«Folia vero in verbis sunt»: parola divina e lingua umana nei Tractatus in psalmos attribuiti a...

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437 «Folia vero in verbis sunt»: parola divina e lingua umana nei Tractatus in psalmos attribuiti a Gerolamo di Alessandro Capone Quocumque humanus sermo esse potest, ibi Iesus resonat (Hier. Tract. ps. 66,3) 1. Premessa Il titolo del presente contributo impone una premessa, per quanto possibile sintetica, che dia ragione della problematicità dell’attribuzione dei Tractatus in psalmos. Nel 1895 il benedettino Germain Morin pubblicò per la prima volta un piccolo commento sui salmi (Commentarioli), composto da Gerolamo tra il 389 e il 392 su richiesta di un amico 1 . Si tratta di un’opera che segue da vicino il perduto Enchiridion di Origene, sviluppando e completando quanto lì era accennato oppure omesso e rimandando per il resto al latissimum opus sui salmi dell’Alessandrino. A distanza di un anno Morin rese nota la scoperta di un gruppo di 59 omelie sui salmi, che hanno vari punti di contatto con i Commentarioli, e di 10 Omelie su Marco 2 . Secondo lo studioso, entrambi i gruppi di omelie potevano essere attribuite a buon diritto a Gerolamo. L’attribuzione allo Stridonense risultava di notevole importanza, giacché fino a quel momento le tracce della sua attività omiletica erano pressoché inesistenti 3 . A indirizzare Morin verso la paternità geronimiana delle omelie vi erano in particolare le testimonianze di Agostino, il quale in una lettera (148,4,13s) del 413/414 cita con qualche lieve differenza un passo dei Tractatus (93,8s) 4 , e di 1 Vd. Sancti Hieronymi presbyteri qui deperditi hactenus putabantur Commenatrioli in psalmos. Primus edidit d. G. Morin, Maredsoli 1895. 2 Vd. G. MORIN, Les monuments de la prédication de saint Jérôme, Revue d’histoire et de littérature religieuses 1 (1896) 393-434 (rist. in ID., Études, textes, découvertes: contributions à la littérature et à l’histoire des douze premiers siècles, Paris 1913, 220-255). 3 Fino ad allora erano noti solo il Breviarium in psalmos, pubblicato da Vallarsi e Maffei tra le opere spurie di Gerolamo (PL 26,801-1270), che è una compilazione medievale, posteriore al diacono Floro di Lione (morto introno all’anno 860), contenente materiali provenienti da Origene, Eusebio di Cesarea, Ilario e Gerolamo; la Secunda expositio super psalmos CXIX (PL 26,1269-1278) e il Liber de expositione psalmorum (PL 26,1277-1360), contenenti le omelie sui salmi 1,5,7,9,78,127,128,131,141. Queste ultime nove omelie e la precedente sul salmo 119, comprese nei 54 Tractatus, erano già state pubblicate da Martianay nell’edizione delle opere di Gerolamo. 4 Ex quorum litteris ne multa commemorando maiores moras faciam, hoc unum sancti Hieronymi interpono, ut noverit iste frater, non se de hac re mecum magis quam cum prioribus agere debere, si quid eum contra permovet. Cum ergo ille vir in Scripturis doctissimus, psalmum exponeret ubi dictum est: Intellegite ergo qui insipientes estis in populo, et stulti aliquando sapite. Qui plantavit aurem, non audiet? Aut qui finxit oculum, non considerat? (Ps 93,9) Inter caetera: “Iste locus, inquit, adversus eos maxime facit, qui Anthropomorphitae sunt, qui dicunt Deum habere membra quae etiam nos habemus. Verbi causa, dicitur Deus habere oculos, quia oculi Domini respiciunt omnia; manus Domini facit omnia”: Et audivit, inquit, Adam sonum pedum Domini deambulantis in paradiso (Gen 3,8): haec simpliciter audiunt, et humanas imbecillitates ad Dei magnificentiam referunt. Ego autem dico quod Deus totus oculus est, totus manus est, totus pes est. Totus oculus est, quia omnia videt. Totus manus est, quia omnia operatur. Totus pes est, quia ubique est. Ergo videte quid dicat. Qui plantavit aurem, non audiet? Aut qui finxit oculos, non considerat? Et non dixit: Qui plantavit aurem, ergo ipse aurem non habet; non dixit: Ergo ipse oculos non habet: sed quid dixit? Qui plantavit aurem, non audiet? Qui finxit oculos, non considerat? Membra tulit, efficientias dedit”. Il passo citato da Agostino si legge anche nel Breviarium (PL 26,1107s).

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«Folia vero in verbis sunt»: parola divina e lingua umana nei Tractatus in psalmos attribuiti a Gerolamo

di Alessandro Capone

Quocumque humanus sermo esse potest, ibi Iesus resonat (Hier. Tract. ps. 66,3)

1. Premessa

Il titolo del presente contributo impone una premessa, per quanto possibile sintetica, che dia ragione della problematicità dell’attribuzione dei Tractatus in psalmos. Nel 1895 il benedettino Germain Morin pubblicò per la prima volta un piccolo commento sui salmi (Commentarioli), composto da Gerolamo tra il 389 e il 392 su richiesta di un amico1. Si tratta di un’opera che segue da vicino il perduto Enchiridion di Origene, sviluppando e completando quanto lì era accennato oppure omesso e rimandando per il resto al latissimum opus sui salmi dell’Alessandrino. A distanza di un anno Morin rese nota la scoperta di un gruppo di 59 omelie sui salmi, che hanno vari punti di contatto con i Commentarioli, e di 10 Omelie su Marco2. Secondo lo studioso, entrambi i gruppi di omelie potevano essere attribuite a buon diritto a Gerolamo. L’attribuzione allo Stridonense risultava di notevole importanza, giacché fino a quel momento le tracce della sua attività omiletica erano pressoché inesistenti3. A indirizzare Morin verso la paternità geronimiana delle omelie vi erano in particolare le testimonianze di Agostino, il quale in una lettera (148,4,13s) del 413/414 cita con qualche lieve differenza un passo dei Tractatus (93,8s)4, e di

1 Vd. Sancti Hieronymi presbyteri qui deperditi hactenus putabantur Commenatrioli in psalmos. Primus edidit d. G. Morin, Maredsoli 1895. 2 Vd. G. MORIN, Les monuments de la prédication de saint Jérôme, Revue d’histoire et de littérature religieuses 1 (1896) 393-434 (rist. in ID., Études, textes, découvertes: contributions à la littérature et à l’histoire des douze premiers siècles, Paris 1913, 220-255). 3 Fino ad allora erano noti solo il Breviarium in psalmos, pubblicato da Vallarsi e Maffei tra le opere spurie di Gerolamo (PL 26,801-1270), che è una compilazione medievale, posteriore al diacono Floro di Lione (morto introno all’anno 860), contenente materiali provenienti da Origene, Eusebio di Cesarea, Ilario e Gerolamo; la Secunda expositio super psalmos CXIX (PL 26,1269-1278) e il Liber de expositione psalmorum (PL 26,1277-1360), contenenti le omelie sui salmi 1,5,7,9,78,127,128,131,141. Queste ultime nove omelie e la precedente sul salmo 119, comprese nei 54 Tractatus, erano già state pubblicate da Martianay nell’edizione delle opere di Gerolamo. 4 Ex quorum litteris ne multa commemorando maiores moras faciam, hoc unum sancti Hieronymi interpono, ut noverit iste frater, non se de hac re mecum magis quam cum prioribus agere debere, si quid eum contra permovet. Cum ergo ille vir in Scripturis doctissimus, psalmum exponeret ubi dictum est: Intellegite ergo qui insipientes estis in populo, et stulti aliquando sapite. Qui plantavit aurem, non audiet? Aut qui finxit oculum, non considerat? (Ps 93,9) Inter caetera: “Iste locus, inquit, adversus eos maxime facit, qui Anthropomorphitae sunt, qui dicunt Deum habere membra quae etiam nos habemus. Verbi causa, dicitur Deus habere oculos, quia oculi Domini respiciunt omnia; manus Domini facit omnia”: Et audivit, inquit, Adam sonum pedum Domini deambulantis in paradiso (Gen 3,8): haec simpliciter audiunt, et humanas imbecillitates ad Dei magnificentiam referunt. Ego autem dico quod Deus totus oculus est, totus manus est, totus pes est. Totus oculus est, quia omnia videt. Totus manus est, quia omnia operatur. Totus pes est, quia ubique est. Ergo videte quid dicat. Qui plantavit aurem, non audiet? Aut qui finxit oculos, non considerat? Et non dixit: Qui plantavit aurem, ergo ipse aurem non habet; non dixit: Ergo ipse oculos non habet: sed quid dixit? Qui plantavit aurem, non audiet? Qui finxit oculos, non considerat? Membra tulit, efficientias dedit”. Il passo citato da Agostino si legge anche nel Breviarium (PL 26,1107s).

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Cassiodoro, il quale cita, anche qui con qualche differenza, il Tractatus in psalmum 41 ad neophytos e un passo della prima Omelia su Marco5. Morin dimostrò che le omelie erano state pronunciate in riunioni liturgiche, che l’omileta era un monaco e che anche l’uditorio era composto da monaci. Quanto alla datazione, in base all’esame di alcuni indizi interni al testo, riteneva plausibile collocare i Tractatus nel primo decennio del V secolo. Infine il luogo in cui le omelie furono pronunciate era da identificare, secondo Morin, con Betlemme. Gli elementi fin qui rintracciati, uniti ad altri caratteristici di queste omelie, quali la conoscenza del testo ebraico e delle varianti esaplari, l’entusiasmo per le Scritture, gli attacchi contro gli eretici e il disprezzo delle filosofie pagane, le numerose somiglianze lessicali e stilistiche con la produzione di Gerolamo, ebbene tutti questi elementi lasciavano pochi dubbi nell’attribuire allo Stridonense i Tractatus in psalmos. Certo, pur non sfuggendo a Morin le varie difficoltà che contrastavano con la sua proposta di attribuzione, egli cercò tuttavia di darne puntuali giustificazioni, sul merito delle quali si può discutere, ma che in ogni caso confermavano la paternità geronimiana. A distanza di qualche anno dalla pubblicazione dei 59 Tractatus6, Morin diede notizia della scoperta di una nuova serie di 14 omelie sui salmi7. Tra queste particolarmente importante risultava quella sul salmo 15 per una decisiva autocitazione di Gerolamo del Liber quaestionum hebraicarum in Genesim, che sembrava ratificare definitivamente la paternità geronimiana dell’intera raccolta8. L’edizione di questa seconda serie di omelie attirò l’attenzione di Arthur S. Pease, il quale dedicò un ampio studio ai nuovi Tractatus9: alcune peculiarità, soprattutto di carattere stilistico, lo inducevano a pensare che i testi relativi ai salmi 10 e 15 non fossero omelie, ma la parte sopravvissuta di un commentario dedicato da Gerolamo a una selezione di salmi e destinato, a differenza dei Tractatus, a un pubblico colto. Alla proposta di Pease Morin replicò in più riprese, suggerendo di intendere la seconda serie come la testimonianza di un progetto, coltivato da Gerolamo in tarda età, di spiegare in maniera più completa il salterio10.

