Félix Candela artigiano e precursore di tecnologie di calcestruzzi sottili

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Agostino Catalano Università degli Studi del Molise Facoltà di Ingegneria Félix Candela artigiano e precursore di tecnologie dei calcestruzzi sottili Nella Grecia antica, l’arte era chiamata “teχηe” e aveva significato di alta abilità tecnica unita ad una visione artistica. L’aspetto tecnico ed artistico erano considerati inseparabili, esattamente come nel lavoro di Felix Candela in cui la semplicità delle soluzioni tecniche è stata la caratteristica maggiore nella produzione del maestro. Tale semplicità, era frutto di una sapienza tecnica che gli consentiva di giudicare quale struttura fosse possibile realizzare traducendo la forma strutturale in composizione manifesta delle forze statiche insite nel materiale. Tale idea costruttiva, confermata dal rifiuto di realizzare strutture prive di senso e di realtà statica che gli venivano proposte, trae forza da una visione di forme resistenti che tutti gli studiosi sanno essere stata la forza portante di una generazione di grandissimi progettisti e costruttori quali appunto Felix Candela, Pier Luigi Nervi, Eduardo Torroja, ed altri, che segnarono un’epoca felicissima dell’architettura mondiale raggiungendo vette inesplorate ed ineguagliate nella produzione architettonica in calcestruzzo armato. A tale proposito occorre dire che Felix Candela, come gli altri grandi maestri, riuscì in tale impresa inserendosi in quel cenacolo di grandissimi che sempre hanno precorso i tempi con le loro teorie in virtù di una “apertura mentale” spettacolare che ha consentito loro di anticipare soluzioni tecniche ed artistiche che avrebbero caratterizzato i tempi successivi. In tal senso, si può sicuramente affermare come le migliori soluzioni tecniche siano derivate dallo studio attento della natura, del mondo reale, dove si trovano innumerevoli esempi di quella “resistenza per forma”, aliena da calcoli troppo complicati, seppur fondati su interpretazioni matematiche necessarie per la comprensione dei fenomeni, che presi ad esempio furono adottati per le costruzioni. Tale posizione, che appartiene anche a Candela, parte da lontano. Infatti, il concetto fondamentale della filosofia platonica è la visione della realtà come “copia dell’iperuranio” , cioè il mondo delle idee, dov’è racchiusa la vera essenza dell’universo. Sulla base di questo concetto, la filosofia platonica elabora il rifiuto dell’arte, inteso come “copia della copia” dell’iperuranio. Nel neo- platonismo quattrocentesco, l’arte è ancora intesa come copia della natura ma, nella visione di un artista come Michelangelo, essa “viene recuperata”. Egli, infatti, ritiene che l’arte non sia un’imitazione sterile della natura ma parte integrante di essa. Se si accetta il principio di un cenacolo di grandi precursori, ognuno nel loro tempo, di eventi futuri, si può analizzare l’opera di Felix Candela caratterizzandola come quella di altri grandi protagonisti della storia dell’umanità. Il divino Michelangelo, in particolare, fu più ideatore di forme che costruttore e come afferma Giulio Carlo Argan “…più d’una volta progettò per non costruire…”. Michelangelo, alla corte di Lorenzo il Magnifico crebbe fin dall’età più giovane imbevendosi di quel neoplatonismo che si distaccava da quella teoria delle arti caratterizzata da una sintesi tra pittura, scultura ed architettura che egli tanto perseguì, ma che fu contestata da Leonardo. Questi, concepiva l’arte come riflesso della natura derivante dall’analisi scientifica di un mondo in continuo divenire da cui trarre quelle indicazioni tecniche utili per le forme artistiche più elevate tramite una nuova valutazione del tecnicismo e del meccanicismo. Per Michelangelo, al contrario, il passato si riflette nella natura in maniera perfetta in quanto tutto deriva da Dio e l’arte, anche quella successiva, non può che essere una riproposizione formale di ciò che è già presente: non occorre indagare per conoscere e l’arte, imitando le forme già insite nella natura, si esprime già al meglio delle possibilità.

