sapienza della vita”, con lo scopodi proporre una riflessione serena sui valori di amore, libertà, speranza, sofferenza ecoraggio. Gli autori aprono un varco verso la conoscenza di differenti visioni del mondoche si uniscono in un reticolato di singolarità e di sfumature insite nei dialetti regionaliitaliani, nelle più note lingue europee fino ad arrivare ai meno conosciuti proverbidell’estremo Oriente.Laura Lalli

Contributi di Sevim Aktas, Gunhild Avitabile, Francesco Avolio, Marco Bais, SanzioBalducci, Franco Bampi, Michele De Gioia, Temistocle Franceschi, Gisèle Lévy, DanielaMagdan, Donatella Mazzeo, Janet Mente, Francesco Montuori, Andràs Nemeth,Martina Nied Curcio, Giulio Paulis, Giovanni Ruffino, Valentina Sagaria Rossi, MariaAntonella Sardelli, Alessandro Scarsella, Gaga Shurgaia, Marcello Teodonio, RenzoTosi, Arthur Weststeijn, Clara Yu Dong

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La fortuna dei proverbi, identità dei popoLi

Marco besso e La sua coLLezione

Roma 2014

In copertinaCatalogue des livres parémiologiques composant la bibliothèque de Ignace Bernstein. Varsovie, W. Drugulin, 1900, Do n. 1670. (Coll. Besso: 11.G.21-22)

La fortuna dei proverbi,identità dei popoLi

Marco besso e La sua coLLezione

a cura di Laura Lalli

Saggi di: Sevim Aktas, Gunhild Avitabile, Francesco Avolio, Marco Bais, Sanzio Balducci, Franco Bampi, Michele De Gioia,

Temistocle Franceschi, Gisèle Lévy, Daniela Magdan, Donatella Mazzeo, Janet Mente, Francesco Montuori, Andràs Nemeth, Martina Nied Curcio, Giulio Paulis,

Giovanni Ruffino, Valentina Sagaria Rossi, Maria Antonella Sardelli, Alessandro Scarsella, Gaga Shurgaia, Marcello Teodonio,

Renzo Tosi, Arthur Weststeijn, Clara Yu Dong

© Fondazione Marco BessoTutti i diritti riservati

ProgettoOrsa M. L. Lumbroso

Immagini© Fondazione Marco Besso

RingraziamentiLaura Bassotti, Antonella Ferro, Carla RivoltaStaff della Biblioteca

Revisione abstractLynn Swanson

© Copyright 2014Editoriale Artemide s. r. l. Via Angelo Bargoni, 8 – 00153 RomaTel. 06.45493446 – Tel. /Fax [email protected]. artemide-edizioni.it

Segreteria di redazioneAntonella Iolandi

ImpaginazioneMonica Savelli

CopertinaLucio Barbazza

ISBN 978-88-7575-211-8

Indice delle immagini 7

Prefazione di Laura Lalli 11

contributi

Sevim Aktas Una piccola eredità per la cultura turca 19

Gunhild Avitabile Sui proverbi giapponesi 29

Francesco Avolio I proverbi d’Abruzzo nelle raccolte tardo-ottocentesche 41

Marco Bais Proverbi armeni nelle pubblicazioni dei Padri Mechitaristi di Venezia 53

Sanzio Balducci La raccolta e lo studio dei proverbi marchigiani 63

Franco Bampi Curiosità di oggi nei proverbi genovesi di ieri 73

Michele De Gioia « Mieux vaut tard que jamais ». Su alcuni proverbi francesi della collezione di Marco Besso 81

Temistocle Franceschi Sui proverbi toscani: Giuseppe Giusti e Gino Capponi 97

Gisèle Lévy Piccoli segreti 107

Daniela Magdan Su alcuni autori e le loro opere della paremiologia romena 119

indice generaLe

6

Donatella Mazzeo Proverbi indiani 131

Janet Mente Caput Mundi: Roma nei proverbi e negli aforismi anglofoni 145

Francesco Montuori Sui proverbi della Campania 153

Andràs Nemeth Le raccolte paremiologiche di Ballagi Mór e János Erdélyi 167

Martina Nied Curcio Sprichwörter - Redensarten - Zitate. Da Agricola fino a Wander 179

Giulio Paulis I proverbi sardi 193

Giovanni Ruffino Sui proverbi siciliani 201

Valentina Sagaria Rossi Fortuna e natura dei proverbi arabi 213

Maria Antonella Sardelli Sbarbi e l’importanza dei proverbi in Spagna 227

Alessandro Scarsella Il “desiato fine”: proverbi veneti e lombardi nell’opera paremiologica di Marco Besso 239

Gaga Shurgaia Vladimir Ivanovič Dal’ e la paremiologia russa 249

Marcello Teodonio Sui proverbi romaneschi: Giuseppe Giachino Belli e Giggi Zanazzo 265

Renzo Tosi La tradizione degli ‘Adagia’ nella biblioteca privata di Marco Besso 273

Arthur Weststeijn Sfogliando il «grande libro della collettività»: i proverbi olandesi e i loro cultori tra passione e moralismo 287