5 Cf. Cassiod. Exp. ps. 41,1: sed in his nominibus illud meminisse debemus quod beatus Hieronymus ait. Omne psalterium sagaci mente perlustrans, numquam inuenio quod filii Core aliquid triste cantauerint; semper enim in psalmis eorum laeta sunt et iucunda; saecularibusque contemptis caelestia et aeterna desiderant, congruentes interpretationi nominis sui. Lo stesso concetto si ritrova anche in Tract. ps. 83,1; 84,1. Cf. Cassiod. Exp. ps. praef. I: unde et sanctus Hieronymus exponens euangelistam Marcum in loco ubi ait de Ioanne: Vidit apertos caelos et Spiritum tamquam columbam descendentem et manentem in ipso, ita euidenti ratione tractauit, ut nemo contra sententiam ipsius uenire praesumat. 6 Sancti Hieronymi presbyteri Tractatus sive Homiliae in Psalmos, in Marci evangelium aliaque varia argumenta. Primus edidit d. G. Morin, Maredsoli 1897. 7 Vd. G. MORIN, Quatorze nouveaux discours inédits de saint Jérôme sur les Psaumes, Revue Bénédictine 19 (1902) 113-144; rist. in ID., Études, textes, découvertes, 255-289. L’edizione di questa nuova serie fu pubblicata l’anno dopo: Sancti Hieronymi Presbyteri Tractatus sive Homiliae in Psalmos quattuordecim. Primus edidit D. Germanus Morin, Maredsoli 1903. 8 Cf. Hier. Tract. ps. s. al. 15,11: notandum quoque, quod in hoc loco ubi nos legimus, Adimplebis me laetitia, Theodotion dixerit Septem laetitiae et Cum uulto tuo delectatio in dextera tua. Victori; et Aquila et Symmachus transtulerunt Plenitudo laetitiarum cum facie tua uel Apud faciem tuam et reliqua. Quaeritur ergo quare Theodotion septem pro plenitudine dixerit? Quod quidem facile sciet, qui hebraeae linguae saltim paruam notitiam habuerit. Saba enim uerbum, ut in libro quoque Hebraicarum Quaestionum diximus, quattuor res significat: plenitudinem et satietatem, iuramentum et septem. 9 A.S. PEASE, Notes on St. Jerome’s Tractates on the Psalms, Journal of Biblical Literature 26/2 (1907) 107-131; ID., Iterum hieronymiana, Revue Bénédictine 26 (1909) 386-388. 10 Vd. G. MORIN, Deux débris inaperçus d’un ouvrage perdu de Saint Jérôme, Revue Bénédictine 25 (1908) 229-231 (rist. in ID., Études, textes, découvertes, con un titolo differente: Deux des Tractatus perdus de saint

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La paternità geronimiana dei Tractatus, fino a quel momento riconosciuta all’unanimità11, fu messa in discussione da Vittorio Peri nel 1980, il quale ricondusse le omelie a Origene. Infatti, un dotto benedettino del XV secolo, Johann von Trittenheim (1462-1516), conosceva un’opera in cui si faceva menzione di 150 Tractatus in psalterium di Origene e prima ancora un chierico e biblista romano del XII secolo, Nicola Maniacutia, rinviava a una Expositio dei salmi di Origene e ne attribuiva la traduzione latina a Gerolamo12. Queste testimonianze e i numerosi riscontri testuali hanno indotto Peri non solo ad attribuire l’originale greco, tradotto poi da Gerolamo, a Origene, ma identificarlo con gli Excerpta in totum psalterium ricordati dallo Stridonense alla fine della lista delle opere origeniane elencate nell’Epistola 33. Secondo Peri, infine, l’attuale numero delle omelie dipenderebbe da una preliminare selezione avvenuta prima di Gerolamo, in cui è stata scelta generalmente un’omelia per salmo, intera o ridotta, a seconda della lunghezza del testo. La tesi di Peri riscosse un consenso piuttosto ampio13, tanto che il primo traduttore italiano dei Tractatus li pubblicò sotto il nome di Origene-Gerolamo14. Successivamente tuttavia, soprattutto dalla scuola francese, si è levata qualche voce contraria all’attribuzione origeniana15. In particolare Pierre Jay ha fornito una confutazione decisiva della tesi di Peri16: oltre a richiamare le antiche testimonianze di Agostino e Cassiodoro, ha sottolineato l’importanza degli interventi personali di Gerolamo, ha messo in luce le differenze di stile tra le omelie di Origene, dichiaratamente tradotte da Gerolamo, e i Tractatus, e infine ha dimostrato che le citazioni scritturistiche che secondo Peri presupponevano il testo dei LXX riflettono piuttosto quello delle antiche versioni latine che Gerolamo cita a memoria anche nei commentari esegetici. Tanto, in estrema sintesi, era necessario non solo per dare contezza della travagliata storia dell’attribuzione dei Tractatus, ma anche per inquadrarli all’interno di una corretta prospettiva

Jérôme sur les psaumes x-xvi, 289-293); ID., Les Tractatus de saint Jérôme sur les Psaumes X et XV, Revue Bénédictine 26 (1909) 467-469. Vd. anche A. VACCARI, Frammento di un perduto Tractatus di S. Girolamo, Biblica 1 (1920) 513-517. 11 Quasi a sancire tale riconoscimento, i Tractatus furono ripubblicati nel volume 78 del Corpus Christianorum series latina contenente gli opera homiletica di Gerolamo (Turnhout 1958). 12 Vd. V. PERI, Omelie origeniane sui Salmi. Contributo all’identificazione del testo latino, Città del Vaticano 1980, 28-41. 13 Tra le recensioni ricordiamo: Augustinianum 21/2 (1981), 429s., Simonetti; Bulletin de littérature ecclésiastique 82 (1981) 133-136, Crouzel; Cristianesimo nella storia 2 (1981) 525-527, Gribomont; Gregorianum 63 (1982) 596s., Orbe; Revue Bénédictine 91/3-4 (1981) 404s., Bogaert. Vd. anche M.-J. RONDEAU, Les commentaires patristiques du Psautier (IIIe-Ve siècles). Les travaux des Pères grecs et latins sur le psautier, vol. 1, Roma 1982, 54s. e 157-161. 14 Origene - Gerolamo. 74 omelie sul libro dei salmi, introd., trad. e note di G. COPPA, Milano 1993. 15 Vd. la recensione di P. Nautin al volume di M.-J. Rondeau, pubblicata sulla Revue des Études Grecques 97 (1984) 584s, e la recensione di Y.-M. Duval a C. ESTIN, Les psautiers de Jérôme, Roma 1984, pubblicata in Revue des Études Augustiniennes 32/1-2 (1986) 197ss.; P. JAY, Jérôme et la pratique de l’exégèse, in Le monde latin antique et la Bible, sous la dir. de J. FONTAINE et Ch. PIETRI, Paris 1985, 523-541. 16 Vd. P. JAY, Jérôme à Bethléem: les Tractatus in Psalmos, in Jérôme entre l’Occident et l’Orient, par Y.-M. DUVAL, Paris 1988, 367-380. D’altro canto la recente scoperta delle Omelie sui salmi di Origene, di cui si darà qualche saggio in seguito, elimina ormai qualsiasi dubbio sul fatto che i Tractatus geronimiani possano essere considerati traduzioni delle omelie origeniane. Sul manoscritto che contiene i nuovi testi vd. M. MOLIN PRADEL, Novità origeniane dalla Staatsbibliothek di Monaco di Baviera: il Cod. Graec. 314, Adamantius 18 (2012) 16-40. Per un primo bilancio sulla scoperta vd. L. PERRONE, Riscoprire Origene oggi: prime impressioni sulla raccolta di omelie su Salmi nel Cod. Monac. Graec. 314, Adamantius 18 (2012) 41-58.

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esegetica, ampia e articolata, che tenga conto della paternità geronimiana e della innegabile influenza origeniana.

2. L’albero, il frutto e le foglie

Commentando Sal 1,3 (Et erit tamquam lignum, quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo, et folium eius non defluet), Gerolamo si ferma a interpretare che cosa significhi che quest’albero ha frutto e fogliame.

Lignum hoc nunc flores habet, lignum hoc nunc germinat, et promittit fruges futuras. Lignum hoc duo habet: habet et fructus, habet et folia. Fructus habet sensum in scripturis; folia, uerba simplicia. Fructus in sensu est, folia uero in uerbis sunt. Quicumque igitur scripturas sanctas legit, si secundum Iudaeos legit, tantum folia intellegit; si uero spiritaliter intellegit, fructus capit17.

Gerolamo pone in maniera netta da un lato la direttrice frutto – senso delle Scritture – interpretazione allegorica, dall’altro la direttrice foglie – parole delle Scritture – interpretazione letterale ovvero giudaizzante. Tale distinzione può essere ricondotta a Origene, il quale, infatti, spiega che il frutto di Cristo è la dottrina, cioè il nutrimento di quanti sono più saldi, mentre il fogliame è il nutrimento di quanti sono irrazionali: gli uomini, infatti, si cibano dei frutti, mentre gli animali si nutrono delle foglie18. Ora, se la matrice origeniana appare evidente, altrettanto chiaramente emergono le peculiarità del discorso geronimiano, come dimostrano altri passi. Nel Tractatus VIII in Marcum, Gerolamo commenta il passaggio (Mc 11,11-14) in cui Gesù affamato si avvicina a un albero di fichi frondoso, ma senza frutti, poiché non era la stagione dei fichi, e contro di esso scaglia una maledizione. Per Gerolamo quel fico rappresenta il giudeo dal quale il Signore prende le

17 Hier. Tract. ps. 1,3: «Quest’albero ora ha fiori, quest’albero ora germoglia e promette raccolti futuri. Quest’albero ha due cose: ha sia frutti sia foglie. Ha frutti, il senso nelle Scritture; foglie, le semplici parole. Il frutto è nel senso, le foglie invece sono nelle parole. Quindi chiunque legga le sante Scritture, se legge secondo i giudei, comprende solo le foglie; se invece comprende in senso spirituale, coglie i frutti» (qui come in seguito, laddove non si dia indicazione diversa, la traduzione è di chi scrive). 18 Cf. Orig. Sel. ps. 1,3 (PG 12,1089C-D): καρπὸς δὲ τοῦ Χριστοῦ εἴη ἂν προηγουμένως ἡ διδασκαλία, ἡ τῶν τιμιωτέρων τροφὴ, φύλλον δὲ ἡ τῶν ἀλογωτέρων τροφή· ὥσπερ τοῖς καρποῖς χρῶνται οἱ ἄνθρωποι, φύλλοις δὲ τὰ βοσκήματα. Ambrogio interpreta in modo moraleggiante (Expl. ps. 1,41s): Fructus interior est, folium, quo fructus uel a sole torrenti vel a frigore defendatur. Fructus uidetur esse fides, pax, doctrinae excellentia, uerae cognitionis intentio, mysteriorum ratio. Hos fructus bona uita custodit, mala, etiamsi percepit, amittit. Peccatori autem dixit deus: Quare tu enarras iustitias meas? In mysticis fructus est, in moralibus folium contemplatione mysteriorum caelestium. Nam uirtutes sine fide folia sunt; videntur uirere, sed prodesse non possunt, agitantur uento, quia non habent fundamentum … Si quae Christo ministrabat ad mensam non conferebatur ei quae uerbum cupiebat audire, quem operantem studioso cognitionis aeternae conferre poterimus, ita tamen, ut nec illius operationi fides nec huius cognitioni, sicut Mariae, desit operatio, ne uel folia sine fructu sint uel fructus sine munimentis naturalibus sit intectus et pateat iniuriae? D’altro canto Agostino intende fructus e folia come facta e dicta (En. ps. 1,3): id est, quaecumque illud lignum adtulerit; quae omnia uidelicet accipienda sunt fructus et folia, id est facta et dicta; (En. ps. 31/2,9): si non uidisset sub ista ficu genus humanum Christus, aut aresceremus omnino, aut, quomodo Pharisaei, in quibus dolus erat, id est, iustificabant se uerbis, factis autem mali erant, folia sola inuenirentur in nobis, non fructus; (En. ps. 34/2,2): folia erant, et fructus non erant; uerba erant, et facta non erant; (En. ps. 138,18): nomen in illis remanserat laudis Dei; facta autem in eis non inueniebantur: erant in eis uerba dei, quasi folia in arbore, et fructus nusquam.

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distanze, ma al quale al contempo si avvicina per salvarlo19. Segue una lunga interpretazione del fico e delle foglie come simboli dell’esegesi scritturistica:

Cumque uidisset a longe ficum habentem folia: folia, non fructus: uerba, non sensus: scripturas, non intellegentiam scripturarum. Illi enim habent scripturas, nos uero intellegentiam scripturarum. Vidit ergo ficum habentem folia. Semper ista ficus folia habet, et numquam fructus habet ista ficus, quae in paradiso fuit20. Denique et Adam eo tempore texit uerenda sua, quando conruit: habebat enim folia. Ficus ista synagoga Iudaeorum est21, quae habet tantum uerba, et non intellegentiam scripturarum22.

Da qui Gerolamo, secondo una prassi tipica dei Tractatus in Marcum, per confermare la sua interpretazione, passa a esaminare il parallelo lucano relativo al fico, che, pur con qualche differenza, è interpretato come simbolo di Israele. Ora, l’immagine delle foglie e del frutto ricorre in altri due passi, sicuramente geronimiani:

Respondeant Iudaei et amici simplicis tantum historiae, qui fructus non quaerunt in arbore, sed folia tantum umbramque uerborum, quae cito arescit et deperit…23 Ita scripturas sanctas, quasi caeci palpantes parietem, uerba tantum earum et folia, non sensum fructumque quaerentes, qui tenetur in litteris24.