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Agostino Catalano

Università degli Studi del Molise

Facoltà di Ingegneria

Félix Candela artigiano e precursore di tecnologie dei calcestruzzi sottili

Nella Grecia antica, l’arte era chiamata “teχηe” e aveva significato di alta abilità tecnica unita ad una visione artistica. L’aspetto tecnico ed artistico erano considerati inseparabili, esattamente come nel lavoro di Felix Candela in cui la semplicità delle soluzioni tecniche è stata la caratteristica maggiore nella produzione del maestro. Tale semplicità, era frutto di una sapienza tecnica che gli consentiva di giudicare quale struttura fosse possibile realizzare traducendo la forma strutturale in composizione manifesta delle forze statiche insite nel materiale. Tale idea costruttiva, confermata dal rifiuto di realizzare strutture prive di senso e di realtà statica che gli venivano proposte, trae forza da una visione di forme resistenti che tutti gli studiosi sanno essere stata la forza portante di una generazione di grandissimi progettisti e costruttori quali appunto Felix Candela, Pier Luigi Nervi, Eduardo Torroja, ed altri, che segnarono un’epoca felicissima dell’architettura mondiale raggiungendo vette inesplorate ed ineguagliate nella produzione architettonica in calcestruzzo armato. A tale proposito occorre dire che Felix Candela, come gli altri grandi maestri, riuscì in tale impresa inserendosi in quel cenacolo di grandissimi che sempre hanno precorso i tempi con le loro teorie in virtù di una “apertura mentale” spettacolare che ha consentito loro di anticipare soluzioni tecniche ed artistiche che avrebbero caratterizzato i tempi successivi. In tal senso, si può sicuramente affermare come le migliori soluzioni tecniche siano derivate dallo studio attento della natura, del mondo reale, dove si trovano innumerevoli esempi di quella “resistenza per forma”, aliena da calcoli troppo complicati, seppur fondati su interpretazioni matematiche necessarie per la comprensione dei fenomeni, che presi ad esempio furono adottati per le costruzioni. Tale posizione, che appartiene anche a Candela, parte da lontano. Infatti, il concetto fondamentale della filosofia platonica è la visione della realtà come “copia dell’iperuranio” , cioè il mondo delle idee, dov’è racchiusa la vera essenza dell’universo. Sulla base di questo concetto, la filosofia platonica elabora il rifiuto dell’arte, inteso come “copia della copia” dell’iperuranio. Nel neo-platonismo quattrocentesco, l’arte è ancora intesa come copia della natura ma, nella visione di un artista come Michelangelo, essa “viene recuperata”. Egli, infatti, ritiene che l’arte non sia un’imitazione sterile della natura ma parte integrante di essa. Se si accetta il principio di un cenacolo di grandi precursori, ognuno nel loro tempo, di eventi futuri, si può analizzare l’opera di Felix Candela caratterizzandola come quella di altri grandi protagonisti della storia dell’umanità. Il divino Michelangelo, in particolare, fu più ideatore di forme che costruttore e come afferma Giulio Carlo Argan “…più d’una volta progettò per non costruire…”. Michelangelo, alla corte di Lorenzo il Magnifico crebbe fin dall’età più giovane imbevendosi di quel neoplatonismo che si distaccava da quella teoria delle arti caratterizzata da una sintesi tra pittura, scultura ed architettura che egli tanto perseguì, ma che fu contestata da Leonardo. Questi, concepiva l’arte come riflesso della natura derivante dall’analisi scientifica di un mondo in continuo divenire da cui trarre quelle indicazioni tecniche utili per le forme artistiche più elevate tramite una nuova valutazione del tecnicismo e del meccanicismo. Per Michelangelo, al contrario, il passato si riflette nella natura in maniera perfetta in quanto tutto deriva da Dio e l’arte, anche quella successiva, non può che essere una riproposizione formale di ciò che è già presente: non occorre indagare per conoscere e l’arte, imitando le forme già insite nella natura, si esprime già al meglio delle possibilità.

