E-waste2.0 di Gianluca Giannelli e Giorgio Griziotti

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e-waste di Shahdara, Lahore, Pakistan- Foto: Valentino Bellini

E.waste 2.0

di Gianluca Giannelli e Giorgio Griziotti

Gianluca Giannelli - Giorgio Griziotti E-waste2.1 EFFIMERA.docx 05/09/2013

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Si chiama e-waste l'emergente, nuova patologia per l'ecosistema uomo-

ambiente, prodotta dall'attuale fase storica del modo di produzione capitalistico.

I rifiuti elettrici ed elettronici (e-waste) rappresentano ad oggi il flusso di

rifiuti in maggiore crescita nel mondo. Ogni anno ne vengono generati tra i 40 e i 50

milioni di tonnellate e secondo uno studio dell'UNEP ( United Nation Environment

Program) questo dato potrebbe crescere di circa il 500% nei prossimi dieci anni,

soprattutto in quei paesi, come l'India, la Cina e alcune regioni dell’Africa, in cui

l'industria tecnologica è in forte sviluppo. Si tratta di rifiuti pericolosi, i quali

contengono decine di sostanze tossiche per la salute umana e l'ambiente; sono

complessi da smaltire in maniera sostenibile e richiedono delle lavorazioni molto

dispendiose per essere riciclati. Questo è il motivo per cui circa l'80% degli e-waste

prodotti nei paesi sviluppati (Nord America ed Europa in cima alla lista) non

vengono smaltiti in loco, ma vengono caricati su navi container e spediti in paesi in

via di sviluppo quasi sempre in maniera del tutto illegale, e dove, in maniera del

tutto illegale, avviene il loro smaltimento.

Shahdara, Lahore, Pakistan- Foto: Valentino Bellini

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Nella sua storia di assoggettamento e sfruttamento delle risorse del pianeta, la

specie umana ha sempre prodotto scarti e rifiuti come esito collaterale delle attività

di produzione e consumo.

Ma è solo con l'economia cosiddetta industriale, prima, e chimica, del petrolio

e della plastica, poi, che il rifiuto prodotto dall'uomo non è stato più metabolizzato e

riciclato dalle forze naturali che regolano la dinamica vitale del pianeta.

Il processo di mercificazione e valorizzazione capitalista ha così potuto

definire, creandola, una vera e propria "economia del rifiuto" finalizzata ad

estendere la logica del profitto e dello sfruttamento anche a quegli stessi scarti che

esso stesso aveva prodotto, in una iterazione senza fine del processo che traeva

valore anche dalla sua stessa morte.

Al pari del rifiuto organico, che nella decomposizione viene trasformato in

materia organica per la ri-generazione della vita, l'azione capitalista dispone,

mediante il suo comando, che esseri umani decompongano i rifiuti prodotti da altri

esseri umani per la ri-generazione del profitto.

Non più vermi ed enzimi a compiere il ciclo naturale di vita e morte,

producendo energia biochimica e fertilizzando la terra, ma uomini e donne costretti

a decomporre carcasse inorganiche e generare denaro per la propria sopravvivenza

e profitto per il capitale altrui.

La peculiare modalità di differenziazione e specializzazione funzionale

all'interno della specie umana, portato dell'organizzazione mondiale del modo di

produzione capitalistico, opera dapprima una sottrazione delle risorse ambientali,

dei saperi e dei modi di produzione tradizionali -un tempo sufficienti al

sostentamento delle popolazioni locali- per poi costringere le popolazioni così de-

private ad accettare, come unica possibile, la condizione di sopravvivenza data

dall'operare in una funzione specifica nell'ambito del più vasto sistema di divisione

mondiale del lavoro.

Vecchi e nuovi processi di colonizzazione producono vecchie e nuove forme di

specializzazione funzionale su base etnica e territoriale, dando vita a generazioni di

uomini condannati ad assolvere funzioni specifiche. Uomini e donne "socialmente

modificati" per svolgere un compito preciso, funzionale al mantenimento dell'intero

sistema.

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Così è accaduto, tra le altre, per l'"economia del rifiuto" che sin dalla sua

nascita con il capitalismo industriale ha subito cambiamenti implicati dalle

trasformazioni che quest'ultimo ha vissuto nel tempo. Al pari, anche gli "uomini

socialmente modificati" sono stati coinvolti da trasformazioni adattive alle mutate

esigenze funzionali.