19 Cf. Hier. Tract. Marc. 8: infelix Iudaeus. Notus in Iudaea Deus, in Israhel magnum nomen eius. Hoc aliquando apud patriarchas, hoc apud prophetas: nunc uero Deus ille, qui dicebat in Hieremia Deus adpropinquans ego, et non de longe [dicit], nunc idem Dominus recedit a Iudaeis et longe eos uidet: tamen ut saluet, adpropinquabat. 20 Cf. Gn 3,7. 21 Cf. Hier. Com. Matth. 3,21,20: cumque uidisset arborem unam quam intellegimus synagogam et conciliabulum Iudaeorum iuxta uiam (habeat enim legem et iuxta uiam erat quia non credebat in Via) uenit ad eam, stantem scilicet et immobilem et non habentem euangelii pedes, nihilque inuenit in illa nisi folia tantum, promissionum strepitum, traditiones pharisaicas, iactationem legis, ornamenta uerborum absque ullis fructibus ueritatis. Anche Origene (CMt 16,26) interpreta il fico come la sinagoga dei giudei, ma non fa cenno all’immagine delle foglie e del frutto come termini di paragone dell’interpretazione delle Scritture: καὶ μίαν ἰδὼν συκῆν ἐπὶ τῆς ὁδοῦ, τὸ δένδρον τοῦ λαοῦ, ἦλθεν ἐπ’ αὐτήν, καὶ οὐδὲν εὗρεν ἐν αὐτῇ βρώσιμον ἀλλὰ μόνον ζωῆς ἔμφασιν·φύλλα γὰρ χωρὶς καρπῶν ἦν ἐν τῇ συκῇ. εἶτ’ ἐπεὶ ἔμψυχος ἦν αὕτη ἡ συκῆ, διὰ τοῦτο λέγει ὡς ἀκουούσῃ τὴν πρέπουσαν αὐτῇ ἀράν. τὸ δὲ λεγόμενον τοιοῦτον ἦν ὅσον συνέστηκεν ὁ ἐνεστὼς αἰών, μηκέτι γένοιτο ἔν σοι καρπός. διὰ τοῦτο ἄκαρπός ἐστιν ἡ Ἰουδαίων συναγωγή, καὶ τοῦτο γίνεται αὐτῇ «ἕως τῆς συντελείας τοῦ αἰῶνος», ἕως «τὸ πλήρωμα τῶν ἐθνῶν εἰσέλθῃ» … ἔβλεπον γὰρ ξηρὰν τὴν συκῆν, τὸν λαὸν τὸν Ἰσραὴλ ἐκεῖνον. Sul passo vd. le note di M.I. Danieli in Origene. Commento al vangelo di Matteo 3, a c. di M.I. DANIELI – R. SCOGNAMIGLIO, Roma 2001, 110s. Il paragone della Legge con l’albero di fico si trova anche nell’interpretazione rabbinica: cf. Talmud Bab., Masseket Eruvin 54a. Sull’abitudine dei dottori della legge di studiare o insegnare sotto un albero di fico vd. i testi raccolti in Das Evangelium nach Markus, Lukas und Johannes und die Apostelgeschichte, erlautert aus Talmud und Midrasch von H.L. STRACK – P. BILLERBECK, München 1961, 371. 22 Hier. Tract. Marc. 8: «Vedendo da lontano una pianta di fichi che aveva molte foglie: dice foglie, non frutti; e cioè parole, non ciò che significano; i testi della Scrittura, non la comprensione della Scrittura. Loro infatti hanno la Scrittura, ma noi abbiamo la comprensione della Scrittura. Vide una pianta di fico che aveva molte foglie. Questa pianta di fico ha sempre foglie, ma non porta mai frutti questo fico che già si trovava nel paradiso. Adamo, infatti, al tempo della sua caduta, si coprì con esse le parti intime poiché disponeva di queste foglie. Questa pianta di fico è la sinagoga dei Giudei che dispone solo di parole, ma non ha la comprensione della Scrittura» (trad. di S. COLA). Sulla simbologia del fico in Gerolamo vd. S. MARGARINO, Girolamo sapiente agricoltore della terra promessa: esegesi profetica del fico, della vite e dell’ulivo, in Auctores nostri 8 (2010) 231-249. 23 Hier. Com. Is. 9,29,17-21: «Rispondano i giudei e gli amici solo della semplice lettera che nell’albero non cercano i frutti, ma solo le foglie e l’ombra delle parole, che presto seccano e deperiscono…».

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Com’è noto, il Commento a Isaia fu dettato da Gerolamo tra il 408 e il 409 ed è l’espressione della ratio ermeneutica sviluppata dallo Stridonense negli ultimi anni di attività, in cui a un’esegesi letterale alternava un’interpretazione spirituale, cioè allegorica, per lo più frutto di un tacito saccheggiamento delle fonti25. Ora, trattandosi di un scritto pressoché coevo ai Tractatus in psalmos, almeno secondo la cronologia proposta da Morin, e ai Tractatus in Marcum, pronunciati probabilmente tra il 397 e il 40226, si può pensare che l’uso in chiave ermeneutica dell’immagine dell’albero e delle foglie sia peculiare proprio di questa fase dell’attività di Gerolamo27. D’altro canto, che l’interpretazione giudaica delle Scritture fosse considerata tanto letterale da essere incapace di superare la lettera e così arrivare al senso profondo del testo biblico, è un fatto più volte criticato da Gerolamo, nonché da altri28. Ciò che invece è interessante prendere in considerazione è l’idea che le foglie rappresentino le semplici parole del testo sacro. Ora, queste foglie – si legge nel Salmo 1,3 – non cadranno (folium eius non defluet). La precisazione del salmista esige una spiegazione che, pur rimanendo all’interno dell’immagine albero - frutti - foglie, consenta una comprensione più profonda:

Tamen et folia istius arboris utilia sunt. Denique si quis et secundum historiam intellegit, utilitatem habet animae suae. Legimus in Apocalypsi Iohannis …: Et ecce, inquit, uidi tronum positum, et agnum unum, et arborem, inquit, secundum flumen, et ex utraque parte ripae ipsam arborem: hoc est, ex ista parte erat, et ex illa parte erat. Et habebat, inquit, fructus ipsa arbor, et in anno mensibus singulis duodecies fructus adferebat. Et habebat, inquit, folia, et folia eius erant ad sanitatem gentium29.

Un’interpretazione simile si trova già nel Commento a Giovanni di Origene, dove l’Alessandrino pone in parallelo l’albero piantato lungo il corso delle acque del salmo 1 e il Salvatore che è albero della vita in quanto Sapienza (cf. Pr 3,18) che porta frutti e foglie che non cadono30. Di seguito aggiunge:

24 Hier. Com. Is. 16,59,9-11: «Così a proposito delle sante Scritture, come ciechi che tastano una parete, cercando solo le loro parole e le foglie, non il senso e il frutto, che è contenuto nelle lettere». 25 Vd. M. SIMONETTI, Sulle fonti del Commento a Isaia di Girolamo, Augustinianum 24/3 (1984) 451-469. 26 Vd. Jérôme. Homélies sur Marc, texte latin de d. G. MORIN, introd., trad. et notes par J.-L. GOURDAIN, Paris 2005, 14. 27 Anche il Commento a Matteo, in cui, come s’è visto, ricorre la stessa immagine a proposito del fico, è dello stesso periodo, precisamente del 398: vd. Saint Jérôme. Commentaire sur s. Matthieu, t. I, texte lat., introd., trad. et notes par É. BONNARD, Paris 1977, 9ss. 28 Vd. J.-L. GOURDAIN, La polémique anti-juive sur l’interprétation de l’Ecriture dans les homélies de saint Jérôme, in Les chrétiens face à leurs adversaires dans l’occident latin au IVe siècle, par J.-M. POINSOTTE, Rouen 2001, 85-96; R. GONZALEZ SALINERO, Biblia y polémica antijudía en Jerónimo, Madrid 2003. 29 Hier. Tract. ps. 1,3: «Tuttavia anche le foglie di quest’albero sono utili. In fin dei conti se qualcuno intende anche secondo la storia, ha utilità per la propria anima. Leggiamo nell’Apocalisse di Giovanni …: “Ed ecco, dice, vidi posto un trono, e un agnello e un albero lungo il fiume, e da entrambe le parti del fiume lo stesso albero: cioè era da questa parte ed era dall’altra. E lo stesso albero, dice, aveva frutti e portava frutti dodici volte all’anno mese per mese. E, dice, aveva foglie e le sue foglie servivano a guarire le nazioni”». 30 Cf. Orig. CIo XX,36,322: εἰ τὸ πεφυτευμένον ξύλον «παρὰ τὰς διεξόδους τῶν ὑδάτων» τοιοῦτόν ἐστιν, ὡς τὸν καρπὸν αὐτοῦ διδόναι «ἐν καιρῷ αὐτοῦ» καὶ μηδὲ φύλλον αὐτοῦ ἀπορρεῖν ἀλλὰ πάντα ὅσα ἂν ποιῇ κατευοδοῦσθαι, τί νομιστέον περὶ τοῦ σωτῆρος ἡμῶν Ἰησοῦ ἢ ὅτι αὐτὸς ὢν τὸ ξύλον τῆς ζωῆς κατὰ τὸ εἶναι σοφία κα ὶ τὴν σοφίαν εἶναι «ξύλον ζωῆς πᾶσι το ῖς ἀντεχομένοις α ὐτῆς», καὶ καρποφορεῖ καὶ τὰ ἕτερα παρὰ τοὺς καρποὺς φύλλα τοιαῦτα ἔχει ὡς μηδὲ ἓν αὐτῶν ἀπορρεῖν;

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διὰ τοῦτο οὐδένα τοῦ Ἰησοῦ λόγον, καὶ ταῦτα ἀναγραφῆς ἀξιωθέντα ὑπὸ τῶν ἁγίων μαθητῶν αὐτοῦ, ὡς ἔτυχεν ἐκδεκτέον· ἀλλὰ πᾶσαν βάσανον καὶ τοῖς νομιζομένοις ε ἶναι σαφέσιν προσακτέον, ο ὐκ ἀπογινώσκοντα ὅτι καὶ περὶ τὸν ἀνυπονόητον καὶ ἁπλοῦν εἶναι νομισθέντα λόγον αὐτοῦ εὑρεθήσεται τοῖς ὀρθῶς ζητοῦσιν ἄξιόν τι τοῦ ἱεροῦ στόματος ἐκείνου. Εἰ δέ που μὴ εὑρίσκομεν, ἡμᾶς καὶ οὐ τὸν λόγον τοῦ Ἰησοῦ αἰτιατέον ὡς ο ὐ πνέοντα τ ῶν ἐκ πληρώματος μεστῶν ἀληθείας κα ὶ σοφίας δογμάτων31.

Dunque, se da un lato è Origene a interpretare, probabilmente per la prima volta, le foglie dell’albero del salmo 1 come le parole di Gesù32, d’altro canto sembra che Ilario di Poitiers sia stato il primo ad accostare le foglie del salmo a quelle dell’albero di Apocalisse 22,233. Tuttavia l’esegesi di Ilario è di carattere sacramentale e differisce da quella di Gerolamo, il quale evidentemente attinge alla tradizione precedente, ma la rinnova per sostanza ed estensione. Egli osserva, infatti, che la Scrittura non dice alberi, ma un solo albero, sicché è lecito chiedersi come faccia un albero a stare su entrambe le sponde dello stesso fiume34. Questo particolare spinge Gerolamo verso un’interpretazione allegorica: il solo fiume che scaturisce dal trono di Dio è la grazia dello Spirito Santo che si trova nelle Scritture e le due sponde del fiume sono l’Antico e il Nuovo Testamento; di conseguenza l’albero che è piantato su entrambe le sponde è Cristo e il fatto che l’albero dia frutto dodici volte all’anno è da intendere nel senso che non è possibile raccogliere i suoi frutti se non tramite gli apostoli35. Ma allora in che termini le foglie che non cadono sono utili alle nazioni?

31 Orig. CIo XX,36,323s.: «Perciò non si deve prendere come casuale nessuna parola di Gesù, soprattutto per il fatto che son state ritenute meritevoli d’essere trascritte dai suoi discepoli. Bisogna invece applicare ogni attenzione anche a quelle che si ritengono chiare, perché non si deve deporre la speranza che, nella parola di Gesù apparentemente meno profonda e più semplice, coloro che cercano con giusto criterio possano trovare qualcosa di degno della sua sacra bocca. Se poi non troviamo, dobbiamo attribuirne la colpa a noi stessi e non alla parola di Gesù, quasi che non spirasse dalla [sua] pienezza dottrine piene di verità e di sapienza» (trad. di E. CORSINI). 32 Anche Ilario interpreta le foglie come le parole di Dio (Tract. ps. 1,16): doctrina ergo uerborum Dei, quae promissos nobis fructus conuestit, significatur in foliis. His enim uerbis spes nostrae inumbrantur, horum inter has saeculi tempestates munimine conteguntur. Non defluent igitur haec folia id est Dei uerba, quia per Dominum dictum est: Caelum et terra praeteribunt, uerba autem mea non praeteribunt. Nihil enim ex his quae a Deo dicta sunt dilabetur aut decidet. 33 Hil. Pict. Tract. ps. 1,17: quod autem haec folia ligni huius non inutilia sint, sed salutaria gentibus, sanctus Iohannes in Apocalypsi testatur dicens: Et ostendit mihi flumen aquae uitae, splendidum tamquam crystallum, exiens de throno Dei et agni, in medio plateae eius et ex utraque parte fluminis arborem uitae, quae facit fructum duodecies, singulis mensibus reddens fructum suum, et folia arboris illius sunt ad sanitatem gentium. Caeleste sacramentum ita per corporales species exponitur, ut rationem spiritalem corporalia ipsa, quamquam implere non possint, tamen adcorporata non mutilent. Conuenerat enim dixisse ex utraque parte fluminis demonstrati arbores esse, non arborem. Sed quia uitae arbor ubique in sacramento baptismi una est undique ad se uenientibus apostolicae praedicationis fructus subministrans, ideo ex utraque parte fluminis una uitae arbor adsistit – unus enim agnus est in Dei throno uisus et unum flumen et uitae arbor una, quae omnia in se complectuntur mysteria corporationis, baptismi, passionis –, cuius folia, id est praedicationis uerba salutem gentibus per doctrinam eloquii non decidentis impertiunt. 34 Hier. Trac. ps. 1,3: non dixit arbores, sed arbor una. Si arbor una est, quomodo ex ista parte ripae est, et ex illa parte ripae est? Si enim dixisset, uidi arbores, fieri poterat ut aliae essent ex alia parte, et aliae ex alia. Nunc uero una arbor ex utraque parte esse dicitur. 35 Hier. Trac. ps. 1,3: unus fluuius egreditur de trono Dei, hoc est gratia Spiritus sancti; et ista gratia Spiritus sancti in sanctis scripturis est, hoc est in isto fluuio scripturarum. Tamen iste fluuius duas ripas habet, et uetus et nouum testamentum; et in utraque parte arbor plantata Xpistus est. Haec igitur arbor in anno, hoc est, in

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Si quis ergo per apostolos ad arborem uenerit, necesse est ut fructus accipiat, fructus metat de scripturis sanctis, hoc est, sensum diuinum in littera conmorantem. Si quis ergo uenerit ad istam arborem per apostolos, ut diximus, fructus eius capit; si quis uero non potuerit, adhuc infirmior est, et necdum est discipulus, sed de turba est, sed de foris est, de gentibus est. Iste quia fructus capere non potest, uerba capiat, hoc est, folia ad sanitatem gentium; scriptum est enim, Et folia eius ad sanitatem gentium. Si quis adhuc de gentibus est, si quis non est discipulus, adhuc de turba est, iste accipiat folia ipsius, hoc est, uerba simplicia accipiat pro medicamento. Denique scriptum est, Et folia eius ad sanitatem gentium, hoc est, ad medicinam36.