In buona sostanza, l’idea michelangiolesca era che le forme del costruito fossero legate ai principi esistenti in natura, e quindi direttamente derivanti da Dio, di forza statica; di conseguenza, le forze esterne dovevano confermare la forza insita in quell’equilibrio naturale. I tre concetti fondamentali, accolti da personaggi come Bramante e Raffaello, furono: equilibrio, ordine, proporzione. Per Michelangelo, in definitiva, occorrevano forme caratterizzate da ciò che era già stato prodotto nell’età classica e adattate alle nuove esigenze artistiche volute dall’artista artigiano. Ancora Giulio Carlo Argan chiarisce: …Il fatto è che Michelangelo non accettava la distinzione classica di

costruzione e decorazione: la seconda stava alla prima come la prima allo spazio di natura. Per

Michelangelo, invece, tra il dinamismo delle forze portanti e quello delle membrature visibili non

c’era rapporto di deduzione, ma semmai di continuità o di rottura… E’ una posizione di progettista artigiano che viene confermata dall’avversione michelangiolesca per i mestieranti, cioè i costruttori professionisti che si sforzano di trovare soluzioni forzate da ripetere pedissequamente. Si può pensare, leggendo gli scritti ed analizzando le opere di Felix Candela, che anche per la sua produzione si può parlare di caratteristiche artigianali e non di irreggimentato professionismo per la realizzazione di architetture fantasiose e prive di caratteristiche legate alle possibilità prestazionali del conglomerato cementizio. Come non trovare rispondenza nella ricerca progettuale di Felix Candela con le caratteristiche statiche per forma di elementi esistenti in natura. Ad esempio, basta osservare la struttura di una foglia per ritrovare quelle condizioni di resistenza per forma che sono la caratteristica della sua produzione (fig.1).

Fig. 1: la struttura della foglia

La foglia ha una struttura composta da un asse, la lamina, cui si legano diramazioni a loro volta portanti ed intorno a cui si sviluppa la parte piena in un’espressione formale che deriva esclusivamente da una struttura perfettamente in grado di resistere al peso ed all’azione tagliante del vento. Nessuna forzatura si riscontra né tantomeno elementi del tutto estranei alla forma stessa della foglia che si può esprimere in una variegata possibilità di struttura: ellittica: apice e base tonda con larghezza massima al centro ovata: larghezza massima nella terza parte inferiore obovata larghezza massima nelle terza parte superiore lanceolata: lamina molto lunga e stretta romboidale: a forma di rombo cuoriforme: lamina rotonda con apice cuspidata

Nel centro antico di Napoli sono rilevabili tra le più belle strutture del settecento. In particolare, la statica manifestata dalle scale degli edifici di quel periodo restano una meraviglia di estetica resa tramite resistenza per forma. Tali strutture, molto complesse, furono opera principalmente di uno dei più grandi progettisti che Napoli abbia mai avuto: Ferdinando Sanfelice. Le scale del Sanfelice si caratterizzano per la tecnica avanzata adottata contraddistinta dall’uso di volte a botte ad asse inclinato a realizzare rampe “a sbalzo” secondo una minima curvatura perpendicolare alla generatrice: l’effetto che ne deriva è di leggerezza e ardimento strutturale.La tecnica è resa possibile anche per l’accorto uso di apparecchiature murarie (in pietre di tufo) disposte, spesso, a “spina di pesce” in alternativa ad apparecchiature con elementi lapidei paralleli o perpendicolari alle generatrici. Le pietre vengono legate con spessori limitati di malta per una resistenza statica ottenuta fondamentalmente tramite la disposizione geometrica dei conci. La tecnica costruttiva così realizzata ha assorbito l’incremento dei carichi derivanti da terremoti ed eruzioni del Vesuvio. Nel concetto del contenimento della risultante dei carichi orizzontali e verticali nel nocciolo di inerzia della sezione resistente degli elementi verticali, occorre dire che tale equilibrio è reso possibile dall’uso di una pietra naturale come il tufo, dal peso specifico medio di 1700 kg/mc, che aumenta l’effetto stabilizzante della forza peso. Ciò spiega anche la rinuncia all’uso di elementi lapidei artificiali, più leggeri. La resistenza, in definitiva, è affidata alla configurazione geometrica e quindi all’apparecchiatura muraria adottata dal progettista. (figg. 2,3)