Clara Yu Dong La saggezza orientale attraverso i proverbi cinesi 295

1. Osmanische Sprichwörter. Wien, 1865. 17

2. Steenackers Francis-Tokunosuké Ueda (cur.) Cent proverbes japonais. 27 Paris, 1885.

3. Romani Fedele (cur.) L’amore e il suo regno nei proverbi abruzzesi, 39 Firenze, 1897.

4. Choix de proverbes et dictons arméniens traduits en français. 51 Venise, 1888.

5. Bellabarba Renato (cur.) Proverbi marchigiani illustrati… 61 Firenze, 1971.

6. Staglieno Marcello (cur.) Proverbi genovesi … Genova, 1869. 71

7. La Nove Pedro de Synonyma et aequivoca gallica […]. Lugduni, 1618. 79

8. Piattoli Giuseppe (cur.) Raccolta di quaranta proverbi toscani [...]. 95 Firenze, 1786.

9. Kramer Ludwig von (cur.) Das Lob des tugendsamen Weibes [...]. 105 München, 1885.

10. Zanne Iuliu A. (cur.) Proverbele Românilor [...]. Bucuresci, 1895-1901. 117

11. Fritze Ludwig (cur.) Indische Sprüche [...]. Leipzig, 1882. 129

12. Shakespeare proverbs. London, 1848. 143 Taccuino manoscritto (sec. XIX-XX). 144

13. Basile Giambattista Il Pentamerone. Bari, 1925. 151

14. Ballagi Moritz (cur.) Magyar példabeszédek, közmondások és 165 szojárások gyüjtemenye. Pest, 1855.

15. Deutsche Sprüchwörter und Spruchreden in Bildern und Gedichten [...]. 177 Dusseldorf, 1852.

16. Spano Giovanni (cur.) Proverbi sardi trasportati in lingua italiana [...]. 191 Cagliari, 1852.

17. Pitrè Giuseppe (cur.) Proverbi siciliani [...]. Palermo, 1880. 199 Catania Paolo (cur.) Canzoni morali sopra i motti siciliani. Palermo, 1661. 200

indice deLLe iMMagini

8

18. Ali Ibn Abi Taleb Ali’s hundert Sprüche [...]. Leipzig, 1837. 211

19. Nuñez de Guzman Fernando (cur.) Refranes, o proverbios en 225 romance [...]. Salamanca, 1555.

20. Pasqualigo Cristoforo (cur.) Raccolta di proverbi veneti [...]. 237 Venezia, 1879.

21. Dal’Vladimir (cur.) Poslovicy russkago naroda… 247 S. Peterburg-Moskwa, 1879.

22. Zanazzo Giggi (cur.) Proverbi romaneschi. Roma, 1886. 263

23. Erasmi Roterodami proverbiorum Chiliadas… Basilea, 1515. 271

24. Tuinman Carolus (cur.) De Oorsprong en Uitlegging van dagelyks g 285 ebruikte Nederduitsche Spreekworden. Middelburg, 1720-1727.

25. Perny Paul Hubert (cur.) Proverbes chinois. Paris, 1869. 293

The 19th century was the golden age for the discovery of Arabic paremiologia. It was the century that saw the emergence of a literary genre of ancient tradition. The author draws a parallel between the production of Erasmus’s classical adagia and the production of Arabic proverbs. It is possible to distinguish two strands in the original Arabic production: one dating back to the advent of Islam and developed until the late 13th century and the other dating from the Arabic language and dia-lects. The paper also focuses a selection of comments about famous collections of Arabic proverbs.

L’Ottocento fu il secolo d’oro per la scoperta della paremiologia araba; fu il secolo che vide l’affermarsi di un genere letterario di antica tradizione, il divenire oggetto di studio e, parallelamente, il suo schiudersi agli orien-talisti d’oltralpe1.

Per risalire alle origine di questo singolare interesse occorre tornare agli Adagia erasmiani, raccordo imprescindibile per rintracciare la matrice eu-ropea e umanistica legata a tale filone di studi, nonché lo stimolo a collezio-nare proverbi in uso presso popoli e culture diverse.

La raccolta di aforismi e proverbi per estrazione ampiamente condotta sui classici, ovvero le operazioni di estrapolazione dal contesto originario di espressioni e del loro riuso, hanno testimoniato la loro trasformazione in massime valide in ogni tempo e luogo2. A differenza del genere degli gnomologi, che tanta fortuna ebbe nel medioevo greco-latino, nelle raccolte umanistiche il proverbio non corrisponde a una sentenza ricavata per estra-zione da un testo classico e avulsa da ogni contesto, ma viene percepita nel suo significato di elemento letterario anonimo, posto al centro di un fitto re-ticolato di riferimenti culturali3. Attraverso questo sapiente travaso ciò che

1 Le vicende degli studi europei sui proverbi arabi classici sono state ricostruite da V. Sagaria Rossi, Arabum Proverbia tra il ‘500 e l’800, in Oriente moderno, n.s. 86/3 (2006), pp. 475-482.2 Fra i contributi a proposito si rimanda a R. Tosi, I Greci: gnomai, paroimiai, apophtheg-mata, in Teoria e storia dell’aforisma, Milano, B. Mondadori, 2004, pp. 1-16.3 Un esempio concreto di questo processo si riscontra in P. Rondinelli, Tra Oriente e Oc-

Fortuna e natura dei proverbi arabi vaLentina sagaria rossi

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era collegato a un particolare mondo o sistema di valori è stato assolutizzato e formulato secondo un processo di astrazione che rivaluta l’espressione e le conferisce valore in sé. Il contesto originario di appartenenza non ha dunque più alcuna importanza e la frase assume uno speciale statuto con un proprio effetto, tenuta in serbo e pronta all’uso al momento opportuno.