Qui l’utilità delle parole del testo sacro è spiegata sulla base del discepolato e non, come per Origene, in funzione della cultura dei destinatari, oppure, come per Ilario, in relazione al battesimo. Per Gerolamo appartiene alle nazioni chi non è discepolo, chi è parte della moltitudine, chi è fuori (dalla Chiesa?): per costoro le semplici parole delle Scritture possono avere valore di medicina. Anche in questo caso si sente riemergere una nozione origeniana37, ma ancora una volta il taglio offerto da Gerolamo è differente, come è confermato e meglio chiarito anche da un parallelo nel Commento a Ezechiele, nel quale così spiega il passo Et erunt fructus eius in cibum, et folium eius ad medicinam38:

…diuinorum librorum sacramenta demonstrat, quorum alterum pertinet ad litteram, alterum ad spiritum, ut uerba simplicia intellegamus in foliis, in fructibus uero sensum latentem: sicut enim scientia scripturarum ducit ad regna caelorum et praebet nobis panem qui dicit: Ego sum panis, qui de caelo descendi39, sic folia eius, quae moralem doctrinam continent, tribuunt sanitatem, ut peccantium curent uulnera40.

In questo passaggio la funzione dei uerba simplicia, che contengono la dottrina morale, è definita in relazione alla cura delle ferite di coloro che peccano. Questa spiegazione permette di meglio singulis mensibus duodecies fructus adferebat. Non possumus enim fructus de ista arbore accipere, nisi per apostolos. 36 Hier. Trac. ps. 1,3: «Se qualcuno dunque giungerà all’albero per mezzo degli apostoli, è necessario che colga i frutti, che raccolga i frutti dalle sante Scritture, cioè il senso divino presente nella lettera. Se qualcuno dunque giungerà a quest’albero per mezzo degli apostoli, come abbiamo detto, coglie i frutti; se qualcuno invece non potrà, è ancora incerto e non è ancora discepolo, ma è parte della moltitudine, ma è parte con gli estranei, è parte delle nazioni. Poiché costui non può cogliere i frutti, colga le parole, cioè le foglie che servono a guarire le nazioni; infatti è scritto: E le sue foglie servivano a guarire le nazioni. Se qualcuno è ancora parte delle nazioni, se qualcuno non è discepolo, è ancora parte della moltitudine, costui colga le sue foglie, cioè prenda le semplici parole come un medicinale. E poi è scritto: E le sue foglie servivano a guarire le nazioni, cioè per la medicina». 37 Cf. Orig. HLev VIII,1: et quia Iesus hic, qui medicus est, ipse est et uerbum Dei, aegris suis non herbarum sucis, sed uerborum sacramentis medicamenta conquirit. Quae uerborum medicamenta si qui incultius per libros tamquam per agros videat esse dispersa, ignorans singulorum dictorum urtutem ut vilia haec et nullum sermonis cultum habentia praeteribit. Tutto il capitolo iniziale dell’omelia sviluppa il tema tradizionale di Gesù Cristo medico. 38 Ez 42,12: et super torrentem orietur in ripis eius ex utraque parte omne lignum pomiferum non defluet folium ex eo et non deficiet fructus eius per singulos menses adferet primitiva quia aquae eius de sanctuario egredientur et erunt fructus eius in cibum et folia eius ad medicinam. Come si nota facilmente, il passo contiene varie affinità con Ap 22,2. 39 Gv 6,41. 40 Hier. Com. Hiez. 14,47,6-12: «…dimostra i misteri dei libri divini, dei quali uno riguarda la lettera, l’altro lo spirito, affinché comprendiamo le semplici parole nelle foglie e invece il senso latente nei frutti: come infatti la scienza delle Scritture conduce ai regni dei cieli e ci offre il pane che dice: Io sono il pane disceso dal cielo, così le sue foglie, che contengono la dottrina morale, offrono la salvezza, per curare le ferite dei peccatori». Il commento è datato agli anni 410-414, anch’esso dunque coevo ai Tractatus.

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comprendere quella proposta succintamente nel Tractatus sul salmo 1 e allo stesso tempo si inserisce nella prospettiva ottimistica con cui nelle omelie sui salmi sono interpretate anche le espressioni più drastiche presenti nelle Scritture. Ripetutamente, infatti, Gerolamo sottolinea, all’interno di un’esegesi letterale, la necessità di non perseverare nel male e la possibilità si essere sempre felice, cioè in comunione con Dio e i fratelli41. Essere fuori, essere parte della moltitudine, appartenere alle nazioni non sembrano pertanto espressioni da riferire agli incolti o più in generale ai pagani, ma, in una nozione più dinamica, a quanti sono suscettibili di peccare, cioè a tutti gli uomini. In questo senso le semplici parole delle Scritture non cadono mai, non cessano cioè di avere la valenza terapeutica di sanare le ferite dei peccatori secondo una conoscenza corretta delle intenzioni divine, che si fonda in prima istanza su una rispettosa comprensione, ancorché non esclusivamente letterale, della lezione scritturistica.

3. Fiori, vasi di creta e problemi testuali

Nell’introduzione al Tractatus in psalmum 77 Gerolamo paragona le Scritture a un prato con moltissimi fiori:

Venimus in pratum, habet flores plurimos: hinc rosa rubet, inde candent lilia, diuersi flores sunt. Anima nostra huc illucque trahitur, unde flores pulchriores capiat. Si rosam colligimus, lilium relinquimus; si lilium tulerimus, uiolae nobis supersunt. Ita et in septuagesimo septimo psalmo, qui mysticus est et sacramentis plurimis inuolutus, quamcumque aspexeris litteram, flores sunt, flores diuersi, et non possumus totos eligere. Eligamus autem omne quod possumus: ex paucis potest et cetera florum dignitas contemplari42.

L’immagine ricorre anche altrove in Gerolamo con caratteristiche specifiche. Nell’Epistola 65, scritta nel 397 e dedicata al commento del salmo 44, lo Stridonense propone alla giovane vergine Principia come modello di studio delle Scritture Marcella, la quale può condurla attraverso i prati verdeggianti e i fiori variopinti dei divini volumi fino a colui che nel Cantico è detto fiore

41 Cf. ex. gr. Tract. ps. 1,1: difficile est ut aliquis non peccet. Denique dicit et Iohannes euangelista, quia qui negat se peccatum non fecisse, mentitur, et mendax est. Si ergo omnes peccamus, quomodo nunc dicit Et in uia peccatorum non stetit? Si omnes peccamus, nemo autem beatus nisi qui non peccauit; ergo quia omnes peccamus, nemo beatus est. Sed videte quid dicat Et in uia peccatorum non stetit. Non dixit beatus uir qui non peccauit, sed beatus uir qui in peccato non perseuerauit. Et in uia peccatorum non stetit. Ego heri peccaui, non sum beatus. Si non stetero in peccato, sed retraxero me, iam beatus sum. Et in cathedra pestilentiae non sedit. Quomodo ibi dixit stetit, sic et hic dixit sedit: sicut ibi qui non perseuerauerit in peccato beatus est, sic hic qui in doctrina mala non perseuerauerit et sedit, beatus est; Tract. ps. 5,7: infelix est, quem odit Deus. Quis est ille quem odit Deus? Qui operatur iniquitatem. Si ergo omnes peccamus, et quicumque peccat, odio habetur a Deo, ergo odio habemus a Domino. Si autem odio habemur a Domino, quomodo gratia saluati sumus? Odisti omnes qui operantur iniquitatem. Non dixit, qui operati sunt iniquitatem; sed, qui operantur iniquitatem. Qui perseuerant in peccato, illi odio habentur a Domino: qui autem dimiserunt, illi amantur a Domino. Odisti omnes qui operantur iniquitatem. Hoc de peccatoribus, qui in peccatis perseuerant. Altri esempi in COPPA, 74 omelie, cit., 145. 42 Hier. Tract. ps. 77 praef.: «Siamo giunti in un prato, ha moltissimi fiori: qui rosseggia la rosa, lì i gigli biancheggiano, ci sono diversi fiori. La nostra anima è attirata di qua e di là, onde cogliere i fiori più belli. Se raccogliamo la rosa, lasciamo il giglio; se portiamo via il giglio, ci restano le viole. Così anche nel salmo 77, che è mistico e complesso anche per i moltissimi misteri, a qualunque lettera tu volga l’attenzione, ci sono fiori, fiori diversi, e non possiamo sceglierli tutti. Scegliamo allora tutto ciò che possiamo; da questi pochi si può contemplare la bellezza anche degli altri fiori».

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di campo e giglio delle convalli (Ct 2,1)43. Ancora nell’Epistola 122, scritta nel 407 e indirizzata a Rustico, Gerolamo raccoglie un florilegio scritturistico, scorrendo i bellissimi prati delle Scritture e tessendo con i fiori più splendidi una corona di penitenza44. Infine nell’Epistola 130, redatta probabilmente nel 414, raccoglie di corsa per Demetriade alcuni piccoli fiori dal bellissimo prato delle Sacre Scritture45. Ma ancor più calzante è un parallelo nel Commento a Zaccaria, già segnalato da Morin in apparato, in cui Gerolamo sostiene che dalle Scritture si possono cogliere gigli, viole, rose e altri aromi46. Ora, sempre del Tractatus 77, Gerolamo torna sull’immagine dei fiori:

O quanta mysteria, o quanti flores. Non dico dies, sed totus mensis ad intellegentiam istius psalmi non potest sufficere. In singulis uerbis sensus sunt. Habemus et thesaurum in uasis istis fictilibus47. Multi hoc interpretantur de corpore et Spiritu sancto: hoc est, habemus thesaurum in uasis fictilibus48. Est quidem et ista intellegentia. Sed ista multo melior est, quoniam habemus thesaurum pretiosissimum in uasis fictilibus, hoc est in uerbis rusticis scripturarum49.