Fig. 2: La scala del Palazzo dello Spagnolo nel centro antico di Napoli

Fig. 3: Particolare della scala del Palazzo dello Spagnolo nel centro antico di Napoli

L’arditezza statica delle scale di Ferdinando Sanfelice è stata possibile solo ed unicamente per l’alta conoscenza tecnologica del materiale e delle sua possibilità. Tale sapienza costruttiva, unica tra i costruttori dell’epoca, non trovò eguali tra i contemporanei che dubitavano fortemente delle possibilità di resistenza di tali strutture risultando smentiti dalla realtà di una grande capacità tecnica anticipatrice di soluzioni a venire. Anche nel caso del Sanfelice, la resistenza per forma costituì l’innovazione. Allo stesso modo occorre ricordare un altro grande quale Vladimir Grigor’evic Shukhov. Per l’esposizione di Nizhi Novgorod del 1896 Shukhov progettò e costruì 8 padiglioni in ferro con copertura leggera a coprire 27.000 metri quadrati, una torre dell’acqua con struttura ad iperboloide che servì da modello per altre trenta strutture analoghe costruite in Russia e a migliaia nel resto del mondo. Sono di Shukhov l’innovativa volta in acciaio e vetro dei magazzini GUM sulla Piazza Rossa di Mosca (1889-94) e quelle del museo dell’arte Puskin (1898-1912) e della galleria Petrovska (1903-06) come pure gli enormi archi metallici a formare la volta di copertura del parcheggio dei treni (1908) e quelli della stazione Kievskiy (1912-17). La colossale hall degli uffici delle Poste Centrali di Mosca fu coperta nel 1912 da una struttura orizzontale tralicciata che anticipa i tralicci spaziali sviluppati a partire dal 1940 da Konrad Wachsmann e Max Mangeringhausen. Nel 1919, dietro richiesta di Lenin, Shukhov propose, per la costruzione dell’antenna della radio di stato, una torre iperboloide di nove sezioni per un’altezza di 350 metri. La torre fu poi costruita di sei sezioni per 150 metri di altezza tramite l’ausilio del suo metodo originale di montaggio telescopico (fig. 4). Nove anni dopo, Shukhov costruì, in prossimità del fiume Oka, sei tralicci per l’alta tensione, alti fino a 120 metri, in cui riuscì a migliorare ancora la leggerezza eterea di queste strutture.“…Occorre investire nella ricerca di nuove idee. Fu così per la torre iperboloide…”: così si esprimeva Shukhov quando gli chiedevano delle sue metodologie progettuali. Il metodo di lavoro di Shukhov, estremamente moderno e precursore dei tempi successivi, si sviluppava per successive approssimazioni tra l’analisi teorica del problema, con l’uso di sofisticate equazioni differenziali, e l’analisi della fattibilità pratica per la risoluzione dei problemi costruttivi ed economici, fino ad arrivare alla perfezione tecnica. In tal senso, Shukhov ha di fatto creato una scuola di ingegneria per il montaggio delle strutture il cui esempio più noto è quello del metodo telescopico per