Se, infatti, gli Adagia di Erasmo – presenti nella collezione Besso con l’edizione di Leiden del 16434 – erano improntati alla paremiografia di stampo alessandrino, ovvero verso la catalogazione funzionale dei prover-bi letterariamente attestati e accuratamente spiegati, nella creazione di tali strumenti eruditi ci si prefiggeva lo scopo di raccogliere il materiale resi-duo di un’antichissima sapienza, lasciando ampio margine di sviluppo alla tradizione gnomologica, avvero alle raccolte di massime pronte all’uso e generalmente accreditate da una authorship illustre.

Frutto dei contatti degli umanisti occidentali con gli ultimi eredi della grande filologia bizantina, venuti in Occidente durante il XV secolo dopo la conquista turca di Costantinopoli, gli Adagia contemplavano materiale di varia provenienza, soprattutto derivato dagli gnomologi, con un intento marcatamente enciclopedico.

Per questo tipo di tradizione aforistica in Europa si ha un filo diretto, un esplicito canale che unisce la classicità alle moderne letterature europee, attraverso l’umanesimo. Nell’ambito della letteratura europea moderna e contemporanea, il termine “aforisma” assume due diverse valenze: la prima fa riferimento alla tradizione di raccolta di sentenze moraleggianti (gnomo-logia); la seconda si forma nel preromanticismo tedesco, dove gli aforismi sono frasi sorprendenti per la loro sinteticità e comunicano una forte verità derivata da un’illuminazione improvvisa. Dopo la svalutazione in fase he-geliana, la rivalutazione del termine e della sua portata riemerge a tardo Ottocento, prevalentemente in ambito germanico, assumendo particolare rilevanza in relazione allo studio della paremiografia araba.

A proposito della loro selezione, negli Adagia erasmiani l’importanza della figura proverbiale è il suo carattere ellittico e/o metaforico; lo scitum, o il suo valore di sentenza deve essere disgiunto da quello dell’ornatus, ovvero il suo valore come espressione. Ogni adagio è ‘utile’ sul piano del-la lingua e del sapere, non su quello della condotta morale. Emerge in tal

cidente, Il Liber proverbiorum di Lorenzo Lippi, in Oriente e Occidente nel Rinascimento. Atti del XIX Convegno Internazionale (Chianciano Terme-Pienza 16-19 luglio 2007), a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze, F. Cesati, 2009, pp. 565-579.4 D. Erasmus Roterodamus, Adagia id est: Proverbiorum et parabolarum omnium, quae apud Graecos, Latinos, Hebraeus, Arabas & c. in uso fuerunt, collectio absolutissima in locos communes digesta [...], Leiden, Typis Johannis Andreae, 1643 (Coll. Besso: 12.G.6.).

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modo la funzione ibrida e polivalente del proverbio umanistico, frutto della commistione tra l’origine popolare e l’autorità degli scrittori che hanno sol-levato dall’anonimato questi probata verba e li hanno tramandati attraverso citazioni e riferimenti: una doppia natura destinata a perdurare fino al XVII secolo, ovvero fino a quel processo di separazione tra cultura popolare e cultura d’élite, che portò a una netta distinzione tra comuni lettori di pro-verbi ed eruditi fruitori di sentenze e forme dotte.

Nell’humus culturale arabo i due generi distinti della paremiografia – la scrittura e la lettura di proverbi – e degli gnomologi – la loro raccolta – si armonizzano ben presto e si fondono sin da un’epoca antica; il primo è un genere tipicamente bizantino, che affonda le sue radici nella ricerca alessandrina dei proverbi come elementi letterari, attinti da autori ritenuti modelli di lingua e di stile; gli gnomologi, invece, hanno una loro rilevanza nel Medioevo classico e uniscono nelle raccolte sentenze tratte dai classici insieme ad altre che derivano da altri generi di testi, come quelli sacri o religiosi.

Partendo da Erasmo si evince che i Greci esigono dalla paremia sia una sentenza applicabile alla condotta di vita sia il velo della metafora, cercan-do di coniugare le due esigenze; i Latini richiedono una forte pregnanza nell’espressione linguistica e un aspetto gnomico con intonazione senten-ziosa. Varietas, pluralità di espressioni, e variatio, espressioni simili ma diverse, sono la trama di una cultura filologica e letteraria che la collezione erasmiana ricompone in un intricato mosaico5, variazioni sul tema cam-biando una parola, troncando l’espressione oppure conservando la forma ma con un altro senso. Tale ordito, evidentemente fittizio, attira il lettore, di ieri e di oggi, nutrendolo e stimolandolo.