La fonte di tale interpretazione, non antropologica, ma esegetica e stilistica, di 2Cor 4,7 è da rintracciare ancora una volta in Origene, il quale per esempio nel De principiis sostiene che il carattere divino che pervade tutta la Scrittura non è sminuito dall’incapacità umana di scrutare le sententiae divine nascoste e latenti nelle singole parole, mentre il tesoro della sapienza divina è nascosto nei vasetti piuttosto vili e disadorni delle parole, così come insegna anche l’apostolo Paolo (segue la citazione paolina)50. Particolarmente interessante è poi un frammento del 43 Cf. Hier. Ep. 65,2: habes ibi in studio scripturarum et in sanctimonia mentis et corporis <magistras> Marcellam et Asellam: quarum altera te per prata uirentia et uarios diuinorum uoluminum flores ducat ad eum, qui dicit in Cantico: ego flos campi et lilium conuallium. 44 Cf. Hier. Ep. 122,4: haec omnia quasi per pulcherrima scripturarum prata discurrens in unum locum uolui congregare et de speciosissimis floribus coronam tibi texere paenitentiae, quam inponas capiti tuo et adsumas pennas columbae et uoles et requiescas et clementissimo reconcilieris Patri. 45 Cf. Hier. Ep. 130,9: haec cursim quasi de prato pulcherrimo sanctarum scripturarum paruos flores carpsisse sufficiat pro commonitione tui. 46 Cf. Hier. Com. Zac. 3,14,20-21: hortus et paradisus in quem sponsus descendit ad sponsam, sanctarum lectio scripturarum est, de quibus lilia, et uiolas et rosas et uaria decerpit aromata, ut impleat phialas animarum credentium, et Domino ex eis liba diffundat. Cf. Didimo Com. Zac. 5,198: τίνες δὲ αἱ φιάλαι τοῦ ἀρώματος εἰς ἃς κατ [αβ]έβηκεν ὁ ἀδελφιδὸς τ ῆς τα ῦτα λεγούσης ἢ αἱ θεόπ[νε]υστ̣οι γραφαί, μ ᾶλλον δ ’ α ἱ θεῖαι νοήσεις αὐτῶν ἐν αἷς ὁ κα̣τ̣αβὰς ποιμαίνει ἐν κήποις καὶ κρίνα συλλέγει τὰ νοητὴν φέροντα εὐωδίαν ἄ[νθη κ]ρίνα προσαγορευόμενα. Cf. anche in un contesto differente Ep. 125,2: non mihi nunc per uirtutum prata ducendus es nec laborandum, ut ostendam tibi uariorum pulchritudinem florum, quid in se lilia habeant puritatis, quid rosarum uerecundia possideat, quid uiolae purpura promittat in regno, quid rutilantium spondeat pictura gemmarum. 47 Cf. 2Cor 4,7. 48 Un’interpretazione simile si trova in Tract. ps. s. al. 91,6: uidetis ex quaestione, quam periculosa sit disputatio: lutum et uas fictile de creatore disputat, et ad rationem suae naturae non potest peruenire; et curiose quaerit scire de mysterio Trinitatis, quod angeli in caelo scire non possunt. 49 Hier. Tract. ps. 77,9: «quanti misteri, quanti fiori! Non dico un giorno, ma un mese intero non potrebbe essere sufficiente per la comprensione di questo salmo. Ci sono significati nelle singole parole. Abbiamo perfino un tesoro in questi vasi di creta. Molti interpretano ciò a proposito del corpo e dello Spirito Santo: cioè, abbiamo un tesoro in vasi di creta. È possibile di certo questa comprensione. Ma ce n’è un’altra molto migliore, per cui abbiamo un tesoro preziosissimo in vasi di creta, cioè nelle parole rustiche delle Scritture». 50 Cf. Orig. Prin IV,1,7: sed sicut non idcirco refellitur divina providentia ab his maxime, qui eam esse certi sunt, quia opera eius vel dispensationes humanis ingeniis conpraehendi non possunt: ita ne scripturae quidem sanctae divina esse inspiratio, quae per omne corpus eius extenditur, pro eo non putabitur, quod infirmitas

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Commento a Giovanni in cui Origene spiega nel dettaglio come si debba intendere 2Cor 4,7: il tesoro è quello che altrove è chiamato tesoro della scienza e della sapienza, con riferimento a Col 2,3, mentre i vasi di creta rappresentano l’espressione delle Scritture, modesta e spregevole per i Greci, ma che in verità manifesta la straordinaria potenza di Dio51. Tuttavia, per Origene questa interpretazione del passo paolino è funzionale alla dimostrazione della necessità di andare oltre la lettera per scendere in profondità e attingere per mezzo dell’allegoria al senso profondo del testo biblico, in un contesto che è prevalentemente polemico contro la retorica greca52; per Gerolamo, che segue anche in questo caso la sua fonte53, è l’occasione nei Tractatus per difendere la dignità e il valore delle singole parole contro le mistificazioni degli eretici. Costoro infatti spacciano le loro parole per parole del Signore54; intendono le Scritture in modo errato e falliscono così la via del Signore, che è la lettura delle Scritture55; si definiscono colombe, perché leggono le Scritture, ma le intendono in maniera

intellegentiae nostrae non valet per singula verba occultas et latentes investigare sententias, dum in vilioribus et incomptis verborum vasculis divinae sapientiae thesaurus absconditur, sicut et apostolus designat dicens: Habemus autem thesaurum hunc in vasis fictilibus, ut eo magis divinae potentiae virtus effulgeat, dum nullus humanae eloquentiae fucus in dogmatum veritate miscetur. Nelle note ad l. Simonetti (Origene. I principi, a c. di M. S., Torino 1968, 493) elenca tra gli altri alcuni passi (Prin IV,3,15; HNum IX,6,3; Sel. ps. 1,4, PG 12,1081; CIo IV,1s; si aggiunga anche HEx VII,1), in cui Origene espone la convinzione che ogni parola della Scrittura cela oltre la lettera un significato spirituale e riferisce 2Cor 4,7 alle parole del testo biblico, e richiama inoltre il concetto diffuso tra gli Ebrei che nulla nella Scrittura è casuale. 51 Cf. Orig. CIo IV,2: ἡμεῖς δὲ καὶ τὸ «ἔχομεν δὲ τὸν θησαυρὸν τοῦτον ἐν ὀστρακίνοις σκεύεσιν, ἵνα ἡ ὑπερβολὴ τῆς δυνά μεως ᾖ τοῦ θεοῦ καὶ μὴ ἐξ ἡμῶν» ἐξειλήφαμεν, ὡς «θησαυροῦ» μ ὲν λεγομένου το ῦ ἀλλαχόσε θησαυροῦ τῆς γνώσεως καὶ σοφίας τῆς ἀποκρύφου, «ὀστρακίνων» δὲ «σκευῶν» τῆς εὐτελοῦς καὶ εὐκαταφρονήτου παρ’ Ἕλλησι λέξεως τῶν γραφῶν, ἀληθῶς ὑπερβολῆς δυνάμεως τοῦ θεοῦ ἐμφαινομένης. 52 Per il confronto con la retorica greca cf. Orig. CC I,62. 53 In Tract. ps. 77,9, Gerolamo dà in prima battuta un’interpretazione letterale di Sal 77,9 (Filii Efraim intendentes et mittentes arcum): al tempo di Roboamo, Geroboamo separò una parte del popolo e guidò dieci tribù in Samaria. Queste avevano un re della tribù di Efraim, mentre quelle rimaste in Giudea avevano un re della stirpe di Davide. Gerolamo inserisce a questo punto Os 7,11 (Efraim factus est quasi columba insipiens), spiegando che Efraim ha abbandonato il tempio, la sua casa e abita ormai nella boscaglia. Da qui lo Stridonense passa a un’interpretazione più alta (Hoc interim secundum litteram; debemus enim et historiam ponere. Nunc vero post litteram quasi per quosdam gradus debemus ad maiora con scendere) e afferma che i figli di Efraim sono tutti gli eretici, perché anche costoro hanno rifiutato Davide, il regno di Davide e si sono allontanati da Dio. Lo stesso passaggio ermeneutico si trova, ma in maniera molto più estesa, anche nelle Omelie sui salmi di Origene, il quale in HIIPs 77, all’interno di una lunga digressione in cui esamina Os 6,11-8,1, interpreta Sal 77,9 alla luce della separazione di Geroboamo e individua nell’amore per il potere e nell’innovazione dottrinale due tratti essenziali dell’eresia. In senso figurato, per Origene (f. 233v), la Samaria è la metropoli delle eresie (Σαμάρεια τροπικῶς ἡ μητρόπολις ἦν τῶν αἱρέσεων). In questo contesto anche Os 7,11, in cui Efraim è paragonata a una colomba insipiente, è interpretato in riferimento agli eretici. Questa spiegazione ha molti punti di contatto con quella proposta da Gerolamo in Com. Os. 2,7,11-12 e nel passo in esame del Tract. Ps 77. Su tutto vd. A. LE BOULLUEC, La polémique contre les hérésies dans les Homélies sur les Psaumes d’Origène (sub prelo), che, oltre a un’analisi puntuale dei passi origeniani, riconduce la polemica antieretica al parvus libellus (Quare appellatur in Osee Efraim) di cui Gerolamo dà notizia nel prologo del Com. Os. 54 Cf. Tract. ps. 5,7: uerba sua uerba Domini conmentitur. 55 Cf. Tract. ps. 5,9: lectio scripturarum, hoc est, ne in scripturis tuis, per quas ingredi cupio in ecclesiam tuam, corruam. Omnis enim qui male intellegit scripturas, in uia Dei corruit. Cf. anche Hier. Com. Is. 7,22,1: ipsaque uerborum consequentia trahimur ad intellegentiam spiritalem, ut omnes peruersorum dogmatum

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insipiente56; sono figli dell’aurea eloquenza mondana, rappresentata da Aristotele e Platone, a differenza degli uomini di Chiesa che sono incolti e semplici57; se sono presi in fallo nell’interpretazione delle Scritture si rifugiano in Aristotele e Platone58; se un uomo di Chiesa li dimostra fallaci con argomenti tratti dalle Scritture, subito cercano una nuova dottrina da escogitare59. Di conseguenza, citando ancora una volta 2Cor 4,7, Gerolamo può affermare che

singula uerba scripturarum singula sacramenta sunt. Ista rustica uerba quae putantur saeculi hominibus, plena sunt sacramentis. Habemus enim thesaurum istum in uasis fictilibus: thesaurum sensum diuinum habemus in uerbis uilissimis60.

Si potrebbe scorgere in questa insistenza sulla uilitas verborum Scripturarum una contraddizione con quanto affermato dallo Stridonense a proposito dell’utililitas per le nazioni. Tale contraddizione è solo apparente, giacché Gerolamo, commentando Sal 147,14 (Et adipe frumenti satians te) precisa che il grano di frumento che cade a terra è nostro Signore61 e che il sermo Scripturarum è il corpo e il sangue di Cristo, la carne di Cristo62. Ora, non sfugga che negli altri passi fin qui esaminati Gerolamo ha utilizzato il termine verbum, mentre in questo ricorre a sermo, che era l’antica traduzione latina del Logos di Gv 1,14. D’altro canto tale interpretazione è espressa in maniera più chiara a proposito di Sal 147,15 (Qui emittit eloquium suum terrae), inteso proprio nel senso della parola che viene mandata nella carne e che trova espressione nella predicazione del Vangelo e nell’insegnamento degli apostoli63. In questa prospettiva è interessante notare che un’interpretazione simile di Sal 147,15 è proposta innanzitutto da Origene, il quale ritiene che la terra di cui parla il salmista si debba intendere allegoricamente, come riferita a noi uomini che abbiamo un tesoro in vasi di creta (2Cor 4,7) e meglio ancora al principes, qui corruerunt de sublimitate sensus sanctarum scripturarum, et ad humilia deuoluti sunt, sciamus in Sion ualle uersari. 56 Cf. Tract. ps. 77,11: et dicuntur quidem columbae, quia legunt et ipsi scripturas, sed insipienter intellegunt. 57 Cf. Tract. ps. 77,9: dicat aliquis: quare fecerunt uitulos aureos? Noster thesaurus repositus est in uasis fictilibus. Ecclesiastici enim rustici sunt et simplices: omnes uero haeretici aristotelici et platonici sunt. Denique ut sciatis quoniam omnis eloquentia saecularis aurum dicitur, hoc est, quoniam lingua eorum quasi propter splendorem aurum dicitur: Calix aureus Babylon in manu Domini. Videte quid dicat, Babylon confusionis. Ergo mundus iste calix aureus est. De hoc calice aureo omnes gentes propinantur. 58 Cf. Tract. ps. 143,13: parati sunt ad contendendum. Si illos tenueris in uno testimonio, ad aliud transeunt. Si in scripturis tenueris, ad Aristotelem fugiunt. Si Aristotelem tenueris, in Platonem transeunt. 59 Cf. Tract. ps. 5,11: denique si uir ecclesiasticus de scripturis eruditus contenderit contra eos, et de scripturis sanctis coarguerit eos, statim requirunt quod aliud nouum dogma reperiant. Non quaerunt quomodo saluentur, sed quomodo superent. 60 Hier. Tract. ps. 90,7: «Le singole parole delle Scritture sono singoli misteri. Queste parole, che sono considerate rustiche dagli uomini del mondo, sono piene di misteri. Abbiamo infatti questo tesoro in vasi di creta. Abbiamo come tesoro il senso divino in parole vilissime». 61 Cf. Hier. Tract. ps. 147,14: dominus noster granum tritici in terram cecidit, et nos multiplicauit. 62 Cf. Hier. Tract. ps. 147,14: legimus sanctas scripturas. Ego corpus Iesu euangelium puto; sanctas scripturas puto doctrinam eius. Et quando dicit Qui non comederit carnem meam et biberit sanguinem meum, licet et in mysterio possit intellegi, tamen uere corpus Xpisti et sanguis eius sermo scripturarum est, doctrina diuina est ... Sic et in carne Xpisti, qui est sermo doctrinae, hoc est, scripturarum sanctarum interpretatio, sicut uolumus, ita et cibum accipimus. 63 Cf. Hier. Tract. ps. 147,15: qui emittit eloquium suum terrae. Responde Iudaee: si de frumento dicebat, et adipe frumenti satiat te, quomodo nunc dicit, qui emittit eloquium suum terrae? In principio erat uerbum. Hoc uerbum in carne mittitur. Et uerbum caro factum est, et habitauit in nobis. Qui emittit eloquium suum terrae. Eo tempore conpletum est terra dedit fructum suum. Qui emittit eloquium suum terrae. De praedicatione loquitur euangelica, de doctrina apostolorum.