l’assemblaggio delle torri iperboloidi, metodo applicato anche per la costruzione della copertura della stazione Kiever con archi reticolari a tre cerniere. Shukhov nel 1895 brevettò la prima “copertura a rete”. La tecnologia prevedeva l’impiego di semplici elementi metallici (barre piatte da 50-60 millimetri ed angolari leggerissimi) assemblati in modo da formare maglie romboidali. Per la prima volta, in ambito strutturale non vi era distinzione tra elementi principali e secondari, ma tutti gli elementi avevano un uguale ruolo. I progetti di Shukhov erano derivati da una sintesi originale delle teorie del matematico Pafnuty Chebyshev sulla teoria delle migliori approssimazioni di funzioni e quella sulla geometria non euclidea del matematico Nikolai Lobachevsky. Applicando le sue capacità analitiche alla superficie a doppia curvatura scoperta da Lobachevsky e chiamata “iperboloide”, Shukhov ottiene una famiglia di equazioni che lo hanno condotto ai nuovi sistemi strutturali e di costruzione conosciuti come “iperboloidi di rotazione” e “paraboloidi iperbolici”. Lo studio di strutture metalliche di minor peso, a parità di resistenza, lo aveva portato alle superfici a griglia. Tali superfici possono essere distorte geometricamente senza perdere le loro caratteristiche formali e possono essere trasformate con continuità in altre superfici regolari. E’ il caso dell’iperboloide di rotazione e del cilindro. Nel lavoro di Shukhov l’iperboloide di rotazione riveste un ruolo particolare essendo stato usato anche per la costruzione di torri in un incredibile numero di varianti e per differenti scopi.

Fig. 4: La torre per la radio di stato di Shukov

Al termine del primo decennio del ventunesimo secolo il mercato industriale offre una discreta gamma di calcestruzzi mirati, spesso, alle specifiche esigenze dei progettisti. È noto il caso, per ricordare un esempio notevole, il calcestruzzo fotocatalitico adoperato da Meyer per la costruzione della Chiesa Dives in Misericordiae a Roma (fig.5). Si tratta di nuovi prodotti di un materiale assai versatile che si possono sintetizzare in specialità di nuove consistenze, nuove espressività, nuove

prestazioni quali il calcestruzzo autocompattante, il calcestruzzo ad alte prestazioni, il calcestruzzo fibrorinforzato, il calcestruzzo texturizzato ed altri ad alta tecnologia. In particolare, l’uso di tali calcestruzzi è teso a superare sia i limiti di espressione formale del materiale che i valori di resistenza con limitati spessori per la realizzazione di quei prodotti di architettura a forte componente ingegneristica che ha ha visto un architetto artigiano di estrazione ingegneristica quale Felix Candela segnare in maniera indelebile la sua epoca. In questi ultimi anni certamente si segnala

l’opera di Santiago Calatrava, ma questa è indirizzata verso una progettazione ingegneristica che il compianto Professore Benedetto Colajanni, per anni docente di Architettura Tecnica, recentemente scomparso, definì nella sua introduzione alla prima sessioni del congresso internazionale Evoluzione tecnologica del calcestruzzo. Tradizione, attualità, prospettiv,e svoltosi a Termoli presso la Facoltà di Ingegneria del Molise, una architettura caratterizzata da un “culturismo strutturale” assai diverso da quanto ideato e realizzato dai maestri prima ricordati. In virtù di tali possibilità espressive del calcestruzzo, gli obiettivi raggiungibili sono di tre tipi: l’aumento delle prestazioni strutturali, la costruzione di forme resistenti, il miglioramento delle capacità espressive della faccia a vista.