Accostando la paremiografia erasmiana a quella araba – sapientemente coltivate e riunite da Marco Besso nella sua biblioteca – si manifestano entrambe feconde di parallelismi e di contraddizioni. Popolari a condizione di essere dotti, ricercati affinché fossero tramandati, tali adagi coincidono soltanto molto alla lontana con i nostri proverbi. Ciò che li fa emergere e dà loro risalto segna lo iato tra la loro origine e la loro divulgazione; ciò che li distingue nella lingua e nel contenuto misura la distanza e l’incontro tra le due culture. Gli adagi antichi offrono infatti un accesso privilegiato al sape-re colto, chiave di volta della conoscenza del loro contesto, e al linguaggio forbito che stimola a far rivivere un vocabolario desueto, dischiuso a pochi.

La brevità e la concisione, inoltre, facilitano il richiamo alla memoria di

5 Cfr. C. Balavoine, Les principes de la parémiographie érasmienne, in Richesse du pro-verbe: études, éd. F. Suard et C. Buridant, Lille, Université, 1984, pp. 9-23.

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termini e locuzioni decaduti nell’uso del parlato corrente. Entrando nel vivo dei proverbi arabi, possono distinguersi due filoni di produzione originale: una in lingua classica nella quale si riuniscono la tradizione preislamica, quella risalente all’avvento dell’Islam e quella derivata dalla tradizione religiosa e narrativa sviluppatasi dall’VIII secolo fino all’epoca abbaside inoltrata (XIII secolo); l’altra in arabo moderno e dialettale, che ha con-vissuto accanto a quella classica per diversi secoli, confluita in collezioni orientali dedicate ai proverbi popolari regionali e successivamente europee a partire dalla seconda metà dell’Ottocento6.

Senza addentrarci nella complessa fisionomia del termine che in arabo designa il proverbio (maṯal), merita forse rilevare il significato della radice semitica mṯl o mšhl, “essere uguale”, “essere equivalente”, che in arabo può assumere la valenza di “erigersi”, “stare dinanzi”. Brevità e maneggevolez-za sono le peculiarità che garantiscono al proverbio la sua sopravvivenza e la sua tradizione. I tratti peculiari del detto proverbiale, ovvero l’impianto metaforico, la natura simbolica e la funzione parenetica, possono trovarsi riuniti in uno stesso maṯal o rappresentati individualmente, condensando o scindendo gli aspetti della paroimia con quelli tipici del proverbium, dando vita a prodotti di speculazioni retorico-grammaticale o a creazioni estempo-ranee frutto dell’immediatezza espressiva.

Le definizioni offerte dai filologi arabi elencano e sovrappongono termi-ni che soddisfano più il piano della retorica che quello delle caratteristiche identificative delle diverse categorie di amṯāl (pl. di maṯal); esse pongono sullo stesso piano brevità e familiarità, saggezza e senso pratico, similitu-dine e metafora. Tuttavia, la sua essenza polifunzionale, colta dal filologo di origine iraniana al-Zamaḩšarī (m. 1144), si concentra nel termine naẓīr, “corrispondente, parallelo”, significato di base del maṯal7.

Le miscellanee di amṯāl, seppur compilate con la stessa esigenza di esse-re tramandate, non riflettono le distinzioni tra paremia e sentenza introdotte nel mondo classico8, ma appaiono redatte con lo scopo di restituire la stra-tificazione delle singole unità, cariche di uno scitum e di una forma inscin-dibili. Le raccolte arabe non procedono né per creazione né per estrazione ma, attraverso l’operazione di riversamento della materia paremiologica, la restituiscono e la inquadrano così come risulta trasmessa dalla tradizione,

6 Un’ampia bibliografia su entrambe le produzioni si trova in, R. Sellheim, Mathal, in Encyclopaedia of Islam, Cd-Rom edition, Leiden, Brill, 2008.7 Cfr. R. Sellheim, Die klassischen-arabischen Sprichwörtesammlungen, insbesondere die des Abū ‘Ubayd, The Hague, Mouton, 1954, pp. 8-20.8 Si veda a proposito l’ottimo studio di S. Hallik, Sententia und Proverbium. Begriffsge-schichtliche Texttheorie in Antike und Mittelalter, Köln, Böhlau, 2007.

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riferendo nel suo insieme – quando pervenuto – il contesto originario della prima formulazione del detto o del suo primo assertore. Gli enunciati arabi classici, ultimi eredi per genere della tradizione bizantina, presuppongono sì una riflessione intorno al singolo detto ma, poiché non rilevano distin-zioni a livello linguistico o di contenuto, sono tesi principalmente a riferire quest’ultimo all’interno del suo alveo creativo, leggendario o con qualche indizio di verosimiglianza. Poco importa la veridicità storica del maṯal, quel che conta è che la sua forza espressiva sia il vero indizio della sua vita-lità; l’attribuzione formale a una origine incardina il detto nella tradizione e lo avvalora, giustificandone al tempo stesso intangibilità e autorevolezza. Il proverbio diventa strumento indispensabile per il retore quanto per il gram-matico, per il poeta, come per il filologo; agli uni e agli altri la conoscenza manualistica dei proverbi opportunamente codificati ed illustrati serve al duplice scopo della produzione del testo da un lato e dell’interpretazione dall’altro9.