Difficile non ricordare la figura del robivecchi della città dell'epoca industriale

o non riconoscere, sempre in questa tipologia la figura del cercatore di metallo -in

genere rame- nei cassonetti delle città contemporanee post-industriali. Le due

figure sono il prodotto, però, di modalità storicamente e qualitativamente differenti

di configurazione del sistema capitalistico.

Difficile, ancora, non annoverare in questa tipologia i cernitori dei rifiuti solidi

urbani che operavano nelle discariche a cielo aperto delle città occidentali dell'era

industriale.

Più facile riconoscere, forse, oggi -grazie alla diffusione dell'informazione

connessa alle tecnologie della comunicazione- gli uomini donne e bambini dei

villaggi africani che "decompongono" le grandi navi commerciali insabbiatesi

perché abbandonate alla deriva o piuttosto i nuovi cernitori dei rifiuti solidi urbani

delle discariche a cielo aperto del Madagascar luogo sublime trasformato in una

delle pattumiere della terra post-industriale del 21° secolo.

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e-waste di Agbobloshie, Accra, Ghana- Foto: Valentino Bellini

E' l'attuale fase del capitalismo "biocognitivo-finanziario" a definire la

fisionomia della versione contemporanea dell' "economia del rifiuto" assumendo

proprio nell' "e-waste" la materia e il simbolo di una discontinuità e nel contempo

specificità rispetto al passato.

E’ proprio tramite le macchine cognitive che vengono prodotte individualità

consumistiche nuove nel loro genere; la materialità dell'oggetto di consumo, anche

nel suo significato simbolico di strumento d’emancipazione sociale che lo aveva

caratterizzato nell'epoca fordista della produzione e consumo di massa, ha esaurito

la sua capacità di generare godimento. Per evitare che le macchine cognitive

diventino strumenti riciclabili di produzione autonoma delle moltitudini l’obiettivo

del capitalismo d’inizio millennio è quello di creare individualità bio-cognitive

destinate a produrre e a consumare informazioni, segni e simboli, durante tutta la

loro esistenza biologica, conferendo al contenuto immateriale vero valore di merce.

Il ciclo di valorizzazione del capitale che nell'epoca industriale e della

modernità era stato rappresentato dalla celeberrima formula "D-M-D+"1, diviene

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oggi nel capitalismo di matrice finanziaria-biocognitiva "D-I-D+" ove per I si intende

l'informazione perennemente prodotta e consumata dall'uomo individualizzato dai

processi di segmentazione e segregazione biocognitiva.

Per sopravvivere alla caduta del profitto d’una produzione industriale ormai

robotizzata il capitalismo cognitivo ha bisogno d’una "digitalizzazione dell'Io"

indotta all'appagamento continuo della sua "bulimia semiotica", dalla quale estrarre

la maggior parte del proprio valore in questa contemporaneità, relegando di fatto la

materialità (anch'essa, come detto, oggetto di valorizzazione) a mero supporto,

veicolo, tramite del "segno", vero oggetto del godimento individuale.

Questa logica di mercificazione incondizionata è una macchina che produce

dicotomie: "Segno"/"supporto", "informazione"/"materia", che si ripercuotono su

dimensioni divergenti dello spazio-tempo. Segni ed informazioni permangono

ovunque e per sempre nelle reti ipermediate e nelle menti individuali.

Supporto e materia restano limitati e localizzati per effetto d’una necessaria e

procurata obsolescenza fisica e tecnologica e di una loro specifica localizzazione

territoriale al termine del ciclo di utilizzo.

Ed è in questa procurata "spazialità" che si rinviene l'e-waste; scempio di

terra e uomini, prodotto dalla gestione neoliberale dei rifiuti del consumismo

digitale.

Ed è sempre in questa "spazialità" che la materia incontra la materialità, la

miseria e la crudezza delle condizioni di vita degli uomini donne e bambini che

sopravvivono de-componendola.

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Wagha Town, Lahore, Pakistan Foto: Valentino Bellini

Se nella solitudine delle vite in rete si perde il contatto con la materialità degli

oggetti tecnologici, è ancora in questa spazialità che colpisce ritrovarle sotto forma

di discariche tossiche. Ancora di più impressionano gli sguardi di uomini giovani ed

adolescenti costretti a viverci in mezzo.