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Figlio di Dio che ha trovato accoglienza nella carne64. Si inserisce pertanto in questa prospettiva l’attenzione del tutto particolare che nei Tractatus Gerolamo rivolge al testo biblico: egli ricorre all’etimologia dei nomi e dei luoghi ebraici con l’intento di penetrare il mistero delle parole65; talvolta non esita a mettere a confronto la versione dei LXX con il testo ebraico o con la versione di Teodozione66; richiama l’attenzione sull’ordo verborum, ovvero sull’ordine logico, per comprendere il senso corretto delle Scritture67; tenta di cogliere le diverse sfumature delle parole che in prima battuta possono sfuggire68; infine segnala e discute i passi la cui tradizione 64 Cf. Orig. Sel. ps. 147,15 (PG 12,1677): γῆν ἐνταῦθα ἀλληγορεῖ, τάχα μὲν καὶ ἡμᾶς τοὺς ἐν ὀστρακίνοις σκεύεσι τὸν θησαυρὸν περιφέροντας· ἄμεινον δὲ τὸν Υἱὸν τοῦ Θεοῦ ἐκδέχεσθαι τὸν ἐν τῇ σαρκὶ, ἣν χωρῆσαι ἠθέλησε τὸν τοσοῦτον Κύριον. Cf. anche Hil. Pict. Trac. ps. 147,4. 65 Cf. ex. gr. Hier. Tract. ps. 7,1: Beniamin igitur ex duobus conpositum nomen est, ex filio, et ex dextera: Ben enim dicitur filius, Iamin dicitur dextera. Sciamus igitur semper tribum Beniamin appellari Iemini … Diximus qui sit Beniamin, diximus nomen patris: uideamus qui sit Chusi filius Iemini. Chus lingua hebraea interpretatur Aethiops, hoc est niger et tenebrosus, qui talem habet animam quale et corpus, de quo dicit Hieremias: Si mutabit aethiops pellem suam, et pardus uarietatem suam. Ergo hic Chusi nigrum et aethiopem inimicum suum Saulem significat. Vd. anche infra n. 99. Cf. ancora ex. gr. Tract. ps. 107,9: Galaad interpretatur transmigratio: gaudet ergo quando populus ex gentibus migrauit et uenit ad eum. Manasses interpretatur, ex obliuione. Videte igitur quid dicit. Filius ille qui accepit substantiam et comedit eam, et oblitus mei erat, nunc memoratus est mei; et dicitur Manasses, hoc est, ex obliuione, quia non est oblitus, sed remeauit ad suum patrem. Et Efraim interpretatur fructifer. 66 Cf. ex. gr. Hier. Tract. ps. 9,1: in hebraico enim habet Alamoth, quod interpretatur, pro morte: Al enim dicitur pro, Moth dicitur mors. Videte igitur septuaginta interpretes, quoniam Ptolomeo gentili regi interpretabantur, et durum erat dicere mortem filii, occultum interpretati sunt; Tract. ps. 74,1 In hebraeo non habet ‘in finem’ sed habet ‘uictori’. Et septuaginta interpretes non ualde errauerunt: siquidem uictoria perfecta est.; Tract. ps. 146,1 Denique Theodotion, qui unus est de interpretibus, uolens interpretationis edicere ueritatem, ait αἰνεῖτε τὸ Ἰά; su questo passo, vd. V. PERI, Ἰαω / Ἰα: due trascrizioni esaplari greche del medesimo «nomen sacrum» ebraico, in Studi in onore di Aristide Colonna, Perugia 1982, 221-229. Considerati i dubbi di Pease, è parso opportuno non registrare in questa sede i richiami agli altri traduttori antichi presenti nei testi relativi ai salmi 10 e 15 della series altera. Più in generale vd. P. JAY, Jérôme et la Septante origénienne, in Origeniana Sexta, éd. par G. DORIVAL – A. LE BOULLUEC, Leuven 1995, 203-214. 67 Cf. ex. gr. Hier. Tract. ps. 5,5: uidete ordinem, Mane, non uespere, non in tenebris, sed mane … Multi male legunt, et dicunt καὶ ἐπόψῃ με, sed sciamus errorem esse; sic dicitur καὶ ἐπόψομαι, hoc est, uidebo, ut sit ordo quem diximus: incipiente luce uirtutum in anima mea, quando tibi stare coepero, non sedere, non iacere, sed stare, et statueris supra petram gressus meos, tunc per istos gradus merebor te uidere; 5,7: et ex consequentibus psalmi, et ex ipso ordine intellegere possumus, quia de haereticis dicit; 83,2: uidete ordinem; 91,7: non dixit, bonum est psallere, et postea confiteri; sed uide ordinem: bonum est confiteri, et bonum est psallere; 93,16: uidete ordinem: non dixit primum, quis stabit, et quis resurget; sed, quis resurget, et quis stabit; 97,8: uidete ordinem; 98,1: uidetur quasi ordo sibi esse contrarius … uerum diuersus ordo dat nobis aliquam intellegentiae suspicionem; 103,1: uidete ordinem: primum aliquis confitetur, et sic accipit pulchritudinem et decorem, et postea lumen; 103,20: et secundum litteram ordinem habet: quoniam ideo facta est nox, ut homines requiescerent ab operibus suis, et bestiae egrederentur ad pastionem; 107,4: et uidete ordinem: primum laudat deum in populis, et postea laudat deum in nationibus; 111,1: uideamus ergo ordinem psalmi; 127,1: reuertamur ergo ad ordinem lectionis; 131,1: non stat ordo … denique uidete ordinem; 132,2: animaduertite scripturae ordinem: quicumque rationale est, et λόγιον est, et ratio est, in pectore constitutus est; 145,8: uidete ordinem; 148,3: uidete ordinem uisibilium; 148,6: uidete ordinem laudationis. 68 Cf. ex. gr. Hier. Tract. ps. 1,1: non dixit beatus uir qui non peccauit, sed beatus uir qui in peccato non perseuerauit; Tract. ps. 76,15: non dixit, qui fecisti; sed, qui facis; Tract. ps. 81,6: non dixit: Ego dixi: dii estis, reges et principes, sed omnes: quibus aequaliter corpus dedi et animam et spiritum, aequaliter donaui et deitatem et adoptionem; Tract. ps. 97,2: non dixit, ostendit, sed, notum fecit; Tract. ps. 119,3: non dixit, contra linguam dolosam: sed, ad linguam dolosam. Si dixisset, contra linguam dolosam, uidebatur de aduersario dicere.

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manoscritta ha prodotto degli errori che mettono a rischio l’intelligenza del testo69. In questo senso un passo paradigmatico è relativo a Sal 77,2 (Aperiam in parabolis os meum, eloquar propositiones ab initio) in cui Gerolamo discute degli errori prodotti dalla negligenza dei copisti. Egli sente la necessità di difendersi dall’accusa di fare violenza alla Scrittura, poiché, mentre il titolo del salmo recita Intellectus Asaf, egli intende questa espressione ex persona Christi. Per questo motivo egli cita Mt 13,35 dove appunto Sal 77,2 è ripreso come testimonianza del fatto che le parole del salmista hanno trovato compimento in quelle di Gesù. A questo punto Gerolamo inserisce una digressione di carattere filologico:

Dicitur ergo in Matthaeo Haec, inquit, facta sunt, ut impleretur quod scriptum est in Asaph propheta. Sic inuenitur in omnibus ueteribus codicibus, sed homines ignorantes tulerunt illud. Denique multa euangelia usque hodie ita habent Ut impleretur quod scriptum est per Esaiam prophetam: Aperiam in parabola os meum, eloquar propositiones ab initio. Hoc Esaias non loquitur, sed Asaph. Denique et inpius ille Porphyrius proponit aduersum nos hoc ipsum, et dicit: ‘Euangelista uester Matthaeus tam inperitus fuit, ut diceret, quod scriptum est in Esaia propheta, aperiam in parabola os meum, eloquar propositiones ab initio’. Ergo simpliciter dicamus: quomodo illud in euangelio scriptum est, scriptum est in Matthaeo et Iohanne quod Dominus noster hora sexta crucifixus sit, rursus scriptum est in Marco quia hora tertia crucifixus sit. Hoc uidetur esse diuersum, sed non est diuersum. Error scriptorum fuit: et in Marco hora sexta scriptum fuit, sed multi pro ἐπισήμῳ graeco putauerunt esse gamma. Sicut enim ibi error fuit scriptorum, sic et hic error fuit scriptorum, ut pro Asaph Esaiam scriberent. Nescientes enim (quia prima ecclesia de inperitis congregata fuit gentibus) ergo cum legerent in euangelio Ut impleretur quod scriptum est in Asaph propheta ille qui primus scribebat euangelium coepit dicere: Quis est iste Asaph propheta? Non erat notus in populo. Et quid fecit? Ut dum errorem emendaret, fecit errorem70.

Si tratta, più in generale, di una prassi ermeneutica propria della scuola grammaticale antica, penetrata anche nell’esegesi: vd. L. MUNZI, Insegnamento grammaticale ed esegesi biblica nell’alto Medioevo: un itinerario condiviso, in ID., Custos Latini sermonis. Testi grammaticali latini dell’alto Medioevo, Pisa-Roma 2011, 11-32. 69 Cf. Hier. Tract. ps. 131,2: et hoc puto non tam uitio septuaginta interpretum factum, quam scriptorum errore. 70 Hier. Tract. ps. 77,2: «Si dice dunque in Matteo: Queste cose avvennero, dice, perché si compisse quanto è stato scritto nel profeta Asaf. Così si trova in tutti gli antichi codici, ma uomini ignoranti lo tolsero via. E poi molti vangeli fino a oggi hanno così: Perché si compisse ciò che è stato scritto per mezzo del profeta Isaia “Aprirò la mia bocca in parabole, esporrò i propositi fin dall’inizio”. Questo non lo dice Isaia, ma Asaf. E poi persino Porfirio, quel noto empio, oppone contro di noi questa stessa nota e dice: il vostro vangelista Matteo fu tanto inesperto da dire “Ciò che è stato scritto nel profeta Isaia: Aprirò la mia bocca in parabole, esporrò i propositi fin dall’inizio”. Diciamo dunque semplicemente: come questa frase è stata scritta nel vangelo, è stato scritto in Matteo e Giovanni che nostro Signore fu crocifisso all’ora sesta, d’altra parte in Marco è stato scritto che fu crocifisso all’ora terza, ma molti hanno pensato che in luogo del greco ἐπισήμῳ ci fosse un gamma. Come lì infatti c’è stato un errore dei copisti, così anche qui è stato un errore dei copisti il fatto di scrivere Isaia al posto di Asaf. Essendo infatti ignoranti (poiché la chiesa primitiva è stata radunata da gente inesperta), quando dunque leggevano nel vangelo: Perché si compisse quanto è stato scritto nel profeta Asaf, chi per primo trascriveva il vangelo cominciò a dire: chi è questo profeta Asaf? Non era noto nel popolo. E che ha fatto? Per correggere un errore, ne ha fatto un altro». Cf. Hier. Com. Matth. 2,13,35: ut impleretur quod dictum est per prophetam dicentem: aperiam in parabolis os meum; eructabo abscondita a constitutione mundi. Hoc testimonium de septuagesimo septimo psalmo sumptum est. Legi in nonnullis codicibus et studiosus lector in ipsum forte repperiat in eo loco ubi nos posuimus et Vulgata habet editio: Ut impleretur quod dictum est per prophetam dicentem, ibi scriptum: per Esaiam prophetam dicentem. Quod quia minime inueniebatur in Esaia arbitror postea a prudentibus uiris esse sublatum. Sed mihi uidetur in principio ita editum, Quod scriptum est: per Asaph prophetam dicentem (septuagesimus septimus enim psalmus, de quo hoc sumptum est testimonium, Asaph prophetae titulo inscribitur) et primum scriptorem non intellexisse Asaph et putasse scriptoris uitium atque emendasse nomen Esaiae, cuius uocabulum manifestius erat.