I commenti ai proverbi arabi sono sentiti come necessari dai lessicogra-fi, ma vanno nella direzione di un generico corredo anagrafico e linguistico; come anche in Erasmo, la spiegazione serve soltanto a svelare il sapere po-livalente che l’adagio rappresenta, non a chiarire il senso pieno dell’enun-ciato. Un sapere, dunque, in primo luogo lessicografico, indissociabile da un sapere enciclopedico. L’esempio più eloquente è la celebre raccolta di al-Maydānī (m. 1124), Mağma‘ al-amṯāl, le cui unità paremiologiche sono state estrapolate, presentate in arabo secondo l’ordine alfabetico, nonché tradotte e brevemente commentate in latino da Georg Wilhelm Freytag nel 1838: l’opera di al-Maydānī, che annovera circa 6.200 detti sulla base di cinquanta opere di amṯāl, attende ancora oggi di essere editata criticamente nella sua interezza10.

Quanto all’esposizione dei proverbi nelle raccolte arabe, un ordinamen-to alfabetico non rigoroso si può trovare alternato a quello tematico o anco-ra per categoria linguistica, come è il caso dei comparativi o degli elativi; a questa categoria di proverbi è stata dedicata una intera raccolta, quella di

9 Cfr. P. Poccetti, Aspetti della teoria e della prassi del proverbio nel mondo classico, in La pratica e la grammatica. Viaggio nella linguistica del proverbio, a cura di C. Vallini, Napoli, Istituto Universitario Orientale,1989, pp. 61-85.10 G. W. Freytag, Amṯāl al-‘Arab. Arabum proverbia, vocalibus instruxit, Latine ver-tit, Bonn, apud A. Marcum,1838-1843, 3 voll. (Coll. Besso: 12.D.16-18). L’impresa del Freytag era stata preceduta dall’assaggio di un florilegio di 31 amṯāl tratti dalla famosa rac-colta, presentati in arabo e in latino da C. M. Habicht, Meidanii aliquot proverbia Arabica cum interpretazione latina [...], Bratislava, Typis universitatis, 1826 (Coll. Besso: 12.B.17).

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al-Zamaḩšarī11, rivale di al-Maydānī, che raccoglie 3.500 unità in stretto ordine alfabetico e le correda con concise annotazioni. Tra questi riecheg-giano a noi reminiscenze di Penelope nel maṯal di forma comparativa “più stolta di colei che disfa il suo filato”12, attribuito ad una donna della tribù dei Quraysh e citata anche nel Corano.

Il criterio di presentazione degli enunciati, fondato sulla varietas nelle collezioni tardo-classiche, tradisce il metodo di compilazione: a tratti essi seguono l’ordine alfabetico in cui doveva averli sistemati il raccoglitore in uno schedario dedicato, altre volte si trovano raggruppati in ampi insiemi nati dalla lettura e dall’annotazione di un medesimo autore, spesso infine si susseguono per analogie di significati o per contrari. Come negli Adagia, si registra anche qui il passaggio da una rubrica a un’altra senza una apparente giustificazione logica, estetica o funzionale a qualche parametro; in sostan-za nessuna utilità pratica appare immediatamente percettibile.

Tra i più antichi proverbi arabi sono confluiti detti e parabole del Vec-chio o del Nuovo Testamento, tratti più o meno letteralmente, in forma parziale o con varianti, come il detto a sfondo morale “guardi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e non vedi la trave nel tuo” (Matteo, vii, 3; Luca, vi, 41) o la parabola del cammello e la cruna dell’ago (Matteo, xix, 24; Mar-co, x, 25; Luca, xviii, 25); come pure si riscontrano, ma anche massime di origine popolare, “non puoi coglier l’uva dai rovi” (Matteo, vi, 16). Anche nella tradizione giudeo-araba-aramaica si trovano corrispondenze, come è il caso del detto “chi è stato morso da un serpente ha paura di una corda”. Da vagliare è ancora il riscontro tra i florilegi di sentenze greche della tra-dizione di Menandro riversati nelle opere di filosofi arabi o arabizzati tra il IX e l’XI secolo13. Tra i proverbi delle iscrizioni talmudiche il detto “man ‘azza bazza” (chi prevale ottiene il bottino) è stato tramandato da numerose fonti arabe14.

La tradizione proverbiale legata a Salomone, i detti-favole ascrit-ti all’eroe preislamico Luqmān, o al celebre Aktam ibn Ṣayfī, i versi e i detti-versi delle antiche tribù beduine si sono travasate in amṯāl celebri, combinando leggenda e storia, saggezza popolare e letteraria15. L’impronta del paganesimo ancestrale si fonde senza soluzione di continuità con i nuo-

11 Mustaqsā fī amṯāl al-‘Arab, Hydarabab, 1962, 2 vol.12 Freytag, Amṯāl al-‘Arab, I, op. cit., p. 459.13 Cfr. M. Ullmann, Die arabische Überlieferung der sogenannten Menandersentenzen, Wiesbaden, F. Steiner, 1961.14 Freytag, Amṯāl al-‘Arab, II, op. cit., p. 677.15 Cfr. R. A. Kassis, The Book of Proverbs and the Arabic proverbial works, Leiden, Brill, 1999, pp. 26-54.