Le vastità e le quantità dei siti di e-waste nei paesi poveri del Sud si spiegano

con i milioni di tonnellate di scarti elettronici che vi sono riversati. Flussi crescenti

perché nella fase d’integrazione di reti e territorio ai PC ed ai televisori si

aggiungono i miliardi di nuovi dispositivi mobili quali smartphones, tablets,

laptops etc. Questo sperpero è incentivato dalle Corporations delle ICT2 che, nella

ricerca spasmodica d’infiniti profitti, mettono in opera un’obsolescenza

programmata sempre più diffusa ed aggressiva dei loro prodotti.

Sotto il regime della governance finanziarizzata le leggi che dovrebbero

impedire questi disastri umani ed ecologici sono fatte in modo da lasciare ampi

spazi agli interessi di chi detiene il potere economico pubblico e privato. Che

differenza rispetto alla durezza inflessibile con cui sono applicate le leggi fatte per

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allontanare dai nostri paradisi postindustriali i lavoratori migranti. L’esecutivo

della governance preferisce di gran lunga che restino a casa loro, salvo poi renderla,

questa casa, un immondezzaio tossico.

Il rafforzamento e l’applicazione (enforcement) delle insufficienti leggi

internazionali contrarierebbe enormi profitti. Disfarsi d’un vecchio PC spedendolo

verso una discarica africana costa 2 dollari invece dei 20 che occorrono per

riciclarlo in modo sostenibile. I 18 dollari di differenza se li spartiscono gli

operatori apparentemente rispettabili del nord ed i loro corrispondenti mafiosi del

Sud. Si riproduce su scala mondiale la connivenza e la complementarità fra capitale

legale e capitale mafioso di certi paesi del sud Europa...

Nelle regioni periferiche del mondo le forme d’accumulazione e

d’organizzazione mafiose costituiscono un mezzo essenziale d’inserzione nella

divisione internazionale del lavoro.

Secondo gli economisti non infeudati alla finanza mainstream “alla fine

capitale cognitivo e mafioso ritrovano una loro vera unità nell’opacità intrinseca dei

mercati finanziari dove qualsiasi distinzione scompare”3. Ancora una prova che lo

sfruttamento ha la stessa matrice sia nel costruire che nel distruggere ...

Se da un lato nei paesi emergenti le eco-mafie prendono il controllo delle

risorse rare e non rinnovabili, dall’altro contribuiscono al contesto di crisi ecologica

come per l’e-waste. In entrambi i casi si tratta di un esproprio del comune sia per

quanto riguarda la devastazione del territorio che per lo sfruttamento che confina

con lo schiavismo viste le condizioni di distruzione della vita di chi lavora in un tale

inferno.

Il paradosso sconvolgente sta nell’avere sotto gli occhi il risultato tangibile

della cruda materializzazione nella spartizione dei ruoli nell’economia globale.

Alle oligarchie della finanza vanno i dividendi della proprietà intellettuale, delle

produzioni immateriali o dei dispositivi (devices) bioipermediali , alle moltitudini

dei “damnés de la terre” postindustriali la schiavitù delle discariche tecnologiche

che invadono il loro ecosistema rendendolo sterile e tossico.

I territori dell’e-waste, le trecento tonnellate quotidiane d’acqua radioattiva versate

nell’oceano di Fukushima, il decadimento delle lande devastate dal fracking per

estrarre gas e petrolio di sciste: non c’è rottura nella nocività del modello

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capitalista nel tempo. Tramite la rete la macchina dominante della sola razionalità

economica accellera il ritmo di distruzione della biosfera.

Sino a quando?

Odaw River, Accra, Ghana. Foto: Valentino Bellini

1 D-M-D+ con questa formula Marx intende descrivere il capitalismo avanzato (alla sua epoca), secondo cui il denaro (D) viene utilizzato per comprare della merce (M) che verrà poi venduta in modo da ottenere più denaro (D+ o plusvalore). Per cui la merce funge da mezzo per incrementare il denaro. 2 Information, communication technologies 3 Capitalisme cognitif et capitalisme mafieux di DIDIER LEBERT e CARLO VERCELLONE http://uninomade.org/. Tradotto dal francese dall’autore.