Fig. 5: La chiesa Dives in Misericordiae di Richard Meyer

Per quanto riguarda le possibilità prestazionali strutturali ottenibili, le scelte si sono spinte verso una variegata gamma di soluzioni. Ad esempio, il museo Mercedes Benz a Stoccarda caratterizzato da due portali curvilinei ad inclinazione variabile, twist, sostengono tutti i carichi compresi i propri su una luce di 33 metri. I twist sono collegati da un unico elemento orizzontale che dà la possibilità di accedere al percorso museale. Allo stesso modo, la Torre Tod’s a Tokyo è caratterizzata da un involucro strutturale rispondente al diagramma di carico. La realizzazione di forme complesse, come nel caso della chiesa di Meyer prima menzionata, sono riprese anche da altri progettisti che sperimentano l’uso delle strutture per realizzare l’architettura. In qualche modo, anche se su posizioni spesso opposte, Santiago Calatrava realizza le sue architetture tramite l’uso delle componenti strutturali anche se, in particolare per la Città della Scienza di Valencia, tale impostazione si manifesta rafforzando moltissimo travi e pilastri cui assegna una forma sempre spettacolare ma indipendente dalle strette necessità di resistenza che vengono abbondantemente compensate dalla ripetizione ossessiva delle strutture progettate e calcolate. E’ un’impostazione diversa che si allontana in qualche modo da quella produzione caratterizzante l’architettura di Nervi, Torroja e Candela come si può capire dalle parole con cui Nervi “bocciò” sia il terminal TWA di Saarinen a New York che il Teatro dell’Opera di Yorn Utozn a Sidney riportate nell’articolo Architettura e strutturalismo pubblicato su Casabella nel 1959. Secondo Nervi, i due importanti edifici sono “…esempi del più schietto anti funzionalismo statico e

costruttivo, conseguenza della arbitrarietà delle forme in netto contrasto con le leggi della statica

costruttiva. Si possono facilmente immaginare le acrobazie di calcolo, di tecnica, e lo sperpero di

materiali che saranno necessari, se pure ci si riuscirà senza sostanziali modifiche anche formali,

per farli stare in piedi…”.

Anche le cassaforme giocano un ruolo fondamentale nell’estetica del calcestruzzo. La tradizionale cassaforma in legno ha consentito la modellazione artigianale che ha condotto Felix Candela ad ottenere un miglioramento estetico della faccia a vista delle sue opere come nella copertura della chiesa della Vergine Miracolosa a Città del Messico dove tramite un’idonea cassaforma ottenne una superficie rigata che innalza la qualità architettonica dell’edificio. Tutte queste caratteristiche costruttive, attualmente ricercate nel conglomerato cementizio, sono state ampiamente sperimentate e sfruttate da Felix Candela nelle sue costruzioni conseguendo quella esiguità di spessori che oggi è caratteristica richiesta per la realizzazione di microcalcestruzzi idonei a sopportare forti carichi con minimi spessori strutturali. La ricerca della riduzione dell’effetto di parete e di mix-design, tesa al contenimento del rapporto acqua-cemento con forte fluidità della miscela, è riscontrabile ed intuibile in tutta la produzione di Felix Candela per l’ottenimento di prodotti unici, e quindi “artigianali, che ne hanno decretato la grandezza e l’immortalità dell’idea. A tale grandezza, purtroppo, è seguito uno sciagurato periodo, durato fino agli anni settanta, che ha visto il prevalere di quei “professionisti” tanto invisi già a Michelangelo privi di una qualsivoglia idea progettuale che hanno rinchiuso la produzione artistica in formule per calcolare sezioni esuberanti che ne hanno inficiato qualunque progressione estetica. Resta, all’attualità, il ritorno alle considerazioni che hanno caratterizzato Felix Candela e gli altri protagonisti di quella straordinaria stagione anche per la mutata cultura delle giovani generazioni di progettisti che hanno ereditato i guasti dei mestieranti dell’architettura negando l’essenza stessa dell’arte costruttiva: l’originalità.

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Argan G. C., Contardi B., Michelangelo architetto. Electa, Milano, 1990. Vladimir Grigor’evic Shukhov: un ingegnere rivoluzionario, in Casabella n.573, 1990 De Sivo B., Aesthetic of concrete, in Atti del I international Congress “Technological development of concrete. Traditions, actualities, prospects”, Luciano Editore, Napoli, 2009 Nelva R., Typologies of the reinforced concrete. Industrial buildings in North Italy at the beginning

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