219vaLentina sagaria rossi. fortuna e natura dei proverbi arabi

vi modelli veicolati dall’Islam, talora integrati, in gran parte riformulati o mimetizzati sotto il manto della lingua egemone, l’arabo classico, che dal VII secolo in avanti ha autorizzato e nobilitato concetti e precetti di ogni genere e provenienza, amalgamando contenuti e momenti di un’antichità senza tempo.

Dal Corano sono attinti un notevole numero di detti, similitudini e pa-rabole, stigmatizzando il fattore religioso come aspetto nodale della produ-zione paremiologica arabo-islamica. Dalla tradizione religiosa ḥadīṯ, dai detti attribuiti al profeta Muhammad e ai suoi seguaci proviene un vasto filone di amṯāl, non ben distinto come genere, ma autorevoli e solenni al di là della loro autenticità16; tra questi si possono trovare sentenze di origine preislamica, come quella che sottolinea il potere delle parole, “dall’elo-quenza proviene un che’ di magia”, volto a tenere a freno le parole dei poeti17.

Massime e aforismi attribuiti ad ‘Alī ibn Abī Ṭālib (m. 661), cugino e primo genero di Muhammad, si rintracciano in numerose opere di genere paremiografico o enciclopedico: al-Maydānī ha compilato un intero capito-lo con le sentenze attribuite ad ‘Alī, ad alcuni seguaci del profeta, ai quattro califfi ortodossi18. Molto diffusi appaiono infatti i cosiddetti “cento detti di ‘Alī”, noti anche in traduzione persiana e turca. Tali amṯāl arabi, accompa-gnati dalla versificazione e dal commento persiano di Rašīd al-Dīn Waṭwaṭ (m. 1182), sono stati pubblicati per la prima volta nel 1834 da Johann G. Stickel, e riproposti con traduzione tedesca a fronte nel 1837 da Heinrich L. Fleischer19; entrambi i lavori – presenti nella Biblioteca Besso – sono dotati di annotazioni critiche al manoscritto originario e di glossario, il secondo anche di indici. La retorica tradizionale legata alla figura di ‘Alī ha genera-to massime didascaliche – come d’uso in altre tradizioni culturali antiche – combinando virtù e precetti religiosi, azioni militari, corse di cavalli e carovane di cammelli.

16 Una disamina di tale produzione è affrontata nei capitoli introduttivi all’unica edizione critica di un testo paremiologico arabo (X secolo), con la traduzione in lingua europea, di V. Sagaria Rossi, Il Kitâb al-amṯâl (Libro dei proverbi) di Abû ‘l-Šayḫ al-Iṣbahânî, Napoli, Università degli studi L’Orientale, 2002, pp. 27-41.17 Ibid., p. 49; Corano, xxiv, 224; Freytag, Amṯāl al-‘Arab, I, op. cit., p. 1.18 Freytag, Amṯāl al-‘Arab, III.1, op. cit., pp. 607-655.19 Rispettivamente Sententiae Ali Ben Ali Taleb arabice et persice e codice manuscripto vi-mariensi [...], Jena, sumptibus Croeckerianis, 1834 , e H.L. Fleischer, Ali’s Hundert Sprüche arabische und persi sci paraphrasirt [...], Leipzig, Vogel, 1837 (Coll. Besso: 12.D.5). Tali lavori sono rimasti insuperati a lungo; a colmare la distanza si veda il recentissimo contribu-to monografico di al-Qādī al-Qudā‘ī, A treasury of virtues. Sayings, sermons and teachings of ‘Alī, a cura di Tahera Qutbuddin, New York, University Press, 2013.

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Durante il califfato omayyade anche gli amṯāl, insieme ai versi e alla tradizione ḥadīṯ, fungevano da propulsori dei valori veicolati dal nuovo impero e legittimavano la sua azione in nome del nuovo assetto cultura-le-religioso. Termini-chiave come malik (re), wālī (governatore), ḩalīfah (califfo), sulṭān, wazīr e wālī (governatore), amīr (principe, emiro), diven-tano gli emblemi del potere costituito e i protagonisti di massime e senten-ze funzionali all’autorità morale e sociale dell’establishment. Tuttavia, la commistione tra nuove cariche istituzionali e le antiche tematiche legate al potere magico della parola e alla cura di malattie, si lascia svelare dietro un numero significativo di amṯāl classici. Esemplificativo è il detto “il sangue dei re è la migliore medicina contro la [malattia della] rabbia”20, conferendo un valore analogo anche ai nobili.

Le corti califfati hanno certamente giocato un ruolo rilevante nella tra-smissione del patrimonio paremiologico, associato alla funzione educativa della saggezza popolare.