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Gerolamo prosegue citando un esempio analogo, su cui tornerò a breve, relativo a Mt 27,9, in cui l’evangelista, nell’ambito della morte di Giuda, attribuisce a Geremia una citazione che in realtà appartiene a Zaccaria. In questa sede, tuttavia, non interessa entrare nel merito dei problemi della critica testuale biblica, bensì cogliere l’andamento dell’argomentazione elaborata dallo Stridonense e metterne in luce le peculiarità, anche grazie al confronto con testimonianze finora trascurate. Il punto di partenza per la digressione filologica è dato dalla difesa dell’interpretazione cristologica del salmo, che secondo alcuni non sarebbe corretta. Gerolamo coglie l’occasione per scrutare le Scritture (Gv 5,39) e trovarvi come i testi si riferiscano a Cristo (Sal 39,8)71. Da qui egli passa a discutere il problema Isaia/Asaf, cita il passo di Porfirio72, il quale aveva trovato nell’errore motivo per screditare il testo biblico, continua dimostrando come l’apparente contraddizione circa l’orario della crocifissione di Gesù si debba a un errore della tradizione manoscritta, torna sul problema Isaia/Asaf e infine conclude con la citazione erronea di Geremia/Zaccaria. Come si può notare, la struttura di tutta l’argomentazione è complessa e va ben al di là del problema esegetico da cui prende le mosse. Anzi l’approfondimento delle questioni di carattere filologico spingono Gerolamo a una comprensione sempre più profonda del testo biblico, la cui interpretazione non è mai disgiunta, e in questo caso in modo esemplare, dal semplice e concreto aspetto verbale73. Tuttavia, per cogliere ancora meglio le particolarità del Tractatus, è utile mettere a confronto altri due testi che con buona probabilità Gerolamo conosceva bene: Orig. HIPs. 77,174 e Eus. Sciendum est itaque quod in psalmis et hymnis et canticis Dei non solum Dauid sed et ceteri quorum praescripta sunt nomina prophetae sint appellandi, Asaph uidelicet et Idithon et Aeman Ezraites et Aetham et filii Chore et reliqui quos scriptura commemorat. Quodque ex persona Domini dicitur: Aperiam in parabolis os meum; eructabo abscondita a constitutione mundi, considerandum attentius et inueniendum describi egressum Israhelis ex Aegypto et omnia signa narrari quae in Exodi continentur historia. Ex quo intellegimus uniuersa illa quae scripta sunt parabolice sentienda, nec manifestam tantam sonare litteram sed et abscondita sacramenta. 71 Cf. Hier. Tract. ps. 77,2: studii enim mei est, non declamare more rhetorico, sed scripturarum sensum capere. Denique et Dominus atque Saluator quid dixit? Scrutamini scripturas, et ibi inuenietis quomodo de me scriptum est. Sulla polemica contro lo stile declamatorio, cf. anche Tract. ps. 7,1: quaeso uos ut patientius audiatis: scripturas enim interpretari uolumus, non declamare; Com. Ez 12,40,5/13: et hoc diligentem ‹et› studiosum lectorem admonendum puto, si tamen scientia scripturarum et non uanis oratorum declamationibus ducitur; Ep. 109,2: ego, ego uidi hoc aliquando portentum et testimoniis scripturarum quasi uinculis Hippocratis uolui ligare furiosum, sed abiit, excessit, euasit, erupit et inter Adriae fluctus Cottiique regis alpes in nos declamando clamauit; Alt. Lucif. 11: atquin quicunque ex litteratis hodieque ordinantur, id habent curae, non quomodo Scripturarum medullas ebibant, sed quomodo aures populi declamatorum flosculis mulceant; vd. la nota ad l. in Jérôme. Débat entre un Luciférien et un orthodoxe, introd., texte crit., trad., notes et index par A. CANELLIS, Paris 2003, 127. Cf. anche Hier. Ep. 36,14: è la lettera a Damaso del 384, in cui Gerolamo prende le distanze dalle argomentazioni e dall’eloquenza classica a favore di uno stile semplice, facile a capirsi e più aderente quello delle Scritture. 72 Sul passo porfiriano vd. G. RINALDI, La bibbia dei pagani, vol. II, Bologna 1998, 293s. 73 Sulle caratteristiche della filologia geronimiana vd. L. GAMBERALE, Problemi di Gerolamo traduttore fra lingua, religione e filologia, in Cultura latina cristiana fra terzo e quinto secolo. Atti del Convegno. Mantova, 5-7 Novembre 1998, Firenze 2001, 311-345; ID., Pratica filologica e principi di metodo in Gerolamo, Rivista di Filologia e Istruzione Classica 135/3 (2007) 329-346; ID., Due note sulla filologia di S. Gerolamo, in Studi offerti ad Alessandro Perutelli, a c. di P. ARDUINI – S. AUDANO – A. BORGHINI – A. CAVARZERE – G. MAZZOLI – G. PADUANO – A. RUSSO, t. II, Roma 2008, 3-14. 74 Desidero ringraziare Lorenzo Perrone e i colleghi che hanno collaborato con lui per avermi gentilmente messo a disposizione la trascrizione del nuovo testo origeniano. Sul passo in particolare vd. PERRONE, Riscoprire Origene oggi cit., 51s.; A. LE BOULLUEC, La polémique contre les hérésies cit. (sub prelo); A. CACCIARI, Nuova luce sull’officina origeniana. I LXX e ‘gli altri’ (sub prelo).

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Com. ps. 77,2 (PG 23,901C-904). L’impianto generale dei tre testi è simile, fondandosi sull’interpretazione cristologica del salmo in accordo con Mt 13,35. Solo Gerolamo introduce la sua spiegazione per ribattere all’accusa di fare violenza alla Scrittura intendendo il salmo ex persona Christi75. Ma il punto centrale della questione verte sull’errore testuale di Mt 13,3576. Secondo Origene nei manoscritti (τὰ ἀντίγραφα) si trovava la lezione ὑπὸ Ἠσαΐου, frutto della correzione di un copista antico (ἀρχῆθεν), il quale, non conoscendo il nome del profeta Asaf, evidentemente presente nel suo modello, lo ha sostituito con il nome di Isaia. Anche Gerolamo afferma che in tutti i manoscritti antichi (in omnibus ueteribus codicibus) si trova la lezione in Asaph propheta e che molti codici (multa euangelia usque hodie) hanno per Esaiam prophetam: anche per lo Stridonense dunque ille qui primus scribebat euangelium coepit dicere: Quis est iste Asaph propheta?77 Tuttavia, Gerolamo, a differenza di Origene, coglie l’occasione per sottolineare come l’errore fosse ben comprensibile nella chiesa primitiva, costituita da gente per lo più incolta. D’altro canto la nota di Eusebio è molto più asciutta, limitandosi a segnalare come nei manoscritti più sicuri (τοῖς ἀκριβέσιν ἀντιγράφοις) non si trovi l’aggiunta del nome di Isaia. A questo punto cominciano le differenze tra Origene e Gerolamo: il primo si sofferma sull’operato del diavolo ai danni delle Scritture, il secondo chiama in causa le critiche dell’empio Porfirio. Il diavolo, secondo la prospettiva propria dell’Alessandrino78, escogita apparenti contraddizioni nelle Scritture con l’obiettivo di disperdere le chiese ed, essendo padre di tutte le eresie, suscita uomini come Marcione che si arrogano arbitrariamente il diritto di considerare erronee alcune parti dei testi sacri e di espungerle. Egli inoltre aggiunge un riferimento alla sua infaticabile personale ricerca filologica-esegetica e l’esempio sulla cronologia del regno di Roboamo79. Gerolamo dal canto suo coglie l’occasione per una riflessione più strettamente filologica. Senza fare accenno alcuno al diavolo, introduce una sezione che potremmo definire porfiriana, giacché all’avversario del cristianesimo non appartiene solo la critica relativa a Mt 13,3580, ma molto probabilmente si può ricondurre a Porfirio anche l’obiezione relativa all’ora della crocifissione di Gesù, che è attestata anche da altre fonti81. Ci si può chiedere a questo punto come mai Gerolamo abbia preferito citare Porfirio, anziché, sulla scia di Origene, ribattere agli eretici, a cui pure tante volte, come s’è detto, ha rivolto l’accusa di corrompere il testo biblico. La scelta si può spiegare in funzione della maggiore attualità e concretezza che egli intende dare alla sua dimostrazione, rimarcando quanto un problema testuale, frutto di ignoranza e di semplice

75 Vd. A. CAPONE, Vim facere Scripturae: spunti polemici nei Tractatus in psalmos di Gerolamo, Auctores Nostri 14 (2014) [sub prelo]. 76 Sul passo di Matteo vd. R.H. GUNDRY, The use of the Old Testament in st. Matthew�s Gospel, with special reference to the messianic hope, Leiden 1967, 119. 77 Vd. M. MÜLKE, Der Autor und sein Text: die Verfälschung des Originals im Urteil antiker Autoren, Berlin, New York 2008, 29. 78 Vd. A. LE BOULLUEC, La notion d’hérésie dans la littérature grecque, IIe-IIIe siècles, vol II, Paris 1985, 498s.; M. SIMONETTI, Eresia ed eretici in Origene, Augustinianum 25/3 (1985) 735-748. 79 Vd. A. RAHLFS, Septuaginta-Studien, Göttingen 1904, 78. 80 Si noti che nel già citato passo del commento ad l., Gerolamo non fa riferimento alcuno né all’obiezione di Porfirio e neppure a Origene, le cui omelie doveva verosimilmente già conoscere. Tale comportamento di Gerolamo si può forse imputare nel caso specifico alla fretta con cui fu scritto il Commento a Matteo. Sugli aspetti filologici del passo vd. GAMBERALE, Problemi di Gerolamo cit., 340; ID., Due note cit., 7. 81 Cf. Eus. Quaest. Mar. (PG 22,1009), il quale dà la stessa spiegazione paleografica offerta da Gerolamo; Ambrosiast. Quaest. Vet. Nov. Test. 65; Aug. Cons. ev. 3,13,40-50; Theod. Mops. Com. Io. 7,19,15 (CSCO 116). Su tutto vd. RINALDI, La Bibbia cit., 334s.

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confusione, possa recare danno alla Chiesa. Ma si può forse scorgere anche un altro aspetto, di carattere più propriamente personale, che accosta sensibilmente Gerolamo a Origene: come quest’ultimo rievoca le sue faticose ricerche per stabilire un testo genuino e coglie l’occasione per criticare il comportamento arbitrario di Marcione, cui tante altre volte ha ribattuto, così Gerolamo ricorre alla consuetudine di contestare l’empio Porfirio82, contro cui si è spesso scagliato e che in questo caso gli offre un ventaglio di questioni del tutto funzionali alla sua argomentazione83. A conferma di ciò torna anche l’ultimo esempio di errore testuale citato da Gerolamo sempre in Tract. ps. 77,2. A proposito dei capi dei sacerdoti che con le monete restituite da Giuda comprano il ‘Campo del vasaio’, d’allora in poi chiamato ‘Campo di sangue’, l’evangelista Matteo (27,9s) nota che così trova compimento quanto era stato detto dal profeta Geremia. Ora, per quanto abbia cercato in Geremia, Gerolamo non vi ha trovato la citazione che in realtà è in Zaccaria (11,12s)84. Ebbene, secondo alcuni critici moderni, anche questa obiezione di carattere testuale potrebbe risalire a Porfirio85; in ogni caso, quand’anche così non fosse, questo errore di citazione, che per Gerolamo è un errore della tradizione, fu oggetto del dibattito tra pagani e cristiani, come conferma Agostino, il quale riferisce che uel infideles vel imperiti homines rintracciavano nel passo di Matteo una dissonantiam sanctorum Euangelistarum86.

4. La parola di salvezza

L’attenzione riservata alle parole del testo biblico, considerate in tutta la loro pregnanza e sotto tutti gli aspetti, spinge Gerolamo a porre l’accento sulla parola per eccellenza. Si tratta di una chiave ermeneutica che nei Tractatus affiora per la prima volta in occasione di Sal 66,3 (Ut cognoscamus in terra viam tuam in omnibus gentibus salutare tuum). Probabilmente sulla scorta di Ilario87, Gerolamo nota:

82 Vd. C. MORESCHINI, L’utilizzazione di Porfirio in Gerolamo, in: Motivi letterari ed esegetici in Gerolamo, a c. di C. MORESCHINI e G. MENESTRINA, Brescia 1997, 175-195. 83 Vd. R.M. BERCHMAN, In the Shadow of Origen: Porphyry and the Patristic Origins of New Testament Criticism, in Origeniana Sexta, cit., 657-673. 84 Cf. Hier. Tract. ps. 77,2: ut conpleretur, inquit, quod scriptum est in Hieremia propheta. Retulit, inquit, triginta argenteos, pretium quod scriptum est, et cetera. Sicut scriptum est, inquit, in Hieremia propheta. Hoc in Matthaeo scriptum est. Requisiuimus in Hieremia, hoc penitus inuenire non potuimus: sed inuenimus illud in Zacharia. Videtis ergo, quia et hic error fuit, sicut ibi. Cf. anche Hier. Com. Matth. 4,27,9s; Ep. 57,7; vd. Hieronymus. Liber de optimo genere interpretandi (Epistula 57), ein Kommentar von G.J.M. BARTELINK, Lugduni Batavorum 1980, 74-78; E. BONA, La libertà del traduttore. L’epistola De optimo genere interpretandi di Gerolamo, Acireale-Roma 2008, 125. 85 Vd. RINALDI, La Bibbia cit., 439s. 86 Cf. Aug. Cons. ev. 3,7,30: quod ergo hinc argumentum sumere conantur vel infideles vel imperiti homines quasi ad ostendendam dissonantiam sanctorum Evangelistarum, hoc potius debent assumere fideles et docti ad ostendendam unitatem sanctorum etiam Prophetarum. Agostino affronta la questione in una prospettiva diversa da quella di Gerolamo, in Cons. ev. 3,7,29-31. 87 Cf. Tract. ps. 66,4: et hunc esse uiam ipse ille conexus sibi psalmi sermo testatur, quae in terra, id est uel ex terra ortis uel terram inhabitantibus cognoscibilis et nota praestanda est: Ut cognoscamus in terra uiam tuam, in omnibus gentibus salutare tuum. Iesum salutarem dici ipse ille proprietatis sermo loquitur. Nam quod nobis cum salutare est, id apud Hebraeum Iesus est. Confirmat autem istud angelus ad Ioseph de Maria loquens: Pariet autem filium, et uocabis nomen eius Iesum, quia ipse saluum faciet populum suum a peccatis. Iesum itaque ostendit angelus idcirco, quia salutaris esset populo, nuncupandum.