Il nome di Allah compare di frequente, anche associato a formule be-neaugurali o di maledizione, oppure a espressioni ottative o a preghiere, come “o Dio, una [qualsiasi] opinione non compassione!”, che condensa in tre parole l’esigenza di affermare la propria dignità in ogni condizione21. Quanto alle relazioni interpersonali vi sono detti a sostegno di atteggiamen-ti equilibrati che deprecano gli eccessi: “ama la persona amata con modera-zione, potrebbe un giorno diventarti odiosa; odia la persona odiata con mo-derazione, potrebbe un giorno diventarti amata”22. Al tema dell’ospitalità e della visita a vicini o amici è dedicato un discreto filone di amṯāl: “fa’ visita di rado, guadagnerai in amore” esorta a visitare ma contemporaneamente a non entrare in eccessiva confidenza con il proprio ospite23.

Il silenzio e la parola rappresentano due aspetti antitetici intorno ai quali è imperniata una grande varietà di amṯāl: di entrambi possono essere evi-denziati alternativamente pericoli e vantaggi. La sintesi e la riservatezza nel discorso sono virtù, al pari della ripetizione a oltranza di una stessa as-serzione nel caso di mancato ascolto da parte dell’interlocutore o dell’am-monizione con intenzioni benefiche. L’amicizia rientra tra le tematiche più amate dalla saggezza proverbiale. L’elogio è spesso enfatizzato, ma occorre distinguere quando non sia proclamato per trarre profitto o per guadagnare il favore di qualcuno; di converso è inutile attendere la lode senza esser-

20 Freytag, Amṯāl al-‘Arab, I, op. cit., p. 488.21 Ibid., II, p. 481.22 Ibid., I, p. 374, 182.23 Ibid., II, p. 422.

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sela guadagnata, come ammonisce “egli mangia con il dente che non gli è spuntato”24. Mantenere un segreto è un valore coltivato da uomini nobili. La menzogna è reputata una cattiva abitudine, tranne in alcuni casi, ovvero quando risulta inutile dire la verità o ancora quando una bugia può causare ilarità; il proverbio “dire la verità è un onore, mentire è un’umiliazione”25 sancisce la nobilitazione sociale che si può ottenere con la verità, piuttosto che ribadire una regola morale, soprattutto quando non se ne trae alcun vantaggio.

Il profano e il sacro si intrecciano per lungo tempo negli amṯāl, benché i detti di natura profana o non prettamente religiosa superino quelli di con-tenuto teologico. Al pari di precetti e leggi, il bagaglio paremiologico entra nella vita quotidiana e ne regola usi e credenze, raccordando in perfetta sintonia forma linguista e valori etici.

Il denaro e le condizioni di benessere e, in misura inferiore, di povertà sono al centro di massime e metafore che si richiamano alla concretezza e all’abbondanza dei beni posseduti, come “il ricco è un lungo strascico che incede impettito”26, oppure “l’agnello si rivolta sulla lana”27. Svantaggi e vantaggi della ricchezza sono alternativamente al centro di espressioni pro-verbiali eloquenti; la visione islamica ribalta la tradizionale equità morale tra le due condizioni e sancisce come negativa, se non nefasta, l’abbondan-za di denaro, dannosa per la comunità e per le relazioni tra credenti. D’altro canto la povertà è da deprecare se causata da pigrizia e da indolenza; gli eccessi di gola e la lussuria sono condannati quando oltrepassano i limiti della moderatezza e dell’equilibrio ai quali i musulmani dovrebbero ten-dere: “il meglio delle cose è nel loro mezzo” propone una visione di etica pratica piuttosto che di virtù morale28. Nel disprezzo del compromesso si erge il proverbio “meglio soffrire la sete che dissetarsi nell’ignominia”, che stigmatizza la fierezza e l’orgoglio nella privazione29. La generosità e il sapersi accontentare sono altresì valori esaltati, come l’uguaglianza tra gli uomini, espresse da “gli uomini sono pari come i denti del pettine” poiché essi garantiscono stabilità nell’ordine sociale costituito30.

Formulazioni di osservazioni e descrizioni circostanziate, tratte dalla vita beduina o del deserto, non rispondono in una prima fase ad alcun in-

24 Ibid., II, p. 933.25 Ibid., I, p. 735.26 Ibid., I, p. 51.27 Ibid., I, p. 431.28 Ibid., I, p. 440.29 Ibid., II, p. 59.30 Ibid., II, p. 762.

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tento didattico, né riflettono l’esigenza di una funzionalità sociale, quanto piuttosto attestano la vitalità prorompente di una lingua vivida e incisiva; da gruppi di sentenze attribuite a Muhammad o di matrice islamica emerge, invece, la loro natura didascalica, riconoscibile da un linguaggio religioso e dal contesto civile sempre più urbanizzato. I detti di quest’ultimo genere non intaccano tuttavia la vitalità e l’efficacia dei primi, anzi convivono in una reciproca interazione che ne rafforza la trasmissione e l’identità.

In relazione alla forma alcune espressioni impiegate a mo’ di proverbi sono particolarmente condensate e pregnanti, spesso formulazioni essen-ziali, talvolta dal significato incerto e misterioso. E questo il caso di “la bellezza è rossa”31, che alluderebbe alla bellezza come fonte di inganno. I parallelismi diventano la modalità più frequente di trasmettere paragoni e confronti: proverbi più o meno brevi possono essere costituiti da paralleli-smi sintetici, antitetici, sinonimici.

Similitudini, metafore, elativi e comparativi, relativi o assoluti, sono forme espressive molto diffuse nel sostrato arabo più antico. Nei proverbi arabi moderni e colloquiali la struttura simmetrica è conservata in un ele-vato numero di casi: “quanto sono numerosi i miei amici quando il mio vi-gneto è gravido di frutti, e quanto diventano pochi quando il mio vigneto è arido”32. Ma qual è il discrimine per ravvisare con certezza quando un detto popolare moderno ha alle spalle una origine letteraria o antica? Un abito folk può essere calato su un matal classico, così come un’espressione in lingua classica può essersi conservata fino a oggi nella sua forma originale, senza varianti né modifiche. L’uso della rima e del verso negli amṯāl è indi-cativo dell’antico ricorso all’assonanza e all’allitterazione; anche l’analisi della terminologia locale funge da indicatore del grado di circolazione di un particolare enunciato.

Raccolte di proverbi “popolari” moderni e dialettali sono state pubbli-cate in Europa dalla metà del XIX secolo, compilate e redatte secondo il principio della localizzazione geografica, ancora oggi il criterio invalso per determinare l’appartenenza di una determinata espressione proverbiale a un sostrato culturale specifico. Tra i lavori più eruditi, tre studi in tedesco, condotti tra il 1878 e il 1897 e presenti nella raccolta Besso, testimoniano l’interesse filologico e letterario di un filone ancora in via di scoperta, svi-luppatosi in parallelo, o di poco successivo, al progresso della conoscenza degli amṯāl classici. Il primo lavoro è incentrato su 574 proverbi arabi dia-lettali della provincia di Mardin, a sudest della Turchia, trascritti in caratteri

31 Ibid., I, p. 352.32 Kassis, The Book of Proverbs and the Arabic proverbial works, op. cit., pp. 242-246.

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latini secondo il sistema fonetico e tradotti in tedesco33. Il secondo ha come oggetto i proverbi di Mecca, anch’essi in trascrizione latini, con traduzione e commento in tedesco e costituisce un ponderoso studio sulla grammatica del dialetto meccano34. Il terzo raccoglie 200 proverbi di diversa origine ed epoca, con testo arabo, trascrizione, traduzione e commento in tedesco, e 20 giochi da bambini, spiegati con esempi35.

33 A. Socin, Arabische Sprichwörter und Redensarten, Tübingen, Heinrich Laupp,1878 (Coll. Besso: 12.D.20).34 C. Snouck Hurgronje, Mekkanische Sprichwörter und Redensarten, Haag, 1886 (on-line)35 K. L. Tallqvist, Arabische Sprichwörter und Spiele, Leipzig, O. Harrassowitz ,1897 (Coll. Besso: Par.Op.155).

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ISBN 978-88-7575-211-8

Euro 25,00

FONDAZIONE MARCO BESSO

La fortuna dei Proverbi Identità dei popoliMarco Besso e la sua collezione

Nel 1887, il bibliofilo Marco Besso pubblica un libro dal titolo Roma nei proverbi e neimodi di dire. La fonte d’ispirazione fu la preziosa collezione di edizioni paremiologicheche egli acquistò nel corso della sua vita, custodita, ancora oggi, presso la Bibliotecaprivata della Fondazione, da egli stesso istituita a Roma nel 1918. Oggi come allora, lacuriosa sezione paremiologica ha continuato a suscitare grande interesse anche negliautori di questo libro. Sagaci, scherzosi o irriverenti, i proverbi hanno delineato dasempre un ponte tra tradizione ed attualità. Il libro è frutto di una attenta e sapientericerca arricchita da interessanti riferimenti letterari e di attualità che prendono spuntodalla tradizione popolare. Si affronta il tema della “sapienza della vita”, con lo scopodi proporre una riflessione serena sui valori di amore, libertà, speranza, sofferenza ecoraggio. Gli autori aprono un varco verso la conoscenza di differenti visioni del mondoche si uniscono in un reticolato di singolarità e di sfumature insite nei dialetti regionaliitaliani, nelle più note lingue europee fino ad arrivare ai meno conosciuti proverbidell’estremo Oriente.Laura Lalli

Contributi di Sevim Aktas, Gunhild Avitabile, Francesco Avolio, Marco Bais, SanzioBalducci, Franco Bampi, Michele De Gioia, Temistocle Franceschi, Gisèle Lévy, DanielaMagdan, Donatella Mazzeo, Janet Mente, Francesco Montuori, Andràs Nemeth,Martina Nied Curcio, Giulio Paulis, Giovanni Ruffino, Valentina Sagaria Rossi, MariaAntonella Sardelli, Alessandro Scarsella, Gaga Shurgaia, Marcello Teodonio, RenzoTosi, Arthur Weststeijn, Clara Yu Dong

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