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Ubi nos habemus in latino ‘salutare’, in hebraeo ‘Iesus’ dicitur. Denique et angelus hoc loquitur: Et uocabis, inquit, nomen eius Iesum: hic enim saluabit populum suum88. In omnibus gentibus salutare tuum. Ecce conpletum est, quod apostoli deprecati sunt: in omnibus gentibus notum est salutare eius. Quocumque humanus sermo esse potest, ibi Iesus resonat89.

Alla stessa interpretazione Gerolamo ricorre anche in Sal 78,9 (adiuua nos, Deus salutaris noster), interpretato, secondo il testo ebraico, come aiutaci, Dio, nostro Gesù, a cui accosta Mt 1,2190; in Sal 97,2 (notum fecit Dominus salutare suum), tradotto, secondo il testo ebraico, con Il Signore ha fatto conoscere il suo Gesù91; infine in Sal 115,13 (Calicem salutaris accipiam) reso, secondo il testo ebraico, con Prenderò il calice di Gesù, cui accosta ancora una volta Mt 1,2192. In tre delle quattro occorrenze in cui Gerolamo sostituisce il nome ‘Gesù’ alla parola ‘salvezza’ si trova l’abbinamento con Mt 1,21. In effetti tale è anche l’interpretazione fornita dallo Stridonense nel Commento a Matteo: Iesus hebraeo sermone saluator dicitur. Aethimologiam ergo nominis eius euangelista signauit dicens: Vocabis nomen eius: saluator, quia ipse saluum faciet populum suum93. Pur essendo probabilmente Origene la fonte di tale interpretazione, della quale tuttavia non si hanno al momento riscontri nella sua opera94, è agevole constatare come Gerolamo potesse trovare tale nozione già in Eusebio, il quale spiega correttamente l’etimologia del nome di Gesù in Dem. ev. IV,17,2395:

ἐπειδὴ «σωτήριον θεοῦ» εἰς τὴν Ἑλλάδα φωνὴν τὸ τοῦ Ἰησοῦ μεταληφθὲν ὄνομα σημαίνει (Ἰσουὰ μὲν γὰρ παρ’ Ἑβραίοις σωτηρία, Ἰησοῦς δὲ παρὰ τοῖς αὐτοῖς Ἰωσουὲ ὀνομάζεται· Ἰωσουὲ δέ ἐστιν Ἰαὼ σωτηρία, το ῦτ’ ἔστιν θεοῦ σωτήριον), ε ἰκότως, ε ἴ που «θεοῦ σωτήριον» ἐν το ῖς Ἑλληνικοῖς ἀντιγράφοις ὠνόμασται, οὐδ’ ἄλλο τι ἢ τὸν Ἰησοῦν κατὰ τὴν Ἑβραίων φωνὴν πέπεισο δηλοῦσθαι96.

88 Cf. Mt 1,21. 89 Hier. Tract. ps. 66,3: «Dove in latino abbiamo ‘salvezza’, in ebraico si dice ‘Gesù’. E poi anche l’angelo dice ciò: E, dice, lo chiamerai Gesù: questi infatti salverà il suo popolo. Tra tutte le genti la tua salvezza. Ecco si è compiuto ciò che gli apostoli hanno implorato: tra tutte le genti è nota la sua salvezza. Dovunque possa esserci lingua umana, lì risuona Gesù». La Vulgata iuxta hebraicum ha Ut nota fiat in terra via tua in universis gentibus salus tua. 90 Cf. Hier. Tract. ps. 78,9: adiuua nos, Deus salutaris noster. In hebraico habet Adiuua nos, Deus Iesus noster. Ubicumque enim saluator est, ibi in hebraico Iesus habet. Denique Gabriel quando uenit ad Mariam: Et uocabis eum, inquit, Iesum: iste enim saluum faciet populum suum. Adiuua nos, Deus Iesus noster. La Vulgata iuxta hebraicum ha Auxiliare nobis Deus Iesus noster. 91 Cf. Hier. Tract. ps. 97,2: notum fecit Dominus salutare suum. In hebraico legitur: notum fecit Dominus Iesum suum. Ubicumque enim salutare dicitur, in hebraico Iesus ponitur. 92 Cf. Hier. Tract. ps. 115,13: calicem salutaris accipiam, et nomen Domini inuocabo. In hebraico ita habet: Calicem Iesu accipiam. Hoc ipsud et angelus interpretatur: Et uocabis nomen eius Iesum, ipse enim saluabit populum suum. La Vulgata iuxta hebraicum ha Calicem salutis accipiam et nomen Domini invocabo. 93 Cf. Hier. Com. Matth. 1,1,21. Cf. anche Com. Is. 17,60,17-18: sed pro his, ait, omnibus occupabit salus muros tuos, siue saluator, qui in hebraico legitur Iesus, quod proprie nomen Domini sonat; 17,62,10-12: ecce salvator tuus venit, qui in hebraico dicitur Iesus. Unde et Gabriel ad Ioseph: Et uocabis, inquit, nomen eius Iesum, ipse enim saluum faciet populum suum a peccatis eorum. 94 Cf. Orig. CC VI,31s; vd. PERI, Ἰαω/Ἰα: due trascrizioni cit., 221-229. Vd. anche M.I DANIELI, «Gesù», in Origene. Dizionario: la cultura, il pensiero, le opere, a c. di A. MONACI CASTAGNO, Roma 2000, 192-195. 95 Sull’etimologia del nome di Gesù vd. W. FOERSTER, «Ἰησοῦς», in G. KITTEL – G. FRIEDRICH, Grande Lessico del Nuovo Testamento, trad. it., IV, Brescia 1968, col. 922ss. 96 «Dato che il nome di Gesù, tradotto in greco, significa «Salvezza di Dio» (Isuà, infatti, in ebraico significa ‘salvezza’ e Isuè è da loro chiamato Gesù; Iosuè, poi, significa ‘salvezza di Iao’, cioè ‘salvezza di

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E in Dem. ev. VI,24,9, la applica a Is 52,5-10: τὴν δὲ σωτηρίαν, ἥν φησιν ὄψεσθαι πάντα τ ὰ ἄκρα τ ῆς γ ῆς, καὶ ἣν ἀνώτερον ἐδήλου λέγων ὅτι ἀκουστὴν ποιήσω τὴν σωτηρίαν σου, ἴσθι τῇ Ἑβραίων φωνῇ τῷ τοῦ Ἰησοῦ ὀνόματι προσαγορεύεσθαι97.

Tale atteggiamento nei confronti del testo biblico, che potremmo definire come una sorta di ermeneutica del nome, consente di cogliere, non tanto nell’originalità, quanto nella relativa costante applicazione, la cifra dell’esegesi e più in generale dell’approccio di Gerolamo nei Tractatus. La sostituzione del termine ‘salvezza’ con il nome di Gesù da un lato indica l’attenzione, tipica dello Stridonense, al testo ebraico, dall’altro non comporta di conseguenza un’esegesi esclusivamente cristologica dei salmi. Già nell’omelia sul salmo 1, infatti, sulla scorta di elementi interni al testo, Gerolamo si oppone all’interpretazione di coloro che scorgono nell’uomo beato il riferimento alla persona di Cristo e preferisce riferirlo invece all’uomo giusto in generale. Si tratta di un approccio che tenta di interpretare il testo, non secondo la lettera che uccide, così come fanno i giudei, ma secundum historiam, per scoprire quell’utilità, quel potenziale edificante, che rischierebbe di perdersi in una prospettiva esclusivamente allegorica. Historia è termine chiave nel lessico esegetico geronimiano, che, come ha messo bene in evidenza P. Jay per il Commento a Zaccaria98, rappresenta il fundamentum per un’interpretazione più profonda del testo. In questo senso il termine ricorre con frequenza anche nei Tractatus: Hoc interim diximus secundum historiam et uidetis quomodo de ipsa historia paulatim ad mystica ascendimus sacramenta99. Questa prospettiva secundum historiam apre sì le porte alla comprensione spirituale della parola divina, ma richiede allo stesso tempo e con pari dignità di porre attenzione sulla parola umana che è rustica, come un vaso di creta che contiene un tesoro preziosissimo, e che al contempo è luminosa come colomba ricoperta d’argento100. Il valore della semplice parola delle Scritture risiede dunque in un legame a doppio filo tra ciò che comunica a prima vista e ciò che lascia scorgere a chi aguzza

Dio’»), chiaramente, se viene chiamato nei manoscritti greci ‘salvezza di Dio’, abbi la certezza che non si intende nient’altro che Gesù secondo la lingua ebraica» (trad. di F. MIGLIORE). 97 «Sappi infine che la salvezza che, secondo l’affermazione del profeta, sarà vista da tutte le cime della terra e che aveva nominato in precedenza quando aveva detto: renderò manifesta la tua salvezza, è chiamata, in ebraico, Gesù» (trad. di F. MIGLIORE). 98 Vd. P. JAY, Le vocabulaire exégétique de Saint Jérôme dans le Commentaire sur Zacharie, Revue des Études Augustiniennes 14 (1968) 8. 99 Cf. Hier. Tract. ps. 86,4. È istruttivo prendere in considerazione anche altre occorrenze del termine historia nei Tractatus: 5,1: alii multa interpretantur: multi dicunt secundum historiam de Israhelis populo, quod uellet reuerti de Babylone in Iudaeam; 7,3: hoc interim secundum historiam. Et multa sunt quae dicantur, et totus psalmus historice in persona Saul interpretari potest. Ceterum quia nobis curae est, non solum secundum historiam, sed secundum spiritalem intellegentiam interpretari, Chusi istum Aethiopem non alium nisi diabolum interpretamur; 84,2: hoc proprie secundum historiam: ceterum secundum trophologiam, cum dixerimus de historia, postea disseremus. 100 Cf. Hier. Tract. ps. 67,14: si dormiatis inter medios cleros: hoc est, si quiescatis inter nouum et uetus testamentum. Cleri dicuntur et singuli libri: hoc est, Genesis, Exodus, Iudicum, Euangelia, Apostolus. Pennae columbae deargentatae. Inuenietis in duobus testamentis gratiam spiritus sancti. Deargentatae: clarum uerbum significat diuinae scripturae. Et posteriora dorsi eius in pallore auri: hoc est, in interioribus spiritaliter mysteria intelleguntur. Cf. anche Hier. Ep. 120,1: dorsum nostrum, quod primum informe erat et graui sarcina premebatur. Habeat uirorem auri, quod interpretatur in sensu, et alas deargentatas, quae intelleguntur in eloquio scripturarum, et regnum dei intrare poterimus. Cf. inoltre ex. gr. Com. Hiez. 5,16,32-34: aurum uidelicet in sensu et argentum in eloquio; 7,22,17-22: quod de Hierusalem intelleximus, intellegamus de animarum statu quae purae a Deo conditae sunt; aurumque in sensu atque sapientia, et argentum in sermone atque eloquio susceperunt, ut, quod mente conceperint, uerbis explicent; 11,38,1-23: aut putas te argentum et aurum - quod in eloquio sensu que intellegitur.

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lo sguardo: come le foglie, infatti, che nascondono e custodiscono il frutto, hanno di per sé utilità, così le parole umane delle Scritture non sono caduche e servono a guarire le nazioni. Un poeta d’altri tempi paragonava gli uomini alle foglie che la primavera ricca di fiori fa germogliare ai raggi del sole101; Gerolamo, amante della parola, compara a un albero frondoso e fruttifero Cristo, nel quale per così dire parola umana e parola divina si sono abbracciate.

Alessandro Capone Dipartimento di Studi Umanistici

Università del Salento [email protected]

Abstract After an introduction, which outlines the status quaestionis of the problem regarding Hieronymus’ authorship of the Tractatus in psalmos, the paper focuses attention on the interpretation of the image of the tree which has fruits and leaves (Sal 1,3), by highlighting Origen’s influence and the particularity of Hieronymus’ exegesis. The same method of analysis is applied to the interpretation of the image of the treasure in earthen vessels (2Cor 4,7) and of the meaning of the name of Jesus. The research allows us to understand the features of Hieronymus' philology and offers further proof in favour of Hieronymus’ authorship of the Tractatus.

101 Cf. Mimn. Fr. 8 GENTILI-PRATO.